Il Primo Libro dei Maccabei


Scenario storico
A differenza dei due Libri di Samuele, dei Re e delle Cronache, i due Libri dei Maccabei rappresentano in realtà due opere ben distinte tra di loro, di autori diversi, che trattano sostanzialmente lo stesso argomento, ma sotto angolature del tutto differenti.
L'ambientazione storica è molto più tarda rispetto a quella di tutti gli altri libri storici del Vecchio Testamento: si narrano infatti le vicende del popolo d'Israele sotto la dominazione dei Seleucidi, discendenti di Seleuco, generale di Alessandro Magno (356-323 a.C.), il protagonista della fulminante conquista greca dell'impero persiano e della successiva marcia sino ai confini dell'India. Morto Alessandro senza eredi a soli 33 anni, i suoi generali, detti in greco i Diàdochi ("successori") dilaniarono l'impero fino a dividerlo, dopo la battaglia di Ipso (301 a.C.), in regni dominati da una cultura sincretistica, risultante dalla fusione delle antichissime tradizioni orientali con la nuova, imperante cultura greca: a tale epoca si dà il nome di ellenismo. La koinonè, la lingua greca, divenne il vettore di interscambio culturale in un vastissimo bacino che andava dalla Spagna all'Indo, e i nuovi sovrani tentarono con ogni mezzo di imporre la loro superiorità culturale oltre che militare.
Purtroppo nel II secolo a.C. questo sforzo portò i Seleucidi, sovrani della regione siro-mesopotamica, a cercare di grecizzare anche la regione palestinese, così come avevano fatto con il resto del Medio Oriente, cancellando le tradizioni mosaiche. Gli Ebrei ortodossi naturalmente non accettarono quest'ellenizzazione forzata, che comportava tra l'altro la proibizione della circoncisione e del riposo sabbatico, e diedero vita ad una vera e propria Resistenza armata, che nulla ha da invidiare ai "guerrilleros" spagnoli che si opposero a Napoleone, o alla guerra Partigiana nel corso della Seconda Guerra Mondiale.

I regni ellenistici al tempo di Antioco IV Epifane (disegno dell'autore di questo sito; clicca per ingrandire)

I regni ellenistici al tempo di Antioco IV Epifane (disegno
dell'autore di questo sito; cliccare per ingrandire)

Questa resistenza fu guidata dalla famiglia dell'eroico sacerdote Mattatia("dono di JHWH"), e in particolare dai suoi tre figli: Giuda, Gionata e Simone, detti Maccabei, dall'ebraico "martello". Il Primo Libro dei Maccabei narra per l'appunto le loro eroiche gesta, mentre il Secondo si limiterà al solo Giuda Maccabeo.

Suddivisione del testo
Il testo del Primo Libro dei Maccabei può essere così suddiviso:

In tutto il libro copre un arco temporale che va dal 167 al 134 a.C. Simone fonderà poi una dinastia, quella degli Asmonei, destinata a regnare su Israele fin quasi all'epoca di Gesù.
Sia il Primo che il Secondo Libro dei Maccabei ci sono giunti unicamente nella versione greca, e questo spiega perchè sono entrati nel canone della Bibbia cattolica, ma non di quello della Bibbia ebraica e protestante.

Contenuto

Alessandro il Grande e i Seleucidi
Il capitolo 1 del Primo Libro dei Maccabei è tutto dedicato all'inquadramento storico delle vicende, come noi abbiamo già sintetizzato sopra. In 1, 1-6 il protagonista è lui, Alessandro III di Macedonia detto il Grande, colui il quale:

« ...intraprese molte guerre, si impadronì di fortezze e uccise i re della terra; arrivò sino ai confini della terra e raccolse le spoglie di molti popoli. La terra si ridusse al silenzio davanti a lui... » (1, 2-3)

Che non si tratti di storiografia nel senso eminentemente greco della parola (Tucidide, Plutarco) ce lo dice il fatto che, come accadeva nel Primo e nel Secondo Libro dei Re e nei Libri delle Cronache, l'autore interviene in continuazione a giudicare l'operato dei protagonisti, e a presentare lo svolgimento degli eventi come diretta conseguenza (premio o castigo) di queste azioni. Anche di Alessandro Magno si dice che "il suo cuore montò in superbia", e di conseguenza "cadde ammalato". L'autore però reinterpreta liberamente la storia quando afferma che lo stesso sovrano "divise tra i suoi ufficiali il suo regno mentre era ancora vivo": abbiamo visto che ciò accadde solo oltre vent'anni dopo la sua morte. Non si fa cenno alla suddivisione dell'impero (l'Egitto ai Tolomei, la Siria ai Seleucidi, ecc.), mentre si salta subito alla conseguenza che interessa all'autore biblico:

« Uscì da quelli una radice perversa, Antioco Epìfane, figlio del re Antioco, che era stato ostaggio a Roma, e assunse il regno nell'anno centotrentasette del dominio dei Greci »

Questo personaggio è ben noto alla storia: si tratta di Antioco IV Epifane ("Colui che si manifesta con splendore"), re di Siria dal 175 al 164 a.C. Il libro dice "l'anno 137 del regno dei Greci", perchè fa partire il computo dall'anno primo del regno di Seleuco I Nicatore, fondatore della dinastia, cioè dal 312 a.C. Di lui si dice che "era stato ostaggio a Roma", perchè nel 189 a.C. suo padre Antioco III il Grande aveva subito a Magnesia, in Asia minore, una dura batosta dai Romani guidati da Lucio e Publio Scipione, e aveva dovuto mandare il figlio, il futuro Antioco IV, come ostaggio nella Città Eterna. Ora Antioco IV è sul trono e disputa con la dinastia tolemaica d'Egitto per avere la preminenza tra i regni ellenistici; la Palestina è parte di questa disputa e, nel 169 a.C. (l'"anno 143"), essa passa dal governo tollerante dell'Egitto a quello "integralista" della Siria.

La persecuzione di Antioco Epifane
Reduce dalla vittoria su Tolomeo VI Filometore, egli fa irruzione in Gerusalemme, saccheggia il tesoro del Tempio dopo esservi entrato "con arroganza" e commette una vera e propria strage, sottolineata con un brano poetico che vuole ricordare certi Salmi e certe Lamentazioni.
Ma il peggio ha da venire. Gli olocausti vengono proibiti, le madri che circoncidono i loro figli vengono messe a morte, si vieta di rispettare il sabato, e il giorno 15 del mese di Casleu dell'era seleucide, cioè il 6 dicembre del 167 a.C., il Tempio viene addirittura profanato con « l'abominio della desolazione » (1, 54), termine con cui gli Ebrei indicavano la statua di Zeus-Baal, fatta erigere da Antioco sopra l'altare degli olocausti. In tal modo il Santuario è sconsacrato e ridotto ad un tempio pagano. Per di più, l'Autore rileva con indignazione come alcuni Ebrei non solo accettino l'ellenizzazione, ma addirittura si fanno « cancellare i segni della circoncisione » (1, 14). Questo fatto, abbastanza sorprendente, si spiega perchè a Gerusalemme era stato eretto un ginnasio, cioè una sorta di palestra dedicata all'attività fisica ma anche alle discussioni dotte e all'attività politica, come saranno più avanti le terme romane. Come dice il termine (greco "gymnos"), in esso bisognava entrare completamente nudi, per cui gli Ebrei erano immediatamente riconosciuti e derisi, in quanto la circoncisione era ritenuta dai greci una mutilazione indecente. Così, pur di prendere parte alle attività del ginnasio, alcuni Ebrei si sottoponevano a una dolorosissima operazione di chirurgia plastica per la ricostruzione del prepuzio, rompendo così platealmente l'Alleanza con JHWH.

Mattatia
Proprio nel momento più buio per il popolo eletto, tuttavia, si fa strada in Israele la riscossa religiosa ma anche politica, incarnata da un nuovo, grande personaggio: Mattatia, proveniente da Modin, oggi El-Midieh, nella regione montuosa a nordovest di Gerusalemme, un sacerdote della stirpe di Ioarib, che (secondo 1 Cr 24, 7) era a capo della prima classe sacerdotale. Egli resta fedele alla Legge, e non può sopportare di vedere non solo le abominazioni imposte dai governanti seleucidi, ma addirittura l'acquiescenza dei connazionali all'ellenismo ormai imperante. Come racconta il capitolo 2, appena un giudeo si avvicina all'altare pagano di Modin per sacrificare agli déi pagani, egli lo uccide assieme all'inviato del re. Subito dopo fugge nel deserto assieme ai figli, e viene seguito da tutti coloro sono insofferenti all'ellenizzazione e non attendono altro che un capo per ribellarsi all'invasore. Pur di combattere i pagani, essi giurano di ingaggiare battaglia anche in giorno di sabato. Ad essi si uniscono anche gli Asidei, trascrizione greca del termine ebraico "chassidim" ("pii"), storicamente i Giudei maggiormente legati all'osservanza della Legge e nemici acerrimi di tutto ciò che puzza di greco. Da questi Asidei, come afferma lo storico ebreo Giuseppe Flavio, derivarono i Farisei di evangelica memoria, ma anche gli Esseni.
Mattatia si spegne nel suo letto nel 166 a.C., ma prima, come facevano le grandi figure del Vecchio Testamento (Giacobbe, Mosè, Giosuè, Tobia), pronuncia un discorso che rappresenta il suo testamento (come vedremo, questo diverrà un genere letterario molto diffuso a cavallo del I secolo a.C.). In esso l'Autore cita il libro di Daniele, segno che esso aveva già conosciuto la sua redazione definitiva.
Al posto di Mattatia nel capitolo 3 sorge il figlio Giuda, il cui soprannome "Maccabeo" indicherà poi l'intera famiglia, i libri che stiamo esaminando, e nell'Israele moderno verrà attribuito persino ad organizzazioni sportive (Maccabi Tel Aviv).

Il logo del basket club Maccabi Tel Aviv

Il logo del basket club Maccabi Tel Aviv

Giuda Maccabeo alla ribalta
La figura di questo straordinario protagonista dell'epopea biblica è tratteggiata con un inno, un vero e proprio stralcio poetico inserito nella narrazione (anche il Magnificat e il Nunc Dimittis saranno inseriti nella narrazione del Vangelo di Luca, che dunque ha questo alto precedente). Poi la storia entra subito nel vivo: il generale Apollonio, che secondo Giuseppe Flavio era il governatore militare di Samaria, tenta di soffocare la sua rivolta, ma è rapidamente liquidato. Allora si muove contro di lui il comandante in capo dell'esercito seleucide in Palestina, un certo Seron; nonostante siano molto superiori di numero, anche le sue armate vengono annientate, grazie all'aiuto divino. A questo punto lo stesso Antioco IV ribolle di sdegno e solleva contro di lui un'armata potentissima. In realtà la storia ci insegna che Israele non è il solo nemico che l'Epifane intendeva debellare con questa vasta campagna: destinatario della rappresaglia era anche l'Armenia. Infatti il re in un primo momento si volge verso la Persia, lasciando nella capitale Antiochia il suo braccio destro Lisia, tutore di suo figlio e figura storica nominata anche dallo storico greco Polibio. Lisia è anche incaricato di schiacciare la rivolta ebraica: segno, questo, che l'Epifane considerava un problema secondario rispetto ad altri nemici del suo impero, nonostante quanto ci racconta l'autore di questo libro. Lisia suddivide le sue truppe tra i generali Tolomeo, Nicanore e Gorgia. Giuda risponde concentrando le sue truppe a Masfa, la biblica Mizpa dove Saul era stato proclamato re, 12 chilometri a nord di Gerusalemme; qui celebra un rito per impetrare la misericordia del Signore, rispondendo alla forza militare con la forza della preghiera; ma non dimentica di organizzare il suo esercito proprio sul modello di quello siro-ellenistico. Il capitolo 4 racconta la grandiosa battaglia di Emmaus (lo stesso luogo, oggi Amwas, dove Gesù apparve ai due discepoli la sera di Pasqua), in cui Giuda beffa abilmente il generale Gorgia. Questi si muove di notte, sperando di colpire all'improvviso l'armata dei Giudei, ma anche questi hanno levato l'accampamento: dispersi i suoi uomini nel deserto, Giuda li fa inseguire dall'esercito siriano ben più potente, ma anche estremamente più lento. Poi piomba su di loro all'improvviso e ne mena strage.

Il Tempio riconsacrato
La notizia della sconfitta raggiunge il reggente Lisia, che per l'anno successivo (164 a.C.) decide una campagna ancor più massiccia contro gli Ebrei, ma anche stavolta la vittoria arride a Giuda, dopo una sua nuova preghiera innalzata al Signore. La strada per Gerusalemme è ormai sgombra: Giuda vi entra trionfalmente, distrugge la statua di Zeus e riconsacra il Tempio; per l'occasione è istituita la festa di Chanukkah (in ebraico "Dedicazione"), citata anche nel Nuovo Testamento, della quale riparleremo più avanti. La consacrazione è datata 25 Casleu del 164 a.C.
Il capitolo 5 narra nuove imprese gloriose di Giuda Maccabeo, contro i vari popoli pagani (idumei, galaaditi...) che circondano la Giudea, mentre suo fratello Simone deve affrontare i pagani delle regioni settentrionali; la spedizione di Giuseppe ed Azaria contro le città costiere invece non ha successo.
Nel capitolo 6 l'attenzione si sposta nuovamente su Antioco IV, impegnato in una delicata campagna militare in Persia; ha appena subito una sconfitta in Elimaide (il biblico Elam) quando lo raggiunge la notizia della disfatta di Lisia e della riconsacrazione del Tempio di Gerusalemme; egli non regge al dolore e allo sconforto, è colpito da malattia (forse apoplessia ) e muore, dopo aver nominato il suo collaboratore Filippo nuovo tutore del figlio, che diventa re con il nome di Antioco V Eupatore ("di buon padre": evidentemente Antioco IV era molto popolare in Siria, a differenza che in Israele).

La grande Chanukkah posta davanti alla Knesset, il parlamento israeliano di Gerusalemme (foto dell'autore di questo sito; clicca per ingrandire)

La grande Chanukkah posta davanti alla Knesset, il
parlamento di Gerusalemme (clicca per ingrandire)

Tribolate vicende del regno di Siria
In realtà la storia è andata diversamente. Antioco IV era già morto prima della vittoria di Giuda, che anzi potè avere successo proprio per le divisioni interne al campo siriano: infatti Lisia si rifiuta di cedere il potere a Filippo, annulla la reggenza e fa incoronare immediatamente re Antioco V, che ha solo nove anni, sperando di regnare de facto al posto suo. Le lotte dinastiche interne al regno di Siria favoriscono evidentemente i successi dei Maccabei, ma l'Autore inverte l'ordine dei fatti per mostrare il duro giudizio di Dio contro l'Epifane, così come era accaduto al Faraone, a Sennacherib e ad altri superbi reggitori di popoli che avevano perseguitato gli Israeliti.
Intanto Giuda vuole approfittare della difficile situazione del regno seleucide e pone l'assedio all'Acra, l'acropoli di Gerusalemme in cui sono arroccati gli ultimi difensori greci. Con l'aiuto di alcuni ebrei collaborazionisti, gli assediati inviano un appello al nuovo re, che convoca un esercito immenso. Le cifre riportate dal libro (centomila fanti, ventimila cavalieri, trentadue elefanti da guerra) sono però iperboliche e tese a sottolineare ad un tempo la tracotanza di nemici e la forza di Giuda. La successiva battaglia di Bet Zaccaria è certamente una delle più grandiose e terribili dell'epopea maccabaica, e conosce grandi atti di eroismo, come quello di Eleazaro detto Auaran ("pallido"?), protagonista di un'impresa suicida: infilatosi sotto l'elefante bardato con le insegne regali, e pensando che su di esso vi sia Antioco V in persona, lo trafigge ma resta schiacciato dal peso del gigantesco animale.
La guerra si estende su vari fronti, ma sembra volgere al peggio per i nostri eroi. Infatti nel sud del paese cade la fortezza di Bet Zur e Gerusalemme è sottoposta a un bombardamento martellante, persino con l'ausilio di lanciafiamme. Gli Ebrei sembrano allo stremo, anche perchè non vi sono più viveri nei depositi: sfortunatamente quello era un anno sabbatico, cioè la terra era stata lasciata riposare senza coltivarla. Tuttavia il Cielo veglia sui Suoi protetti, perchè improvvisamente Filippo, che era stato nominato tutore del figlio al posto di Lisia, rientra dalla Persia con le sue truppe e tenta un "pronunciamento" per impadronirsi del potere che ritiene legittimamente suo. A questo punto a Lisia la guerra combattuta contro i Maccabei pare inutile, dovendosi piuttosto misurare con i suoi nemici interni, e così ecco il suo ragionamento:

« Noi ci esauriamo di giorno in giorno: il cibo è scarso e il luogo che assediamo è ben munito, mentre gli affari del regno ci premono. Ora dunque offriamo la destra a questi uomini e facciamo pace con loro e con tutto il loro popolo, e permettiamo loro di seguire le loro tradizioni come prima; proprio per queste tradizioni che noi abbiamo cercato di distruggere, essi si sono irritati e hanno provocato tutto questo. » (6, 57-59)

A questo punto è pace tra la Siria ed i Giudei, e l'esercito dei Maccabei è salvo, anche se il prezzo da pagare è l'abbattimento delle fortificazioni di Gerusalemme. Rientrato ad Antiochia, il re Antioco V sconfigge il suo ex tutore Filippo. Ma nel capitolo 7 un nuovo pretendente si affaccia sulla scena: è Demetrio, figlio di Seleuco IV, fratello di Antioco IV Epifane, e quindi cugino di Antioco V Eupatore. Questi era stato ostaggio a Roma, ma fugge "nell'anno 151" (cioè nel 161 a.C.) con l'aiuto dello storico Polibio che ne ha descritto la fuga, e riesce a impadronirsi del potere, sconfiggendo ed uccidendo sia Lisia che Antioco V. Demetrio cinge così la corona con il nome di Demetrio I Sotere ("salvatore", un nome che la dice lunga sulle sue pretese).

Alcimo, il collaborazionista
Un altro protagonista in negativo della storia fa la sua comparsa in questo capitolo: è il sacerdote Alcimo, che aspira alla carica di Sommo Sacerdote, e per questo si allea con Demetrio contro Giuda Maccabeo, accusandolo di « aver fatto perire tutti gli amici del re ». Anche nel suo caso il nome è un presagio, poiché Alcimo è la grecizzazione del nome ebraico Eliakim: siamo dunque di fronte ad un collaborazionista, uno di quelli contro cui Mattatia e i suoi figli lotteranno fino alla morte. Demetrio invia il generale Bacchide, governatore della regione dell'Oltrefiume (l'antica satrapia persiana comprendente Siria e Palestina), a sostegno di Alcimo dopo averlo nominato sommo sacerdote. Gli Asidei e alcuni scribi gli credono e si schierano con lui, in considerazione del fatto che egli era un levita « della stirpe di Aronne », e quindi non avrebbe mai alzato la mano sui suoi compatrioti. Ma la loro fiducia si rivela mal riposta: il nuovo sommo sacerdote e Bacchide fanno arrestare sessanta uomini eminenti e li fanno trucidare in una volta sola. Da notare che questo evento è, per la prima volta, associato ad una profezia precedentemente contenuta nell'Antico Testamento: alcuni versi del Salmo 79 (« L
e carni dei tuoi santi e il loro sangue hanno sparso intorno a Gerusalemme, e nessuno li seppelliva »), che qui sembrano trovare il loro compimento, anche se in realtà essi si riferivano piuttosto alla presa di Gerusalemme del 587 a.C. Del resto il testo originale ebraico del salmo citato al posto di "Santi" ha la parola "Chasidim", per cui l'accostamento all'autore del nostro libro parve naturale. Il Vangelo di Matteo proporrà in continuazioni versetti dell'Antico Testamento affiancati alle gesta di Gesù, per mostrare il compimento delle profezie, anche se apparentemente in origine non avevano alcun significato messianico (come il famoso « Dall'Egitto ho chiamato mio figlio », che si riferiva all'uscita degli Ebrei dall'Egitto guidati da Mosè, ma viene associato alla fuga in Egitto della Sacra Famiglia). Questo conferma che il Nuovo Testamento appartiene ad un genere letterario particolarmente consolidato nell'antico Israele, e non rappresenta affatto un'artificiosa costruzione tardiva.

Il giorno di Nicanore
Bacchide ed Alcimo instaurano in breve tempo un vero e proprio regime di terrore, tanto che, alla fine, Giuda comprende che quel sacerdote ha causato più danni ad Israele degli stessi pagani, e decide di fargliela pagare cara. Alcimo reagisce alla guerriglia maccabaica chiedendo rinforzi a Demetrio I, che invia Nicanore ("il vincitore") a fare piazza pulita. Dopo aver tentato di arrestare Giuda Maccabeo mostrandosi falsamente amico, nonostante i collaborazionisti lo abbiano accolto amichevolmente, egli li schernisce e pretende da loro l'immediata consegna di Giuda, pena la distruzione del Tempio. I sacerdoti allora comprendono di aver commesso un imperdonabile errore alleandosi con Alcimo. Ma ad eliminare il protervo generale siro-ellenistico provvede lo stesso Giuda, che lo affronta nella battaglia di Bet Oron il 13 di Adar del 160 a.C., lo sconfigge e lo uccide. Da allora gli Ebrei festeggiano il 13 di Adar, detto "il giorno di Nicanore", che di solito apre le celebrazioni della festa di Purim (vedi il Libro di Ester).

La Lupa Capitolina

La Lupa Capitolina

All'orizzonte si affaccia Roma
Ma intanto all'orizzonte si fa strada una nuova potenza, destinata a travolgere tutti i regni ellenistici dell'area mediterranea: Roma. Nel capitolo 8 Giuda Maccabeo dà prova davvero di grande pragmatismo politico, perchè si accorge che questa nuova, gloriosa nazione sta sorgendo prepotentemente all'orizzonte, e decide di farsela amica. In realtà la sola, durissima sconfitta che i Seleucidi di Antioco III avevano dovuto incassare a Magnesia era più che sufficiente per far capire a chiunque che, negli anni a venire, il Senato di Roma avrebbe avuto voce in capitolo in tutte le questioni politiche dell'oriente; ma l'autore del libro in oggetto elenca tutta una serie di imprese delle legioni romane che, a suo dire, avrebbero convinto Giuda di trovarsi di fronte ad un alleato potenzialmente importantissimo:

« Gli altri regni e le isole e quanti per avventura si erano opposti a loro, li distrussero e soggiogarono; con i loro amici invece e con quanti si appoggiavano ad essi avevano mantenuto amicizia », conclude l'Autore (8, 11), che loda i Romani in modo sperticato, ammirandoli per la loro potenza militare, ma anche per la loro totale assenza di re o imperatori:

« Con tutti questi successi nessuno di loro si è imposto il diadema e non vestono la porpora per fregiarsene. Essi hanno invece costituito un Senato, e ogni giorno trecentoventi consiglieri discutono pienamente riguardo al popolo perché tutto vada bene » (8, 14-15)

L'autore dimostra di avere conoscenza delle istituzioni del Senato e dei Consoli, oltre che delle (evidentemente famosissime) imprese dei Romani su tutti i popoli circostanti: il capitolo 8 del Primo Libro dei Maccabei rappresenta perciò una rara testimonianza di come i popoli dell'oriente vedevano la crescente potenza di Roma al principio del II secolo a.C., e cioè con un misto di timore e di ammirazione. Giuda invia dunque a Roma due ambasciatori, Eupolemo e Giasone, che evidentemente sapevano esprimersi molto bene in greco, e questi sono ammessi a parlare in Senato. Il Libro riporta copia del testo dell'alleanza fra i Romani e i Giudei, così come i libri di Esdra e Neemia conservano testimonianze di analoghi rescritti legali. È altresì evidente che, con questa mossa diplomatica, i Maccabei cessano di essere un pugno di "guerrilleros" che combattono nel deserto contro l'esercito regolare siriano, per diventare un soggetto politico vero e proprio, e quindi uno stato indipendente!

La morte di Giuda Maccabeo
Secondo alcuni il capitolo 8 rappresenta un inserto posteriore, perchè il capitolo 9 riprende con re Demetrio che si lecca le ferite infertegli dalla sconfitta di Bet Oron. Tuttavia la reazione è fulminea e devastante: il sovrano invia in Giudea un nuovo esercito, comandato da Alcimo e Bacchide, che stavolta riesce a spezzare la resistenza dei Maccabei. Infatti Giuda si ritrova imbottigliato con forze insufficienti ad Elasa, località oggi del tutto sconosciuta; ma, dimostrando davvero scarso acume militare, comunque assai meno di quanto acume politico aveva dimostrato stringendo alleanza con la Res Publica Romana, rifiuta di ritirarsi. In tal modo lui ed i suoi pochi seguaci sono sterminati, ed i fratelli non possono fare altro che seppellirlo nella tomba di famiglia a Modin. In realtà è probabile che Giuda non avesse vie di scampo, e avesse deciso di cercare la morte in battaglia affinché si potesse dire di lui che era caduto da eroe; il rifiuto della ritirata strategica sarebbe solo un artificio letterario per esaltare la sua grandezza militare. Interessante il versetto 9, 21: « Come mai è caduto l'eroe, il salvatore d'Israele? », che rappresenta un esempio di qinah o "lamento funebre", simile a quello contenuto nel primo capitolo del Secondo Libro di Samuele, innalzato da Davide per Saul e Gionata. Infatti anche quest'ultima elegia funebre si conclude con un versetto assai simile a quello levato in onore di Giuda Maccabeo (evidentemente si trattava di una formula fissa).

Giuda Maccabeo

Giuda Maccabeo

Gionata Maccabeo
Dopo la morte di Giuda, in Israele la situazione precipita, complice anche una grave carestia: Bacchide ed Alcimo impongono la loro legge con il terrore. A questo punto, i seguaci di Giuda eleggono suo fratello Gionata come loro capo. Naturalmente Bacchide tenta subito di sopprimerlo, ma egli si ritira nel deserto di Tekoa, la patria del profeta Amos, a sud di Gerusalemme. Chiede l'aiuto dei Nabatei inviando loro il proprio fratello minore Giovanni, ma questi è eliminato ed i suoi beni derubati; di conseguenza Gionata e Simone si vendicano degli uccisori, menando strage di un corteo nuziale, cosicché la gioia delle nozze si cambia in lutto: un tema, questo, caro proprio al profeta Amos, segno che l'autore del libro lo conosceva bene.
Bacchide intercetta Gionata e gli muove contro, ma l'esercito dei Maccabei, tornato a questo punto solo un movimento partigiano, si mette in salvo a nuoto al di là del Giordano. Allora Bacchide cambia strategia e fa fortificare quasi tutta la Giudea, onde difendersi dalle scorrerie dei suoi nemici. Siamo al 159 a.C. ("l'anno 153"), ed Alcimo, forte della protezione assicuratagli da Bacchide, ordina di demolire il muro che nel Tempio separa la zona riservata ai Giudei da quella a cui possono accedere i pagani, ma egli viene colpito da ictus cerebrale e muore tra grandi sofferenze: la Bibbia ha sempre presentato le morti dei persecutori della Fede come dolorosissime e disperate, e così faranno gli scrittori cristiani fino a tempi recenti (persino nel caso di Voltaire e di Stalin). Morto Alcimo, comunque, Bacchide rientra in Siria, e per due anni la Palestina può respirare.
Naturalmente i Maccabei ne approfittano per recuperare le loro posizioni. Ma gli Ebrei del partito filoelleno, timorosi di perdere i privilegi acquisiti, richiamano Bacchide, che però fallisce di nuovo nel tentativo di eliminare Gionata. Allora i partigiani riprendono la via del deserto rifugiandosi a Bet Basi, presso Betlemme. Bacchide tenta di assediarli, ma Gionata compie una sortita e sconfigge il generale siriano. Questi si vendica contro coloro che lo hanno richiamato in Palestina, prospettandogli una facile vittoria, poi rientra ad Antiochia facendo pace con Gionata e scambiando con lui i prigionieri. Gionata allora si stabilisce a Micmas (poco a nord di Gerusalemme, forse l'attuale Mukmas) ed inizia la ricostruzione, anche politica, della Giudea.

La guerra civile tra Alessandro e Demetrio
Il lungo capitolo 10 (88 versetti) è tutto dedicato alle imprese di Gionata Maccabeo, intrecciate con la situazione politica sempre più ingarbugliata dell'impero seleucide. Nel 152 a.C. contro Demetrio I Sotere si solleva Alessandro Bala, personaggio ben noto anche da fonti extrabibliche, che si diceva figlio di Antioco IV ed aveva l'appoggio dei Romani, contrariamente a Demetrio. Allora quest'ultimo pensa di allearsi proprio con il suo ex nemico Gionata Maccabeo, e per questo gli permette di arruolare un esercito (regolarizzando così le truppe partigiane di Giuda) e di riavere indietro i prigionieri di guerra. Gionata si insedia così nella città santa e tutte le guarnigioni delle fortezze siriane sgomberano, tranne quella di confine di Bet Zur, all'estremo sud. Alessandro Bala lo viene a sapere e cerca di tirare Gionata dalla sua parte, scrivendogli una lettera inclusa nel libro (10, 18-20), con la quale lo nomina sommo sacerdote e patrizio dell'impero. Anche Demetrio I fa la stessa cosa, ed in più gli promette l'esenzione dalle tasse e l'annessione della Samaria alla Giudea, nonché la città di Tolemaide, un porto settentrionale estremamente importante per il commercio con l'estero.
Gionata però non presta orecchio alle offerte di Demetrio, giudicate eccessive e perciò ingannevoli, per non parlare delle dure repressioni a cui egli li aveva sottoposti. La Giudea sceglie perciò di allearsi con Alessandro, che si era fatto avanti per primo. Demetrio è sconfitto ed Alessandro diventa nuovo imperatore. Nel 150 a.C. a Tolemaide si celebrano le nozze tra Alessandro Bala e Cleopatra Tea, figlia di Tolomeo VI Filometore, re d'Egitto; alle nozze è invitato anche Gionata Maccabeo, trattato ormai come un capo di stato del quale conviene garantirsi l'alleanza: nonostante le mene del partito ellenista a lui avverso, Gionata è rivestito di porpora e nominato governatore della provincia di Giudea e Samaria.

Scende in campo Demetrio II
Ma non è finita: nel 147 a.C. scende in campo Demetrio II, figlio di Demetrio I Sotere, il quale lascia l'esilio a Creta per tentare di recuperare il regno paterno. Lo scontro è inevitabile, perchè Demetrio II nomina governatore della Celesiria (cioè della regione siropalestinese) il generale Apollonio, che con arroganza dichiara guerra a Gionata e lo sfida ad accettare con lui battaglia campale in pianura. Costretto a riprendere le armi dalla forza degli eventi, Gionata si impadronisce di Giaffa, che era stata occupata da Apollonio, e quindi attacca il generale davanti alla città filistea di Asdod, dopo essere sfuggito all'accerchiamento da parte dei suoi nemici. I soldati di Apollonio si sono rifugiati nel tempio del dio Dagon, e così egli lo incendia, ritenendo di vendicare Sansone, che era morto proprio in un tempio di questa divinità (vedi il Libro dei Giudici). Subito dopo conquista anche Ascalona senza colpo ferire. Come premio di tutto ciò, il re di Siria gli invia una fibbia d'oro, onorificenza paragonabile forse a quella inglese della Giarrettiera, e lo nomina "parente del re".

Ormai Gionata Maccabeo ha conseguito in pieno gli scopi della rivolta maccabaica: egli ha assunto il controllo politico della Terra di Canaan, anche se nominalmente per conto del re di Siria, ed è diventato Sommo Sacerdote, carica a cui ha diritto appartenendo alla tribù di Levi. Sorge così l'alba di una nuova dinastia di re-sacerdoti, che uniscono nelle proprie mani il potere temporale e quello spirituale, inaugurando una vera e propria teocrazia. Nella storia successiva della Giudea, tuttavia, il ripetersi di questa coincidenza susciterà forti opposizioni negli ambienti più tradizionalisti del giudaismo, i quali ritenevano svuotata e svilita la carica di Sommo Sacerdote, ridotta a mera carica politica (così come Lutero si scaglierà contro i pontefici romani, accusandoli di essersi ridotti a signorotti rinascimentali).

Il colpo gobbo del re d'Egitto
Le traversie non sono certo finite qui. Infatti il capitolo 11 ci racconta come, dopo Alessandro Bala e Demetrio II, a rendere tempestose le acque dell'impero siriano venga Tolomeo VI Filometore, re d'Egitto, suocero di Alessandro Bala, e quindi formalmente suo alleato. Questi penetra in territorio siriano con atteggiamento apparentemente amichevole, lasciando però in ogni città un proprio presidio. A Giaffa egli incontra Gionata Maccabeo, che lo accompagna fino ai confini settentrionali del Libano. A questo punto però Tolomeo VI si allea con Demetrio II, promettendogli in moglie sua figlia che aveva già dato ad Alessandro Bala, quindi occupa Antiochia, la capitale, e, a sorpresa, si incorona re di Siria e ricostituisce l'impero di Alessandro Magno. Alessandro, che si trovava in Cilicia per reprimere una rivolta, gli marcia contro, ma Tolomeo lo sconfigge. Alessandro Bala cerca di trovare rifugio in Arabia; ma, come accadrà a Pompeo in fuga davanti a Cesare, anch'egli viene assassinato da un re vassallo, un certo Zabdiel. Tolomeo VI tuttavia muore dopo soli tre giorni, forse per le ferite riportate in battaglia; è il 145 a.C. Demetrio II cinge così la corona di Siria, e sul trono torna a sedere un re ostile ai Maccabei.
Gionata decide allora di assediare l'acropoli di Gerusalemme per sloggiare la guarnigione sira che vi permane. Demetrio II si infuria, si reca a Tolemaide e chiama Gionata a rendere conto del proprio operato. Gionata ordina di continuare l'assedio e si reca a sua volta a Tolemaide dove, nonostante le mene del partito ellenista a lui avverso, Demetrio II lo conferma nel sommo sacerdozio e in tutte le altre cariche ed onorificenze. Nel testo è inclusa una nuova lettera indirizzata da Demetrio II a Gionata. Si pensa che l'autore del libro appartenesse anch'egli alla casta sacerdotale ed avesse accesso all'archivio del Tempio, dove tutte queste lettere dovevano essere gelosamente conservate, e quindi la sua opera rappresenterebbe un vero capolavoro di storiografia, seppure sempre "interpretata" alla luce della fede, preziosissimo per ricostruire gli eventi di quel confuso periodo.

L'ambizioso generale Trifone
Le vicende storiche si fanno sempre più complicate. Il re Demetrio II decide di mettere in congedo le truppe, forse per prevenire nuovi putsch militari, ma questa scelta crea malcontento fra i capi di stato maggiore dell'esercito. Uno di questi, il generale Trifone, che già era stato al servizio di Alessandro Bala, decide allora di tradirlo ed apre trattative con il principe arabo Imalcue, non meglio noto, che teneva in ostaggio Antioco, figlio di Alessandro Bala, in modo da opporlo a Demetrio II: come si vede, la storia dei regni ellenistici era tribolata da continui intrighi, capovolgimenti di fronte e colpi di stato. Demetrio II sente crescere il pericolo e domanda a Gionata l'invio di tremila mercenari, in cambio del ritiro della guarnigione siriana da Gerusalemme. Ormai Gionata tratta con i siriani da vero capo di stato: una bella carriera, per chi era partito come un partigiano, resa possibile proprio dalle discordie intestine al regno di Siria, ormai in piena decadenza, come testimonia il turbinoso succedersi dei sovrani.
Anche Demetrio II se la vede brutta, a causa dello scoppio di una rivolta popolare nella capitale. I mercenari Giudei inviati da Gionata riescono a liberarlo dal palazzo reale in cui si era asserragliato, ma a prezzo di un bagno di sangue (il libro parla iperbolicamente di centomila morti civili) e dell'incendio della stessa Antiochia. Probabilmente non furono solo i Giudei a liberare Demetrio, che poteva disporre di molte truppe mercenarie di vari paesi, ma il nostro libro parla solo di loro per poter illustrare a quale onore erano assunti i Giudei entro il regno di Siria:

« I Giudei crebbero in fama presso il re e presso quanti erano nel suo regno, e fecero ritorno in Gerusalemme portando grande bottino » (11, 51)

Proprio la grande vittoria degli Ebrei mette però in allarme il sovrano, il quale comincia a temere forse che lo stesso Gionata voglia usurpargli il trono; e così, comincia « a contrastarlo duramente ».

Nuovi trattati di amicizia
Intanto Trifone rientra in Siria con il figlio minorenne di Alessandro, che egli fa incoronare con il nome di Antioco VI. Le truppe congedate da Demetrio II si schierano con lui, e così il re legittimo ha la peggio e deve abbandonare Antiochia. Il nuovo sovrano scrive subito a Gionata, confermandogli tutti i suoi titoli e privilegi, ed anzi nominando suo fratello Simone "stratega", cioè comandante militare di tutta la regione compresa tra il Libano e i confini dell'Egitto. Subito Gionata provvede ad eliminare ogni sacca di resistenza ancora fedele a Demetrio II; Gaza, che gli chiude le porte, è messa a ferro e fuoco. A questo punto i due fratelli si dividono i compiti: Simone va a sud ad assediare la munitissima piazzaforte di Bet Zur, mentre Gionata va a nord, a Kedes in Galilea, a combattere i partigiani di Demetrio. Ma questi ultimi riescono a mettere in rotta le sue truppe, e solo in un secondo assalto egli riesce a limitare i danni.
Visto che la situazione si fa di giorno in giorno più confusa, Gionata decide di rinnovare i trattati di amicizia stipulati dal fratello Giuda, inviando ambasciatori non solo a Roma, ma anche a Sparta. Il capitolo 12 contiene la lettera inviata da Gionata agli spartani, che fa riferimento ad un precedente patto di alleanza fra Giuda e Sparta, stipulato dal re di Sparta Areo e dal sommo sacerdote Onia. Questo fatto crea qualche problema, perchè due personaggi contemporanei con questi nomi sono effettivamente esistiti, ma un secolo e mezzo prima, all'epoca delle guerre fra i Diàdochi per spartirsi l'impero di Alessandro Magno, quando sembra difficile che Giuda potesse stipulare trattati con potenze così lontane, anche se la cosa non può essere esclusa del tutto, visto che l'autore del Primo Libro dei Maccabei sembra molto ben informato riguardo a questi trattati di alleanza, riportando integralmente (20-23) anche la lettera inviata da Areo ad Onia, che favoleggia di una discendenza da Abramo anche degli Spartani. Forse Areo confondeva tra loro Ebrei e Filistei: si sa che questi ultimi, come gli Achei omerici, discendevano dai famosi "Popoli del Mare".

La cattura di Gionata
Chiusa la parentesi diplomatica, anch'essa apparentemente svincolata dal resto del testo, Gionata ingaggia guerra con i generali di Demetrio II presso Amat, città nella valle del fiume Oronte, oggi Hamah in Siria. I siriani si spaventano e lasciano il campo, mantenendo accesi i fuochi per ingannare gli Ebrei, che si accorgono della fuga solo all'alba. Gionata li insegue ma poi li lascia andare e preferisce sconfiggere una tribù araba, mentre Simone si impadronisce di Giaffa. Si procede poi alla fortificazione della Città Santa.
Ma intanto la situazione in Siria precipita: Trifone tenta di farsi re al posto di Antioco VI, ma sa di incontrare l'opposizione di Gionata: le truppe dei due eserciti si schierano a Beisan, in Galilea, per la resa dei conti. A questo punto però Trifone gioca d'astuzia ed invita Gionata ad un incontro a quattr'occhi a Tolemaide. Gionata ci casca, arriva in città con una scorta ridotta, ma subito Trifone lo fa prigioniero. Tenta quindi di schiacciare l'esercito maccabaico in Galilea, ma l'effetto sorpresa non riesce e le truppe rientrano a Gerusalemme e piangono il loro capo Gionata, convinte che sia già morto.

L'ambasciata dei Giudei a Roma come è stata disegnata nella "Sacra Bibbia a fumetti" della San Paolo (1998)

L'ambasciata dei Giudei a Roma come è stata disegnata
nella "Sacra Bibbia a fumetti" della San Paolo (1998)

Simone Maccabeo
E siamo al capitolo 13. Simone Maccabeo prende in mano le redini della Giudea e viene acclamato successore di Gionata. Intanto Trifone muove verso la Giudea portando Gionata con sé, ma Simone gli schiera contro ad Adida, pronto a vendere cara la pelle. Allora Trifone gli svela che Gionata è vivo, che lo trattiene perchè egli non ha sborsato le tasse dovute all'erario, e che è pronto a rilasciarlo dietro il riscatto di cento talenti d'argento (circa 50 quintali) e della consegna dei due figli di Gionata come ostaggi. Simone subodora l'inganno ma manda a prendere il denaro e i due figli, cedendo alla pressione popolare che esigeva il riscatto di Gionata. Trifone però viola il patto: non solo non libera Gionata, ma anzi aggira la Giudea per invaderla da sud e prendere Gerusalemme, ma durante la notte cade molta neve, e la spedizione a marce forzate di Trifone non può aver luogo. Infuriato, egli uccide Gionata a Bascama, località non identificata della Transgiordania, e quindi si ritira.
Simone raccoglie i resti del fratello e li tumula nel sepolcro di famiglia a Modin, facendovi erigere sopra un vero e proprio mausoleo ellenistico con piramidi e statue, onde mostrare a tutti la grandezza cui sono assurti i Maccabei. Intanto Trifone elimina Antioco VI e regna al suo posto come un tiranno; ma lo storico romano Tito Livio e quello giudeo Giuseppe Flavio asseriscono che questo avvenne più tardi. Comunque Simone sceglie di riallacciare i legami con lo spodestato Demetrio II contro Trifone, « poiché tutte le azioni di Trifone non erano state altro che rapine » (probabilmente qui si nasconde un gioco di parole, poiché Teref in ebraico significa proprio "rapina"). Demetrio accetta e concede a Simone l'esenzione fiscale. A questo punto l'autore colloca una pietra miliare della storia:

« Nell'anno centosettanta fu tolto il giogo dei pagani da Israele, e il popolo cominciò a scrivere negli atti pubblici e nei contratti: "Anno primo di Simone il Grande, sommo sacerdote, stratega e capo dei Giudei" » (13, 42-43)

Siamo nel 142 a.C., e l'autore ritiene a questo punto ristabilita l'indipendenza del popolo giudaico, tanto che Simone inaugura una nuova era, a somiglianza di tutti gli altri sovrani ellenistici. Subito inaugura quest'era occupando la piazzaforte siriana di Ghezer e scacciando la guarnigione dall'acropoli di Gerusalemme, vittorie celebrate con una grande festa popolare. A capo dell'esercito egli pone suo figlio Giovanni, il futuro Giovanni Ircano, re di Israele.

« Sommo Sacerdote in Asaramel »
Il capitolo 14 comincia con un accenno di politica internazionale: Demetrio II tenta di raccogliere rinforzi in Media, regione nominalmente siriana ma già occupata dai Parti, in futuro fieri nemici di Greci e Romani; tuttavia il loro re Arsace VI lo sconfigge e lo trae prigioniero. Subito dopo tuttavia si snoda un lungo panegirico in poesia di Simone, fondatore della dinastia degli Asmonei, forse inserito in un secondo momento.
Infatti subito dopo riprende il racconto storiografico testé interrotto, inserendo (20-23) il testo di una nuova lettera inviata dagli spartani a Simone Maccabeo per salutarne l'ascesa, e di una missiva (27-47) « incisa su tavole di bronzo » spedita a Simone dal Senato romano, in risposta ad una sua nuova ambasceria. È da notare come Simone venga detto dai romani « Sommo Sacerdote in Asaramel » (14, 27). Questa parola ricorre solo qui in tutta la Bibbia, ed è probabilmente la trascrizione dell'ebraico Hasar 'am El, "atrio del popolo di Dio"; probabilmente i Quiriti avevano frainteso il titolo sacerdotale di Simone, confondendolo con il nome della sua capitale. Questo rescritto  inciso su una colonna commemorativa eretta sul monte Sion, come accadeva per i sovrani ellenistici, tra cui ormai Simone si annovera. Il testo ripercorre tutta l'epopea maccabaica fin dai tempi di Mattatia, quindi è una probabile rielaborazione dell'autore o di quelli stessi che avevano innalzato la colonna, onde esaltare la gloria di Simone (non era certo raro agire così a quei tempi).
Il capitolo 15 contiene un nuovo documento, stavolta inviato a Simone da Antioco VII, figlio (ma secondo altri fratello) di Demetrio II, che si trovava in esilio « nelle isole del mare », e precisamente a Rodi, essendo il trono occupato dall'usurpatore Trifone. Tale documento contiene la sua intenzione di muovere alla riconquista del trono paterno, e per questo intende assicurarsi l'appoggio del Maccabeo, confermandogli tutti i privilegi già accordati, e concedendogli anche quello di battere moneta e di adunare un esercito proprio. Nell'"anno centosettantaquattro", cioè nel 138 a.C., Antioco VII fa ritorno in Siria, la popolazione si ribella a Trifone e questi è costretto a riparare a Dor, un porto palestinese, subito cinto d'assedio da Antioco. A questo punto l'autore salta di nuovo di palo in frasca e torna a descrivere un nuovo documento (16-21) riportato in giudea dall'ambasciatore a Roma, e firmato nientemeno che dal console romano Lucio Cecilio Metello. Questi era in carica nel 142 a.C., quindi è evidente che qui è fuori posto e andrebbe rimesso immediatamente dopo il capitolo 14. Il testo elenca una lunga serie di sovrani ellenistici in buone relazioni con i Romani, tra i quali figurano Attalo II di Pergamo, Ariarate V di Cappadocia, Arsace VI dei Parti e molte regioni ed isole dell'oriente (Caria, Samo, Panfilia, Licia, Rodi, ecc.)

La morte di Simone Maccabeo
Di colpo al versetto 25 riprende la narrazione della guerra civile siriana: Antioco sta assediando Trifone e Simone vorrebbe dargli manforte, ma a sorpresa il re rifiuta ed anzi si rimangia tutte le promesse fatte, pretendendo la restituzione delle fortezze siriane e il pagamento di una riparazione pesantissima (mille talenti d'argento). Simone respinge l'ultimatum sostenendo che Israele si è solo ripreso ciò che apparteneva ai suoi padri, ed offre al massimo cento talenti d'argento e le città di Gaza e Ghezer, esterne ai confini storici di Israele. Il re monta su tutte le furie, ma intanto Trifone riesce a sfuggire all'assedio e a riparare ad Ortosia, nel Libano del nord. Egli allora si preoccupa di inseguire Trifone, mentre il generale Cendebeo dovrà chiudere la pratica giudaica. Dopo aver ricostruito una fortezza a Cendebeo, nel sud del paese, egli comincia ad attaccare la Giudea in forze. Vista la gravità della situazione, Simone, che è ormai anziano, delega la guerra ai suoi due figli Giovanni e Giuda. I due eserciti per un curioso paradosso entrano in contatto presso Modin., la patria d'origine dei Maccabei. Nel capitolo 16 ed ultimo Cendebeo è rovinosamente sconfitto e Giovanni insegue le sue truppe fino a Cedron.
Ma purtroppo cominciano le rivalità interne allo stesso stato giudaico: un alto funzionario di Simone, Tolomeo, governatore della città di Gerico, trama contro Simone e, nell'"anno centosettantasette" (135 a.C.), offre un banchetto a lui ed ai suoi due figli Mattatia e Giuda nella fortezza di Dok. Ma è una trappola: ad un segnale convenuto sbucano fuori uomini armati che trucidano Simone e i suoi due figli. Subito Tolomeo cerca di occupare Gerusalemme e di far fuori il terzo figlio di Simone, Giovanni; ma questi ne è informato ed elimina i sicari mandati ad ucciderlo.

Giovanni Ircano
Qui il Primo Libro dei Maccabei si interrompe bruscamente, rimandando per gli atti di Giovanni ai soliti "atti del suo sommo sacerdozio". Le sue imprese tuttavia ci sono note grazie alle "Antichità Giudaiche" dello storico ebreo Giuseppe Flavio, che a quegli atti doveva avere accesso. Egli governò dal 135 al 104 a.C., fondando una nuova dinastia, quella degli Asmonei, che prenderebbe nome da Asmoneo, presunto antenato della loro famiglia; suo figlio Alessandro Ircano si farà incoronare re. Durante i primi anni del governo di Giovanni, la Palestina venne invasa nuovamente da Antioco VII di Siria, che assediò Gerusalemme costringendo Giovanni Ircano alla resa. Ma dopo la morte del re nel 129 a.C. il regno di Siria entrò in una fase irreversibile di decadenza, cedendo su ogni fronte. Così anche Giovanni poté riconquistare l'indipendenza.
E non solo: egli cominciò a battere moneta (sono sopravvissuti alcuni esemplari) e conquistò addirittura l'Idumea, cioè l'antico regno di Edom a sud del Mar Morto; ne seguì la conversione in massa degli idumei al giudaismo (anche Erode il Grande era di sangue idumeo). Inoltre egli condusse un'importante campagna contro i Samaritani, conquistò la loro capitale Sichem e distrusse il tempio che essi avevano eretto sul Monte Garizim in opposizione a quello di Gerusalemme. Tale tempio non verrà più ricostruito, ma i samaritani continueranno ad adorare Dio su quella montagna; sarà quello il "monte" citato dalla Samaritana nel suo discorso con Gesù (Gv 4, 20).
Sotto il regno di Giovanni Ircano fu probabilmente scritto il Libro dei Giubilei, del quale riparleremo.

La festa della Dedicazione
L'istituzione di questa festa viene riportata, dall'autore del Primo Libro dei Maccabei, alla riconsacrazione del Tempio di Gerusalemme e alla ricostruzione dell'altare dei sacrifici, compiuta tre anni dopo la sua profanazione da parte di Antioco IV Epifane (1 Mac 4, 36-59). Essa è anche chiamata la "festa delle luci", e cronologicamente coincide con il Natale cristiano, in quanto il mese di Casleu (ebraico Kislew) cade a cavallo tra novembre e dicembre. In comune con il nostro Natale (e quindi con l'illuminazione di alberi e presepi) ha proprio l'accensione delle luci del candelabro a nove bracci chiamato Chanukkiah: si accendono progressivamente tutte le sue lampade per otto giorni di seguito: una il primo, due il secondo e così via. Da allora è celebrata ininterrottamente, anche se il Tempio non c'è più, perchè la festa delle luci si rese indipendente dal ricordo della dedicazione dell'altare, raffigurando invece la Luce della Fede che trionfa sulle tenebre del paganesimo. Questo rito è tanto importante anche per gli israeliti moderni, che davanti alla sede della Knesset, il laicissimo parlamento di Gerusalemme, vi è una riproduzione gigantesca della Chanukkiah. Da qualche anno a questa parte, nel generale clima di ecumenismo, l'accensione pubblica della Chanukkiah affianca nelle nostre città quella dell'albero di Natale, anche per ribadire l'origine ebraica del cristianesimo.
Forse pensava proprio alla festa delle luci Nostro Signore, quando pronunciò queste celeberrime parole:

« Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. » (Matteo 5, 14-15)

Certamente invece è ambientato durante la festa della Dedicazione ("era d'inverno", precisa puntualmente Giovanni) l'episodio del discorso di Gesù ai Giudei che termina con la dichiarazione: « Io e il Padre siamo una cosa sola » (Gv 10, 22-39)