La
"Ziggurat" di Babele
Gli
Ebrei, come si sa, sono stati schiavi a Babilonia dal 587 al 539 a.C., e quindi
avevano dei buoni motivi per odiare quella città, che aveva distrutto il loro Tempio e la loro nazione, e cercava anche di distruggere la loro fede. Ora, in
Babilonia gli Ebrei hanno visto quell'enorme torre a gradoni che era la ZIGGURAT,
cioè il tempio principale della città; dicono che fosse veramente alta ed
imponente, e non ci stupiamo, visto che ne è rimasta traccia anche nella
Bibbia! Questa ziggurat era, come detto, una torre a gradoni, simile non
tanto alle piramidi egizie, quanto piuttosto a quelle maya, che ancor oggi si
innalzano nell'America Centrale, fatte di parallelepipedi sovrapposti, più
piccoli via via che si sale verso l'alto, con alla sommità un tempietto.
Quindi, si trattava di un luogo di culto pagano, ostile al vero Dio. Ecco una
foto reale ed una ricostruzione della celebre Ziggurat di Ur, l'unica che sia
pervenuta fino a noi (di quella di Babilonia non restano che le fondamenta, il
che suona quasi come un ultimo segno di disapprovazione da parte di Dio!)
Noi ci sentiamo allora autorizzati a chiederci: questa ziggurat che impressione ha fatto agli Ebrei, quando sono arrivati come schiavi a Babilonia? Evidentemente, di sconfinata SUPERBIA. I Babilonesi erano così superbi che hanno voluto costruire i loro templi tanto in alto da voler sfidare, quasi da bucare il Cielo! In tal modo nasce un altro racconto, che si può definire eziologico nel senso che vuol giustificare l'esistenza di tanti popoli diversi sulla terra; ma questo è un suo aspetto secondario. Il vero nocciolo storico del racconto va recuperato proprio nell'odio provato dagli Ebrei per la superba Babilonia. Pensate: ancora nell'Apocalisse, che anche cronologicamente rappresenta uno degli ultimi libri del Nuovo Testamento, essa viene intesa come la NEMICA per eccellenza, tanto che il nome di Babilonia viene utilizzato anche per indicare Roma (Ap 17,1 - 18,24). Ancora oggi, influenzati dalla Bibbia ebraica, quando noi vediamo una confusione pazzesca, la definiamo una "Babilonia"!
E così, nasce l'idea che gli uomini, ad un certo momento della loro storia, si siano fermati in un punto preciso, la pianura di Sennaar. Tale località è menzionata otto volte nell'Antico Testamento, tra cui il capitolo 1 di Daniele e il capitolo 11 di Zaccaria, nei quali viene identificata con quella che attualmente è conosciuta come Mesopotamia Centrale, cioè il punto dove il Tigri e l'Eufrate avvicinano i loro corsi fino a 40 chilometri. Secondo la maggior parte degli studiosi, Sennaar è in relazione con l'egiziano Sangar (citato nei famosi testi di Tell el Amarna, la capitale di Achenaton) e con Singara, una cittadina ai piedi del monte omonimo in Mesopotamia, che fu colonia romana ai tempi dell'impero, ma c'è anche chi fa derivare questo termine da "Sumer". In ogni caso, si tratta di un paese povero di pietra, ma ricco di argilla e di bitume, proprio come la zona nella quale fu fondata la grande Babilonia. Ora ne restano solo rovine, ma essa, con Tebe "dalle cento porte" e poche altre, era considerata una delle città meravigliose del mondo pre-ellenico, tant'è vero che i giardini pensili di Babilonia, secondo la leggenda fatti costruire da Semiramide, erano considerati una delle sette meraviglie del mondo antico. E ciò non era poco, perchè cinque di esse (il colosso di Rodi, il Faro di Alessandria, la statua di Zeus ad Olimpia, la tomba di re Mausolo ad Alicarnasso e il tempio di Diana ad Efeso) erano GRECHE, e solo due (le piramidi di Gizah e, appunto, i giardini pensili) preesistevano alla grecità. Vuol dire che i Greci, che compilarono questa lista, li apprezzavano molto! (le piramidi egiziane rappresentano l'unica delle sette meraviglie esistente ancor oggi.)
Siccome Babilonia è così grande e superba, allora deve avere avuto un fondatore altrettanto superbo quanto lei. Questo fondatore è identificato dalla Genesi in NIMROD (o Nemrod), quello che Dante chiama "Nembrotte" alla fiorentina, e che è condannato all' inferno a non parlare alcuna lingua comprensibile e a non capirne nessuna, proprio perché "per lo suo mal coto [ pensiero ] / pur un linguaggio nel mondo non s'usa" (Inferno XXXI, 77-78). Costui è figlio di Cus, a sua volta figlio di Cam (come tutti i grandi eroi dell'antichità, gli si dà una genealogia ben precisa), e la Genesi ce lo dipinge come un forzuto, come una specie di "superman" o di "Goldrake" di quei tempi. L'Autore infatti sottolinea che egli fu "gran cacciatore al cospetto del Signore", perché la caccia era vista come una prova di forza contro le belve e contro la natura ostile; nel mondo semitico anzi era diventato un proverbio dire "gran cacciatore al cospetto del Signore, come Nimrod". Questo proverbio, evidentemente diffuso ai tempi dell'autore biblico (un po' come oggi sono diffusi "veloce come Achille" o "casta quanto Cleopatra"), viene puntualmente incastonato nel libro della Genesi, e gli viene data una eziologia.
Il
regno di Nimrod, il cacciatore
Si dice poi: "le primizie del suo regno furono Babel, Erech, Accad e Calne nella pianura di Sennaar". Di
Babel diremo più sotto. Erech è la Uruk patria di Gilgamesh, mentre
Accad era la capitale di Sargon, il sovrano più potente del III millennio a.C., fondatore del primo grande impero della storia umana: è possibile che
Nimrod abbia assorbito qualche "spacconata" attribuita all'eroe sumerico Gilgamesh e al potente re
accadico. Più misteriosa è invece Calne, che non corrisponde a nessuna delle grandi città della Mesopotamia nominata sui nostri libri di
storia. Il famoso archeologo William Foxwell Albright (1891-1971) ha proposto che questo non sia in realtà un nome proprio di città, ma solo la parola ebraica che significa "tutte". Il testo perciò andrebbe così letto: "le primizie del suo regno furono
Babel, Erech e Accad, tutte nella pianura di Sennaar". Ma, essendo essa menzionata anche in Amos
6, 2 e in Isaia 10, 9, c'è chi ha proposto l'identificazione con città realmente esistite. Il
primo fu San Gerolamo,
che suggerì di identificare Calne con Ctesifonte, la capitale dell’impero dei Parti e poi di quello Sasanide, assai potente alla sua epoca. Invece l'Easton Bible Dictionary del 1897, basandosi su alcune
citazioni del Talmud, collega Calne a Nippur, una delle più antiche città sumeriche, circa 60 miglia a sudest di Babilonia, nel sito dell’attuale Nuffar in
Iraq. Si tratta della Calne della Genesi? Altri esegeti hanno voluto vedere in Calne
il centro di Kullan-Koy nel nord della Siria, oppure Canneh, menzionata in Ezechiele
27, 23 come una delle città con le quali Tiro commerciava attivamente,
o ancora la città di Kainai menzionata da Senofonte sulla riva occidentale del Tigri, presso l'Alto Zab. In ogni caso, una Calne figura tra le conquiste dei sovrani assiri Salmanassar III e Tiglat-Pileser III.
La lista delle città fondate da Nimrod prosegue con Assur, Ninive, Rehobot-Ir e Calach. La città di Assur, che diede nome all'Assiria, era posta sul Tigri 350 Km a nord di Babilonia. Ben più nota di Assur è Ninive, che però (è un particolare ignoto a molti) fu capitale degli Assiri solo durante l'ultimo secolo del loro impero, il VII a.C. Prima di essere elevata a capitale dal re Sennacherib (704-681 a.C.), era solo un piccolo centro abitato, per quanto di origine antichissima, e dunque difficilmente Nimrod può averla fondata contemporaneamente alle altre metropoli dell'antica Mesopotamia come Babilonia, Uruk e Accad. Ai tempi della redazione finale del Pentateuco, tuttavia, Ninive era una città potentissima, e solo l'alleanza fra i popoli più bellicosi del mondo poté aver ragione di essa; di qui l'evidente anacronismo (l'Autore Biblico la credeva antica quanto Uruk). L'ubicazione di Rehobot-Ir non è nota; siccome tale espressione può significare "larghe strade", essa potrebbe far riferimento a Ninive stessa, piuttosto che ad una città differente, cosicché forse si dovrebbe leggere "Ninive dalle larghe vie" (un epiteto di sapore molto omerico). Calach fu fondata dal re Salmanassar I (1265-1233 a.C.) come nuova capitale dell'impero Assiro in sostituzione di Assur, ed oggi gli arabi la chiamano Nimrud, proprio in onore del suo leggendario fondatore. Il versetto 10, 11 dunque elenca tutte e tre le capitali assire: Assur, Ninive e Calach, attribuendone la fondazione al nipote di Cam. Il versetto successivo tuttavia aggiunge alla lista la città di "Resen tra Ninive e Càlach; e questa è la GRANDE CITTÀ". Quale delle tre sarà la grande città nella mente dell'Autore Biblico: Resen, Ninive o Calach? La logica vorrebbe Ninive, anche perchè non si conosce alcuna "grande città" della Mesopotamia chiamata Resen, fondata tra le due capitali assire. Alcuni hanno identificato Resen con Karamlish, nell'Iraq del nord, 30 km a sudest di Mossul: effettivamente era un centro abitato importante già nell'epoca sumerica, ma fu devastata durante la ribellione di Assurdaninpal contro suo padre, il re assiro Salmanassar III (859-824 a.C.), e declinò rapidamente. Tuttavia il re Sargon II (722-705 a.C.), il distruttore di Samaria, la fece restaurare e la utilizzò come sua capitale temporanea; secondo alcuni perciò questo è il motivo per cui l'Autore Biblico la definì "la grande città", essendolo effettivamente al tempo in cui si formò il testo delle imprese di Nimrod così come oggi ci è pervenuto. Nelle lingue semitiche "resen" può significare "serbatoio d'acqua", ed in effetti Karamlish sorge in un'oasi circondata da colline: il posto ideale, dunque, nel quale il mitico Nimrod avrebbe potuto edificare una "grande città".
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Sargon di Accad, Museo Nazionale dell'Iraq |
Ma chi è questo benedetto Nimrod? Il suo nome può derivare dal verbo ebraico maradh, "ribellarsi". Nel Talmud babilonese infatti si legge: "Perché, allora, fu chiamato Nimrod? Perché istigò il mondo intero a ribellarsi alla sovranità di Dio", avviando la costruzione della Torre di Babele, come diremo tra poco. Le città da lui fondate corrispondono all'impero di Sargon il Grande, vissuto attorno al 2300 a.C., fondatore della dinastia accadica, la prima che unificò tutta la Mesopotamia. Anche di lui, come del biblico Nimrod, si narravano imprese leggendarie (lui stesso afferma di essere stato affidato alle acque dell'Eufrate in una cesta, come Mosè, e di essere stato raccolto e allevato da Akki, il giardiniere degli déi, per poi godere nientemeno che delle grazie di Ishtar, la dea dell'amore). Qui a lato si vede un suo ritratto in bronzo proveniente da Ninive; appare però improbabile che l'Autore Biblico si sia ispirato a un personaggio così lontano da lui. È un dato di fatto che la caccia fu una delle occupazioni degli imperatori assiri (fra i soggetti preferiti dall'arte di quel popolo vi sono le grandiose scene di caccia grossa di cui i loro re sono protagonisti). E uno dei primi fra i sovrani assiri fu Tukulti-Ninurta I ("la mia fiducia è in Ninurta", il dio della guerra), figlio e successore di Salmanassar I, che regnò fra il 1233 e il 1207 a.C. Egli sconfisse gli Ittiti e i Cassiti, conquistò Babilonia e pose le basi della grandezza del suo popolo. In pratica, egli fu più o meno contemporaneo della Guerra di Troia e dell'Esodo degli Ebrei dall'Egitto. Il ricordo delle sue imprese arrivò fino agli storici greci dell'epoca ellenistica, che lo chiamarono Nino, storpiando la seconda parte del suo nome, e ritenendolo il fondatore eponimo di Ninive, come Romolo di Roma. Non è escluso che il suo nome possa essere stato storpiato dagli Ebrei in Nimrod, sovrapponendolo alla suddetta etimologia riguardante una sua ribellione contro Dio.
"Le
genti / che in Sennaar con lui superbe fuoro"
Ma
che tipo di ribellione?
La prima città fondata da Nimrod secondo l'autore biblico è proprio Babel,
e perciò apparve naturale associare il nome del re mitologico all'edificazione della torre di Babele narrata in Genesi
11, vicenda che inizialmente era del tutto indipendente dalle "genealogie"
della tavola delle genti. L'Autore Biblico ci dice che l'intera umanità, che a
quei tempi aveva un medesimo linguaggio, viene a radunarsi nella
pianura di Sennaar, e che comincia a costruire una città. Dopotutto anche
Caino, dopo essere fuggito lontano da suo padre e da sua madre, come prima cosa
aveva costruito una città per suo figlio. Dunque, costruire una città è
un'impresa da peccatori. Inoltre, in questo caso si tratta della madre di
tutte le città, perchè Nimrod vuole costruire una torre talmente alta che
nessun diluvio possa più abbatterla, e che si veda da qualunque parte della
terra, come un monito per tutta l'umanità. Arrivare fino al cielo e sfidare Dio
a faccia a faccia non è intenzione di Nimrod espressa dalla Bibbia, ma
un'interpretazione rabbinica successiva (in ebraico, un midrash); ciò
non toglie comunque che si tratta di una chiosa particolarmente efficace, in
accordo con la suprema superbia che si era soliti attribuire agli imperatori
assiri, cui l'autore sta evidentemente pensando mentre tratteggia la figura di Nimrod.
Naturalmente, in linea con la solita "teoria della retribuzione", a mezzo dell'opera arriva Dio; col suo intervento diretto, dice: "Gli uomini sono un sol popolo ed hanno un solo linguaggio; confondiamoglielo ben bene, così non potranno mai terminare l'opera." Nel capitolo 3 aveva detto, quasi allo stesso modo: "Adesso l'uomo sa la differenza tra il bene e il male; facciamo in modo che non stenda la mano e non colga dell'albero della vita, così che viva per sempre..." È un'azione PREVENTIVA. E il risultato qual è? Non il fatto che la torre cada a pezzi, anche se Jahweh potrebbe darle un calcio e annientarla come un castello di sabbia; preferisce agire sull'uomo, non sulle cose, e questo è il punto più importante del racconto della torre di Babele. Gli uomini non si capiscono più per opera divina; parlano lingue diverse, e allora, come dice l'epitome rabbinica, a chi chiede la malta vengono dati i mattoni, a chi chiede il martello viene data la sega; e allora gli uomini, non capendosi più l'un con l'altro, decidono di interrompere l' opera. Se qualcuno di voi ha letto a scuola la "Divina Commedia" con più entusiasmo di quanto non pretenda il professore medio, ricorderà quanto dice Dante in Purgatorio XII, 34-36: "Vedea Nembrot a piè del gran lavoro, / quasi smarrito, e riguardar le genti / che in Sennaar con lui superbe fuoro..." La descrizione è potentissima: Dante "fotografa" un Nimrod rimasto solo, con gli ultimi compagni che gli restano, ai piedi delle immense rovine della costruzione che doveva essere la più bella, la più grande, la più fastosa, ed è rimasta lì incompleta, come simbolo dell'impotenza umana a realizzare progetti che vanno al di là delle nostre capacità. Secondo voi, quale nome voleva imporre Nimrod a questa città? La tradizione posteriore ha detto "Nimrod", ovviamente, il suo STESSO nome, come Caino chiama "Enoc" la città di suo figlio Enoc. Anche Roma ha avuto il nome del suo fondatore, Romolo; e così via. Invece, a questa città rimane appiccicato il nome di Babel, che in ebraico significa "CONFUSIONE". In effetti, Babel somiglia un pochettino a Babilonia. In realtà, probabilmente in accadico Babilonia significa "Porta del dio", un nome molto più nobile; ma, come vi ho detto, gli Ebrei tendevano ad accostare al nome di ogni cosa un'etimologia che alludeva a qualcos'altro, in modo da spiegare in qualche modo il significato e il posto che tutto ha nella storia. In questo caso, nessun ruolo peggiore poteva essere assegnato a Babilonia, di quello di essere simbolo di confusione. Voi dovete immaginare questo crocevia di popoli che vanno e che vengono da ogni parte dell'immenso impero di Nabucodonosor; allora gli Ebrei, che sono lì e sentono parlare tutte le lingue della terra, dicono: "Qui Dio è intervenuto ed ha confuso le lingue, che prima erano una sola." E così abbiamo ricostruito la genesi di questo racconto.
I
patriarchi postdiluviani
Oh,
beninteso, non dovete pensare che, perchè io vi ho raccontato tutto questo,
la Bibbia possa essere DEMITIZZATA, o magari DERISA. No, assolutamente. Noi
abbiamo fatto questo lavoro di penetrazione per capire qual è il vero
significato della Bibbia; e a qualche risultato siamo arrivati, dal momento che abbiamo capito qual era il vero senso del racconto della Creazione,
della caduta di Adamo nel peccato, dell'uccisione di Abele il giusto, del
diluvio, della torre di Babele... A questo punto, per completare il nostro
discorso, non ci resta che l'ultima parte del cap. 11, cioè la genealogia
di Abramo.
Siccome questa genealogia parte ancora da Noè, anche qui dobbiamo purtroppo ammettere che si tratta di dati mitici. Anche se... è evidente che questi patriarchi, in qualche modo, tendevano a conservare una specie di "STORIA PATRIA", e quindi a passarsi di bocca in bocca i nomi dei propri antenati. Per esempio, anche nelle nostre famiglie si tende a ricordare i nomi dei trisnonni, e a volte anche i loro mestieri (mugnai, traghettatori sul fiume...). E ciò è successo anche ai patriarchi, che si sono ricordati delle liste di nomi, non sempre fasulli; a volte sono effettivamente il ricordo di ANTICHE GENEALOGIE. In 10, 24 e in 11, 12 si dice che Arfaksad generò Selach, personaggio non meglio conosciuto il cui nome in ebraico significa "inviato" (la stessa etimologia della Piscina di Siloe in Gerusalemme, che "invia" l'acqua) o, secondo altre interpretazioni, "prosperità" (un nome benaugurale per molti figli in Israele). Ma ben più importante di lui è suo figlio Eber, poiché il suo nome contiene evidentemente la radice eponima dello stesso popolo ebraico! Comunemente si ritiene che il suo nome significhi "AL DI LÀ"; quindi, lascia intendere che certi popoli vivevano "al di là del fiume", forse l'Eufrate, vista la provenienza di Abramo. Da Eber è derivato il nome degli Ebrei, dato forse loro dai Cananei, perchè provenivano "dal di là" del Giordano; tale etnonimo è noto anche dalle iscrizioni egiziane, che parlano degli Habiru.
I
figli di Joktan
Di
Eber in 10, 25 si dice che ebbe due figli, Peleg ed Joktan (in 11, 16 si parla
del solo Peleg). Del primo viene data un'etimologia leggendaria: Peleg
significherebbe "divisione", dal momento che "ai suoi tempi fu divisa la terra".
Il significato del suo nome tuttavia corrisponde esattamente al sostantivo accadico
pulukku, che indicava una divisione del territorio per mezzo di confini;
anche il corrispondente verbo assiro, palgu, si riferisce alla divisione dei terreni
per mezzo di canali e sistemi di irrigazione. Vi era una città che portava il nome di
Peleg, e precisamente il centro accadico di Phalgu, le cui rovine si trovano
alla confluenza tra l'Eufrate e il fiume Chebar, meglio noto grazie ad Ezechiele
1,1. E così,
abbiamo la sensazione che anche
i nomi presenti nella Grande Genealogia dei Semiti rimandino a località, più
che ad individui storicamente vissuti.
La conferma viene dal fratello di Peleg, Joktan, indicato da Gen
10, 26-30 come il progenitore di non meno di tredici tribù arabe, ed il cui nome
ritroviamo oggi in quello della città di Jectan, nei pressi dell'odierna Mecca.
Il nome del suo primogenito Almodad è affine a quello della tribù araba
degli al-Morad. Il secondogenito Selef porta il nome di una tribù yemenita
la cui capitale, Sulaf , si trova circa 90 km a nord di San'a. Il terzogenito Ascarmavet,
chiamato Asermoth da Giuseppe Flavio, porta un nome incredibilmente simile all'Hadramaut,
una valle che corre parallela alla costa meridionale dell'Arabia per oltre 300
chilometri, e il cui nome può significare "città della morte" (per
l'aridità del terreno). Strabone ci dice che la tribù di Ascarmavet era una
delle quattro principali tribù arabe preislamiche. Il quartogenito Jerach
porta il nome di una città araba non lontano dall'Hadramaut, già citata come Yarki nelle iscrizioni di Assurbanipal.
Anche il quintogenito Adocam porta il nome di Hurarina nelle iscrizioni di Assurbanipal,
e la corrispondente tribù araba era stanziata vicino a Yarki. Ben più
importante appare il sestogenito Uzal (Giuseppe Flavio lo chiama Aizel),
poiché secondo gli storici arabi ci dicono che Azal era il nome preislamico della città di San'a, la moderna capitale dello Yemen!
Il settimo figlio Dikla appare nei documenti accadici come Diklat e in
quelli assiri come Idiklat, ad indicare il fiume Tigri; ciò indicherebbe come luogo di insediamento
di Dikla una regione a nord del Golfo Persico o nell'estremo nordest della penisola arabica.
L'ottavo figlio Obal rappresenta una tribù dell'Arabia meridionale già
nota come Ebal o Abil. Il nono figlio Abimael ha il nome di una tribù dello
Yemen, dove è nota la sua esistenza da antiche iscrizioni sabee. Il decimo
figlio Saba fa evidente riferimento alla terra d'origine della Regina di
Saba, già citata in 10, 7 nella Tavola delle Genti. L'undicesimo figlio Ofir
porta un nome ben noto alla Bibbia, giacché Salomone importava da Ofir oro, legno di sandalo e pietre preziose
secondo 1 Re 9, 28 e 10, 11 e secondo 2 Cronache 8, 18 e 9, 10. Il paese di Ofir
divenne addirittura proverbiale come luogo di ricchezze (un po' come noi oggi
diciamo "vale un Perù"!): nel Salmo 45,9 si dice del Re "Figlie di re sono fra le tue dame d'onore,
alla tua destra sta la regina, adorna d'oro di Ofir", e in Isaia 13, 12
"renderò gli uomini più rari dell'oro fino, più rari dell'oro di Ofir."
Questo nome proverbiale si è conservato fino ad oggi in quello della città costiera di Ma'afir nel
sudovest dell'Arabia Saudita. Anche sul dodicesimo figlio Avila c'è
poco da dire, essendo già stato citato nella Tavola delle Genti come
secondogenito di Cus (e quindi come camita). Infine, il tredicesimo figlio Ibab
porta il nome di un popolo già noto agli Accadi con il nome di Labibi, e
conservatosi sino ad oggi nella città di Juhaibab, vicina all'odierna Mecca.
Gli
antenati di Abramo
Torniamo
ora agli antenati di Abramo. In 11,18 si cita il nome del primogenito di Peleg, Reu. Questo
compare come nome di persona già nei documenti accadici, nella forma Ra'u, poi
grecizzato in Ragau. Reu era il nome di un'isola dell'Eufrate presso la città di Anat,
ma come Selach anche questo può essere un nome comune di persona, con il
significato di "Ecco!" (sottinteso: un figlio, come dicevano le
levatrici mostrando il rampollo a suo padre). Torniamo ai toponimi con il figlio
di Reu, Serug, il cui nome è quello di una città e del distretto
corrispondente, noto agli Accadi come Sarugi, ad ovest di Haran. L'ipotesi
corrente è che dal termine Serug sia derivato un nome oggi famosissimo, quello della
Siria (c'è però chi affèrma che esso sia una deformazione del nome dell'antica
Assiria). Anche
il nome del figlio di Serug, Nacor, ci è noto da iscrizioni di Assurbanipal
e dalle tavolette di argilla ritrovate a Mari, che contengono il nome Nahur, con
riferimento ad una città importante nel secondo millennio a.C. Nacor è anche
il nome di uno dei fratelli di Abramo. Ed arriviamo così a Terach,
il padre di Abramo, ultimo uomo al quale la Genesi assegna una vita lunga più
di due secoli. Nella letteratura semitica il suo nome è associato a quello del
dio della luna, e va collegato ai cosiddetti teraphim, piccole
raffigurazioni idolatriche che sono state rinvenute in moltissime case del
secondo millennio a.C. È possibile che la maggior parte delle famiglie li
tenesse in casa come i Romani facevano con i Penati, i numi tutelari del
focolare domestico. Tuttavia, vicino alla città di Haran vi era anche un centro
abitato con il nome di Terach, noto agli Accadi come Turahu e agli assiri come
Turahi.
Abramo, interpretato da Richard Harris, con suo padre Terach, interpretato da Vittorio Gassman, nel film "Abramo" (1993) di Joseph Sargent |
Terach secondo Gen 11, 26 ebbe tre figli: Abramo, Nahor e Haran. Haran, il più giovane dei tre figli, sarebbe nato ad Ur e vi sarebbe morto in giovane età, dopo aver generato Lot, che da allora in poi Abramo avrebbe trattato come un figlio. La tradizione successiva dirà che suo padre Terach non si è limitato ad emigrare con la sua tribù ad Haran, ma avrebbe addirittura fondato quella città, chiamandola così in onore di suo figlio. Tale città sorgeva sulla strada principale che congiungeva Ninive a Karkemish, due centri importanti all'epoca dell'Autore Biblico, ma non a quella di Abramo. Essa corrisponde alla romana Carre, dove Crasso trovò la morte, sconfitto dai Parti; nell'Alta Mesopotamia essa era uno dei principali centri del culto lunare, che come abbiamo detto era associato al nome di Terach (pare che il suo tempio fosse altrettanto famoso della ziggurat di Ur). Quanto infine ad Abramo, il fondatore del monoteismo come noi oggi lo conosciamo, a Babilonia è stata ritrovata una tavoletta di argilla sulla quale è riportato il nome di un uomo chiamato Abi-Ramu, ed anche nelle tavolette di Ebla compare un Abarama; ad Ebla è attestato anche il nome di Sarai. Il significato comunemente accettato di questo nome è "PADRE ECCELSO", ma in seguito, con una piccola modifica, diverrà "PADRE DI UNA MOLTITUDINE". Questa trasformazione non è un fatto casuale: la Genesi la presenta come un intervento diretto dell'Altissimo, che cambia nome al suo pupillo. Tutti i nomi geografici vengono imposti ai diversi luoghi dal loro scopritore, al momento di prenderne possesso: imporre il nome vuol dire cioè RIAFFERMARE LA POTESTÀ su qualcosa. Quando Dio muta il nome di qualcuno, vuol dire che gli assegna un ruolo nella storia. Ad Abramo assegna il destino di non essere più un padre, eccelso sì, ma solo dei propri figli, bensì quello di essere il padre di una moltitudine di credenti (degli Ebrei, dei Cristiani e dei Musulmani). Non so se lo sapevate, ma al momento dell'annunciazione l'arcangelo Gabriele cambia nome anche a Maria, assegnandole quello che viene chiamato il suo "nome di grazia": Kekaritomene, cioè "la Piena di Grazia", l'"oggetto dell'amore" di Dio (nome, questo, che noi quotidianamente ripetiamo anche nell'"Ave Maria").
Epilogo:
non
"storicamente certi", ma "storicamente accertabili"
Con
questo, abbiamo concluso l'analisi della possibile storicità della parte "mitico-sapienziale"
della Genesi. Le avventure di Abramo, Isacco, Giacobbe e Giuseppe non possono
ancora essere considerate storiche nel senso moderno della parola, in quanto questi quattro
personaggi appartengono ancora alla cultura ORALE: le loro tradizioni per secoli
sono state tramandate oralmente, e
perciò sono state soggette ad un lungo periodo di rielaborazione, con la
conseguenza che qualcosa è stato modificato, tagliato o ingigantito. Pensate
che proprio i discorsi di Dio ad Abramo, e cioè i brani che danno l'impressione
di maggior storicità, sono i più TARDI di tutte le storie dei patriarchi.
Paiono scritti in presa diretta, quasi fossero stati stenografati, eppure sono
stati composti verso il 500 a.C., e cioè quasi 15 secoli dopo le vicende a cui
si riferiscono! È ovvio che non possiamo pretendere la storicità da questi
racconti: essi sono velati da elementi sapienziali,
cioè vogliono raccontare un progetto di
Dio, non tanto una storia come la successione al trono di Davide.
Tuttavia, nonostante questo, la figura di Abramo, e quindi anche quelle di Isacco, Giacobbe e Giuseppe, pur non essendo storicamente certe, perchè non possediamo (a differenza dei re d'Israele) documenti archeologici che ne comprovino l'esistenza, sono da ritenersi storicamente accertabili, rientrando in un preciso quadro storico. In esso, gli Ebrei non erano un popolo stanziale, come lo troviamo ai tempi dei Re, o anche solo dei Giudici; bensì dei pastori nomadi. Cosa dice Mosè al suo popolo in Deut 26, 4 ss.? "Mio padre era un arameo errante". È il fondamento di tutti i discorsi sul passato degli Ebrei. All'inizio erano NOMADI, come i beduini; solo in seguito sono divenuti SEDENTARI. Quindi Abramo, Isacco e Giacobbe si collocano in quel preciso momento storico nel quale gli Ebrei non erano ancora ciò che noi conosciamo di loro attraverso i documenti storici, cioè non erano ancora un popolo stanziale come le altre civiltà monumentali loro contemporanee. E siccome ai loro lontani discendenti dell'immediato post-esilio babilonese interessava sapere chi fossero i loro antenati, e cosa ci facessero in quell'angolo di mondo (dopotutto non interessa forse anche a noi?), fu definitivamente messo per iscritto quell'insieme di tradizioni diverse, alcune delle quali risalenti al regno di Davide, che finì per costituire il libro che oggi conosciamo come "la Genesi". A partire da questo intento fondamentalmente didattico, in modo da far comprendere ai pii israeliti quale fosse il fondamento storico della loro fede, la narrazione venne poi estrapolata (per soddisfare una curiosità innata in tutti noi) fino a dare una risposta alla famosa ed eterna domanda: "Qual è mai stato il principio di tutte le cose?"
Molto bene, credo che la domanda che ci siamo posti all'inizio circa la possibile storicità degli eventi di Genesi 1-11, ha ormai ricevuto una più che adeguata risposta. Credo sia utile porre qui, a suggello e come riassunto del mio lavoro, il parere del teologo Don Giuseppe Pulcinelli (1962-) della Pontificia Università Laternanense, pubblicato sul n°3 del 2018 di "Famiglia Cristiana" nella rubrica "Il Teologo":« Come interpretare il libro della Genesi quando parla della creazione, di Adamo ed Eva, del peccato originale, di Caino e Abele e di tutta la discendenza? Riguardo a questa parte del primo libro della Bibbia, essa non va interpretata come un resoconto storico e tanto meno scientifico sull'origine del mondo e sulla presenza dell'umanità sulla Terra. Si tratta piuttosto di una profonda riflessione sapienziale e poetica che, attraverso il ricorso a immagini, al genere mitico ed epico, vuole trasmettere alcune basilari verità di ordine teologico e filosofico: il mondo è stato creato da Dio, pertanto gli elementi della Creazione non vanno divinizzati come avveniva nelle culture antiche, per esempio con il Sole, la Luna o alcuni animali; l'uomo e la donna insieme, come immagine di Dio, rappresentano il coronamento del Creato, che ad essi è affidato; il male nel mondo è originato dal cattivo uso della libertà; Dio non abbandona l'uomo nel suo peccato ma promette la salvezza. Quelle tradizioni letterarie risalgono a un periodo della storia di Israele, come quello dell'esilio a Babilonia, in cui si sentiva il bisogno di rafforzare la fede nel Dio unico e provvidente, in contrapposizione al politeismo magico dei popoli circostanti. »
Naturalmente, questa mia analisi non pretende di esaurire l'argomento, ma vuole essere solo un punto di partenza per chi vuole approfondire i temi dell'esegesi biblica; ed è a questo fine, che ho preparato per voi un elenco dettagliato di tutti gli eventi di Genesi 1-11, raccolti versetto per versetto, come potete vedere nell'Appendice. Dal canto mio, io spero di non avervi annoiato, trattenendovi così a lungo su questo tema, perché vale anche per me l'ammonimento del Siracide (7,14): "Non parlare troppo a lungo nell'assemblea!" Grazie dell'attenzione, e al prossimo ipertesto.