Libro di Neemia


Significato del nome
Il nome Neemia deriva dall'ebraico "JHWH conforta".

Generalità
Questo libro appare strettamente connesso al libro di Esdra, del quale rappresenta indubbiamente la continuazione; non a caso, l'antica versione greca dei Settanta ha fuso Esdra e Neemia in un unico libro di 23 capitoli. Mentre però nel libro di Esdra il suo protagonista entra in scena solo dopo sei capitoli, Neemia qui entra in scena fin dal primo versetto: « Parole di Neemia figlio di Akalia ». La sua opera principale è la ricostruzione delle mura della città santa, nonostante l'ostilità dei popoli circonvicini su cui si era ampiamente soffermato già il libro precedente. La ricostruzione delle mura viene presentata dal libro come il simbolo della rinascita politica di Israele come nazione. Solo dopo che l'opera di Neemia è completa, ritorna in scena il sacerdote Esdra, che porta a compimento il suo programma di riforme, facendo di Israele un vero e proprio stato teocratico, la cui "carta costituzionale" è la stessa Torah.

Contenuto

La ricostruzione delle mura di Gerusalemme
Anche una parte del libro di Neemia è scritto in prima persona, e a parlare è il suo stesso protagonista, che nel capitolo 1 riceve dal fratello tristi notizie riguardo alle condizioni dei Giudei rimpatriati:

« I superstiti della deportazione sono là, nella provincia, in grande miseria e abbattimento; le mura di Gerusalemme restano piene di brecce e le sue porte consumate dal fuoco. » (1, 3)

Neemia allora scoppia in pianto ed eleva una supplica a JHWH, simile a quella di Esdra (capitolo 9), in cui lo implora di aiutarlo per essere lasciato libero di tornare nella madrepatria. E così, nel capitolo 2 il Re dei Re Artaserse vede Neemia triste e gliene domanda la ragione. Benché spaventato dalla richiesta che sta per fargli, Neemia si decide a chiedergli il permesso di lasciare la sua corte, per riedificare la città dove sono i sepolcri dei suoi padri. Inaspettatamente, e secondo l'autore grazie all'aiuto divino, Artaserse concede il suo nulla osta e gli scrive dei lasciapassare.

L'impero Persiano di Cambise II (disegno dell'autore di questo sito; clicca per ingrandire)

L'impero Persiano di Cambise II (disegno dell'
autore di questo sito; clicca per ingrandire)

Ma, come era accaduto con Zorobabele ed Esdra, anche Neemia incontra ostacoli nel suo progetto: Sanballat, governatore persiano di Samaria, e Tobia, un principe di origine ebraica ma posto a capo degli Ammoniti, tradizionali nemici di Israele, sono ben decisi ad impedire la rinascita di Gerusalemme come una grande città. Così, Neemia è costretto a compiere di notte e in gran segreto un'ispezione delle mura e delle porte della città. Appena egli rivela ai magistrati la vera natura della sua missione segreta, costoro accettano con entusiasmo: « Su, mettiamoci a ricostruire! »
Il capitolo 3 descrive minuziosamente l'organizzazione dei lavori, indicando gli incaricati di ricostruire ogni parte delle mura. Probabilmente si tratta di un documento d'archivio integrato tra le memorie autobiografiche di Neemia che, rielaborate, sono servite per comporre questo libro. Che non si tratti di costruzione artificiale a posteriori lo indica ad esempio la menzione dei « gradini che scendono dalla città di Davide » (3, 15), una scala intagliata nella roccia che dalla cittadella di Davide scende fino al parco reale, e che è stata riportata alla luce dagli archeologi nella seconda metà del novecento. Certamente il capitolo 3 del Libro di Neemia rappresenta la più dettagliata descrizione di Gerusalemme che ci sia fornita da un libro biblico. Da notare come il Primo e il Secondo Libro dei Re non presentino se non descrizioni sommarie della Città Santa, segno che furono scritti a molti secoli di distanza dagli eventi che narrano, mentre il Libro di Neemia attinge direttamente a documenti di prima mano.
Sanballat e Tobia si mettono a schernire gli Ebrei per ciò che stanno facendo, ma Neemia invoca nuovamente il Signore affinché sia lui a punire i nemici di Gerusalemme. Visto che i lavori proseguono speditamente, nel capitolo 4 i due ebrei rinnegati cercano di far scoppiare tumulti in città per ottenere pretesti per agire contro Neemia, ma questi risponde disponendo sentinelle tutt'intorno alle mura per prevenire i loro attacchi. Di fronte alle notizie allarmistiche che provengono dalla Samaria, Neemia si vede addirittura costretto ad istituire una vigilanza armata dentro le mura stesse, e questo convince gli avversari a desistere. Tuttavia:

« ...da quel giorno la metà dei miei giovani lavorava e l'altra metà stava armata di lance, di scudi, di archi, di
corazze; i capi erano dietro tutta la casa di Giuda. Quelli che costruivano le mura e quelli che portavano o caricavano i pesi, con una mano lavoravano e con l'altra tenevano la loro arma; tutti i costruttori, lavorando, portavano ciascuno la spada cinta ai fianchi. Il trombettiere stava accanto a me. » (Neemia 4, 10-12)

Gli intrighi di Sanballat
Ma a queste difficoltà nel capitolo 5 se ne aggiungono altre: la crisi economica seguita allo sforzo edilizio comincia a farsi sentire pesantemente, e le classi più umili si vedono costrette ad ipotecare case e terreni o a chiedere denaro agli usurai per poter pagare le tasse al re di Persia (« i tributi del re »). I meno abbienti sono così ridotti sul lastrico ed innalzano contro Neemia quella che si può considerare la prima protesta sociale di tutta la Bibbia. Il governatore ne resta profondamente indignato, ed accusa i notabili ebrei di usura, imponendo loro di annullare l'interesse sui prestiti effettuati. Lo stesso Neemia rinuncia all'appannaggio che riceve in qualità di governatore civile della città; per questo gli Ebrei ancor oggi additano Neemia come esempio di generosità disinteressata nei confronti del proprio popolo.
A questo punto (capitolo 6) i nemici d'Israele cambiano strategia e chiedono più volte a Neemia di incontrarsi con lui a Chefirim, ma il nostro eroe rifiuta sempre, subodorando che si tratti di un inganno per eliminarlo. Sanballat allora inasprisce i toni, accusando Neemia di volersi ribellare al potere centrale persiano, nominandosi re: una vera e propria opera di terrorismo psicologico, cui il governatore reagisce con energia.
Segue un racconto in parte oscuro e di difficile decifrazione: un certo Semaia manda a chiamare Neemia e lo invita a rinchiudersi con lui entro le porte del Tempio, perchè si vuole attentare alla sua vita. Neemia tuttavia comprende che Semaia è un falso profeta pagato da Sanballat perchè compia sacrilegio entrando nel Santuario, lui che non è sacerdote, e non ci casca:

« Un uomo come me può darsi alla fuga? Un uomo della mia condizione potrebbe entrare nel santuario per salvare la vita? No, io non entrerò! » (6, 11)

Si cita anche una certa profetessa Noadia che avrebbe tentato un analogo colpo gobbo ai danni del governatore. Dunque anche il popolo d'Israele aveva le sue "mele marce" che tramavano contro Neemia; ma questi continua ad invocare JHWH perchè sia Lui a punire i colpevoli. Nonostante tutto, comunque, nell'ottobre del 445 a.C. le mura sono terminate dopo 52 giorni di durissimo lavoro.

Il Targum
Il capitolo 7 ci presenta invece l'organizzazione civile della nuova Città Santa, ripetendo la stessa lista di rimpatriati che ci è già nota dal secondo capitolo del libro di Esdra. Questo dimostra che quella lista rappresentava in realtà un censimento posteriore di quasi un secolo al controesodo guidato da Zorobabele. Lo scopo di questa ripresa è quello di convincere tutta la popolazione ebraica a concentrarsi a Gerusalemme, onde reagire più facilmente agli attacchi provenienti dai nemici esterni: si parla di "sinecismo", e lo applicò anche Pericle durante la Guerra del Peloponneso, quando concentrò tutta la popolazione dell'Attica tra le mura che congiungevano Atene al Pireo, provocando però lo scoppio di una pestilenza. La popolazione totale della Città Santa risulta di 42.360 persone.
A questo punto, sono maturi i tempi per far rinascere lo stato d'Israele, anche se sotto tutela persiana. Così, nel capitolo 8 l'autore innesta un grande evento: la solenne lettura della Torah, la legge mosaica, a tutto il popolo d'Israele da parte del sacerdote Esdra. Si tratta sicuramente del Pentateuco, ormai codificato durante l'esilio babilonese; da qui in poi il racconto continua chiaramente il libro di Esdra. Si noti come il testo deve essere spiegato, cioè tradotto al popolo; la Torah infatti era scritta in ebraico, mentre ormai il popolo parlava solo aramaico. È a questa data che gli esperti fanno risalire l'inizio del Targum, cioè della traduzione in aramaico della Sacra Scrittura, nel quale il testo non è solo traslitterato, ma anche parafrasato ed intercalato con lunghi commenti. Ancor oggi nella Sinagoga ogni sabato si legge un brano della Torah, la cui lettura integrale è completata nell'arco di un anno a partire dalla festa delle Capanne. In tal modo Esdra avrebbe dato vita anche alla liturgia della Parola nella Messa cattolica, durante la quale il ciclo di letture si completa nel giro di un anno a partire dalla solennità di Cristo Re.

Esdra legge la Torah al popolo, miniatura del secolo XV, Venezia, Biblioteca Marciana

Esdra legge la Torah al popolo, miniatura
del secolo XV, Venezia, Biblioteca Marciana

Esdra ritorna in campo
Secondo il capitolo 9, la celebrazione include anche una solenne liturgia penitenziale, in chiaro collegamento con il capitolo 10 del Libro di Esdra, il cui scopo - manco a dirlo, visto che a parlare è Esdra - è quello di riparare al grave peccato dei matrimoni misti. A guidare la liturgia sono i Leviti, che rivestono un ruolo davvero di primo piano nel culto postesilico, e ripercorrono tutta la storia patria, a partire addirittura dalla Creazione (9 6), passando attraverso la chiamata di Abramo (9, 7), la liberazione dall'Egitto (9, 9), il passaggio del Mar Rosso (9, 11), il cammino nel deserto (9, 12), la Legge del Sinai (9, 13), il miracolo della manna (9, 14), il vitello d'oro (9, 18), la conquista della Terra Promessa (9, 24), l'uccisione dei profeti (9, 26) ed infine la distruzione di Gerusalemme, rievocata solo indirettamente e con un giro di parole, trattandosi dell'evento più doloroso della storia del Popolo Eletto:

« Essi sono stati disobbedienti, si sono ribellati contro di te, si sono gettati la tua legge dietro le spalle, hanno ucciso i tuoi profeti che li scongiuravano di tornare a te, e ti hanno offeso gravemente. Perciò tu li hai messi nelle mani dei loro nemici, che li hanno oppressi. Ma al tempo della loro angoscia essi hanno gridato a te e tu li hai ascoltati dal cielo e, nella tua grande misericordia, tu hai dato loro liberatori, che li hanno strappati dalle mani dei loro nemici. » (9, 26-27)

L'ultima parola di questa grande rievocazione non è dunque quella della condanna senza appello, ma quella della misericordia e della compassione. Dunque, anche se ora si sente « in un'amarezza sconfinata » (9, 37), Israele spera nel Suo intervento salvifico. Quello delle preghiere penitenziali era un genere letterario particolarmente diffuso dopo l'Esilio, quando tutte le sciagure subite dal Popolo, a partire dall'impossibilità di restaurare un regno indipendente, sono attribuite ad una punizione dei suoi peccati: un senso di colpa che, come si vede, ha improntato di sé molti libri storici della Bibbia.
Il capitolo 10 vede tutto Israele siglare un impegno solenne ad osservare d'ora in poi la Legge d'Israele, impegno che è simboleggiato da un documento sottoscritto da tutti i capiclan, a partire da Neemia stesso; da notare che Esdra non compare invece tra i firmatari, cosa strana questa, visto che sarebbe stato lui a guidare la celebrazione liturgica. Ma di questo riparleremo più avanti.
L'ultima parte del libro è piuttosto complessa ed eterogenea. Il capitolo 11 vede il ripopolamento di Israele, che avviene con una tecnica molto semplice. Si tira a sorte: un uomo su dieci va ad abitare nella capitale, gli altri nove nel contado (è il sinecismo di cui parlavamo sopra, già visto in Neemia 7, 4). Si fornisce anche l'elenco dei clan stabilitisi a vivere a Gerusalemme, condito con lunghe precisazioni anagrafiche. In 11, 25-35 si elencano anche i villaggi ripopolati dalle tribù di Giuda e di Beniamino: un documento prezioso per ricostruire una precisa mappa degli insediamenti giudaici al tempo dell'impero persiano. In tutto si nominano 17 città di Giuda e 15 di Beniamino, ma sono omessi alcuni centri citati in altre parti del doppio libro Esdra+Neemia. Le liste proseguono nel capitolo 12 con l'elenco dei Sacerdoti e dei Leviti rimpatriati. Da tutti questi aridi elenchi emerge un dato importante: Israele era alla ricerca della propria identità come popolo, dopo aver perso la monarchia davidica, il Tempio di Salomone, la lingua ebraica e, spesso e volentieri, persino la fede nel monoteismo (altrimenti la solenne professione di fede testé narrata non sarebbe certo stata necessaria); il censimento e le genealogie erano il modo preferito dalla casta sacerdotale per riaffermare questa identità nazionale.
Da 12, 31 in poi riprendono le note autobiografiche del governatore Neemia, il quale narra in prima persona la consacrazione delle mura di Gerusalemme, così come nel cap. 6 del libro di Esdra si era parlato della riconsacrazione del Tempio. Anche stavolta si fornisce l'elenco minuzioso di tutti i celebranti e la descrizione quasi maniacale di ogni particolare della cerimonia.

Ricordati di me...
Il capitolo 13 ed ultimo del libro è dedicato agli aspetti civili della riforma di Neemia. Si noti come questa preveda l'espulsione dal popolo di Ammoniti e Moabiti, sulla base di un episodio del libro dei Numeri (capp. 22-24) in cui il re Balak di Moab aveva incaricato il mago Balaam di maledire il popolo d'Israele. Questo era però anche il nocciolo della riforma religiosa di Esdra, che aveva proibito i matrimoni misti.
In 13, 6 è lo stesso Neemia a dirci che a quel tempo non si trovava più a Gerusalemme, essendo rientrato alla corte di Artaserse, forse per riprendervi la sua funzione di coppiere dopo ben 12 anni di assenza. Ma nel frattempo un collaborazionista, tale Eliasib già nominato in precedenza nel libro, lascia penetrare nel Tempio uno dei nemici giurati di Neemia, quel Tobia che governava gli Ammoniti per conto dei Persiani, e gli fa anche preparare un appartamento nei locali attigui al Tempio. Neemia fa allora ritorno una seconda volta a Gerusalemme (forse nel 424 a.C., anno della morte di Artaserse I del quale era funzionario, dopo nove anni di lontananza) e butta fuori dal Tempio tutto ciò che di profano era appartenuto a Tobia. Ma Neemia deve constatare anche come la sua riforma non ha attecchito in profondità, perchè il popolo non ha consegnato le decime dovute ai sacerdoti, il sabato non è rispettato (certuni si sono messi a pigiare l'uva in questo giorno solenne), dei mercanti di Tiro fanno mercato del pesce in giorno di sabato, e addirittura alcuni erano tornati a sposare donne pagane, in barba alle solenni promesse fatte a JHWH. Così il nostro riformatore è costretto a ristabilire i Leviti nel loro ufficio, a far chiudere le porte di Gerusalemme al tramonto del venerdì, quando comincia il sabato, e a minacciare i mercanti stranieri di farli arrestare. Per tre volte Neemia rivolge a Dio la sua preghiera affinché si ricordi di lui, per tutto quanto ha fatto a favore della purezza del culto; e l'intero libro si chiude con le parole:
« Ricordati di me in bene, mio Dio! ». Vengono in mente le parole del buon ladrone a Gesù sulla croce: « Ricordati di me, quando sarai nel tuo regno! »

Storicità

Neemia il coppiere
Neemia è presentato come il coppiere dell'imperatore persiano Artaserse. Il suo nome non ci è noto al di fuori della Bibbia, ma anche il libro di Ester ci informa che molti Ebrei raggiunsero posizioni di prestigio nell'ambito dell'amministrazione persiana. Comunque è certo che la carica di coppiere esisteva, ed era una delle più prestigiose nella corte di Susa, cittadella citata a sua volta in Neemia 1,1, che dopo essere stata la capitale del regno di Elam era divenuta la residenza invernale degli imperatori Achemenidi. Il termine "cittadella" con cui il libro la indica è giustificato dal fatto che il suo palazzo reale era situato su di un'acropoli che gli dava l'aspetto di una cittadella fortificata. Il famoso codice di Hammurabi fu ritrovato qui nel 1897, perchè era stato asportato da Babilonia come preda di guerra.
Tornando a Neemia, nelle corti orientali i coppieri erano dignitari di alto rango, e spettava a loro assaggiare il vino prima di porgerlo al sovrano, onde assicurarsi che non fosse avvelenato. Naturalmente potevano avvicinarsi al re e parlargli di persona, e quindi era assai facile per loro impetrarne il favore e presentargli delle richieste.

Esdra e Neemia
I biblisti discutono se l'Artaserse citato in Neemia 2, 1 era Artaserse I Longimano (465-424 a.C.) o Artaserse II Mnemone (404-358 a.C.). Nel primo caso Esdra sarebbe giunto in Palestina nel 458 a.C. (il settimo anno di regno di Artaserse I), mentre Neemia lo avrebbe seguito nel 445 a.C. (il suo ventesimo anno di regno), rimanendovi dodici anni fino al 433 a.C. Nel secondo caso, invece, Esdra sarebbe giunto nel 397 a.C. e Neemia vi avrebbe risieduto dal 384 al 372 a.C.; ma questa seconda cronologia appare ai più decisamente troppo tarda rispetto alla ricostruzione del Tempio effettuata da Zorobabele (515 a.C.)
I problemi tuttavia non finiscono qui. Infatti questo libro e il precedente presentano Esdra e Neemia come se fossero contemporanei: prima rientra dalla Persia Esdra nel settimo anno del regno di Artaserse, poi Neemia nel ventesimo anno, quindi quest'ultimo restaura le mura ed Esdra legge la Torah al popolo, condannando i matrimoni misti; successivamente Esdra scompare, e si parla solo del ritorno di Neemia a Susa e del suo successivo rientro a Gerusalemme in data non precisata. Come si è detto, Esdra neppure figura nell'elenco di quanti sottoscrissero solennemente l'impegno della comunità ad osservare la Torah, poi puntualmente disatteso. E così, alcuni hanno avanzato l'ipotesi che l'ordine debba essere invertito: prima sarebbe arrivato Neemia, nel 20° anno di Artaserse I Longimano, e solo 50 anni dopo sarebbe giunto Esdra, nel 7° anno di Artaserse II: l'autore biblico avrebbe cioè confuso i due re con lo stesso nome, o forse ha voluto trasportare entrambi i riformatori nella stessa epoca, per sottolineare come essi lavorarono all'unisono, perchè il loro scopo era lo stesso. Forse, visto il parziale fallimento della riforma di Neemia, attestato dal capitolo 13 di questo libro, Esdra rientrò a sua volta da Babilonia per completarla con la solenne liturgia penitenziale di Esdra 10.

Gerusalemme nel V secolo a.C.
Le informazioni contenute in Neemia 2, 13-15 sono importantissime, perchè contengono una descrizione precisa delle mura di Gerusalemme durante quella che noi oggi chiamiamo normalmente l'età di Pericle, anche se l'esatta ubicazione di alcuni siti è tuttora molto dibattuta. La Porta della Valle (2, 13) doveva essere situata nella parte nordoccidentale delle mura, presso l'attuale porta di Giaffa. La Porta del Letame (ibidem) esiste invece tuttora, e si apre sul lato meridionale, verso la valle di Innom; il suo nome deriva dal fatto che, allora, si scaricavano là le immondizie della città. La Porta della Sorgente (2, 14) si apriva non lungi da questa, a sudest, verso la valle di Cedron. Invece la sorgente del Dragone (2, 13) è nominata solo qui in tutta la Bibbia, e nessuno è riuscito ad indicare una spiegazione convincente per la sua ubicazione. Forse si tratta di una piccola sorgente utilizzata solo nell'immediata epoca postesilica e già prosciugatasi ai tempi di Gesù. Anche questo comunque è un indizio di storicità: se l'autore avesse voluto scrivere un romanzo avrebbe indicato una fontana arcinota e perenne, non certo un nome oggi del tutto sconosciuto.

Gustave Dorè, Neemia ispeziona di notte le rovine del Tempio di Gerusalemme, litografia

Gustave Dorè, Neemia ispeziona di notte le
rovine del Tempio di Gerusalemme, litografia

La festa delle Capanne
Alla s
olenne lettura della Legge, eseguita da Esdra nel capitolo 8 del libro di Neemia, segue l'inaugurazione della Festa delle Capanne, che consisteva - e consiste tuttora - nella fabbricazione di capanne di frasche sotto cui abitare per sette giorni, a ricordo dei quarant'anni trascorsi dal Popolo di Dio nel deserto. In origine si trattava di una festività eminentemente agricola, forse addirittura preisraelitica visto che gli antenati degli Ebrei erano pastori nomadi; ma da questo momento in poi essa assume un significato storico, ricordando appunto il tempo in cui gli Ebrei erano nomadi, senza una patria, e vivevano sotto capanne di frasche. Gli autori biblici hanno poi proiettato l'istituzione di questa festività nel passato remoto di Israele, addirittura al tempo di Mosè, come testimonia il capitolo 23 del libro del Levitico.

Il Libro delle Cronache
Le liste dei clan, delle città, dei sacerdoti e dei leviti nei capitoli 11-12 sono chiuse da quest'annotazione:

« I capi dei casati levitici sono registrati nel libro delle Cronache fino al tempo di Giovanni, figlio di Eliasìb » (12, 23)

Il "libro delle Cronache" qui menzionato però non coincide con nessuno dei due libri biblici che portano questo nome, e che infatti non contengono queste liste, bensì è costituito dalle "Cronache" ufficiali compilate nel Tempio, una sorta di annali che sostituivano gli "Annali dei Re" più volte ricordati da 2 Re e dai due libri delle Cronache, ora che la monarchia aveva cessato di esistere. Logico che negli archivi del Tempio fossero conservate anche le liste genealogiche dei sacerdoti che asserivano di discendere da Aronne.

Dario il persiano
Sono tre i re di Persia che portarono questo nome, che significa "fautore del bene": Dario I il Grande (521-485 a.C.), Dario II Noto (424-404 a.C.) e Dario III Codomano (336-331 a.C.). Tuttavia Neemia 12, 22 si riferisce quasi certamente a lui quando nomina "Dario il persiano", l'ultimo sovrano della dinastia Achemenide. L'identificazione è possibile perchè lo storico giudeo Giuseppe Flavio nelle sue "Antichità Giudaiche" sostiene che il sommo sacerdote Iaddua, nominato nello stesso versetto, esercitò il suo ministero all'epoca di Alessandro Magno che, come tutti sanno, sconfisse proprio Dario III nella battaglia di Isso, detronizzandolo. Dario III venne ucciso dal suo satrapo Besso nella reggia di Ecbatana, in cui si era asserragliato.

Significato
I libri di Esdra e Neemia (o, se si preferisce, l'unico libro che essi costituiscono leggendoli uno di seguito all'altro) rivelano una genesi assai complessa, essendo composti da parti narrative in terza persona, da descrizioni in prima persona e da lunghi elenchi anagrafici e storico-geografici. Certamente l'autore sovrappose materiale d'archivio proveniente dagli Annali del Tempio, ricordi tramandati oralmente di generazione in generazione e memorie autobiografiche dei due protagonisti, la cui esistenza è assicurata dalla correttezza spasmodica e quasi maniacale delle loro descrizioni. Ricostruire l'esatta successione cronologica dei vari brani, e quindi degli eventi narrati, è oggi arduo e fonte di accese discussioni tra gli esegeti.
Ciò che conta però non è tanto un'esatta ricostruzione cronachistica della vicenda, quanto l'evidente messaggio che essa vuole comunicare. Come ha scritto lo storico della chiesa  Elio Guerriero, Esdra e Neemia, rispettivamente un uomo di studio e un capo politico, non erano più gli esuli del tempo di Ciro che accorrevano entusiasti a Gerusalemme per ricostruire la nazione giudaica, ma cultori delle tradizioni patrie che rientravano in Palestina con un programma preciso: ritornare alla purezza del monoteismo e al culto basato sulla fedeltà assoluta ad ogni precetto della Torah. A Babilonia i sacerdoti, preoccupati di preservare la tradizione religiosa di Israele, avevano codificato con scrupolo certosino tutte le norme, i riti, le regole della vita sociale; Esdra e Neemia fecero ritorno per imporre quel corpus come legge del piccolo stato ebraico, impegnandosi con tutte le loro forze per farla rispettare. Per questo, per prima cosa, scacciarono da Israele tutte le donne pagane che rischiavano di far ripetere agli Ebrei l'errore di Salomone. Ma questa loro rigidità apparve necessaria ai contemporanei ed alle generazioni immediatamente successive, per evitare il naufragio di Israele come nazione, ora che la monarchia davidica non esisteva più. Non a caso il Siracide (49, 13) eleva a Neemia un sincero elogio che sintetizza ottimamente tutta quanta la sua opera di riformatore:

« Anche la memoria di Neemia durerà a lungo: egli rialzò le nostre mura demolite e vi pose porte e sbarre; fece risorgere le nostre case »