Libro di Daniele


Generalità 
Inserito tra i cosiddetti ''profeti maggiori'', il libro di Daniele è in realtà uno scritto tardivo, assai posteriore a quelli di Isaia, Geremia ed Ezechiele. Si pensa che sia stato scritto durante la persecuzione di Antioco IV di Siria, per infondere coraggio agli Ebrei cui era stato vietato di praticare la propria religione. Proprio per questo, più che un testo profetico, esso appare piuttosto come un libro apocalittico, e quindi facente parte di un genere fiorito in età ellenistica, a partire dal III secolo a.C., destinato ad una notevole fioritura. Come tutti i libri di questo tenore, esso distingue nettamente tra bene e male, tra Dio e i demoni, tra buoni e cattivi, promettendo la vittoria finale dei primi e la condanna definitiva dei secondi. Esattamente come fa l'Apocalisse di San Giovanni evangelista, scritta durante le persecuzioni scatenate dai Romani contro i cristiani.
Esso viene inserito in questo percorso per la grande dovizia di particolari storici (o, come vedremo, presunti tali) in esso contenuti.
Il libro di Daniele è in realtà trilingue:

Le sezioni in greco sono considerate ''deuterocanoniche'' ed escluse dal canone ebraico e protestante.
Secondo l'interpretazione più comune il nome Daniele significa ''Dio è il mio giudice''.

Suddivisione del testo

I primi 6 capitoli
Nei primi 6 capitoli si racconta la storia di Daniele, deportato giovinetto a Babilonia al tempo di Ioiakim re di Giuda, e presentato subito come l'ebreo esemplare (come lo hanno definito i biblisti), che si rifiuta categoricamente di cedere al culto politeistico. Nel capitolo 2 egli scioglie l'enigma del sogno di Nabucodonosor, rappresentato dalla celebre statua con il capo d'oro, il petto e le braccia d'argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro e i piedi di ferro ed argilla. L'immagine è talmente famosa da essere stata ripresa anche da Dante Alighieri nella Divina Commedia (Inferno XIV, 103-111):

« La sua testa è di fin oro formata,
e puro argento son le braccia e 'l petto,
poi è di rame infino a la forcata;
da indi in giuso è tutto ferro eletto,
salvo che 'l destro piede è terra cotta;
e sta 'n su quel più che 'n su l'altro, eretto. »

In effetti i quattro metalli rappresentano quattro imperi (quello neobabilonese, quello persiano, quello di Alessandro Magno, quello siriano dei Seleucidi, mentre i piedi in parte di ferro e in parte d'argilla alludono forse al matrimonio tra Antioco II di Siria e Berenice d'Egitto, un evento contemporaneo alla redazione del testo.
Il capitolo 3 descrive il famoso episodio dei tre giovani nella fornace, con il celebre ''Cantico di Azaria, Anania e Misaele'' che è tra le fonti ispiratrici del Cantico delle Creature di San Francesco d'Assisi.
Nel capitolo 4 parla Nabucodonosor in prima persona, descrivendo il ''sogno del grande albero''. Invece il capitolo 5 presenta una cesura netta, perché il re non è più Nabucodonosor ma Baldassarre, un suo discendente, e Daniele è ormai anziano. L'episodio qui narrato è anch'esso celeberrimo, immortalato tra l'altro da Rembrandt in un suo olio su tela ora alla National Gallery di Londra: il re, offuscato dai fumi dell'alcool, si mette a banchettare negli arredi sacri derubati al Tempio di Gerusalemme, compiendo un grave sacrilegio, e subito compaiono dal nulla delle dita che scrivono le tre parole « Mene, Teqel, Peres », cioè « misurare, pesare, dividere. È Daniele a decifrare l'enigma, annunciando al re il terribile decreto divino: Dio ha misurato i giorni del re e vi ha posto fine; è stato pesato sulla bilancia e trovato leggero; il suo regno sarà diviso e dato ai Medi e ai Persiani. La profezia si compie puntualmente.
Nel capitolo 6 infine c'è la prima versione dell'episodio di Daniele nella fossa dei leoni (la seconda versione è nel capitolo 14).

Rembrandt van Rjin, Il banchetto di Baldassarre, olio su tela

Rembrandt van Rjin, Il banchetto di Baldassarre, olio su tela

Le profezie
I capitoli 7-12 rappresentano una diversa sezione, caratterizzata da una serie di visioni, definite "notturne"; il libro entra così nella sua parte più propriamente apocalittica.
La prima (capitolo 7) è quella delle quattro bestie, presumibilmente una reminiscenza di miti babilonesi in cui questi animali rappresentano le forze della natura, ostili a Dio ma da Lui sottomesse; inevitabile il rimando ai segni dello Zodiaco caldeo. Anche queste bestie simboleggiano in effetti dei regni, e c'è posto anche per Antioco IV Epifane, il persecutore degli Ebrei che avevano storpiato il suo nome in Epimane (il pazzo), e contro cui si ersero i fratelli Maccabei.
Ben più importante, anche in vista della lettura cristologica che ne ha fatto il Nuovo Testamento, è la visione dell'Antico di Giorni e del Figlio dell'Uomo (titolo che Gesù applicò a se stesso). Le successive visioni sono quella dell'ariete e del capro e quella delle settanta settimane, composte da anni e non da giorni, ricordata anche da Alessandro Manzoni nella ''Passione'':

« ...Quando, assorto in suo pensiero,
lesse i giorni numerati,
e degli anni ancor non nati
Danïel si ricordò.
»

Infine, il capitolo 11 contiene la successione dei sovrani fino alla morte del re Antioco, importante per datare il libro, mentre il capitolo 12 è il più "apocalittico" di tutti, trattando della risurrezione finale e degli ultimi tempi. Un testo destinato a dare speranza ai confratelli, in un'epoca di fiera persecuzione.

L'appendice deuterocanonica
I capitoli 13 e 14, considerati ispirati dalla Chiesa Cattolica ma non da Ebrei e Riformati, contengono due gustosi episodi evidentemente aggiunti in un secondo momento al testo. Il primo è la storia di Susanna, che più volte ha ispirato gli artisti e va considerata come la parabola del giusto innocente, accusato ingiustamente ma salvato dal Signore per mezzo di un Giusto, in questo caso il fanciullo Daniele.
Nel secondo, Daniele appare di nuovo anziano e compie due grandi imprese sotto il regno di Ciro: prima smaschera l'inganno dei sacerdoti del dio Bel che consumavano di notte i cibi offerti all'idolo, e poi uccide il drago adorato dai babilonesi. Per questo Daniele finisce di nuovo nella fossa dei leoni, ma Iddio chiude la bocca alle fiere ed ordina ad Abacuc il profeta di sfamare Daniele nella fossa. Alla fine Ciro lo fa liberare e proclama la grandezza del Dio d'Israele. Queste storie edificanti hanno il compito di indicare che la ricompensa e l'aiuto di Dio non possono che arridere al giusto.

Storicità
La storicità degli eventi narrati nel libro di Daniele è fortemente controversa. Infatti lo stesso protagonista appare anche in testi extrabiblici nei panni del sapiente per antonomasia, e dunque potrebbe essere un personaggio esemplare molto diffuso nelle letterature del Vicino Oriente antico (come re Artù nei romanzi del ciclo Bretone).

Nabonide e Baldassarre
A parte questo, i dati storici contenuti nel testo, soprattutto nei capitoli 1-6. sono fortemente incongrui. Tanto per cominciare, in Dan 5,1 si cita "re Baldassarre", ma non è mai esistito un re neobabilonese con questo nome. Invece, i testi caldei citano un figlio dell'ultimo sovrano della dinastia, Nabonide, che portava questo nome, e lo ricordano come capo delle truppe babilonesi all'epoca della campagna di Ciro in Mesopotamia. Se è vero che Baldassarre non fu mai re, è però probabile che egli ebbe la reggenza per alcuni anni, mentre il padre era a Tema, in Arabia, per curare una grave malattia. La memoria dell'autore biblico dunque confonde reggenza e salita al trono. Evidentemente la datazione dell'inizio delle visioni notturne del profeta in Dan 7,1 va riferita al primo anno della reggenza di Baldassarre.

Alcune conferme
Nello stesso brano però si rilevano anche dati insospettabilmente corretti. È probabile infatti che l'allontanamento di Nabonide dal potere sia anche alla base della vicenda riportata in Dan 4,30, secondo cui Nabucodonosor impazzì per sette anni, comportandosi come un animale: è sufficiente ammettere la confusione tra Nabucodonosor e il suo discendente Nabonide. Nel 543 a.C. comunque Nabonide riprese nelle sue mani l'amministrazione del regno fino alla conquista persiana; non abbiamo testimonianze inerenti a Baldassarre dopo questa data.
Inoltre, per quanto Baldassarre non sia mai stato formalmente incoronato, gli storici greci Erodoto e Senofonte ci confermano che Babilonia fu presa dai Persiani mentre era in corso una festa religiosa, senza quasi che gli abitanti se ne rendessero conto. Proprio come racconta il capitolo 5 del libro di Daniele.

Il popolo di Babilonia adora la statua fatta erigere da Nabucodonosor, miniatura mozarabica, secolo X, Madrid, Biblioteca Nazionale

Il popolo di Babilonia adora la statua fatta erigere da Nabucodonosor,
miniatura mozarabica, secolo X, Madrid, Biblioteca Nazionale

Dario il Medo?
In Dan 5,31 si ha un'altra incongruenza storica quando si dice che Babilonia venne conquistata ed a Baldassarre (abbiamo visto che si trattava invece di Nabonide) succedette un certo Dario il Medo. Ma un re dei Medi con questo nome è sconosciuto. Evidentemente l'autore biblico si basa su tradizioni non scritte ma orali, e confonde Ciro con il suo successore Dario I, figlio di Istaspe, satrapo dell'Ircania, che regnò dal 521 al 486 a.C.. Infatti in Dan 6,1-2 si accenna al fatto che questo Dario il Medo riorganizzò l'impero in satrapie: proprio ciò che storicamente ha fatto Dario I (Ciro e suo figlio Cambise erano invece dei conquistatori). Fu invece dopo la distruzione di Ninive avvenuta nel 612 a.C. che agli Assiri succedettero i Caldei in Mesopotamia e i Medi di re Astiage in Iran. Anche in questo caso l'autore fa confusione tra gli episodi.

La successione dei re persiani
Altre indicazioni storiche errate riguardano la successione dei re persiani. In Dan 6,29 Ciro è presentato come successore di Dario, mentre invece Dario I salì al potere quattro anni dopo la morte di Ciro il Grande. L'inesattezza si annulla se a Dario si sostituisce Astiage. In Dan 9,1, poi, Dario è chiamato "figlio di Serse", mentre era esattamente il contrario: Serse (l'Assuero del Libro di Ester) era figlio di Dario.
Da notare infine che in Dan 14,33 si cita Abacuc come contemporaneo di Daniele, ma il profeta che portò questo nome visse invece nel VII secolo a.C. Gli episodi di Susanna, dei sacerdoti di Bel e del drago appaiono però più come dei fioretti edificanti che come degli episodi storicamente accertabili.

Il Significato
Tutto ciò naturalmente non inficia il significato religioso del libro di Daniele, e ci dice semplicemente che l'autore attinse a tradizioni orali che avevano dimenticato o distorto l'esatta successione cronologica degli eventi. Non bisogna dimenticare che il libro fu scritto nel II secolo a.C., quindi 400 anni dopo gli eventi che racconta, per un fine ben preciso (rincuorare Israele perseguitato), e non certo con intenti storiografici nel senso moderno del termine.
Particolarmente importante appare il significato delle visioni delle bestie e del "Figlio dell'Uomo" nel capitolo 7. La storia ha conosciuto imperi colossali e dominati dalla violenza e dalla sopraffazione, proprio come dei mostri assetati di sangue, ma essi sono spariti, perchè provenivano "dalla terra e dal mare", cioè dall'opera dell'uomo e del Maligno (sappiamo bene che per i Giudei, popolo di terraferma, il mare era una delle ipostasi del Male). Il Regno Eterno viene solo dal Vegliardo, dall'"Antico di Giorni", cioè da Dio, che lo consegnerà al suo Messia, al suo "Unto".

Le 70 settimane
A questo proposito, val la pena di far notare un fatto sconcertante. Lo scrittore cattolico Vittorio Messori, nel suo best-seller ''Ipotesi su Gesù'', dedica un capitolo alla profezia di Daniele delle ''settanta settimane'' fissate da Dio a partire dal ritorno in patria degli Ebrei dopo la cattività babilonese, durante le quali il popolo ebraico avrebbe dovuto espiare le proprie colpe in attesa del Messia (Dan 9,24). Questa cifra, che molti ritengono del tutto simbolica, viene presentata da Messori come una profezia sconvolgente. Queste 70 settimane, come detto, sono formate da anni, non da giorni, per un totale di 490 anni di attesa. Ora, secondo la Bibbia la cattività babilonese, cominciata nel 587 a.C., è durata 70 anni esatti. Fatti i conti, l'avvento del Messia era così fissato per il 27 a.C. E proprio in quella data cominciò a formarsi la setta degli Esseni, il cui obiettivo principe era proprio l'attesa del sospirato Messia. Se invece il computo dei 490 anni è fatto partire dall'Editto di Artaserse del 457 a.C., che secondo molti segnò il vero ritorno dei Giudei a Gerusalemme, si arriva addirittura al 33 d.C. che, come tutti sanno, è proprio la data tradizionale della morte di Gesù, e quindi del compimento delle promesse messianiche...

Per approfondire la vostra conoscenza del Libro di Daniele, vi consiglio di consultare questo mio ipertesto.