Il
Colosso di Babilonia
Abbiamo visto come Daniele sia presentato
dall'autore del libro a lui dedicato come l'ebreo esemplare (come lo hanno definito i biblisti), che si rifiuta categoricamente di cedere al culto
politeistico e ai suoi rituali, e in cambio gode costantemente dell'assistenza
divina. Egli tuttavia non è il solo protagonista del libro a lui dedicato, dato
che le stesse parole si possono ripetere per i suoi tre amici Anania, Misaele e Azaria.
Il capitolo 3 è interamente dedicato a loro; e se nell'episodio del
sogno di Nabucodonosor il Dio d'Israele ha manifestato la Sua Sapienza, qui Egli
dimostrerà la Sua Potenza.
« Il re Nabucodonosor aveva fatto costruire una statua d'oro, alta sessanta cubiti e larga sei, e l'aveva fatta erigere nella pianura di Dura, nella provincia di Babilonia. Quindi il re
Nabucodonosor aveva convocato i satrapi, i prefetti, i governatori, i consiglieri, i tesorieri, i giudici, i questori e tutte le alte autorità delle province, perché presenziassero all'inaugurazione della statua che il re
Nabucodonosor aveva fatto erigere.
I satrapi, i prefetti, i governatori, i consiglieri, i tesorieri, i giudici, i questori e tutte le alte autorità delle province vennero all'inaugurazione della statua. Essi si disposero davanti alla statua fatta erigere dal re.
» (Daniele 3, 1-3)
Il nuovo racconto ha al centro ancora una statua, questa volta però reale e non onirica: si tratta di un monumento autocelebrativo che Nabucodonosor fa costruire nella "pianura di Dura". L'assiriologo tedesco naturalizzato francese Jules Oppert (1825-1905) la identificò con un sito pianeggiante a sudest di Babilonia, nei pressi di un piccolo fiume dove tuttora è attestato il toponimo Dowair, e dove egli ritenne di aver portato alla luce proprio quello che sembrava essere il basamento di una grande statua. Altri invece pensano a un sito tuttora chiamato Dur presso Tikrit, sulla riva sinistra del Tigri. Altri ancora credono che la pianura di Dura, attestata qui e in nessun altro passo biblico, indichi in realtà un quartiere della stessa Babilonia, e precisamente "la Grande Muraglia" (Duru) della città, forse il bastione designato con il nome di Dur Su-anna, "il bastione orgogliosamente difeso". La versione dei Settanta sostituisce invece Dura con Deeira, il che suggerisce che gli antichi traduttori in greco abbiano identificato in questo toponimo una città vicina al confine Elamita, chiamata anche Dur-ili, "il bastione del dio". L'unica cosa che possiamo dire con certezza è quindi che nella « provincia di Babilonia » esistevano diverse località con questo nome, senza che si possa individuare con certezza quale di esse l'autore biblico aveva in mente, probabilmente una reminiscenza della cattività di tre secoli prima, tramandata di padre in figlio.
Questa statua ha dimensioni colossali, per così dire "bibliche": è alta sessanta cubiti, cioè circa 30 metri, e larga sei, cioè circa 3 metri. Sicuramente può rivaleggiare con il Colosso di Rodi, la celebre statua di Apollo realizzata dallo scultore Carete di Lindo dal 305 al 293 a.C. all'imboccatura del porto di Rodi: secondo le descrizioni che ce ne restano (la statua fu abbattuta da un terremoto nel 226 a.C. e mai più ricostruita) era alta almeno 32 metri, ed era considerata una delle Sette Meraviglie del Mondo. Alla sua inaugurazione presenzia tutta una serie di funzionari, alcuni dei quali sono effettivamente riferibili alla burocrazia babilonese, ma altri, a partire dai "satrapi", sono chiaramente posteriori. "Satrapo" deriva infatti dal persiano "kshathra", "regno", a sua volta da "Shah", "re" (da cui il moderno Scià) e "pava", signore: si trattava dei governatori delle province dell'immenso impero persiano, posteriore di cinquant'anni ai fatti di cui stiamo parlando. Un'ulteriore testimonianza, questa, del fatto che l'autore è molto lontano cronologicamente dai fatti che sta narrando. I "prefetti" rispondevano direttamente ai satrapi, i "governatori" amministravano regioni più piccole delle satrapie, i "consiglieri" erano membri del consiglio reale babilonese, i "tesorieri" si occupavano delle finanze, i "giudici" amministravano il potere giudiziario mentre i "questori" avevano compiti di polizia urbana. Con questo elenco di funzionari tra i più disparati, l'autore vuole dirci che tutti i pezzi grossi dell'impero sono presenti all'inaugurazione della statua.
So quale domanda vi frulla nella testa: questo simulacro è stato realizzato davvero, in una delle tante località mesopotamiche riconducibili al toponimo "Dura"? Come si è visto, Jules Oppert sosteneva di sì, ed era convinto anche di averne riportato alla luce il basamento. Nessuna fonte extrabiblica accenna ad un "Colosso di Babilonia" che, se fosse esistito, avrebbe sicuramente stupito il mondo e non sarebbe certo passato inosservato a storici come Erodoto. È possibile che sia invece esistita una statua di dimensioni minori, poi amplificate in modo iperbolico dai racconti orali degli ex deportati a Babilonia. Ammettendo che sia così, probabilmente essa non raffigurava Nabucodonosor in persona, bensì il dio nazionale babilonese Marduk, cui egli era devotissimo. Perchè allora l'autore sacro parla di una statua dedicata al re? Per due motivi. In genere nell'antichità le statue degli déi venivano realizzate con le fattezze dei loro committenti, e dunque il colosso avrebbe mostrato in effetti il volto di "Nabucco"; inoltre questa attribuzione permette all'autore di epoca maccabaica di accusare il sovrano babilonese di una tale superbia, da volersi arrogare un culto divino. Ecco infatti come prosegue il testo:
« Un banditore gridò ad alta voce:
"Popoli, nazioni e lingue, a voi è rivolto questo proclama: Quando voi udirete il suono del corno, del flauto, della cetra, dell'arpicordo, del salterio, della zampogna, e d'ogni specie di strumenti musicali, vi prostrerete e adorerete la statua d'oro, che il re
Nabucodonosor ha fatto innalzare.
Chiunque non si prostrerà alla statua, in quel medesimo istante sarà gettato in mezzo ad una fornace di fuoco ardente."
Perciò tutti i popoli, nazioni e lingue, in quell'istante che ebbero udito il suono del corno, del flauto, dell'arpicordo, del salterio e di ogni specie di strumenti musicali, si prostrarono e adorarono la statua d'oro, che il re
Nabucodonosor aveva fatto innalzare.
» (Daniele 3, 4-7)
Insomma, il sovrano pretende che il suo simulacro non sia adorato solo dagli abitanti di Babilonia, ma anche "a distanza" da tutti i cittadini dell'impero: ad ore determinate, e al segnale fornito da una vera e propria orchestra, tutti i sudditi dovranno prosternarsi ad adorarla. Da notare che la lista degli strumenti musicali è chiusa da una "zampogna", uno strumento che alle nostre orecchie evoca il Sud d'Italia o la Scozia, piuttosto che la Mesopotamia. "Zampogna" in effetti è la traduzione letterale dell'aramaico "sumponjah", usato anche nei versetti 10 e 15 di questo capitolo, ma in nessun altro passo della Bibbia. Si pensa che tale vocabolo semitico sia ricalcato sul greco "symphonia", indicante l'accordo di più suoni, da cui deriva il termine moderno "sinfonia" (ma anche "zampogna"). Non vi sono dunque garanzie che esso rappresenti effettivamente lo strumento derivato dal flauto di pan e chiamato in latino "utricularium" (pare che anche l'imperatore Nerone lo sapesse suonare). Traduzioni della Bibbia diverse da quella della CEI introducono qui il nome di altri strumenti, ad esempio "tamburo".
Il popolo di Babilonia
adora la statua fatta erigere da Nabucodonosor,
miniatura mozarabica, secolo X, Madrid, Biblioteca Nazionale
Da notare che anche la trama del "Nabucco" di Giuseppe Verdi, opera del 1842 già citata ed ispirata proprio alla cattività babilonese del popolo di Giuda, gira intorno proprio alla pretesa dell'imperatore caldeo di essere venerato come una divinità, anche se nel libretto si lascia credere che egli voglia considerarsi l'unico dio. Così canta infatti Nabucco nella Parte II (intitolata proprio "L'Empio"), Quadro II, Scena Ottava:
« S'oda or me! Babilonesi,
getto a terra il vostro dio!
Traditori egli v'ha resi,
volle tôrvi al poter mio!
Cadde il vostro, o stolti Ebrei,
combattendo contro me.
Ascoltate i detti miei...
V'è un sol nume... il vostro re! »
Sia il Gran Sacerdote di Belo (ma, lo si è visto, il dio supremo babilonese non era Baal bensì Marduk) sia Zaccaria, Sommo Sacerdote degli Ebrei, gli danno dello stolto e dell'empio, e Nabucco pretende che sua figlia Fenena, convertitasi all'ebraismo ed innamorata del giudeo Ismaele, si inginocchi ed adori, guarda caso, proprio la sua statua:
FENENA:
Ebrea con lor morrò.
NABUCCO: Tu menti!... O iniqua, pròstrati
al simulacro mio!
FENENA: No!... sono ebrea!
NABUCCO:
Giù! Pròstrati!
Non son più re, son dio!
A questo punto Nabucco viene fulminato e reso pazzo da YHWH, ma di questo riparleremo più avanti.
Gli
Atti dei Martiri
Che con il suo editto Nabucodonosor
imponga a tutti i suoi sudditi l'adorazione del dio nazionale Marduk, o quella
della propria persona, o entrambe, una cosa è certa: ben difficilmente gli
Ebrei osservanti possono piegarsi ad eseguire il comando. E se pure molti
obbediscono per salvarsi la vita, ci sono almeno tre coraggiosi che rifiutano
tenacemente di farlo. Ed ecco subito i delatori pronti a denunziare tutto questo
al re, corifei di una mala razza che ha attraversato tutta la Storia Sacra fin
dai primordi:
« Però in quel momento alcuni Caldei si fecero avanti per accusare i Giudei e andarono a dire al re Nabucodònosor: "Re, vivi per sempre! Tu hai decretato, o re, che chiunque avrà udito il suono del corno, del flauto, della cetra, dell'arpicordo, del salterio, della zampogna e d'ogni specie di strumenti musicali, si deve prostrare e adorare la statua d'oro: chiunque non si prostrerà per adorarla, sia gettato in mezzo ad una fornace con il fuoco acceso. Ora, ci sono alcuni Giudei, ai quali hai affidato gli affari della provincia di Babilonia, cioè Sadràch, Mesàch e Abdènego, che non ti obbediscono, re: non servono i tuoi dèi e non adorano la statua d'oro che tu hai fatto innalzare. » (Daniele 3, 8-12)
La reazione del sovrano è facilmente immaginabile: i tre giovani sono messi immediatamente sotto processo.
« Allora Nabucodònosor, sdegnato, comandò che gli si conducessero Sadràch, Mesàch e Abdènego, e questi comparvero alla presenza del re. Nabucodònosor disse loro: "È vero, Sadràch, Mesàch e Abdènego, che voi non servite i miei dèi e non adorate la statua d'oro che io ho fatto innalzare? Ora, se voi sarete pronti, quando udirete il suono del corno, del flauto, della cetra, dell'arpicordo, del salterio, della zampogna e d'ogni specie di strumenti musicali, a prostrarvi e adorare la statua che io ho fatta, bene; altrimenti in quel medesimo istante sarete gettati in mezzo ad una fornace dal fuoco ardente. Quale Dio vi potrà liberare dalla mia mano?" » (Daniele 3, 13-15)
Il senso di questo passo è evidente. Il lettore dell'epoca maccabaica vede scritto Nabucodonosor, ma pensa ad Antioco IV Epifane. Fu quest'ultimo, infatti, a porre l'idolo di Zeus nel Tempio di Gerusalemme e a pretendere che gli Ebrei adorassero quella statua, anziché il Dio che non poteva essere raffigurato. E fu lui a paragonarsi a numi dell'Olimpo, facendosi attribuire il titolo divino di "Epifane". È quindi il re seleucide a minacciare gli Ebrei di buttarli in una fornace ardente, se non si prostreranno di fronte all'idolo da lui eretto. Il castigo minacciato a Sadràch, Mesàch e Abdènego è infatti incredibilmente simile al martirio dei cosiddetti "sette fratelli Maccabei", narrato nel Secondo Libro dei Maccabei:
« Ci fu anche il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re a forza di flagelli e nerbate a cibarsi di carni suine proibite. Uno di essi, facendosi interprete di tutti, disse: "Che cosa cerchi di indagare o sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le patrie leggi." Allora il re irritato comandò di mettere al fuoco padelle e caldaie. Diventate queste subito roventi, il re comandò di tagliare la lingua, di scorticare e tagliare le estremità a quello che era stato loro portavoce, sotto gli occhi degli altri fratelli e della madre. Quando quegli fu mutilato di tutte le membra, comandò di accostarlo al fuoco e di arrostirlo mentre era ancora vivo. Mentre il fumo si spandeva largamente all'intorno della padella, gli altri si esortavano a vicenda con la loro madre a morire da forti, esclamando: "Il Signore Dio ci vede dall'alto e in tutta verità ci dà conforto, precisamente come dichiarò Mosè nel canto della protesta: Egli si muoverà a compassione dei suoi servi". » (2 Maccabei 7, 1-6)
I sette fratelli sono chiamati impropriamente "Maccabei" solo per il fatto che la loro vicenda è narrata nell'omonimo libro; di essi in realtà non sappiamo nulla, tranne il loro atroce martirio narrato in questa pagina. E ciò, volutamente: sette infatti è il numero della pienezza, il numero dei giorni della Creazione biblica, il numero dei bracci della Menorah, e quindi essi, anche se probabilmente sono esistiti davvero, rappresentano l'intero popolo giudaico, costretto a scegliere tra la fedeltà alla legge e una morte dolorosa. La stessa cosa si può dire per i tre giovani amici di Daniele (in questo episodio mai nominato, anche se evidentemente anch'egli è obiettore di coscienza): essi rappresentano un esempio da imitare per tutti i Giudei contemporanei dell'autore. Infatti anche la loro risposta al re caldeo è incredibilmente simile a quella dei sette martiri vissuti tre secoli dopo:
« Ma Sadràch, Mesàch e Abdènego risposero al re Nabucodonosor: "Re, noi non abbiamo bisogno di darti alcuna risposta in proposito; sappi però che il nostro Dio, che serviamo, può liberarci dalla fornace con il fuoco acceso e dalla tua mano, o re. Ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dèi e non adoreremo la statua d'oro che tu hai eretto. » (Daniele 3, 16-18)
Ed identica a quella del re siriano è la furente reazione di Nabucodonosor:
« Allora Nabucodonosor, acceso d'ira e con aspetto minaccioso contro Sadràch, Mesàch e Abdènego, ordinò che si aumentasse il fuoco della fornace sette volte più del solito. Poi, ad alcuni uomini fra i più forti del suo esercito, comandò di legare Sadràch, Mesàch e Abdènego e gettarli nella fornace con il fuoco acceso. Furono infatti legati, vestiti come erano, con i mantelli, calzari, turbanti e tutti i loro abiti e gettati in mezzo alla fornace con il fuoco acceso. » (Daniele 3, 19-21)
Si potrebbe quasi affermare che l'autore del libro di Daniele sia stato presente (direttamente o indirettamente) all'esecuzione dei "sette fratelli Maccabei", ed abbia modellato questo racconto proprio sul cruento episodio narrato da Giasone, il giudeo di Cirene che verso il 160 a.C. compose una storia della persecuzione seleucide, della quale ci rimane solo un riassunto, appunto il Secondo Libro dei Maccabei. L'episodio, pur non riportato dal Primo Libro dei Maccabei, dovette avere un notevole impatto sui Giudei dell'epoca, dato che esso viene ripreso e notevolmente ampliato nell'apocrifo Quarto Libro dei Maccabei (che è ritenuto ispirato dalle Chiese Ortodosse). Si tratta del primo esempio di un genere letterario che conoscerà una notevole fioritura nei primi secoli del Cristianesimo, i cosiddetti "Acta Martyrum" ("Atti dei Martiri"). Se i primi "Acta" sono effettivamente resoconti di processi tenuti dalle autorità romane contro i cristiani da loro arrestati, ben presto si arriverà alla redazione di vere e proprie opere letterarie che descrivono nei minimi particolari le torture inflitte a santi come Agnese o Caterina di Alessandria, tanto da non poter più distinguere i fatti certamente accaduti (questi santi fecero effettivamente una brutta fine per non aver voluto abiurare la loro fede) dagli infioramenti agiografici.
I tre giovani nella
fornace, illustrazione di Marco Rostagno
per la "Bibbia a fumetti" pubblicata dalle edizioni Paoline
Quasi certamente di questi tre personaggi, chiamati Anania, Misaele e Azaria, esisteva una lunga tradizione riguardo al martirio da essi subito durante l'esilio a Babilonia per non essersi piegati alla venerazione delle divinità nazionali mesopotamiche. Forse essi subirono tale martirio separatamente l'uno dagli altri, ma l'autore del libro di Daniele li descrive come amici che rifiutarono insieme l'omaggio alla statua di Nabucodonosor, per poter narrare la loro vicenda in parallelo a quella dei sette fratelli Maccabei. Egli inoltre inserisce l'evento nella cornice del libro di Daniele, descrivendoli in aggiunta come deportati ed istruiti a Babilonia insieme al profeta protagonista del libro; altrimenti, mal si spiegherebbe come mai Daniele non vuole condividere la sorte dei suoi tre compagni. Lo stesso numero è simbolico: i fratelli Maccabei sono sette, gli amici di Daniele sono tre, numero della perfezione divina (di solito è associato al cerchio, essendo tre l'approssimazione di pi greco). E, come abbiamo visto, sono simbolici i loro stessi nomi, essendo riferiti all'onnipotenza e alla misericordia di Dio; il fatto che essi (in particolare Anania) fossero diffusissimi tra gli Ebrei, sta a significare che essi sono figura dell'intero popolo d'Israele perseguitato, che non deve piegarsi alle imposizioni dei pagani. L'autore infatti lascia intendere che anche la maggior parte degli Ebrei perseguitati a Babilonia, per salvarsi la vita, accettarono (o almeno finsero) di prosternarsi davanti al "Colosso di Babilonia"; non così però i tre giovani Sadràch, Mesàch e Abdènego, i quali preferiscono l'esecuzione all'apostasia, ed è ad essi che devono guardare i Giudei perseguitati da Antioco IV.
L'accumulazione
Che la costruzione del brano sia molto
"letteraria", cioè che ha più del romanzo che del racconto storico,
ce lo dice anche la figura retorica dell'accumulazione
cui l'autore ricorre con tanta dovizia, in questo capitolo 3. Per far sì che
l'attenzione del lettore si appunti sui passaggi principali del racconto, essi
vengono accompagnati da una lista di termini apparentemente imparentati tra
loro, ma in realtà addensati in maniera abbastanza caotica, senza che si possa
trovare una logica in essi. Così, per sottolineare il fatto che tutti, ma
proprio tutti i sudditi di
Nabucodonosor, in qualunque angolo dell'impero si trovino, devono adorare la
famosa statua, l'autore accumula ai versetti 2 e 3, ripetendola due volte,
un'accozzaglia di funzionari statali in parte
babilonesi, in parte persiani, senza preoccuparsi di quali sono le loro
effettive mansioni. Per mettere l'accento sul fatto che Anania, Misaele e
Azaria si rifiutano di ottemperare a quest'ordine, ecco ripetuto ben quattro
volte (versetti 5, 7, 10 e 15) l'elenco degli strumenti
musicali cui accennavamo sopra. Ed ora, onde
concentrare l'attenzione del lettore sulla condanna a morte dei tre coraggiosi,
l'autore accumula una serie di capi di abbigliamento
con indosso i quali i tre sono scaraventati nella fornace:
« Furono legati, vestiti come erano, con i mantelli, calzari, turbanti e tutti i loro abiti... » (Daniele 3, 21a)
Come nel caso dei funzionari e degli strumenti musicali, anche in questo caso l'autore fa confusione ed usa dei termini di origine persiana, sconosciuti al tempo dell'impero caldeo, ed utilizzati solo qui in tutta la Scrittura. Per questo, la loro traduzione è problematica, ed aggravata dal fatto che i diversi manoscritti contengono termini differenti. Ad esempio la parola aramaica "sarbal", tradotta dalla CEI con "mantello", è da altri resa come "calzoni", ed anche su quei "turbanti" esistono molti dubbi.
Molto "letteraria" è anche l'iperbole usata per rendere con icastica chiarezza l'orrenda pena cui i tre giovani eroi sono condannati. Infatti Nabucodonosor comanda di « aumentare il fuoco della fornace sette volte più del solito », cifra iperbolica tipicamente semitica che indica un semplice superlativo (« molto più del solito »), come in altri famosi passi biblici:
« Il Signore gli disse: "Chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!" » (Genesi 4, 15)
« Vi colpirò sette volte di più per i vostri peccati » (Levitico 26, 24)
« Sette volte al giorno io ti lodo per le sentenze della tua giustizia. » (Salmo 118, 164)
« Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?" E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette." » (Matteo 18, 21-22)
Detto tutto questo, bisogna tenere ben chiaro il concetto che l'episodio dei tre giovani nella fornace, pur avendo tutti i caratteri del racconto edificante, non è per forza frutto della fantasia dell'autore. Ad esempio, tra gli Atti dei Martiri, la storia di Felicita e dei suoi sette figli nella forma in cui ci è pervenuta sembra essere una riscrittura in chiave cristiana dell'episodio dei sette fratelli Maccabei di 2 Mac 7, eppure non ci possono essere dubbi sulla storicità del loro martirio, poiché l'archeologo Giovanni Battista de Rossi (1822-1894) riportò alla luce la tomba di Ianuarius, il figlio maggiore del racconto. Come nel caso di Daniele e di altri personaggi biblici, la storicità di questi tre personaggi è perduta per sempre, a meno di clamorose quanto improbabili scoperte archeologiche; non possiamo né affermare né negare con certezza la loro esistenza, e dunque ci limitiamo ad analizzare il racconto che delle loro gesta è giunto fino ad oggi, spiegandone il significato allegorico e gli insegnamenti che esso può fornire anche a noi, uomini tecnologizzati del XXI secolo.
Abbiamo visto che i sette fratelli Maccabei e i protagonisti dei vari Acta Martyrum cristiani, da Perpetua e Felicita a San Policarpo (sino alle moderne vittime della mafia, dell'integralismo islamico, eccetera) sono tutti accomunati dalla descrizione delle loro morti violente, talvolta addirittura truculente. Non è così invece per Anania, Misaele e Azaria, a partire dal destino stesso dei loro carnefici:
« Ma quegli uomini, che dietro il severo comando del re avevano acceso al massimo la fornace per gettarvi Sadràch, Mesàch e Abdènego, rimasero uccisi dalle fiamme, nel momento stesso che i tre giovani Sadràch, Mesàch e Abdènego cadevano legati nella fornace con il fuoco acceso. » (Daniele 3, 22-23)
Ecco che le fiamme della fornace sterminano per primi proprio gli aguzzini! E i tre giovani?
« Essi passeggiavano in mezzo alle fiamme, lodavano Dio e benedicevano il Signore. » (Daniele 3, 24)
Com'è possibile questo? La spiegazione del prodigio è offerta alcuni versetti più avanti. A questo punto, però, nel testo si inserisce un lungo brano, compreso tra i versetti 25 e 90, che è assente dal testo in aramaico, e ci è pervenuto nella sola versione greca. Gli Ebrei e i Protestanti ne respingono la canonicità, mentre Cattolici ed Ortodossi lo hanno inserito nel loro Canone (ricordiamo che anche nel Libro di Ester sono presenti alcuni passaggi in greco, assenti nelle bibbie ebraiche); nella Bibbia ebraica perciò al versetto 24 segue il versetto 91, cui è assegnato il numero 25. Il suddetto brano è dominato da due lunghi salmi, la cui redazione è evidentemente posteriore al resto del libro. Il primo salmo è in sostanza una lunga supplica penitenziale pronunciata da Azaria in mezzo al fuoco, e ricorda da vicino alcune preghiere analoghe presenti nei libri biblici composti dopo il ritorno dall'Esilio, ad esempio Baruc 1-3, Esdra 9, Neemia 1 e 9. Questo testo è però specificamente rivolto ai Giudei durante la persecuzione di Antioco IV.
Moderna ricostruzione del colosso di Rodi
Il
cantico di Azaria
Si comincia infatti con una benedizione
rivolta al Signore:
« Azaria, alzatosi, fece questa preghiera in mezzo al fuoco e aprendo la bocca disse:
"Benedetto sei tu, Signore Dio dei nostri padri;
degno di lode e glorioso è il tuo nome per sempre." » (Daniele 3, 25-26)
per passare subito dopo ad una celebrazione della giustizia divina:
« Tu sei giusto in tutto ciò che hai fatto;
tutte le tue opere sono vere,
rette le tue vie e giusti tutti i tuoi giudizi.
Giusto è stato il tuo giudizio
per quanto hai fatto ricadere su di noi
e sulla città santa dei nostri padri, Gerusalemme. » (Daniele 3, 27-28a)
Se la giustizia di YHWH è infallibile, ciò significa che la punizione da Lui inflitta agli Ebrei è più che meritata. Azaria/Abdènego allora riconosce le colpe commesse dal Popolo Eletto:
« Con verità e giustizia tu ci hai inflitto tutto
questo a causa dei nostri peccati,
poiché noi abbiamo peccato, abbiamo agito da iniqui,
allontanandoci da te, abbiamo mancato in ogni modo.
Non abbiamo obbedito ai tuoi comandamenti,
non li abbiamo osservati, non abbiamo fatto
quanto ci avevi ordinato per il nostro bene.
Ora quanto hai fatto ricadere su di noi,
tutto ciò che ci hai fatto, l'hai fatto con retto giudizio:
ci hai dato in potere dei nostri nemici,
ingiusti, i peggiori fra gli empi,
e di un re iniquo, il più malvagio su tutta la terra. » (Daniele 3, 28b-32)
La lode in onore del Signore si intreccia così con la confessione dei peccati, che è stato all'origine del giudizio e del castigo di Israele: castigo che per i Giudei deportati a Babilonia coincideva con la fine del Regno di Giuda e con la distruzione del Tempio, ma che per i lettori di epoca maccabaica è rappresentato dalla fierezza della persecuzione antiochea. Il "re iniquo, il più malvagio su tutta la terra" è ad un tempo Nabucodonosor e Antioco IV Epifane. YHWH non è insomma un Dio impotente, incapace di salvare i suoi protetti, come probabilmente molti tra i Giudei devono averLo accusato di essere, di fronte all'infuriare delle persecuzioni e alla morte di tanti innocenti. E non è neppure un Dio crudele che ha consegnato il suo popolo nelle mani dei Caldei prima, e dei Greci poi. È invece un Dio giusto, che ha retribuito i Giudei come si meritavano. I discendenti di Davide erano stati indegni del trono, la corruzione dilagava insieme alla violenza, e il Signore ha posto fine al Regno di Gerusalemme; allo stesso modo, gli Ebrei del II secolo a.C. si sono allontanati dalla retta via, e per far capire loro che avevano sbagliato, YHWH ha chiamato Antioco IV, e li "ha dati in potere dei loro nemici", gli ellenisti. Tuttavia, come dopo l'Esilio a Babilonia ci fu il ritorno in patria, così anche di fronte alla persecuzione dell'Epifane Iddio può tornare a mostrare ai Suoi protetti un volto misericordioso. Per questo l'implorazione di porre fine alle persecuzione si fa più intensa, e cerca di richiamare alla mente di Dio le promesse indirizzate ai patriarchi, e in particolare ad Abramo:
« Ora non osiamo aprire la bocca:
disonore e disprezzo sono toccati ai Tuoi servi, ai Tuoi adoratori.
Non ci abbandonare fino in fondo,
per amore del Tuo nome, non rompere la Tua alleanza;
non ritirare da noi la Tua misericordia,
per amore di Abramo Tuo amico,
di Isacco Tuo servo, di Israele Tuo santo,
ai quali hai parlato, promettendo di moltiplicare
la loro stirpe come le stelle del cielo,
come la sabbia sulla spiaggia del mare. » (Daniele 3, 33-36)
Da notare gli aggettivi affiancati ai nomi dei tre patriarchi d'Israele. Giacobbe è il Santo di Dio, poiché vide la scala che portava in Cielo (Gen 28) e lottò con l'angelo del Signore, vincendolo (Gen 32). Isacco è il Servo, per la sua obbedienza: quando suo padre Abramo tentò di sacrificarlo (Gen 22) non era un bambino come riporta l'iconografia tradizionale, aveva già 37 anni, e dunque avrebbe potuto ribellarsi e sopraffare l'anziano padre, ed invece accettò volontariamente di essere sacrificato. E Abramo? Il titolo a lui assegnato può sorprendere, ma non chi conosca da vicino il mondo semitico. Ancor oggi la città di Hebron, a lui tradizionalmente associata, viene chiamata dagli arabi palestinesi "El-Khalil", cioè proprio "l'amico"! Tale termine è ripreso probabilmente da Isaia 41, 8 e tornerà ancora nel Nuovo Testamento (Giacomo 2, 23) e nel mondo islamico, volendo significare colui che più di ogni in altro fu in intimità con il Signore, tanto che quest'ultimo gli rivelò ciò che intendeva fare a Sodoma (Gen 18). Azaria richiama alla mente del Signore proprio l'amicizia con Abramo, cui Egli ha promesso una prole numerosissima:
« Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. » (Genesi 12, 2)
In contrapposizione a questa grandiosa promessa, Azaria rammenta a JHWH l'attuale misera condizione del popolo Ebraico:
« Ora invece, Signore,
noi siamo diventati più piccoli
di qualunque altra nazione,
ora siamo umiliati per tutta la terra
a causa dei nostri peccati.
Ora non abbiamo più né principe,
né capo, né profeta, né olocausto,
né sacrificio, né oblazione, né incenso,
né luogo per presentarti le primizie
e trovar misericordia. » (Daniele 3:37-38)
Pure qui troviamo un'accumulazione di termini, che in questo caso serve a sottolineare al lettore in quale condizione si trovino i Giudei a Babilonia. E questa è la condizione dei Giudei sotto il tallone di Antioco Epifane, Essi non hanno più un principe, perchè la dinastia davidica non è più tornata sul trono dopo il ritorno da Babilonia. Non hanno più un capo, perchè Giuda Maccabeo non era riconosciuto da tutti, e in particolare non da quanti cercavano un compromesso con Antioco, a scapito della loro fede. Non hanno più un profeta, giacché il profetismo si esaurì poco dopo l'esilio. Non possono più offrire olocausti, oblazioni, o bruciare incenso al Signore, né uno spazio sacro in cui offrire le primizie e chiedere il perdono dei peccati, perchè il Tempio è stato profanato, e non solo da Nabucodonosor, ma soprattutto dal Re Seleucide.
Icona raffigurante i Tre Giovani nella Fornace (da questo sito)
La supplica penitenziale intonata da Azaria a nome di tutto Israele (l'Israele del II secolo a.C.) procede con l'intensa contrizione del cuore, che agli occhi di Dio vale quanto la maggior ecatombe di animali sacrificati:
« Potessimo esser accolti con il cuore contrito
e con lo spirito umiliato,
come olocausti di montoni e di tori,
come migliaia di grassi agnelli!
Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito,
perché non c'è confusione per coloro che confidano in te. » (Daniele 3:39-40)
Qui vi è certamente un'eco del celeberrimo Salmo 50, uno dei più noti salmi penitenziali:
« Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode;
poiché non gradisci il sacrificio
e, se offro olocausti, non li accetti.
Uno spirito contrito è sacrificio a Dio,
un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi. » (Salmo 50, 17-19)
Azaria sottolinea il fatto che i Giudei hanno ben compreso la lezione, e che il loro cuore si è convertito profondamente:
« Ora ti seguiamo con tutto il cuore,
ti temiamo e cerchiamo il Tuo volto. » (Daniele 3, 41)
Anche qui c'è l'eco di diversi salmi, ad esempio:
« Di Te ha detto il mio cuore:
"Cercate il Suo volto";
il Tuo volto, Signore, io cerco.
Non nascondermi il Tuo volto,
non respingere con ira il Tuo servo. » (Salmo 26, 8-9a)
È una forte testimonianza di fiducia e di abbandono nelle mani del Signore, lasciando alle spalle le ribellioni e le ostinazioni del passato, che hanno provocato l'ira divina. Il bellissimo salmo di Azaria si chiude con la certezza dell'intervento liberatore di Dio, che non resterà passivo a guardare la furia di Antioco IV, ma attesterà il Suo perdono a Israele pentito. E soprattutto Egli dimostrerà di essere un Salvatore potente, e non una divinità debole e sconfitta come affermava il "Nabucco di Verdi", stritolando i nemici di Israele così come aveva fatto al tempo dell'Esodo dall'Egitto, o durante l'epoca dei Giudici, o mentre Sennacherib assediava Gerusalemme. In tal modo, i popoli della Terra lo riconosceranno come l'unico vero Dio, sovrano dell'universo e della storia:
« Fa' con noi secondo la tua clemenza,
trattaci secondo la tua benevolenza,
secondo la grandezza della tua misericordia.
Salvaci con i tuoi prodigi,
da' gloria, Signore, al tuo nome.
Siano invece confusi quanti fanno il male ai tuoi servi,
siano coperti di vergogna con tutta la loro potenza;
e sia infranta la loro forza!
Sappiano che tu sei il Signore,
il Dio unico e glorioso su tutta la terra! » (Daniele 3, 42-45)
Petrolio nella Bibbia?
Intanto, mentre Azaria prega, le fiamme diventano sempre più forti,
raggiungendo i 49 cubiti, cioè 25 metri! Si tratta
evidentemente di un'iperbole, considerando che 7 x 7 = 49. Essendo 49 il
quadrato di 7, che è il numero della pienezza (i sette corpi celesti, i sette
giorni della Creazione...), quest'espressione ha il significato di un
superlativo, come l'espressione « fiamma del Signore »
del Cantico dei Cantici 8, 6, che sta per "fiamma altissima". Ed ecco
che queste fiamme spazzano via gli aguzzini, come già si era detto al versetto
22; non si tratta però di una semplice ripetizione, visto che quello faceva
parte del testo aramaico, mentre questo rientra nell'aggiunta greca. E solo
nell'aggiunta si spiega il perchè dell'insperata salvezza dei tre giovani
giudei: l'angelo del Signore trasforma con la sua presenza l'interno della
fornace in una specie di giardino accarezzato dalla brezza:
« I servi del re, che li avevano gettati dentro, non cessarono di aumentare il fuoco nella fornace, con bitume, stoppa, pece e sarmenti. La fiamma si alzava quarantanove cubiti sopra la fornace, e uscendo bruciò quei Caldei che si trovavano vicino alla fornace. Ma l'angelo del Signore, che era sceso con Azaria e con i suoi compagni nella fornace, allontanò da loro la fiamma del fuoco e rese l'interno della fornace come un luogo dove soffiasse un vento pieno di rugiada. Così il fuoco non li toccò affatto, non fece loro alcun male, non diede loro alcuna molestia. » (Daniele 3, 46-50)
Notiamo che il versetto 46 presenta l'ennesimo ricorso in questo capitolo alla figura retorica detta dell'accumulazione; in tal caso si tratta dei combustibili utilizzati per alimentare la fornace. Il termine greco "naphta", qui tradotto con "bitume", deriva probabilmente dal l'avestico "napta" (persiano näft, arabo naft), "umido", secondo alcuni imparentato anche con il latino Neptunus, "Nettuno" (il dio del mare), ed è utilizzato nella Bibbia per indicare il petrolio; lo troviamo infatti anche nel Secondo Libro dei Maccabei:
« Neemia, rimandato dal re di Persia, inviò i discendenti di quei sacerdoti che avevano nascosto il fuoco, a farne ricerca; quando essi ci riferirono che non avevano trovato il fuoco ma acqua grassa, comandò loro di attingerne e portarne. Poi furono portate le offerte per i sacrifici e Neemia comandò che venisse aspersa con quell'acqua la legna e quanto vi era sopra. Così fu fatto e dopo un po' di tempo il sole, che prima era coperto di nubi, cominciò a risplendere e si accese un gran rogo, con grande meraviglia di tutti. » (2 Maccabei 1, 20-22)
Pochi dubbi che l'"acqua grassa" sia in realtà petrolio, accesosi una volta che i raggi del sole sono stati concentrati su di esso. La stoppa a sua volta compare altrove, nelle metafore bibliche, per indicare la punizione dei peccatori, perchè brucia molto rapidamente; ad esempio:
« Il forte diverrà come stoppa,
la sua opera come scintilla;
bruceranno tutte e due insieme
e nessuno le spegnerà. » (Isaia 1, 31)
Anche la pece ardente è immagine del castigo divino per il medesimo profeta:
« I torrenti di quel paese
[Edom] si cambieranno in pece,
la sua polvere in zolfo,
la sua terra diventerà pece ardente. » (Isaia 34, 9)
Tra l'altro in Palestina sia il bitume che la pece erano ricavate soprattutto dal Mar Morto, e noi sappiamo che esso è legato alla tradizione di Sodoma e Gomorra. L'autore del Libro di Daniele vuole quindi accostare la punizione dei carnefici babilonesi a quella degli abitanti di Sodoma, il cosiddetto "diluvio di fuoco" di Genesi 19, ritenuto da alcuni esegesi la versione palestinese del diluvio universale, mentre in Genesi 6-8 se ne trova invece la versione mesopotamica, cioè il "diluvio con l'acqua". Ed è innegabile che il castigo si estende ai persecutori dell'epoca maccabaica, i quali, pur sembrando trionfare mentre il popolo ebraico è duramente oppresso, vengono minacciati da un diluvio di fuoco, zolfo, bitume e pece ardente, mentre il Popolo di Dio si salverà, così come si sono salvati i tre giovani gettati nella fornace a causa della loro fede.
Il "Cantico di Frate Sole" di San Francesco d'Assisi
Il
Cantico delle Creature ante litteram
In quella specie di giardino ventilato che
è diventato l'interno della fornace, il canto esplode nuovamente dalle bocche
di tutti e tre i giovani, non più del solo Azaria, dando vita ad uno dei più
bei salmi dell'intera Scrittura, che ha affascinato i lettori di ogni tempo ed
è stato tra le principali fonti ispiratrici del "Cantico delle Creature" di
San Francesco d'Assisi (1182-1226). Nella liturgia
cattolica lo si recita nelle Lodi Mattutine e nel Salmo Responsoriale della
Messa. Mentre il Cantico di Azaria era
un dialogo a tu per tu con il Signore, il Cantico dei Tre
Giovani nella Fornace (come tutti lo conoscono) ha l'aspetto di una lunga
litania, scandita da ben 39
benedizioni rivolte al Signore. In pratica, l'intero cosmo, dalle potenze
naturali fino agli uomini di più infima condizione,
sono invitati a rendere gloria all'Altissimo, che è l'unico degno di essere
esaltato con canti e preghiere. Non dunque l'idolo di Zeus; non il superbo
Antioco IV Epifane, rappresentato dall'antico re Nabucodonosor
e dalla sua pretenziosa statua; solo l'Altissimo è degno di essere venerato, e
solamente a Lui si deve rivolgere non solo l'assemblea cosmica cui Azaria,
Misaele e Anania si rivolgono, ma anche il popolo d'Israele perseguitato nel II
secolo a.C., evocato in prima persona al versetto 83.
L'apertura è simile a quella del Salmo precedente, dato che i tre giovani, che ora parlano all'unisono con una voce sola, si rivolgono direttamente al Signore:
« Allora quei tre giovani, a una sola voce, si misero a lodare, a glorificare, a benedire Dio nella fornace dicendo:
"Benedetto sei Tu, Signore, Dio dei padri nostri,
degno di lode e di gloria nei secoli.
Benedetto il Tuo nome glorioso e santo,
degno di lode e di gloria nei secoli.
Benedetto sei Tu nel Tuo Tempio santo glorioso,
degno di lode e di gloria nei secoli.
Benedetto sei Tu nel trono del tuo regno,
degno di lode e di gloria nei secoli.
Benedetto sei Tu che penetri con lo sguardo gli abissi
e siedi sui cherubini,
degno di lode e di gloria nei secoli.
Benedetto sei Tu nel firmamento del cielo,
degno di lode e di gloria nei secoli. » (Daniele 3, 51-56)
YHWH è presentato come Colui che si è rivelato ai Patriarchi e ha preso dimora nel Tempio di Gerusalemme, facendo di esso il trono del suo dominio universale. Il brano infatti è intessuto di riferimenti al Tempio di Sion: oltre alla citazione esplicita nel versetto 53, infatti, sono nominati i Cherubini, le cui immagini decoravano il coperchio dell'Arca dell'Alleanza. Il loro nome nome viene di solito associato al verbo accado "karabu", "pregare", e sono tradizionalmente associati alla Presenza di Dio. Infatti sono proprio loro che YHWH pone come custodi del Paradiso dopo la cacciata di Adamo ed Eva:
« Scacciò l'uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all'albero della vita » (Genesi 3, 24)
Nell'Antico Oriente il Tempio era concepito come una riproduzione in scala ridotta del Tempio Celeste, con gli angeli a guardia di esso, e dunque appare corretto che la descrizione del coro universale di gloria al Signore cominci proprio dalla dimora che Egli si è scelto sulla Terra. Dal Santuario di Gerusalemme e dall'Arca dell'Alleanza, Iddio estende il suo dominio sull'intero cosmo, rappresentato tramite gli "abissi" (il luogo più oscuro dell'universo, sede dei demoni e del caos) e tramite il "firmamento del cielo" (al contrario, la dimora della luce e di Dio). Con un procedimento tipico degli autori biblici, nominare questi due estremi significa nominare tutto lo spazio cosmico che vi è in mezzo, così come l'espressione « da Dan a Bersabea » (1 Samuele 3, 20), indicando i limiti estremi settentrionale e meridionale della Terra Promessa, intende rappresentare l'intero territorio dato in eredità alle tribù d'Israele.
Da notare però che, come annunciava il Salmo di Azaria, il Tempio di Gerusalemme è stato distrutto dai babilonesi alcuni anni prima; come mai, allora, i tre giovani nella fornace parlano di esso come se fosse ancora in piedi? Anche in questo caso, la spiegazione è semplicissima. Per bocca loro, l'autore sacro non allude al Tempio di Salomone, bensì a quello di Zorobabele che esisteva al tempo dei Maccabei, un'ulteriore prova del fatto che il testo è assai posteriore agli eventi che vuole narrarci.
Giovanni di Paolo (1403-1483),
"La creazione del mondo", 1445,
tempera e oro su legno, Metropolitan Museum of Art, New York
Dal
firmamento alla corte celeste
Da qui in poi, il salmo si snoda
attraverso una formula fissa: "Benedite",
più il nome delle creature cui ci si riferisce, sempre al plurale, spesso
accoppiate a due a due, cui segue "il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli". Sembra proprio una canzone da
intonare su qualche strumento musicale dell'epoca, forse proprio quelli citati
al versetto 5 (che non servono più per onorare Nabucodonosor o Marduk, ma
l'Unico veramente degno di benedizione!) Il modello per questo inno è
probabilmente fornito dal Salmo 148, nel quale la
formula fissa è rappresentata da un "Lodatelo", cui seguono due
realtà tra loro accoppiate, anche se con qualche variazione sul tema, che qui
invece sembra fisso. Vediamo chi sono i protagonisti di questa vera e propria
sinfonia universale. Indicizzerò con numeri progressivi le benedizioni del
Cantico, onde distinguerle meglio da citazioni di altro genere:
1
« Benedetto sei Tu nel firmamento del cielo,
degno di lode e di gloria nei secoli. » (Daniele 3, 56)
Il "firmamento del cielo" è la cupola trasparente che separa le acque inferiori dalle acque superiori, citate nei primissimi versetti della Genesi:
« Dio disse: "Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque". Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che sono sopra il firmamento. E così avvenne. Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno. » (Genesi 1, 6-8)
Come abbiamo detto nel mio ipertesto dedicato a Genesi 1-11, gli Ebrei (e tutte le culture mesopotamiche con loro) immaginavano l'universo come uno spazio interamente circondato dalle acque, simbolo del caos e del male: il cielo diurno infatti appare azzurro perchè sopra di esso vi è un oceano celeste, le famose "acque superiori". Il secondo giorno dell'Eptamerone, Iddio separa le acque inferiori (oceano, mari, laghi, fiumi, abissi) da quelle superiori, aprendo nel mezzo uno "spazio vuoto" nel quale, il terzo giorno, crea la Terra asciutta. Rimando al suddetto ipertesto per le somiglianze tra questa descrizione ed analoghi miti babilonesi, visto che Genesi 1 fu messa per iscritto dalla cosiddetta Tradizione Sacerdotale proprio durante l'esilio a Babilonia. Il firmamento è appunto la cupola solida e trasparente deputata a separare l'oceano stellare da quello terrestre, e siccome essa fu la prima realtà materiale ad essere creata dopo la luce (che in questo inno non viene citata), è giusto che Anania, Misaele e Azaria decidano di partire proprio da qui.
2
« Benedite, opere tutte del Signore, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 57)
Abbastanza a sorpresa, quello che dovrebbe essere il versetto introduttivo del lungo fiume di benedizioni è posto in seconda posizione, proprio sotto il "firmamento". Ciò può essere interpretato ricordando che il firmamento era anche la sede della Divinità.
3
« Benedite, angeli del Signore, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 58)
All'improvviso, tra i vari elementi naturali, ecco comparire i puri spiriti della Corte celeste. Ma non deve stupire, visto che l'angelologia ebraica ebbe inizio proprio sotto l'influsso della cultura babilonese, e del resto anche il Salmo 148 ha queste creature in seconda posizione:
« LodateLo, voi tutti,
Suoi angeli,
lodateLo, voi tutte, Sue schiere. » (Salmo 148, 2)
Nella Torah, l'angelo non appare distinguibile dal Signore stesso. Ad esempio, quando YHWH appare ad Abramo alle querce di Mamre (Genesi 18), egli vede tre uomini, ma non è chiaro se si tratti di tre angeli o di Dio con due angeli, dato che essi parlano tutti con una voce sola. E nel celeberrimo episodio del roveto ardente, è "l'Angelo del Signore" a chiamare Mosè dal roveto, ma subito dopo il profeta sente: « Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe » (Esodo 3, 6). Invece, dall'Esilio a Babilonia in poi, l'angelo viene ad assumere una sua personalità ben distinta da quella di YHWH, come appare chiaro ad esempio dal libro di Tobia, in cui è l'Arcangelo Raffaele in persona (e non Dio, o una sua manifestazione), a salvare Tobia padre e figlio. Più avanti vedremo altri riferimenti alle schiere angeliche nel libro di Daniele.
4
« Benedite, cieli, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 59)
Di nuovo a sorpresa, si ritorna ai "cieli" nonostante il firmamento sia già stato apostrofato al versetto 56. Appare però corretta la ripetizione, poiché nella mitologia babilonese i "cieli" soprapposti erano più di uno, e ad ognuno di essi è associata una diversa schiera angelica. Si tratta, in embrione, della stessa visione cosmologica che porterà Dante ad associare gli Angeli al Cielo della Luna, gli Arcangeli al Cielo di Mercurio, i Principati al Cielo di Venere, le Potestà al Cielo del Sole, e così via. Dopo gli angeli, insomma, ecco invocate le loro sedi.
5
« Benedite, acque tutte, che siete sopra i cieli, il
Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 60)
Si ritorna alla visione cosmologica cui si è accennato sopra. Qui ad essere invocate sono proprio le acque che rendono azzurro il cielo, responsabili delle precipitazioni atmosferiche e, naturalmente, anche del diluvio universale.
6
« Benedite, potenze tutte del Signore, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 61)
Queste "potenze" possono lasciarci sconcertati nella loro genericità, ma di solito si pensa che tale designazione indichi ad un tempo i fenomeni astronomici (stelle, pianeti, comete...) e le intelligenze angeliche deputate al loro controllo. I moti regolari degli astri erano infatti interpretati dagli astronomi caldei come dovuti alla precisa guida da parte di una creatura intelligente, una divinità pagana che poi diventa un essere di natura angelica nelle Scritture ebraiche. Anche il libro di Giobbe, nella sua parte conclusiva, cita i principali fenomeni naturali come opera della Provvidenza di Dio, ed associa le stelle ai "figli di Dio":
« [...] mentre gioivano in coro le stelle del mattino
e plaudivano tutti i figli di Dio? » (Giobbe 38, 7)
Questi "figli di Dio" ovviamente sono proprio gli angeli, come conferma l'apocrifo Libro dei Segreti di Enoc (ritenuto ispirato dalla Chiesa Copta), uno dei testi in cui l'angelologia ebraica è meglio sviluppata, e al quale accenneremo anche nel capitolo seguente.
7
« Benedite, sole e luna, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 62)
Dopo i fenomeni celesti in generale, ecco i luminari del firmamento, cioè i due fenomeni celesti per eccellenza, che governano l'alternarsi del giorno e della notte, creati da Dio nel Quarto Giorno (Genesi 1, 14-19). Nel II secolo a.C., sotto l'influsso greco, si cominciava a pensare che essi si muovessero incastonati in sfere rotanti, e non più semplicemente "appesi" alla cupola celeste come nella visione semitica. Questa "cosmologia delle sfere" sarà alla base del Paradiso dantesco e di tutte le descrizioni scientifiche dell'universo fino all'avvento di Galileo Galilei.
8
« Benedite, stelle del cielo, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 63)
Siccome Genesi 1, 16 cita le stelle insieme alle "due grandi luci", esse non potevano certo mancare in questo elenco. Si ricordi che nell'antichità le stelle erano per lo più interpretate come fori nel firmamento, i quali lasciavano intravedere la luce dell'Empireo attraverso di essi. Il Libro dei Segreti di Enoc dice che nel primo cieli gli angeli « condussero davanti al mio volto i capi, signori degli ordini delle stelle, e questi mi mostrarono i loro movimenti e i loro spostamenti da un tempo a un altro. Mi mostrarono duecento angeli che dominano sulle stelle e sulle combinazioni celesti » (IV, 1). Come si vede, le stelle sono messe e tenute in moto dalle stesse "potenze" che abbiamo visto introdotte al versetto 61).
Michelangelo, "La Creazione degli Astri", 1508-1512, volta della Cappella Sistina
La Sinfonia della Natura
9
« Benedite, piogge e rugiade, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 64)
Anche il "Cantico di Frate Sole" (vero titolo di quello che è meglio conosciuto come il "Cantico delle Creature") inizia con una benedizione rivolta al Padreterno (« Altissimu, onnipotente bon Signore, tue sò le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione ») e prosegue con un'invocazione a « messer lo frate Sole » e a « sora Luna e le stelle », ma subito dopo passa a dare gloria a Dio per i fenomeni atmosferici; e così fa anche quello che è il suo modello più evidente, il Cantico dei Tre Giovani. Mentre però San Francesco d'Assisi parte da « frate Vento », l'autore del Libro di Daniele parte da « piogge e rugiade », e c'è un motivo. Esse erano credute provenire dalle « acque superiori » citate al versetto 60, e quindi si tratta del "trait d'union" tra i fenomeni astronomici e quelli meteorologici!
10
« Benedite, o venti tutti, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 65)
I venti, come si vede, qui vengono in seconda posizione. Allora non si sapeva che essi sono originati da variazioni di pressione e temperatura atmosferica, ed erano ritenuti opera di intelligenze preternaturali. Nell'Odissea di Omero tra i personaggi compare Eolo, il dio dei venti. Nel Libro dei Segreti di Enoc, invece, i venti sono governati da intelligenze angeliche (« [L'arcangelo] mi diceva tutte le opere del cielo, della terra e del mare, e i movimenti e le vite di tutti gli elementi, e il cambiamento degli anni, e i movimenti e le modificazioni dei giorni, e i comandamenti, le istruzioni e la dolce voce dei canti, e le salite delle nubi, e le uscite dei venti... » XXIII, 1).
11
« Benedite, fuoco e calore, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 66)
Il "fuoco" qui citato (« frate Focu » per San Francesco) non è solo la fiamma dei focolari o delle lucerne, ma anche quello degli incendi appiccati dai fulmini. Siamo dunque ancora tra i fenomeni atmosferici.
12
« Benedite, freddo e caldo, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 67)
Si noti che, come il caldo è svincolato dal fuoco, così il freddo lo è dalle brinate che vengono subito dopo.
13
« Benedite, rugiada e brina, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 68)
Come la pioggia, così brina e rugiada sono associate ad intelligenze angeliche (esattamente come nelle mitologie mesopotamiche vi era un nume tutelare per ciascuna di esse). Lo testimonia ancora una volta il Libro dei Segreti di Enoc, in cui il patriarca antidiluviano dice: « Le abitazioni delle nubi, le loro bocche, le loro ali, le loro piogge e le loro gocce io le ho investigate, e ho scritto il rombo del tuono e la meraviglia del lampo » (XL, 8-9a).
14
« Benedite, gelo e freddo, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 69)
Ripetizione non spiegabile del "freddo" invocato al versetto 67.
15
« Benedite, ghiacci e nevi, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 70)
Anche qui ricorriamo al Libro dei Segreti di Enoc: « Io ho scritto i depositi delle nevi, i magazzini dei ghiacci e ogni spirito del freddo. Io ho osservato come in certe epoche i loro custodi riempiano le nubi e i depositi non si vuotino » (XL, 10). E il Salmo 148?
« Lodate il Signore dalla terra,
mostri marini e voi tutti abissi,
fuoco e grandine, neve e nebbia,
vento di bufera che obbedisce alla Sua parola... » (Salmi 148, 7-8)
Come si vede, esso riunisce in una sola invocazione di lode quella che per i Tre Giovani nella Fornace è scomposta in ben cinque benedizioni ai versetti 65, 66, 68, 69 e 70, aggiungendo per di più gli "abissi" (contraltare speculare alle acque sopra il cielo) con gli orribili mostri che li popolano! (vedi versetto 79)
16
« Benedite, notti e giorni, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 71)
Siamo ai protagonisti dell'alternarsi del tempo: il ciclo del giorno e della notte. Così scrive l'autore del suddetto libro di Enoc: « Gli angeli mi portarono verso l'oriente del cielo e mi mostrarono le porte attraverso le quali il sole sorge secondo i tempi fissati e secondo i circuiti della luna di tutto l'anno e secondo la diminuzione e l'allungamento dei giorni e delle notti » (XIII, 1). Anche in questo caso come ai versetti precedenti, dunque, non si chiede alla brina, al freddo o alla notte di benedire YHWH, perchè esse sono tutte prive di ragione; ad essere invocate sono le creature angeliche preposte al corretto funzionamento di tali fenomeni, in un'epoca che precedeva di molti secoli il formarsi di una mentalità scientifica nell'investigazione dell'universo.
17
« Benedite, luce e tenebre, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 72)
Da notare come la "luce" e le "tenebre" (protagoniste del celebre Prologo di Giovanni) non abbiano alcuna relazione con i fenomeni astronomici che le producono, cioè il sole, la luna, le stelle e l'alternarsi del ciclo notte-giorno. Non si tratta di qualcosa di sorprendente: la luce all'epoca era considerata una realtà a sé stante dalla sorgente che la produceva, qualunque essa fosse. Anche nella Genesi Iddio crea la luce al versetto 3, prima di ogni altra creatura, mentre il sole e la luna, le "luci nel firmamento", sono create solo tre giorni più tardi, al versetto 14 e seguenti.
18
« Benedite, folgori e nubi, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 73)
La carrellata dei fenomeni atmosferici si chiude con i fulmini, tradizionalmente associati alle nubi del cielo. Non può non tornare in mente il « Laudato si', mi' Signore, per frate Focu » di Francesco d'Assisi, che è detto « bello et iocundo et robustoso et forte ».
19
« Benedica la terra il Signore,
Lo lodi e Lo esalti nei secoli. » (Daniele 3, 74)
Siamo arrivati al mondo popolato dagli uomini. Anche in questo caso è impossibile non pensare al francescano « Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba. »
20
« Benedite, monti e colline, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 75)
Prima di passare alle creature della terra (i "diversi fructi con coloriti fiori et herba"), l'autore del libro di Daniele passa in rassegna le montagne, citate anche nel versetto 9 del Salmo 148. Stavolta anziché il Libro di Enoc mi viene in mente una delle più famose liriche di John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973), contenuta nel Libro II, Capitolo IV del primo volume del "Signore degli Anelli": « The world was young, the mountains green, / No stain yet on the Moon was seen... » (« Giovane era il mondo e le montagne verdi, / sulla Luna ancora non v'era macchia da vedersi... »)
21
« Benedite, creature tutte che germinate sulla terra, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 76)
Ed eccoci alle creature che germinano sulla Terra, cioè al mondo vegetale. Il salmo 148 al versetto 9b precisa invece: « [Lodate il Signore voi] alberi da frutto e tutti voi, cedri ». Il cedro del Libano è uno degli alberi più maestosi della Terrasanta, e con il suo legno fu costruito il Tempio di Salomone.
Erastus Salisbury Field, "Il Giardino dell'Eden", 1860, Museum of Fine Arts, Boston.
Divinità dei fiumi e mostri marini
22
« Benedite, sorgenti, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 77)
Passiamo ora ai corsi d'acqua, indispensabili per la vita animale e vegetale. Ricordiamo che nella mitologia greca alle fonti erano associate delle particolari divinità minori, le Naiadi (dal greco νάειν, "fluire"). Appare logico pensare che simili deità fossero presenti anche nei miti cananei preisraelitici, e che poi esse fossero trasformate in creature angeliche.
23
« Benedite, mari e fiumi, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 78)
Mari e fiumi non sono citati né nel Salmo 148 né nel Cantico di Frate Sole, se non indirettamente attraverso "sora Acqua", ma la loro citazione è importante alla luce di quanto dicevamo al versetto precedente. Se può parervi strano che possano essere associate delle intelligenze anche ai corsi d'acqua, vi invito a prendere in considerazione uno degli episodi meno noti della Genesi, contenuto nel capitolo 32: la lotta del Patriarca Giacobbe con l'Angelo. In attesa di un incontro prevedibilmente burrascoso con suo fratello Esaù, al quale ha rubato con un sotterfugio la primogenitura e la benedizione paterna, Giacobbe fa passare alle sue mogli, figli e servi il torrente Yabbok, oggi identificato con lo Zarqa in Giordania, uno uadi tributario di destra del fiume Giordano; e qui, rimasto solo, viene improvvisamente aggredito da un misterioso figuro, con il quale lotta tutta la notte. L'assalitore non riesce ad aver ragione di lui, pur avendogli paralizzato il nervo sciatico (ragion per cui Giacobbe zoppicherà per il resto dei suoi giorni), ed allora chiede di interrompere il combattimento perchè spunta l'aurora; ed a questo punto, in modo abbastanza misterioso, il patriarca chiede di benedirlo proprio a colui che ha cercato di ucciderlo. L'uomo senza volto replica:
« Gli domandò: "Come ti chiami?" Rispose: "Giacobbe." Riprese: "Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini, e hai vinto!" » (Genesi 32, 28-29)
L'etimologia popolare infatti fa derivare Israele da "lottare con JHWH". Ma che c'entra YHWH? E perchè lotta con Giacobbe? La spiegazione è abbastanza semplice. Nelle mitologie pagane ad ogni corso d'acqua è associata una deità, e per passare sull'altra riva è necessario pagarle un pedaggio, oppure lottare con essa, evidente ipostasi della difficoltà incontrata nel guadare il fiume o attraversarlo a nuoto, vincendone la corrente. I popoli cananei credevano che anche lo Yabbok avesse il suo nume tutelare, e dunque in origine il racconto della lotta di Giacobbe parlava in realtà di un eroe mitico che riesce a sconfiggere tale dio. All'arrivo degli Ebrei in Transgiordania, tale racconto fu attribuito al patriarca Giacobbe ed usato per spiegare perchè egli zoppicava, perchè gli Ebrei non mangiano il nervo sciatico degli animali (Gen 32, 32) e soprattutto perchè a lui e al popolo nato dai suoi discendenti fu attribuito il nome di Israele, già attestato nella cosiddetta Stele di Merenptah, datata al 1208 a.C. (in realtà sulla reale etimologia del nome Israele non c'è accordo tra gli studiosi). Ovviamente al dio pagano del fiume Yabbok è sostituito l'Unico Signore, qui rappresentato come sempre da un suo angelo. Ed ecco un bell'esempio di intelligenza angelica associata ad un fiume!
24
« Benedite, mostri marini e quanto si muove nell'acqua, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 79)
Troviamo qui i mostri marini citati dal salmo 148 al versetto 7, associati a tutte le più comuni specie di pesci ("quanto si muove nell'acqua"). Ma di quali mostri parla l'autore biblico? In realtà, pur se poco noti al grande pubblico, che alla locuzione "mostro marino" associa piuttosto la prova gigante che divora Jack Sparrow nel secondo capitolo della saga di "Pirati dei Caraibi", la Bibbia pullula di mostri degli abissi. Il più noto è sicuramente il Leviatano (dall'ebraico "contorto", per allusione al serpente). Ecco come lo descrive il Libro di Giobbe, in mezzo alle altre meraviglie create da Dio:
« Dalla sua bocca partono vampate, sprizzano scintille di fuoco. Dalle sue narici esce fumo come da caldaia, che bolle sul fuoco. [...] Stima il ferro come paglia, il bronzo come legno tarlato. [...] Al di sotto ha cocci acuti e striscia come erpice sul molle terreno. Fa ribollire come pentola il gorgo, fa del mare come un vaso da unguenti. [...] Nessuno sulla terra è pari a lui, fatto per non aver paura. Lo teme ogni essere più altero; egli è il re su tutte le fiere più superbe. » (Giobbe 41,11-12.19.22-23.25-26)
L'origine di questo mostro è sconosciuta. Secondo alcuni il Leviatano agli occhi degli antichi Ebrei aveva l'aspetto di un coccodrillo, come suggerisce il versetto "al di sotto ha cocci acuti" (Giobbe 41, 22): questi cocci fanno pensare a grosse scaglie. In tal caso il mito del Leviatano potrebbe essersi originato dal culto egiziano del dio-coccodrillo Sobek, durante la permanenza degli Ebrei in Egitto. I miti egiziani della creazione affermano infatti che proprio Sobek sarebbe stato il primo essere ad emergere dalle acque del caos primordiale, miti suggeriti dall'abitudine del Coccodrillo del Nilo di restare immerso nel fango per comparire inaspettatamente all'approssimarsi di una preda. Altri esegeti invece sostengono che il mito si è originato molto più tardi, proprio durante l'esilio a Babilonia, sul modello della dea babilonese Tiamat, il drago che incarna la potenza delle acque primordiali. Hermann Melville (1819-1891), l'autore di "Moby Dick" (1851), identifica invece il Leviatano con la balena. Vi sono anche dei gruppi integralisti cristiani che rifiutano la teoria dell'evoluzione ed identificano il Leviatano con un plesiosauro o un altro grande rettile marino, portando la sua descrizione come prova del fatto che i dinosauri e gli uomini sarebbero convissuti nella stessa epoca, contrariamente a chi sostiene che l'uomo si è evoluto milioni di anni dopo l'estinzione dei dinosauri.
In ogni caso, è evidente l'identificazione del temibile Leviatano con il male che, come abbiamo visto, nella mente degli israeliti è sempre connesso al tempestoso mare. Non tutti però ne danno una descrizione mostruosa, limitandosi a presentarlo come il massimo campione di tutti gli animali marini. Il Leviatano è usato come simbolo di tutte le creature che vivono nel mare anche in Gen 1, 21 e nel salmo 104; in quest'ultimo è immaginato quasi come un delfino che si diverte a sguazzare nelle acque:
« Ecco il mare spazioso e vasto:
lì guizzano senza numero animali piccoli e grandi.
Lo solcano le navi, e il Leviatano che hai plasmato
perché in esso si diverta. » (Salmo 104, 25-26)
Secondo l'apocrifa Apocalisse Siriaca di Baruc (XXIX, 4), proprio l'uccisione del Leviatano da parte dell'arcangelo Michele darà inizio alla fine del mondo. Non è da escludere che il mito del Leviatano abbia ispirato la creazione della "bestia del mare" con sette teste e dieci corna dell'Apocalisse di Giovanni (13, 1). Ed ora, torniamo al Cantico di Anania, Misaele e Azaria.
Tintoretto, La creazione degli animali, 1550-1553, olio su tela, Venezia, Gallerie dell'Accademia
25
« Benedite, uccelli tutti dell'aria, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 80)
Dopo i pesci, ecco gli uccelli, invocati direttamente (senza bisogno di intermediari angelici) trattandosi di esseri viventi.
26
« Benedite, animali tutti, selvaggi e domestici, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 81)
Non mancavano che gli animali terrestri, divisi in selvatici e domestici. Da notare che la classificazione del Regno Animale qui adottata è la stessa (e nello stesso ordine) che si ritrova nel primo capitolo della Genesi. Ivi infatti nel quinto giorno vengono creati « i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque » e « tutti gli uccelli alati » (versetto 21), precisando « secondo la loro specie ». Nel sesto giorno invece tocca a « bestiame, rettili e bestie selvatiche » (versetto 24). Sono distinti anche qui gli animali utili all'uomo e quelli allo stato brado, con l'aggiunta dei rettili; è probabile che tali versetti siano stati tenuti presenti dall'autore che ha inserito questo Cantico nel Libro di Daniele, per enumerare la sua carrellata di creature unite nella loro Lode a Dio. Il salmo 148, invece, al versetto 10 si limita ad accomunare « voi fiere e tutte le bestie, rettili e uccelli alati ». Ma nel sesto giorno viene creato anche qualcun altro...
Quelli ke perdonano per lo Tuo amore
27
« Benedite, figli dell'uomo, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 82)
In Gen 1, 26 infatti è l'umanità ad entrare in scena. E, siccome il Libro di Daniele è dedicato anzitutto ai Giudei perseguitati da Antioco IV, l'orizzonte dell'autore non può che restringersi al Popolo Eletto:
28
« Benedica Israele il Signore,
lo lodi e lo esalti nei secoli. » (Daniele 3, 83)
Israele è invitato ad unirsi alla lode universale di tutte le creature al Signore dell'Universo, anziché recriminare perché JHWH non interviene di persona contro il prepotente persecutore. Ma all'interno del popolo di Giuda si distingue tra ministri del culto e semplici fedeli:
29
« Benedite, sacerdoti del Signore, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 84)
Prima vengono i Sacerdoti, che devono dare per primi il buon esempio, come fece il vecchio Eleazaro in un famoso episodio del sesto capitolo del Secondo Libro dei Maccabei. Da notare che Eleazaro significa "Dio aiuta"; quindi, senza voler mettere in dubbio la storicità del suddetto episodio, Eleazaro può essere considerato simbolo di tutto l'Israele che deve preferire la morte all'apostasia, certo dell'aiuto del Signore, che sempre merita ogni benedizione nei secoli.
30
« Benedite, o servi del Signore, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 85)
I "servi del signore" sono ovviamente tutti i fedeli, e quindi qualunque lettore del libro (noi inclusi). Da notare che il Salmo 148 ai versetti 11-12 preferisce invece una suddivisione politica, enumerando prima « i re della terra e i popoli tutti, i governanti e i giudici della terra », e poi distinguendo all'interno dei semplici fedeli « i giovani e le fanciulle, i vecchi insieme ai bambini ». San Francesco nel suo Cantico si limita ad accomunare tutti, ricchi e poveri, deboli e potenti, nell'efficacissimo « Laudato sì’, mi’ Signore per quelli ke perdonano per lo Tuo amore, et sostengono infirmitate et tribolazione » (non si deve dimenticare che Francesco era molto malato e quasi cieco, quando scrisse questo celeberrimo inno).
31
« Benedite, spiriti e anime dei giusti, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 86)
La lode viene intonata non solo dai vivi, ma anche dai morti! Segno certo, questo, del fatto che all'epoca della composizione di questo libro si era già radicata in Israele la fede nell'immortalità dell'anima (secondo alcuni, proprio sotto l'influsso degli odiati Greci!), come vedremo ancora più avanti nel testo, e come appare chiaro anche nei Libri dei Maccabei (nella Torah invece questa fede non è mai esplicitamente professata). Può appare stupefacente l'accostamento dei due termini: "spiriti" e "anime", senza che si possa capire quale distinzione vi è fra di essi. Si tratta in realtà di una figura retorica di uso frequente nella Bibbia: accostare due termini di significato simile per rafforzarne la semantica. Lo ritroviamo anche nel Libro di Isaia:
« La mia anima anela a te di notte,
al mattino il mio spirito ti cerca... » (Isaia 26, 9a)
Nel Nuovo Testamento, San Paolo assocerà a spirito ed anima il termine "corpo" per indicare la totalità dell'essere umano, ad esempio in 1 Tessalonicesi 5, 23.
Marc Chagall, "La Creazione dell'Uomo", 1958, olio su tela
32
« Benedite, pii e umili di cuore, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli. » (Daniele 3, 87)
Ecco « quelli ke perdonano per lo Tuo amore » di San Francesco d'Assisi! L'espressione "umili di cuore" ricorre con frequenza nelle Scritture, ed è la traduzione del greco "tapeinoi", che si pensa potrebbe essere una descrizione dell'ebraico « 'anawim ». Tale termine, usato ad esempio in Isaia 60, 1, può indicare anche i poveri, gli afflitti e gli oppressi; ed allora la mente non può non correre per l'ennesima volta al popolo ebraico perseguitato dagli Ellenisti. L'accostamento tra "pii" ed "umili" risulta perciò una riedizione della figura retorica spiegata al versetto precedente, qui utilizzata per indicare l'intero Popolo di Dio oppresso da Antioco Epifane.
33
« Benedite, Anania, Azaria e Misaele, il Signore,
lodateLo ed esaltateLo nei secoli,
perché ci ha liberati dagl'inferi,
e salvati dalla mano della morte,
ci ha scampati di mezzo alla fiamma ardente,
ci ha liberati dal fuoco. » (Daniele 3, 88)
Da ultimo, ecco un versetto molto più lungo degli altri, con il quale l'attenzione del salmista si concentra sui tre autori dell'inno. Essi hanno un motivo chiaro per lodare ed esaltare Dio: Questi li ha salvati dal fuoco della fornace per mezzo del Suo Angelo. Ripetendo questo versetto, i contemporanei dei Maccabei sentivano riferite queste parole a loro stessi, e così venivano confermati nella fede del prossimo arrivo del Signore che con mano potente li avrebbe liberati dalla tirannide (e così in effetti avvenne).
Tavola
sinottica
Sommando a questi 33 inviti a benedire
YHWH le sei benedizioni rivolte direttamente a Lui in Daniele 3, 51-56 con la
formula « Benedetto sei Tu... », arriviamo così
al numero 39 anticipato all'inizio. Ma, siccome 40 è uno dei protagonisti
principali della numerologia biblica, fin dai quarant'anni di Israele nel
deserto, non si poteva certo evitare di raggiungere questa cifra. L'autore ci
riesce aggiungendo una formula di benedizione conclusiva:
« Lodate il Signore, perché
Egli è buono,
perché la Sua grazia dura sempre.
Benedite, fedeli tutti, il Dio degli dèi,
lodateLo e celebrateLo, perché la sua grazia dura sempre. » (Daniele 3, 89-90)
Tale formula ricorda quella del salmo 135, in cui si ripete per 26 volte, tanti quanti sono i versetti dell'inno, la formula « perché eterna è la Sua misericordia ». Qualcuno ha parlato al proposito di "formula liturgica", giacché ricorda le preghiere scritte per essere recitate a memoria, con un ritornello che si ripete ad intervalli regolari; da qui l'ipotesi che il Cantico dei Tre Giovani nella Fornace fosse, in origine, un inno a se stante usato nella liturgia degli Ebrei della Diaspora (e per questo in lingua greca), inclusa in un secondo momento nel testo di Daniele dopo averlo "adattato" alla situazione di Anania, Azaria e Misaele. In ogni caso, questo Cantico brilla per la sua bellezza tra le composizioni poetiche dell'intera Bibbia e, pur essendo deuterocanonico, appare più che giustificata la scelta di inserirlo nel Canone da parte di Cattolici ed Ortodossi.
Tentiamo ora un confronto tra l'inno che abbiamo letto insieme, il Salmo 148 e il Cantico delle Creature di San Francesco d'Assisi. Inseriamo in una tavola sinottica le creature elencate in queste opere, accanto al numero del versetto corrispondente per evidenziare il diverso ordinamento, a partire da quello di Dan 3:
Daniele, capitolo 3 | Salmo 148 | Cantico di Frate Sole |
57 Opere tutte | 7 tucte le Tue creature | |
58 angeli | 2 angeli | |
59 cieli | 4a cieli dei cieli | |
60 acque sopra i cieli | 4b acque sopra i cieli | |
61 potenze del Signore | ||
62 sole e luna | 3 sole e luna | 8 frate Sole, 12a sora Luna |
63 stelle del cielo | 12b le stelle | |
64 piogge e rugiade | ||
65 venti | 8c vento di bufera | 13 frate Vento |
66 fuoco e calore | 8a fuoco | 18 frate Focu |
67 freddo e caldo | 14 aere et nubilo et sereno | |
68 rugiade e brina | ||
69 gelo e freddo | ||
70 ghiacci e nevi | 8b grandine, neve e nebbia | |
71 notti e giorni | ||
72 luce e tenebre | ||
73 folgori e nubi | ||
74 terra | 21 sora madre Terra | |
75 monti e colline | 9a monti e colline | |
76 creature germinate sulla terra | 9b alberi da frutto e cedri | 23 fructi con coloriti fiori et herba |
77 sorgenti | 16 sora Acqua | |
78 mari e fiumi | ||
79 mostri marini e pesci | 7 mostri marini e abissi | |
80 uccelli | 10b uccelli | |
81 animali selvaggi e domestici | 10a fiere e tutte le bestie, rettili | |
11 re e popoli tutti | ||
82 figli dell'uomo | 12 giovani e fanciulle, vecchi e bambini | |
83 Israele | ||
84 sacerdoti | ||
85 servi del Signore | ||
86 spiriti e anime dei giusti | 28 sora Morte corporale | |
87 pii e umili di cuore | 24 quelli ke perdonano per lo Tuo amore | |
88 Anania, Azaria e Misaele |
I versetti considerati sono 33. Di essi, solo quattro, quelli evidenziati in bianco, sono presenti in tutte e tre le opere, e riguardano sole e luna, vento, fuoco e il mondo vegetale. Nove, e sono quelli evidenziati in giallo, sono presenti in Dan 3 e nel Salmo 148: angeli, cieli, acque sopra i cieli, grandine e neve, monti e colline, mostri marini, uccelli, animali terrestri, l'umanità. Sette, evidenziati in azzurro, sono comuni a Daniele e a San Francesco: tutte le creature, le stelle, l'atmosfera, la madre Terra, le acque, la morte, i Santi. Undici, evidenziati in verde, sono esclusivi di Daniele; ed uno solo, in rosso, lo troviamo solamente nel salmo (i re e i loro popoli). Lo schema mostra non solo la lunghezza e la ricchezza dell'inno dei Tre Giovani. ma anche la scarna semplicità ed essenzialità del Cantico di Frate Sole, che ne ha decretato il successo nei secoli. Francesco elimina tutti gli elementi legati a cosmologie antiche e lontane dalla sensibilità popolare, come le acque sopra i cieli e i mostri marini, che invece ritroviamo anche nel Salmo 148, tuttavia sceglie di tralasciare anche elementi che noi forse giudicheremmo fondamentali, come gli angeli, i giorni e le notti, gli animali. E soprattutto, a differenza di Anania, Azaria e Misaele, non parla di se stesso, anche se noi sappiamo che tra "quelli ke perdonano per lo Tuo amore" vi è senz'altro anche lui.
Girolamo Romani detto il
Romanino (1485-1566),
Anania, Azaria e Misaele nella fornace ardente,
chiesa di Sant'Antonio Abate a Breno (BS), 1535
La
lode al "Dio Altissimo"
Qui termina la sezione in lingua greca del
capitolo 3 di Daniele, e riprende la sua narrazione l'autore in lingua aramaica;
noi scegliamo di continuare la numerazione fin qui seguita, senza ricominciare
dal versetto 25. Ricordate? Avevamo lasciato i tre giovani che « passeggiavano in mezzo alle fiamme, lodavano Dio e benedicevano il
Signore ». E qual è la reazione del sovrano babilonese e della sua corte?
« Allora il re Nabucodonosor rimase stupito e, alzatosi in fretta, si rivolse ai suoi ministri: "Non abbiamo noi gettato tre uomini legati in mezzo al fuoco?" "Certo, o re", risposero. Egli soggiunse: "Ecco, io vedo quattro uomini sciolti, i quali camminano in mezzo al fuoco, senza subirne alcun danno; anzi il quarto è simile nell'aspetto a un figlio di dèi". » (Daniele 3, 91-92)
Di fronte al grande miracolo cui ha assistito, il re non può far altro che riconoscere la soprannaturalità dell'evento. Egli stesso distingue tra le fiamme un quarto essere vivente, che è detto "simile a un figlio di dèi". Da buon pagano, non usa l'espressione "figlio di Dio" che nella Bibbia indica inequivocabilmente un Angelo, ma lo identifica con una delle deità minori del suo pantheon, usando "dèi" al plurale. Subito dopo, però, riconosce la superiorità del Dio di Israele sui propri, indicandolo con il termine di "Dio Altissimo":
« Allora Nabucodonosor si accostò alla bocca della fornace con il fuoco acceso e prese a dire: "Sadràch, Mesàch, Abdènego, servi del Dio Altissimo, uscite, venite fuori". Allora Sadràch, Mesàch e Abdènego uscirono dal fuoco. Quindi i satrapi, i prefetti, i governatori e i ministri del re si radunarono e, guardando quegli uomini, videro che sopra i loro corpi il fuoco non aveva avuto nessun potere; che neppure un capello del loro capo era stato bruciato e i loro mantelli non erano stati toccati e neppure l'odore del fuoco era penetrato in essi. » (Daniele 3, 93-94)
L'espressione "Dio Altissimo" è la stessa usata per indicare il sacerdozio di Melchisedek nella vicenda di Abramo:
« Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio Altissimo e benedisse Abramo con queste parole: "Sia benedetto Abramo dal Dio altissimo, Creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio Altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici." » (Genesi 14, 18-20)
Secondo alcuni esegeti, questo titolo divino faceva parte della religione cananea preisraelitica, e precisamente di quella dei Gebusei, la tribù cananea che controllava Gerusalemme (Salem nel testo della Genesi) prima della sua conquista da parte di Davide. In seguito alla conquista, gli Ebrei avrebbero adottato tale designazione per YHWH, sottolineando così il Suo dominio sul creato, dal momento che abitava sulle "acque sopra il cielo". Allora l'autore del Libro di Daniele pone in bocca a Nabucodonosor proprio tale titolo per specificare l'universalità del potere di YHWH: come Melchisedek, anche il sovrano babilonese è uno straniero che riconosce le grandi opere di Dio.
A questo punto, è lo stesso sovrano ad esaltare la coerenza e la fedeltà al loro Dio dei tre giovani, i quali, pur di non tradire la loro fede, sono stati disposti ad andare incontro alla morte:
« Nabucodonosor prese a dire: "Benedetto il Dio di Sadràch, Mesàch e Abdènego, il quale ha mandato il suo angelo e ha liberato i servi che hanno confidato in lui; hanno trasgredito il comando del re e hanno esposto i loro corpi per non servire e per non adorare alcun altro dio che il loro Dio. Perciò io decreto che chiunque, a qualsiasi popolo, nazione o lingua appartenga, proferirà offesa contro il Dio di Sadràch, Mesàch e Abdènego, sia tagliato a pezzi e la sua casa sia ridotta a un mucchio di rovine, poiché nessun altro dio può in tal maniera liberare." » (Daniele 3, 95-96)
Addirittura il decreto enunciato ai versetti 4-6 di questo lungo ed emozionante capitolo viene rovesciato. Prima, chi non adorava la statua del re (abbiamo visto che in realtà si trattava di una statua di Marduk con le sembianze del re) doveva essere bruciato vivo all'istante; ora, al contrario, chi offenderà YHWH sarà squartato e la sua casa demolita, così che ne vada perduto persino il ricordo! Anche nel "Nabucco" di Verdi, dopo essere stato reso pazzo da YHWH e tradito da Abigaille, che gli ha usurpato il trono, il sovrano canta:
« Ah, prigioniero io sono!...
Dio degli Ebrei, perdono!
Dio di Giuda!... l'ara, il tempio
a te sacro, sorgeranno...
Deh, mi togli a tanto affanno
e i miei riti struggerò.
Tu m'ascolti!... Già dell'empio
rischiarata è l'egra mente!
Dio verace, onnipossente,
adorarti ognor saprò! » (Parte IV, Quadro I, Scena I)
Inevitabile l'happy end pure per i tre amici di Daniele:
« Da allora il re promosse Sadràch, Mesàch e Abdènego a cariche pubbliche nella provincia di Babilonia. » (Daniele 3, 97)
Da questo punto in poi, i tre giovani miracolati escono di scena e non saranno più nominati nel Libro di Daniele; ciò sembra una prova a favore del fatto che il racconto delle loro gesta era in origine indipendente dalla vicenda di Daniele, e solo in un secondo tempo fu interposto tra le due interpretazioni dei sogni di Nabucodonosor narrate nel secondo e nel quarto capitolo del nostro libro. Però essi sono citati almeno un'altra volta nella Sacra Scrittura, e precisamente nel Primo Libro dei Maccabei. Il Sacerdote Mattatia, patriarca dei Maccabei, prima di morire raduna i suoi figli intorno a sé e li esorta a rimanere fedeli alla fede dei loro padri, rievocando i principali protagonisti dell'epopea del popolo ebraico. Vengono così citati Abramo, Giuseppe, Pincas (nipote di Aronne, i Sommi Sacerdoti erano tutti suoi discendenti), Giosuè, Caleb, Davide, Elia, e quindi proprio i nostri tre giovani:
« Anania, Azaria e Misaele per la loro fede furono salvati dalla fiamma. » (1Mac 2, 59)
Subito dopo di loro, per ultimo è citato proprio Daniele, a testimonianza del fatto che la redazione del nostro libro è pressoché contemporanea a quello dei Maccabei.
Una
speranza per chi non ha speranza
Anche l'episodio che vede superstar Anania, Azaria e Misaele
ha però una piccola appendice, apparentemente slegata dal contesto. In essa si
riconosce una specie di editto, proclamato da Nabucodonosor a tutti i cittadini
del suo impero, evidentemente messo qui per far da contraltare al famigerato
editto della statua:
« Il re Nabucodonosor a tutti i popoli, nazioni e lingue, che abitano in tutta la terra: Pace e prosperità! M'è parso opportuno rendervi noti i prodigi e le meraviglie che il Dio
Altissimo ha fatto per me.
Quanto sono grandi i Suoi prodigi
e quanto straordinarie le Sue meraviglie!
Il Suo regno è un regno eterno
e il suo dominio di generazione in generazione. » (Daniele 3, 98-100)
In essa riconosciamo un saluto formale ("Pace e prosperità!") che vuole imitare i decreti regi, e quindi una vera e propria professione di fede nel Dio Altissimo, titolo pagano che Nabucodonosor continua ad attribuire al Dio d'Israele. Di Lui si riconosce che sa compiere prodigi meravigliosi, capace di stupire ogni uomo ed ogni generazione, e soprattutto che il Suo regno non avrà mai fine. Ma come, voi mi direte: proprio "Nabucco" ha distrutto il regno di Gerusalemme, ponendo fine a quella dinastia davidica cui per bocca del profeta Natan era stato promesso un regno eterno, ed ora lui stesso assicura a tutti i suoi sudditi che il Regno di YHWH non finirà mai? Come è possibile questo?
La risposta appare molto semplice. L'autore del Libro di Daniele (e quello dell'aggiunta deuterocanonica in greco che abbiamo analizzato sopra) viveva al tempo della persecuzione di Antioco Epifane, e vedeva quest'ultimo oltraggiare il Tempio di Gerusalemme, perseguitare i suoi correligionari, uccidere uomini, donne, vecchi e bambini che non si piegavano al culto idolatrico. Il sogno di questo ignoto pio ebreo del II secolo avanti Cristo era proprio quello che il perfido persecutore venuto dalla Macedonia riconoscesse la potestà di YHWH e confessasse davanti a tutti i sudditi la Sua superiorità su tutti i propri falsi déi. Ma poiché questo non sembrava realizzabile, egli decise di far sì che questo sogno si realizzasse perlomeno sulla carta. Prese in considerazione il nemico per eccellenza del popolo giudaico, colui che il Tempio non si era limitato a profanarlo ma lo aveva addirittura raso al suolo, cioè l'empio Nabucodonosor, e rielaborò una tradizione semileggendaria a lui preesistente, e risalente proprio all'epoca della deportazione a Babilonia, la quale sembrava ricalcare punto per punto la persecuzione abbattutasi sul suo popolo in epoca ellenistica. I tre giovani devoti al Signore non si limitarono a salvarsi dalla fornace in cui il malvagio sovrano li aveva fatti scaraventare; nel suo racconto, essi convertirono lo stesso re alla fede in YHWH, così che egli riconobbe la Sua superiorità su tutte le altre divinità. Esattamente quello che l'autore voleva accadesse al re siriano. Si tratta dello stesso principio che sta alla base del "Nabucco" di Verdi: nel sovrano che libera i Giudei e riconosce il Dio d'Israele, gli italiani di metà ottocento potevano sperare di intravedere l'odiata Austria che riconosceva finalmente l'indipendenza dell'Italia. E, se l'accostamento non appare illecito, è lo stesso procedimento che sta anche alla base del film "Bastardi senza gloria" ("Inglourious Basterds", 2009), scritto e diretto da Quentin Tarantino. In esso la giovane ebrea Shosanna Dreyfus, che ha assistito all'uccisione di tutta la propria famiglia per mano dei nazisti, riesce ad intrappolare e a far saltare in aria in un cinema di Parigi tutti i responsabili della Shoah, da Adolf Hitler ad Hermann Göring a Joseph Goebbels. "Ma le cose non sono andate così", mi direte voi: è vero, ma la trama del film rappresenta... un sogno. Una speranza, se preferite: la speranza dei sei milioni di ebrei sterminati nei campi di concentramento nazisti, che avrebbero voluto vedere a loro volta Hitler e tutti i gerarchi del suo satanico regime fare la loro stessa fine, bruciati in un incendio di proporzioni colossali, tanto da somigliare alle fiamme dell'inferno. Ebbene, anche il racconto dei Tre Giovani nella Fornace rappresenta un'analoga inconfessabile speranza: vedere i carnefici arsi vivi al posto delle loro vittime, e il campione del paganesimo riconoscere e proclamare al mondo la gloria di YHWH.
Ma ora torniamo a Daniele, che da questo episodio è stato assente poiché, come abbiamo visto, inizialmente Anania, Azaria e Misaele non avevano alcuna connessione con la vicenda del più noto profeta. Se volete vederlo all'opera per interpretare un nuovo sogno di Nabucodonosor, cliccate qui e passate alla pagina seguente.