Una
cornice storica improbabile
Nella serie tradizionale dei cosiddetti
"quattro profeti maggiori del Vecchio Testamento", ad Isaia l'intrepido, a
Geremia il
timido e ad Ezechiele il simbolico, si fa seguire proprio Daniele, il
protagonista del nostro libro. Mentre però il libro di Isaia e quello di
Ezechiele cominciano con una grande visione introduttiva, e al principio di
quello di Geremia troviamo già ben delineata la sua missione profetica:
« Parole di Geremia figlio di Chelkia, uno dei sacerdoti che dimoravano in Anatòt, nel territorio di Beniamino. [...] Mi fu rivolta la parola del Signore: Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni » (Geremia 1, 1.4-5)
al contrario, l'incipit del libro di Daniele ricorda quello di altri Libri Biografici e Storici dell'Antico Testamento. Basta confrontare tra loro come iniziano i libri di Tobia, Ester, Giuditta, il Primo dei Maccabei e il Libro di Daniele:
« Libro della storia di Tobia [...] Al tempo di Salmanàssar, re degli Assiri, egli fu condotto prigioniero da Tisbe, che sta a sud di Kades di Nèftali, nell'alta Galilea, sopra Aser, verso occidente, a nord di Sefet. » (Tobia 1, 1-2)
« Nel secondo anno del regno del gran re Assuero, il giorno primo di Nisan, Mardocheo figlio di Iair, figlio di Simei, figlio di Kis della tribù di Beniamino, ebbe un sogno » (Ester 1, 1)
« Nell'anno decimosecondo del regno di Nabucodonosor, che regnava sugli Assiri nella grande città di Ninive, Arfaxad regnava sui Medi in Ecbàtana. » (Giuditta 1, 1)
« Queste cose avvennero dopo che Alessandro il Macedone, figlio di Filippo, uscito dalla regione dei Kittim sconfisse Dario, re dei Persiani e dei Medi, e regnò al suo posto, cominciando dalla Grecia. Intraprese molte guerre, si impadronì di fortezze e uccise i re della terra... » (1 Maccabei 1, 1-2)
« L'anno terzo del regno di Ioiakìm re di Giuda, Nabucodonosor re di Babilonia marciò su Gerusalemme e la cinse di assedio. Il Signore mise Ioiakìm re di Giuda nelle sue mani, insieme con una parte degli arredi del tempio di Dio, ed egli li trasportò in Sennaàr e depositò gli arredi nel tesoro del tempio del suo dio. » (Daniele 1, 1-2)
Ciò indica certamente che il tutti questi libri sono stati composti più o meno nella stessa epoca, sul modello della storiografia greca (Erodoto, Senofonte, Polibio...) che caratterizza precisamente nel tempo e nello spazio gli eventi che narra, e quindi molti secoli dopo la fine del Profetismo israelitico.
Mentre però il Primo Libro dei Maccabei sembra ben informato anche sugli eventi storici anteriori di un secolo e mezzo a quelli che egli narra, altrettanto non si può dire per gli altri: a titolo di esempio, non si conosce alcun re persiano di nome Assuero, né alcun re dei Medi di nome Arfaxad contemporaneo di Nabucodonosor. Rimandando la discussione della storicità dei testi citati ad un altro ipertesto, soffermiamoci sull'incipit di Daniele. Ebbene, alla luce delle moderne conoscenze archeologiche e dei Libri dei Re e delle Cronache, anche la cornice cronologica nella quale è inserita la vicenda del giovane Daniele appare insostenibile.
« L'anno terzo del regno di Ioiakìm re di Giuda » corrisponde infatti al 607 a.C., avendo egli regnato dal 609 al 598 a.C., come si evince da 2 Re 23, 34 - 24, 6. Eppure, proprio il Secondo Libro dei Re ci avverte che le due deportazioni avvennero la prima nel 597 a.C., quando regnava Ioiachin, figlio di Ioiakìm (2 Re 24, 7-17), e la seconda nel 587 a.C., quando regnava Sedecia, fratello di Ioiakìm (2 Re 25, 1-22); i fatti vengono confermati dal Secondo Libro delle Cronache e dal Libro di Geremia. Fin dal principio dunque i dati storici riportati dal Libro di Daniele ci appaiono dubbi, e in contrasto con altri autori meglio informati, perchè avevano potuto consultare gli "Annali dei Re dei Giuda", una fonte per noi perduta. L'ignoto autore, che a questo punto non può essere Daniele né un suo collaboratore contemporaneo degli eventi, ha evidentemente un altro fine rispetto a quello degli autori dei Libri dei Re e delle Cronache: non riferire una cronologia degli episodi e dei protagonisti della vicenda di Daniele, ma presentare il Profeta come un uomo di grande sapienza e di altrettanto grande cuore, e come un esempio di eroico attaccamento alla sua religione, che si manifesta nella fedeltà all'osservanza della Legge e nella perseveranza nel rendere culto a Dio anche se in grave pericolo di vita. Esattamente come avrebbero dovuto comportarsi, insomma, i Giudei al tempo della Persecuzione di Antioco IV Epifane.
Nel
paese di Sennaar
Un altro indizio di questo effettivo
significato del Libro di Daniele lo troviamo nel termine
"paese di Sennaar" usato dall'autore per indicare la regione di
Babilonia. Si tratta infatti di un termine arcaico, citato otto volte
nell'Antico Testamento; la forma ebraica è Shin'ar,
mentre Sennaar è la trascrizione greca dei Settanta. Il leggendario re Nimrod,
nipote di Cam, secondo Gen 10, 10 vi fondò il suo regno e vi edificò le grandi
città di Babel, Erec, Accad e Calne (le prime tre sono rispettivamente
Babilonia, Uruk e Akkad, la quarta invece è sconosciuta e secondo alcuni
significa "tutte" le altre città di Sennaar). Sennaar è anche il paese
in cui, secondo Gen 11, 2, fu costruita la torre di Babele. Se ne ricorda Dante,
quando scrive:
« Vedea Nembròt a piè del gran lavoro,
quasi smarrito, e riguardar le genti
che 'n Sennaàr con lui superbe fuoro. » (Purgatorio XII, 34-36)
In Gen 14, 1-16 è citato Amrafel, re di Sennaar, che con altri re alleati invase la Palestina e fu sconfitto da Abramo; molti vedono in lui il celebre Re di Babilonia Hammurabi (1792-1750 a.C.). Si pensa che l'ebraico Shin'ar possa essere messo in relazione con nomi affini citati da fonti extrabibliche. Secondo alcuni deriverebbe dal nome egizio Sangar, più volte menzionato nei testi egiziani come paese da dove venivano lapislazzuli ed atre pietre preziose; secondo altri, dal paese di Šanhar citato in una lettera di Tell elAmārna, l'antica Akhetaton, capitale del faraone "eretico" Akhenaton (1350-1333 a.C.); in entrambi i casi però il contesto non sembra favorire l'identificazione con Babilonia, come alluso invece dai passi della Genesi su riferiti. Un'altra ipotesi fa riferimento a Sumer, la tradizionale patria dei Sumeri, ma il territorio di Babilonia nei testi cuneiformi giunti sino a noi è sempre distinto da Sumer. L'identificazione oggi più gettonata è quella con Singara, cittadina ai piedi del monte omonimo in Mesopotamia, che fu colonia romana ai tempi dell'impero, e che ancor oggi è chiamata Singiār, anche se Babilonia è abbastanza lontana da essa, perchè il nome di Šin'ar/Sennaar potrebbe essere stato esteso da Singara a tutta la Mesopotamia centrale. Il professor Guido Borghi dell'Università di Genova, amico personale dell'autore di questo ipertesto, propone piuttosto che Sennaar si basi sull'eteo Ša-an-ḫa-ra-, il nome ittita della grande Babilonia.
Questo nel Pentateuco. Nel resto dell'Antico Testamento, il nome di Sennaar è ancora utilizzato per indicare la regione babilonese: in Giosuè 7, 21 Acan ruba da Gerico un « mantello di Sennaar », termine evidentemente sinonimo di "mantello assai prezioso". Isaia cita questo paese in un passo del suo libro che sembra voler ricalcare la "Tavola delle Genti" di Gen 10:
« In quel giorno il Signore stenderà di nuovo la mano per riscattare il resto del suo popolo superstite dall'Assiria e dall'Egitto, da Patros, dall'Etiopia e dall'Elam, da Sennaar e da Amat e dalle isole del mare » (Isaia 11, 11)
(Patros è una regione del delta del Nilo, Amat una città siriana sul fiume Oronte) Ritroviamo il paese di Sennaar anche nella settima visione del profeta Zaccaria, nella quale questo profeta vede una donna, incarnazione dell'iniquità, rinchiusa dentro un'efa (un recipiente per solidi di circa ventidue litri) e portata da due donne alate proprio in quella terra, dove viene edificato un tempio a lei dedicato:
« Domandai all'angelo che parlava con me: "Dove portano l'efa costoro?" Mi rispose: "Vanno nella terra di Sènnaar per costruirle un tempio. Appena costruito, l'efa sarà posta sopra il suo piedistallo" » (Zaccaria 5, 10-11)
Come si vede, Sennaar cessa di essere un'indicazione geografica, legata a Singara o a Sumer, per diventare un simbolo stereotipato dei grandi imperi sorti nel corso dei millenni nella Mezzaluna Fertile, e quindi della potenza e dell'empietà dei popoli pagani. Proprio questo significato assume la citazione di "Sennaar" come meta finale dei deportati d'Israele, la terra per eccellenza del potere dispotico e della ribellione a Dio. Daniele e i suoi compagni di sventura non sono trascinati in posto qualsiasi, ma proprio nel cuore della potenza nemica ed idolatrica, dove si cercherà in tutti i modi di distrarli dalla fede nel vero Dio. La missione di Daniele sarà perciò duplice: una missione profetica ed una apostolica. La prima sarà indirizzata agli esiliati di Israele, consolandoli nell'esilio con visioni e vaticini, e dunque direttamente ai Giudei perseguitati dall'Ellenismo, i quali potranno toccare con mano la protezione divina su di lui. La missione apostolica sarà invece rivolta sia agli Ebrei - del VI e del II secolo a.C. - esortati alla penitenza, alla fedeltà verso la Legge ed alla fiducia in Dio con le parole e con l'esempio, sia ai pagani, ai quali si imporrà con la sua sapienza.
L'impero di Nabucodonosor al culmine della sua espansione
"Il
cuore dei miei nemici"
Nel frattempo, è venuto alla ribalta uno
dei protagonisti del testo: Nabucodonosor, il re
babilonese più noto di ogni tempo proprio grazie alla Bibbia... e grazie a
Giuseppe Verdi, che musicò il "Nabucco",
opera lirica in quattro atti la cui prima avvenne alla Scala di Milano il 9 marzo 1842
(il titolo originale era proprio "Nabucodonosor" per esteso, e fu
proprio quest'opera a consacrare la fama del Maestro di Busseto). Ma chi era
davvero questo sovrano? Vissuto tra il 634 e il 562 a.C., il suo vero nome era
Nabukadnessar, dall'accadico Nabu-kudurri-usur, cioè "Il dio Nabu difenda
il mio primogenito" (Nabu era il dio della sapienza, figlio di Marduk, dio
supremo di Babilonia), e per essere precisi si dovrebbe parlare di Nabucodonosor
II, essendo già vissuto un Nabucodonosor I, che regnò tra 1124 e il 1103 a.C.
Il "nostro" Nabucco era figlio di Nabupolassar
(Nabu-apal-usur, "Il dio Nabu protegga [mio] figlio"), che ebbe un ruolo
decisivo nella caduta dell'Impero Assiro prendendone la capitale Ninive nel 612
a.C., e fondò il cosiddetto Impero Neobabilonese o
Impero Caldeo. Fu però Nabucodonosor a portare Babilonia al culmine della sua
potenza. Il suo regno fu uno dei più lunghi dell'antichità, avendo egli governato per 43 anni, dal 605 a.C. fino alla morte, avvenuta nel 562 a.C.
Quando era ancora principe ereditario, nell'agosto-ottobre del 605 a.C. sconfisse l'esercito egiziano nella Battaglia di Karkemish, sottraendo al paese dei Faraoni il predominio sulla regione siropalestinese. Ne parla anche Geremia nel capitolo 46 del suo libro:
« Sull'esercito del faraone Necao re d'Egitto, a Karkemish presso il fiume Eufrate, esercito che Nabucodonosor re di Babilonia vinse nel quarto anno di Ioiakìm figlio di Giosia, re di Giuda... » (Geremia 46, 2)
Subito dopo tale battaglia suo padre Nabupolassar morì, e Nabucodonosor tornò a Babilonia per esservi incoronato solennemente. Nei suoi primi dieci anni di regno condusse una serie di spietate campagne militari soprattutto contro i paesi dell'Arabia, raccogliendo un ingente bottino che usò, insieme ai pesanti tributi estorti ai popoli sottomessi, per finanziare imponenti opere di difesa e di abbellimento della città di Babilonia. Dopo aver conquistato la città di Ascalona, fece del re di Giuda Ioiakim, sin qui alleato degli egiziani, un suo vassallo. Nell'ottobre del 598 a.C. Ioiakim tornò a schierarsi con gli egiziani, ed allora Nabucodonosor assediò Gerusalemme, ma proprio all'inizio dell'assedio Ioiakim morì dopo undici anni di regno, lasciando il trono al giovane figlio Ioiachin. Come già detto nell'Introduzione, Nabucodonosor conquistò la città nel marzo del 597 a.C. e fu artefice della prima deportazione del popolo ebraico. Fu evidentemente in quella circostanza, e non nell'anno terzo del regno di Ioiakìm (come afferma l'autore del libro oggetto del nostro studio), che il profeta Daniele, allora giovanissimo, fu deportato a Babilonia insieme allo stesso re Ioiachin e ai notabili della città. Dopo aver messo Mattania, zio di Ioiachin, sul trono di Gerusalemme col nome di Sedecia, Nabucodonosor II tornò a Babilonia. Domò poi con mano ferma una ribellione in Babilonia, e per punire Sedecia che gli si era ribellato distrusse Gerusalemme nell'ottobre del 587 a.C. e fece accecare lo sfortunato re. In seguito cinse d'assedio la città di Tiro per ben 13 anni, tra il 585 e il 572 a.C., ed anche di questo assedio è rimasta traccia nell'Antico Testamento:
« Perché dice il Signore Dio: Io mando da settentrione contro Tiro Nabucodonosor re di Babilonia, il re dei re, con cavalli, carri e cavalieri e una folla, un popolo immenso... » (Ezechiele 26, 7)
Il re di Tiro si salvò rifugiandosi con tutti i tesori e le opere d'arte sulla parte isolana della città, invulnerabile perchè i Babilonesi non possedevano una flotta nel Mediterraneo. In tal modo, Nabucodonosor restò a bocca asciutta, ed è per questo che più avanti Ezechiele dice di lui:
« Il primo giorno del primo mese dell'anno ventisettesimo, mi fu rivolta questa parola del Signore: Figlio dell'uomo, Nabucodonosor re di Babilonia ha fatto compiere al suo esercito una grave impresa contro Tiro: ogni testa è diventata calva e ogni spalla è piagata, ma il re e il suo esercito non hanno ricevuto da Tiro il compenso per l'impresa compiuta contro di essa. » (Ezechiele 29, 17-18)
Alcuni anni dopo, nel 568 a.C., il re caldeo sconfisse un'altra volta duramente l'Egitto. Nelle fonti storiche invece non vi è traccia della pazzia di Nabucodonosor durata sette anni secondo Daniele 4, 25-34, ma di questa parleremo a proposito del capitolo 4. Anche il libro di Giuditta ha tra i suoi protagonisti questo sovrano, ma in esso ha perso ormai ogni connotato storico, per diventare lo stereotipo dei nemici d'Israele; tra l'altro vi si dice che Nabucodonosor « regnava sugli Assiri nella grande città di Ninive », quando invece questa città è stata rasa al suolo proprio dal padre del nostro re. Pure il Libro di Giuditta è stato scritto durante la persecuzione ellenistica, e non ha intenti da libro storico: il suo scopo è quello di presentare una figura esemplare, in questo caso Giuditta (il cui nome significa per l'appunto semplicemente "la Giudea"), che con il solo aiuto di Dio è capace di sconfiggere l'esercito più potente della Terra. Nabucodonosor era il perfido sovrano che aveva raso al suolo il Tempio di Salomone, ed anche l'ipotetico sovrano che muove in forze verso la Terra d'Israele (i biblisti pensano possa trattarsi del Re dei Re persiano Artaserse III) non può che portare lo stesso, detestato nome. Nel Nuovo Testamento il nome di Babilonia, il regno di Nabucodonosor, è usato come sinonimo di tutti i nemici della Chiesa nascente, ed in particolare della città di Roma:
« Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia » (1 Pietro 5, 13)
« Un secondo angelo lo seguì gridando: È caduta, è caduta Babilonia la grande, quella che ha abbeverato tutte le genti col vino del furore della sua fornicazione » (Apocalisse 14, 8)
Per questo, rimando al mio ipertesto dedicato all'Apocalisse di Giovanni. Quando parlano di Babilonia, gli autori biblici riescono ad essere particolarmente immaginosi. Così infatti leggiamo nel Libro di Geremia:
« Così parla il Signore: Ecco, io faccio levare contro Babilonia e contro gli abitanti di questo paese, che è il cuore dei miei nemici, un vento distruttore... (Geremia 51, 1)
« Il cuore dei miei nemici » in ebraico suona Leb Kemai. Applichiamo la cosiddetta cifratura atbash, che consiste nello scambiare tra di loro le prime e le ultime lettere dell'alfabeto ebraico (in italiano la a sarebbe sostituita dalla z, la b dalla v, la c dalla u, eccetera). In tal modo la prima lettera dell'alfabeto ebraico (alef) viene cifrata con l'ultima (tau), la seconda (bet) dalla penultima (shin), e così via; da queste quattro lettere deriva appunto il nome di atbash. Ricordando che le vocali non venivano scritte, Leb Kemai diventa Kasdim, cioè Caldea, e quindi Babilonia! Babilonia e Nabucodonosor sono dunque davvero il cuore malvagio di tutti i nemici del Dio d'Israele.
Un'ultima annotazione prima di proseguire. Il penultimo dei Re dei Giuda viene deportato « insieme con una parte degli arredi del tempio di Dio », che vengono depositati « nel tesoro del tempio del suo dio ». Fate bene attenzione a questi arredi, poiché non vengono citati a caso. Essi diverranno protagonisti del capitolo 5 del nostro Libro.
La
pietra angolare del Cielo e della Terra
Il Re Nabucodonosor, del quale abbiamo
parlato a lungo nel paragrafo precedente, dotò il suo impero di una capitale magnifica. Come appare dagli scavi,
Babilonia raggiunse allora un perimetro di 18 chilometri e un diametro di
6 chilometri; il palazzo reale da lui costruito aveva una lunghezza di 500 metri e una larghezza di
400, e la sola sala del trono misurava 52 per 17 metri. Il sovrano fece
restaurare l'Etemenanki ("pietra angolare del cielo e della terra"),
la grandiosa ziggurat della città, che gli Ebrei presero a modello per
costruire il racconto della Torre di Babele
(a Babilonia si udivano parlare tutte le lingue della Terra, come oggi al
Palazzo di Vetro dell'ONU) e a sud di essa fece costruire l'Esagila ("tempio
la cui sommità è spianata"), un grandioso tempio dedicato a Marduk, patrono di Babilonia.
Oggi non ne rimane pietra su pietra, ma lo storico greco Erodoto
ce ne ha lasciato una descrizione (Storie I, 181) risalente al 460 a.C., circa
di un secolo posteriore alla vicenda di Daniele. L'Etemenanki aveva una pianta di forma quadrata,
con un lato di 91,5 metri e un'altezza più o meno uguale, con sette gradoni con altezza
decrescente, tanto da far pensare effettivamente ad una scala che volesse
"toccare il cielo"; sulla sommità della torre si trovava il santuario del dio
Marduk. Secondo Erodoto vi era anche un rampa elicoidale per l'accesso, ma le testimonianze archeologiche mostrano che
più probabilmente la rampa era perpendicolare, come nella ziggurat di Ur. L'Esagila,
che costituiva praticamente il centro di Babilonia, era a sua volta ornato con una torre alta
90 metri. Secondo Erodoto, il re persiano Serse (del quale riparleremo
più avanti) saccheggiò l'Etemenanki e l'Esagila nel 482 a.C.,
ma Alessandro Magno, dopo essere entrato trionfalmente in Babilonia alla testa
delle sue truppe, ordinò la ricostruzione di entrambi. Essi caddero in rovina con l'abbandono graduale di Babilonia sotto l'impero dei Parti,
quando lo Zoroastrismo sostituì il paganesimo tradizionale, e furono riscoperti dal
tedesco Robert Johann Koldewey (1855-1925) solo nel 1900.
Mappa satellitare del sito dove sorgeva l'antica Babilonia
Grandiose furono anche le fortificazioni fatte erigere da Nabucodonosor a difesa della sua capitale. Chi vuole averne conferma si rechi al Pergamon Museum di Berlino, dove dal 1930 è possibile ammirare la ricostruzione della Porta di Ishtar, l'ottava porta della città interna di Babilonia sul lato nord della città, insieme ad una parte della Via Processionale che passava sotto di essa. Il tutto è stato ricostruito con i materiali recuperati dagli scavi di Koldewey, e ciò che è in mostra nel Pergamon Museum è solo la parte frontale di quella che era in realtà una doppia porta: l'ingresso posteriore, più ampio, è custodito nei magazzini del museo, mentre altre parti della porta, ed alcuni leoni della Via Processionale, si trovano in vari altri musei sparsi nel mondo. La struttura è decorata con mattonelle azzurre e con fregi dorati che rappresentano leoni, tori e draghi; essa è dedicata alla divinità babilonese Ishtar (nota per essere la dea principale degli Shemiti in "Conan il Barbaro", opera fantasy di Robert E. Howard), la dea dell'amore e della guerra, delle tempeste, dei sogni e dei presagi, che distribuiva agli uomini potere e conoscenza (deriva dall'omologa dea sumera Inanna). Dei draghi che decorano la Porta di Ishtar riparleremo a proposito del capitolo 14.
È in questa meravigliosa megalopoli che il giovane Daniele si trova catapultato, proveniente dalla natia e un po' provinciale Gerusalemme. Se però pensate che lo attenda un destino da schiavo, come sembra dal celeberrimo "Va' Pensiero" di Verdi, siete in errore. Ecco infatti come prosegue il nostro libro:
« Il re ordinò ad Asfenàz, capo dei suoi funzionari di corte, di condurgli giovani israeliti di stirpe reale o di famiglia nobile,
senza difetti, di bell'aspetto, dotati di ogni scienza, educati, intelligenti e tali da poter stare nella reggia, per essere istruiti nella scrittura e nella lingua dei Caldei.
Il re assegnò loro una razione giornaliera di vivande e di vino della sua tavola; dovevano esser educati per tre anni, al termine dei quali sarebbero entrati al servizio del re.
Fra di loro vi erano alcuni Giudei: Daniele, Anania, Misaele e Azaria; però il capo dei funzionari di corte chiamò Daniele Baltazzàr; Anania Sadràch; Misaele Mesàch e Azaria
Abdènego. » (Daniele 1, 3-7)
Qui Nabucodonosor dimostra di non essere solo un bieco vandalo e distruttore di città e templi altrui, ma di possedere anche un fine intuito politico. Egli infatti ospita nella propria reggia dei giovani di particolare bellezza ed intelligenza, scelti tra tutti i popoli soggetti, per farli educare accuratamente agli impieghi di corte e di governo, e formare così una classe di funzionari che saprà ben amministrare il suo immenso impero; anche se il tirocinio triennale riflette più un'abitudine persiana che una babilonese. La "scrittura" che i giovani devono imparare è quella cuneiforme, e la "lingua" è l'aramaico, lingua ufficiale dello stato neobabilonese, che tutto il popolo d'Israele adotterà dopo il ritorno dall'esilio (lo stesso Gesù si esprimerà in questa lingua). Il maggiordomo reale Asfenaz ("Io renderò potente il mio unto", cioè il mio consacrato) non è meglio conosciuto al di fuori del testo di Daniele, e il suo nome potrebbe essere simbolico. Tra coloro che egli sceglie vi sono infatti quattro figure di spicco del libro che stiamo esaminando, dei quali ci sono forniti prima i nomi originali in ebraico, e poi i nuovi nomi imposti loro alla corte babilonese. In tutta la Bibbia, cambiare il nome a una persona o a una cosa equivale a rivendicarne la proprietà e mutarne il destino: Adamo impone un nome a tutti gli esseri viventi perchè Dio li affida all'uomo in custodia, e tutti i principali personaggi biblici si vedono cambiare o imporre il nome, a partire da Abramo e Sara.
Daniele, come abbiamo già detto nell'Introduzione, significa "Dio è il mio giudice", ma egli riceve il nuovo nome di Baltazzàr, cioè "Proteggi la sua vita". Come si vede, scompare il riferimento al Dio degli Ebrei (tutti i nomi terminanti in "-ele" fanno riferimento a "Elohim", "il Signore"), sostituito dall'invocazione fatta ad un nume pagano non menzionato perchè forse espunto dall'autore o da un copista. Anania, nome molto diffuso in Israele, significa "YHWH ha avuto misericordia", mentre Sadràch può significare "Servo del dio Akki" (Akki era il mitologico giardiniere degli déi): anche stavolta viene eliminato il termine divino "-ia", così diffuso in Israele perchè riferito al tetragramma YHWH, sostituito dal nome di una divinità pagana. Misaele significa "Chi è ciò che Dio è?", mentre Mesàch ne è quasi la traduzione mesopotamica riferita però ad un nume pagano: "Chi è come il dio Akki?" Infine, Azaria vuol dire "YHWH aiuta" (nell'Antico Testamento sono presenti ben 32 personaggi con questo nome!), mentre il suo nuovo nome Abdènego è piuttosto oscuro. I più pensano che possa essere una corruzione di Abdènebo, cioè "Servo del dio Nabu", dove Nabu è il dio della saggezza e della scrittura, figlio di Marduk e di Sarpanītum, la stessa divinità presente nei nomi del re Nabucodonosor e di suo padre Nabupolassar. Altri invece fanno riferimento a Abed-nergo, una variante di Abed-nergal, "Servo del dio Nergal", dove Nergal (detto "il signore della grande città") è figlio di Enlil e marito di Ereshkigal, la regina degli inferi; ma questa spiegazione mi sembra meno probabile.
Obiettori
di coscienza
I quattro suddetti giovani però, oltre ad
essere intelligenti e di bell'aspetto, sono anche ebrei osservanti,
e la Legge vieta loro alcuni cibi, ritenuti impuri; ma soprattutto
proibisce il consumo delle carni immolate agli idoli, come possono essere i cibi provenienti dalla mensa regia.
L'osservanza scrupolosa delle leggi di purità rituale
è un messaggio riferito in particolare ai lettori contemporanei all'Autore del
libro, cioè dell'epoca dei Maccabei, nella quale gli occupanti Siriani
impongono loro di cibarsi di carni impure, come riferisce il seguente brano:
« Fu emanato un decreto diretto alle vicine città ellenistiche, per iniziativa dei cittadini di Tolemàide, perché anch'esse seguissero le stesse disposizioni contro i Giudei, li costringessero a mangiare le carni dei sacrifici e mettessero a morte quanti non accettavano di partecipare alle usanze greche » (2 Maccabei 6, 8-9)
Ecco allora come si comportano Daniele e i suoi tre amici timorati di Dio:
« Ma Daniele decise in cuor suo di non contaminarsi con le vivande del re e con il vino dei suoi banchetti e chiese al capo dei funzionari di non farlo
contaminare. Dio fece sì che Daniele incontrasse la benevolenza e la simpatia del capo dei funzionari.
Però egli disse a Daniele: "Io temo che il re mio signore, che ha stabilito quello che dovete mangiare e bere, trovi le vostre facce più magre di quelle degli altri giovani della vostra età e io così mi renda colpevole davanti al re."
Ma Daniele disse al custode, al quale il capo dei funzionari aveva affidato Daniele, Anania, Misaele e Azaria:
"Mettici alla prova per dieci giorni, dandoci da mangiare legumi e da bere acqua, poi si confrontino, alla tua presenza, le nostre facce con quelle dei giovani che mangiano le vivande del re; quindi deciderai di fare con noi tuoi servi come avrai constatato."
Egli acconsentì e fece la prova per dieci giorni; terminati questi, si vide che le loro facce erano più belle e più floride di quelle di tutti gli altri giovani che mangiavano le vivande del re.
Da allora in poi il sovrintendente fece togliere l'assegnazione delle vivande e del vino e diede loro soltanto legumi.
» (Daniele 1, 8-16)
Forti delle buone disposizioni di Asfenaz, i quattro giovani presentano una singolare proposta a un suo subalterno. Ed ecco il primo di una lunga serie di prodigi del libro: il Signore non abbandona i suoi protetti, e rende ugualmente florido il loro aspetto, in modo da non tradire l'assistenza che si impongono per via della loro "obiezione di coscienza" ante litteram. Il messaggio ancora una volta è diretto ai lettori dell'era siro-ellenistica: essi non devono temere di mettere in pratica la loro fede, nonostante le proibizioni degli occupanti, poiché ci penserà il Signore Dio a far sì che essi non abbiano a subire ritorsioni!
Ma non basta: Iddio ricompensa i quattro giovani per la loro fedeltà alla Legge anche attraverso il dono della sapienza, che si estrinseca in particolare in una virtù profetica tipica di molti personaggi di spicco della Bibbia: la capacità di interpretare i sogni.
« Dio concesse a questi quattro giovani di conoscere e comprendere ogni scrittura e ogni sapienza e rese Daniele interprete di visioni e di sogni.
Terminato il tempo stabilito dal re entro il quale i giovani dovevano essergli presentati, il capo dei funzionari li portò a Nabucodònosor. Il re parlò con loro, ma fra tutti non si trovò nessuno pari a Daniele, Anania, Misaele e Azaria, i quali rimasero al servizio del re; in qualunque affare di sapienza e intelligenza su cui il re li interrogasse, li trovò dieci volte superiori a tutti i maghi e astrologi che c'erano in tutto il suo regno.
Così Daniele vi rimase fino al primo anno del re Ciro. » (Daniele 1, 17-21)
Il primo capitolo del libro si chiude dunque con l'immagine gloriosa dei quattro giovani che per le loro virtù in ogni ramo dello scibile stupiscono lo stesso Nabucodonosor. Daniele, Anania, Misaele e Azaria appaiono dieci volte superiori agli indovini e ai maghi di tutto il suo regno, un'espressione caratteristica del linguaggio biblico, che indica totalità e pienezza; le "dieci volte" significano sostanzialmente che questa superiore sapienza viene dal Signore in persona, e non dalle loro capacità umane. Il versetto 17 dimostra anche la perfetta costruzione letteraria del Libro di Daniele, poiché il dono celeste dell'oniromanzia sarà fondamentale nel capitolo immediatamente seguente. Sullo sfondo intravediamo la storia di Giuseppe, il leggendario interprete dei sogni del Faraone (vedi Gen 37-40).
Il « primo anno di Ciro » è il 538 a.C., cioè sessant'anni dopo la deportazione di Ioiakim: una conferma del fatto che l'inquadramento storico del libro, all'apparenza così preciso, è in realtà totalmente fittizio, e questo ci autorizza a cercare, sotto di esso, il nucleo essenziale dell'insegnamento del nostro Libro: Iddio è fedele e non abbandona mai i Suoi devoti, neppure nelle situazioni più difficili e al limite delle possibilità umane.
Nabucodonosor interpretato dall'attore Klaus Maria Brandauer nel film "Geremia" della Lux Vide |
Il
sogno dimenticato
Il testo del nostro libro, come abbiamo
detto nell'Introduzione, a partire da 2, 4b e fino a
7, 28 passa dalla lingua
ebraica all'aramaico, per ragioni che ancor oggi ci sfuggono (secondo alcuni
ciò sarebbe dovuto alla struttura chiastica
del libro, ma non tutti sono d'accordo). Si tratta della
porzione più propriamente narrativa, se si fa eccezione per l'Appendice in
lingua greca, e presenta una serie di vicende rese celeberrime nei secoli da
artisti e poeti. La prima è quella che riguarda l'incubo di
Nabucodonosor. Apparentemente,
questo racconto è storicamente ben determinato:
« Nel secondo anno del suo regno, Nabucodònosor fece un sogno e il suo animo ne fu tanto agitato da non poter più dormire » (Daniele 2, 1)
Tuttavia « il secondo anno di regno » del potente sovrano è il 604 a.C., coerentemente con la data della deportazione di Daniele riportata in 1, 1 (il 607 a.C., lo abbiamo visto sopra), ma non certo con le datazioni riportate dall'assai più attendibile Secondo Libro dei Re. Ad ogni modo, Nabucodonosor reagisce convocando tutti gli esperti di oniromanzia, i quali vengono chiamati "caldei" perchè gli abitanti della Caldea erano talmente versati nell'arte divinatoria, che il loro nome era diventato sinonimo di "astrologo" ed "indovino" per antonomasia (anche i Magi nel Vangelo di Matteo sono descritti come sapienti venuti dall'oriente, cioè da Babilonia). Il dibattito che ne segue è però surreale, e per certi versi kafkiano:
« Allora il re ordinò che fossero chiamati i maghi, gli astrologi, gli incantatori e i caldei a spiegargli i sogni. Questi vennero e si presentarono al re.
Egli disse loro: "Ho fatto un sogno e il mio animo si è tormentato per trovarne la spiegazione."
I caldei risposero al re (da qui in poi inizia il testo in aramaico):
"Re, vivi per sempre. Racconta il sogno ai tuoi servi e noi te ne daremo la spiegazione."
Rispose il re ai caldei: «Questa è la mia decisione: se voi non mi rivelate il sogno e la sua spiegazione sarete fatti a pezzi e le vostre case saranno ridotte in letamai.
Se invece mi rivelerete il sogno e me ne darete la spiegazione, riceverete da me doni, regali e grandi onori.
Ditemi dunque il sogno e la sua spiegazione."
Essi replicarono: "Esponga il re il sogno ai suoi servi e noi ne daremo la spiegazione."
Rispose il re: "Comprendo bene che voi volete guadagnar tempo, perché avete inteso la mia decisione. Se non mi dite qual era il mio sogno, una sola sarà la vostra sorte. Vi siete messi d'accordo per darmi risposte astute e false in attesa che le circostanze si mutino. Perciò ditemi il sogno e io saprò che voi siete in grado di darmene anche la spiegazione."
I caldei risposero davanti al re: "Non c'è nessuno al mondo che possa soddisfare la richiesta del re: difatti nessun re, per quanto potente e grande, ha mai domandato una cosa simile ad un mago, indovino o
caldeo. La richiesta del re è tanto difficile, che nessuno ne può dare al re la risposta, se non gli dèi la cui dimora è lontano dagli uomini."
» (Daniele 2, 2-11)
Sembra che il sovrano pretenda che siano i mille e mille maghi ed indovini che infestano Babilonia ad indovinare quale sogno egli ha avuto, e poi glielo interpretino. In realtà la situazione è ben nota alla moderna psicanalisi. Appena destatosi, l'imperatore ricorda ancora frammenti dell'incubo che tanta impressione ha suscitato in lui durante la notte; quando però gli indovini "caldei" giungono, egli se ne è dimenticato completamente. Quando infatti ci svegliamo, il ricordo così vivido del nostro sogno molto spesso si dissolve, anche se non di colpo. In genere ci sembra di ricordarlo solo in parte, e sentiamo che il suo sviluppo era molto più complesso. Il ricordo di un sogno, ancora vivido al mattino, nel corso della giornata si riduce a piccoli frammenti; può capitare anche che un sogno di cui non si ha nessun ricordo al mattino, ricompaia in un momento qualunque durante la giornata. Però la ricostruzione dei sogni non è sempre attendibile, in quanto spesso, quando richiamiamo alla memoria un sogno, colmiamo e integriamo le sue lacune, dato che i sogni non sono quasi mai così coerenti come noi li rammentiamo. A volte addirittura ci sembra di non aver sognato affatto, anche se durante la fase REM del sonno (Rapid Eye Movement, "rapido movimento degli occhi", perchè caratterizzata da questo fenomeno fisiologico) in realtà si sogna sempre. Al contrario, può accadere che alcuni sogni persistano nella memoria con straordinaria durevolezza anche nel corso degli anni; lo stesso autore di questo ipertesto rammenta molto bene alcuni sogni che ha fatto da bambino!
Il perchè di questa disparità tra i ricordi dei nostri sogni è tuttora oggetto di dibattito tra gli studiosi. La spiegazione più semplice è quella secondo cui anche durante la giornata rammentiamo particolari che i più riterrebbero insignificanti, e dimentichiamo invece questioni ben più importanti, perché il grado di stimolazione psichica da esse suscitato è troppo basso. Lo stesso accadrebbe con le immagini oniriche: ricordiamo solo quelle più intense. Secondo altri, la spiegazione risiede nel fatto che la maggior parte delle immagini oniriche sono esperienze ripetute un'unica volta (altrimenti si parla di "sogni ricorrenti"), e noi sappiamo che si tende a dimenticare più facilmente ciò che è avvenuto una sola volta e a ricordare meglio le percezioni ripetute. Una terza scuola di pensiero afferma che, affinché sensazioni, rappresentazioni, pensieri e simili arrivino ad essere ricordati, è necessario che non restino isolati, ma che formino tra loro legami ed associazioni di tipo logico, mentre ciò che è contraddittorio è ricordato raramente e con difficoltà; e spesso al sogno mancano sia coerenza sia ordine. Infine c'è la spiegazione di Sigmund Freud: dopo il risveglio, il mondo sensoriale che preme da tutti i lati cattura l'attenzione, tanto che pochissime immagini oniriche sono in grado di resistere alla sua potenza. Freud esprime questo concetto con un paragone: « le immagini oniriche si ritraggono alle impressioni del giorno come il riflesso delle stelle alla luce del sole ». Insomma, la maggior parte degli uomini nutre uno scarso interesse per i sogni, e al risveglio è troppo impegnato con i propri affari per ricordare cosa ha sognato di notte. Forse nessuna di queste è la spiegazione vera, o forse sono vere tutte contemporaneamente.
Dunque, nel capitolo 2 Nabucodonosor non pretende che i "caldei" risolvano un indovinello assolutamente inestricabile, condannandoli a morte se non ce la faranno. Egli ha effettivamente avuto un incubo che pensa possa contenere dei messaggi delle sue divinità, ma la rimozione del sogno da parte del suo io cosciente gli ha reso impossibile ricostruire ed estrarre tali messaggi, e dunque la sua richiesta consiste proprio nel far riemergere alla sua coscienza il contenuto dimenticato dell'incubo. Chi meglio di un indovino, può "indovinare" il messaggio rimosso insieme all'incubo? La risposta dei "caldei" non può che fare infuriare il re. Bisogna partire dal presupposto che essi avevano fama di poter interpretare ogni messaggio celeste, ed invece si dicono impotenti proprio quando Nabucodonosor ha più bisogno di loro. Il tutto fa venire in mente una celebre boutade. Qualcuno bussa alla porta dell'indovino: "Toc toc." "Chi è?" "Cominciamo bene..." In questo caso, però, il sovrano non ride affatto:
« Allora il re, acceso di furore, ordinò che tutti i saggi di Babilonia fossero messi a morte. Il decreto fu pubblicato e già i saggi venivano uccisi; anche Daniele e i suoi compagni erano ricercati per essere messi a morte. » (Daniele 2, 12-13)
Questa vera e propria "caccia all'astrologo" ricorda da vicino la guerra decretata contro gli scienziati terrestri dai celebri "Visitors" della serie TV anni '70. Purtroppo anche Daniele e i suoi tre amici finiscono su un manifesto con su scritto "Wanted, Dead or Alive", poiché se ricordate nel capitolo precedente essi avevano manifestato il potere di interpretare i sogni. Daniele però ha un asso nella manica: se i "caldei" affermavano di ricevere i loro "poteri" dagli déi pagani, egli ha invece l'appoggio di YHWH.
« Ma Daniele rivolse parole piene di saggezza e di prudenza ad Arioch, capo delle guardie del re, che stava per uccidere i saggi di Babilonia,
e disse ad Ariòch, ufficiale del re: "Perché il re ha emanato un decreto così severo?" Arioch ne spiegò il motivo a Daniele.
Egli allora entrò dal re e pregò che gli si concedesse tempo: egli avrebbe dato la spiegazione dei sogni al re.
Poi Daniele andò a casa e narrò la cosa ai suoi compagni, Anania, Misaele e Azaria, ed essi implorarono misericordia dal Dio del
Cielo riguardo a questo mistero, perché Daniele e i suoi compagni non fossero messi a morte insieme con tutti gli altri saggi di
Babilonia. » (Daniele 2, 15-18)
Di Arioch, come della maggior parte dei personaggi secondari del Libro di Daniele, non abbiamo notizie al di fuori di quanto ci dice l'Autore Sacro. In ebraico tale nome può essere interpretato come "leone feroce", e nell'Antico Testamento è già comparso un personaggio omonimo. Nel capitolo 14 della Genesi, infatti, una confederazione di quattro Re d'Oriente assalta i re di Sodoma e Gomorra, e fra di essi vi è « Arioch, re di Ellasar ». Tradizionalmente Ellasar viene identificata con l'antichissima città sumerica di Larsa, e questo Arioch viene identificato con Eriaku, il re elamita che dominava la città di Larsa (noto anche come Rim-Sin) all'epoca in cui Hammurabi regnava su Babilonia. C'è però anche chi ha voluto vedere in lui il re hurrita Ariukki. Una terza ipotesi propone di identificare Arioch con Ario, un nipote di Semiramide nella leggenda di questa regina assira tramandata dalle fonti classiche. In seguito Arioch divenne il nome di un demone, e come tale lo ritroviamo anche nel "Paradiso Perduto" di John Milton e in alcune saghe fantasy contemporanee. Che relazione vi sia tra quell'Arioch e quello cui Nabucodonosor ordina di mettere a morte tutti i sapienti di Babilonia, non lo sappiamo, ma nella letteratura giudaica posteriore il suo diventa un nome fittizio per un personaggio orientale importante. Solo una figura di fantasia, dunque? Una cosa è certa: "capo delle guardie del re" è esattamente il titolo che nel Secondo Libro dei Re e nel Libro di Geremia ha Nabuzaradan, colui che materialmente ha distrutto il Tempio di Salomone:
« Il settimo giorno del quinto mese (era il diciannovesimo anno di Nabucodonosor, re di Babilonia) Nabuzaradan, capitano della guardia del corpo, funzionario del re di Babilonia, giunse a Gerusalemme, bruciò il Tempio del Signore e il palazzo del re, e diede alle fiamme tutte le case di Gerusalemme, tutte le case dei grandi personaggi. » (2Re 25, 8-9)
Nabuzaradan ("il dio Nabu mi ha dato una prole") è un personaggio storico, perchè citato anche da fonti extrabibliche, e dunque l'Arioch nominato nel libro di Daniele è proprio lui. Evidentemente l'autore del nostro libro non era in grado di ricordarne l'esatto nome, e così gliene diede uno di fantasia.
La ricostruzione della Porta di Ishtar al Pergamon Museum di Berlino (da questo sito)
"Dio del Cielo, se mi
vorrai..."
Daniele si serve di questo personaggio per
farsi introdurre a corte e scoprire il motive del furore sanguinario del re,
quindi ottiene da quest'ultimo una breve dilazione ed inizia una "catena di
preghiera" con i suoi tre inseparabili amici. Da notare che essi rivolgono
le loro preghiere al « Dio del Cielo ». Non
sembra una precisazione importante, ma occorre dire che questo appellativo di
YHWH, che ricorda il celebre "Spiritual"
di Fabrizio de Andrè (« Dio del
Cielo, se mi vorrai / in mezzo agli altri uomini mi cercherai... »)
compare soprattutto nei testi scritti dopo l'Esilio. Lo usa ad esempio Giona; la
predicazione di questo profeta è rivolta a Ninive, e dunque appare anteriore
alla distruzione del Tempio (Ninive fu distrutta 25 anni prima della rovina di
Gerusalemme), ma in realtà la redazione del libro è molto tarda, e Ninive
appare piuttosto come nome tipo di una città di increduli.
« Egli rispose: "Sono Ebreo e venero il Signore Dio del Cielo, il quale ha fatto il mare e la terra." » (Giona 1, 9)
Dopo l'epoca dei Maccabei, tale designazione cadde in disuso per un motivo preciso: era usata infatti dai pagani. Zeus aveva l'epiteto di "Signore del Cielo", e dunque gli Ebrei volevano evitare confusioni. Ad ogni modo, le preghiere dei quattro giovani sono ascoltate:
« Allora il mistero fu svelato a Daniele in una visione notturna; perciò Daniele benedisse il Dio del Cielo » (Daniele 2, 19)
Ecco un'altra parola sulla quale conviene soffermarsi: mistero (in ebraico "raz"). Tale termine in realtà è di origine persiana, e dunque non poteva essere usato da Daniele quando l'Impero Persiano era ancora di là da venire: ulteriore prova del fatto che la redazione finale del libro di cui ci stiamo occupando è tarda. In origine esso indicava un decreto del re alla sua corte, destinato perciò a restare segreto al popolo. Applicato a Dio, esso si riferisce dunque al Piano che Egli ha sulla storia umana, i cui particolari possono essere affidati solo ad uomini particolarmente fidati, come sono per l'appunto i Profeti. In questo senso, tale termine è frequente nei testi di Qumran, dove è utilizzato per designare le decisioni di Dio relative agli ultimi tempi. Lo stesso significato della parola "mistero" lo troviamo nelle Lettere di San Paolo:
« Di essa [della Chiesa] sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio presso di voi di realizzare la sua parola, cioè il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi, ai quali Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo ai pagani, cioè Cristo in voi, speranza della gloria. » (Colossesi 1, 25-27)
La prima visione notturna
Tornando a Daniele, considerando che il sogno di Nabucodonosor riguarda la
storia per lui futura, è evidente che YHWH ha aperto uno squarcio nel muro
della materia, per permettere al nostro eroe di interpretarne il significato.
Da notare che questa è la prima delle « visioni
notturne » di Daniele: una caratteristica del suo messaggio che
ritroveremo più innanzi. Subito il giovane Ebreo leva a YHWH una solenne
preghiera, che celebra proprio il Signore come unico arbitro delle vicende
terrene:
« Sia benedetto il nome di Dio di secolo in
secolo, perché a lui appartengono la sapienza e la potenza.
Egli alterna tempi e stagioni, depone i re e li innalza, concede la sapienza ai saggi,
agli intelligenti il sapere.
Svela cose profonde e occulte, sa quel che è celato nelle tenebre e presso di
Lui è la luce.
Gloria e lode a Te, Dio dei miei padri, che mi hai concesso la sapienza e la forza,
mi hai manifestato ciò che Ti abbiamo domandato e ci hai illustrato la richiesta del re!
» (Daniele 2, 20-23)
Quel « depone i re e li innalza » ci evoca un celebre versetto del Magnificat:
« Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili » (Luca 1, 52)
Tutti i Vangeli, del resto, sono intessuti di riferimenti al Libro di Daniele. Come si vede dal testo, l'unica fonte della vera Sapienza è Dio, e solo da lui può venire la forza per sciogliere l'enigma rappresentato dal sogno dimenticato. Da notare che questo diverrà il tema portante di un altro libro veterotestamentario molto tardo, quello della Sapienza:
« Chi ha conosciuto il Tuo pensiero, se Tu non gli hai concesso la Sapienza e non gli hai inviato il Tuo Santo Spirito dall'alto? » (Sapienza 9, 17)
Ed ecco finalmente Daniele davanti al sovrano più potente del mondo, solo con le armi della fiducia in Dio e della Sapienza concessagli da Lui:
« Allora Daniele si recò da Ariòch, al quale il re aveva affidato l'incarico di uccidere i saggi di Babilonia, e presentatosi gli disse:
"Non uccidere i saggi di Babilonia, ma conducimi dal re e io gli farò conoscere la spiegazione del sogno."
Ariòch condusse in fretta Daniele alla presenza del re e gli disse: "Ho trovato un uomo fra i Giudei deportati, il quale farà conoscere al re la spiegazione del sogno."
Il re disse allora a Daniele, chiamato Baltazzàr: "Puoi tu davvero rivelarmi il sogno che ho fatto e darmene la spiegazione?"
» (Daniele 2, 24-26)
Dante Alighieri immancabilmente rievoca questo episodio biblico nel suo Paradiso:
« Fé sì Beatrice qual fé Danïello,
Nabuccodonosor levando d'ira,
che l'avea fatto ingiustamente fello. » (Paradiso IV, 13-15)
Beatrice svela i dubbi di Dante così come fece Daniele calmando l'ira di Nabucodonosor, che lo aveva reso ingiustamente sanguinario. A dir la verità, apparentemente il giovane sembra menare il can per l'aia:
« Daniele, davanti al re, rispose:
"Il mistero di cui il re chiede la spiegazione non può essere spiegato né da saggi, né da astrologi, né da maghi, né da indovini;
ma c'è un Dio nel Cielo che svela i misteri, ed Egli ha rivelato al re Nabucodonosor quel che avverrà al finire dei giorni. Ecco dunque qual era il tuo sogno e le visioni che sono passate per la tua mente, mentre dormivi nel tuo letto.
O re, i pensieri che ti sono venuti mentre eri a letto riguardano il futuro; colui che svela i misteri ha voluto svelarti ciò che dovrà avvenire. Se a me è stato svelato questo mistero, non è perché io possieda una sapienza superiore a tutti i viventi, ma perché ne sia data la spiegazione al re e tu possa conoscere i pensieri del tuo cuore."
» (Daniele 2, 27-30)
In realtà queste precisazioni, apparentemente oziose per un pagano come Nabucodonosor, non sono rivolte al re, bensì al lettore dell'epoca maccabaica. Proprio a quest'ultimo si rivolge l'autore, iniziando con una vera e propria professione di fede nel "Dio che svela i misteri", cioè i reconditi segreti della Sua volontà. Per chi viveva in prima persona la persecuzione di Antioco IV Epifane, appariva misterioso il comportamento di Dio, che permetteva all'empio re di proseguire impunemente con i propri misfatti. Qui c'è la risposta fornita dall'autore del libro attraverso la bocca di Daniele: nessuno sulla Terra può interpretare il Suo imperscrutabile disegno, ma Egli stesso fornirà le risposte, facendo apparire provvidenziale persino l'opera fosca del re pagano. L'autore stesso afferma di non possedere particolari virtù o meriti che lo facciano degno di essere il portavoce dell'Ineffabile, ma egli ha messo mano alla redazione proprio perché gli Israeliti comprendano Chi è l'unico vero artefice delle fortune e delle miserie umane.
Il Sogno di Nabucodonosor in un manoscritto francese del XIV secolo |
Puntualizzato questo, Daniele passa alla ricostruzione dell'incubo che ha turbato i sogni di Nabucodonosor e ha rischiato di far perdere la testa a tutti i Magi di Babilonia. Ci troviamo di fronte ad una delle rappresentazioni più icastiche e più potenti dell'intero Vecchio Testamento, che ruota intorno ad una statua colossale e splendida, il cui aspetto genera nell'animo lo spavento tipico del lillipuziano di fronte al gigante, lo stesso che proviamo guardando dal di sotto il Cristo Redentore del monte Corcovado o i più alti grattacieli di New York e di Shanghai:
« Tu stavi osservando, o re, ed ecco una statua, una statua enorme, di straordinario splendore, si ergeva davanti a te con terribile aspetto.
Aveva la testa d'oro puro, il petto e le braccia d'argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro e i piedi in parte di ferro e in parte di creta.
Mentre stavi guardando, una pietra si staccò dal monte, ma non per mano di uomo, e andò a battere contro i piedi della statua, che erano di ferro e di argilla, e li frantumò. Allora si frantumarono anche il ferro, l'argilla, il bronzo, l'argento e l'oro e divennero come la pula sulle aie d'estate; il vento li portò via senza lasciar traccia, mentre la pietra, che aveva colpito la statua, divenne una grande montagna che riempì tutta quella
regione. » (Daniele 2, 31-35)
La caratteristica unica di questa specie di Colosso di Rodi è la successione di quei metalli dall'alto in basso: oro, argento, bronzo, ferro, con l'aggiunta di quei misteriosi piedi realizzati con un'impossibile "lega" di ferro e creta. L'immagine ha avuto un tale effetto sull'immaginario collettivo, da essere stata ripresa anche da Dante Alighieri nella Divina Commedia, per tratteggiare il Veglio di Creta il cui pianto genera i fiumi infernali:
« La sua testa è di fin oro formata,
e puro argento son le braccia e 'l petto,
poi è di rame infino a la forcata;
da indi in giuso è tutto ferro eletto,
salvo che 'l destro piede è terra cotta;
e sta 'n su quel più che 'n su l'altro, eretto. » (Inferno XIV, 103-111)
A completare il quadro, ecco un macigno che si stacca dalla montagna... quale montagna? Non ci sono montagne, intorno a Babilonia! Ma l'autore, che a Babilonia non è mai stato, pensa piuttosto ai monti della Giudea. Il masso piomba sui piedi del simulacro e, mistero dopo mistero, manda in mille pezzi l'intero colosso, come se esso fosse fragile come cristallo di Murano, per poi diventare a sua volta una montagna immensa. Lo stesso Daniele però provvede subito alla spiegazione:
« Questo è il sogno: ora ne daremo la spiegazione al re. Tu o re, sei il re dei re; a te il Dio del Cielo ha concesso il regno, la potenza, la forza e la gloria. A te ha concesso il dominio sui figli dell'uomo, sugli animali selvatici, sugli uccelli del cielo; tu li domini tutti: tu sei la testa d'oro. Dopo di te sorgerà un altro regno, inferiore al tuo; poi un terzo regno, quello di bronzo, che dominerà su tutta la Terra. Vi sarà poi un quarto regno, duro come il ferro. Come il ferro spezza e frantuma tutto, così quel regno spezzerà e frantumerà tutto. Come hai visto, i piedi e le dita erano in parte di argilla da vasaio e in parte di ferro: ciò significa che il regno sarà diviso, ma avrà la durezza del ferro unito all'argilla. Se le dita dei piedi erano in parte di ferro e in parte di argilla, ciò significa che una parte del regno sarà forte e l'altra fragile. Il fatto d'aver visto il ferro mescolato all'argilla significa che le due parti si uniranno per via di matrimoni, ma non potranno diventare una cosa sola, come il ferro non si amalgama con l'argilla. » (Daniele 2, 36-43)
I quattro metalli rappresentano dunque quattro imperi, dei quali solo il primo è nominato esplicitamente. Così come dall'oro si passa all'argento, più vile, e questo al bronzo, ancora di minor valore, fino al ferro, l'autore del Libro di Daniele vuole darci l'immagine di una progressiva degradazione. La testa d'oro rappresenta proprio quello neobabilonese di Nabucodonosor, che è descritto come un sovrano universale il quale non ha uguali sulla Terra. Da notare che questa potenza è stata concessa a lui non dalla forza dei suoi eserciti, ma dal "Dio del Cielo" di de Andrè, termine che conferma quanto abbiamo detto sopra, circa il fatto che tale titolo era usato dagli Ebrei rivolgendosi ai pagani.
I
quattro imperi
Anche il regno di Nabucodonosor è però
mortale, come tutte le cose umane. Dopo di esso verrà un altro impero inferiore
al suo, e in seguito un altro ancora che « dominerà su tutta la
Terra ». Dato che l'autore sacro resta abbottonato, l'identificazione di
questi regni è sempre stata molto discussa. Alla luce delle moderne conoscenze
archeologiche e storiografiche, noi sappiamo che alla caduta dell'impero caldeo
nel 539 a.C. gli successe l'Impero Persiano di Ciro
il Grande; tale impero durò fino al 330 a.C., quando l'ultimo imperatore
della dinastia Achemenide, Dario III Codomano, fu
ucciso dopo essere stato sbaragliato da Alessandro Magno.
L'impero di quest'ultimo si estendeva dal Mar Ionio fino al fiume Indo, per cui
ad esso sembrano attagliarsi a perfezione le parole « dominerà su tutta la
Terra » (Alessandro è considerato il conquistatore per antonomasia).
Alessandro il Macedone però morì prematuramente nel 323 a.C., e il suo regno
divenne preda delle lotte dei suoi generali, i Diadochi,
che finirono per spartirselo. La fine dell'impero macedone è tradizionalmente
fissata al 301 a.C., quando Antigono Monoftalmo fu sconfitto e ucciso nella Battaglia
di Ipso dagli eserciti coalizzati degli altri Diadochi, e l'immenso
territorio conquistato da Alessandro si spezzò definitivamente in molti regni
fra loro indipendenti. In molti saggi e siti Internet troverete perciò
l'identificazione del petto d'argento con l'Impero Persiano, del ventre di
bronzo con l'Impero di Alessandro Magno, delle gambe di ferro con gli stati
ellenistici e dei piedi con la situazione politica confusa ai tempi della
redazione del testo.
Questa ricostruzione sembra non fare una grinza; invece, secondo me non è quella a cui pensava l'autore del libro di Daniele. Quest'ultimo infatti, come abbiamo già avuto modo di constatare fin dai primi versetti, ha una conoscenza piuttosto confusa ed approssimativa degli eventi molto lontani da lui nel tempo: confonde nomi e date, introduce sovrani sconosciuti agli storici, e conosce accuratamente solo gli eventi a lui contemporanei. È perciò alla luce di queste conoscenze in gran parte inattendibili, che dobbiamo cercare di comprendere cosa egli avesse in mente descrivendo la statua di Nabucodonosor. Come vedremo, alla fine del celebre capitolo 5 verrà detto che all'ultimo sovrano caldeo succederà un non meglio identificato "Dario il Medo", ignoto alla storia, mentre all'inizio del capitolo 10 si dirà « Nell'anno terzo di Ciro, re di Persia »; ed anche il deuterocanonico capitolo 14 farà entrare in scena questo sovrano dopo la morte di Astiage, che sappiamo essere stato l'ultimo Re dei Medi. Perciò, quando l'autore biblico descrisse il petto d'argento, secondo me pensava all'impero dei Medi, immaginato come successivo a quello babilonese, mentre in realtà i due regni convissero per settant'anni. Il ventre di bronzo è allora l'Impero Persiano di Ciro, il quale fu effettivamente il primo, nell'antichità, ad estendersi dal Mar Egeo fino ai confini dell'India (e quindi "su tutta la Terra" conosciuta o poco meno). La porzione di ferro è allora l'Impero Greco di Alessandro Magno e dei suoi successori, dei quali si fa di tutt'erba un fascio. Il ferro è uno dei più resistenti fra i metalli, e infatti si dice che « quel regno spezzerà e frantumerà tutto », proprio come Alessandro che ha conquistato ogni provincia dell'impero persiano. Ma in questa formidabile potenza si insinua un elemento di debolezza: la creta di cui in parte sono fatti i piedi. Si noti: i piedi non sono fatti uno di ferro e uno di terracotta, come nel racconto di Dante. Entrambi sono fatti sia di ferro che di creta, e proprio il fatto che i due materiali non possono dare vita ad un'unica lega, mina la stabilità dell'intera statua. L'autore insiste molto su questo punto, dedicando ben tre versetti (41-43) al tema dell'incompatibilità tra i due materiali.
La spiegazione della convivenza impossibile fra creta e ferro è fornita dallo stesso Daniele, anche se l'autore resta volutamente sul vago: tra le diverse parti dell'ex impero di Alessandro Magno si è tentata una riunificazione per via matrimoniale, che però non è andata a buon fine per via dell'incompatibilità fra i contraenti. Di solito si pensa che l'autore alluda al matrimonio tra Antioco II di Siria (265-226 a.C.) e Berenice d'Egitto, avvenuto nel 250 a.C., evento a cui si probabilmente alluderà anche in Daniele 11, 6. Alla fine della seconda guerra siriaca, combattuta tra le due maggiori potenze ellenistiche, la Siria seleucide e l'Egitto tolemaico, Antioco II firmò la pace con il suo omologo Tolomeo II Filadelfo (308-246 a.C.), e per sigillare il trattato ripudiò la moglie Laodice e sposò la figlia di Tolomeo, Berenice. Tuttavia, dopo la morte di Tolomeo, avvenuta nel 246 a.C., Antioco richiamò Laodice, che gli fece riconoscere come erede al trono il suo primogenito Seleuco II Callinico (265-226 a.C.), e convinse Antioco a far assassinare Berenice e il figlio avuto da lei. Altri però ritengono che quest'evento sia troppo lontano dall'epoca maccabaica per essere riportato con chiarezza nel libro di Daniele, e parlano invece del matrimonio tra Tolomeo V Epifane d'Egitto (210-180 a.C.) e Cleopatra I Tea (212-176 a.C.), figlia di Antioco III il Grande di Siria (242-187 a.C.), matrimonio celebrato nel 193 a.C., del quale parla nemmeno troppo nascostamente Daniele 11, 17. Questa seconda ipotesi è senz'altro da preferire, visto che Cleopatra I Tea era sorella di Antioco IV Epifane, cioè il nemico giurato dei Giudei che con le sue persecuzioni provocò la sollevazione dei Maccabei!
Il
Regno Eterno
Ma cosa simboleggia il masso che
Nabucodonosor ha visto crollare su questa prosapia di imperi? Ecco la risposta
fornitagli dallo stesso Daniele:
« Al tempo di questi re, il Dio del Cielo farà sorgere un regno che non sarà mai distrutto e non sarà trasmesso ad altro popolo: stritolerà e annienterà tutti gli altri regni, mentre esso durerà per sempre. Questo significa quella pietra che tu hai visto staccarsi dal monte, non per mano di uomo, e che ha stritolato il ferro, il bronzo, l'argilla, l'argento e l'oro. Il Dio grande ha rivelato al re quello che avverrà da questo tempo in poi. Il sogno è vero e degna di fede ne è la spiegazione. » (Daniele 2, 44-45)
Anche su questo macigno sono stati spesi fiumi di inchiostro, identificandolo con qualunque "unto del Signore" che si è presentato sulla scena della storia, incluso l'idolo politico o religioso del commentatore di turno. Ma, come avviene per molti versetti "oscuri", la spiegazione è semplicissima, e la fornisce l'autore stesso. Quest'ultimo pensa a « un regno che non sarà mai distrutto » e che « durerà per sempre ». Un regno eterno, insomma. Questo sarà il regno messianico annunciato dai profeti d'Israele, a partire da Natan nella celeberrima risposta di YHWH a Davide che pensa di edificargli un tempio:
« Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno. Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. Se farà il male, lo castigherò con verga d'uomo e con i colpi che danno i figli d'uomo, ma non ritirerò da lui il mio favore, come l'ho ritirato da Saul, che ho rimosso dal trono dinanzi a te. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre». (2 Samuele 7, 12-16)
Si tratta di un tema così importante nell'Antico Testamento, che ne tratta persino uno dei Salmi:
« Dio, da' al re il tuo giudizio,
al figlio del re la tua giustizia; [...]
il suo regno durerà quanto il sole,
quanto la luna, per tutti i secoli. [...]
Nei suoi giorni fiorirà la giustizia
e abbonderà la pace,
finché non si spenga la luna.
E dominerà da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra. [...]
Il suo nome duri in eterno,
davanti al sole persista il suo nome.
In lui saranno benedette
tutte le stirpi della terra,
e tutti i popoli lo diranno beato. » (Salmo 71, 1.5.7-8.17)
Evidente è lo scopo della profezia del Regno Eterno, inserita a questo punto del libro. Gli Ebrei del II secolo a.C. sapevano che quello di Antioco IV era solo l'ultimo di una lunga serie di imperi, uno più corrotto dell'altro, che si erano succeduti nella Mezzaluna Fertile. Tutti, in un modo o nell'altro, li avevano perseguitati. Gli Egiziani avevano tenuto in schiavitù i discendenti di Giacobbe per un periodo ritenuto di 400 anni. Gli Assiri avevano distrutto il Regno Settentrionale d'Israele. I Babilonesi avevano raso al suolo Gerusalemme e il Tempio. Come narra il Libro di Ester, il perfido Aman al servizio del re di Persia aveva cercato di far sterminare il Popolo Eletto in una tragica anticipazione della Shoah. Ora, i Greci tentavano di convertire a forza tutti gli Ebrei al paganesimo, sopprimendo chi si rifiutava, un po' come faranno gli alieni "Ori" del noto telefilm "Stargate SG1". L'autore del Libro di Daniele spiega ai suoi correligionari che, come sono caduti tutti gli imperi precedenti insieme alla loro arroganza, così farà anche il Regno Seleucide di Siria, e insieme ad esso tutti gli stati e le potenze che verranno dopo di esso. Ma il Regno Messianico instaurato da Dio, quello sì durerà per sempre e nessun maligno potrà abbatterlo. Ed ecco come lo descrive il Terzo Isaia:
« Io esulterò di Gerusalemme, godrò del mio popolo. Non si udranno più in essa voci di pianto, grida di angoscia. Non ci sarà più un bimbo che viva solo pochi giorni, né un vecchio che dei suoi giorni non giunga alla pienezza; poiché il più giovane morirà a cento anni e chi non raggiunge i cento anni sarà considerato maledetto. Fabbricheranno case e le abiteranno, pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto. Non fabbricheranno perché un altro vi abiti, né pianteranno perché un altro mangi, poiché quali i giorni dell'albero, tali i giorni del mio popolo. I miei eletti useranno a lungo quanto è prodotto dalle loro mani. Non faticheranno invano, né genereranno per una morte precoce, perché prole di benedetti dal Signore essi saranno e insieme con essi anche i loro germogli. Prima che mi invochino, io risponderò; mentre ancora stanno parlando, io già li avrò ascoltati. Il lupo e l'agnello pascoleranno insieme, il leone mangerà la paglia come un bue, ma il serpente mangerà la polvere, non faranno né male né danno in tutto il mio santo monte. Dice il Signore. » (Isaia 65, 19-25)
« Non fabbricheranno perché un altro vi abiti, né pianteranno perché un altro mangi »: è la descrizione di una condizione di schiavitù. La stessa in cui vivevano Daniele e i suoi compagni a Babilonia. La stessa cui soggiacevano i Giudei all'epoca di Antioco IV. La stessa degli Ebrei moderni nei campi di sterminio. La promessa del Signore è un'altra: la libertà, la vita, l'assenza dei pericoli rappresentati da malattie, eserciti stranieri, belve feroci. Ora sappiamo qual è il monte del sogno di Nabucodonosor: non un'inesistente montagna nei pressi di Babilonia, ma il "Monte del Signore" di cui parla il Salmo 23, dal quale verrà il Cristo:
« Chi salirà il monte del Signore,
chi starà nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non pronunzia menzogna,
chi non giura a danno del suo prossimo. » (Salmo 23, 3-4)
Ed ora sappiamo anche perché fu scritto il Libro di Daniele: per restituire la speranza agli Ebrei in tempo di dura persecuzione. E quindi anche a noi, che attendiamo la Seconda Venuta ed il compiersi delle promesse fatte da quel « Figlio dell'Uomo » che proprio da Daniele ha mutuato questo suo titolo. La Chiesa, come i Giudei trascinati a Babilonia, vive e vivrà sempre persecuzioni ed oltraggi. La promessa che un masso di incomparabile potenza si staccherà dal Monte di Dio e sgretolerà ogni potenza terrena ed ogni feroce persecutore sostiene tutti noi nel faticoso cammino attraverso la valle di lacrime, fino a che "non si udranno più voci di pianto né grida di angoscia".
Ecco cosa scrive in proposito don Benito Marconcini (1938-), autore di importanti studi sul Libro di Daniele:
« Il Regno di Dio, che succede non senza sconvolgimenti ai quattro regni umani, babilonese, medo, persiano e greco, costituisce di fatto la grande speranza e la straordinaria forza del credente, sia che viva libero in mezzo a gente politeista, sia che si trovi oppresso dalla persecuzione in casa sua. L'irrompere di Dio, come una pietra che dall'alto riduce in frantumi la statua costruita con vari metalli, è una realtà misteriosa e sicura, diretta con finalità diverse a oppressi e oppressi, capace di portare a compimento la storia, e di far regnare la libertà e la giustizia: è quanto dice, più volte e in modi differenti, il nome "Daniele", che significa appunto "Dio fa giustizia". »
Esegesi
fantasiose
Questa è la più semplice lettura del
sogno della statua. Eppure, una facile ricerca in Internet usando come parole
chiave "Sogno di Nabucodonosor" o, in
inglese, "Nebuchadnezzar's Dream",
rivelerà migliaia di siti (fra i 200.000 totali che Google mi ha restituito)
che forniscono spiegazioni fantasiose di questo celebre passo, con tanto di
illustrazioni degne di una galleria d'arte. La più semplice e gettonata è
questa: a Nabucodonosor (la testa d'oro) seguirebbe l'impero dei Medi e dei Persiani
(il petto d'argento),
quello greco di Alessandro Magno e dei Seleucidi (il ventre di bronzo), quello romano
(le gambe di ferro) e addirittura il Sacro Romano Impero,
simboleggiato dai piedi di ferro e creta perchè esso pretendeva di fondere il
potere temporale ("impero") con quello spirituale ("sacro").
Inutile dire che l'impero romano sarebbe incluso nelle profezie di Daniele
perchè Nabucodonosor avrebbe "previsto" la distruzione di Gerusalemme
da parte di Tito nel 70 d.C. (200 anni dopo la redazione del testo), mentre il
Sacro Romano Impero sarebbe espressione di quella Chiesa Cattolica che è
ritenuta il baricentro di ogni perversione e di ogni nequizia, dopo essersi
impossessata ed aver corrotto il vero messaggio di Cristo e dell'Antico
Testamento. C'è addirittura chi si spinge ad interpretare le dieci dita dei
piedi della statua come dieci nazioni sorte dalla
disintegrazione dell'Impero Romano (Spagna, Francia, Regno Unito, eccetera),
oppure dieci sovrani ritenuti corifei
dell'Anticristo (Costantino, Carlo Magno, eccetera, fino a Barack Obama), o
anche dieci Papi corrotti (Alessandro VI Borgia,
Leone X Medici che scomunicò Lutero, Pio V Ghislieri che diede impulso
all'Inquisizione, naturalmente fino a Giovanni XXIII che ebbe la
"colpa" di Convocare il Concilio Vaticano II!) In più di un sito ho
letto anzi che le "due gambe" della statua rappresenterebbero l'Impero
Romano d'Occidente e quello Romano d'Oriente,
mentre i piedi significherebbero addirittura l'Impero
Ottomano; secondo certi nazionalisti, i piedi profetizzano invece l'Unione
Europea e le sue attuali divisioni; e ci sono anche moderni esegeti
ebraici che arrivano a vedere nelle due gambe della statua la Chiesa Cattolica
(d'Occidente) e la Chiesa Ortodossa (d'Oriente), o addirittura
la Cristianità e l'Islam, e nelle dieci dita della statua gli odierni
leader cristiani e musulmani. Un anglicano suddito di Sua Maestà Britannica
propone di vedere nel masso non il futuro Messia ma... il Regno
Unito, che si oppose con tutte le forze alla Chiesa di Roma! E, siccome
non c'è limite alla fantasia umana, ho visto raffigurazioni
di fattura davvero pregevole che accostano alla testa d'oro un'immagine di
Nabucodonosor o di altro re babilonese, al petto d'argento una di qualche Re
dei Re persiano, al ventre di bronzo una di Alessandro Magno, alle gambe di
ferro una di qualche imperatore romano ed ai famigerati piedi... il Palazzo
di Vetro dell'ONU a New York! Difatti, secondo l'autore dell'inedito
accostamento, l'incompatibilità tra ferro e creta starebbe a rappresentare la
litigiosità dei paesi membri dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, pronte a
dividersi su tutto e a bloccare ogni decisione con veti incrociati! Il masso di
Daniele si trasforma in molti disegni (come mostra l'immagine accanto tratta da questo
link) addirittura in un meteorite: un implicito
riferimento alla moderna fantascienza? E il fatto che questo asteroide si
schianti sui piedi demolendo l'intera storia della prepotenza del potere umano,
è preso a simbolo del fatto che la Parusia è vicina, ed il castigamatti sta
per arrivare (come sappiamo, alcune sette si spingono a fissare date precise per
quest'evento, non ultimo il temuto 21 dicembre 2012, date poi rivelatesi
regolarmente sbagliate).
Potrei continuare di fantasia in fantasia, ma preferisco fermarmi qui. Mi dispiace demolire il lavoro di tutti questi fantasiosi esegeti, tuttavia è evidente che esso è privo di senso e costruito sul nulla. In quel che precede, infatti, abbiamo dimostrato che quella della statua plurimetallica NON è e volutamente NON vuole essere una profezia sull'ordinamento politico futuro del mondo, dal Nabucco di Verdi fino all'Avvento del Regno. Anzi, a parte il Messia rappresentato dalla pietra, esso non descrive altro che imperi già esistiti e riconoscibilissimi da parte dei suoi lettori. In altre parole, gli immaginifici studiosi di Daniele sopra menzionati non hanno capito affatto che, come le profezie inserite da Dante nella sua Commedia, quelle del capitolo 2 di Daniele, ma anche quelle dei successivi capitoli 7 e 11, sono tutte "profezie post-eventum", cioè sono state scritte quando gli avvenimenti di cui si parla erano già avvenuti. I lettori cui il testo era indirizzato dovevano riconoscere nelle varie parti della statua dei persecutori del passato, e nella pietra (che non è un meteorite, perchè all'epoca non aveva senso il concetto di "spazio siderale") il Messia prossimo venturo, il quale avrebbe spazzato via le potenze terrene insieme alla loro violenza bestiale. Ogni ingegnosa identificazione, dalle due gambe di ferro che diventano i due tronconi in cui si è rotto l'Impero Romano fino alle dieci dita che diventano dieci leader del mondo moderno, è perciò assolutamente campata per aria, ed aliena alla mente dell'Autore Sacro. In particolare, per quanto riguarda i piedi di terracotta e ferro, chi vuole vedere in essi qualche eterogenea organizzazione del presente, dagli Stati Uniti d'America alla Federazione Russa, dalla NATO alla Conferenza Islamica, è in errore o addirittura in cattiva fede, giacché non tiene conto di quell'illuminante versetto 43: « il fatto d'aver visto il ferro mescolato all'argilla significa che le due parti si uniranno per via di matrimoni. » Chi ha composto il testo in aramaico non pensava certo ai 27 paesi dell'Unione Europea (ferro e creta sono DUE materiali, non 27!), poiché tra di essi non è avvenuto alcun matrimonio dinastico, fatto storico che riguarda invece i regni dell'era ellenistica. È inutile dire però che, da qui alla Fine dei Tempi, saranno infiniti coloro che cercheranno di "adattare" la statua sognata da Nabucodonosor alle loro convinzioni politiche e religiose; e non c'è da dubitare che, se le utopie di "Star Trek" si realizzassero davvero, ci sarebbe persino chi identificherebbe i piedi di due materiali con l'Impero Klingon o con la Federazione Unita dei Pianeti!!
L'Età
dell'Oro
Un'ultima cosa possiamo aggiungere circa
questa statua meravigliosa e terrificante. L'idea di identificare gli stadi
successivi della storia umana con una serie di metalli via via più vili non è
esclusiva dell'autore del Libro di Daniele. Per quanto ne sappiamo, il primo a
metterla per iscritto fu il poeta greco Esiodo (VIII sec. a.C.) nel suo poema
"Le Opere e i Giorni":
« D'oro la prima stirpe degli uomini nati a morire
fecero dunque i Numi d'Olimpo che vivono eterni.
Vissero sotto Crono, che era sovrano del cielo:
vivean di Numi al pari, con l’animo senza cordoglio,
senza fatica, senza dolor; né su loro incombeva
la sconsolata vecchiaia; [...]
Una seconda stirpe, di molto peggiore. d*argento,
quindi crearono i Numi celesti, signori d’Olimpo.
Simile a quella d’oro, né forma avean essi, né mente
ma ben cento anni il bimbo, vicino alla tenera madre
pargoleggiando restava, balordo, stoltissimo, in casa.
Cresciuti ch’eran poi, raggiunta l’età più fiorente,
viveano breve tempo, crucciati di gravi dolori,
per la stoltezza loro; perché dal reciproco oltraggio
non seppero astenersi, né voller servire i Celesti [...]
E Giove padre una terza progenie di genti mortali creò,
di bronzo, in tutto dissimile a quella d’argento,
cruda e terribile, nata dai frassini. L’opre di Marte
care essi avean. di pianto feconde, e le ingiurie. [...]
Ora, poiché la terra nascosta ebbe ancor tale stirpe,
sopra le zolle che tanti nutricano, ancora una quarta
Giove Cronide ne fece, migliore di molto, e più giusta [...]
Deh, fra la quinta stirpe non fossi mai nato, ma prima
fossi morto, oppure più tardi venuto alla luce!
Poiché di ferro è questa progenie. Né tregua un sol giorno
avrà mai dal travaglio, dal pianto, dall’esser distrutta
e giorno e notte; e pene crudeli gli Dei ci daranno... »
(Traduzione di Ettore Romagnoli, 1929)
Da qui nasce il mito dell'Età dell'Oro, nella quale gli uomini vivevano felici e senza bisogno di leggi, poi sostituita da età successive nelle quali la violenza e la corruzione dilagarono progressivamente, attirando sul mondo la collera degli déi. Ecco la versione di questo mito nelle "Metamorfosi" di Ovidio (43 a.C. - 18 d.C.):
Aurea prima sata est aetas, quae vindice nullo,
sponte sua, sine lege fidem rectumque colebat. [...]
Postquam Saturno tenebrosa in Tartara misso
sub Iove mundus erat, subiit argentea proles,
auro deterior, fulvo pretiosior aere. [...]
Tertia post illam successit aenea proles,
saevior ingeniis et ad horrida promptior arma,
non scelerata tamen; de duro est ultima ferro. (Libro I, vv. 89- 90.113-115.125-127)
« Per prima fiorì l'età dell'oro, che senza giustizieri
o leggi, spontaneamente onorava lealtà e rettitudine. [...]
Quando Saturno fu cacciato nelle tenebre del Tartaro
e cadde sotto Giove il mondo, subentrò l'età d'argento,
peggiore dell'aurea, ma più preziosa di quella fulva del bronzo. [...]
Terza a questa seguì l'età del bronzo: d'indole
più crudele e più proclive all'orrore delle armi,
ma non scellerata. L'ultima fu quella ingrata del ferro. »
Questa storia di progressiva decadenza ricorda molto da vicino il racconto del Libro della Genesi, secondo cui l'uomo passò dall'innocenza dell'Eden, attraverso il fratricidio di Caino e il peccato dei Giganti antichi, ad uno stato tale di violenza da causare il disastro del diluvio universale. Per questo il mito dell'Età dell'Oro fu fatto proprio dagli scrittori medioevali, come Dante, che la paragona così al biblico Eden:
« Quelli ch'anticamente poetaro
l'età de l'oro e suo stato felice,
forse in Parnaso esto loco sognaro.
Qui fu innocente l'umana radice;
qui primavera sempre e ogne frutto;
nettare è questo di che ciascun dice. » (Purg. XXVIII, 139-144)
L'Età dell'Oro costituisce anche l'ambientazione del poema pastorale "Arcadia" (1504) di Iacopo Sannazzaro (1457-1530), e dal Rinascimento il riflesso di questa suggestione giunge fino alla letteratura moderna: "The Golden Age" è il titolo di una raccolta di racconti del 1895 di Kenneth Grahame (1859-1932, l'autore del famosissimo "Il Vento tra i Salici") e di un romanzo di fantascienza del 2002 di John Charles Wright (1961-).
Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780–1867), "L'Età dell'Oro", olio su tela, 1862
Ma anche la scienza moderna, e non solo le leggende, ha mutuato in certo modo qualcosa dal sogno della statua. Infatti le culture dell'età dei metalli seguite al Neolitico prendono il nome dai metalli preferenzialmente usati nel corso di esse: la storia antica dell'umanità conosce così l'Età del Rame, l'Età del Bronzo, l'Età del Ferro, fino all'attuale Era del Silicio (così chiamata perché è con questo materiale che vengono realizzati i circuiti integrati). Non si tratta più di una serie di materiali via via più vili; anzi, ogni era dovrebbe rappresentare un progresso tecnologico rispetto alla precedente (dico "dovrebbe" perchè in effetti il progresso era soprattutto nell'industria delle armi), tuttavia il concetto di associare ad ogni epoca un metallo è lo stesso che troviamo espresso nel capitolo 2 di Daniele.
E ora, concludiamo l'analisi del suddetto capitolo. Secondo voi, come reagisce Nabucodonosor alle profezie di Daniele? Evidentemente il sovrano deve avere gradito i complimenti del giovane ("Tu o re, sei il re dei re; a te il Dio del Cielo ha concesso il regno, la potenza, la forza e la gloria") più della promessa dell'arrivo di un giustiziere che riparerà a tutti i suoi torti, perchè egli risponde con un atto che rasenta l'idolatria:
« Allora il re Nabucodonosor piegò la faccia a terra, si prostrò davanti a Daniele e ordinò che gli si offrissero sacrifici e incensi. Quindi, rivolto a Daniele, gli disse: "Certo, il vostro Dio è il Dio degli dèi, il Signore dei re e il rivelatore dei misteri, poiché tu hai potuto svelare questo mistero." » (Daniele 2, 46-47)
Questi versetti hanno suscitato le critiche di molti esegeti, poiché un Ebreo ortodosso come Daniele non avrebbe mai accettato di essere letteralmente adorato. In realtà, è facile comprendere che la venerazione non è rivolta verso Daniele, ma verso il suo Dio. Un caso analogo è riportato nelle famose "Antichità Giudaiche" (XI, 337) dello storico giudaico Giuseppe Flavio (37-100), a proposito della conquista di Gerusalemme da parte di Alessandro Magno. Dopo che quest'ultimo ha conquistato Tiro, Gerusalemme gli apre le porte, e il Sommo Sacerdote gli mostra proprio il Libro di Daniele, presumibilmente il capitolo 8, dove si annuncia che un potente re greco avrebbe assoggettato e conquistato l'Impero Persiano. Inutile dire che si tratta di una ricostruzione erronea, perchè come si è visto il Libro di Daniele non era ancora stato scritto all'epoca di Alessandro. Comunque, secondo Giuseppe Flavio il conquistatore macedone si prosterna davanti al Sommo Sacerdote, e a chi gli chiede spiegazioni di questo gesto, replica: « Non ho adorato lui, ma il Dio che lo ha onorato con il Sommo Sacerdozio ». Anche in questo caso, l'adorazione di Daniele ha lo scopo di ricordare ai lettori che l'Unico Dio di Israele è « il Dio degli dèi, il Signore dei re e il rivelatore dei misteri ». Si tratta di un genere letterario diffuso in Israele: "riscrivere" la storia in modo che siano gli stessi pagani, ad onorare il "Dio del Cielo". Vedremo ancora il buon Nabucco ripetere una simile benedizione alla fine del capitolo seguente, imitato poi da "Dario il Medo" alla fine del capitolo 6 e da Ciro di Persia nelle ultime battute del libro.
Anche Daniele però è atteso dalla sua razione di premi, perchè così continua il nostro libro:
« Il re esaltò Daniele e gli fece molti preziosi regali, lo costituì governatore di tutta la provincia di Babilonia e capo di tutti i saggi di Babilonia; su richiesta di Daniele, il re fece amministratori della provincia di Babilonia Sadràch, Mesàch e Abdènego. Daniele rimase alla corte del re. » (Daniele 2, 48-49)
In tal modo, il nostro protagonista inizia la sua ascesa politica. Ma si sa che sui politici non si può mai fare troppo affidamento... se volete conoscere la nuova alzata di genio di Nabucodonosor, dopo quella del sogno dimenticato, cliccate qui e passate alla pagina seguente.