di Autori Vari
scritta per celebrare la Festa di Utopiaucronia il 28 giugno 2011
POD: Il 21 marzo 1171 l'imperatore bizantino Manuele I Comneno decise improvvisamente di porre fine al dilagante controllo commerciale veneziano nel suo impero ordinando l'immediato arresto di tutti i Veneziani presenti nei territori bizantini, che contavano 10.000 residenti nella sola Costantinopoli, e la confisca dei loro beni e delle loro navi. Il nobile veneziano Enrico Dandolo, cui pure Manuele I aveva concesso il titolo onorifico di Protosevasto, riuscì a fuggire da Costantinopoli e in seguito fu incaricato, assieme ai patrizi Sebastiano Ziani e Orio Mastropiero, di intavolare trattative con Manuele I. Nel corso di questi torbidi eventi Enrico Dandolo perse un occhio. Ma che accade se perde anche la vita?
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La mancata conquista di Costantinopoli
Il 21 giugno 1192, al momento dell'abdicazione di Orio Mastropiero, è eletto Doge Pietro Ziani, che nella nostra Timeline è eletto solo nel 1205.
Nel 1195 l'imperatore bizantino Isacco II Angelo è detronizzato dal fratello, che si proclama Basileus con il nome di Alessio III, e lo fa imprigionare ed accecare.
Nel 1198 Papa Innocenzo III, appena eletto, bandisce una Crociata per Liberare il Santo Sepolcro, ma ben pochi principi rispondono al suo appello, dal momento che il Re d'Inghilterra Riccardo Cuor di Leone è morto prematuramente, il Re di Francia Filippo Augusto è in rotta con il Pontefice avendo appena ripudiato sua moglie Ingeburge di Danimarca, e l'imperatore di Germania Ottone IV di Brunswick ha già il suo bel daffare contro i principi tedeschi. Inoltre il conte Teobaldo di Champagne, che si era detto disponibile a guidare la Crociata, muore prematuramente nel 1201 ed è sostituito da Bonifacio I del Monferrato. Questi però non ha un soldo per affittare le navi veneziane, le quali avrebbero dovuto portarlo in Egitto. Il Doge Pietro Ziani è meno astuto del Dandolo e vuole vedere subito "moneta sonante", per cui non ha l'idea di concedere lo stesso le navi ai Crociati per farsi poi pagare tramite servigi guerreschi. Di conseguenza l'esercito crociato si scioglie prima ancora che la Crociata abbia inizio; solo nel 1218 il successore di Innocenzo III, Onorio III, riuscirà a convincere Federico II di Hohenstaufen a partire per una crociata, che a questo punto sarà la Quarta e non la Quinta, e vedrà la partecipazione di San Francesco d'Assisi come "guerriero disarmato"; ma essa non sortirà alcun risultato.
Nel 1202, dopo la presa di Zara da parte dell'armata veneziana (Pietro Ziani non si fida a commendare a terzi le imprese guerresche della Serenissima), Alessio, figlio del deposto Isacco II, riesce a fuggire da Costantinopoli ma, logicamente, non si rifugia a Venezia, dato che lì non c'è un esercito crociato disposto a deviare dal suo reale obiettivo per dirigersi verso Costantinopoli, combinando il ben noto disastro della nostra Timeline. Alessio si rifugia invece presso lo Zar dei Bulgari Kalojan, il quale accetta di aiutarlo a risalire sul trono in cambio della sottomissione dei Bizantini ai Bulgari e del pagamento di un tributo. Il 24 giugno 1202 l'esercito bulgaro arriva in vista di Bisanzio, ed Alessio cerca di farsi proclamare imperatore dalla popolazione, che invece lo scaccia, considerandolo un traditore, soprattutto per il suo impegno a farsi vassallo degli odiati Bulgari. Lo Zar Kalojan assedia allora Costantinopoli, dove inutilmente Alessio III chiede aiuto ai veneziani: Pietro Ziani non era disposto a mettere in gioco le sue navi, ma spera di raccogliere i frutti della guerra dinastica, insediando i propri fondachi in un impero indebolito e alla mercè dei Bulgari.
Nella notte tra il 17 e il 18 luglio 1202 i Bulgari, guidati dal loro Zar, aprono una breccia nelle mura e fanno strage dei difensori: Alessio III prima si nasconde nel palazzo imperiale, poi riesce a fuggire via nave. La popolazione di Bisanzio libera di prigione Isacco II, che essendo cieco abdica a favore del figlio, il quale sale al trono dei Romani con il nome di Alessio IV. Questi, per rafforzare il suo potere, ottiene che lo Zar Kalojan lasci a Costantinopoli un nutrito presidio bulgaro, il che non contribuisce però a renderlo popolare tra la sua gente.
Già durante l'autunno successivo, la situazione si aggrava a causa dell'aperta ostilità tra i Greci e gli Slavi. Il 19 ottobre Alessio IV chiede ai guerrieri bulgari di lasciare la città, e di conseguenza lo Zar Kalojan fa la voce grossa, chiedendo al Basileus di rispettare i loro accordi. Alessio IV è riuscito nella difficile impresa di inimicarsi tutti i possibili alleati: il popolo lo osteggia perchè intronato dai Bulgari, questi ultimi pretendono il soddisfacimento delle promesse, ed i veneziani stanno alla finestra in attesa degli eventi. Prima che la situazione precipiti, si muove il palazzo: l'8 febbraio 1204 una congiura porta alla deposizione di Alessio IV Angelo, ultimo della sua dinastia, e alla sua sostituzione con il nobile Alessio Ducas, protovestiario di corte, il quale aveva appoggiato Alessio III nella sua ribellione contro Isacco II. Subito il nuovo Basileus si sbarazza di Isacco II e di Alessio IV, facendoli strangolare.
Naturalmente Alessio V Ducas straccia subito ogni trattato firmato con lo Zar Bulgaro, e questi decide di andare a reclamare ciò che ritiene suo. A Filea sul Mar Nero Alessio V tende un'imboscata ai Bulgari, che però gli infliggono una dura sconfitta; lo stesso Basileus è preso prigioniero. Allora i nobili bizantini dichiarano deposto il Ducas ed il 12 aprile eleggono al suo posto Costantino XI Lascaris, un lontano parente di Alessio III, che viene incoronato dal Patriarca Giovanni X. Questi riorganizza le forze bizantine per muovere contro i Bulgari. Lo scontro avviene il 19 marzo 1205 presso Harioupoli, in Tracia, ed in esso cadono sia lo Zar Kalojan che il Basileus Costantino. A quest'ultimo succede il fratello Teodoro I, che fa la pace con Boril I, nuovo Zar dei Bulgari nipote di Kalojan, ottenendo il ritorno allo status quo.
Teodoro I fa alleanza con il Doge Pietro Ziani, che così vede premiata la sua politica attendista: a differenza del nostro Enrico Dandolo non ha conquistato un impero, ma si assicura parecchi fondachi in varie isole egee, battendo in quel mare la concorrenza genovese. Nel 1209 il Sultanato di Iconio, alleato dei genovesi, tenta l'assalto contro Costantinopoli, ma Teodoro I si allea con il re Leone II d'Armenia, del quale ha sposato la sorella Filippa, e con il Doge di Venezia, e riesce a respingere l'attacco grazie a una brillante vittoria presso Nicea. Teodoro I muore nel 1222, e gli succede il genero Giovanni III Vatatze, che ha sposato sua figlia Irene. Giovanni III è un grande sovrano, patrono delle arti e delle scienze, e la sua corte è un attivo centro di studi. Per contrastare le pretese del nuovo Zar Bulgaro Ivan II, egli fa alleanza con l'imperatore Federico II di Hohenstaufen, cui presta aiuto in occasione della sua Crociata. In seguito ad una caduta da cavallo, dalla quale ella ritiene di essersi salvata per miracolo, sua moglie Irene Lascaris decide di ritirarsi in convento, assumendo il nome di Eugenia, dove rimarrà fino alla morte; nel 1244 allora Giovanni III sposa in seconde nozze Costanza II di Sicilia, figlia di Federico II e di Bianca Lancia, rafforzando così la sua alleanza con lo Stupor Mundi.
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La sconfitta di Carlo d'Angiò
Morto Giovanni III il 3 novembre 1254 dopo ben 32 anni di regno, gli succede il figlio Teodoro II, da lui avuto da Irene. Egli si concentra sul risparmio delle casse bizantine, già parecchio prosciugate, e scontenta gli aristocratici, governando a favore del popolo che lo adora. Egli combatte vittoriosamente contro i bulgari in Tracia nel 1256 e riconquista una parte della Macedonia, ma purtroppo soffre di epilessia, e proprio per un attacco di epilessia muore il 18 agosto 1258 all'età di trentasei anni. In punto di morte fa chiamare il suo protovestiario Giorgio Muzalon e lo nomina reggente per il giovane figlio Giovanni IV Lascaris, di soli otto anni, che egli ha avuto da Elena di Bulgaria, figlia dello Zar Ivan II.
La reggenza di Giorgio Muzalon è però invisa a parte della aristocrazia, che lo accusa di aver avvelenato l'amato Basileus Teodoro. E così, appena nove giorni dopo la morte di Teodoro II, Giorgio Muzalon è massacrato insieme a tutta la sua famiglia durante una cerimonia religiosa a Magnesia, mandante della quale secondo molti è Michele Paleologo, generale brillante ma ambizioso, che si fa associare al trono il 1 gennaio 1259, ed ottiene il controllo del tesoro imperiale. Proprio attingendo al denaro imperiale, Michele si accattiva le simpatie di molti influenti personaggi e del clero. Intanto egli aumenta il suo prestigio militare grazie all'involontario aiuto di Manfredi, figlio naturale di Federico II e re di Sicilia, che dopo la morte di Teodoro II ha occupato Durazzo e l'isola di Corfù, e minaccia l'Epiro. Nella risolutiva battaglia del settembre 1259 presso la valle di Pelagonia, i quattrocento cavalieri inviati da Manfredi vengono tutti massacrati. Ma la vera fortuna di Michele Paleologo la fanno i Turchi di Iconio, che cercano di approfittare della giovane età del Basileus per conquistare Costantinopoli. Michele allora si mette alla testa delle truppe e di nuovo presso Nicea il 25 luglio 1261 infligge una durissima sconfitta al Sultano Izzeddin Keykavus II, che cade in combattimento, riconquistando tutta la Bitinia. Al suo ritorno a Costantinopoli, acclamato come un eroe, con un colpo di mano Michele fa accecare ed imprigionare Giovanni IV nella fortezza di Dakibyze, sul mar di Marmara, e il 25 dicembre del 1261 si fa incoronare unico Imperatore dei Romani dal patriarca Antemio. A Giovanni IV è risparmiata la vita ma deve farsi monaco, prendendo il nome di Giosafat.
Il 26 febbraio 1266 Carlo I d'Angiò, conte di Provenza e fratello del re Luigi IX di Francia, nella battaglia di Benevento sconfigge Manfredi, che cade nello scontro, e diventa nuovo Re di Sicilia. Egli eredita i sogni del suo predecessore di conquistare l'impero bizantino, e con l'aiuto di Venezia allestisce una flotta per invadere l'Epiro. Allora Michele VIII stringe alleanza con Genova, cedendo loro l'intero quartiere di Galata, uno dei più ricchi sobborghi di Costantinopoli, ma nella primavera del 1267 la flotta genovese-bizantina subisce una pesante sconfitta navale presso Settepozzi, nel golfo di Nauplia, ad opera dei Veneziani. Allora Michele VIII decide di giocare d'astuzia e di cattivarsi le simpatie di Papa Clemente IV, prospettandogli l'unificazione delle chiese cristiane, e del pio re di Francia Luigi IX, che riesce a trattenere il fratello dai suoi piani di aggressione a Bisanzio e lo conduce con sé nella sua ultima crociata contro Tunisi nell'estate del 1270. Intanto Michele VIII allarga la sua rete di alleanze: suo figlio Andronico II Paleologo, erede al trono, sposa la figlia del re di Ungheria. Quando scoppia una nuova guerra con la Bulgaria per la vecchia contesa riguardante le città di Anchialo e Mesembria, importanti roccaforti sul mar Nero, lo spregiudicato Basileus gioca una nuova carta, alleandosi con i Mongoli: Michele dà in sposa la figlia Eufrosine a Nogai Khan, sovrano mongolo dell'Orda d'Oro e l'altra sua figlia Maria ad Abaqa, Khan degli Ilkhanidi di Persia. Grazie all'aiuto di 6.000 soldati Mongoli le minacce dei Bulgari e dei Francesi sono tenute lontane.
Inoltre, per difendere al meglio l'impero il Basileus fa costruire una flotta di 120 Dromoni, con la quale l'ammiraglio Licario riesce a sconfiggere i veneziani che si erano installati nelle isole dell'Egeo.Nel 1282, quando Carlo d'Angiò sta di nuovo progettando la conquista dell'Impero alleandosi con i sovrani balcanici di Serbia, Bulgaria e Valacchia, Michele VIII ha un nuovo colpo di fortuna: il 31 marzo 1282 scoppia la rivolta dei Vespri Siciliani contro il dominio angioino sulla Sicilia. Michele VIII ovviamente non manca di finanziare gli insorti e di stringere alleanza con Pietro III d'Aragona che, essendo figlio di Costanza, primogenita di Re Manfredi, accampa diritti dinastici sull'isola. Nell'agosto 1282 a Palermo Pietro si fa incoronare re di Sicilia con la stessa corona appartenuta a Manfredi. Dopo aver subito una dura lezione dagli aragonesi, Carlo d'Angiò riesce a conservare i territori situati nell'Italia continentale, ma deve abbandonare definitivamente sia la Sicilia che le mire espansionistiche contro Bisanzio. Il Doge di Venezia Giovanni Dandolo si riavvicina all'impero bizantino e al re d'Aragona.
Sul piano interno l'impero di Michele non è altrettanto fortunato: scomunicato dal Patriarca Arsenio per l'accecamento dell'imperatore legittimo Giovanni IV Lascaris, l'imperatore riesce con grandi difficoltà ad allontanarlo dal suo incarico, ma nasce una fazione ostile alla sua politica, quella degli Arseniti, che divide il clero; inoltre l'aumento delle aliquote fiscali provoca il malcontento popolare. Sarà comunque ricordato come un brillante imperatore. Michele VIII muore l'11 dicembre 1282 e gli succede il figlio Andronico II Paleologo, che ha 24 anni. Egli si reca subito a far visita all'ex Basileus Giovanni IV e gli chiede scusa per ciò che suo padre gli ha fatto. Questo gesto gli permette di calmare gli attriti fra gli Arseniti, che sostengono Giovanni, e la Chiesa Ortodossa ufficiale.
Appena salito al trono, Andronico II straccia tutte le promesse di unione con la Chiesa Latina, fatte dal padre al Papa per convenienza; in tal modo ottiene l'appoggio del clero, cui in cambio chiede il pagamento di varie imposte. Mitiga poi le concessioni fatte dal padre alla nobiltà, riuscendo così a calmare gli animi del popolo. Durante il suo regno l'impero viene colpito da una grave crisi economica: per farvi fronte il Basileus aumenta le tasse, riduce drasticamente le spese non necessarie, fa fondere l'oro del palazzo reale, abolisce le esenzioni fiscali, ma non arriva a smantellare la flotta bizantina, come ha fatto il suo omologo della nostra Timeline, in quanto i nemici esterni dell'impero sono sempre più aggressivi; anzi, porta la flotta ad un totale di 120 navi. Inoltre riorganizza la monetazione bizantina, ora basata sull'hyperpyron d'oro. Nel 1291 negozia con la Repubblica di Genova vantaggiosi accordi commerciali. Nel 1295 si associa al trono il figlio Michele IX Paleologo, cui affida il controllo dell'economia e il comando supremo dell'esercito.
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La minaccia dei Turchi e dei Serbi
Intanto però da oriente si è affacciato un nuovo, pericoloso nemico: i Turchi Ottomani (così detti dal loro sovrano Osman I), i quali, fuggendo davanti all'espansione Mongola, hanno occupato il Sultanato di Iconio, deponendone l'ultimo sovrano Giyath al-Din Massud II e ponendo la loro capitale ad Ankara. Osman I punta manifestamente a realizzare il sogno mai riuscito ai Selgiuchidi, cioè occupare Costantinopoli per farne la sua capitale ed islamizzarla; allo scopo mette sotto assedio la città di Prusa (la nostra Bursa). Allora Andronico II sposta la sua corte a Nicea, dove può meglio sorvegliare la costruzione di fortificazioni e sollevare il morale delle truppe. Il suo miglior generale, Alessio Filantropeno, nel 1302 affronta i Turchi e li costringe a desistere dall'assedio di Prusa; a differenza della nostra Timeline questi non è eliminato da una congiura di palazzo dietro l'accusa di volersi fare Basileus, e così insieme al co-imperatore Michele IX Paleologo può iniziare a fortificare una serie di città di confine per creare una vera e propria rete difensiva contro la prepotenza turca, mentre l'altro generale Mouzalon sloggia gli Ottomani da Efeso.
Nel 1308 il Sultano Ottomano Osman I torna alla carica con una grande offensiva contro i bizantini, e così Andronico II decide di ricorrere alla rete di alleanze tessuta dal padre. Siccome sua figlia Simonida Paleologa ha sposato il re serbo Stefano Uroš II Milutin, e l'altra sua figlia Maria Paleologa è stata data in moglie a Toqta, Khan dell'Orda d'Oro, il Basileus chiede chiede aiuto militare proprio ai Mongoli e ai Serbi. Inoltre a Costantinopoli giungono gli inviati di Ruggero da Fiore, che vengono ad offrire ad Andronico II il servizio della Compagnia Catalana per nove mesi, in cambio di un titolo nobiliare e alla paga doppia i catalani. Nonostante l'alto prezzo, Andronico decide di accettare l'offerta del mercenario catalano, che giunge a Costantinopoli con tutti i suoi uomini. In tal modo Michele IX organizza un'armata di 20.000 uomini, sconfigge più volte i Turchi e li costringe ad allontanarsi dalla costa dell'Egeo. Particolare valore dimostrano i mercenari catalani, che battono sonoramente gli Ottomani nella battaglia delle Porte di Ferro, nelle montagne del Tauro cilicio: il loro trucco consiste nel gettarsi contro i nemici con tale velocità da impedire loro di utilizzare efficacemente la loro arma principale, l'arco.
Nella nostra Timeline i catalani si resero ben presto odiosi alla popolazione greca con i loro abusi, ma in questa i Bulgari attaccano anticipatamente i territori bizantini, e così Andronico II richiama Ruggero da Fiore in Europa per combatterli, Ma i Bulgari non sono i Turchi, ed infatti infliggono ai catalani una dura sconfitta nella battaglia di Skafida: Ruggero da Fiore cade nello scontro, e Andronico II è costretto a cedere allo Zar Teodoro Svetoslav numerose fortezze di confine. In tal modo Giacomo II d'Aragona non può accampare diritti su alcuna porzione dell'impero bizantino, né scoppia alcuna guerra di conquista all'interno dell'Impero.
Un fatto increscioso rischia di rovinare tutto il lavoro di Andronico II: il nipote Andronico III, figlio di Michele IX, geloso della sua fidanzata, ordina ai suoi pretoriani di assassinare il primo uomo che esce dalla casa della stessa: lo stupore è grande quando, dopo averlo accoltellato, scoprono che si tratta del fratello di Andronico III, Manuele. Suo padre Michele IX muore di dolore appena gli viene data la notizia. Andronico II su tutte le furie, ma siccome vuole molto bene ad Andronico III, ed è consapevole del fatto che l'Impero è attaccato da ogni parte, decide di non diseredarlo immediatamente, evitando la guerra civile che nella nostra Timeline causò il declino definitivo dell'impero. Andronico II fa sapere al giovane nipote che non lo diserederà se, per espiare i suoi peccati, sloggerà gli Ottomani che stanno di nuovo assediando Prusa. Andronico III accetta e si sposta in Asia insieme al suo principale alleato, il generale Giovanni Cantacuzeno. Nel 1326 Andronico il giovane libera finalmente Prusa dall'assedio; il nuovo Sultano Ottomano Orhan, figlio di Osman, cade nello scontro, e così i possedimenti bizantini in Asia sono salvi; l'Impero ha anche evitato di perdere i territori europei, sui quali mantiene uno stretto controllo.
Il Basileus Andronico II muore a Costantinopoli il 13 febbraio 1332, all'età di 73 anni, e gli succede il nipote Andronico III Paleologo, acclamato come un eroe. Egli cerca di riformare l'apparato burocratico e giuridico dello stato, appesantisce le pene contro la corruzione, sfoltisce la burocrazia, semplifica l'apparato tributario e rimette in vigore le tasse straordinarie sul lusso. Porta la marina bizantina basata a 150 dromoni, con la quale libera Lesbo e Focea da un assedio genovese, e a differenza del nonno congeda i mercenari stranieri, sostituendoli con contadini di leva addestrati al combattimento, in modo da risolvere il problema dei saccheggi da parte dei mercenari ed al contempo quello della distribuzione della terra, assegnando loro un podere al termine del servizio militare. Viene però sconfitto dai Bulgari nella battaglia di Rusocastro.
Andronico III muore improvvisamente a soli 44 anni il 15 giugno 1341; c'è chi parla di avvelenamento. In ogni caso, viene incoronato Basileus suo figlio Giovanni V, che ha solo nove anni. La Corte nomina reggente il valoroso generale Giovanni Cantacuzeno, che nella nostra Timeline entra subito in conflitto con Anna di Savoia, madre dell'imperatore defunto. Ma in questa Timeline i Latini non hanno mai governato l'Oriente, e così Andronico III ha sposato Teodora Nemanjic, figlia del Re di Serbia Stefano Uroš III. Teodora, a differenza di Anna di Savoia, è rapidamente chiusa in monastero, volente o nolente, e il Cantacuzeno costringe il giovane Giovanni V a nominarlo suo co-imperatore con il nome di Giovanni VI. In tal modo viene evitata quella guerra civile lunga sei anni che dalle nostre parti finì di distruggere quanto restava dell'Impero Bizantino. Ciò non impedisce comunque che Costantinopoli venga infettata dalla Morte Nera, la terribile pestilenza proveniente da Caffa nel Mar Nero: tra il 1347 e il 1352 nella sola Costantinopoli muoiono 10.000 persone.
Nel frattempo, il 16 aprile 1346 sale al trono di Serbia Stefano Uroš IV, fratello di Teodora Nemanjic, il quale decide di vendicare l'onore della sorella e perciò muove guerra al Basileus fedifrago. Senza colpo ferire il suo esercito occupa tutta la penisola Calcidica e il Sacro Monte Athos; montatosi la testa, egli eleva d'autorità l'arcivescovo di Peć Joankije II al rango di patriarca della Chiesa Ortodossa Serba, proclamandone l'autocefalia; quindi, la notte di Natale del 1346 a Skopje si fa incoronare da Joankije II con il titolo di Zar dei Serbi e dei Greci. Naturalmente Giovanni Cantacuzeno si rifiuta di riconoscere quel titolo, ritenendosi l'unico autocrate dei Greci, e chiede al Patriarca di Costantinopoli di scomunicare i Serbi, atto che avviene nel 1350. Nel frattempo, però, Stefano ha già conquistato l'Epiro e la Tessaglia: ormai l'Impero Bizantino in Europa è ridotto al Peloponneso, alla Tracia, a Creta e alle isole egee ed ionie; l'Impero Serbo invece si estende dal Danubio a Corinto, e dal Mare Egeo all'Adriatico. Manca solo la città di Tessalonica, ancora in mano a Giovanni VI Cantacuzeno, dopo la quale Stefano intende marciare verso la capitale bizantina e conquistarla, assumendo il titolo di Basileus.
Approfittando della lontananza del sovrano serbo, nel 1350 il re bosniaco Stefano II Kotromanić occupa la città di Cettigne, e subito Dušan si muove per riconquistarla; naturalmente Giovanni Cantacuzeno approfitta di tutto ciò per riorganizzare il suo esercito e rioccupare il Sacro Monte Athos. Ben presto i bosniaci sono sconfitti, e Dušan torna per riprendersi ciò che Giovanni VI ha appena riconquistato; per questo decide di coalizzarsi con Giovanni V Paleologo, che non gradisce di spartire il trono con l'ingombrante generale, e con la repubblica di Venezia. Dal canto suo Giovanni VI Cantacuzeno cerca l'alleanza con gli Ottomani, ma questi ultimi si stanno ancora riorganizzando dopo la batosta subita un quarto di secolo prima, e il nuovo Sultano Murad I non vuole saperne di aiutare il responsabile della morte in battaglia del suo predecessore Orhan. Allora il Cantacuzeno, disposto a venire a patti anche con il diavolo, si allea con lo Zar di Bulgaria Ivan Aleksandar, che considera Stefano Dušan un pericoloso rivale. I due eserciti si fronteggiano a Stefanijane nel 1352, ma lo scontro finisce con un pareggio. L'unico vincitore alla fine è Giovanni V Paleologo, che fa prigioniero Giovanni VI Cantacuzeno e lo costringe a farsi monaco sul Monte Athos, quindi riesce a distogliere Venezia dall'alleanza con i Serbi. C'è di buono che in tutto questo caos gli Ottomani restano lontani dall'Europa, essendo la costa dell'Egeo saldamente in mani bizantine; nessun loro sbarco a Gallipoli, dunque; essi puntano piuttosto a sottomettere tutti i piccoli stati turchi nati dalla disgregazione del Sultanato di Iconio.
Fatta pace con i Bulgari e ottenuta l'alleanza della Repubblica di Genova, rivale di Venezia, finalmente Stefano Dušan si decide a marciare su Costantinopoli, per riunificare i due imperi nelle sue mani. Ma il 25 dicembre 1355, quando già sono in vista le mura della Città di Costantino, all'improvviso lo sorprende la morte, all'età di soli 47 anni. Il suo corpo viene sepolto nel monastero dei Santi Arcangeli a Prizren in Kosovo. Gli succede il figlio Stefano Uroš V, si soli 19 anni, che sarà detto il Debole perchè i baroni feudali prendono ben presto il sopravvento su di lui. L'Impero Serbo non sopravvive al suo creatore, e lentamente scivola verso la disgregazione e l'anarchia. Subito ne approfittano i suoi storici rivali: Giovanni V Paleologo, che è tornato unico imperatore dopo la liquidazione di Giovanni Cantacuzeno, si allea con il nuovo Zar Bulgaro Ivan Šišman e infligge ai Serbi una dura sconfitta a Seres, riconquistando quasi tutti i territori balcanici perduti da Giovanni VI Cantacuzeno, mentre i Bulgari conquistano gran parte della Macedonia nordorientale: la Serbia si riduce ad un piccolo stato vassallo dei Bulgari e di Bisanzio. Anche Balša I, Principe di Zeta (corrispondente al nostro Montenegro), si sottomette a Giovanni V. Il Principe serbo Lazzaro Hrebeljanović, già cancelliere alla corte dello Zar Stefano IV, tenta in modo velleitario la riconquista dei territori perduti, ma il 28 giugno 1389 subisce una sconfitta definitiva presso Kosovo Polje (in serbo "Piana del Merlo"): una data che per i Serbi avrà il significato di riscossa nazionale. Per ringraziare Dio della vittoria, il 20 luglio 1389 Giovanni V ordina la prima Ostensione Pubblica del Mandylion di Edessa, che nel 944 era stato traslato a Costantinopoli per salvarlo dall'invasione musulmana e deposto nella Basilica della Vergine Theotokos di Pharos. In questa occasione tutti si rendono conto che esso non rappresenta solo il volto di Cristo, ma l'intera sua persona riprodotta due volte: è quella che noi chiamiamo la Sacra Sindone! Da questo momento in poi le ostensioni del Mandylion accompagneranno i più importanti eventi dell'Impero (nascite di eredi, matrimoni regali, strepitose vittorie), e il Sacro Lino abbandonerà Costantinopoli solo durante la Seconda Guerra Mondiale, quando verrà nascosto nel Monastero di Stavronikita, sul Monte Athos.
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Arriva Tamerlano
Il 16 febbraio 1391 Giovanni V muore di gotta, lasciando il trono al figlio primogenito Andronico IV, avuto da Elena Cantacuzena, figlia di Giovanni VI. Tuttavia gli altri due figli Manuele e Teodoro si ribellano contro il primogenito, chiedendogli di spartire il suo impero con loro. « Noi non siamo barbari, che spartiscono i loro regni tra i figli », è la risposta di Andronico IV, che però offre ai fratelli il governatorato rispettivamente dell'Epiro e della Morea. Questi ultimi non si accontentano e scelgono la pericolosa strada dell'alleanza con il nuovo Sultano Ottomano Bayazid I, detto "la Folgore", un tipo non propriamente pacifico (ha fatto strangolare il fratello minore Yakub per restare unico padrone del sultanato) che coglie l'occasione dell'alleanza con i due fratelli per occupare quasi tutti i possedimenti asiatici di Bisanzio, incluse le storiche città di Nicea, Calcedonia, Smirne ed Efeso.
Nel 1396 il letterato fiorentino Coluccio Salutati invita in Italia Manuele Crisolora, uno tra i massimi esperti mondiali di letteratura greca antica, in modo da far riscoprire quest'ultima in Occidente. Andronico IV dà il permesso al grande studioso di recarsi a Firenze, « perchè in tal modo, se i Turchi ci sommergeranno, almeno la nostra cultura si salverà ». A Manuele Crisolora è affidata la prima cattedra di Greco all'Università di Firenze, e gli intellettuali europei corrono ad iscriversi in massa: con la riscoperta dei classici greci inizia la grande stagione dell'Umanesimo.
Ormai Bayazid si prepara ad assediare Costantinopoli quando arriva insperato il soccorso da oriente, nella persona di Tamerlano (Timur Leng, "Timur lo Zoppo"), conquistatore mongolo che si dice discendente di Gengiz Khan ed aspira a ricostruire il regno del suo avo. Dopo aver conquistato la Persia, devastato l'India, distrutto il Khanato dell'Orda d'Oro e preso l'Azerbaigian, egli si affaccia sulla penisola anatolica. Allora nel 1399 Andronico IV invia suo fratello Michele Paleologo a Samarcanda, proponendogli un'alleanza anti-ottomana in cambio di un tributo e della mano di sua sorella Maria Paleologa. Il Grande Emiro (come egli si fa chiamare) non se lo fa ripetere: nonostante si proclami Difensore della Fede Islamica, ha sempre attaccato volentieri altri stati musulmani, ed anche alcuni piccoli stati turchi vessati dagli Ottomani gli hanno chiesto aiuto. Tamerlano piomba così oltre l'Eufrate, sconfigge il sultano mamelucco dell'Egitto ed invade la Siria, saccheggiando Aleppo e prendendo Damasco; quasi tutti gli abitanti della città sono massacrati, a eccezione degli artigiani, deportati in massa per contribuire ai lavori di abbellimento di Samarcanda. Nel giugno 1401 prende anche Baghdad, città in cui si rende colpevole di un nuovo massacro. Il Sultano Ottomano, terrorizzato, gli va incontro con il grosso delle sue truppe, pretendendo che lo segua anche Teodoro Paleologo con i suoi uomini. Lo scontro con l'orda mongola avviene nella battaglia di Ankara il 20 luglio 1402, e si risolve in un disastro per i Turchi. Teodoro cade in battaglia e Bayazid I, pur battendosi eroicamente, cade prigioniero. Secondo la leggenda, Tamerlano se lo fa portare davanti e, quando lo vede, si accorge che è cieco da un occhio e si mette a sghignazzare.
« Vile, perchè deridi in questo modo un nemico sconfitto? » gli si rivolge l'umiliato Bayazid. Il mongolo tuttavia gli risponde:
« Perdonami, ma pensavo che per Allah le corone sono davvero poca cosa, se le ha date a un guercio come te e ad uno zoppo come me! »
In ogni caso, Bayazid finirà i suoi giorni in cattività, mentre Tamerlano annette il suo sultanato e giunge fino ad Efeso, dove incontra di nuovo Michele Paleologo, che gli porta in sposa la sorella Maria ed un forte tributo da parte di Andronico IV, ancora maggiore di quello pattuito nel trattato di alleanza; vista la facilità con cui il mongolo si è sbarazzato degli Ottomani, infatti, il Basileus teme che potrebbe fare la stessa cosa anche con lui. Ma Tamerlano dimostra di essere disinteressato all'Occidente, poiché il suo chiodo fisso è quello di conquistare la Cina per ricreare l'impero di Gengiz Khan. Stipula piuttosto accordi commerciali con l'Impero Bizantino e con la Repubblica di Venezia, chiedendo materiale per far costruire la grande Moschea di Samarcanda e per la spedizione in Estremo Oriente, e spedisce lettere con proposte di alleanza al Re di Castiglia Enrico III e al Re di Francia Carlo VI il Beneamato. Molti intellettuali e generali europei ammirano il genio militare di Tamerlano, pur essendo egli un musulmano, e la sua figura diverrà protagonista di molti drammi e romanzi fino all'epoca nostra.
L'Anatolia resta interamente in mano a Tamerlano; ma questi, partito per la sua spedizione contro la Cina dei Ming, muore il 19 gennaio 1405 a Otrar, al di là del fiume Syr Darya, e il suo impero si disgrega immediatamente in potentati turchi in lotta perenne tra di loro. Nella nostra Timeline gli Ottomani riuscirono a riprendersi dalla batosta perchè il cuore dei loro possedimenti era in Europa, ma in questa Timeline essi hanno creato un sultanato essenzialmente anatolico, e così il loro impero non riuscirà a risollevarsi mai più. Il loro posto è preso in Anatolia dal Beilikato di Karaman, nato dalla dissoluzione del Sultanato di Iconio e fin qui suddito degli Ottomani. La sua capitale è Ermenek (poi verrà trasferita ad Ankara) e il suo vessillo somiglia curiosamente alla Stella di Davide ebraica; in realtà si tratta di un simbolo (la Stella di Salomone) molto usato anche tra i musulmani. I Karamanidi fanno risalire la loro origine a Khwaja Sa'd al-Din e a suo figlio Nure Sufi, che verso il 1200 sono emigrati dall'Azerbaigian verso la regione del Tauro occidentale, nei pressi della città di Larende, dove lavoravano come boscaioli. Alla metà del XIII secolo il figlio di Nure Sufi, Kerimeddin Karaman Bey, è riuscito ad unificare sotto il proprio dominio le regioni montagnose della Cilicia, ed ha poi esteso i suoi territori conquistando i castelli di Ermenek, Mut, Eregli, Gülnar, Mer e Silifke. In riconoscimento di queste conquiste il sultano selgiuchide Qilij Arslan IV gli ha assegnato la città di Larende, ribattezzata proprio Karaman in onore di questa dinastia, ed il fratello del bey Karaman, Bunsuz, è diventato guardia del corpo del Califfo. Il loro potere si accresce enormemente dopo la batosta ottomana ad Ankara in seguito all'unificazione dei clan di cultura turca che vivono nelle regioni montuose della Cilicia con i nuovi elementi turchi trasferiti qui da Kayqubad. Mehmet Bey mette insieme un esercito che distrugge ciò che resta del Sultanato Ottomano, sostituendosi ad esso e fondando una monarchia che, come vedremo, durerà fino all'anno 1922.
La Mesopotamia invece torna sotto il controllo dei Kara Koyunlu, i Turcomanni del Montone Nero il cui dominio si estende dall'Azerbaigian al Golfo Persico. Manuele Paleologo si sottomette al fratello Andronico IV, ponendo fine alla guerra civile, e il Basileus gli chiede di riconquistare i territori asiatici, impresa che egli inizia subito, anche perchè le popolazioni anatoliche hanno visto i sorci verdi con l'arrivo dei Mongoli, e persino molti Turchi preferiscono il governo bizantino a quello timuride. Andronico IV muore improvvisamente il 28 giugno 1406, e il suo ex ribelle fratello può coronare il suo sogno di ascendere al trono con il nome di Manuele II. Manuele assomiglia molto a suo nonno Andronico III Paleologo: energico, di ottima salute, amante della letteratura e degli studi di teologia, oltre ad essere un ottimo combattente; si dice che i Turchi, guardandolo, rimangano stupiti, affermando che il suo aspetto assomiglia moltissimo a quello del profeta Maometto.
L'impero ora è al sicuro, ma si sa: si vis pacem, para bellum. E così Manuele fa sposare il suo primogenito Giovanni con Anna, la figlia del Principe di Mosca Basilio I Rjurik, sovrano del maggior stato ortodosso dopo il suo impero. Sebbene la sposa abbia solo undici anni, Basilio I accetta, essendo ben felice di imparentarsi con i Paleologi; il matrimonio viene celebrato nel 1414. Intanto Manuele viaggia attraverso tutti i suoi domini, onde imporre la sua autorità sui territori appena riconquistati. In Morea dirige la ricostruzione delle Mura di Hexamilion (cioè lunghe sei miglia) attraverso l'istmo di Corinto, per difendere il Peloponneso dai Pirati musulmani che minacciano le sue floride città. Sotto di lui l'esercito bizantino si dota delle prime armi da fuoco della sua storia.
Purtroppo nel 1417 a Costantinopoli scoppia di nuovo la peste che uccide un gran numero di persone, tra cui la principessa Anna, che viene pianta a lungo. Allora il Basileus combina le nozze del figlio con Petrica, figlia dello Zar di Bulgaria Ivan V, che però non è amata dal popolo quanto Anna di Mosca. Naturalmente in questa Timeline Bulgaria e Serbia si sono salvate dal cadere sotto il dominio ottomano, e dunque essi continuano a sussistere come stati indipendenti con le loro dinastie. Dal canto suo in Anatolia Mehmed II di Karaman conquista Ankara, annette i Beilikati dei Ramazanidi, dei Dulkadiridi e degli Eretnidi, e si proclama Sultano, aspirando a ricostruire la potenza degli Ottomani, tanto che Manuele II comincia a tessere alleanze per sconfiggerlo sul nascere. Ma Mehmed II pretende troppo quando muove verso la Siria, controllata dai Mamelucchi d'Egitto: sconfitto a Tarso, muore in battaglia e l'ascesa del suo Sultanato è bloccata per sempre.
Tra l'altro Manuele II Paleologo è autore di numerose opere in campi differenti, tra cui lettere, poesie, Vite di Santi, trattati di teologia come l'"Orazione per la Dormizione della Santissima Vergine" e "Sulla Processione dello Spirito Santo" (uno dei problemi fondamentali della teologia dell'Oriente greco). La sua opera più importante sono però i 26 "Dialoghi con un Persiano", nei quali egli discetta con un musulmano sui più importanti problemi teologi e dottrinali delle rispettive religioni. L'opera rappresenta oggi uno dei capisaldi del dialogo interreligioso. Manuele II è anche mecenate di artisti e scrittori: il suo protovestiario Giorgio Sfranze scrive la "Cronaca", grande storia di tutta la dinastia dei Paleologi fino all'anno di morte dello scrittore (1477).
Nel 1423 Manuele II è colpito da due ictus cerebrali ma, seppur infermo, conserverà sempre la propria lucidità, tanto da prendere i voti. Manuele II Paleologo si spegne il 21 luglio 1425, pianto da tutto il popolo; gli succedette sul trono il figlio Giovanni VIII. Quest'ultimo invita a Costantinopoli il grande pittore di icone di tutti i tempi, il russo Andrej Rublëv, che per lui dipinge uno straordinario ciclo di affreschi nel Monastero di Sant'Andronico; proprio a Costantinopoli Rublëv si spegne il 29 gennaio 1430, ed è sepolto nel Monastero in cui ha lavorato. Sotto l'influsso di Rublëv fiorisce una grande scuola di pittori di icone, nota come Scuola Cretese, il cui massimo rappresentante è Manuele Panselenos, autore di un grande ciclo di affreschi nel Protraton del Monte Athos. L'architettura bizantina mantiene il tradizionale schema di chiesa a pianta centrale con cupole, abbellendo l'insieme con colonnine e tendendo a dare un senso di slancio e di altezza alle costruzioni, utilizzando decorazioni appropriate.
Ma Giovanni non è solo un mecenate: a lui tocca affrontare il veemente ritorno dei Bulgari, i quali. dopo aver attraversato un periodo di crisi feudale, stanno cercando di riorganizzarsi e vogliono riconquistare i territori tolti loro dai bizantini. Come conseguenza Giovanni VIII decide di ripudiare la moglie, sorella dell'attuale Zar bulgaro Michele IV, che non gli ha dato figli. e di sposare in terze nozze la nobile bizantina Maria Comnena. Inoltre Giovanni VIII si allea con il Re d'Ungheria e di Polonia Ladislao III Jagellone contro i Bulgari, stringendoli in una morsa fatale. Il 10 novembre 1444 presso Varna i Bulgari sono duramente sconfitti dalla coalizione, anche se Ladislao III cade in battaglia. Di conseguenza la Bulgaria è ridotta a un piccolo stato vassallo di Costantinopoli, e Giovanni VIII riceve il titolo di Bulgaroctono, che fu già di Basilio II il Grande, Basileus a cavallo dell'anno mille. In Anatolia il Sultano Ibrahim di Karaman deve incassare una sconfitta a di Beysehir ed è costretto a chiedere la pace con i bizantini. Siccome anche i piccoli despotati in cui si è spezzato il Regno di Serbia sono vassalli di Costantinopoli, l'Impero Romano d'Oriente rappresenta lo stato più potente dei Balcani. Tuttavia, nonostante i tre matrimoni contratti, Giovanni VIII non ha figli; e così, quando il 31 ottobre 1448 lo sorprende la morte, il titolo imperiale passa a suo fratello Costantino XII, fino a questo punto Governatore della Morea.
Gran parte della prosperità dell'Impero Bizantino deriva dal fatto che esso controlla di fatto quasi tutte le vie d'accesso alle lontane Indie, dove gli Europei si riforniscono di spezie, pietre preziose e stoffe pregiate. La Via della Seta parte infatti da Trebisonda ed arriva fino in Cina; dominandone il tratto iniziale, Bisanzio può imporre gravosissimi dazi su prodotti a cui i nobili e i ricchi occidentali non vogliono rinunciare, mentre la Via che parte da Aleppo e quella che parte dal Cairo sono dominate dai Mamelucchi egiziani, ostili agli europei. Per questo il principe portoghese Enrico il Navigatore, figlio quintogenito del re del Portogallo Giovanni I di Aviz, decide di avviare l'esplorazione delle coste africane, in modo da individuare una via che conduca alle Indie circumnavigando il Continente Nero. Ha inizio in tal modo l'era delle grandi esplorazioni geografiche dei secoli XV e XVI della nostra era. Nel 1434 Gil Eanes è il primo navigatore a doppiare il temuto Capo Bajador, estremo punto della costa africana noto agli europei; nel 1444 Dinis Dias raggiunge il Senegal, e nel 1460 è scoperta la Sierra Leone. Nel 1487 infine Bartolomeo Diaz riuscirà a raggiungere la punta meridionale dell'Africa. Intanto la cultura greca si diffonde in Occidente: nel 1449 l'erudito Demetrio Calcondila si stabilisce a Firenze per insegnare greco, passando poi nel 1491 a Milano, dietro richiesta di Ludovico il Moro, dove resterà fino al 1511, anno della sua morte. Sarà lui a curare la prima edizione a stampa dell'Iliade e l'Odissea, nel 1488.
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L'eroe albanese Giorgio Castriota
Costantino XII è un sovrano di grande carattere, facile agli eroismi come ai lauti banchetti, ma come ogni formidabile monarca ha un formidabile nemico, nella persona dell'eroe nazionale albanese Giorgio Castriota (in questa Timeline mai chiamato Scanderbeg perchè si tratta di un epiteto turco). Questi, il 2 marzo 1444, nella cattedrale veneziana di San Nicola ad Alessio, organizza il primo summit di tutti i principi albanesi, che lo proclamano solennemente Despota d'Albania; Castriota è appoggiato dalla Repubblica di Venezia, dal Regno di Napoli e da Papa Eugenio IV. Inizialmente Giovanni VIII e Costantino XII prendono sotto gamba la ribellione albanese; solo nel 1449 Costantino XII invia suo fratello Demetrio Paleologo alla testa di 50.000 uomini contro il Castriota. Lo scontro con le forze albanesi, notevolmente inferiori quanto a numero ed armamento, avviene il 29 giugno 1449, a Torvjoll, e si risolve in una cocente sconfitta per i bizantini; lo stesso Demetrio si salva a stento. Secondo la leggenda, la battaglia di Torvjoll si prolunga oltre il tramonto, ed allora Giorgio Castriota ricorre ad uno stratagemma: ordina ad alcuni suoi soldati di legare torce accese alle corna di un gregge di capre, per poi liberarle in direzione dei soldati bizantini. Credendo di essere assaliti da preponderanti forze albanesi, i nemici si danno alla fuga e la loro ritirata si trasforma in una rotta; sarebbe per questo motivo che l'eroe albanese ha posto una testa di capra sul suo stemma.
Dopo questa brutta esperienza, Costantino XII comprende il pericolo rappresentato dalla sollevazione albanese, visto che il successo di Castriota ha avuto vasta risonanza in tutto l'impero, arrivando fino alle orecchie dei Bulgari e dei Serbi, i quali entrano subito in fibrillazione. Stavolta il Basileus consegna a suo fratello Demetrio ben 100.000 uomini, dei quali 15.000 cavalieri, con l'ordine esplicito di schiacciare la rivolta di Giorgio Castriota. Quest'ultimo lo attende alle gole di Prizren il 10 ottobre 1450, e ancora una volta ne esce vincitore. « Il loro guerriero più debole è paragonabile al più forte dei nostri guerrieri greci », riferisce al Basileus un prigioniero di guerra liberato dal Castriota.
Nel giugno del 1452, Costantino XII in persona interviene contro l'Albania alla testa di 150.000 soldati, assediando il castello di Kruje. Il Basileus perde metà dell'esercito e suo fratello Demetrio cade in battaglia. Ma, anche se le straordinarie vittorie di Giorgio hanno inferto profonde ferite all'orgoglio bizantino, hanno anche indebolito le forze albanesi, e così Giorgio Castriota decide di chiedere aiuto ad Alfonso d'Aragona, ben lieto di intervenire contro gli odiati Greci.
Costantino XI, resosi conto delle gravi conseguenze, cui l'alleanza degli albanesi con il Regno di Napoli potrebbe dar luogo, decide allora di mandare due armate contro l'Albania, una comandata dal soldato di ventura genovese Giovanni Giustiniani Longo, l'altra da lui stesso. Il 29 maggio 1453 tuttavia Castriota riesce a separare le due armate tra di loro, e mentre gli aragonesi tengono impegnato il Longo, egli affronta quella del Basileus e la annienta. Lo stesso Costantino XII muore in battaglia, combattendo eroicamente.
Statua dedicata a Costantino XII, presso la Porta di San Romano a Costantinopoli
La morte del sovrano è percepita a Costantinopoli come una tragedia nazionale. Tommaso I Paleologo, fratello di Costantino XII e fin qui governatore di Efeso, viene incoronato in una situazione di grave emergenza, dal momento che i Bulgari e i Serbi hanno esultato di fronte alla sconfitta dell'impero, ed ora scalpitano per riacquistare la piena indipendenza, ed anche i Karamanidi in Anatolia ne approfittano per riprendere alcune città. Per di più, si solleva contro i Bizantini anche Vlad III, Voivoda (Principe) di Valacchia: suo zio Mircea II ha combattuto a Varna dalla parte dei Bulgari, ed egli stesso è stato ostaggio a Costantinopoli per ridurre a più miti consigli il padre, Vlad II. Divenuto Voivoda nel 1448, Vlad III ha visto l'Impero Bizantino tornare praticamente al confine sul Danubio, e sospetta di essere la prossima preda ambita dall'Impero, contro il quale decide perciò di lottare strenuamente. Vlad presta giuramento di fedeltà alla corona ungherese, nella persona di Mattia Corvino, nemico giurato di Bisanzio, ed appoggia le pretese al trono moldavo del suo amico d'infanzia Stefan cel Mare, che sconfigge e mette in fuga l'usurpatore Petru Aron; nel frattempo seda il malcontento dei suoi boiari con il pugno di ferro, ordinando il massacro della "Pasqua di Sangue a Târgovişte", in cui fa impalare più di mille persone: una pratica da lui appresa dai Mongoli del Khanato di Crimea. Da ciò deriva il suo triste epiteto di Tepes, "l'impalatore". Si dice che Vlad III abbia costretto il Legato Pontificio a cenare con lui in mezzo ai cadaveri impalati in decomposizione, che generavano un puzzo nauseabondo. In un'altra occasione giungono alla sua corte due ambasciatori del Khan Mongolo di Crimea, con il quale Vlad ha pensato di allearsi contro i Bizantini. I due si inchinano davanti a Vlad III, ma rifiutano di togliersi il turbante, considerato simbolo della loro religione. Il Voivoda la prende male, ed ordina di inchiodare il turbante alla testa degli ambasciatori. Ma forse si tratta solo di propaganda bizantina contro di lui.
Nel 1458 il Re di Bosnia Stjepan IV Tomašević della dinastia cattolica dei Kotromanić sconfigge tutti i despotati serbi, cinge anche la corona di Serbia e si dichiara vassallo di Tommaso I. Questi approva la conquista, ben lieto che i Serbi siano stati ridotti all'obbedienza, ma esige che suo figlio Stjepan V sia condotto come ostaggio a Costantinopoli per meglio assicurarsi della fedeltà dell'ingombrante vicino balcanico. Nel 1459 il monaco camaldolese veneziano Fra Mauro, cui oggi è dedicato anche un cratere lunare, realizza per conto dell'imperatore bizantino Tommaso I il primo planisfero moderno di tutto il mondo, che rappresenta su un disco piatto tre soli continenti (Europa, Asia, Africa) fortemente addensati. Una visione che verrà ben presto superata.
Nel 1459 Giorgio Castriota passa il mare e si reca in Italia per aiutare il Re di Napoli Ferdinando I, figlio del suo amico e protettore Alfonso d'Aragona, nella guerra contro il rivale Giovanni d'Angiò. Tommaso I Paleologo ne approfitta per muovere due armate contro gli albanesi, costringendo l'eroe a rientrare in tutta fretta nella sua patria per guidare il suo esercito. La furiosa battaglia presso Skopje vede l'ennesima vittoria di Castriota, ormai considerato invincibile dalle sue truppe. A questo punto Tommaso I non può far altro che sottoscrivere un trattato di pace con gli albanesi, firmato il 27 aprile 1463 a Durazzo. Con esso Giorgio Castriota si riconosce vassallo dell'Impero, ma di fatto la sua Albania ha conseguito l'indipendenza.
Nel 1462 esplode il conflitto tra Tommaso I e Vlad III di Valacchia: il voivoda cattura e fa impalare il messo del Basileus, Tommaso Cataboleno, quindi attraversa il Danubio ghiacciato e penetra per 800 chilometri in territorio bulgaro e bizantino, compiendo saccheggi fin sotto le porte di Adrianopoli. Il resoconto della spedizione, fatto da Vlad all'alleato Mattia Corvino, parla di 23.883 morti, « senza contare quelli che sono stati bruciati vivi nelle loro case, o le cui teste non sono state mostrate ai nostri ufficiali ». Mattia Corvino però non si unisce alla crociata promossa da Vlad, lasciando il Voivoda da solo contro le ritorsioni bizantine; peggio ancora fa il suo vecchio amico Stefan cel Mare, che tradisce Vlad e si allea con il Paleologo per riconquistare la fortezza moldava di Chilia, occupata dalle truppe valacche. Costretto a dividere le sue forze tra Chilia ed il Danubio, il 4 giugno Vlad viene investito dall'esercito imperiale (60.000 uomini contro i suoi 30.000) guidato dallo stesso Tommaso mentre egli è trincerato nella fortezza di Vidin. Costretto a ripiegare mentre la spedizione punitiva greca passa il Danubio, Vlad attacca nottetempo il campo greco con 10.000 uomini, cercando di uccidere Tommaso in persona: è quello che passerà alla storia come l'"Attacco Notturno del Diavolo" (17-18 giugno). La sortita scompagina le fila bizantine ma manca il suo obiettivo principale, cioè l'eliminazione fisica del Basileus. Allora Vlad si dà alla fuga, sfuggendo un nuovo confronto diretto e si arrocca tra i monti. Tommaso I nomina Radu cel Frumos nuovo Voivoda di Valacchia, che gli giura fedeltà; Vlad III è scaricato anche da Mattia Corvino, che lo fa arrestare e imprigionare. Nonostante la il mito di uomo malvagio e sanguinario che lo accompagna, Vlad non viene eliminato perchè il sovrano ungherese si riserva di usarlo come eventuale arma contro il sempre più potente Stefan cel Mare di Moldavia e contro Radu cel Frumos, un fantoccio nelle mani di Bisanzio.
Tommaso I Paleologo muore a Costantinopoli il 12 maggio 1465, con la spina di non essere riuscito a domare gli albanesi. Gli succede il figlio Andrea I Paleologo, il quale non si accontenta della sconfitta e nella primavera del 1466 muove contro Castriota e cinge d'assedio Kruje; dopo una serie di scontri furiosi, anche il figlio, così come il padre, deve rassegnarsi a sgombrare il campo. Per l'eroe albanese è una nuova, straordinaria vittoria: Manuele, fratello di Tommaso I, è catturato e rilasciato solo dietro pagamento di un grosso riscatto. Si tratta però dell'ultimo successo di Giorgio Castriota, il quale muore di malaria ad Alessio il 17 gennaio 1468. Secondo la leggenda, sul punto di morte l'eroe ordina al figlio Giovanni di sottrarsi alla vendetta bizantina fuggendo in Italia: appena sbarcato sulla spiaggia, troverà un albero presso cui legare il suo cavallo e la sua spada, e per sempre quando soffierà il vento i bizantini sentiranno la spada di Giorgio Castriota volteggiare nell'aria e il suo cavallo nitrire e, per paura, non la spunteranno mai contro gli albanesi. Questa leggenda è viva tuttora. Tuttavia, privati della guida del loro eroe gli albanesi non sapranno ripetere le sue epiche imprese; la loro capitale Kruje cade definitivamente in mani bizantine nel 1478. Anche il Sultano Kasim I di Karaman è ridotto all'obbedienza grazie ad un'alleanza fra i bizantini e i georgiani.
Nel 1472 il Basileus Andrea I Paleologo dà sua sorella Zoe (non particolarmente attraente, dicono le cronache del tempo) in sposa al Principe di Moscovia Ivan III il Grande, costruttore del Cremlino e fondatore del moderno stato russo. Zoe, che sposa Ivan il 12 novembre nella Cattedrale dell'Ascensione, ha fin da subito un grande ascendente sulla corte russa, legandone a filo doppio i destini con quelli di Bisanzio. Tanto per cominciare, è lei ad introdurre al Cremlino la magnificenza e la minuziosa etichetta delle cerimonie bizantine, evidentemente compiaciuta nel pensare che Mosca dovesse diventare la terza Roma. Inoltre nel 1476 Ivan III rifiuta di pagare il tributo annuo richiesto dal Khan Akhmat, sovrano dell'Orda d'Oro; quando tuttavia quest'ultimo marcia contro la Moscovia, Ivan si mostra indeciso e solo grazie alle esortazioni di sua moglie Zoe del Vescovo di Rostov, Vassian, si determina a scendere in campo e lo vince, affrancandosi per sempre dal dominio Tartaro.
Intanto, durante l'assenza del Voivoda Vlad III, la Valacchia è tornata un campo di battaglia. Nel 1473, Stefan cel Mare muove guerra a Radu appoggiando le pretese del Dăneşti Basarab III, tiene in ostaggio la sua famiglia e conquista Bucarest. Per contrastare la prepotenza di Ştefan, nel 1476 Mattia libera Vlad III affinché combatta contro Basarab III, passato all'alleanza con i bizantini dopo aver tradito Stefan cel Mare. Vlad III riconquista il suo trono, ma Basarab torna all'attacco spalleggiato dall'esercito imperiale, e nello scontro cadono entrambi i contendenti. Lo storico polacco Jan Dlugosz sostiene che Vlad sia rimasto vittima del tradimento di uno dei suoi uomini di fiducia, mentre lo storiografo bizantino Laonico Calcondila (cugino di Demetrio Calcondila), protovestiario e biografo ufficiale del Basileus Andrea I, il Voivoda è salito su una collina per vedere meglio i suoi soldati che massacrano gli avversari, allontanandosi così dal suo esercito. Prendendolo per un nemico, alcuni dei suoi uomini lo hanno bersagliato con le loro lance, facendolo fuori a 47 anni. Comunque siano andate le cose, Vlad III l'Impalatore viene sepolto nel monastero di Snagov, su un'isola in mezzo ad un lago situato 35 chilometri a nord di Bucarest, ed è qui che egli esce dalla Storia ed entra nella Leggenda: secondo molti dei suoi sudditi e dei suoi nemici egli ha fatto un patto col diavolo, ed in realtà non è morto, ma è divenuto un non-morto, pronto ad uscire di notte dalla sua bara per andare a succhiare il sangue delle sue vittime. E siccome i suoi nemici lo hanno soprannominato Dracul (in rumeno "il demonio") per la sua ferocia, gli rimane affibbiato l'epiteto di "Dracula". Nel 1897 lo scrittore irlandese Bram Stoker si ispirerà a lui per scrivere il primo romanzo di vampiri, intitolato appunto "Dracula".
Gli ultimi Paleologi devono anche confrontarsi con il malcontento della grande aristocrazia dell'Asia Minore, tradizionalmente nemica con i suoi latifondi della piccola proprietà terriera bizantina. Nella nostra Timeline il potere degli aristocratici orientali divenne schiacciante ai tempi dell'Impero di Nicea, con il territorio ristretto alla sola Asia Minore, in parte contribuendo alla caduta dell'impero con le sue posizioni latifondiste e anticommerciali. Ma in questa linea temporale lo strapotere dei nobili è notevolmente mitigato dalla vastità dei possedimenti europei e dalla vocazione marinara dell'Impero, dotato di una grande flotta commerciale. Sia Tommaso che Andrea devono guardarsi da almeno due congiure nobiliari che tentano di sostituirli con uomini di loro fiducia, tuttavia entrambe falliscono e l'Impero si avvia verso una politica di espansione navale e commerciale, proprio alla vigilia della grande stagione delle scoperte geografiche.
Ma non ci sono solo guerre, intrighi e stragi. Sotto il regno di Andrea I la stampa a caratteri mobili raggiunge anche l'Impero Bizantino; i primi testi stampati in caratteri greci, per quanto ne sappiamo, sono la cosiddetta "Bibbia di Andrea I", oggi conservata sul Monte Athos, e una grammatica greca intitolata "Erotémata". Al 1474 risale la prima legge della storia oggi a noi nota, riguardante il brevetto di una nuova invenzione: essa prevede l'iscrizione delle invenzioni a un registro apposito, per poterne sfruttare i proventi sul territorio bizantino. Pare che il primo a beneficiarne sia stato il maestro vetraio veneziano Angelo Barovier, trapiantato a Costantinopoli, per un suo nuovo tipo di cristallo. Comincia inoltre a diffondersi una nuova bevanda chiamata caffé, importata dai vicini potentati islamici; secondo una leggenda, il Patriarca di Costantinopoli intendeva metterla al bando come "diabolica" (essendo tanto apprezzata dai musulmani, che non possono bere vino), ma Andrea I, assaggiatala, ne resta entusiasta e zittisce il clero, affermando che essa, essendo stimolante, può aiutare i monaci a restare svegli la notte a pregare.
Nel 1472 il genio della pittura Piero della Francesca, dietro invito del Basileus Andrea I, si reca a Costantinopoli e realizza opere magnifiche, tra cui una Natività e una Madonna con Bambino e Quattro Angeli, opere nei quali sono ritratti i membri della famiglia imperiale. Negli ultimi anni, colpito da una malattia agli occhi, smette di dipingere e si dedica alla stesura di trattati matematici e di geometria prospettica: il "De perspectiva pingendi", il "De quinque corporibus regularibus" e un manuale di calcolo intitolato "Trattato dell'abaco". Piero della Francesca si spegne a Costantinopoli il 12 ottobre 1492, lo stesso giorno della scoperta dell'America, e nel 1871 il suo corpo sarà traslato nella Chiesa di Santa Croce in Gerusalemme. Nel 1474 ha approdato a Costantinopoli il giovane ed ancora sconosciuto Cristoforo Colombo, futuro scopritore del Nuovo Mondo, agente commerciale per conto della famiglia genovese dei Centurione. L'umanista bizantino Andrea Giovanni Lascaris si reca alla corte di Lorenzo il Magnifico, insegna lingua e cultura greca all'Università di Firenze e porta a termine la prima traduzione della "Divina Commedia" di Dante in lingua greca, facendola conoscere nel suo Impero natale. Quando poi gli Ebrei sono espulsi dalla Spagna, Andrea I Paleologo ne accoglie almeno 300.000 nel suo impero, creando un ceto di banchieri e di intellettuali che gioverà molto alla storia futura della nazione.
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Il Rinascimento a Bisanzio
Nel 1493 Cristoforo Colombo fa ritorno dal suo viaggio attraverso il "Mare Oceano", compiuto per conto dei Re Cattolici di Spagna, e la notizia dell'attraversamento dell'Atlantico raggiunge ben presto l'Impero Bizantino. Dal canto suo Vasco da Gama nel 1498 circumnaviga l'Africa ed apre definitivamente la via marittima verso l'India. Andrea è consapevole del fatto che le imprese nautiche di spagnoli e portoghesi toglieranno ai Romei gran parte del loro ruolo chiave nel Mediterraneo Orientale, e perciò cerca nuove direttrici di espansione commerciale. Per conto del Basileus, il navigatore genovese Antoniotto Usodimare attraversa il Mar Rosso alla ricerca del Prete Gianni, mitologico sovrano cristiano che secondo una leggenda medioevale avrebbe regnato nel cuore dell'Africa. Usodimare raggiunge invece il Regno d'Etiopia, con il cui Negus stipula vantaggiosi accordi commerciali a favore dell'Impero Bizantino. Quando poi Amerigo Vespucci comprende che le terre scoperte da Colombo non sono le Indie ma un nuovo continente, in suo onore battezzato America, a Costantinopoli si prende l'abitudine di riferirsi al nuovo continente con il termine di Dytikè India, rimasto nell'uso fino ad oggi.
Il Basileus Andrea I Paleologo muore il 17 gennaio 1502. Non ha avuto figli maschi, così gli succede il genero Leone VII Comneno, governatore di Trebisonda, che ha sposato sua figlia Maria Paleologa. Leone discende direttamente dall'imperatore bizantino Andronico I Comneno, che regnò dal 1182 al 1185, e così con lui la dinastia Comnena è restaurata sul trono di Bisanzio. Leone VII stringe subito proficui trattati di alleanza con la Repubblica di Venezia e con il Re d'Ungheria Vladislao II; ottiene inoltre un nuovo giuramento di fedeltà dal Re di Bosnia Tvrtko III.
Dopo una brillante vittoria a Čaldiran il 23 agosto 1514 contro i Kara Koyunlu, lo Shah Ismail, sovrano della nuova dinastia iraniana dei Safavidi, conquista tutta la Mesopotamia e parte della Siria e dell'Arabia; in questa Timeline non vi sono infatti gli Ottomani a fermarne l'espansione verso Occidente.
Nel 1515 il navigatore empolese Andrea Corsali compie una serie di viaggi di esplorazione nell'Oceano Indiano per conto di Leone VII. Di lui ci restano due lunghe relazioni che egli stesso ha steso dei suoi viaggi per informarne il Basileus; da esse si evince che egli ha scoperto la Nuova Guinea e ha dimostrato in via definitiva che Sumatra e Ceylon sono due isole distinte (invece gli antichi le confondevano). Inoltre Andrea Corsali è il primo a descrivere le due Nubi di Magellano, precedendo di quattro anni Antonio Pigafetta, ed è tra i primi a descrivere la Croce del Sud come un asterismo a sé stante: contrariamente a quanto si crede normalmente, gli antichi la conoscevano, ma la consideravano parte della costellazione del Centauro. Per primo, poi, intuisce l'esistenza di una massa continentale a sud della Nuova Guinea, pur non sbarcandovi mai; per questo molti australiani lo considerano lo "scopritore ideale" della loro terra, e quindi il vero iniziatore della loro storia: non a caso, Andrea Corsali è scarsamente noto in Europa, ma piuttosto noto in Oceania. Come conseguenza della splendida impresa di Andrea Corsali, il Basileus Leone VII Comneno decide di fondare la Compagnia Bizantina delle Indie Orientali, che dovrà vedersela con la concorrenza portoghese.
Intanto i Mamelucchi dell'Egitto hanno adottato le armi da fuoco (furono invece sempre restii a farlo nella nostra Timeline), e grazie ad esse ed al loro valore mettono insieme un grande impero. Nel 1516 sconfiggono definitivamente gli Arabi dell'Higiaz ed occupano i Luoghi Santi dell'Islam; il loro Sultano al-Ashraf Tuman Bey rafforza così le proprie pretese califfali. Nel giro di pochi anni occupano anche la Cirenaica e la Tripolitania, estendendo la loro supremazia anche a Tunisia ed Algeria. Si forma così una superpotenza islamica, che però è priva di territori in Europa. Per conto dei Mamelucchi opera il pirata turco Khayr al-Din detto Barbarossa, Bey di Algeri nonché terrore delle navi europee nel Mediterraneo.
Nel 1516 Leonardo da Vinci, incarnazione del genio del Rinascimento, deve lasciare precipitosamente Roma perchè una lettera anonima, spedita da qualche invidioso, lo accusa di stregoneria: di notte infatti egli si reca nei cimiteri con la complicità dei custodi per sezionare i cadaveri e compiere studi di anatomia. Ormai anziano, colpito da emiparesi e desideroso di trovare un finanziatore che lo apprezzi, l'inventore decide di lasciare l'Italia; rifiutata l'offerta di Francesco I re di Francia, decide di accettare quella del Basileus Leone VII, il quale non vede l'ora di poter contare su un simile personaggio alla sua corte. Nel maggio del 1517 Leonardo giunge a Costantinopoli, dove riceve il titolo di pittore, architetto e scienziato di corte, con una pensione di 5000 monete d'oro. Come già detto, Leone Comneno è un sovrano colto e raffinato, amante dell'arte italiana e soprattutto di quella leonardesca, e finanzia con passione le ricerche scientifiche del suo illustre ospite, al quale commissiona il progetto di un monte monumentale sul Bosforo, che però non sarà mai realizzato. Per questo gli ultimi tre anni passati sul Bosforo rappresentano sicuramente il periodo più sereno della vita di Leonardo. Questi tra l'altro realizza per Leone VII un leone meccanico, vero e proprio automa in grado di camminare. A Costantinopoli Leonardo si è portato anche il suo quadro più celebre, "la Gioconda", ancor oggi conservato al Museo Imperiale di Costantinopoli. Leonardo muore il 2 maggio 1519 nella sua casa di Blanga, da dove si godeva il panorama delle due rive del Bosforo; quando ne è informato, Leone VII scoppia in un pianto dirotto. In uno dei suoi codici il genio di Vinci aveva scritto: « Sì come una giornata bene spesa dà lieto dormire, così una vita bene usata dà lieto morire. »
Nello stesso 1519 giunge a Costantinopoli un altro grande intellettuale di quel tempo, l'erudito arabo al-Hasan ibn Muhammad al-Wazzan al-Fasi: nato a Granada da famiglia musulmana, ha lasciato la città nel 1492 dopo la riconquista di questa da parte delle truppe spagnole di Isabella di Castiglia e di Ferdinando di Aragona, e si è stabilito a Fez; dopo aver viaggiato a lungo in Africa e in Asia al seguito di uno zio diplomatico, è stato catturato dai corsari bizantini che operano nel Mediterraneo Orientale e venduto come schiavo al Basileus Leone VII. Questi lo fa battezzare e lo libera, e per questo egli cambia il suo nome arabo in Leone l'Africano. Dietro incarico del Basileus scrive in greco il saggio "Cosmografia dell'Africa", subito tradotto in latino, italiano e francese.
Prosegue intanto la Scuola Artistica Cretese, fortemente influenzata dal Rinascimento europeo: a quest'epoca risale l'opera del grande pittore Frangos Katelanos, a cui è attribuita la decorazione della navata del Monastero di Varlaam nelle Meteore (1548), la cappella di San Nicola della navata della Grande Laura del Monte Athos (1560), una parte della decorazione del Monastero Filanthropinon del Monastero di San Nicanore presso Grevena e della Vergine Maria di Rassiotissa a Kastoria. Caratteristica delle opere di Katelanos è la presenza di grandi folle in movimento e di alti edifici incombenti, i quali creano una sensazione di densità e turbolenza. Dominano i toni caldi e luminosi, soprattutto il rosso, e si alternano i chiaroscuri, il che dimostra la conoscenza da parte di Katelanos della pittura italiana contemporanea. Sorge anche la rivale Scuola del Nordovest della Grecia, cui dobbiamo le decorazioni di San Giorgio a Baniani presso Skopje (1549), di San Zaccaria a Kastoria, del Monastero di San Giovanni Galataki sull'Isola di Eubea (1566) e del Monastero di San Giovanni Arma (1637). Massimo esponente di questa scuola è il monaco Onofrio l'Agiografo, noto per il suo stile assai personale, cui dobbiamo le decorazioni della Chiesa dei Santi Apostoli a Kastoria (1547).
Il 1 febbraio 1522 Leone VII Comneno muore assassinato mentre sta ascoltando Messa nella Basilica di Santa Sofia: si tratta dell'ennesima congiura nobiliare contro la sua politica di apertura commerciale verso l'Occidente e verso il resto del mondo. Gli succede il figlio Davide I, il quale fa subito mettere a morte sia gli assassini che i mandanti del regicidio, e fa costruire una nuova grande Basilica per seppellirvi il corpo del padre. Egli continua la politica paterna, ampliando notevolmente la flotta commerciale e lottando strenuamente contro i grandi latifondisti, che con la loro mentalità feudale potrebbero mettere a rischio l'unità dell'impero. Inoltre Davide I dà vita ad una politica aggressiva per riportare l'Impero allo status di grande potenza di cui godeva nell'anno mille. Siccome lo Zar di Bulgaria Giorgio III tenta una ribellione contro di lui dopo essersi alleato con il Re d'Ungheria Luigi II Jagellone, egli muove in forze contro i Bulgari, li sconfigge, distrugge la loro capitale Nicopoli (che non si riprenderà mai più) e riduce definitivamente la Bulgaria a provincia bizantina. Subito dopo, assicuratosi l'alleanza del Re di Bosnia Tvrtko III, che aspira ad allargare ulteriormente il proprio regno, e del Principe Vladislav III di Valacchia, si volge verso l'Ungheria, il cui re Luigi II, che ha sposato Maria d'Asburgo, sorella dell'Imperatore Carlo V, è colpevole ai suoi occhi di aver foraggiato i Bulgari e di aver sostenuto gli assassini di suo padre.
Lo scontro con l'esercito ungherese avviene in un territorio paludoso sulle rive del Danubio presso Mohács, a sud di Budapest, il 29 agosto 1526. I magiari, forti di 26.000 uomini, sono guidati da Re Luigi II, dall'arcivescovo di Kalocsa Pál Tomori e da György Szapolyai; Davide I Comneno guida personalmente le sue truppe, forti di 40.000 uomini, di cui 25.000 bizantini, 10.000 bosniaci e 5.000 valacchi. La battaglia vera e propria dura solo due ore: inizialmente l'avanguardia bosniaca è volta in fuga dalle truppe ungheresi guidate dall'arcivescovo Tomori, ma nel pomeriggio l'arrivo del grosso dell'esercito bizantino cambia rapidamente le sorti della battaglia: l'ala destra dello schieramento ungherese, che ha avanzato vittoriosamente, ma non ha ricevuto rinforzi tempestivi, si ritrova esposta agli attacchi greci e la sua ritirata si trasforma in una rotta; molti ungheresi sono accerchiati e catturati. Tomori è ucciso mentre cerca di raccogliere le truppe fuggiasche; il re Luigi II si dà alla fuga, ma cade da cavallo in un fiume presso Csele e muore annegato. L'esercito ungherese perde almeno 16.000 uomini, di cui 1.000 nobili. Anche Tvrtko III di Bosnia muore, gli succede il figlio Stefano VII. Per celebrare questa vittoria nella capitale è innalzata la Colonna di Davide il Magnifico davanti alla Basilica dei Santi Apostoli. Ancor oggi durante il tipico Carnevale ungherese i figuranti sono soliti indossare i Busho, le tradizionali maschere con le quali i Sokac, un corpo di ausiliari croati, si sarebbero travestiti con pelli di pecora, corna e mascheroni di legno sul viso per terrorizzare gli invasori bizantini. Come conseguenza della disfatta l'Ungheria deve cedere ampi territori alla Bosnia, alla Valacchia e allo stesso Impero Bizantino. Ma soprattutto, con la morte di Luigi II si estingue il ramo ungherese della dinastia degli Jagelloni: la corona di Ungheria passa a Ferdinando d'Asburgo, fratello di Carlo V e cognato di Luigi II, che nel 1556 diverrà anche sovrano del Sacro Romano Impero. In tal modo i destini di Austria e Ungheria saranno uniti fino alla Prima Guerra Mondiale. Quanto alla Repubblica di Ragusa, fin qui vassalla dell'Ungheria, con un abile capovolgimento di fronte essa chiede ed ottiene la protezione dell'Impero Bizantino dietro pagamento di un tributo annuo.
Mentre Davide I è impegnato contro l'Ungheria, il corsaro Khayr al-Din detto Barbarossa attacca il porto del Pireo ed assedia la città di Atene, ma viene sconfitto e messo in fuga dall'ammiraglio bizantino Michele Stratiota. Dura la risposta del Basileus una volta rientrato in patria: la flotta bizantina, sempre guidata dallo Stratiota, espugna Tunisi e se ne impossessa. Nel 1532 re Francesco I di Francia, eternamente in guerra con Carlo V d'Asburgo, stringe alleanza con Davide I Comneno contro di lui. I corsari bizantini infestano le coste dell'Italia e della Sicilia, ed allora Carlo V decide una spedizione contro i bizantini e stringe a sua volta alleanza con i Turchi Karamanidi, intesa che Papa Clemente VII condanna come "empia alleanza", essendo stata stretta con un paese musulmano. Il sovrano sui cui domini non tramonta mai il sole batte l'Impero Romano d'Oriente a Corfù, impossessandosi delle isole Ionie, e dà ospitalità ai Cavalieri Ospitalieri di Rodi, che Davide I ha scacciato da quell'isola, offrendo loro l'isola di Malta, ma il Mega Dux bizantino Niceforo Kamytzes, inviato dal Basileus contro i Karamanidi, infligge a questi ultimi una dura sconfitta ad Afyon, vanificando la loro alleanza con Carlo V, e gli attacchi di Francesco I costringono l'Asburgo a interrompere le campagne contro i Comneni. Nel 1537 Carlo V si impegna di nuovo contro Bisanzio, ma il 27 settembre l'ammiraglio genovese Andrea Doria deve incassare la sconfitta navale di Prevesa, località posta in Epiro all'imboccatura del Golfo di Ambracia. Di conseguenza il Basileus riprende le isole Ionie. Questo rovescio induce Carlo V a riprendere i rapporti con gli Stati Protestanti della Germania; il suo atteggiamento più conciliante nei confronti dei luterani nella dieta di Worms del 1540 gli guadagna l'appoggio di tutti i Principi e l'alleanza di Filippo I d'Assia, capo della Lega di Smalcalda. Allora l'imperatore tedesco organizza un'altra spedizione contro Bisanzio, alleata con il suo eterno rivale Francesco I, per riguadagnare credibilità in Europa. Stavolta l'obiettivo è la capitale, Costantinopoli, di cui Carlo V sogna di farsi incoronare sovrano, riunendo così tutte le corone sul suo capo.
Allo scopo, Carlo V raccoglie un'imponente forza d'invasione, affidata al comando dei più valorosi condottieri del suo tempo: Andrea Doria, Ferrante I Gonzaga e Hernán Cortés, il conquistatore del Messico. Nonostante ciò, la spedizione dell'ottobre 1541 si rivela un completo fallimento: le avverse condizioni del mare distruggono ben 150 navi cariche di armi, soldati ed approvvigionamenti, e con quel che resta Carlo V riesce a sbarcare a Gallipoli, sui Dardanelli, ma di fronte al rischio di trovarsi imbottigliato dalla flotta bizantina non può far altro che rientrare in Spagna ai primi di dicembre, dando l'addio definitivo alla sua politica universalistica.
Ma Davide Comneno è anche un mecenate di artisti e pittori, come dimostra accogliendo con grandi onori a Costantinopoli artisti del calibro di Primaticcio, Rosso Fiorentino, Andrea del Sarto e Benvenuto Cellini. E non solo: in questi anni il grande pittore Dominikos Theotokopoulos, nativo dell'isola di Creta, compie un viaggio a Venezia, a Roma e in Spagna, durante il quale conosce le opere di Tintoretto e del Tiziano, lo stile dei quali importerà in Oriente. Lavorerà non solo alla corte di Costantinopoli, ma anche per conto del Re di Spagna Filippo II; in Occidente sarà noto con lo pseudonimo di "El Greco", e morirà a Toledo il 7 aprile 1614.
Nel 1543 una piccola flotta inviata dall'Impero Bizantino nel Mar Rosso aiuta gli etiopi a resistere al tentativo di invasione e di islamizzazione da parte degli arabi del Sudan; una volta ottenuta la vittoria, tuttavia, il Negus etiope rifiuta di sottomettersi alla Chiesa di Costantinopoli, mantenendo l'autocefalia. In questa occasione Bisanzio occupa lo strategico porto di Gibuti, fondando la Somalia Bizantina, che incredibilmente riuscirà a mantenere fino alla seconda metà del XX secolo.
È il 16 gennaio 1547 quando Ivan IV si fa incoronare primo Zar di tutte le Russie, dando vita alla tradizione imperiale moscovita. Egli infatti è nipote di Zoe Paleologa, ritiene che nelle sue vene scorra lo stesso sangue imperiale dei Paleologi, e con questo titolo riafferma la propria volontà di dominare su tutti i popoli slavi: non a caso egli adotta il cerimoniale di corte bizantino ed include l'aquila bicipite di Bisanzio nel proprio stemma. Il Basileus non riconosce però il titolo di Zar, ritenendosi l'unico legittimo erede dei Paleologi; questo titolo sarà riconosciuto dai bizantini solo nel 1701. Ivan IV passerà alla storia con l'appellativo di Grozny (il Tonante; la traduzione tradizionale "il Terribile" è inesatta) per la ferocia con cui combatte i Boiari, i nobili feudali russi.
Ma i contrasti con il Sacro Romano Impero non sono finiti, perchè il nuovo Re di Francia Enrico II, fratello di Francesco I, si mette in testa di conquistare il regno di Napoli, spinto da Ferdinando di Sanseverino, Principe di Salerno (il suo antenato Antonello di Sanseverino aveva già spinto Carlo VIII a calare in Italia proprio per conquistare Napoli). Sapendo che da solo non riuscirà mai a strappare l'Italia meridionale a Carlo V, Re Enrico si allea di nuovo con i Bizantini, e progetta l'invasione attraverso un'operazione congiunta della flotta greca e di quella francese. Nell'estate del 1552 la flotta bizantina, al comando di Simone Muzalon, sorprende al largo di Ponza la flotta imperiale, al comando di Andrea Doria e don Giovanni de Mendoza, e le infligge una clamorosa sconfitta; ma poiché la flotta francese non riesce a ricongiungersi con quella greca, l'obiettivo dell'invasione del napoletano fallisce. Stufo di tante guerre e tanto sangue sparso, Carlo V si rende ormai conto che la sua concezione di Impero sta tramontando a vantaggio dei nuovi Stati Nazionali, e decide di buttare la spugna e di abdicare. Il 25 ottobre 1555 lascia la Spagna, le Fiandre, il Milanese, il Napoletano, la Sicilia, la Sardegna e le Colonie d'Oltremare al figlio Filippo II, mentre l'Austria, la Boemia, l'Ungheria e il titolo imperiale vanno al fratello Ferdinando; quindi si ritira nel monastero di San Jeronimo di Yuste in Estremadura, dove morirà il 21 settembre 1558. Pochi giorni dopo, il 3 ottobre, si spegne anche l'altro imperatore protagonista del XVI secolo, Davide I Comneno, probabilmente di cancro, e gli succede il figlio Giovanni IX, da lui avuto dalla moglie Margherita d'Angoulême, sorella del Re di Francia Francesco I. Davide I sarà ricordato con il titolo di Megaloprepés, "il Magnifico".
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La Battaglia di Limassol
Giovanni IX, a differenza del padre, preferisce lasciare il governo dell'Impero al Primo Ministro Andrea Zaganos, e si dedica alla caccia, alle arti, alla danza (è un grande appassionato di Syrtos, danza popolare greca che si fa in cerchio, con le mani sulle spalle del vicino, da cui deriva il moderno Sirtaki) e soprattutto alle donne, la sua più grande passione. Approfittando della totale assenza del Basileus, Zaganos si impadronisce del sigillo imperiale e firma a volontà condanne a morte, impadronendosi dei beni dei propri nemici giustiziati. Inutile dire che un simile personaggio non può non ambire lui stesso alla Corona Imperiale, ma per riuscirci deve compiere grandi imprese militari ed acquistare prestigio agli occhi dell'esercito. Per questo allestisce una nuova spedizione in grande stile contro l'Ungheria, accusata di nutrire mire espansionistiche contro l'Impero. Dal 5 agosto al 7 settembre egli assedia di persona la fortezza ungherese di confine di Szeged, eroicamente difesa dall'eroe nazionale croato Nikola Subić Zrinski: nonostante Zaganos disponga di 50.000 soldati mentre Zrinski solo di 2300 uomini, quest'ultimo riesce incredibilmente a tenere la fortezza fino all'arrivo dell'imperatore Massimiliano II, figlio di Ferdinando a cui è succeduto nel 1563. Di fronte alle soverchianti forze asburgiche, Zaganos è costretto a ritirarsi e a firmare la Pace di Presburgo, con la quale l'Ungheria ritorna in possesso di molti territori conquistati da Davide I. Andrea Zaganos è additato come il principale responsabile della sconfitta, e i suoi nemici riferiscono a Giovanni IX che, dopo la sperata vittoria, il Primo Ministro aveva intenzione di sopprimere il Basileus per cingere lui stesso la corona. Giovanni allora ordina che Zaganos e tutti i suoi famigliari siano arrestati; il presuntuoso Primo Ministro è costretto ad assistere all'esecuzione della moglie e dei figli, prima di venire squartato vivo. I pretoriani di Giovanni gli riferiscono che la figlia più giovane di Zaganos è vergine, e la tradizione bizantina impone di non condannare mai una vergine a morte, ma il Basileus ribatte:
"Ah sì? Allora, prima di farla fuori, qualcuno di voi si premuri di farla diventare signora!"
Il 18 maggio 1565 il Bey di Tunisi, suddito dei Mamelucchi, pone Malta sotto assedio; l'isola resiste vittoriosamente fino all'8 settembre, quando i rinforzi provenienti dalla Spagna capovolgono le sorti della battaglia: 30.000 tunisini restano uccisi o sono catturati.
Il 6 settembre 1569 Giovanni IX viene eliminato a sua volta da una congiura di nobili, che pongono sul trono suo fratello Manuele III, ritenendolo più facilmente manovrabile dopo la fine riservata a Zaganos. In effetti Manuele nomina Primo Ministro Macario Tsaldaris, capo della cospirazione che lo ha portato al potere, e tende a disinteressarsi dello stato. Tsaldaris è fortunato, perchè proprio mentre egli sta consolidando il suo potere, una grave crisi investe il Mediterraneo Orientale. I Mamelucchi d'Egitto infatti decidono di sloggiare i veneziani dall'ultimo possesso crociato in oriente, l'isola di Cipro, e per questo il loro Sultano az-Zahir Tuman Bey IV si pone a capo di una potente flotta. Il 1 luglio 1570 l'eroico Marcantonio Bragadin, capitano della guarnigione veneziana sull'isola, riesce a respingere i Mamelucchi a Limassol, ma Nicosia cade quasi subito e i musulmani pongono l'assedio a Famagosta. Bragadin resiste eroicamente fino al 1 agosto, aspettando inutilmente rinforzi, ed alla fine è costretto alla resa, ottenendo però garanzie circa il fatto che tutti i cristiani potranno lasciare sani e salvi la piazzaforte. Tuman Bey si rimangia però la parola data e, dopo aver fatto vendere tutti i cristiani come schiavi, ordina che a Bragadin siano tagliate le orecchie e che sia scorticato vivo. Lo sdegno per il comportamento del sultano mamelucco è grande e investe tutta l'Europa: subito il Papa Pio V organizza una Lega Santa per vendicare Bragadin e riconquistare Cipro. Alla Lega partecipano la Spagna, lo Stato Pontificio, le Repubbliche di Genova e di Venezia, il Ducato di Savoia, il Granducato di Toscana e i Cavalieri di Malta; la flotta cristiana è comandata da Don Giovanni d'Austria, figlio naturale di Carlo V. Le navi si radunano a Messina e quindi puntano verso oriente; all'altezza di Creta si uniscono ad essa anche 40 galee inviate da Macario Tsaldaris, il quale afferma di voler contribuire alla sconfitta dei Mamelucchi. L'ammiraglio spagnolo Álvaro de Bazán e quello pontificio Marcantonio Colonna sono contrari ad accettare l'aiuto bizantino, ma Don Giovanni d'Austria e il genovese Gianandrea Doria decidono di aggregare le navi di Costantinopoli nel timore di non farcela da soli contro la flotta mamelucca.
Domenica 7 ottobre 1571 la flotta cristiana si scontra con quella di Tuman Bey al largo di Limassol, sulla costa meridionale dell'isola di Cipro. La Lega Santa dispone di 246 galee e 6 galeazze per un totale di 1800 cannoni, i Mamelucchi di 236 galee, 64 galeotte e 64 fuste, per un totale di 750 cannoni. Il sultano mamelucco incappa in una disastrosa sconfitta: la sua flotta perde 30.000 uomini tra morti, feriti e prigionieri, 147 navi sono catturate e 50 affondate, e in più sono liberati 15.000 schiavi dalle galee musulmane. Lo stesso Tuman Bey cade nello scontro, e la sua testa è issata sul pennone della "Real", l'ammiraglia di Don Giovanni d'Austria. Cipro, ormai indifendibile dai mamelucchi, è ripresa dalla Lega Santa: Don Giovanni d'Austria sbarca a Limassol, i veneziani a Pafo, i genovesi a Larnaca. Invece l'ammiraglio bizantino Demetrio Kountouriotis sbarca a Famagosta, ed allora appare chiaro perchè Tsaldaris ha voluto essere della partita: per partecipare alla spartizione della torta. Si arriva così al Trattato di Candia: i due terzi dell'isola (la sua parte centromeridionale) con capitale Nicosia costituiscono il Regno Latino di Cipro, affidato proprio a Don Giovanni d'Austria, mentre la parte settentrionale con capitale Famagosta è annessa all'Impero Bizantino. Per Tsaldaris è un grande successo di immagine, ma anche gli occidentali hanno conseguito una grande vittoria, che incide soprattutto sul loro morale, tanto che in segno di ringraziamento il Papa fissa al 7 ottobre la festa della Madonna del Rosario. I Mamelucchi per conto loro hanno dovuto incassare la prima seria sconfitta dal momento del loro avvento al potere, e ogni ulteriore loro progetto di espansione è bloccato per sempre.
Tuttavia l'alleanza tra potenze cattoliche ed Impero Bizantino non sopravvive a lungo alla vittoria di Limassol. Infatti nel 1574 sale la tensione fra l'Ungheria, in mano agli Asburgo, e Costantinopoli circa il vassallaggio della Moldavia e della Valacchia: essendo nazioni ortodosse, Bisanzio ritiene di avere la priorità, ma l'imperatore Massimiliano II si fa forte delle proprie armate e dei propri cannoni. Macario Tsaldaris, alleato con il Primo Ministro e Reggente del Regno di Bosnia Alija Sokolovič, varca il Danubio con un esercito di 90.000 uomini e 54 cannoni. Davanti al cavallo di Tsaldaris ad un certo punto si para il monaco Dorde Utješenović, il quale lo supplica di non attaccare la Transilvania, in nome della sua fedeltà a Bisanzio, ma il Protovestiario rifiuta ogni proposta di negoziato, lo fa buttare in un fosso e prosegue la sua avanzata. Utješenović non si dà per vinto e gli solleva contro le popolazioni locali, tanto che il 14 ottobre 1574 Tsaldaris è costretto ad assediare Temeşvar (la nostra Timisoara). Visto che le cose vanno per le lunghe, i suoi generali gli suggeriscono di levare il campo, visto che Massimiliano II sta arrivando con ingenti forze. Pare che Tsaldaris gli abbia risposto:
« Prima che accada questo i cervi voleranno, e il mare si ritirerà lasciando i pesci allo scoperto! »
Alla fine però, nonostante la sua boria, il Protovestiario è costretto a ritirarsi e a ritornare entro i confini dell'Impero. Con la mediazione di Sokolovič è firmata tra i due Imperi la Pace di Belgrado, che segna il ritorno allo status quo e il vassallaggio di Moldavia e Valacchia a Bisanzio. Subito dopo però scoppia a Sofia una rivolta bulgara, ovviamente finanziata dagli Asburgo, e Tsaldaris deve correre a sedarla. Non ha ancora finito l'opera quando si solleva anche la città di Tessalonica, in cui un oscuro macellaio di nome Pavlos Androutsopoulos afferma di essere il Basileus Giovanni IX redivivo (un leitmotiv costante di queste rivolte bizantine). Anche in questo caso la rivolta è repressa e Androutsopoulos è impiccato. A questo punto Tsaldaris si sente abbastanza forte per rientrare a Costantinopoli e pretendere che il Basileus Manuele III lo nomini Co-Imperatore.
Intanto Bayazid, figlio secondogenito del Sultano Damad IV di Karaman e governatore di Iconio, guida una rivolta contro il fratello Selim, successore designato di Damad. Sconfitto da Selim nel maggio 1579, Bayazid fugge a Costantinopoli, ma dopo vari negoziati Selim riesce ad ottenere la sua estradizione da parte di Tsaldaris, e il ribelle è giustiziato insieme ai suoi quattro figli. In tal modo Tsaldaris si fa amico anche il Sultano Karamanide: ormai si comporta come se fosse l'unico padrone di Costantinopoli. Nel 1581 la rivoluzione è compiuta: Manuele III è detronizzato, gli viene mozzato il naso ed è inviato in convento sul Monte Athos, dove morirà poco dopo, e Macario I resta unico padrone di Bisanzio, pretendendo di fondare una nuova dinastia. Subito fa capire che la sua sarà una politica muscolare perchè riconosce l'indipendenza delle Province Unite dalla Spagna e ne finanzia la sollevazione. Naturalmente Tsaldaris si rifiuta di adottare il Calendario Gregoriano, introdotto nel 1582 da parte di Papa Gregorio XIII, mentre progetta avventure coloniali per dotare l'Impero di territori d'oltremare. Per questa la Compagnia Bizantina delle Indie Orientali fonda alcune piazzeforti sulle coste dell'India e dell'Africa Orientale, approfittando del fatto che il Portogallo ha perso la sua indipendenza a vantaggio della Spagna; fallisce invece il tentativo di installare una colonia stabile sulle coste del Nordamerica. Il capitano Giovanni Foca (noto nella nostra Timeline come Juan de Fuca) nel 1585 sbarca sull'isola di Roanoke, in quella che oggi è la Virginia, ribattezzandola Nuova Rodi. Con lui c'è un gruppo di 150 coloni, i quali però si trovano subito in difficoltà sia a causa delle cattive condizioni meteorologiche che delle forti tensioni con i nativi dell'isola (lo stesso capotribù dei Winginia resta ucciso a seguito di un furto a danno dei greci). Foca allora rientra in patria preparando una nuova spedizione che arriva sull'isola di Nuova Rodi il 22 luglio 1587. Stranamente però non trova nessun superstite tra i coloni lasciati due anni prima: dell'accampamento sono ritrovate soltanto case disabitate e nessuna traccia di tombe né di cadaveri: non vi sono tracce di lotta, ma sembra che gli abitanti abbiano lasciato in tutta fretta l'insediamento. A tutt'oggi nessuno sa dire quale sia stato il destino dei coloni di Nuova Rodi, ribattezzata dagli storici la "colonia perduta". Scartata l'ipotesi che i greci siano stati uccisi dagli indigeni (Foca avrebbe dovuto ritrovarne quanto meno le ossa), c'è chi suppone che si siano integrati con le popolazioni indigene indiane. In ogni caso l'opposizione della Regina d'Inghilterra Elisabetta I, che ha incaricato sir Walter Rayleigh di colonizzare la Virginia, fa sì che Macario I debba rinunciare ai suoi sogni di una colonia greca nel Nordamerica.
Intanto, l'Atamano Ermak, per incarico dello Zar Ivan IV, attraversa gli Urali con 800 uomini a piedi e conquista il Khanato di Sibir, fondandovi i primi "ostrog", forti dislocati lungo le maggiori vie di comunicazione, dai quali avranno origine le città siberiane. Ha inizio la penetrazione russa in quella che d'ora in poi verrà chiamata "Siberia": lontano dagli occhi dell'Europa prende l'avvio una delle più grandi imprese di conquista della storia dell'umanità, che nel 1648 porterà la Russia a raggiungere addirittura lo Stretto di Bering. L'ascesa di Mosca porta come conseguenza il fatto che nel 1589 essa diventa un Patriarcato autonomo da Costantinopoli, nonostante le proteste del Basileus Macario I e del Patriarca Bizantino Geremia II Tranos. Ma ormai per l'usurpatore al trono il tempo è scaduto: con l'aiuto di Filippo II di Spagna, che ha appena dovuto incassare il disastro dell'Invincibile Armata sulle coste britanniche, Davide Comneno, figlio di Andrea, fratello di Giovanni IX e di Manuele III, sbarca in Epiro e marcia verso Costantinopoli, mentre le popolazioni festanti si uniscono a lui contro lo Tsaldaris, accusato di aver mandato in rovina le casse dello stato. Il 10 febbraio 1590 Davide si scontra a Xanthi, in Tracia, con l'armata di Macario I, che è rovinosamente sconfitto e, quando si rende conto della disfatta, cerca la morte in combattimento. La sua testa mozzata è imbalsamata e portata in giro per le città dell'Impero come un trofeo di guerra. Il vincitore è incoronato Basileus con il nome di Davide II; il genovese Scipione Cicala, appartenente ad una delle più nobili famiglie genovesi (suo padre è il visconte Vincenzo Cicala, capitano genovese agli ordini di Andrea Doria), che ha comandato le truppe inviate da Filippo II a sostegno di Davide, è nominato Primo Ministro e Protovestiario dell'Impero Romano d'Oriente. Il cantautore suo concittadino Fabrizio de Andrè gli dedicherà una canzone del suo album "Creuza de mà".
Nel frattempo Michele il Coraggioso (Mihai Viteazul in lingua rumena), principe di Valacchia, riesce a farsi nominare anche Voivoda di Moldavia il 28 febbraio 1600, e così per la prima volta riunisce tutta la nazione rumena (Transilvania ungherese esclusa) nelle proprie mani, creando uno stato potente nel nord dei Balcani. Pur essendosi proclamato vassallo di Costantinopoli, Davide II, che teme una grande nazione ortodossa a ridosso dei propri confini, gli manda contro un esercito, che però è sconfitto nella Battaglia di Goroszló il 3 agosto 1601. In questo modo Michele il Coraggioso acquista un prestigio immenso, essendo riuscito a mettere in scacco i Bizantini; tuttavia pochi giorni dopo, il 9 agosto, è assassinato, dietro ordine del Basileus, da mercenari turchi a Câmpia Turzii presso Turda. Valacchia e Moldavia tornano stati separati e rivali, e dunque più facilmente controllabili da parte di Costantinopoli, ma molti nell'Impero disapprovano l'assassinio di un monarca ortodosso, che per di più si era riconosciuto vassallo di Bisanzio e nemico degli Asburgo.
Davide II persegue una politica nettamente filoasburgica e filooccidentale, e ciò gli aliena parte delle simpatie di coloro che lo hanno eletto sovrano. Il Basileus ritira il riconoscimento dato dal suo predecessore alla Repubblica delle Province Unite, tuttavia accoglie nei suoi territori gli Ebrei (poi detti "Sefarditi") espulsi dalla Spagna, assicurandosi una casta di banchieri e di esperti artigiani. Naturalmente l'apertura della via marittima verso le Indie, sia Orientali che Occidentali, rende nulla l'importanza strategica di Trebisonda, città sul Mar Nero che fin qui i bizantini sono riusciti a conservare, capolinea della famosa "Via della Seta". E non solo: il flusso di metalli preziosi dalle Americhe contribuisce a quella che sarà chiamata "rivoluzione dei prezzi": sotto il regno di Davide II, l'Impero vede aumentare i prezzi del 500 %. A causa dell'inflazione e del grande carico fiscale sui prodotti manifatturieri importati dalla Spagna, le riserve auree dell'Impero Romano vengono scialacquate dalla ricca aristocrazia, e così, per mantenere la sua corte fastosa, Davide II si appoggia sempre più sui prestiti dei banchieri, soprattutto i Flügger di Augusta. Alla fine del suo regno, i pagamenti degli interessi di questi prestiti si portano via da soli il 40 % delle entrate dell'Impero. Inoltre Davide manda aiuti a Enrico di Guisa, impegnato nelle guerre di religione in Francia contro Enrico IV di Navarra, capo della fazione ugonotta. Questa politica decisamente impopolare porta alla ribellione di Davide, figlio primogenito del Basileus, sostenuto da buona parte della nobiltà e del clero ortodosso. L'esercito tuttavia resta fedele al legittimo sovrano, che cattura il ribelle e lo fa impiccare, nonostante sia stato il suo figlio prediletto.
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Il Basileus erudito e suo figlio guerriero
Quando, morto Filippo II e succedutogli il figlio Filippo III di Spagna, Davide II annuncia la convocazione di un Concilio per unire la Chiesa di Costantinopoli a quella di Roma, egli viene eliminato dalla solita congiura di palazzo il 22 dicembre 1603. Secondo la leggenda, Davide - come suo zio Costantino IX - ha una fame insaziabile di donne, ed in particolare è innamorato pazzo di Teofano, figlia del suo medico di corte Spriridione Krokidas. Quest'ultimo, che fa parte della congiura, spalma sull'organo genitale della figlia un particolare veleno a contatto, che manda il Basileus al Creatore al primo rapporto sessuale con lei. Fantasia o realtà, è un dato di fatto che anche il Primo Ministro Vincenzo Cicala sparisce senza lasciare alcuna traccia, e sul trono di Bisanzio è posto Costantino XIII Comneno, figlio secondogenito di Davide II che ha solo 17 anni. Egli non è stato allevato per il governo, e si è dedicato allo studio dei classici greci e latini, delle scienze naturali (possiede una collezione enorme di fossili, per i tempi) e della lingua araba; pare anzi che il padre intendesse avviarlo alla carriera monastica. Il giovane Costantino XIII si trova così sul trono senza reali capacità di governo, e lascia tutte le incombenze del regno ai suoi Ministri, continuando i propri studi, tanto che passerà alla storia con l'epiteto di Polumatés, "l'Erudito". Tra l'altro scrive un trattato sui fossili, riprendendo l'idea leonardesca secondo cui essi non sono di origine minerale, né i resti di esseri viventi periti nel diluvio universale, ma ciò che resta di animali e piante vissuti in epoche remote ed oggi estinti. Inoltre, influenzato da Platone e dalle idee di Aristarco da Samo, egli scrive un pamphlet in difesa di Niccolò Copernico, prendendo posizione a favore della teoria eliocentrica. A Costantino XIII si deve il progetto e la costruzione della nuova Chiesa di Santa Croce in Gerusalemme, vicino all'Ippodromo, dove saranno sepolti tutti i grandi letterati e scienziati che faranno grande l'Impero Bizantino. Essa sorge nei pressi del luogo dove nella nostra Timeline sorge la Moschea Blu.
Naturalmente la politica dell'Impero Bizantino cambia completamente: il nuovo Protovestiario Epaminonda Logotetopulo stipula un trattato di alleanza con il Re d'Inghilterra e di Scozia Giacomo I Stuart e con il Re di Francia Enrico IV, entrambi nemici giurati degli spagnoli; torna a finanziare l'insurrezione olandese (la cosiddetta "Guerra degli Ottant'Anni"); ed inoltre combina il matrimonio di Costantino XIII con Giuliana di Nassau-Dillenburg (3 settembre 1587 – 15 febbraio 1643), nobildonna olandese di religione protestante, che abiura e si converte all'ortodossia. Quest'ultimo matrimonio è tutt'altro che felice, poiché Costantino si occupa solo dei suoi studi e passa a volte l'intera notte a leggere anziché a fare l'amore, tanto che il matrimonio viene consumato solo un anno dopo le nozze; ma c'è chi maligna che esso non è mai stato consumato, essendo Costantino omosessuale. È un dato di fatto che Giuliana ha ben sette figli, quattro maschi e tre femmine; ma i soliti ben informati affermano che nessuno di essi è figlio di Costantino, essendo il risultato dei rapporti di Giuliana con sette amanti diversi. In particolare il primogenito Giovanni (così chiamato perchè Giuliana è figlia del Conte Giovanni II di Nassau-Dillenburg) sarebbe figlio proprio di Epaminonda Logotetopulo, assai maggiore di lei, ma evidentemente più attraente del pur erudito Basileus. In ogni caso Costantino XIII se ne frega altamente delle avventure della moglie, tutto assorbito nei suoi studi, e riconosce tutti e sette i figli. Di essi:
1) Giovanni (nato il 26
novembre 1606) succederà a Costantino con il nome di Giovanni X;
2) Maria (7 ottobre 1608 –
11 dicembre 1628) sarà promessa sposa all'erede al
trono di Danimarca Federico III di Oldenburg, ma morirà a soli 20 anni di
malaria;
3) Manuele (5 luglio 1610 –
21 maggio 1620) morirà a soli 10 anni per cause mai
accertate;
4) Matilde (25 agosto 1611 –
12 febbraio 1671) sposerà Giovanni Casimiro,
Principe di Anhalt-Dessau;
5) Costantino (nato il 12 settembre 1614), del quale diremo tra poco;
6) Filippo (nato il 5 febbraio 1616), del quale diremo tra poco;
7) Irene (23 ottobre 1620) morirà poco dopo la nascita.
Un altro importante protagonista di questi anni si prepara a giungere alla corte bizantina. Infatti Michelangelo Merisi, meglio noto come Caravaggio, forse il pittore più in vista dei primi anni del seicento, universalmente ammirato e preso a modello, ha dovuto fuggire da Roma perchè sulla sua testa pende una condanna a morte per omicidio (in seguito alla condanna, nei dipinti dell'artista lombardo cominciano a comparire ossessivamente teste mozzate, dove il suo macabro autoritratto prende spesso il posto del condannato, come in "David con la testa di Golia", oggi alla Galleria Borghese di Roma). Grazie all'aiuto del principe Filippo Colonna, suo grande protettore, egli si rifugia prima a Napoli e poi a Malta, dove il 14 luglio 1608 è investito della carica di Cavaliere di Grazia. Ma anche qui viene arrestato per un duro litigio con un cavaliere di rango superiore e, quando si viene a sapere della condanna a morte, il Gran Maestro dell'Ordine dei Cavalieri di San Giovanni, Alof de Wignacourt, lo espelle dall'Ordine e lo fa gettare nel carcere di Sant'Angelo a La Valletta, ma il 6 ottobre Caravaggio riesce incredibilmente ad evadere e a rifugiarsi a Siracusa, ospite di Mario Minniti, suo amico di vecchia data. Da qui raggiunge proprio Costantinopoli, dove è accolto a braccia aperte da Costantino XIII, che tra i mille altri interessi è anche critico d'arte, e non gli importa niente della condanna a morte e del carattere impossibile del suo illustre ospite. Sul Corno d'Oro si interessa molto all'arte bizantina, che influenzerà le sue opere. Per Costantino XIII dipinge tra l'altro la tetra "Risurrezione di Lazzaro", l'essenziale "Adorazione dei pastori", la "Negazione di San Pietro", un "San Giovanni Battista" e "Il martirio di Sant'Orsola" (che nella nostra Timeline è considerata l'ultima opera di Caravaggio). Il Merisi a sua volta influenzerà moltissimo l'arte bizantina, che ne adotterà in parte i forti contrasti chiaroscurali, prima di spegnersi per una febbre intestinale il 18 luglio 1620. Ovviamente le sue ossa non finiscono in una fossa comune, ma nella Basilica di Santa Sofia, sotto una grande "Risurrezione di Cristo" da lui dipinta e lasciata incompiuta negli ultimi giorni (l'opera è stata terminata dal suo discepolo Bartolomeo Manfredi). Tra i discepoli greci di Caravaggio va annoverato Antonio Vasilakis (1556-1629), il quale lavorerà non solo a Bisanzio ma anche a Venezia e a Perugia.
Intanto, Epaminonda Strategopulo ritenta l'avventura coloniale in Dytikè India. Dopo aver occupato l'isola di San Gregorio, che corrisponde alla nostra isola di Sint Maarten (dalle nostre parti per metà olandese e per metà francese), nel 1613 la Compagnia Bizantina delle Indie fonda un avamposto stabile sull'isola di Manhattan, acquistata dagli indigeni a prezzo irrisorio: nasce così la città di Nuova Costantinopoli. Nel 1638 diviene Governatore Generale della colonia il Mega Dux Alessio Apocauco, che però rimane invischiato nella cosiddetta Guerra di Alessio, una serie di conflitti con i locali indigeni Lenape per il possesso del territorio circostante la baia; nell'agosto 1645 la controversia è risolta a favore dei Bizantini. Nel 1652 alla fiorente Colonia sarà concesso l'autogoverno e un anno più tardi, il 2 febbraio 1653, a Nuova Costantinopoli sarà concesso il titolo di città.
Il Basileus Costantino XIII l'Erudito (1603-1625, immagine creata con openart.ai)
Nel 1618, mentre Costantino XIII prosegue i suoi studi, la Moldavia, da lungo tempo vassalla dell'Impero, chiede l'aiuto di Bisanzio contro la Confederazione Polacco-Lituana, con la quale ha in corso la lunga Guerra dei Magnati: un conflitto con il quale i più potenti membri della Szlachta, cioè della nobiltà polacca e lituana, si sono intromessi negli affari interni del Principato di Moldavia, nel tentativo di espandere il controllo della Confederazione fino al Danubio. Siccome il Basileus non sa neppure come si indossi un'armatura da guerra, tocca al prode generale Nicola Mavrokordatos impegnarsi nel conflitto, ma questi subisce una dura sconfitta nella Battaglia di Khotyn ad opera dell'Atamano Jan Karol Chodkiewicz. Strategopulo ritiene Nicola responsabile della sconfitta, lo accusa ingiustamente di tradimento a favore dei Magnati e lo fa giustiziare il 1 ottobre 1622. Secondo la leggenda Mavrokordatos, dopo essere stato costretto a confessare sotto tortura colpe mai commesse, apostrofa duramente il Protovestiario: « Se ti macchierai del mio sangue, verserai presto anche il tuo! » Infatti, tre mesi dopo alcuni fedelissimi di Mavrokordatos pugnalano a tradimento il Protovestiario nella casa della sua amante, nella quale si sono introdotti e gli hanno teso un agguato.
A questo punto lo stato è privo di una guida forte: Costantino XIII parla correntemente greco, latino, italiano, francese, spagnolo ed arabo, ma non ha la più pallida idea di come si regga un Impero, e nessuno dei suoi Ministri ha l'acume e la spregiudicatezza di Epaminonda Strategopulo, proprio in uno dei momenti cruciali della storia d'Europa. Nel 1618 infatti la ribellione dei Boemi contro il dominio della casa d'Asburgo ("defenestrazione di Praga") ha causato lo scoppio di un conflitto totale che passerà alla storia come la Guerra dei Trent'Anni. L'Imperatore e Re d'Ungheria Ferdinando II d'Asburgo chiede aiuto al Re di Polonia e Lituania Sigismondo III, di religione cattolica, il quale assolda una banda di mercenari, i Lisowczycy, e li spedisce a mettere a ferro e fuoco la Moldavia, retta dal voivoda Kaspar Graziani, colpevole di essersi alleato con i protestanti Boemi; i Lisowczycy partecipano anche alla famosa Battaglia della Montagna Bianca. Graziani chiede nuovamente aiuto a Bisanzio, che però stavolta non sa risolversi ad intervenire. Nemmeno dopo che i Cosacchi hanno dato alle fiamme il porto di Varna, i Ministri di Costantino XIII riescono a mettersi d'accordo se intervenire o meno nella Guerra dei Trent'Anni. L'Impero appare debole come non mai, e insurrezioni scoppiano in Bulgaria, in Morea, a Trebisonda, in Albania. Lo stesso esercito bizantino si divide in fazioni rivali che lottano aspramente tra di loro per il controllo del territorio. Per aggravare le cose scoppia una pestilenza che miete numerose vittime, e che Costantino XIII attribuisce (come molti a quel tempo) alla nefasta influenza degli astri. La malattia e l'anarchia regnano in ogni dove, i civili sono alla mercè delle prepotenze delle soldataglie e la stessa Costantinopoli è in preda al caos.
L'Impero Romano sembra sul punto di sfasciarsi, quando a sorpresa la situazione è presa in mano dall'erede al trono Giovanni, che non ha ancora 19 anni. Il 24 agosto 1625 egli prende la sua guardia personale e fa irruzione nel laboratorio di alchimia dove suo padre sta lavorando come al solito, del tutto insensibile ai problemi dello stato e alla guerra europea. « Come osi presentarti a me senza prima farti annunciare dal camerlengo? » lo apostrofa il Basileus, stizzito per essere stato interrotto durante un esperimento, più che per la rottura del protocollo. Giovanni tuttavia se ne infischia del protocollo e dell'esperimento:
« Padre, voi avete dimostrato di non essere in grado di governare l'Impero. Non uscirò da questa stanza se prima non avrete firmato l'atto di abdicazione a mio favore. »
« Se lo facessi, mi faresti strangolare dai tuoi tagliagole », ribatte l'imperatore. « Se invece te ne vai e mi lasci continuare i miei esperimenti, in capo a un anno sarò in grado di tramutare il piombo in oro, e i problemi dell'Impero saranno finiti! »
« È da vent'anni che ripetete la stessa cosa, ma il piombo continua a rimanere piombo. Ed ora l'Impero che fu di Augusto, di Traiano, di Costantino e di Basilio ha bisogno di ferro e di fuoco, non di oro. Comunque non sarete ucciso: vi ritirerete in un monastero sull'isola di Nasso, nel quale continuerete i vostri importanti esperimenti fino al termine naturale dei vostri giorni. Sempre se firmerete l'abdicazione seduta stante. »
Dopo un lungo tira e molla, Costantino XIII abdica e viene imbarcato con tutti i suoi libri e i suoi alambicchi per l'isola di Nasso, dove vivrà indisturbato e continuerà i suoi esperimenti fino a un'età di oltre ottant'anni, naturalmente senza riuscire a sintetizzare la pietra filosofale. A questo punto il figlio si fa incoronare nuovo Basileus dal Patriarca di Costantinopoli Cirillo I Lucaris, e per prima cosa ordina l'assassinio dei suoi fratelli minori Costantino e Filippo, rispettivamente di 11 e 9 anni, onde sbarazzarsi di due pericolosi rivali. Subito dopo, si mette alla testa dell'esercito, doma con incredibile energia le rivolte delle guarnigioni periferiche, e si vendica sanguinosamente delle città ribelli. Giunto nei pressi di Alessandropoli, nella Tracia, chiede ad un generale:
« Quella città è indicata sulla mappa stradale? »
« Sì, vostra altezza. »
« Bene. Cancellatela! »
Particolarmente dura la sua repressione della rivolta in Albania, in cui soffoca le rivolte nel sangue e ordina non meno di 20.000 esecuzioni. Siccome il Principato di Zeta era stato attaccato dagli albanesi, il suo principe Stefano V Branković lo accoglie come un liberatore, e Giovanni gli concede il titolo di "Adelfós Komnenói" ("Fratello del Comneno"). Secondo alcuni storici, tale titolo viene tradotto nello slavo "Brat Černetić", la cui radice "čern", in antico slavo "nero", darà il nome alla nazione del Montenegro.
In seguito Giovanni si porta a nord per soccorrere la Moldavia, riuscendo a rafforzarne i confini settentrionali contro eventuali altre invasioni polacche. Sembra che in questo periodo molti genitori greci e slavi abbiano battezzato i propri figli con il nome Giovanni, in segno di gratitudine nei confronti del Basileus. Una volta riprese in mano le redini dello stato dalla sua capitale decide, assieme ai suoi consiglieri, di riformare l'economia e la politica per far riguadagnare loro i fasti dei tempi di Davide I il Magnifico. Allo scopo egli combatte la corruzione, dilagata sotto il regno di suo padre, usando i metodi più spicci: invia in ogni dove degli ispettori fedelissimi, chiamati dal popolo gli Incorruttibili, e quando essi individuano dei funzionari colpevoli di peculato, questi ultimi vengono immediatamente impiccati sulla pubblica piazza. Tra l'altro Giovanni prende la decisione di chiudere tutti i caffé, che negli ultimi decenni si sono moltiplicati come funghi in tutto l'impero (ce ne sono più di 200 nella sola Costantinopoli): egli ritiene infatti che i sediziosi si radunino proprio nei caffé per ordire complotti e focolai di ribellione.
Il Basileus Giovanni Comneno è un uomo alto e imponente, nonché uno dei guerrieri più temuti del suo periodo: condivide con i suoi uomini i disagi del soldato, e sarà l'ultimo imperatore a comandare personalmente l'esercito bizantino sul campo di battaglia. fLo storico di fine seicento Gabriele Patelaros magnifica nelle sue "Cronache" la sua forza fisica e le sue capacità nel combattimento, specialmente nel corpo a corpo dove ama affrontare anche più avversari contemporaneamente. La sua arma preferita è una mazza da 60 chilogrammi, che secondo Patelaros egli è in grado di brandire con una sola mano, tuttora conservata presso il Museo Imperiale di Costantinopoli. Invece non ha mai amato gli studi, pur proteggendo artisti e scienziati: si dice che sappia appena leggere e che l'unica lingua straniera che mastichi sia l'italiano, per via dei numerosi uomini d'arme della penisola che invita alla sua corte per apprenderne le tattiche di combattimento. Tutto questo rafforza la convinzione secondo cui egli non fosse affatto figlio di Costantino XIII, anche se la supposta paternità di Epaminonda Strategopulo resta poco più che una leggenda.
Nel 1628 il medico e fisiologo inglese William Harvey, che non va d'accordo con Re Carlo I Stuart, giunge a Costantinopoli ed è nominato archiatra di corte dal nuovo Basileus. Egli ha modo di accompagnare Giovanni X nelle sue spedizioni belliche, e può analizzare i cadaveri di molti nemici uccisi, senza bisogno di rischiare la testa in Inghilterra studiando i cadaveri nei cimiteri, come faceva Leonardo da Vinci. Proprio grazie a questi suoi studi egli può pubblicare la sua opera più importante, la "Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus", in cui annuncia la scoperta della circolazione del sangue nel sistema arterioso e venoso. Dato che in questa Timeline egli lavora a Costantinopoli, gli scritti di Harvey non andranno perduti quando durante la guerra civile inglese, come accadde dalle nostre parti allorché le truppe del Parlamento saccheggiarono la sua abitazione londinese; e ciò costituirà un indubbio beneficio per la medicina moderna.
Intanto il Re di Svezia Gustavo II Adolfo interviene nella Guerra dei Trent'Anni a favore della causa protestante e riporta uno straordinario successo nella battaglia di Breitenfeld (17 settembre 1631), ma osa troppo e viene ucciso nella battaglia di Lützen del 16 novembre 1632, vinta dalle forze imperiali guidate da Albrecht von Wallenstein. Con la morte del sovrano svedese, il partito protestante cade preda di divisioni interne, delle quali approfittano i cattolici per sferrare una controffensiva con l'aiuto di truppe inviate dalla Spagna. A questo punto Giovanni X, temendo il rafforzamento del potere degli Asburgo che premono sui suoi confini, decide di intervenire direttamente in guerra, capitanando egli stesso l'esercito bizantino ed attraversando il territorio polacco senza incontrare alcuna resistenza. L'intervento dell'Impero d'Oriente convince anche i francesi a muoversi, trasformando definitivamente il conflitto da scontro confessionale a lotta per l'egemonia europea. Dopo una prima fase segnata da alcuni successi militari, Giovanni X è costretto a ritornare precipitosamente in patria poiché un usurpatore si è spacciato per suo fratello Costantino redivivo ed è riuscito a farsi proclamare Basileus a Nicea. Dopo aver sconfitto ed eliminato l'usurpatore, e dopo aver inflitto ai Cosacchi una pesantissima sconfitta, Giovanni torna in Germania per soccorrere i francesi, i quali sono andati incontro a diverse sconfitte e difficoltà militari; unendo le proprie forze riescono a far pendere definitivamente la bilancia del conflitto a sfavore delle insegne imperiali. Dove non giunge l'abilità del Duca d'Enghien Luigi II di Borbone-Condé e del Visconte di Turenne Henri de La Tour d'Auvergne, comandanti in capo delle truppe francesi, arriva un po' di fortuna: la Spagna, impegnata nei Paesi Bassi e sconvolta dalle rivolte separatiste della Catalogna e del Portogallo, si trova a sua volta in gravi difficoltà. E così la coalizione imperiale guidata dal generale spagnolo Francisco de Melo è costretta ad incassare una disastrosa sconfitta nella battaglia di Rocroi del 19 maggio 1643. Essa segna la fine della supremazia militare spagnola, e l'inizio di un lungo periodo di predominio militare francese, durato fino all'Ottocento.
Il 6 giugno 1647 scoppia a Napoli anche un'insurrezione capeggiata da Giulio Genoino e dal pescatore Tommaso Aniello, detto Masaniello; Giovanni X finanzia ampiamente questa sollevazione, anche se essa finirà per essere soffocata. In ogni caso, nell'impossibilità di proseguire la guerra, gli Asburgo d'Austria, detentori della corona imperiale e del trono d'Ungheria, sono costretti ad abbandonare i propri disegni egemonici e a firmare la Pace di Westfalia. Essa viene firmata in due località separate a causa dei dissidi tra i cattolici e i protestanti, che rifiutano di sedere allo stesso tavolo: i cattolici firmano dunque il trattato a Münster il 15 maggio 1648, e i protestanti ad Osnabrück il 24 ottobre dello stesso anno. La Francia ottiene la Lorena, Metz, Toul, Verdun e i territori asburgici dell'Alsazia; la Svezia acquista la Pomerania Anteriore e i vescovati di Brema e Verden, che le assicurano l'egemonia sul Mar Baltico; il Brandeburgo (cioè quella che in seguito verrà chiamata Prussia) riceve la Pomerania Orientale ed i vescovadi di Magdeburgo, Halberstadt, Kammin e Minden; i Paesi Bassi e la Svizzera sono riconosciuti stati sovrani ed indipendenti dall'Impero; l'Impero Bizantino infine ottiene lo sgombero delle armate ungheresi da alcune importanti piazzeforti di confine in Bosnia e Valacchia, ed acquista le isole di Curaçao, Bonaire e Aruba al largo della costa venezuelana, nonché la metà meridionale dell'isola di Cipro, fin qui appartenuta alla Spagna. Quest'ultima, non volendo riconoscere l'egemonia francese che si sta profilando in Europa, continua la lotta da sola, ma deve subire una decisiva sconfitta nella battaglia delle Dune presso Dunkerque, il 14 giugno 1658, e la Francia le impone l'umiliante Trattato dei Pirenei (7 novembre 1659), con la quale la Spagna è costretta a cedere al nemico parte dell'Artois, delle Fiandre, della provincia dell'Hainaut e del Rossiglione: la catena dei Pirenei diventa la nuova frontiera che separa la Spagna dalla Francia, e la nazione iberica entra in un periodo di decadenza politica e militare.
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Il disastro di Budapest e la fine della dinastia Comnena
Al contrario, la Pace di Westfalia ha consacrato l'Impero Bizantino di Giovanni X come grande potenza in Europa. Il 1 ottobre 1627 egli ha sposato Sofia Eleonora di Sassonia (23 novembre 1609 – 2 giugno 1671), primogenita del principe elettore Giovanni Giorgio I di Sassonia e della sua seconda moglie, la principessa Maddalena Sibilla di Hohenzollern, figlia a sua volta del duca Alberto Federico di Prussia. In tal modo, Giovanni Comneno si è imparentato con alcune tra le maggiori dinastie protestanti della Germania. Questo matrimonio, celebrato all'inizio della Guerra dei Trent'Anni, ha fatto sperare ai Protestanti un suo intervento nel conflitto, poi effettivamente avvenuto e rivelatosi decisivo. In occasione delle suddette nozze è stata messa in scena a Costantinopoli la prima opera lirica nel territorio dell'Impero, la "Tragicomoedia von der Dafne" ("Tragicommedia di Dafne") di Heinrich Schütz, compositore molto attivo a Costantinopoli da questo momento in poi. La corte di Sofia Eleonora, rimasta reggente durante i lunghi periodi di assenza del marito dovuto alle guerre, si è trasformata in un cenacolo di artisti e letterati, e la sterminata Biblioteca della capitale si è arricchita di molte opere in lingua tedesca. Con la Basilissa l'arte e la cultura Barocca raggiungono il Corno d'Oro, che vive un periodo di splendore artistico e letterario.
Il 21 febbraio 1632 il grande scienziato pisano Galileo Galilei, fondatore del metodo sperimentale nonché della Fisica moderna, pubblica a Firenze il suo capolavoro, il "Dialogo sui Due Massimi Sistemi del Mondo", nel quale dimostra con chiari argomenti la veridicità del sistema copernicano al posto di quello tolemaico tradizionale. Pur essendo già stato ammonito dall'Inquisizione a non scrivere più a favore del modello eliocentrico, ai tempi giudicato eretico sia dai cattolici che dai protestanti in seguito a un'errata interpretazione letterale di un passo della Scrittura, Galileo si è convinto a pubblicare il Dialogo dopo che il suo vecchio amico Maffeo Barberini è stato eletto Papa con il nome di Urbano VIII, dal quale spera di ottenere protezione. L'opera riceve molti elogi, tra i quali quelli di Fulgenzio Micanzio, collaboratore e biografo di Paolo Sarpi, e di Tommaso Campanella, ma l'inquisitore di Firenze Clemente Egidi accusa Galileo di aver insultato proprio il Papa, facendone una caricatura nella figura di Simplicio, il personaggio del dialogo che sostiene le tesi aristoteliche e viene ridicolizzato da Salviati, alter ego dello stesso Galileo. Il 23 settembre Egidi intima a Galileo di presentarsi a Roma per essere processato dalla Santa Inquisizione. Resosi conto che il Granduca di Toscana Ferdinando II de' Medici no muoverà un dito per salvarlo per non mettersi in urto con la Chiesa, decide la fuga. Raggiunta in modo rocambolesco Venezia, si imbarca su una nave diretta a Costantinopoli, dove giunge il 13 febbraio 1633. Qui l'imperatrice Sofia Eleonora lo accoglie con grandi onori: come si è detto, già Costantino XIII ha scritto a favore dell'eliocentrismo, e le idee di Aristarco di Samo (il primo a porre il Sole e non la Terra al centro dell'universo) circolano da tempo a Costantinopoli. Nonostante l'antipatia della Chiesa Ortodossa, per lo più schierata a favore della vecchia teoria geocentrica, a Galileo viene offerta una cattedra all'Accademia di Costantinopoli, e l'imperatrice lo vuole precettore dei suoi figli. Come già Leonardo, anche Galileo può trascorrere in santa pace sul Corno d'Oro gli ultimi anni di vita: la richiesta di estradizione dell'"eretico" da parte della Santa Sede non ha infatti alcun esito. Nel 1638 Galileo, divenuto purtroppo ormai quasi cieco, pubblica un altro capolavoro, i "Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze", con le quali getta le basi della Meccanica Classica. L'opera, proibita in Italia e Spagna, ha invece grandissima diffusione in Germania, Olanda e Inghilterra, e influenzerà in modo decisivo l'opera di Newton. Negli anni a Bisanzio Galileo inventa anche la bilancia idrostatica e tenta invano di misurare la velocità della luce. Nel 1640 viene raggiunto a Costantinopoli da altri due grandi fisici italiani, entrambi suoi discepoli: Vincenzo Viviani ed Evangelista Torricelli, che sul Bosforo compiranno le loro maggiori scoperte. L'"eretico" Galileo Galilei si spegne la notte dell'8 gennaio 1642, a 77 anni, assistito da Viviani e da Torricelli. La condanna del Sant'Uffizio contro Galileo verrà ritirata solo da Giovanni Paolo II nel 1992.
Nel 1649 giunge a Costantinopoli anche il matematico e filosofo francese René Descartes, meglio noto come Cartesio, considerato uno dei fondatori del pensiero moderno. Anziché l'invito della Regina Cristina nella gelida Stoccolma, egli accetta quello della Basilissa Sofia Eleonora, che gli affida l'istruzione filosofica dei suoi figli, e così egli non muore di polmonite in pochi mesi, ma vivrà indisturbato sul Corno d'Oro fino all'11 febbraio 1665, pubblicando una nuova grande opera, il "Dizionario di Filosofia Razionale", dedicato proprio all'imperatrice. Il razionalismo di Cartesio influenza molto gli intellettuali greci dell'epoca, favorendo il fiorire di una filosofia basata su metodi razionali di conoscenza, libera da ogni dogmatismo. Lo stesso Giovanni X decide di abolire il reato di stregoneria, utilizzato spesso nel secolo precedente per eliminare parecchi avversari politici. Tutto ciò porta la Chiesa Ortodossa e la nobiltà più conservatrice in urto con la Basilissa, accusata di ateismo e di osteggiare la tradizione religiosa bizantina. Di conseguenza l'Imperatore Giovanni X, spiccio come sempre, rimuove ben due Patriarchi, Joannico II nel 1652 e Cirillo III nel 1654. Una parte della nobiltà terriera tenta allora un colpo di stato, cercando di prendere Costantinopoli con l'aiuto di truppe mercenarie turche per rimettere al suo posto Cirillo III, ma Giovanni X stronca la ribellione con la consueta energia, ed inizia una strenua lotta contro i grandi feudatari, sul modello di quella portata avanti da Ivan IV in Russia nel secolo precedente.
Intanto, il Logoteta Michele Kontares decide di imitare Jean-Baptiste Colbert, Ministro delle Finanze di Luigi XIV di Francia, e di instaurare un rigido controllo dello Stato sull'economia imperiale, chiamato Mercantilismo dagli economisti moderni, in linea con la tradizione assolutista bizantina. In tal modo lo Stato può assicurarsi i profitti provenienti dai dazi, dai pedaggi, da imposte dirette e indirette per il mantenimento dell'esercito, dell'amministrazione e della Corte di Costantinopoli. Poiché, secondo le concezioni del tempo, la ricchezza di un paese si misura con la sua disponibilità di metalli preziosi e di moneta, il mercantilismo di Kontares fa leva sulla fiorente flotta commerciale bizantina per conseguire una bilancia commerciale attiva mediante l'esportazione di merci pregiate (prodotti di lusso, oreficeria, porcellane, vetrerie, mosaici, icone preziose, profumi, legname). Vengono perciò aboliti i dazi interni, sono costruite nuove strade e nuovi porti, sono fornite sovvenzioni alle manifatture (grandi aziende artigianali con suddivisione del lavoro, diffuse soprattutto in Asia Minore), sono istituiti i monopoli statali e dei dazi protettivi, sono calmierati i prezzi dei prodotti agricoli, è fatto divieto di emigrazione mentre viene dato impulso alla politica coloniale. Purtroppo, proprio al culmine del mercantilismo bizantino va perduta la colonia di Nuova Costantinopoli, che nel 1664 cade in mano agli inglesi, determinati a controllare l'intera costa orientale degli attuali USA; la città è ribattezzata New York. In cambio però Londra cede all'Impero parte della Guiana (il nostro Suriname), ribattezzato Nuovo Epiro con capitale Nuova Giannina (in onore di Giovanni X). In generale, se l'Impero fallisce nel proposito di soppiantare i concorrenti olandesi ed inglesi nei commerci oceanici, comunque la marina mercantile sotto Kontares raddoppia il suo tonnellaggio complessivo. Naturalmente il mercantilismo favorisce il commercio e l'industria, e di conseguenza l'ascesa della borghesia a discapito della nobiltà, mentre i contadini non si sentono stimolati ad aumentare la produzione. Viene mantenuta la divisione in classi, ma senza privilegi politici. Sul piano religioso, Giovanni X fa approvare una legge ("Articoli di Gennaio") con la quale si riafferma l'indipendenza del potere imperiale dalla Chiesa in ciò che non attiene la salvezza delle anime, e la necessità dell'approvazione da parte del Basileus di ogni nomina, non solo del Patriarca di Costantinopoli, ma anche di tutti i Vescovi delle Diocesi più importanti. Ne consegue la persecuzione dei cosiddetti Cirilliti, seguaci del deposto Patriarca Cirillo III, secondo i quali il potere ecclesiastico è superiore a quello temporale così come la luce del Sole supera quella della Luna; contro di essi si giunge alla violenza fisica, ed il loro leader Malachia finisce sul rogo.
Giovani X deve combattere ancora una guerra, la Guerra Bosniaco-Ungherese del 1663-1664, originata dagli interventi di queste due nazioni nei torbidi politici della Valacchia; la vittoria del Basileus ad Orsova porta alla pace ignominiosa di Vasvar e all'imposizione di tributi all'Ungheria. Negli anni successivi la nobiltà ungherese si rivolta contro il suo sovrano, l'Imperatore Leopoldo I d'Asburgo, in seguito alla cruenta persecuzione del protestantesimo con soprusi ed esecuzioni, e naturalmente il Basileus sostiene la rivolta. Giovanni X inoltre stringe alleanza formale con Federico Guglielmo I di Hohenzollern, detto "der Große Kurfürst" ("il Grande Elettore"), fondatore dello Stato Prussiano: Elena, la figlia più giovane del Basileus, sposa Federico, figlio ed erede del Grande Elettore. Tuttavia il 9 febbraio 1671 Giovanni X muore improvvisamente all'età di 65 anni, buona parte dei quali trascorsi sul campo di battaglia. Da Sofia Eleonora ha avuto sette figli:
1) Giovanni (nato il 5
novembre 1630), che gli succede con il nome di Giovanni XI;
2) Costantino (25 gennaio 1633 – 24 aprile 1697), nominato dal padre
governatore di Morea;
3) Manuele (29 settembre 1635 – 19 luglio 1688), nominato governatore di
Trebisonda;
4) Michela (nata il 24 marzo 1639 e morta poche ore dopo la nascita);
5) Demetra (17 dicembre 1639 – 13 dicembre 1693), che influenzata da Cartesio
lascia la corte di Costantinopoli, si trasferisce a Roma, abbraccia il
cattolicesimo e si fa monaca con il nome di Maria Celeste;
6) Elisabetta (1 maggio 1642 – 2 giugno 1724), che sposa il Catapano Andrea
Patelaro, del quale diremo sotto;
7) Elena (18 novembre 1647 – 7 luglio 1683), che come detto sposa Federico di
Hohenzollern.
Giovanni XI è incoronato Basileus dal Patriarca di Costantinopoli Dionisio IV (da lui stesso scelto per ricoprire quella carica), e lo stesso giorno i fratelli Costantino e Manuele si rendono irreperibili, temendo di subire la stessa sorte che il padre ha riservato ai loro zii. Per timore che qualcuno li utilizzi davvero come candidati al trono da opporgli, Giovanni fa pubblicare un proclama in cui invita i fratelli a tornare, perchè non ha nessuna intenzione di sopprimerli. Tuttavia solo Manuele fa rientro al Sacro Palazzo ed è confermato Governatore di Trebisonda; Costantino si trasferisce in Inghilterra e da qui nelle colonie americane, dove contribuirà alla fondazione della Colonia della Sud Carolina (in suo onore esiste oggi la città di Costantine, 50 Km a nord di Charleston, ed è stata una sua idea quella di porre una palma nell'insegna della nuova colonia).
Il Basileus Giovanni XI (1630-1688, immagine creata con openart.ai)
Il nuovo Basileus, che ha sposato Edvige di Schleswig-Holstein, figlia di Cristiano IV, re di Danimarca e Norvegia, come primo atto nomina Astronomo di Corte lo scienziato genovese Gian Domenico Cassini (1625-1712), che proprio sul Corno d'Oro compirà alcune tra le sue principali scoperte: quattro satelliti di Saturno (Giapeto, Rea, Dione e Teti), la divisione fra gli anelli di Saturno oggi nota come Divisione di Cassini, la Grande Macchia Rossa di Giove e la durata esatta del periodo di rotazione del Pianeta Marte. Sua anche la realizzazione di una grande meridiana sulla facciata della Basilica dei Santi Apostoli, per la quale è compensato dal Basileus con un'ingente somma di denaro.
Ma Giovanni XI deve ben presto lasciar perdere lo studio del cielo per confrontarsi con gli eventi di questa terra. Nel 1672 Luigi XIV di Francia, meglio noto come il Re Sole, muove guerra all'Olanda per punirla di aver aiutato l'Inghilterra contro di lui nelle Guerre di Devoluzione antispagnole. Dopo che il Gran Pensionario Jan de Witt è stato rovesciato e ucciso, Guglielmo III di Orange è nominato stathouder a vita e difende il suo paese aprendo le chiuse e le dighe, cosicché l'esercito francese resta impantanato. Allora l'Austria organizza una coalizione antifrancese, ma Luigi XIV la controbatte appoggiando le rivolte dei nobili ungheresi contro gli Asburgo ed invocando l'aiuto di Giovanni XI, così come suo padre ha aiutato la Francia durante la Guerra dei Trent'Anni. Giovanni decide di prendere parte alla guerra per ricoprirsi di gloria come il padre, ma quando Federico Guglielmo di Prussia si schiera con la coalizione antifrancese e si scontra con gli svedesi, alleati del Re Sole, il Basileus non se la sente di schierarsi contro il Grande Elettore, il cui figlio ha sposato sua sorella minore, ed evita di prendere parte allo scontro. Il risultato è che il 18 giugno 1675 il generale prussiano Georg von Derfflinger riporta a Fehrbellin (60 chilometri a nordovest di Berlino) una decisiva vittoria contro gli svedesi guidati da Waldemar Wrangel. Il Re Sole non perdona a Giovanni XI quello che considera un tradimento: il corsaro francese Jean Bart attacca i possedimenti bizantini nei Caraibi, e Luigi finanzia le rivolte di serbi e bulgari contro Costantinopoli.
Dopo che il suo Mega Dux Timoteo Karykes ha represso le rivolte interne, Giovanni XI riconosce che la sua precedente campagna è stata tutt'altro che un successo, e così decide di impegnarsi in una grande impresa bellica per recuperare prestigio internazionale: nientemeno che la conquista dell'Ungheria, che da due secoli i Comneni sognano di togliere agli Asburgo per insediarvi un sovrano di fiducia. Per questo il Basileus si assicura la fedeltà di Valacchi e Bosniaci, la neutralità dei Russi e l'appoggio dei Veneziani, quindi accetta la richiesta d'aiuto che gli ha lanciato il conte Imre Thököly, a capo della Rivolta dei Kurukoc ("Patrioti") contro il governo asburgico. L'Imperatore Leopoldo I è tenuto impegnato dalla nuova guerra contro Luigi XIV, che ha annesso Strasburgo e il Lussemburgo, ed è ben deciso a portare il confine sul Reno, e così Giovanni XI decide di puntare sul bersaglio grosso: Budapest, dove sono asserragliate le truppe austriache del conte Ernst Rüdiger von Starhemberg. Il 15 luglio 1683 la capitale ungherese è cinta d'assedio dai 150.000 uomini dell'esercito bizantino e dei suoi alleati, guidati da Giovanni XI e da Timoteo Karykes. La città sta per capitolare in mani bizantine, quando arriva l'esercito del Re di Polonia Giovanni III Sobieski, alleatosi a sorpresa con gli Asburgo, e di colpo gli assedianti si trasformano in assediati. L'11 settembre 1683 l'esercito imperiale subisce una delle più umilianti sconfitte della sua storia: il Basileus e il Mega Dux si salvano perchè si erano ritirati prudenzialmente sulle alture, ma 20.000 imperiali cadono in battaglia e 5.000 sono presi prigionieri. Con gli uomini rimastigli, Giovanni XI si ritira verso il Danubio, nella speranza di raccogliere nuove truppe e di sferrare un secondo attacco in primavera. Ma a Mohács, nello stesso luogo della battaglia che nel 1526 aveva visto Davide I vittorioso contro Luigi II d'Ungheria, il 12 maggio 1684 l'esercito bizantino subisce una seconda disfatta, stavolta ad opera del giovane principe Eugenio di Savoia, comandante delle truppe imperiali. Il Mega Dux Timoteo Karykes cade nello scontro, mentre Giovanni XI riesce a rientrare nei suoi territori, ma è costretto all'umiliante Pace di Karlowitz, con cui l'Ungheria occupa Belgrado e l'Austria annette le isole Ionie, mentre la Valacchia e la Moldavia passano dall'orbita bizantina a quella asburgica. Il trono di Giovanni vacilla, e molti nobili cominciano a pensare di sostituirlo con un valido generale, in grado di prendersi la rivincita sugli odiati Asburgo.
Solo nel 1685 Giovanni XI riesce a cogliere un successo importante: Luigi XIV commette l'errore di revocare l'Editto di Nantes, con cui suo bisnonno Enrico IV aveva concesso libertà di culto agli Ugonotti. E così, circa mezzo milione di protestanti francesi sono costretti ad emigrare, e l'economia del regno è gravemente danneggiata. Molti di questi Ugonotti si trasferiscono in Olanda, ma alcuni scelgono di emigrare proprio nell'Impero Bizantino, sotto la protezione di Giovanni XI, che così si dimostra un pessimo comandante militare, ma un amministratore dotato di fiuto. Gli Ugonotti infatti vanno a rafforzare il mercantilismo bizantino, trattandosi di una classe di colti imprenditori con il pallino degli affari. Ma nel 1688 arriva un nuovo scacco: il Sultanato dei Turchi Karamanidi, che ha conosciuto una notevole espansione sotto il Sultano Bedreddin V Ibrahim detto il Grande, travolge le difese bizantine e raggiunge la costa anatolica del Mar Nero, isolando Trebisonda dal resto dell'Impero. L'estrema propaggine orientale dell'Impero Bizantino resiste all'assedio turco sotto la guida di Manuele, fratello del Basileus Giovanni; quest'ultimo chiede allora l'aiuto del Re Giorgio XI di Kartli (la Georgia orientale), che invia un esercito in soccorso della città assediata, mentre il nuovo Mega Dux Teodoro Prodromo accorre con una flotta da Costantinopoli. Ma una tempesta distrugge parte della flotta bizantina; quando Teodoro riesce a sbarcare con le forze rimaste, si unisce all'armata georgiana, ma il Sultano Karamanide Bedreddin V riesce a separare i due eserciti e a batterli separatamente. Teodoro Prodromo muore in battaglia, il 19 luglio i Karamanidi travolgono le difese di Trebisonda e fanno strage di cristiani, vendendo i superstiti come schiavi; anche Manuele Comneno cade combattendo valorosamente. Lo stesso Sultano ha orrore della carneficina commessa dai suoi soldati, tanto da affermare:
« Quando giunsi qui, trovai una città di eroi; ora che me ne vado, lascio una città di morti. »
Bedreddin V ricostruirà poi la città con il nuovo nome di Trabzon, in uso tuttora. In ogni caso, questa ennesima sconfitta rappresenta la goccia che fa traboccare il vaso. L'esercito si rende conto che i Karamanidi, ringalluzziti da questa vittoria, non ci metteranno molto a conquistare tutta l'Anatolia e ad arrivare a Costantinopoli; è perciò necessario quanto prima individuare un nuovo comandante militare in grado di rinverdire i fasti di Giovanni X e di fermare la dissoluzione dell'Impero. Detto, fatto. Il 2 novembre una congiura, della quale fanno parte anche l'anziano Logoteta Michele Kontares ed Elisabetta Comnena, sorella di Giovanni e Michele, detronizza il Basileus, che viene accecato e chiuso in un monastero sul Monte Athos, e proclama nuovo imperatore romano il Catapano Andrea Patelaro, 48 anni, originario di Rethymno, sull'isola di Creta, che prende il nome di Andrea II e fonda la nuova dinastia dei Patelari, ricordata dagli storici come la Dinastia Cretese. Non è certo un parvenu, appartenendo a una delle famiglie più in vista dell'Impero: suo prozio Atanasio Patelaro è stato Patriarca di Costantinopoli dal 1634 al 1652, ed è stato proclamato Santo, e un suo antenato ha combattuto con valore nella prima battaglia di Mohács del 1526. Andrea II comunque non perde tempo, sapendo di essere stato innalzato alla porpora solo per vendicare le sconfitte incassate dall'ultimo dei Comneni, e di rischiare di fare la sua stessa fine se fallirà. Per questo nomina Mega Dux suo fratello Gabriele, e si dà subito ad organizzare una controffensiva antiturca. Nonostante le nuove ribellioni serbe, finanziate dagli Asburgo, il Basileus Cretese conclude una vantaggiosa alleanza con Venezia, che fornisce uomini e navi dopo che Giovanni XI era stato costretto a cedere gran parte della flotta agli Asburgo in seguito alla pace di Karlowitz, e si sente pronto per attaccare i Turchi, che ormai sono alle porte di Nicea.
Ai primi del 1690, Andrea II Patelaro sferra la sua offensiva su tre fronti: egli stesso guida il grosso delle truppe contro la Bitinia, suo fratello Gabriele userà come base Smirne per forzare il cuore del Sultanato di Karaman, mentre il veneziano Francesco Morosini, uno degli ultimi grandi comandanti veneziani, devasterà le coste dell'Anatolia meridionale. Con una flotta relativamente piccola e con equipaggi di media qualità, il Morosini riesce nell'impresa di conquistare fortezze ritenute imprendibili, vincendo a ripetizione: affronta anzitutto la flotta che i Mamelucchi hanno inviato in aiuto dei Karamanidi e la annienta nelle acque di Rodi, quindi assedia Attalia e la conquista. Nel 1691 distrugge Alanya, Anamur e Bozyazi; infine nel 1693, con il suo luogotenente Philipp Christoph von Königsmark, un conte svedese entrato al servizio della Serenissima Repubblica, punta al bersaglio grosso, il porto di Alessandretta, che segna il confine con i Mamelucchi. Nonostante questi ultimi si siano coalizzati con i Karamanidi, Morosini espugna la città e la dà alle fiamme; si dice che sulle mura abbia gridato in lingua turca: « Ricordatevi di Trebisonda! »
Intanto Andrea II ha battuto i Karamanidi a Calcedonia, mentre Gabriele ha espugnato la città di Kütahya. In seguito i due fratelli uniscono le loro forze e il 1 aprile 1692 infliggono ai Turchi una sconfitta decisiva a Dorileo (chiamata dai turchi Eskisehir, "città vecchia"). A questo punto la strada per Ankara è aperta. Ma l'assenza del Basileus e del Mega Dux ha favorito lo scoppiare di varie rivolte nei territori europei, mentre il Senato di Costantinopoli amministra la capitale come se la sede imperiale fosse vacante, e gli Asburgo hanno conquistato anche Passarowitz, a sud del Danubio. Tutto ciò, unito allo stato delle finanze imperiali e alla decadenza della politica di mercantilismo, spinge Andrea II a concludere con i Karamanidi la pace di Attalia (8 ottobre 1693). Con essa Trebisonda resta ai Turchi assieme allo sbocco sul Mar Nero, ma essi devono restituire tutte le conquiste ad occidente, e il confine con l'Impero è spostato 80 Km più ad est. Inoltre Karaman può mantenere solo una flotta di dieci navi, e il Sultano deve consegnare due suoi figli ai bizantini come ostaggi. Uno di essi poi si convertirà al cristianesimo e trascorrerà tutta la vita alla corte di Costantinopoli. In segno di ringraziamento, Andrea II ordina una nuova, solenne ostensione pubblica del Mandylion di Edessa, che attira a Costantinopoli molti pellegrini, anche cattolici. Tra gli altri arriva sul Bosforo il domenicano pugliese Vincenzo Maria Orsini, Legato di Papa Innocenzo XII, che nel 1724 sarà eletto a sua volta Pontefice con il nome di Benedetto XIII.
Il Mandylion di Edessa
L'Impero ha ritrovato così il suo prestigio, e Andrea il Cretese può trascorrere il resto del suo regno a risistemare le cose nei Balcani, a mettere in atto riforme per svecchiare la burocrazia e ad abbellire Costantinopoli di nuovi monumenti; oltre ad una colonna trionfale in onore di se stesso, egli fa ricostruire la Chiesa dei Santi Sergio e Bacco, dei quali è devoto (nella nostra Timeline è divenuta la moschea di Küçük Ayasofya), e la Chiesa di San Salvatore in Chora (nella nostra Timeline è la Moschea Kaariye), fuori le mura, nella quale si farà seppellire. Andrea II ha il chiodo fisso di preparare la vendetta contro gli Asburgo, che ormai sono diventati la potenza egemone nell'Europa centrale, però il 28 dicembre 1703 muore improvvisamente a 63 anni, si pensa stroncato da un infarto. Gli succede il figlio Manuele IV (poi detto il Magnanimo), 40 anni, che ha sposato Sofia Carlotta di Brunswick-Lüneburg (2 ottobre 1662 – 20 febbraio 1705), figlia dell'Elettore Ernesto Augusto di Brunswick-Lüneburg e sorella del nuovo sovrano del Regno Unito Giorgio I di Hannover. Sofia Carlotta è appassionata di scienza e musica, e lo dimostra contribuendo alla fondazione dell'Accademia Bizantina delle Scienze e dell'Accademia delle Belle Arti di Costantinopoli. Inoltre accoglie alla sua corte i compositori Arcangelo Corelli e Giovanni Bononcini, quest'ultimo incaricato di dirigere il teatro dell'opera di Bisanzio; la stessa regina sa suonare molto bene il clavicembalo. Alla corte di Costantinopoli lavora anche l'orientalista francese Antoine Galland (1646-1715), al quale si deve la prima traduzione in lingua greca, data alle stampe nel 1704, delle "Mille e Una Notte" (in arabo "Kitab alf layla wa-layla"), la grande raccolta di novelle arabe e persiane, di autori vari, che secondo la tradizione la bella ed astuta Sharazad, andata in sposa al Re di Persia Shahriyar, aduso a far uccidere tutte le sue mogli dopo la prima notte di nozze, per salvarsi gli racconta ogni notte per 1001 notti di seguito, dilazionando il finale alla notte successiva, finché il sovrano non si è innamorato di lei. L'opera (subito dopo tradotta in francese, italiano, tedesco, inglese e russo) diffonde prima nell'Impero Bizantino e poi in Europa la passione per tutto ciò che è orientale ed esotico, suscitando l'ammirazione di una corte come quella di Costantinopoli che, in fatto di splendori, non ammette certo rivali sulla faccia della terra.
Purtroppo Sofia Carlotta muore prematuramente nel 1705, ed allora Manuele IV si risposa con Ulrica Eleonora di Palatinato-Zweibrücken-Kleeburg (23 gennaio 1688 – 24 novembre 1741), sorella del Re di Svezia Carlo XII. Quest'ultima, influenzata dalle idee liberali che si respirano alla corte di Stoccolma, convince il marito a rinunciare in parte alla tradizione assolutistica bizantina: il 1 gennaio 1710 Manuele IV convoca il Senato di Costantinopoli ed annuncia la nomina di un gabinetto di ministri che si prenderanno carico della politica interna ed estera, dell'economia, della difesa, e così via. A questa data si fa risalire il primo vagito della democrazia nell'Impero Romano d'Oriente. Manuele IV inoltre si mantiene neutrale durante la Guerra di Successione Spagnola, ed avvia una serie di riforme allo scopo di portare l'Impero al livello delle grandi potenze europee: favorisce la presenza di insegnanti di filosofia e di scienza provenienti dall'Occidente, invia i suoi ambasciatori nei più vivaci centri di cultura europei affinché apprendano e riportino nell'Impero Romano le nuove dottrine umanistiche e scientifiche che si stanno diffondendo in questo periodo, fa costruire numerose biblioteche in tutto l'Impero, e così Costantinopoli conosce un periodo di splendore passato alla storia come Periodo dei Tulipani. La riforma dell'esercito, e in particolare dell'artiglieria, è invece affidata al generale francese Claude Alexandre, conte di Bonneval.
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Guerre contro i Russi e contro gli Asburgo
Intanto però un'altra grande nazione ortodossa si affaccia sulla scena europea: è la Russia di Pietro I Romanov, che si è appena liberato della sorellastra Sofia Aleksejevna Romanova e del fratellastro Ivan V (infermo di mente), con i quali inizialmente ha dovuto condividere il potere, e che ha schiacciato la ribellione degli Strelitzi, i pretoriani che fanno da guardie del corpo dello Zar, e sono in grado di imporre e deporre i sovrani a loro piacimento. Il 19 luglio 1686 Pietro I fa capire subito di che pasta è fatto conquistando la piazzaforte tartara di Azov ed aprendosi così uno sbocco sul Mar Nero, in modo da poter commerciare direttamente con Bisanzio. Subito dopo, lo Zar che verrà ricordato con il titolo di "Velikij" ("il Grande") inizia un tour in Europa con una vasto seguito di consiglieri (la cosiddetta "Grande Ambasceria") per conoscere meglio i costumi occidentali e per creare una rete di alleanze. Il suo viaggio comincia proprio da Bisanzio, dove Andrea II lo accoglie piuttosto freddamente: il Basileus infatti sa che Pietro Romanov vuole conquistare il primato su tutte le nazioni ortodosse, scalzando così Bisanzio da questo suo ruolo storico, e non approva il fatto che la Chiesa Ortodossa Russa si sia voluta rendere indipendente dal Patriarcato di Costantinopoli. Allora Pietro I si reca a Venezia, da qui a Milano e poi a Parigi, dove il caparbio Luigi XIV ha ancora il dente avvelenato contro l'Impero Romano d'Oriente; in seguito passa in Inghilterra, dove gli Orange hanno appena sostituito gli Stuart grazie alla Gloriosa Rivoluzione, e quindi nel Sacro Romano Impero. Il suo "pellegrinaggio europeo" si conclude a Vienna, tradizionale nemico di Costantinopoli. Le speranze dello Zar si rivelano però vane, avendo egli scelto un momento poco adatto per il suo tour: l'Austria desidera mantenere la pace ad est mentre è impegnata nelle guerre all'ovest, e tutti i monarchi europei sono molto più interessati alla successione al trono di Spagna, il cui re Carlo II (ultimo del ramo spagnolo degli Asburgo) è perennemente malaticcio e non ha alcun erede, che a spartirsi il relativamente lontano Impero Bizantino. Pur avendo mancato l'obiettivo di creare una lega antibizantina, il lungo viaggio in Europa convince lo Zar della necessità di modernizzare il suo paese per adeguarlo all'Europa occidentale: per questo tra l'altro ordina a tutti i suoi cortigiani ed ufficiali di tagliarsi le lunghe barbe (simbolo del loro status) e di vestire all'occidentale.
Essendo fallita la prospettiva di una coalizione militare contro l'Impero Bizantino, Pietro I stipula un trattato di cooperazione commerciale con quest'ultimo (grazie all'annessione del porto di Azov) e rivolge le sue mire al Mar Baltico, il cui controllo è stato acquisito dalla Svezia durante la Guerra dei Trent'Anni. Dopo essersi alleato con la Danimarca, la Sassonia e la Polonia, lo Zar dichiara guerra al sedicenne re di Svezia Carlo XII, luterano fervente, detto "l'Ultimo Vichingo": scoppia così quella che sarà conosciuta come la Grande Guerra del Nord. Ma la Russia è ancora impreparata ad affrontare una grande potenza militare europea, ed il primo tentativo di aprirsi uno sbocco sul Mar Baltico finisce nel disastro della battaglia di Narva (30 novembre 1700): l'esercito svedese distrugge quello russo, cinque volte superiore di numero. Tuttavia, in seguito a rancori personali Carlo XII, anziché annientare l'esercito zarista, si volge contro il convertito Augusto II di Polonia. Pietro I ne approfitta per riorganizzare il suo esercito e conquista l'Ingria (oggi Estonia). Sicuro di poterlo battere in qualsiasi momento, il re di Svezia ignora l'azione dello Zar e continua a combattere la Polonia e la Sassonia, giudicate ossi ben più duri: un errore che pagherà molto caro. Mentre polacchi e svedesi sono impegnati a combattersi l'un l'altro, Pietro fonda sul delta del fiume Neva la sua nuova capitale San Pietroburgo, progettata dall'architetto svizzero Domenico Trezzini di Astano; Pietro I arriva a proibire la costruzione di edifici in pietra al di fuori di San Pietroburgo, cosicché tutti gli scalpellini possano partecipare alla costruzione della nuova città.
In seguito alle numerose sconfitte subite, il re polacco Augusto II abdica nel 1706 lasciando Carlo XII libero di chiudere i conti con la Russia, che invade nel 1708. Stratega geniale ma politico mediocre, l'Ultimo Vichingo si allea con l'atamano cosacco Mazeppa per conquistare l'Ucraina e poi puntare su Mosca. Carlo sconfigge di nuovo Pietro I nella battaglia di Golovčin, il 14 luglio 1708, ed invade l'Ucraina. A questo punto, Pietro I si ritira abilmente verso sud, distruggendo tutto ciò che potrebbe servire agli svedesi che vengono così a trovarsi in una difficile situazione a causa della mancanza di rifornimenti. Il sopraggiungere dell'inverno, lo scoppiare di numerose epidemie e gli attacchi a sorpresa dei russi decimano l'esercito svedese, ormai sfinito. Nonostante ciò il cocciuto Carlo XII non accetta l'idea di ritirarsi in Polonia o di tornare in Svezia, e decide comunque di invadere l'Ucraina. E così il 27 giugno 1709 si scontra con l'esercito di Pietro I nella battaglia di Poltava, che per gli svedesi si rivela un disastro: in 10.000 restano sul campo di battaglia, e quanto rimane dell'esercito svedese viene fatto prigioniero. Per la prima volta il "Generale Inverno" si è rivelato decisivo per salvare la nazione russa.
L'esito di questa battaglia ribalta le sorti della guerra: in Polonia Augusto II rioccupa il trono. Carlo XII, ferito, riesce a rifugiarsi a Costantinopoli presso la corte di Manuele IV, che ha sposato proprio sua sorella Ulrica Eleonora di Svezia (nella nostra Timeline sposò il Langravio Federico d'Assia-Kassel, che invece in questa si è maritato con sua sorella Edvige Sofia). Qui convince Manuele IV ad aiutarlo nella guerra contro Pietro Romanov. Quando viene a saperlo, Pietro va su tutte le furie e decide l'attacco preventivo. Ma Manuele IV gli manda incontro Claude Alexandre de Bonneval, il quale si scontra con lui sul fiume Prut, in Podolia, e il 23 luglio 1711 gli infligge una sconfitta decisiva. In tal modo l'Impero riacquista il prestigio perduto trent'anni prima sotto le mura di Budapest, e Pietro I deve incassare la prima seria disfatta da quando ha preso in mano le redini del suo Impero. Il trattato di pace prevede che Azov torni al Khanato di Crimea, che il Romanov la smetta di ingerirsi nelle vicende interne della Polonia-Lituania, e che Carlo XII sia libero di tornare in Svezia. Intanto però nel Mar Baltico i possedimenti svedesi sono attaccati da ogni parte: approfittando dell'assenza del sovrano da Stoccolma, Pietro I si è alleato con la Danimarca, con l'Hannover e con la Prussia. I Russi attaccano e conquistano la Livonia, respingendo gli svedesi all'interno della Finlandia e arrivando addirittura a sbarcare in territorio svedese; i Danesi conquistano Tönning e i Prussiani occupano i possedimenti svedesi in Germania. Con una romanzesca cavalcata attraverso tutta l'Europa, travestito da semplice ufficiale tedesco, Carlo XII riesce infine a ricongiungersi con i suoi a Stralsund e risolleva la situazione, ma durante l'assedio di Frederickshald il 30 novembre 1718 è colpito al capo da un proiettile e muore. Gli succede il cognato Federico I d'Assia-Kassel, che alcuni accusano di essere il mandante dell'omicidio di Carlo XII durante la suddetta battaglia per potergli succedere. In ogni caso, Federico il 10 settembre 1721 è costretto a subire il trattato di Nystad (l'attuale città finlandese di Uusikaupunki), che mette fine al predominio svedese nel Nord Europa: Stoccolma deve cedere all'Impero russo le province della Livonia, dell'Estonia, dell'Ingria e della Carelia, alla Danimarca il Sund e alla Prussia le città di Brena e Verden; in cambio lo Zar sgombera la Finlandia. La Grande Guerra del Nord si è conclusa con la vittoria dello Zar, il quale sarà ricordato con il nome di Pietro I il Grande.
Intanto, ringalluzzito dal successo sui Russi presso il fiume Prut, Manuele IV decide che è ora di lavare l'onta della sconfitta subita dagli austriaci, che ora sono governati da Carlo VI, succeduto nel 1711 a suo fratello Giuseppe I, morto senza eredi. Alleatosi con il Re di Bosnia, il Basileus manda Claude Alexandre de Bonneval contro Belgrado, che viene cinta d'assedio. Ma il contrattacco austroungherese non si fa attendere: il 5 agosto 1716 il Principe Eugenio di Savoia infligge all'esercito bizantino-bosniaco la nuova, bruciante sconfitta di Petervaradino, nella Vojvodina. Secondo la tradizione quel 5 agosto il campo di battaglia viene ricoperto da una fitta nevicata, considerata miracolosa da Eugenio di Savoia, che fa erigere una chiesa a Tekije, sulla collina del campo di battaglia, dedicata a Nostra Signora della Neve; questo luogo è tuttora meta di pellegrinaggi.
La sconfitta di Petervaradino viene vissuta a Costantinopoli come una nuova tragedia nazionale. Il 12 ottobre il sovrano, già di suo incline alla mistica, tiene al Senato di Costantinopoli un discorso appassionato, nel quale si assume ogni responsabilità della disfatta, affermando che Dio ha inteso punire l'Impero per colpa dei suoi peccati. Egli perciò decide di abdicare seduta stante a favore del primogenito Andrea III, di 28 anni, e di ritirarsi in un monastero sul Monte Athos, dove morirà non troppo tempo dopo. Il nuovo Patriarca di Costantinopoli Geremia III lo incorona Basileus solo dopo che il Senato ha sanzionato con un voto la scelta di Andrea quale successore di Manuele IV il Magnanimo: per la prima volta il Senato ha esercitato poteri decisionali nella successione regia, dimostrando di essersi trasformato da assemblea consultiva in un reale Parlamento moderno. Subito Andrea III emana l'Editto di Calcedonia, con la quale investe il Senato del potere legislativo, riservando per sé il potere esecutivo, esercitato però per mezzo del Protospatario, l'equivalente del Primo Ministro del Regno Unito, da lui nominato. Il Protospatario deve però ricevere un voto di fiducia da parte del Senato; una volta confermato nella carica, propone al Basileus la nomina dei Ministri (il sovrano può riservarsi il diritto di bocciare le nomine a lui sgradite). Il primo Protospatario è Callinico Kondylis, amico d'infanzia del Basileus e suo fedelissimo, che prosegue la politica mercantilistica e conclude con gli Asburgo un trattato di pace che non comporta ulteriori perdite territoriali. A poco a poco, imitando lo Zar Pietro il Grande, anche Andrea III introduce nell'Impero costumi occidentali; ma mentre in Russia non si arriva alla formazione di un ceto medio di tipo occidentale, il Basileus si appoggia alla borghesia mercantile emersa nel suo stato sul finire del XVII secolo, che inietta nella società civile costumi sociali ed economici vicini a quelli occidentali; invece la vecchia aristocrazia latifondista resta fieramente contraria a questa politica di europeizzazione. A questo scopo il giovane Basileus con il Proclama di Natale istituisce un nuovo ordine gerarchico per la nobiltà, conosciuto come Tavola Rotonda; in essa la posizione è formalmente determinata dalla nascita, ma, allo scopo di privare i latifondisti del loro notevole potere, Andrea stabilisce che la posizione può cambiare a seconda del merito nel servizio all'Impero, e di conseguenza i nobili che non accettano la sua politica di modernizzazione vengono esclusi dal Senato e compensati con cariche amministrative locali, sicuramente di minor prestigio.
La politica di Andrea III provoca logicamente una congiura nobiliare contro di lui: parte della vecchia nobiltà si allea con i pretoriani di palazzo ed il 14 aprile 1719 imprigiona il Basileus, cercando di sostituirlo con suo cugino Costantino Stasinopulo. Ma Claude Alexandre de Bonneval, rimasto al servizio dell'Impero anche dopo la sconfitta di Petervaradino, agisce con prontezza, occupa la capitale, sconfigge i congiurati e rimette sul trono Andrea. Quest'ultimo prima ordina il massacro di tutti i congiurati e delle loro famiglie, quindi nomina de Bonneval Mega Dux dell'Impero, ed infine investe di titoli nobiliari (puramente onorifici, come "Principe di Edessa", una città che non fa più parte dell'Impero da secoli) i principali rappresentanti dell'alta borghesia, che così accedono al Senato per la prima volta. La politica di riforme di Andrea III tocca il culmine con l'Editto di Adrianopoli, del 1 gennaio 1722, con il quale viene assicurato il diritto di parola, stampa e associazione ad ogni cittadino dell'impero, e si forniscono garanzie contro incarcerazioni arbitrarie, persecuzioni e tortura (in pratica quest'Editto è ricalcato sull'Habeas Corpus Act inglese del 1679). L'Impero Romano d'Oriente evolve sempre più verso il modello di un moderno stato europeo; al contrario in Russia la situazione peggiora dopo la morte di Pietro I l'8 febbraio 1725: egli stesso ha fatto uccidere il proprio figlio Alessio, e così gli succede sua moglie, la zarina Caterina I, la cui lussuosissima Corte sperpera oltre il 50 % delle entrate statali, mentre il potere effettivo è nelle mani del suo amante Aleksandr Mensikov.
Andrea III ha sposato nel 1715 la principessa bosniaca Jelena Vukcić, sorella del Re di Bosnia Mihajl II, abbandonando la tradizione di prendere in sposa principesse del Nord Europa. Questo matrimonio risulterà assai proficuo per l'Impero, come si dirà nel seguito. Dal matrimonio nasceranno tre figli:
1) Costantino, nato il 2
agosto 1718, che sarà Basileus con il nome di Costantino XIV;
2) Michele (29 febbraio 1720 – 30 dicembre 1790), che sarà Mega Dux
dell'Impero e poi Ministro della Guerra;
3) Sofia (4 settembre 1725 – 10 ottobre 1797), che sposerà Federico V di
Oldenburg e diverrà Regina di Danimarca e Norvegia.
Dal canto suo, il Sacro Romano Imperatore ha sposato la principessa Elisabetta Cristina di Braunschweig-Wolfenbüttel, figlia primogenita del duca Luigi Rodolfo di Brunswick-Lüneburg, considerata una delle più belle donne al mondo dai suoi contemporanei, ma purtroppo l'unico figlio maschio Leopoldo Giovanni muore a soli sette mesi di vita, e all'età adulta giungono solo due figlie femmine, Maria Teresa e Maria Anna. Per questo il 19 aprile 1713 Carlo VI promulga la Prammatica Sanzione, con la quale apre la successione al trono anche alle figlie femmine, e si sforza di far accettare questo documento anche alle altre casate regnanti europee, vedremo con quali esiti.
Nel 1733 il trono polacco rimane vacante e in Europa scoppia una nuova guerra. Infatti il Sacro Romano Impero e la Russia sono favorevoli ad elevare al trono il principe elettore Federico Augusto II di Sassonia, nipote acquisito dell'imperatore Carlo VI, mentre Francia, Spagna e Savoia sponsorizzano il polacco Stanislao Leszczynski. Vedendosi attaccato su più fronti, Carlo VI firma la pace, con la quale Federico Augusto di Sassonia diventa re di Polonia con il nome di Augusto III e l'Austria acquista il Ducato di Parma e Piacenza, ma deve sacrificare i regni di Napoli e Sicilia, ceduti ai Borbone. La Lorena è affidata a Stanislao Leszczynski, che alla sua morte la lascerà in eredità alla Francia, mentre Francesco Stefano di Lorena (genero di Carlo VI) ottiene in cambio il Granducato di Toscana. Andrea III resta neutrale nella Guerra di Successione Polacca, ma capisce che gli Asburgo si sono indeboliti, e che è giunto il momento per riprendersi ciò che gli era stato tolto a Karlowitz.
L'occasione viene nel 1736, quando il trono russo è occupato dalla zarina Anna, figlia di Ivan V, fratellastro di Pietro il Grande. I Romanov infatti non hanno certo messo in naftalina i sogni di ritagliarsi uno sbocco sul Mar Nero o addirittura sul Mediterraneo, e quando un banale incidente di frontiera tra l'Impero Bizantino e il Sultanato di Karaman (tornato agli antichi splendori sotto il Sultano Damad V) fa sì che le due nazioni anatoliche si dichiarino guerra, il favorito della zarina, conte Ernest Johann von Biron, e il feldmaresciallo Burkhard Christoph von Münnich convincono Anna ad intervenire nel conflitto, in virtù di un trattato di amicizia siglato da Pietro I con Ankara quasi mezzo secolo prima. Dal canto suo Carlo VI decide di intervenire a sua volta a fianco dei russi per rifarsi delle perdite subite in Italia dopo la Guerra di Successione Polacca, ma in realtà allo scopo di impedire proprio ai russi di espandersi ulteriormente nei Balcani. Apparentemente per Bisanzio non c'è scampo, essendo attaccato su ogni lato da tre potenze militari, ma Andrea III ha fatto bene i suoi calcoli. Infatti il Basileus ha stretto da tempo un patto segreto di alleanza con lo Shah di Persia Nadir Shah, fondatore della nuova dinastia degli Afsharidi e nemico giurato dei Turchi Karamanidi, e così questi ultimi sono messi fuori gioco dai Persiani. Dal canto loro i Russi, anziché puntare direttamente sull'Impero Romano, concentrano tutte le loro forze sul Khanato di Crimea, affermando che lo sbocco al Mar Nero è essenziale per poter condurre con successo la guerra contro i Bizantini. E così gli Asburgo si ritrovano da soli nei Balcani. Il 12 luglio 1737 le truppe imperiali austriache, forti di 80.000 uomini e 36.000 cavalli al comando di Francesco Stefano di Lorena, genero di Carlo VI, attraversano il confine con il Regno di Bosnia, tradizionale alleato di Bisanzio. Ai primi di agosto il feldmaresciallo Friedrich Heinrich von Seckendorff occupa Niš, mentre l'armata principale assedia la città di Banja Luka in cui si è trincerato il Re di Bosnia Mihajl II, ma il 24 agosto Claude Alexandre de Bonneval, ancora al comando dell'esercito bizantino, infligge una prima sconfitta al corpo d'armata al comando del principe Giuseppe Federico di Sassonia-Hildburghausen, che deve ritirarsi di là dal fiume Sava. Il 28 settembre de Bonneval sconfigge di nuovo a Radojevatz gli austroungheresi, che devono ritirarsi attestandosi presso Orsova. A questo punto però l'imperatore Andrea III in persona riprende Niš e l'esercito asburgico perde i collegamenti con l'Ungheria attraverso la valle della Morava. In tal modo, verso la fine dell'anno le truppe imperiali sono costrette a ritirarsi dalla Bosnia.
A questo punto gli austroungheresi contano sui loro alleati russi, e in particolare sul feldmaresciallo Münnich, che con la sua armata principale, forte di circa 50.000 effettivi, avrebbe dovuto dare man forte all'azione asburgica contro la Bosnia, ed invece è rimasto nel frattempo ad operare tra i fiumi Dnepr e Dnestr, rivelando il suo vero obiettivo: conquistare il Khanato di Crimea. Dietro rabbiose sollecitazioni di Carlo VI, nel maggio 1738 l'armata russa attraversa finalmente il fiume Bug e raggiunge il Dnestr, dove è attestato l'esercito moldavo insieme ad un corpo di spedizione bizantino sotto il comando dello Stratega Pietro Mauromichalis; il Principe di Moldavia Grigore II Ghica, infatti, in vista di un'invasione russa, ha stracciato ogni trattato con l'Ungheria ed è tornata a chiedere l'aiuto di Bisanzio. Su questo fiume gli eserciti russo e moldavo-bizantino restano a guardarsi l'un l'altro per tutta l'estate presso la città di Halych, gli unici due scontri fra le armate rivali sono poco più che scaramucce. Intanto il generale russo Lacy con 35.000 uomini occupa tutta la penisola di Crimea, senza che i Karamanidi, in tutt'altre faccende affaccendati, possano muovere un dito. Intanto Andrea III passa di successo in successo e, con l'aiuto di un'artiglieria decisamente potenziata, riconquista una dopo l'altra tutte le fortezze bosniache e serbe cadute in mano austriaca, e prima che giunga l'autunno entra nel Banato.
Ormai agli Asburgo appare chiaro come i Russi siano entrati in guerra con una scusa solo per poter conquistare la riva settentrionale del Mar Nero, e così Carlo VI decide di fare da solo. Dopo aver nominato il conte George Olivier Wallis nuovo comandante supremo dell'armata imperiale austroungarica, e dopo aver ricevuto l'appoggio di alcuni reggimenti bavaresi, le sue truppe passano all'offensiva ed ottengono alcuni iniziali successi a Ratza ed a Pancsova, per poi attraversare il Danubio e dirigersi verso Tessalonica. Il 22 luglio 1739 Claude Alexandre de Bonneval si scontra con George Olivier Wallis nella Battaglia di Grocka, e gli infligge una sonora sconfitta. Wallis è costretto a ritirarsi con le armate che gli restano, sotto un continuo susseguirsi di attacchi da parte delle truppe bosniache, ma prima di riuscire a riattraversare il Danubio il 30 maggio subisce un'ulteriore sconfitta presso Pancsova, stavolta da parte di Andrea III. Subito dopo il Basileus mette sotto assedio Belgrado, ma prima che esso si concluda iniziano le trattative tra i belligeranti, condotte con la mediazione della diplomazia britannica, che tradizionalmente intrattiene buone relazioni con l'Impero Bizantino. Lo scopo dei britannici è quello di rompere il legame fra Austria e Russia e rafforzare la propria influenza economica sull'impero di Bisanzio. Tutte le parti in causa sono interessate alla pace: Andrea III e i suoi alleati bosniaci, modavi e valacchi hanno conseguito grandi vittorie, ma a costo di un altissimo prezzo in vite umane e devastazioni, la Bosnia e la Serbia sono state messe a ferro e fuoco, e lo stesso Re di Bosnia Mihajl II è caduto nella battaglia di Pancsova. D'altro canto l'Ungheria è minacciata seriamente di invasione, mentre i Russi hanno conquistato la Crimea giungendo al confine sul Dnestr, e non hanno nessuna intenzione di perdere uomini e munizioni per soccorrere gli Austriaci nei Balcani, anche perchè la zarina Anna si sente minacciata dal riarmo svedese, e desidera trasferire le sue armata sul Baltico.
E così il 18 settembre 1739 Austria-Ungheria ed Impero Bizantino sottoscrivono il trattato di pace di Belgrado, con il quale Carlo VI perde tutti i territori strappati ai Romei con la pace di Karlowitz, isole Ionie incluse; in cambio il Basileus riconosce la Prammatica Sanzione. Inoltre Andrea III fa valere un presunto testamento del Re di Bosnia Mihajl II, morto senza eredi diretti, con il quale esso lascerebbe il suo regno (Serbia inclusa) in eredità al Basileus Cretese, suo cognato per aver sposato sua sorella Jelena. Il condizionale è d'obbligo perchè molti sospettano che il testamento sia apocrifo e redatto ad arte da Andrea III per poter incamerare direttamente quei territori nel suo Impero, anche se l'analisi grafologica sembra confermare che il Testamento olografo è stato scritto proprio da Mihajl II di suo pugno, e l'ammirazione del Re di Bosnia per l'Impero Bizantino era ben nota a tutti. In ogni caso Andrea III è astuto e nomina governatore di Bosnia per suo conto il bosniaco Sinan Sijercić, già Gran Ciambellano di Mihajl II, in modo che i bosniaci non siano sottoposti all'autorità di uno straniero, ed assicura libertà di culto alla popolazione bosniaca, che in larga maggioranza è cattolica, accordandosi con Papa Clemente XII. Valacchia e Moldavia a loro volta ritornano sotto il protettorato bizantino, dimostrando che tra un padrone cattolico ed uno ortodosso preferiscono di gran lunga uno della loro religione. I Russi dal canto loro si accontentano di annettere le fortezze di Azov e di Saporischschja e di trattare la Crimea come un regno vassallo; esso sarà formalmente annesso a Mosca solo nel 1784. Il grande sconfitto della guerra è proprio Carlo VI, il quale non solo vede fortemente ridimensionati i propri domini e le proprie ambizioni nei Balcani, ma si sente anche giocato dalla Russia, la quale ha solo finto di dichiarare guerra a Costantinopoli, avendo in realtà ben altri obiettivi, che difficilmente avrebbe potuto cogliere se gli Asburgo non fossero stati così duramente impegnati da Andrea Patelaro. Ha inizio così la secolare rivalità tra Austria, Russia e Bisanzio per il controllo dei Balcani. Una grande vittoria, peraltro conseguita senza sparare neppure un colpo di archibugio, è stata conseguita dal Regno Unito, ormai la potenza egemone sui mari di tutto il mondo, che in cambio del suo appoggio diplomatico ottiene, unica potenza straniera, l'esenzione doganale per le sue esportazioni nell'Impero Bizantino, mentre il Trono dell'Aquila Bicipite riduce fortemente i diritti dei commercianti russi nel Mar Nero.
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La Guerra dei Sette Anni e le sue conseguenze
L'Austria-Ungheria è appena uscita da un conflitto devastante, quello con l'Impero Romano, e già se ne profila in vista un altro. Infatti il 20 ottobre 1740 l'imperatore Carlo VI d'Asburgo muore improvvisamente a soli 55 anni (pare in seguito a una scorpacciata di funghi velenosi), senza alcun erede maschio. In base alla Prammatica Sanzione gli succede sul trono d'Austria e d'Ungheria la figlia Maria Teresa, 23 anni, che ha sposato il duca Francesco Stefano di Lorena: un matrimonio dal quale nasceranno 16 figli, dei quali ben dieci raggiungeranno l'età adulta. Carlo VI ha profuso ogni suo sforzo, sia diplomatico che bellico, per far accettare alle altre dinastie europee la successione in linea femminile, ma subito dopo la sua morte il Duca di Baviera Carlo Alberto di Wittelsbach avanza pretese sull'Arciducato d'Austria in ragione di una sua discendenza diretta da una figlia dell'Imperatore Ferdinando I, mentre il Re di Spagna Filippo V si rifiuta di riconoscere Maria Teresa Regina d'Ungheria e di Boemia. A dare inizio a una nuova guerra è il Re di Prussia Federico II, che nel 1741 con 90.000 uomini sconfigge gli austriaci nella battaglia di Mollwitz ed occupa la Slesia, da tempo rivendicata. Vista la facilità con cui i Prussiani si sono presi ciò che volevano, la Francia si allea con la Baviera ed occupa Linz e Praga. L'iniziativa militare francese spinge l'Inghilterra a scendere in campo, preoccupata che una eventuale sconfitta austriaca alteri l'equilibrio politico-militare faticosamente raggiunto in Europa dopo le due precedenti guerre di successione spagnola e polacca, a tutto vantaggio della Francia. Intanto Federico II di Prussia invade la Moravia e conquista anche la città di Olmütz.
Il 1 febbraio 1742 la Dieta di Francoforte elegge nuovo Imperatore del Sacro Romano Impero il Duca di Baviera Carlo Alberto di Wittelsbach, con il nome di Carlo VII: dopo tre secoli la casa d'Asburgo perde il titolo di Re dei Romani. Dal canto suo Maria Teresa non resta con le mani in mano, fa alleanza con il Re di Sardegna Carlo Emanuele III di Savoia, il quale spera di ottenere in cambio la Lombardia, quindi riconquista Olmütz e Praga. L'Inghilterra pone un blocco navale al Mediterraneo per impedire la conquista francese del Nord Italia, ma l'imperatore bizantino Andrea III ottiene che i vascelli con l'aquila bicipite sulle bandiere possano attraversare indisturbate lo stretto di Gibilterra. Siccome alcune navi francesi forzano il blocco proprio innalzando falsi vessilli bizantini, il Primo Ministro del Regno Unito Sir Robert Walpole si rimangia la parola data e fa bloccare anche le navi di Costantinopoli. Andrea III allora minaccia di unirsi alla coalizione franco-prussiana e di intervenire a sua volta contro l'Austria, mentre Claude Alexandre de Bonneval preme sul Basileus affinché dichiari guerra all'Austria e attacchi l'Ungheria. Ma Andrea il Cretese sa che può ottenere molto anche senza spargere una sola goccia di sangue greco, e tratta con l'Inghilterra la neutralità in cambio di importanti basi commerciali in Africa e in Estremo Oriente. Falliti così i tentativi francesi di attirare Bisanzio in guerra dalla sua parte, il 27 giugno 1743 la coalizione formata da Austria, Piemonte, Regno Unito, Hannover ed Assia, al comando di Re Giorgio II in persona, infligge ai francesi una pesante sconfitta a Dettingen, celebrata dal compositore Georg Friedrich Händel con il suo "Dettingen Te Deum". Il successivo tentativo austriaco di riconquistare il Napoletano, sacrificato per far riconoscere la Prammatica Sanzione, fallisce dopo la sconfitta di Velletri il 10 agosto 1744 da parte delle truppe ispano-napoletane guidate dal re di Napoli Carlo di Borbone; mentre Genova, che è stata occupata dalle forze austriache si rivolta e scaccia gli occupanti: secondo la tradizione a dare fuoco alla sollevazione popolare è il giovane Giovanni Battista Perasso detto Balilla, che gridando "Che l'inse!" tira una sassata in testa a un soldato austriaco che pretendeva di essere aiutato a disimpantanare un pezzo di artiglieria.
Morto l'imperatore Carlo VII il 20 gennaio 1745, Maria Teresa riesce a far eleggere nuovo Imperatore suo marito Francesco Stefano di Lorena e stringe alleanza con la Russia della Zarina Elisabetta Petrovna, ma neanche di fronte all'intervento in guerra della Russia Andrea III si decide a partecipare in prima persona al conflitto, a costo di sentirsi tacciare di eccessiva arrendevolezza. Intanto, dopo aver subito nuove dure sconfitte in Italia, in Germania e nei Paesi Bassi, il Re di Francia Luigi XV si rende conto che l'entrata in guerra della Russia ha sbilanciato le forze in campo a suo svantaggio, e decide di chiedere la pace. Il Trattato di Aquisgrana, sottoscritto il 18 ottobre 1748, prevede che Federico II il Grande di Prussia mantenga la Slesia da lui conquistata, Carlo Emanuele III di Savoia acquisisca l'alto Novarese, Vigevano, Voghera e Bobbio, e che a Maria Teresa d'Asburgo sia riconosciuta la Prammatica Sanzione, così come il titolo imperiale di Francesco Stefano di Lorena. Alla fine Maria Teresa ci ha perso, perchè in teoria la Prammatica Sanzione le era già stata riconosciuta in passato, mentre i suoi domini venivano a perdere un altro pezzo, rappresentato dalla Slesia; chi ci guadagna davvero, oltre la Prussia, è proprio l'Impero Bizantino, che in cambio della neutralità si vede consegnare Madras in India, tolta ai francesi.
Ma la Guerra di Successione Austriaca ha lasciato insoddisfatte le principali potenze: Maria Teresa non si è rassegnata alla perdita della Slesia, mentre Giorgio II di Inghilterra e Luigi XV di Francia sognano di mettere le mani l'uno sull'impero coloniale dell'altro. Si creano così le premesse per un nuovo ed ancor più devastante conflitto. Il Cancelliere di Maria Teresa, conte Wenzel Anton von Kaunitz-Rietberg, ritiene che l'unico modo per riappropriarsi della Slesia sia quello di spezzare l'alleanza tra Francia e Prussia, e così propone a Luigi XV, nemico giurato fino a pochi anni prima, un'alleanza militare finalizzata alla sconfitta ed allo smembramento dello stato prussiano. Intanto il Primo Ministro Britannico Thomas Pelham-Holles, Duca di Newcastle, ha chiesto ed ottenuto l'alleanza del Regno Unito con l'Imperatore Bizantino Andrea III, il cui stato è in piena espansione economica, e desidera approfittare dell'amicizia con la prima potenza marittima del mondo: l'alleanza è suggellata il 16 gennaio 1756 con la firma della Convenzione di Westminster; per conto dell'Impero firma Costantino XIV, primogenito di Andrea III che questi si è appena associato al trono come Coimperatore. Siccome anche la Prussia firma un trattato di non aggressione con l'Inghilterra, volto a tutelare la sicurezza dello stato di Hannover, terra di origine dei monarchi inglesi, Luigi XV si rende conto che la Francia rischia l'isolamento diplomatico in Europa; spinto anche dalla sua favorita, meglio nota come la famosa Madame Pompadour, il Borbone accetta allora di capovolgere le alleanze e di firmare un trattato militare con l'Austria e con la zarina Elisabetta Petrovna. Le due dinastie che si sono sempre combattute fieramente, gli Asburgo e i Borboni, ora si ritrovano alleate, mentre l'Inghilterra, tradizionale alleato dell'Austria, ora si ritrovava alleata della Prussia. Questa volta Andrea III non ha intenzione di restare alla finestra, avendo capito che la guerra che si prepara sarà un vero e proprio regolamento di conti a livello mondiale.
La situazione precipita il 29 agosto 1756, quando il Re di Prussia Federico II il Grande decide unilateralmente di invadere la Sassonia: avendo preso coscienza dell'alleanza tra la Francia, l'Austria e la Russia, e ritenendo l'Inghilterra non in grado di intervenire sul continente, si sente accerchiato, e decide di compiere la prima mossa allo scopo di evitare una più che probabile aggressione. Ma la Sassonia è tradizionalmente alleata della Francia, che così dichiara guerra alla Prussia. Scatta un fatale gioco di alleanze: Austria e Russia dichiarano guerra alla Prussia, Inghilterra ed Impero Bizantino dichiarano guerra a Francia, Russia ed Austria, e tutta l'Europa si ritrova precipitata nel conflitto. A fianco dell'Inghilterra scendono infatti in guerra il Portogallo e la Danimarca-Norvegia, a fianco della Prussia intervengono Assia e Brunswick-Lüneburg, accanto all'Impero Bizantino intervengono Moldavia e Valacchia, mentre la Spagna, la Svezia e il Regno di Sardegna fiancheggiano la Francia e l'Austria. Il conflitto si trasforma addirittura in mondiale, estendendosi alle rispettive colonie: in Nord America francesi e inglesi cominciano immediatamente a darsi battaglia. I francesi, al comando del maresciallo Louis-Joseph de Montcalm, ottengono alcuni importanti successi iniziali. Sull'onda dell'emozione per le sconfitte inglesi in terra americana, William Pitt il Vecchio diventa nuovo Primo Ministro Britannico, e subito questi trascura il fronte europeo inviando imponenti contingenti militari in Nord America: in tal modo nel settembre 1759 l'intero Quebec è conquistato e nel 1760 cade la città di Montreal, decretando di fatto la fine dell'impero coloniale francese nel Nord America. Anche nell'area caraibica la Francia deve accusare gravi sconfitte, perdendo la Martinica e la Guadalupa. In Africa la Gran Bretagna toglie ai francesi il Senegal, mentre anche l'India francese va persa, dopo che le truppe borboniche hanno inutilmente tentato di conquistare la piazzaforte bizantina di Madras.
In Europa invece il conflitto sembra volgere a favore dei francesi, che il 26 luglio 1757 ottengono una roboante vittoria sugli inglesi nella battaglia di Hastenbeck, nell'Hannover, occupando sia l'Hannover che il Brunswick; ma un anno dopo, il 23 giugno 1758, l'esercito britannico sotto il comando del Duca di Brunswick riesce a sconfiggere i francesi nella battaglia di Krefeld, nella Renania-Westfalia, respingendo le truppe nemiche fino al fiume Reno. Dal canto suo la Prussia di Federico II il Grande il 18 giugno 1757 incassa una sconfitta per mano austriaca nella battaglia di Kolin in Boemia, che porta all'occupazione della Slesia e di Berlino, ma il 5 novembre 1757 si rifà conseguendo una trionfale vittoria sui francesi nella battaglia di Rossbach, ed il 5 dicembre 1757 anche gli austriaci, guidati da Carlo di Lorena, sono sconfitti nella battaglia di Leuthen, a seguito della quale il re prussiano riconquista la Slesia. Ma che accade all'Impero Bizantino? Subito le truppe imperiali guidate dal Mega Dux Michele Patelaro, secondogenito di Andrea III e allievo di Claude Alexandre de Bonneval, morto a 72 anni il 23 marzo 1747, con il supporto degli alleati valacchi e moldavi attacca il Banato e la Transilvania ungherese, ponendo l'assedio a Temesvar, ma l'intervento delle truppe russe contro la Moldavia lo costringe a lasciare la città. Michele ottiene uno dei più grandi successi della storia bizantina sbaragliando un esercito russo superiore di numero nella Battaglia di Iasi il 18 giugno 1757: il generale russo Pyotr Saltykov è costretto alla ritirata. Ma Maria Teresa d'Austria trascina in guerra a loro volta i Turchi Karamaidi, promettendo loro l'intera Anatolia bizantina, e così l'Impero Romano vede aprirsi un secondo fronte a est. Stavolta lo Shah Afsharide di Persia Shahrokh non è disposto ad intervenire per togliere le castagne dal fuoco ai Bizantini, e così l'Impero è costretto a dividere le forze, e la progettata invasione della Transilvania non può essere realizzata. Anzi, da offensiva la guerra per i Romei si fa ben presto difensiva, dopo che il generale austriaco Ernst Gideon von Laudon, incaricato delle operazioni sul fronte orientale, conquista Belgrado e punta su Niš. Ma il Principe Michele fa valere tutta la sua abilità di stratega e, dopo aver attirato l'esercito asburgico in una stretta valle dei Carpazi occidentali, ve la imbottiglia e riporta su di essi uno strepitoso successo il 5 aprile 1749. Intanto l'ammiraglio veneziano Alvise IV Mocenigo, futuro Doge della Serenissima che lavora al servizio dei bizantini, conquista il porto karamanide di Sinope sul Mar Nero. Dal canto loro, come si è detto, le truppe coloniali bizantine resistono vittoriosamente ai francesi a Madras, e il Nuovo Epiro (il nostro Suriname) respinge il tentativo di conquista da parte francese.
Tuttavia i russi tornano a farsi sotto e, dopo aver sconfitto Federico II il Grande di Prussia a Zorndorf, invadono e conquistano la Bessarabia e la Valacchia. Nonostante gli aiuti inglesi e veneziani, la situazione per l'Impero si fa difficile, con i Karamanidi che avanzano verso la costa dell'Egeo, gli Austriaci che invadono la Bosnia e i Russi che minacciano il confine del Danubio, mentre i Bulgari si sollevano per l'ennesima volta contro il dominio bizantino. Ma evidentemente Andrea III ha dei Santi in Paradiso che lo proteggono, perchè il 5 gennaio 1762 muore la zarina Elisabetta Petrovna e gli succede il nipote Pietro III: un tipo strambo, con il viso butterato dal vaiolo, che la notte gioca sul letto con i soldatini di piombo, ma che a differenza della zarina Elisabetta è uno sfegatato ammiratore di Federico II di Prussia. E così, il 5 maggio 1762 il nuovo Zar si affretta a sottoscrivere un trattato di pace con la Prussia, chiamandosi fuori dal conflitto, ed anzi invia anche truppe a Federico il Grande per sostenerlo nella guerra all'Austria. Pochi giorni dopo anche la Svezia e la Danimarca-Norvegia si disimpegnano dal conflitto, restituendo tutti i territori occupati. Naturalmente il forfait di Pietro III, considerato un tradimento a Parigi e a Vienna, va a tutto vantaggio di Andrea III, che può togliere truppe dal confine russo-moldavo ed usarle prima contro i Bulgari per sedarne le rivolte, e poi contro gli austro-ungheresi, mentre i Karamanidi chiedono la pace dopo che Alvise Mocenigo ha minacciato di mettere sotto assedio la capitale Ankara.
Il regno di Pietro III è uno dei più brevi della storia russa: egli infatti ha sposato la principessa tedesca Sofia Augusta Federica di Anhalt-Zerbst, sua seconda cugina, colta ed ambiziosa, che dopo essere diventata ortodossa ha preso il nome di Caterina, e di legge i filosofi illuministi mentre suo marito gioca ai soldatini. Quando Pietro pensa di divorziare da lei per sposare una nobildonna russa, Caterina passa all'azione e, grazie all'aiuto del suo amante Grigori Orlov, il 9 giugno 1762 lo detronizza e lo fa uccidere in carcere, salendo al trono con il nome di Caterina II; ella passerà alla storia come Caterina la Grande. Ella ha l'appoggio della nobiltà russa, che non approva il gesto di Pietro III di sganciarsi dalla guerra europea senza aver conseguito alcuna conquista, soprattutto sul fronte balcanico che pareva il più debole; tuttavia, una volta salita al trono ella delude le speranze dei militari concludendo un trattato di pace definitivo con l'Impero Bizantino, convinta che la Russia ha bisogno di pace per consolidarsi come grande potenza. E così, ancora una volta l'Impero Romano d'Oriente si salva da un possibile smembramento.
Senza l'appoggio russo, l'Austria si rende conto che non ha speranze, attaccata da nord dai Prussiani e da sud dai Bizantini, entrambi passati all'offensiva. D'altro canto la Prussia è stata devastata dagli eserciti nemici, e non può continuare a lungo il conflitto. In Inghilterra a Giorgio II è succeduto il nipote Giorgio III, che si accontenta delle vaste conquiste coloniali effettuate ai danni di Spagna e Francia. Insomma, tutti i contendenti sono stanchi e così il 10 febbraio 1763 si giunge alla firma del Trattato di Parigi, che pone fine a sette anni di guerra (da cui il nome di Guerra dei Sette Anni). Di fatto il conflitto ha avuto un solo vero vincitore, la Gran Bretagna, che ha estromesso completamente la Francia dall'America settentrionale, dal Senegal e dall'India. Ci guadagna molto anche l'Impero Bizantino, che ha guadagnato nuovi territori in Asia a svantaggio dei Turchi, ha mantenuto saldamente il protettorato sui principati rumeni, e per aver tenuto impegnate così a lungo le forze austriache e russe viene compensato dall'Inghilterra con la Costa d'Oro, tolta ai Danesi: il suo territorio corrisponde pressappoco al nostro Ghana, e rappresenta una base di capitale importanza per la tratta degli schiavi. Andrea III può così riempire le casse del proprio regno grazie al lucroso commercio di schiavi neri verso le colonie americane di Spagna, Francia e Inghilterra.
Grande sconfitta della guerra, oltre alla Francia che dice addio all'impero coloniale, è l'Imperatrice Maria Teresa che, dopo sette inutili anni di guerre che hanno dissestato le finanze di uno stato solido come l'Austria, deve rassegnarsi alla definitiva perdita della Slesia, e ha visto fallire anche la sua politica espansionistica verso i Balcani. Nella nostra Timeline gli Asburgo decisero di mantenere e anzi di rafforzare l'alleanza tra la Francia e l'Austria, ma in questa la presenza di uno stato bizantino forte ai confini meridionali, che ha resistito per secoli ad ogni tentativo di penetrazione austroungarica, convince l'Imperatrice a raffreddare i legami con Parigi, e a cercare proprio l'amicizia di Bisanzio (della serie: se non puoi batterli, unisciti a loro). Questo nuovo capovolgimento di fronte porta alla firma del Trattato di Pace di Adrianopoli del 15 marzo 1763, una delle cui clausole prevede il matrimonio tra Giovanni, figlio primogenito del Coimperatore Costantino XIV, e l'arciduchessa Maria Antonietta, figlia di Maria Teresa, nata il 2 novembre 1755; il matrimonio verrà celebrato con grande sfarzo il 21 aprile 1770 nella Basilica di Santa Sofia. In tal modo Maria Antonietta eviterà di finire sulla ghigliottina; il Delfino di Francia, che il maggio 1774 diventerà Re con il nome di Luigi XVI, sposa invece Carlotta di Assia-Darmstadt, fredda e autoritaria figlia del principe Giorgio Guglielmo di Assia-Darmstadt, detestata dal popolo anche più della nostra Maria Antonietta. La nuova alleanza tra Vienna e Bisanzio, dopo 300 anni di guerre, costituirà uno dei capisaldi della politica asburgica, e consentirà un quarantennio di pace in tutta l'Europa centromeridionale. Il grande rivale dell'Impero Bizantino nell'area diventa la Russia della zarina Caterina la Grande, che sogna addirittura di conquistare l'Impero Bizantino e di spostare a Costantinopoli la capitale del suo grande Impero.
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L'Illuminismo sbarca a Bisanzio
Ma nel XVIII secolo non vi sono solo guerre sanguinose. Infatti l'indebolimento dell'autorità papale porta alla soppressione della Compagnia di Gesù, considerata dai regnanti di numerosi stati europei come il più pericoloso alleato dei pontefici e il principale ostacolo alle politiche riformiste e giurisdizionaliste dei sovrani, nonché al rinnovamento delle forme religiose. Accusati ingiustamente di essere artefici della supremazia del Papa sul potere monarchico, i gesuiti vengono espulsi da tutti i principali regni europei e dalle loro colonie. Il marchese di Pombal, capo del governo portoghese e fautore dell'assolutismo monarchico, entra in aperto conflitto con i gesuiti per la vicenda delle "reducciones" brasiliane, e li accusa di essere coinvolti nel fallito attentato ai danni di Re Giuseppe I del 1758. Agli inizi del 1759 il re ordina di confiscare tutte le proprietà dell'ordine e pochi mesi dopo ne decreta l'espulsione dal Portogallo. Il 6 agosto 1761 la cosa si ripete in Francia, poi il 27 febbraio 1767 in Spagna. Alla fine, sotto la pressione dei sovrani europei, con il breve "Dominus ac Redemptor" del 21 luglio 1773 papa Clemente XIV è costretto a sopprimere la Compagnia, che conta ben 23.000 membri in 42 province. Curiosamente però il Basileus Andrea III Patelaro non espelle dall'Impero Bizantino i Gesuiti, attivi soprattutto nella cattolica Bosnia, poiché ha affidato loro molte scuole e biblioteche, e così proprio qui l'Ordine continua ad esistere, riconosciuto segretamente da Papa Pio VI nel 1793; e proprio dall'Impero Bizantino partirà la sua rinascita quando il 30 luglio 1814 Pio VII con la bolla "Sollicitudo omnium ecclesiarum" ricostituirà ufficialmente la Compagnia di Gesù.
Proprio in questo periodo turbinoso per l'Ordine un padre gesuita, grande protagonista della cultura europea del XVIII secolo, è in viaggio verso Costantinopoli: si tratta del gesuita Ruggero Boscovič, nativo di Ragusa in Dalmazia (possesso della Repubblica di Venezia), osteggiato dal Collegio Romano in cui insegna per la sua adesione entusiastica alla nuova Fisica di Isaac Newton. E così nel 1759, con la scusa di osservare un'eclisse totale di sole, egli lascia Roma e si imbarca per Costantinopoli, dove vivrà il resto dei suoi giorni, grazie al fatto che Andrea III si è rifiutato di dare l'exequatur al breve di soppressione della Compagnia di Gesù. Gli si attribuiscono ben 70 articoli scientifici dedicati ad ottica, astronomia, gravitazione, meteorologia e trigonometria. Boscovič è il primo a proporre una procedura matematica per il calcolo dell'orbita di un pianeta sulla base di tre osservazioni della sua posizione, formula la cosiddetta Ipotesi di Boscovič che è alla base della definizione fisica di corpo rigido, e soprattutto per primo rispolvera la teoria atomica di Leucippo e Democrito, da lui utilizzata per realizzare un modello di gas perfetto, e poi ripresa da John Dalton ai primi dell'ottocento. Boscovič morirà a Rodi il 13 febbraio 1787 e sarà sepolto nella Chiesa di Santa Croce in Gerusalemme.
Il trionfo del Basileus Andrea III (1688-1765) alla fine della Guerra dei Sette Anni (creata con openart.ai)
Il Basileus Andrea III muore a 77 anni il 1 luglio 1765, dopo ben 49 anni di regno, uno dei più lunghi e più proficui della millenaria storia bizantina. Gli succede il figlio Costantino XIV, 47 anni, esperto di governo essendo già stato associato al trono dal padre nel 1756. Il 28 giugno 1740 egli ha sposato Maria di Hannover (5 marzo 1723 – 14 gennaio 1772), figlia del Re d'Inghilterra Giorgio II, che gli ha dato quattro figli maschi:
1) Giovanni, nato il 1
ottobre 1743 e morto il 3 ottobre 1744 a un anno di vita;
2) Giovanni, nato il 3 giugno 1746, che sarà Basileus con il nome di Giovanni
XII;
3) Andrea, nato il 19 dicembre 1750, che sarà Basileus con il nome di Andrea IV;
4) Costantino, nato l'11 settembre 1752 e morto il 20 maggio 1837, futuro eroe
della Guerra d'Indipendenza Americana.
Influenzato dalla moglie Maria, molto colta e grande amante dei filosofi illuministi, Costantino continua la politica di riforme del padre, e con l'Editto di Tessalonica (1 gennaio 1766) abolisce definitivamente la schiavitù su tutto il territorio dell'Impero. Inoltre istituisce una commissione in cui sono rappresentate tutte le classi sociali per riformare il sistema giudiziario dell'Impero Romano, riorganizza l'amministrazione delle province affiancando ai governatori dei commissari di nomina imperiale allo scopo di prevenire i loro eventuali abusi, riconosce a qualunque suddito (e non solo alla piccola nobiltà) il diritto di presentare petizioni al trono, fa costruire nuovi ospedali, obbliga le città a dotarsi di medici e di farmacie, si prodiga affinché le condizioni igieniche dei quartieri popolari migliorino ed incoraggia la diffusione delle scuole per combattere l'analfabetismo, ancora largamente maggioritario presso gli strati sociali più umili. Tutti i suoi editti vengono ratificati dal Senato prima di essere promulgati. Costantino XIV va considerato nel novero dei "monarchi illuminati", poiché nonostante il sistema parlamentare egli detiene ancora poteri assai ampi. Di se stesso egli scriverà nella sua Autobiografia:
« Io mi considero un filosofo sul trono. »
Protettore delle arti e della letteratura, egli scrive anche opere teatrali con intenti didattici, tra cui la più famosa è "Lo stregone italiano", chiaramente ispirata alla figura di Giuseppe Balsamo, Conte di Cagliostro, che per alcuni mesi nel 1783 soggiornerà proprio a Costantinopoli nel corso di un viaggio che dovrebbe portarlo in Egitto (infatti egli ha fondato la cosiddetta Massoneria di Rito Egizio), e che invece si concluderà con il ritorno a Roma. Cagliostro si vanterà presso i suoi amici di aver guarito la principessina Maria, figlia di Giovanni e di Maria Antonietta, con la semplice imposizione delle mani, ma di questo fatto naturalmente negli annali bizantini non vi è traccia.
Tra i maggiori esponenti della cultura illuministica a recarsi a Costantinopoli in questo periodo vanno annoverati i filosofi Jean-Jacques Rousseau, che nel 1767 soggiorna per breve tempo ad Atene prima e a Costantinopoli poi, dopo essere stato costretto a fuggire da Ginevra perchè il suo "Emilio" critica la religione tradizionale, e Denis Diderot, che passa di qui nel 1774 di ritorno da San Pietroburgo. Costantino XIV apprezzano molto le opere di entrambi, e li accolgono con grandi onori, mentre il Patriarca di Costantinopoli Teodosio II scrive un'epistola contro di loro, dichiarandoli eretici e nemici della religione. Ma il più illustre di tutti gli ospiti del Basileus è un personaggio che poco ha a che fare con l'Illuminismo: si tratta del matematico svizzero Leonhard Euler, nome poi grecizzato in Leonardos Euleros, considerato una delle menti più geniali di tutti i tempi. Tra tornare a San Pietroburgo, dove aveva già risieduto dal 1727 al 1741, ed accettare l'invito del Basileus Costantino XIV, che nel 1766 gli offre una cattedra presso il prestigioso ateneo della città, Euler sceglie quest'ultima possibilità. Nonostante sia pressoché cieco (ha perso la vista dall'occhio destro a soli 28 anni, e soffre di cataratta al sinistro), grazie all'aiuto del matematico bizantino Nicola Christodulos, suo devoto discepolo, egli fornisce contributi inestimabili all'astronomia, tra cui la determinazione esatta delle orbite delle comete ed il calcolo della parallasse stellare. Inestimabili anche i suoi contributi alla teoria dei numeri e al calcolo integrale (suo il metodo di Eulero per il calcolo approssimato di integrali). A differenza però dei filosofi illuministi, Euleros è un cristiano fervente, e ogni sera riunisce un gruppo di amici in casa sua per leggere brani della Bibbia e recitare preghiere. Un aneddoto racconta che, mentre Euleros si trova a Costantinopoli, arriva in visita sul Corno d'Oro il già citato Diderot che, beffardo nei confronti di ogni religione, lo apostrofa di fronte al Basileus e a tutta la corte:
« Allora, professor Euler, volete fornirci la vostra dimostrazione matematica dell'esistenza di Dio? »
Il mite matematico svizzero non si scompone e gli risponde:
« Signor Diderot, (a + bn)/n = x, quindi Dio esiste! »
Diderot è un buon matematico ma, spiazzato dalla risposta ed incapace di confutarla, resta così umiliato di fronte alla corte da lasciare Costantinopoli il giorno dopo. Invece Euleros vivrà sul Corno d'Oro fino al 18 settembre 1783, quando lo coglierà la morte a 76 anni, colpito da emorragia cerebrale mentre sta insegnando, e verrà sepolto in Santa Croce in Gerusalemme.
Grande splendore conosce intanto l'arte bizantina, grazie a grandi nomi come quelli di Panayotes Doxares (1662-1729) e di suo figlio Nicola, di Gerolamo Plakotos, di Nicola Koutozes (1741-1819) e di Nicola Kantounes (1767-1834). Un allievo di Antonio Canova, Paolo Prosalentes, fonda a Corfù una grande scuola che introduce il Neoclassicismo nell'Impero Romano d'Oriente.
Dal 1768 al 1771 l'esploratore britannico James Cook a bordo della nave "Endeavour" compie un lungo viaggio attraverso il Pacifico per cercare la "Terra Australis Incognita", il mitico continente che secondo i geografi antichi avrebbe occupato gran parte dell'emisfero australe. Dopo aver percorso in lungo e in largo i Mari del Sud si convince che tale continente non esiste ma, grazie alla guida di un indigeno tahitiano chiamato Tupaia, sbarca in una terra già visitata da Abel Tasman nel 1642 e da lui battezzata Nuova Zelanda. Dopo aver scoperto che si tratta in realtà di due isole separate da uno stretto ampio 26 Km, fa rotta sull'Australia e quindi sulle Indie Orientali Olandesi, dove gran parte dell'equipaggio dell'Endeavour (incluso Tupaia) muore di malaria. Ma il suo nostromo sopravvive alla febbre terzana; guarda caso, si tratta del bizantino Giovanni Skylitzes, nativo dell'isola di Cefalonia, arruolatosi nella Royal Navy, che riesce fortunosamente a rientrare in patria, e tra poco ne sentiremo di nuovo parlare.
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L'Impero conquista la Nuova Attica
Il 19 febbraio 1772 Austria, Prussia e Russia procedono ad una prima spartizione della Polonia, il regno più instabile del continente europeo: è quella che a Varsavia è nota come l'"Alleanza delle Aquile Nere", poiché tutt'e tre le potenze rivali hanno sullo stemma un'aquila nera, in contrasto con l'aquila bianca simbolo della Polonia. Questo primo smembramento allarma il Basileus Costantino XIV, il quale teme di essere la prossima vittima dell'aggressiva politica estera di Caterina II, e rafforza la sua alleanza con il Regno Unito, sempre più interessato ad impedire che la Russia annetta il Bosforo e i Dardanelli per non alterare i delicati equilibri del Mar Mediterraneo. In seguito a due ulteriori spartizioni, il 23 gennaio 1793 ed il 24 ottobre 1795, la Polonia-Lituania cesserà definitivamente di esistere. Nella nostra Timeline nel 1775 la Bucovina (la parte settentrionale della Moldavia) venne annessa all'impero austriaco, ma in questa la nuova alleanza tra il Basileus e gli Asburgo impedisce quest'annessione, così come viene bloccato il tentativo da parte dei Russi di occupare il territorio compreso tra i fiumi Prut e Dnestr: Costantinopoli, Vienna e il Regno Unito minacciano una nuova guerra se l'equilibrio nei Balcani verrà alterato. E così si giunge al Trattato di Iasi, con il quale la Transnistria per ora resta rumena; Caterina II in cambio ha mano libera nel Caucaso. Nel 1783 con il trattato di Georgievsk lo stato georgiano è costretto a riconoscersi vassallo dell'impero russo; il 12 settembre 1801 quest'ultimo annetterà la Georgia orientale e nel 1810 gli ultimi territori georgiani indipendenti, con la conseguente abolizione del patriarcato e dell'autocefalia della chiesa nel 1811.
Purtroppo il 14 gennaio 1772 la Basilissa Maria di Hannover è morta a soli 48 anni di età, e Costantino XIV, che la amava alla follia (in un Epicedio scritto per lei la chiama « stella della mia notte troppo presto tramontata »), subisce un duro colpo dal quale non si riprenderà più. Il 21 gennaio 1775 il Basileus si spegne a 54 anni per un arresto cardiaco, e sale al trono suo figlio Giovanni XII, 28 anni, che come si è detto ha sposato Maria Antonietta d'Asburgo. Energico e intelligente, Giovanni prosegue nella politica di riforme del nonno e del padre, pur mantenendo molto potere concentrato nelle proprie mani, ma deve affrontare il conservatorismo della nobiltà, sempre pronta a minacciare rivolte di palazzo. Poco dopo la sua ascesa al trono, scoppia la Guerra di Indipendenza Americana, ed egli si trova in un bel dilemma. I principi fondanti dell'Illuminismo in base ai quali è stato educato lo spingono a sostenere gli insorti, ma d'altro canto l'alleanza con il Regno Unito lo costringe ad inviare invece rinforzi a quest'ultimo. Giovanni XII sa che se l'alleanza con Londra venisse meno, l'Austria e la Russia impiegherebbero ben poco tempo a dividersi il suo Impero; a metterlo ancor più in difficoltà interviene suo fratello minore Costantino, 24 anni, nominato Drungario (capitano di vascello), che durante una missione verso le Antille diserta, sbarca presso Kitty Hawk, in Nord Carolina, e con i suoi uomini si unisce agli indipendentisti. Il Primo Ministro Britannico Frederick North protesta ufficialmente, e il Basileus è costretto a diramare un ordine di cattura contro il fratello. Sostenendo che non ha navi a sufficienza, egli si limita a fornire vettovagliamenti e munizioni alle truppe inglesi, ma più di un greco corre a combattere sotto la bandiera a Stelle e Strisce, e i corsari bizantini appoggiano la rivolta attaccando più volte la flotta lealista. Ben presto il conflitto si estende alle altre nazioni europee: Francia, Spagna e Paesi Bassi si schierano con i ribelli, la Prussia e l'Hannover con gli Inglesi. Il Trattato di Parigi porrà termine alla guerra solo il 3 settembre 1783. In base ad esso le ex Tredici Colonie acquisiscono l'indipendenza e nel 1787 daranno vita agli Stati Uniti d'America; l'Inghilterra cede loro i territori vergini fra i monti Allegheny e il Mississippi, mentre mantiene il Canada; il Regno Unito deve inoltre restituire alla Francia il Senegal, la Louisiana, la Guadalupa e la Martinica, e la Florida e Minorca alla Spagna. Il Regno Unito, nonostante la sconfitta, rimane la maggior potenza marittima del mondo, mentre la Francia, pur riacquistando alcuni territori, ha speso moltissime risorse in questa guerra, e la crisi economica che ne deriva spianerà la strada alla Rivoluzione francese. Quanto alla Spagna, l'esempio degli Stati Uniti porterà alla disgregazione del suo impero coloniale. Nell'Impero Bizantino poi l'esempio degli Stati Uniti porterà ad un'accelerazione verso un moderno sistema parlamentare. E il Principe Costantino Patelaro? Questi rinuncia al suo titolo nobiliare e resta in America come privato cittadino; divenuto padrone di una vasta piantagione, sarà tra i delegati della Nord Carolina alla Convenzione di Filadelfia che porterà alla nascita degli USA, e diverrà Deputato del Congresso.
Intanto, approfittando del fatto che le quattro principali potenze coloniali dell'epoca (Regno Unito, Francia, Spagna, Paesi Bassi) sono tenuti impegnati dalla Guerra in America, il Basileus Giovanni XII si lascia convincere da Giovanni Skylitzes, nel frattempo nominato Drungario, ad armare una spedizione che vada a prendere possesso della lontanissima isola riscoperta da Cook, prima che lo faccia qualcun altro. Skylitzes salpa dal porto del Pireo il 10 maggio 1779, e il 13 aprile 1780 sbarca in quella che gli indigeni chiamano Baia di Hauraki, fondandovi il primo insediamento, chiamato Giannina in onore del Basileus, nel sito della nostra Auckland, in posizione climaticamente assai favorevole. Entrato in contatto con gli indigeni Maori, Skylitzes li trova piuttosto amichevoli e commercia con loro; quindi, lasciato un presidio, fa rentro in patria. Ritornato nel 1782 con una grande spedizione e con il titolo di Ammiraglio dell'Oceano Meridionale, rivendica a nome dell'Impero Bizantina quella terra che egli chiama Nuova Attica, nome sopravvissuto fino ad oggi, della quale diventa anche primo Governatore. Skylitzes fonda anche un insediamento nell'Isola del Sud, chiamato Filadelfia (nel sito della nostra Christchurch), per evitare che vi si installino gli inglesi, e negli anni seguenti prenderà possesso anche di quelle che noi chiamiamo Isole Chatham e Kermadec. Il governo imperiale bizantino incentiverà i contadini greci a trasferirsi in Nuova Attica anziché ad emigrare nelle Americhe, e ben presto le due isole diventeranno una fertile e ricca colonia, tanto che Arthur Wellesley, meglio noto come il Duca di Wellington, avrà ad esclamare:
« Se non fosse stato per colpa di quei sorci americani, ora anche la Nuova Attica sarebbe nostra! »
Torniamo ora nel Mediterraneo. Il 6 febbraio 1778, sull'isola ionica di Zacinto, nasce Niccolò Foscolo, figlio del medico di vascello veneziano Andrea Foscolo e della bizantina Diamanta Spathi. Nel 1785 si trasferirà a Spalato e, dopo la morte del padre, a Costantinopoli, dove egli diverrà uno dei maggiori poeti romantici di lingua greca. Egli si sentirà esule per tutta la vita, strappato da quel mondo di ideali classici in cui era nato per trasferirsi nella grande metropoli sul Corno d'Oro; sua caratteristica sarà la "religione delle illusioni", fatta cioè dei valori insopprimibili nell'uomo: la patria greca, l'amore, la poesia, la libertà, la bellezza, l'arte, il piacere della vita e le nobili imprese che rendono degni di essere ricordati. Oltre all'inquietudine tipicamente romantica, Niccolò Foscolo (in questa Timeline non si firma Ugo) vede nella Grecia classica non solo la propria origine, essendo nato a Zante « risuonante ancora dei versi con cui Omero e Teocrito la celebravano », ma il rifugio ideale di serenità ("mito dell'Ellade"), lontano dal mondo moderno dilaniato dalle guerre. Tra le sue opere in greco si ricordano il poema "Le Grazie" e il romanzo "Le ultime lettere di Jacopo Kartis", ma egli scriverà anche una raccolta di sonetti in lingua italiana, dedicati alla sua amante veneziana, la nobildonna Isabella Teotochi Albrizzi, tra cui il celeberrimo "A Zacinto". Foscolo morirà in povertà a Londra il 10 settembre 1827, a soli 49 anni, avendo dovuto lasciare l'Impero dopo essersi schierato a favore dell'indipendenza della Bulgaria; nel 1871 le sue ossa saranno traslate nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme a Costantinopoli, luogo di sepoltura di tutti i letterati e scienziati bizantini dell'età moderna.
Anche la cultura brucia le tappe. Giovanni XII fa restaurare la Chiesa di Santa Maria Pammacaristos (divenuta nella nostra Timeline la Moschea della Conquista), sostituendo i mosaici trecenteschi con altri, splendidi e nuovissimi. Nel 1780 il genio della musica Wolfgang Amadesus Mozart, che ha 24 anni, compie una tournée a Costantinopoli, riscuotendo un incredibile successo. Il 13 marzo 1781 il tedesco William Herschel, astronomo di corte del Basileus, scopre che una fioca stellina di magnitudine compresa fra 5,5 e 5,9 è in realtà il settimo pianeta del Sistema Solare, e lo battezza Urano. Un'altra importante scoperta, il pallone aerostatico, opera dei fratelli francesi Joseph Michel e Jacques Étienne Montgolfier, viene immediatamente "copiata" nell'Impero Bizantino: Giovanni XII, entusiasta della scoperta del volo, organizza subito una dimostrazione pubblica di ascensione umana a partire dalla Piazza del Philophation: il 21 novembre 1784 un aerostato con a bordo lo scienziato francese Jean-Franços Pilâtre de Rozier e il suo assistente bizantino Manuele Spiliotopulo, alla presenza della coppia imperiale e dei membri del Senato, si alza in volo coprendo in 25 minuti una distanza di 9 chilometri a una quota di circa 200 metri di altezza sopra i tetti di Costantinopoli, atterrando poi senza danni dall'altra parte del Bosforo. Entusiasta, Giovanni XII ordina che sia creata una flottiglia di aerostati da usare in guerra per spiare dall'alto il nemico, fuori della sua portata, e per portare rapidamente dispacci militari. Purtroppo Pilâtre de Rozier diverrà anche la prima vittima di un incidente aereo (escluso Icaro, s'intende), precipitando in mare con il suo aerostato il 15 giugno 1785 mentre tenterà la prima traversata del Mar Egeo da Atene a Efeso. Nel 1788 anche Johann Wolfgang Goethe visita Costantinopoli, ricavandone una grande impressione; tra l'altro scriverà una poesia dedicata alla capitale bizantina, in cui dirà tra l'altro:
« Dahin! Dahin Möcht ich mit dir, o mein
Geliebter, ziehn! »
(Laggiù, laggiù vorrei con te, o mio amato, andare!)
Il 10 gennaio 1788 l'Impero Romano d'Oriente riconosce ufficialmente gli Stati Uniti d'America e scambia ambasciatori con il neocostituito governo federale. Contemporaneamente però mantiene buoni rapporti anche con il Regno Unito. Il 15 febbraio 1788, tuttavia, il Basileus Giovanni XII muore improvvisamente a soli 41 anni. C'è chi punta il dito contro il fratello Andrea, fin qui Governatore dell'isola di Cipro, e lo accusa di aver avvelenato il sovrano per vendicarsi della sua emarginazione politica (i due fratelli non si sono mai sopportati). In ogni caso, siccome da Maria Antonietta il Basileus Giovanni ha avuto fin qui solo due figlie femmine, Irene e Maria Teresa, sul trono gli succede proprio il fratello con il nome di Andrea IV. Questi ha 37 anni, non ha grandi esperienze di governo e ha sposato Carlotta di Hannover (29 settembre 1766 – 6 ottobre 1828), sorella del Re d'Inghilterra Giorgio III, che gli darà ben undici figli:
1) Costantino (nato il 12 agosto
1789), che gli succederà con il nome di Costantino XV;
2) Giovanni (16 agosto 1790 – 5 gennaio 1855), sarà ambasciatore a Berlino e
sposerà nel 1815 la Principessa Federica di Meclemburgo-Strelitz;
3) Maria (12 dicembre 1791 – 17 dicembre 1847), che sarà Imperatrice dei
Francesi;
4) Carlotta (15 ottobre 1793 – 23 gennaio 1870), sposerà nel 1816 Re Guglielmo I
del Württemberg e diverrà regina di questo stato tedesco;
5) Andrea (21 marzo 1795 – 20 giugno 1837), sarà governatore di Tessalonica e
sposerà nel 1818 Adelaide di Sassonia-Meiningen, ma non avrà figli;
6) Zoe (1 settembre 1796 – 30 aprile 1866), sposerà nel 1816 il Principe
Guglielmo, Duca di Gloucester;
7) Michele (12 agosto 1798 – 26 giugno 1869), diverrà Arcivescovo di Atene;
8) Giorgio (2 novembre 1799), morto poche ore dopo la nascita;
9) Carolina (3 novembre 1801 – 27 maggio 1877), diventerà Badessa del
Monastero della Santissima Trinità sull'isola di Creta;
10) Adelaide (22 settembre 1804 – 20 agosto 1806), morirà a soli 23 mesi di
età;
11) Sofia (7 agosto 1806 – 2 novembre 1833), morirà a 23 anni senza aver
contratto matrimonio (era destinata alla carriera ecclesiastica).
Il giovane ed inesperto Basileus si ritrova ad affrontare uno degli eventi più turbolenti di questo turbolento scorcio di XVIII secolo: la Rivoluzione Francese.
Il Basileus Andrea IV (1750-1817), ritratto in gioventù (creata con openart.ai)
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La tempesta rivoluzionaria
Il Giuramento della Pallacorda il 20 giugno 1789 e l'Assalto alla Bastiglia il successivo 14 luglio segnano lo scoppio della Rivoluzione Francese, logico sbocco degli ideali dell'Illuminismo, della grave crisi economica che travaglia la Francia e dell'esempio della riuscita Rivoluzione Americana. Il primo periodo di riforme (l'elezione di un'Assemblea Legislativa, l'abolizione del feudalesimo, la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino) creano entusiasmo anche tra la popolazione di Costantinopoli, tanto che nel 1790 Andrea IV istituisce una commissione di Senatori per preparare l'elezione di un'Assemblea Costituente sul modello francese, ma ben presto la Rivoluzione si radicalizza e divora i suoi figli. La Costituzione Civile del Clero, che obbliga i sacerdoti e i vescovi francesi a prestare giuramento allo Stato e a diventare funzionari statali, crea allarme nel clero ortodosso dell'Impero, che teme di perdere i suoi privilegi. Nella notte tra il 20 e il 21 giugno 1791 poi Re Luigi XVI tenta la fuga con la famiglia ma è riconosciuto e arrestato a Varennes e riportato a Parigi, e perde quasi tutti i suoi poteri; i nobili fuggono in massa dalla Francia, ed iniziano le persecuzioni contro i "controrivoluzionari" e i preti "refrattari" che non hanno voluto giurare fedeltà allo Stato; i Cordiglieri (i rivoluzionari più estremisti) chiedono la destituzione del Re e la proclamazione della Repubblica. A questo punto il 25 agosto 1791 si tiene la Conferenza di Pillnitz, nella quale l'imperatore del Sacro Romano Impero Leopoldo II d'Asburgo, il re di Prussia Federico Guglielmo II di Hohenzollern e il Basileus Andrea IV Patelaro decidono di intervenire contro la Rivoluzione Francese per restituire i pieni poteri a Luigi XVI, nonostante la contrarietà del Primo Ministro inglese William Pitt il Giovane e del Protospatario bizantino Giorgio Papandréou, antenato dell'omonimo leader bizantino del XX secolo. In realtà la Conferenza di Pillnitz ha il solo scopo di intimorire i rivoluzionari francesi, ma l'Assemblea Legislativa la come una reale dichiarazione di guerra, e ciò fa aumentare l'influenza dei deputati radicali, favorevoli all'intervento bellico per radicalizzare il movimento rivoluzionario ed esportare la Rivoluzione nel resto d'Europa. Anche Luigi XVI spera nello scoppio di una guerra che sconfigga i rivoluzionari e riportati i pieni poteri nelle sue mani. Contrario alla guerra è invece Maximilien de Robespierre, l'Incorruttibile, secondo il quale prima conviene consolidare la Rivoluzione in Patria. In ogni caso, il 20 aprile 1792 l'Assemblea Legislativa Francese dichiara guerra al nuovo Imperatore, Francesco II d'Asburgo, appena succeduto al padre Leopoldo II, morto il 1 marzo, e subito la Prussia e l'Impero Bizantino intervengono a favore degli austriaci.
I Rivoluzionari definiscono questo conflitto « una crociata per la libertà », ma molti soldati francesi disertano subito dopo la dichiarazione di guerra. L'armata francese, totalmente disorganizzata a causa dell'emigrazione di molti ufficiali (provenienti dalla nobiltà), non pare avere i mezzi per resistere all'esercito nemico, e così l'Assemblea Legislativa chiede a tutti i volontari di affluire verso Parigi per l'estrema difesa. Luigi XVI e sua moglie Carlotta di Assia-Darmstadt lanciano un contro-appello ai cittadini affinché invece difendano le loro persone e la monarchia. Come risultato il 10 agosto i sanculotti assaltano il Palazzo delle Tuileries, massacrano 800 monarchici ed arrestano i sovrani. Maximilien de Robespierre, Georges Jacques Danton, Jean-Paul Marat e Camille Desmoulins dichiarano decaduta la Monarchia e proclamano la Repubblica. A questo punto neanche il Protospatario Giorgio Papandréou, convinto monarchico, ha più nulla da ridire contro l'intervento armato in terra di Francia: la coalizione austro-prussiano-bizantina attacca direttamente il territorio francese, e dopo la caduta della fortezza di Longwy, il 23 agosto, e di quella di Verdun, il 2 settembre, la strada per Parigi appare spianata. Tutto questo contribuisce a diffondere nel popolo un'ondata di panico, sfruttata da Robespierre e compagni, i quali sono abili a convincere l'opinione pubblica dell'esistenza di un complotto controrivoluzionario, onde scaricare la collera popolare contro gli eserciti invasori. Le carceri di Parigi vengono assaltate, e sono linciati tutti i sospetti di atti controrivoluzionari ("Massacri di Settembre"), senza che l'Assemblea Legislativa muova un dito.
Intanto, il 20 settembre i generali rivoluzionari Charles François Dumouriez e François Christophe Kellermann ottengono una vittoria insperata nella battaglia di Valmy, che ha un impatto psicologico enorme: un esercito raccogliticcio, indisciplinato, di scarsa esperienza militare e per di più in inferiorità numerica (24.000 francesi, detti "gli straccioni di Valmy", contro circa 80.000 fra prussiani, austriaci e bizantini) è riuscito a costringere alla ritirata tre grandi potenze militari coalizzate, costringendole ad abbandonare il territorio francese. Tutto ciò infiamma l'opinione pubblica francese e restituisce credibilità all'esercito, mentre il Basileus Andrea IV in un discorso al Senato di Costantinopoli mette apertamente in dubbio le capacità militari dei suoi ufficiali. In effetti alla vittoria rivoluzionaria hanno contributo l'epidemia di dissenteria che ha colpito l'esercito austroungarico e il fatto che nel frattempo il Re Federico Guglielmo II di Prussia ha concluso un accordo segreto con la Russia, alle spalle di Austria e Bisanzio, per la spartizione definitiva della Polonia, una faccenda che gli sta molto più a cuore della monarchia francese; in ogni caso il poeta tedesco Wolfgang Goethe, presente alla battaglia tra le file prussiane, scriverà: « Da Valmy è cominciata una nuova epoca della storia del mondo ».
Le truppe francesi da qui in poi avanzano irresistibilmente, conquistando Spira, Worms, Magonza e Francoforte sul Meno, fino ad occupare della riva sinistra del Reno, il Ducato di Savoia e i Paesi Bassi austriaci. La Convenzione annette alla Francia tutti i Paesi occupati, una decisione invero poco coerente con gli ideali della Rivoluzione, la quale predicava la liberazione dei popoli. A questo punto, di fronte al rischio che la Francia assuma un ruolo egemone sul continente come già tentato all'epoca di Luigi XIV, si muove anche il Regno Unito, che assume la guida della lotta alla Rivoluzione. La situazione precipita il 16 gennaio 1793, quando l'ex Re di Francia Luigi XVI è condannato a morte per alto tradimento e successivamente ghigliottinato il 21 gennaio in Place de la Révolution, oggi Place de la Concorde. Proteste fierissime si levano da ogni paese d'Europa, compresi quelli (come il Granducato di Toscana) in cui sono già state fatte molte riforme di stampo illuministico. Il Protospatario Giorgio Papandréou in un discorso al Senato afferma che il sangue di Luigi XVI non resterà invendicato, e chiede che l'assemblea si pronunci per l'immediata mobilitazione dell'esercito bizantino. Nasce così la Prima Coalizione, formata da Regno Unito, Impero Bizantino, Arciducato d'Austria, Regno d'Ungheria, Regno di Prussia, Stati Tedeschi, Impero Russo, Regno di Spagna, Regno del Portogallo, Repubblica dei Paesi Bassi, Repubblica di Venezia, Regno di Sardegna, Granducato di Toscana, Stato Pontificio e Regno di Napoli: da notare che Venezia si è schierata contro la Rivoluzione fin dalla Prima Coalizione, per opera dell'ambasciatore bizantino. Conseguentemente il 1 febbraio la Francia Rivoluzionaria, vistasi accerchiata da potenze nemiche, impone il reclutamento di massa della popolazione abile al servizio militare per incrementare di 300.000 uomini le fila dell'esercito: una decisione che provoca diverse sollevazioni popolari in tutto il Paese, a cui la Convenzione Nazionale sa rispondere solo ordinando che tutti coloro i quali rifiutano di impugnare le armi siano giustiziati immediatamente e senza processo: è l'inizio del Terrore.
Nel marzo 1793 gli inglesi riescono ad espellere i francesi dai Paesi Bassi, gli spagnoli penetrano in Francia da sud-ovest, i piemontesi da sud-est, i prussiani, gli austriaci e i bizantini da est; il generale Dumouriez diserta passando dalla parte della Coalizione, mentre l'economia nazionale va a rotoli e scoppia un'insurrezione nel dipartimento francese della Vandea, dove la fede cattolica è particolarmente radicata, repressa con ferocia inaudita dal governo di Parigi. Di fronte a questa situazione la Convenzione Nazionale istituisce il Tribunale Rivoluzionario, che si rende colpevole di un vero e proprio eccidio di massa (basta una denuncia anonima per portare chiunque sulla ghigliottina), mentre Robespierre riceve i pieni poteri e fa eliminare tutti i suoi avversari politici. La Rivoluzione comincia a divorare i suoi figli: Marat è assassinato, Danton è fatto ghigliottinare da Robespierre, mentre è portata avanti una politica di scristianizzazione, che il Basileus Andrea IV definisce « l'abominio d'Europa e la vera notte della ragione in terra di Francia ». Anche l'ex regina Carlotta di Assia-Darmstadt, odiatissima dai rivoluzionari, è giustiziata il 16 ottobre 1793, mentre suo figlio Luigi Carlo (chiamato Luigi XVII dai legittimisti, incluso il governo Bizantino) si spegne di malattia e di stenti l'8 giugno 1795.
Intanto la politica economica francese adattata agli scopi bellici permette all'esercito rivoluzionario di partire alla riscossa: con la grande offensiva della primavera del 1794 gli eserciti della Prima Coalizione sono prima bloccati e poi ricacciati oltre i confini nazionali. L'esercito Bizantino in particolare ha subito una grave sconfitta a Wissembourg il 28 dicembre 1793. L'armata rivoluzionaria riesce a rioccupare il Belgio, la Renania e i Paesi Bassi (dove è istituita la Repubblica Batava); i Rivoluzionari francesi fomentano le ribellioni degli Italiani contro gli Austriaci, dei Polacchi contro i Prussiani e dei Serbi e dei Bulgari contro i Bizantini mentre gli intellettuali di tutta Europa simpatizzano per la Rivoluzione. Nel febbraio 1794 si registrano due moti popolari a Tessalonica e nella stessa Costantinopoli, fomentati da borghesi animati dagli ideali illuministici, riuniti nel cosiddetto "Circolo degli Arrabbiati" e guidati dall'estremista Spiridione Krokidas il quale, pur essendo figlio di un Pope, incita a tagliare la testa al Basileus Andrea IV e a trasformare la Basilica di Santa Sofia in un Tempio alla Dea Ragione. Il Protospatario Giorgio Papandréou dichiara allora l'Impero in pericolo, forma un governo d'emergenza e lancia la coscrizione obbligatoria di tutti gli uomini abili e non sposati tra i 18 e i 25 anni; molti sono quelli che si arruolano volontari, ed anche molte donne entrano nell'esercito come infermiere, vivandiere e portaordini. Per la prima volta il popolo minuto bizantino avverte la propria coscienza nazionale greca e partecipa alle sorti del millenario Impero, e ciò segnerà la storia di Bisanzio nei successivi due secoli. Alla fine i moti degli Arrabbiati sono sedati dalle truppe imperiali, e Spiridione Krokidas finisce sul patibolo a Costantinopoli.
Intanto, venuto meno il pericolo di un'invasione straniera, le misure eccezionali emanate durante il Terrore e la spietata dittatura personale di Robespierre cominciano ad apparire eccessive. Gli oppositori di Robespierre guidati da Joseph Fouché, Jean-Lambert Tallien e Paul Barras, lo fanno arrestare insieme ai suoi principali fiancheggiatori, e tutti vengono ghigliottinati il 28 luglio 1794 ("Colpo di Stato del Termidoro"); la nuova Costituzione dell'Anno Terzo dà inizio al nuovo regime del Direttorio. Il 5 aprile la Prussia si chiama fuori dalla guerra firmando la Pace di Basilea, che riconosce alla Francia il possesso della Renania, e il 22 luglio anche la Spagna chiede l'armistizio. A questo punto Austria, Regno Unito ed Impero Bizantino finanziano l'insurrezione monarchica del 13 vendemmiaio (5 ottobre 1795), che però si risolve in un fallimento, segnato dal grande massacro delle milizie legittimiste ribelli nel centro di Parigi. Le nuove rivolte in Vandea non conoscono miglior fortuna. Il Direttorio decide allora di piegare l'Austria, considerata il peggior nemico della Rivoluzione: i generali Jean-Baptiste Jourdan e Jean Victor Marie Moreau, partendo dal Reno, marceranno su Vienna, mentre altre truppe, raccogliticce e male armate, terranno impegnate le armate austriache e bizantine in Italia settentrionale. Queste ultime sono affidate al giovane e semisconosciuto Napoleone Bonaparte, messosi in luce liberando il porto di Tolone dalle navi inglesi e bizantine che lo assediavano. Nessuno scommette un franco bucato sul giovano corso, che invece nella Campagna d'Italia mostra tutto il suo genio militare.
Jourdan viene sconfitto dall'Arciduca Carlo d'Asburgo ed è costretto a ritirarsi. ma Napoleone, nonostante l'inferiorità numerica e logistica, riesce a separare tra loro e a sconfiggere ripetutamente gli eserciti del Regno di Sardegna, della Repubblica di Venezia, del Sacro Romano Impero e dell'Impero Bizantino: tra le sue vittorie si contano Dego, Millesimo, Cairo Montenotte, Cosseria e a San Michele Mondovì. Con l'armistizio di Cherasco, Napoleone costringe il Re Vittorio Amedeo III di Savoia a cedere alla Francia Nizza e la Savoia. Il 10 maggio 1796 infine affronta la coalizione austro-bizantina nella Battaglia del Ponte di Lodi, sbaragliando i nemici: il generale bizantino Manuele Valvis rimane sul campo di battaglia, e neppure l'apporto delle truppe greche e veneziane riesce ad aver ragione del più grande condottiero dei tempi moderni. Il 15 maggio Napoleone entra a Milano e vi insedia un'Amministrazione Rivoluzionaria costituita da illuministi filofrancesi e nettamente antiasburgici ed antibizantini, tra i quali spiccano i nomi di Alessandro e Pietro Verri, Gian Galeazzo Serbelloni e Francesco Melzi d'Eril.
Subito dopo il Bonaparte punta sul cuore dei domini asburgici e il 5 agosto si scontra con austriaci e bizantini nella Battaglia di Castiglione delle Stiviere, ribaltando a proprio favore una situazione che pareva compromessa e surclassando nettamente le forze armate avversarie. Il Protospatario Giorgio Papandréou invia in Italia settentrionale nuove truppe, che però non riescono a resistere al genio tattico del corso, e sono costrette ad incassare una bruciante sconfitta al Ponte di Arcole, il 17 novembre 1796. A questo punto gli Asburgo vengono espulsi dall'Italia: il 7 gennaio 1797 è istituita la Repubblica Cispadana, che per prima adotta come vessillo il tricolore rosso, bianco e verde, e il 29 giugno successivo diventerà Repubblica Cisalpina con capitale Milano. Il 25 aprile 1797 il corso conquista anche Verona, nonostante la popolazione della città si sia mobilitata contro l'invasore francese ("Pasqua Veronese"), e il Doge Ludovico Manin è costretto a firmare la resa e a fuggire a Costantinopoli, dove crea un governo in esilio. A questo punto l'arciduca Carlo d'Asburgo, intimorito dalla rapida marcia di Napoleone verso Vienna, chiede l'armistizio e il 17 ottobre 1797 firma l'umiliante Trattato di Campoformio, con il quale Milano e Venezia passano in mani francesi (nella nostra Timeline l'Austria occupò Venezia a tradimento, ma in questa Timeline l'Impero Bizantino non glielo avrebbe mai permesso). La Campagna d'Italia di Napoleone termina così con una secca sconfitta dell'Austria e dell'Impero Bizantino, dovuta alle capacità strategiche del Corso, ad un uso innovativo dell'artiglieria come supporto mobile agli attacchi della fanteria, e ad un rapido sistema di telecomunicazioni basato sul telegrafo ottico di Chappe, ideato nel 1792. Restano formalmente in guerra contro Napoleone solo la Gran Bretagna e l'Impero Bizantino, e la Prima Coalizione cessa di esistere.
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La Campagna Napoleonica di Grecia
Nel 1798 il Direttorio, preoccupato per l'eccessiva popolarità del Bonaparte, decide di affidargli l'incarico di conquistare l'Impero Bizantino, impresa finora mai riuscita a nessuno, onde eliminare dalla scena uno degli ultimi nemici della Francia, ed usare poi la Grecia come base per la conquista dell'Egitto e dell'India. Napoleone accetta e, salpato da Marsiglia il 9 maggio con una flotta di 13 navi, 14 fregate, 45.000 soldati e 10.000 marinai, il 9 giugno conquista Malta, togliendola ai Cavalieri di san Giovanni, quindi elude il controllo della Royal Navy nel Mediterraneo Orientale, conquista l'isola di Cefalonia e sbarca il 1 luglio presso Missolungi, nell'Etolia, occupandola senza colpo ferire. Intanto una parte della flotta prosegue sotto il comando del contrammiraglio Pierre Charles Silvestre de Villeneuve, prosegue per Alessandria d'Egitto. Questo corpo di spedizione si rivelerà il più importante, perchè in esso non viaggiano solo soldati, ma anche 150 studiosi, appartenenti alla Commission des Sciences et des Arts, i quali fonderanno la moderna Egittologia.
Subito il generale bizantino Costantino Kolokotronis, già reduce della Campagna d'Italia, muove contro il Corso, ma deve incassare una dura sconfitta terrestre presso Agrinio, nonostante le forze napoleoniche contino solo 25.000 uomini contro i suoi 60.000: i francesi si dispongono a quadrato faccia al nemico, sparando in ogni direzione, una tecnica a cui i Greci non sono abituati. Alla fine tra i francesi si contano circa 300 morti, contro 6.000 perdite bizantine; anche Costantino Kolokotronis cade nello scontro. Napoleone inizia una marcia trionfale che lo porta a conquistare Amfissa, Delfi e Livadia, fino a minacciare seriamente Atene. Nel tentativo di guadagnare l'appoggio del popolo greco alla propria campagna, Bonaparte pubblica un proclama che lo dipinge come il liberatore dei popoli ellenico, bulgaro e serbo dall'oppressione bizantina, magnificando la superiorità della cultura greca su quella europea. Con lui si schiera Giorgio Petrović (16 novembre 1752 – 26 luglio 1817), che nella nostra Timeline è chiamato Karageorgević per via di un epiteto affibbiatogli dai Turchi ("Giorgio il Nero"), leader indiscusso della nazione bosniaca e fondatore della futura casa regnante di Bosnia.
Mentre sulla terraferma si dimostrano nettamente superiori le forze napoleoniche, la Royal Navy interviene ed il 1 agosto l'ammiraglio Horatio Nelson, sorprende la flotta francese alla fonda nel porto di Lepanto, nel Golfo di Corinto. I francesi credono di essere attaccati soltanto da un lato, essendo l'altro protetto dalla spiaggia, ma la flotta britannica riesce ad insinuarsi fra le navi francesi, prendendole tra due fuochi e distruggendo completamente la flotta (solo due navi francesi riescono a fuggire). La clamorosa sconfitta nella Battaglia di Lepanto, tuttora ricordata nella città con parare storiche in costume, viene attribuita dal direttorio all'incapacità del viceammiraglio François Paul de Brueys d'Aigalliers, morto nel corso della battaglia. Bonaparte si trova all'improvviso tagliata la via per il rientro in patria via mare, e si rende conto che non sarà facile scalfire l'assoluto predominio britannico sui mari, come sognava di fare con quest'impresa.
Il Mega Dux bizantino Teodoro Kolokotronis
Appena a Costantinopoli si diffonde la notizia che la flotta britannica ha distrutto quella francese, il governo ed il Senato riguadagnano coraggio e si preparano alla controffensiva, inviando due corpi d'armata contro Napoleone. La prima armata, sotto il comando di Teodoro Kolokotronis, figlio di Costantino, è costituita da circa 30.000 uomini, e deve calare contro i francesi dalla Tessaglia, mentre l'ammiraglio Agostino Pangalos, con 20 navi e 50.000 uomini, sbarcherà a Salamina chiudendo i francesi in una morsa. Il Bonaparte è informato delle mosse dei Bizantini dalle sue spie (molti borghesi greci mossi da ideali illuministici si sono uniti a lui), e sa di non potersi permettere di restare imbottigliato nell'Attica, così decide che la migliore difesa sarà quella di attaccare l'esercito della Tessaglia: una vittoria contro di essa gli permetterà di guadagnare tempo e prepararsi ad affrontare la forza di sbarco di Pangalos. Organizza così un esercito di circa 13.000 uomini, composto di divisioni sotto il comando dei generali Reynier (2.160 uomini), Kléber (2.336), Bon (2.449), Lannes (2.938), una divisione di cavalleria leggera sotto il comando del generale Gioacchino Murat (900), una brigata di fanteria e cavalleria sotto il generale di brigata Bessières (400), una compagnia di artiglieria sotto Dammartin (1.387) e genieri e truppe di logistica sotto Caraffeli (3.404). Ogni divisione di fanteria e cavalleria è dotata di 6 cannoni. L'esercito di Bonaparte muove verso nord e e il 5 febbraio 1799 attraversa il Passo delle Termopili, cingendo d'assedio il porto fortificato di Lamìa, sul Golfo dell'Eubea, ma non riesce a conquistarlo. All'avvicinarsi della forte armata di Kolokotronis, Napoleone è costretto a ripiegare verso Orcomeno; per accelerare la ritirata, egli prende la discutibile decisione di uccidere i prigionieri ed abbandonare i feriti lungo la strada, fatto che gli aliena le simpatie di gran parte dei bizantini. Siccome poi i soldati francesi in ritirata si danno ai saccheggi, agli stupri e alla devastazione delle Chiese Ortodosse per asportarne tutto quanto vi è di prezioso, il popolo greco volta definitivamente le spalle al Bonaparte, considerato all'inizio come un liberatore dei popoli oppressi.
Il 25 luglio Bonaparte sconfigge a Tebe parte delle truppe sbarcate in Attica dall'ammiraglio Pangalos, ma si rende conto che in assenza di rinforzi dalla madrepatria non riuscirà mai a conquistare Atene; figuriamoci Costantinopoli, rivelatasi per lui irraggiungibile. A questo punto lo raggiunge la notizia che, approfittando del fatto che Napoleone si trova impantanato nell'Impero Bizantino, si è formata la Seconda Coalizione, costituita da Austria, Russia, Regno Unito, Portogallo e dai monarchici francesi. Il generale russo Aleksandr Vasil'evič Suvorov il 25 aprile 1799 ha sconfitto i francesi a Cassano d'Adda, costringendo Jean Victor Marie Moreau a sgomberare Venezia prima e Milano poi, obbligandolo a tornare al di là delle Alpi, mentre cadono ben presto la Repubblica Romana e la Repubblica Partenopea. E così Napoleone decide di abbandonare l'Impero Bizantino per far ritorno in Francia. Il 23 agosto egli si imbarca di notte ad Itea, lasciando l'esercito sotto il comando del maresciallo Jean-Baptiste Kléber. Le truppe rimaste in Egitto, risentite contro Bonaparte ed il governo per averle abbandonate, pensano di poter essere evacuate grazie ad un trattato che il generale Kléber negozia con il britannico Sir Sidney Smith, ma l'ammiraglio bizantino Agostino Pangalos rinnega questo trattato ed invia una truppa di 30.000 uomini contro Kléber. Questi riesce a sconfiggerli nella Battaglia di Lavadia il 1 marzo 1800, ma viene assassinato da un sicario il 14 giugno e sostituito nel comando dal generale Jacques François Menou. Questi occupa la Beozia fino all'agosto del 1801 quando, sotto i continui attacchi delle forze britanniche e bizantine, e in seguito alla perdita di circa 13.500 uomini, molti dei quali per malattia, è costretto a capitolare al generale Teodoro Kolokotronis, nel frattempo nominato Mega Dux dell'Impero nonostante la giovane età. A seguito della resa, l'esercito francese viene prima internato in alcuni campi di concentramento ed infine rimpatriato su navi britanniche. Poco dopo deve arrendersi anche il corpo di spedizione francese in Egitto, a sua volta rimpatriato portandosi dietro una quantità notevole di antichità egiziane, tra cui la celeberrima "Stele di Rosetta" che permetterà a Champollion di decifrare la scrittura geroglifica, e spianerà la strada allo studio dell'antica civiltà egiziana.
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La lunga guerra dei Romei contro Napoleone
Il 9 ottobre 1799 intanto Bonaparte sbarca a Fréjus e raggiunge Parigi, con l'intenzione di rovesciare il Direttorio, giudicato debole ed incapace, e di assumere il controllo della situazione. Con lui si schierano i fratelli Giuseppe e Luciano, l'ideologo rivoluzionario Emmanuel Joseph Sieyès, l'astuto ministro degli esteri Charles Maurice de Talleyrand e il ministro della polizia Joseph Fouché. Fatta circolare la falsa notizia di un complotto realista per rovesciare la repubblica, Napoleone riesce a farsi nominare comandante in capo di tutte le forze armate, ma quando il 9 novembre chiede alle Camere di votare il loro autoscioglimento e il conferimento dei poteri nelle sue mani, rischia seriamente di essere messo fuorilegge, il che significherebbe la ghigliottina. A salvare Napoleone giunge suo fratello Luciano alla testa dei veterani delle campagne di Napoleone, che disperdono i deputati con le baionette innestate (colpo di stato detto del 18 Brumaio). Il generale si fa nominare Primo Console ed accentra tutti i poteri nelle sue mani; il 2 agosto 1802 con un plebiscito si fa nominare Console a vita e dichiara:
« Citoyens, la révolution est fixée aux principes qui l'ont commencée, elle
est finie. »
(Cittadini, la rivoluzione è fissata ai principi che l'hanno
avviata, essa è conclusa)
Ormai la Rivoluzione Francese si è ripiegata su di un'autocrazia personale. Del resto il Bonaparte è abile a presentarsi ai francesi come l'unico uomo forte in grado di salvare la Nazione dall'attacco di tutte le altre potenze europee. Il 6 maggio 1800, sei mesi dopo il colpo di Stato del 18 brumaio, Napoleone prende il comando dell'esercito francese e valica il passo del Gran San Bernardo, cogliendo di sorpresa gli austriaci, che incassano una dura sconfitta nella battaglia di Montebello, in seguito alla quale Napoleone rientra a Milano. L'Austria invoca l'aiuto dei Russi e dei Bizantini e, forte del loro aiuto, il 14 giugno 1800 affronta Napoleone nella battaglia di Marengo, la più celebre delle battaglie napoleoniche in Italia. Alle tre del pomeriggio Napoleone sembra sul punto di perdere, ma il generale Louis Charles Antoine Desaix rovescia le sorti della battaglia giungendo sul campo con nuove truppe ed annientando l'esercito bizantino del generale Aristotele Melas, già certo della vittoria. Alle otto di sera il trionfo francese è completo, anche se Desaix è caduto in battaglia. A ricordo dell'evento, Napoleone conia una nuova moneta, il marengo d'oro. Austria e Bisanzio sono costretti ad accettare il trattato di Lunéville, con il quale Milano e Venezia tornano in mani francesi. Napoleone fonda la Repubblica Italiana, della quale è proclamato Presidente, mentre l'intellettuale milanese Francesco Melzi d'Eril è nominato Vicepresidente. Dopo le dimissioni di William Pitt, con la successiva Pace di Amiens del 25 marzo 1802 anche il Regno Unito firma la pace con la Francia, atto che segna lo scioglimento della Seconda Coalizione antifrancese, assicurandosi un periodo di pace.
Dopo però che Napoleone ha allargato la sua influenza alla Svizzera e agli stati tedeschi, il Regno Unito, che non ha mai realmente approvato la Pace di Amiens, rifiuta di ritirarsi dall'isola di Malta, conquistata ai francesi durante la Campagna di Grecia. La risposta del Primo Console consiste nell'approntamento di un'armata di 160.000 uomini, destinata all'invasione dell'Inghilterra. Subito William Pitt, tornato in sella, ordina l'embargo su tutte le navi francesi nei porti britannici, e Napoleone a sua volta arresta tutti i cittadini britannici in Francia e nei suoi stati satelliti. Il Corso decide di dare ai britannici una dimostrazione del suo potere facendosi nominare Imperatore dei Francesi con un plebiscito: il 2 dicembre 1804 il parvenu corso si autoincorona nella Cattedrale di Notre-Dame alla presenza di Papa Pio VII. Il 26 maggio 1805 nel Duomo di Milano Napoleone è incoronato anche Re d'Italia con la Corona Ferrea. Il Basileus Andrea IV si rifiuta di riconoscere sia il titolo imperiale del Bonaparte che quello di Re d'Italia, considerando la mossa napoleonica un insulto, e a sua volta mobilita le truppe. Nasce così la Terza Coalizione, formata da Regno Unito, Austria, Russia, Svezia, Regno di Napoli ed Impero Bizantino.
Napoleone Bonaparte non si lascia intimorire, si mette al comando della Grande Armata che ha preparato per invadere l'Inghilterra, e a marce forzate raggiunge il cuore dell'Europa per affrontare i suoi nemici. Del resto il 21 ottobre 1805 al largo di Trafalgar la flotta francese comandata dall'ammiraglio Pierre-Charles Villeneuve è completamente annientata da quella inglese al comando di Horatio Nelson, che muore nello scontro, e così svaniscono per sempre i sogni di invasione dell'Inghilterra. Il nuovo zar Alessandro I, nipote di Caterina II, e il Basileus Andrea IV decidono di mettersi personalmente alla testa delle loro truppe; le forze coalizzate austriache, russe e bizantine, nonostante la neutralità della Prussia, contano quasi 300.000 uomini contro i 200.000 messi in campo dall'Imperatore dei Francesi. Il 2 dicembre 1805, tuttavia, Napoleone mette in mostra davanti al mondo intero il proprio capolavoro strategico, affrontando i nemici in quella che passerà alla storia come la Battaglia di Austerlitz, detta la Battaglia dei Quattro Imperatori (Napoleone, Francesco d'Asburgo, Alessandro Romanov e Andrea IV Patelaro). Il successo francese è schiacciante: 9.000 tra morti, feriti e prigionieri francesi contro gli oltre 25.000 dell'armata austro-russo-bizantina. Con la Pace di Presburgo del 26 dicembre 1805 Napoleone diventa padrone dell'Europa. Dopo mille anni il Sacro Romano Impero Germanico è abolito, ma Francesco d'Asburgo acquisisce il titolo di Imperatore d'Austria e Re d'Ungheria. L'Austria perde inoltre il controllo sulla Germania, ricostituita come Confederazione del Reno sotto il controllo diretto di Napoleone. Dal canto suo l'Impero Bizantino deve cedere alla Francia le Isole Ionie, Creta e Cipro. Si racconta che, dopo aver appreso della sconfitta di Austerlitz, il Protospatario Bizantino Giorgio Papandréou abbia detto a sua figlia:
« Arrotola la carta d'Europa esposta nello studio privato di casa nostra. Non ci servirà più per almeno dieci anni! »
Nel 1806 l'intellettuale francese François-René de Chateaubriand, una delle personalità di spicco del Romanticismo, visita la Grecia, Costantinopoli ed Efeso nel corso del suo viaggio verso Gerusalemme, che egli stesso narrerà nel suo "L'Itinéraire de Paris à Jérusalem". Intanto, contro l'espansione napoleonica in Germania scende in campo la Prussia, che il 9 ottobre 1806 dichiara guerra alla Francia. Subito l'Impero Bizantino, la Russia e l'Inghilterra si alleano con Berlino dando origine alla Quarta Coalizione, ma le forze napoleoniche contrattaccano invadendo la Prussia, il cui Re Federico Guglielmo III è sconfitto il 14 ottobre presso Jena, e Napoleone fa il suo ingresso trionfale a Berlino il 25 ottobre e vi impone il protettorato francese. Dopo aver piegato la Prussia, Napoleone si volge contro la Russia che ha occupato le province prussiane orientali. L'8 febbraio 1807 le truppe francesi si scontrano con quelle dello Zar nella Battaglia di Eylau, dall'esito incerto (sia i francesi che i russi rivendicano la vittoria), ma l'esercito russo viene sconfitto in maniera definitiva a Friedland (14 giugno 1807), mentre i Bizantini tentano invano di assediare e riconquistare le Isole Ionie. Alla fine lo Zar Alessandro I conclude con il Corso la Pace di Tilsit (7 luglio 1807), con il quale in pratica Francia e Russia si spartiscono l'Europa. Federico Guglielmo III è ridotto al possesso della Prussia Orientale, della Slesia, del Brandeburgo e della Pomerania, e deve pagare ingentissime riparazioni di guerra; le province orientali della Prussia costituiscono il Granducato di Varsavia sotto protettorato francese; le province prussiane a ovest dell'Elba invece costituiscono il nuovo regno di Westfalia, creato da Napoleone per suo fratello Gerolamo. La Russia in compenso ha mano libera per le sue mire egemoniche sui Balcani, tanto che lo Zar e l'Empereur arrivano a studiare piani per la spartizione dell'Impero Bizantino.
A questo punto a combattere apertamente Napoleone restano solo il Regno Unito e l'Impero Romano d'Oriente. Per colpire entrambe queste potenze marittime, il Bonaparte decide il "blocco continentale", con il quale vieta ogni commercio con Londra e Costantinopoli, e addirittura vieta l'attracco ai porti francesi (e alleati) a ogni nave che in precedenza è entrata in un porto inglese o bizantino. Alessandro I approva il blocco, ritenendo che finora il Regno Unito abbia fatto di tutto per impedire la sua "corsa verso i mari caldi", in primis ai danni di Bisanzio. Quando Papa Pio VII rifiuta di aderire all'embargo nei confronti dell'Inghilterra e di bisanzio, dichiarando che il suo ruolo di Pastore universale gli impone la neutralità, Napoleone fa occupare Roma dal generale Miollis ed annette lo Stato Pontificio all'Impero Francese; il Papa, che ha scomunicato Napoleone, è arrestato e deportato, insieme con il Segretario di Stato cardinale Bartolomeo Pacca, prima a Grenoble e poi a Fontainebleau, alle porte di Parigi. In tal modo Napoleone si aliena le simpatie dei cattolici, anche perchè ha osato sostituire la festa dell'Assunzione di Maria il 15 agosto (giorno del suo compleanno) con un improbabile "San Napoleone" da lui stesso inventato.
La reazione inglese e bizantina al blocco continentale è durissima: nel settembre 1807 è bombardata Copenaghen, alleata dello Zar, e la Danimarca è costretta a cedere la sua flotta a Londra, mentre Giorgio Papandréou ammassa ingenti truppe al confine con il Sultanato Karamanide, con il quale Francia e Russia hanno preso accordi per un'azione congiunta contro Costantinopoli. Per sicurezza il Regno Unito occupa lo strategico porto turco di Antalya, presso il confine con l'Impero Romano, mentre i Mamelucchi, pagati da Londra, minacciano a loro volta i confini sudorientali di Karaman. La Russia non sta a guardare e, con l'assenso francese, occupa la Finlandia, togliendola alla Svezia, mentre Napoleone approfitta delle lotte dinastiche tra il Re di Spagna Carlo IV e suo figlio Ferdinando VII per deporre entrambi e porre sul trono spagnolo suo fratello Giuseppe. Siccome questi era già stato nominato Re di Napoli, con grande disinvoltura il Bonaparte nomina nuovo Re d'Italia Meridionale suo cognato Gioacchino Murat. Le conseguenze di questo colpo di mano sono però disastrose per i francesi: la Spagna insorge, martellando l'esercito occupante con quella che d'ora in poi verrà chiamata guerriglia (dallo spagnolo "guerrilla"), che mette in ginocchio le truppe di Napoleone. Subito un esercito inglese al comando di Sir Arthur Wellesley, Duca di Wellington, sbarca in Portogallo, tradizionale alleato dei britannici, mentre un corpo di spedizione bizantino occupa il porto di Cartagena; inglesi e greci sono accolti come dei liberatori. Giuseppe Bonaparte fugge da Madrid, e Napoleone, furente, decide di invadere la Spagna e il Portogallo con un esercito da lui personalmente condotto; la famiglia reale portoghese è costretta a fuggire in Brasile, il 4 dicembre 1808 Madrid si arrende all'imperatore francese e Giuseppe Bonaparte è rimesso sul trono, anche se la Spagna rimane una spina nel fianco dell'Empereur. Avendo saputo che i bizantini riforniscono i guerriglieri spagnoli usando come tramite i possedimenti Mamelucchi nell'Africa Mediterranea, Napoleone esclama furibondo:
« Ah! Se avessi tra le mani Sant'Elena, gliela farei pagare salata per aver messo al mondo suo figlio Costantino, fondatore di quel relitto di Medioevo che è l'Impero Bizantino! »
Come vedremo, Sant'Elena si vendicherà ferocemente di quest'insulto!
Viste le difficoltà francesi nella penisola iberica, l'Austria decide allora di allearsi con il Regno Unito e l'Impero Bizantino nella Quinta Coalizione antifrancese. Con la sua proverbiale rapidità Napoleone si porta nel centro dell'Europa per affrontare l'esercito austriaco, che stavolta è lasciato solo da russi e prussiani, e può contare solo su un corpo di spedizione bizantino e su uno squadrone di cavalleria della Valacchia. Trovandosi in inferiorità numerica, il 6 luglio 1809 l'Arciduca Carlo d'Asburgo subisce un nuovo, disastroso rovescio a Wagram, 15 km a nordest di Vienna. Napoleone occupa Vienna, e l'imperatore Francesco I è costretto a firmare il Trattato di Schönbrunn, che gli impone durissime condizioni: deve riconoscere Giuseppe Bonaparte sovrano di Spagna, cedere Salisburgo alla Baviera e il Trentino al Regno d'Italia, mentre Trieste, la Dalmazia e la Croazia a sud del fiume Sava (le cosiddette Province Illiriche) sono direttamente annesse alla Francia, che così giunge alla sua massima espansione territoriale: oltre 1.750.000 Km quadrati (contro i 543.965 attuali) e ben 141 dipartimenti, incluse le isole Ionie, Creta e Cipro (contro i 101 attuali, di cui 5 d'Oltremare). L'Austria deve inoltre pagare una forte indennità di guerra, ridurre l'esercito a 150.000 soldati e rompere ogni rapporto diplomatico con il Regno Unito e con l'Impero Bizantino.
Annesse le Province Illiriche, Napoleone raggiunge il confine diretto con l'Impero Bizantino, e decide infine una rapida campagna contro di esso. Dopo che i Serbi e i Bulgari si sono rivoltati contro il dominio imperiale, il 10 settembre 1809 l'Empereur sconfigge a Banja Luka le truppe del Mega Dux Teodoro Kolokotronis, già protagonista dieci anni prima della Campagna di Grecia, ed impone all'Impero la Pace di Zagabria, con la quale il Basileus Andrea IV è costretto a cedere a Napoleone tutta la Bosnia e l'Erzegovina, che l'Empereur erige a regno vassallo affidandolo a suo fratello Luigi (che ha sposato Ortensia di Beauharnais, figlia di primo letto della moglie di Napoleone, Giuseppina de Tascher de la Pagerie), già Re d'Olanda prima che questa venisse direttamente annessa all'Impero Francese. Il Montenegro passa sotto protettorato francese, la Moldavia e la Valacchia sotto protettorato russo. Inoltre, dato che Giuseppina non ha dato alcun erede a Napoleone, e questi vuole invece instaurare una dinastia, ripudia la moglie (nonostante la ami ancora) e pretende dal Basileus Andrea IV che questi gli invii in moglie Maria, la più giovane e la più bella dei suoi figli, di soli 18 anni (è nata il 12 dicembre 1791), e quindi 22 anni più giovane di lui. Fin da bambina Maria è stata educata ad odiare i francesi, e giocava con i fratelli alla guerra contro di loro, ma a causa della ragion di stato è costretta ad accettare queste nozze. Infatti Napoleone vuole fare di lei, oltre che una moglie, un ostaggio per tenere in pugno il Basileus dei Romei, e Andrea IV sa che, se rifiuterà, il suo impero sarà spartito tra francesi e russi. Il Protospatario Papandréou accetta di aderire nominalmente al blocco continentale contro il Regno Unito, anche se in realtà continua ad avere rapporti segreti con gli inglesi attraverso la mediazione dei Mamelucchi. Il matrimonio di Maria con Napoleone Bonaparte è celebrato il 2 aprile 1810, nel Salon Carré del Louvre, dal cardinale Joseph Fesch, zio materno dell'Imperatore dei Francesi. Maria non amerà mai Napoleone, ma giunge ad ammirarlo per la sua indiscussa energia che lo ha portato dal nulla a diventare il padrone d'Europa; gli dà del tu con grande sgomento dei cortigiani, e lo chiama "Nanà" o "Popò". Dal canto suo il Bonaparte considera Maria la moglie ideale per lui: devota, affettuosa, educata sin dall'infanzia all'ubbidienza, e non abituata ad intromettersi negli affari politici (confidandosi con la sorella Paolina, egli definirà Maria "una bambina deliziosa").
Napoleone è all'apogeo della sua potenza: oltre all'enorme espansione conosciuta dal territorio metropolitano francese, il Corso controlla la Confederazione del Reno, il regno d'Italia (retto dal viceré Eugenio di Beauharnais, figlio di primo letto di sua moglie Giuseppina), il Regno di Spagna (governato da suo fratello maggiore Giuseppe), il Regno di Westfalia (in mano a suo fratello Gerolamo), il Principato di Lucca e Piombino (affidato a sua sorella Elisa), il regno di Napoli (assegnato a suo cognato Gioacchino Murat) e il Regno di Svezia (il cui trono è andato al maresciallo Jean-Baptiste Jules Bernadotte, adottato come figlio da Carlo XIII di Holstein-Gottorp, che non ha eredi). Le principali potenze avversarie di Napoleone, e cioè la Prussia, l'Austria e l'Impero Bizantino, sono costrette all'obbedienza e ad aderire al suo blocco continentale, mentre la Russia ha tratto volentieri profitto dall'equilibrio di forze con la Francia, occupando immediatamente la Trasnistria e la Bessarabia, e ponendo il suo protettorato su Valacchia e Moldavia, facendosi addirittura garante dei diritti dei Bulgari e dei Serbi. Il trionfo di Napoleone sembra completo il 20 marzo 1811, quando sua moglie Maria dopo un parto difficile dà alla luce il sospirato erede maschio, Napoleone Andrea, subito nominato Re di Roma. La nuova Europa disegnata dall'Imperatore è però una costruzione artificiosa, figlia delle sue folgoranti vittorie, come dimostra la disinvoltura con cui egli piazza i suoi parenti al vertice di tutti gli stati europei, ed è destinata ad entrare in crisi alla prima seria sconfitta di Napoleone.
Intanto il Protospatario Bizantino Giorgio Papandréou, pur detestando sinceramente il Bonaparte, "copia" alcune delle sue innovazioni. Egli fa approvare dal Senato una Legge Fondamentale (abbozzo della futura Costituzione) che prevede per l'Impero una struttura amministrativa fortemente accentratrice, che in sostanza è rimasta tale fino a oggi. Il territorio è diviso in 25 Temi, divisi a loro volta in Province e in Comuni, rispettivamente amministrati da governatori, prefetti e sindaci. Le casse dello Stato vengono risanate mediante la fondazione della Banca Centrale Imperiale e dalla sostituzione del vecchio Solido d'Oro con la Dracma, nuova moneta (il cui nome è ripreso da quello di una unità monetaria dell'antica Grecia) pari al valore di 4,50516 grammi di argento al 900/1000. Nel campo dell'istruzione, Papandréou istituisce i licei e i politecnici, per formare una classe dirigente preparata, ma non trascura l'istruzione elementare, stabilendo che a tutti i cittadini dell'Impero, compresi i bambini dei più sperduti villaggi di montagna, debbano essere garantiti tre anni di istruzione obbligatoria e gratuita dai sette ai dieci anni. In assenza di un numero adeguato di maestri, egli invita molte ragazze della buona borghesia a frequentare le Scuole Magistrali da lui stesso fondate per occuparsi dell'istruzione del popolo, un invito che molte ragazze accettano con entusiasmo, essendo quella della Maestra una professione ritenuta di grande prestigio persino nei villaggi più poveri.
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I Bizantini a Waterloo
La pace faticosamente imposta all'Europa con i Trattati di Schönbrunn e di Zagabria non dura a lungo. Infatti, nonostante gli accordi stabiliti a Tilsit, lo zar Alessandro I ha cominciato a temere la crescente potenza di Napoleone e, sobillato dal Regno Unito, rifiuta di partecipare al Blocco Continentale, con la scusa che esso danneggerebbe irrimediabilmente l'economia russa. Siccome la Russia è l'ultima potenza del continente che il Bonaparte non controlla, questi decide di ridurlo all'obbedienza invadendo quel grande paese. Il 24 giugno 1812, in un'ansa del fiume Niemen, si raduna la Grande Armée, che con un totale di 691.500 uomini e 200.000 cavalli rappresenta il più numeroso esercito mai messo insieme in Europa fino ad allora. La Grande Armée è costituita da una forza d'urto centrale di 250.000 uomini al comando diretto dell'Imperatore, due linee frontali al comando di Eugenio di Beauharnais (con 80.000 uomini) e Gerolamo Bonaparte (con 70.000 uomini), più due corpi distaccati sotto il comando di Jacques MacDonald (32.500 uomini) e Karl Schwarzenberg (34.000) ed una riserva di 225.000 uomini. La maggioranza dei soldati è francese (450.000 uomini) mentre il resto delle truppe appartiene ai vassalli e agli alleati di Napoleone: sono presente 34.000 austriaci sotto il comando di Schwarzenberg, 95.000 polacchi, 90.000 uomini della Confederazione del Reno, 24.000 bavaresi, 20.000 sassoni, 20.000 prussiani, 17.000 uomini del Regno di Westfalia, diverse migliaia dei piccoli Stati tedeschi, 30.000 italiani, 25.000 napoletani, 12.000 svizzeri, 4.800 spagnoli bonapartisti, 3.500 croati e 2.000 portoghesi simpatizzanti di Napoleone, mentre Giorgio Papandréou, che non ha potuto dire di no all'Imperatore, ha inviato un corpo di spedizione di 15.000 uomini, che ovviamente sono presenti controvoglia alla spedizione, così come gli austriaci e i prussiani.
I russi dispongono di circa 250.000 uomini al comando del generale Michail Illarionovič Kutuzov, astuto e navigato stratega militare. Questi, resosi conto che in una battaglia campale contro Napoleone le sue truppe non hanno scampo, decide la tattica della ritirata e della terra bruciata: man mano che il Bonaparte avanza, egli arretra distruggendo sistematicamente tutto ciò che può essere di qualche utilità per il nemico. Il 7 settembre nei dintorni di Mosca i russi tentano di sbarrare alla Grande Armée la strada per l'antica capitale, ma la Battaglia di Borodino arride a Napoleone, che nel pomeriggio del 14 settembre entra trionfalmente a Mosca, deserta perchè abbandonata da tutti i suoi abitanti, e pone il suo quartier generale nel Cremlino, convinto che Alessandro sarà costretto a negoziare la pace. Ma quella stessa notte alcuni moscoviti rimasti nascosti in città appiccano il fuoco alle abitazioni di legno, e Mosca si trasforma in un terribile rogo, privando così di qualsiasi riparo le truppe napoleoniche. Il Corso tenta a più riprese di raggiungere un accordo di pace con Alessandro I, senza riuscire neanche a far ricevere i suoi messi, e perde tempo prezioso per la ritirata. Solo in prossimità dell'inverno si rende conto della necessità di abbandonare la città, e il 18 ottobre dà ordine di iniziare il viaggio di ritorno. Con la Battaglia di Maloyaroslavets, Kutuzov è abile nell'obbligare i francesi a riprendere la stessa strada per Smolensk già seguita all'andata, e già spogliata di ogni tipo di rifornimento da entrambi gli eserciti. Intanto la cavalleria leggera russa, fra cui i cosacchi a cavallo, assalta a più riprese le esauste unità francesi. Tutti i cavalli rimasti sono macellati per sfamare i soldati, e così la cavalleria francese cessa di esistere; senza cavalli da traino è necessario anche abbandonare carri e cannoni, privando l'esercito di artiglieria e supporto logistico. Fame, malattie e soprattutto il terribile inverno a 40° sotto zero decimano le truppe, e nell'attraversare il fiume Beresina i russi si dedicano al tiro al piccione contro le armate nemiche. Solo 22.000 uomini sopravvivono alla Campagna di Russia, dei 700.000 iniziali. Ai primi di dicembre Napoleone è informato del fatto che il Generale Claude de Malet ha diffuso a Parigi la notizia che l'Imperatore è morto e ha tentato un colpo di stato; per questo abbandona l'armata e fa ritorno in Francia, lasciando suo figlio adottivo Eugenio di Beauharnais al comando di ciò che è rimasto dell'esercito francese, mentre Gioacchino Murat rientra in Italia nel tentativo di salvare il suo Regno di Napoli. Kutuzov è considerato in patria un eroe nazionale, e la guerra contro gli invasori francesi, ricordata come Otečestvennaja Vojna ("Guerra Patriottica"), cementa in modo notevole l'identità nazionale; per ringraziare Dio della vittoria, lo Zar Alessandro fa innalzare la Cattedrale del Cristo Salvatore, poi distrutta per ordine del dittatore Stalin il 5 dicembre 1931, e infine ricostruita e riconsacrata il 19 agosto 2000.
Avendo assistito alla disfatta di Russia, e resesi conto che Napoleone non era affatto invincibile, le potenze europee sollevano la testa e formarono una nuova Coalizione, la Sesta, per schiacciare definitivamente il Corso. Alla vittoriosa Russia e al Regno Unito si uniscono subito l'Austria-Ungheria e la Prussia, che abbandonano l'alleanza forzata con Napoleone; a sorpresa, si schiera contro di lui anche il suo ex generale Jean-Baptiste Jules Bernadotte, ora Re di Svezia, e naturalmente i Borbone di Sicilia e i Savoia di Sardegna. Napoleone non si fa cogliere impreparato, e sconfigge i prussiani prima a Lützen il 2 maggio e poi a Bautzen il 21 maggio 1813. Ma l'insidia più grande è rappresentata dall'Impero Bizantino: il Mega Dux Teodoro Kolokotronis ha avuto tre anno di tempo per ricostruire un poderoso esercito dopo la Battaglia di Banja Luka, ma Napoleone è convinto che il Basileus Andrea IV non oserà unirsi alla Sesta Coalizione, dato che egli tiene praticamente in ostaggio la sua adorata figlia Maria, madre di suo nipote Napoleone Andrea. Ma per una volta l'Empereur ha fatto male i suoi conti: recatosi ad incontrarlo a Dresda, in Sassonia, il Protospatario Giorgio Papandréou pone come condizione per il mantenimento dell'alleanza con i Bizantini la restituzione di Bosnia, Isole Ionie, Creta e Cipro all'Impero, il rientro della Francia nei confini del 1789 e il ritorno dei legittimi sovrani sui troni da cui Napoleone li ha scacciati per sostituirli con i suoi parenti. Il Bonaparte non può accettare, e tra i due si arriva alle parole grosse: l'Imperatore dei Francesi, fuori di sé, minaccia di fare del male a Maria, e Papandréou ribatte che saranno le stesse truppe bizantine ad andare a liberarla a Parigi. Alla fine il Protospatario se ne va e il 12 agosto l'Impero Bizantino si unisce alla coalizione antifrancese. Il 27 agosto Napoleone coglie l'ultima vittoria della sua luminosa carriera, sconfiggendo russi e austriaci a Dresda, ma la debolezza della cavalleria francese, andata distrutta durante la disastrosa Campagna di Russia, permette al nemico di sganciarsi e riorganizzarsi, costringendo i francesi alla ritirata il 30 agosto nella Battaglia di Kulm. Infine, il 16 ottobre le forze residue di Napoleone, pari a 190.000 uomini, si scontrano a Lipsia con le truppe della Coalizione, forti di 350.000 uomini, in quella che la storiografia bizantina ricorderà come la Máke ton Etnón (Battaglia delle Nazioni), giacché vi partecipano praticamente tutte le nazioni d'Europa, Impero Romano d'Oriente ovviamente incluso. Sono presenti sul campo, oltre a Napoleone, lo Zar Alessandro I, l'Imperatore d'Austria Francesco I, il Re di Prussia Federico Guglielmo III, il Re di Svezia Jean-Baptiste Jules Bernadotte, il Basileus Andrea IV e il Mega Dux Teodoro Kolokotronis. Napoleone si batte come suo solito come un leone, ma l'inesperienza dell'esercito francese, formato in gran parte da giovani reclute, la defezione dei contingenti tedeschi e le soverchianti forze nemiche determinano la sua inevitabile sconfitta di Napoleone. L'esercito francese è costretto a ritirarsi attraverso la Germania in piena insurrezione contro l'occupazione napoleonica, mentre anche l'Olanda si rivolta e la Spagna è ormai persa.
Rientrato precipitosamente a Parigi, Napoleone è accusato di tirannia dalle Camere riunite, la nuova nobiltà da lui creata gli volta le spalle, il popolo ormai stanco delle guerre infinite rifiuta di combattere ancora per lui, e persino il cognato Gioacchino Murat lo tradisce e passa al nemico nella speranza di conservare il regno di Napoli. Il giorno di Natale 1813 la Francia è invasa dagli eserciti della coalizione, e Napoleone sa di non avere le forze per opporsi loro. Il 25 gennaio 1814, dopo aver nominato suo reggente il fratello Giuseppe e dopo aver salutato il figlio e la moglie Maria, che non rivedrà mai più, Napoleone si mette al comando di 60.000 veterani della Vecchia Guardia e per due mesi tiene testa al nemico, ma il 31 marzo Parigi capitola: il primo ad entrare vittorioso nella capitale è il Mega Dux Bizantino Kolokotronis, che subito raggiunge Maria e la riporta da suo padre. Papa Pio VII rientra trionfalmente a Roma dopo anni di prigionia in Francia, ma sarà proprio lui a dare asilo alla madre e alle sorelle di Napoleone. Quest'ultimo tenta ancora di negoziare, ma il Basileus Andrea IV gli impone l'abdicazione. Dopo aver tentennato a lungo, il 6 aprile il Corso decide di abdicare in favore del figlio sotto la reggenza di sua madre Maria, ma l'astuto Talleyrand ha voltato nuovamente gabbana e ha già preso accordi con bizantini, austriaci e russi per restaurare sul trono i Borboni. In cambio, Giorgio Papandréou convince gli alleati inglesi, russi ed austriaci ad esiliarlo sull'isola d'Elba, riconoscendogli la sovranità sull'isola e il titolo di Imperatore. Il 12 aprile Napoleone tenta di avvelenarsi, ma si salva miracolosamente, ed il 4 maggio sbarca sull'isola d'Elba, da lui definita « una pietruzza ». Egli spera che lo raggiungano la moglie e il figlio, ma Maria è rientrata a Costantinopoli con il figlio, che riceverà un'educazione bizantina e alla corte verrà chiamato semplicemente "il Sevastokrator Andrea".
Il 1 novembre 1814 si apre il Congresso di Costantinopoli, alla quale partecipano tutte le nazioni europee coinvolte nelle avventure napoleoniche, per dare un nuovo assetto all'Europa. Il Regno Unito è rappresentato dal Ministro degli Esteri Robert Stewart, Visconte Castlereagh; l'Austria-Ungheria dal Ministro degli Esteri, Principe Klemens von Metternich; la Prussia dal Cancelliere, principe Karl August von Hardenberg, e dallo scienziato Wilhelm von Humboldt; la Russia dallo zar Alessandro I in persona e dal suo Ministro degli Esteri, Conte Karl Vasilevič Nesselrode; la Spagna dal Marchese Pedro Gómez de Labrador; il Portogallo dal Plenipotenziario Pedro de Sousa Holstein, Conte di Palmella; la Svezia dal Ministro degli Esteri, Conte Carl Löwenhielm; la Danimarca dal Ministro degli Esteri Conte Niels Rosenkrantz; i Paesi Bassi dal Barone Hans von Gagern; il Regno di Sardegna dal Ministro della Guerra Filippo Antonio Maria Asinari, Marchese di San Marzano; lo Stato Pontificio dal Segretario di Stato Cardinale Ercole Consalvi; il Regno delle Due Sicilie dal Ministro delle Finanze Luigi de' Medici, Principe di Ottaviano e duca di Sarno; la Repubblica di Venezia dal Plenipotenziario e poeta Anton Maria Lamberti; la Francia dal sempreverde Maurice de Talleyrand, ora Ministro degli Esteri di Luigi XVIII di Borbone (un uomo per tutte le stagioni!); e l'Impero Bizantino dal Basileus Andrea IV e dal Protospatario Giorgio Papandréou, padrone di casa.
Al Congresso di Costantinopoli trionfa il Principio di Legittimità, per cui tutti i sovrani legittimi devono tornare sui troni occupati prima della tempesta napoleonica, e gli stati devono tornare ai confini del 1789; tuttavia con alcune importanti eccezioni. La Francia ritorna ai confini prerivoluzionari, grazie all'abile azione diplomatica di Talleyrand, che fa passare la Francia come vittima della tirannide napoleonica, conserva la Corsica e acquisisce anzi il territorio di Avignone, in precedenza appartenuto allo Stato Pontificio. La Polonia rimane spartita fra Austria, Prussia e Russia; quest'ultima se ne aggiudica la gran parte. La Prussia acquisisce il 40 % della Sassonia, la Renania settentrionale e la Westfalia, estendendo di molto il proprio territorio. A differenza di quanto accaduto nella nostra Timeline, però, per far da contraltare all'Impero Romano d'Occidente si decide di ripristinare il Sacro Romano Impero Germanico, assegnandone la corona all'Imperatore d'Austria Francesco d'Asburgo, che torna a chiamarsi Francesco II e a fregiarsi del titolo di Re dei Romani; ora il Sacro Romano Impero è composto da 39 stati, compresi Austria, Prussia, alcuni territori appartenenti alla Danimarca e l'Hannover, in unione personale con il sovrano del Regno Unito. La Norvegia è trasferita dalla Danimarca alla Svezia per compensare la perdita della Finlandia, annessa alla Russia; quest'ultima conserva anche Trasnistria e Bessarabia. L'Impero Bizantino recupera la Bosnia, le Isole Ionie, Creta e Cipro, annette la Repubblica di Ragusa e ritrova il protettorato su Valacchia e Moldavia, anche se l'Ungheria annette la Bucovina. Il Regno di Sardegna recupera Nizza e Savoia ed annette anche la ex Repubblica di Genova, in modo da formare un grande stato cuscinetto contro le ambizioni francesi sull'Italia (in questo caso il principio di legittimità va a farsi benedire). Tuttavia l'Impero Bizantino punta i piedi e pretende la restaurazione della Repubblica di Venezia nei confini antecedenti al 1797, a differenza della nostra Timeline; all'Austria restano Milano e la Lombardia occidentale, cui viene aggregata la Valtellina, tolta alla Svizzera, per servire da ponte con il resto dell'Impero. In compenso Vienna conserva i Paesi Bassi austriaci, ora ribattezzati Belgio austriaco, e come detto annette la Bucovina dalla Moldavia. Papandréou pretende anche la restituzione di Malta ai Cavalieri di San Giovanni, seppur sotto stretto protettorato britannico. La Svizzera sceglie la neutralità perpetua. Il Ducato di Parma e Piacenza ritorna subito ai Borbone-Parma (nella nostra Timeline fu invece concessa in vitalizio a Maria Luisa d'Asburgo), il Granducato di Toscana (inclusa Lucca da subito) torna agli Asburgo-Lorena e il ducato di Modena agli Asburgo-Este. Il Papa riottiene il suo Stato Pontificio, mentre in Italia il cognato di Napoleone Gioacchino Murat vine inizialmente autorizzato a mantenere il Regno di Napoli. Pochi lo sanno, ma il Congresso di Costantinopoli si pronuncia anche nettamente contro la tratta degli schiavi neri in America.
Intanto però Napoleone non si rassegna ad essere imperatore solo dell'Isola d'Elba, anche perché i britannici propongono al Congresso di Costantinopoli di deportarlo ben più lontano dall'Europa. Appreso che il Re di Francia Luigi XVIII di Borbone, fratello del defunto Luigi XVI, è inviso ai suoi sudditi perché si è rifiutato di concedere una Costituzione e governa come un sovrano assoluto, decide di agire: il 27 febbraio 1815 organizza una grande festa cui invita tutta la popolazione dell'isola, e nella grande confusione le spie inglesi lo perdono di vista, cosicché egli può imbarcarsi in gran segreto su un bastimento che lo aspetta nel porto. L'Empereur elude la sorveglianza della flotta inglese e il 1 marzo 1815 sbarca nel golfo di Cannes: iniziano i leggendari "Cento giorni". La popolazione lo accoglie con un entusiasmo sorprendente e il maresciallo Ney, mandatogli incontro per arrestarlo, si unisce a lui con le sue truppe. Il 20 marzo Napoleone entra trionfalmente a Parigi, da cui Luigi XVIII è fuggito in gran fretta. Subito i sovrani d'Europa organizzano contro di lui la Settima (ed ultima) Coalizione, guidata da Britannici e Bizantini.
Riorganizzato in gran fretta l'esercito, Napoleone promulga una costituzione liberale, ritornando ai principi del 1789, ed offre ai nemici la pace alla sola condizione di mantenere il trono di Francia, ma i delegati del Congresso di Vienna rifiutano la proposta all'unanimità. Onde evitare una nuova invasione del suolo francese, Napoleone fa la prima mossa invadendo il Belgio. Il suo piano prevede una manovra su due ali per dividere e annientare i britannici e i bizantini (superiori di numero) prima che essi potessero congiungersi, ma esso viene mandato all'aria dall'inefficienza dei suoi marescialli, soprattutto Emmanuel de Grouchy, inviato a fermare i Bizantini, il quale commette l'errore di attaccare solo la loro retroguardia, scambiandola per l'intera armata. E così il 18 giugno 1815 (« la giornata del destino », come la definirà Victor Hugo) Napoleone ingaggia battaglia con gli inglesi guidati dal Duca di Wellington nella celeberrima battaglia di Waterloo. Il Mega Dux Bizantino Teodoro Kolokotronis, sganciatosi da Grouchy, piomba sui francesi proprio nel bel mezzo della battaglia, determinando la definitiva sconfitta di Napoleone. Ultimo ad arrendersi è il giovane generale Pierre Cambronne, diventato famoso per la parolaccia pronunciata all'indirizzo dell'ufficiale bizantino che gli intimava la resa. Di quest'episodio Victor Hugo scriverà, nel Capitolo XV dei suoi "Miserabili":
« Colui che ha vinto la battaglia di Waterloo non è Napoleone sconfitto, non è Wellington, che alle quattro ripiega e alle cinque si dispera, non è Kolokotronis che non ha proprio combattuto; colui che ha vinto la battaglia di Waterloo è Cambronne. Poiché fulminare con una tale parola il nemico che vi annienta, vuol dire vincere! »
Napoleone ripiega su Parigi, ma è di nuovo costretto alla resa. Dopo aver tentato inutilmente di fuggire negli Stati Uniti, il 15 luglio 1815 si arrende agli inglesi che lo imbarcano sulla nave "Bellerofont" e lo deportano in una minuscola isoletta nel bel mezzo dell'Oceano Atlantico, che per colmo d'ironia si chiama Sant'Elena. Chissà se, « al tacito / morir d'un giorno inerte, / chinati i rai fulminei, / le braccia al sen conserte », oltre che « dei dì che furono » lo ha assalito il ricordo dell'insulto contro l'imperatrice Sant'Elena, scagliato in un impeto di rabbia!
Su quella « sì breve sponda », « l'uom fatale » morirà il 5 maggio 1821 di cancro allo stomaco, e Alessandro Manzoni gli dedicherà una delle sue odi più belle:
« Dagli Appennini all'Attica, / dal Manzanarre al Reno, / di quel securo il fulmine / tenea dietro al baleno, / scoppiò da Scilla al Tanai, / dall'uno all'altro mar [...] La procellosa e trepida / gioia d'un gran disegno, / l'ansia d'un cor che indocile / serve, pensando al regno; / e il giunge e tiene un premio / ch'era follia sperar. / Tutto ei provò... »
Il 15 dicembre 1840 le ceneri di Napoleone saranno traslate nella cripta della cattedrale di Saint-Louis des Invalides a Parigi, dove riposano tuttora.
Il 26 settembre 1815 lo Zar di tutte le Russie, l'imperatore d'Austria e del Sacro Romano Impero ed il re di Prussia concludono un trattato di alleanza dal linguaggio ispirato e quasi mistico, influenzato dalla temperie romantica di quest'epoca, con il quale annunciano di voler governare « come delegati della Divina Provvidenza », perché « il mondo cristiano non ha altro sovrano che Colui al quale soltanto appartiene il potere: Dio ». Ampiamente deriso da molti delegati al Congresso di Costantinopoli (Papandréou, che pure è molto religioso, lo definisce « un nulla altisonante »), questo patto ha in realtà lo scopo dichiarato di mantenere ad ogni costo lo status quo in Europa, intervenendo tutti insieme per soffocare eventuali nuovi moti rivoluzionari; diverrà dunque il simbolo dello spirito reazionario del Congresso. Alla Santa Alleanza aderiscono tra gli altri Francia, Spagna, Svezia, stati tedeschi, Regno di Sardegna e Regno delle Due Sicilie; il Regno Unito e l'Impero Bizantino si rifiutano invece di firmarne il documento programmatico, ritenendolo il trionfo dell'assolutismo monarchico. Il Congresso di Costantinopoli e la Santa Alleanza saranno ampiamente criticati dagli storici del XIX e XX secolo, perché esso ha ridisegnato la carta d'Europa infischiandosene delle aspirazioni dei popoli ed ha tentato di imporre "a tavolino" il modello di monarchia assoluta, tentando di riportare indietro l'orologio della storia come se la Rivoluzione Francese non fosse mai avvenuta (ed infatti di lì a pochi anni cominceranno a scoppiare moti liberali), ma occorre ricordare che alcuni storici (fra i quali Henry Kissinger) hanno rivalutato il Congresso, avendo esso assicurato all'Europa un secolo di pace senza guerre tali da sconvolgere l'intero continente.
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Grandi riforme in quel di Costantinopoli
Mentre nella nostra Timeline l'Italia uscita dal Congresso di Vienna si trova interamente sotto egemonia austriaca, in questa l'Italia uscita dal Congresso di Costantinopoli mostra una realtà che non vuole saperne di vassallaggio agli Asburgo: la ricostituita Repubblica di Venezia, che è debitrice all'Impero Bizantino della sua stessa esistenza. Il 28 dicembre 1815 il Maggior Consiglio della Serenissima elegge 121° Doge proprio Anton Maria Lamberti, 58 anni, già delegato al Congresso di Vienna, che immediatamente firma un patto di mutua difesa con Giorgio Papandréou, in chiara funzione antiaustriaca. Questo evento, fondamentale per la sopravvivenza della Serenissima nell'era della Restaurazione, rappresenta il primo indizio del progressivo raffreddarsi dei rapporti tra Bisanzio e Vienna, che finirà per condurre alla Prima Guerra Mondiale.
L'11 ottobre 1817 il Basileus Andrea IV muore a 66 anni, dopo 29 anni di regno, probabilmente a causa di una emorragia cerebrale. Gli succede il primogenito Costantino XV, 28 anni, che ha sposato Anna Pavlovna Romanova (18 gennaio 1795 – 1 marzo 1865), l'ottava figlia dello Zar Paolo I di Russia, a cui si era pensato come possibile sposa di Napoleone Bonaparte. Questa gli darà due figli:
1) Andrea (nato il 30 gennaio
1816), che gli succederà con il nome di Andrea V;
2) Anna (14 marzo 1817 – 7 giugno 1886), che il 19 giugno 1833 sposerà Oscar
Bernadotte, figlio del Re di Svezia Jean-Baptiste Jules Bernadotte, e l'8 marzo
1844 diverrà Regina di Svezia.
Siccome Costantino XV è giovane ed inesperto, si affida al suo Protospatario Papandréou, inaugurando la moderna tradizione democratica bizantina che vede la maggior parte del potere esecutivo concentrato nelle mani del governo, mentre il Basileus resta una figura rappresentativa dell'unità dell'Impero ed il comandante in capo delle forze armate di terra e di mare. Costantinopoli si allontana definitivamente dalle potenze assolutistiche europee, e rafforza l'alleanza con il Regno Unito; Papandréou poi firma un trattato di amicizia anche con gli Stati Uniti d'America, e riconosce i nuovi stati che stanno sorgendo in America Centrale e Meridionale dalla dissoluzione dell'Impero Coloniale Spagnolo. La necessità di rimettere in sesto le finanze dopo le sfibranti e costose guerre contro Napoleone spinge Papandréou a rafforzare la politica mercantilistica e ad incentivare l'industrializzazione del paese mediante ampi sussidi statali. Nelle fabbriche, concentrate soprattutto nelle regioni di Atene e di Tessalonica, fanno la loro comparsa le macchine a vapore e la produzione di beni in serie. L'industrializzazione crea un flusso migratorio dalle campagne ai grandi centri industriali, e perciò favorisce l'urbanesimo: la capitale, Adrianopoli, Tessalonica, Atene, Smirne diventano grandi metropoli (mentre tra le altre Efeso e Mistra restano città di arte e di cultura). Il tenore di vita generale si alza, ma aumentano anche le differenze fra le classi sociali: diminuisce l'importanza politica e sociale dei piccoli contadini e degli artigiani, ed anche nell'Impero si forma una classe proletaria che farà sentire ben presto la sua voce. Grazie al Cielo il Protospatario si rende conto che le riforme in campo economico non possono andare disgiunte da una profonda riforma in senso politico, giacché la nuova borghesia commerciale che si sta formando scalpita per poter partecipare al governo dell'Impero. Per questo, superati i tentativi di boicottaggio da parte della nobiltà tradizionalista, già in gran parte decaduta a causa del mercantilismo, incarica il Senato di elaborare una Costituzione. Purtroppo egli non ne vedrà la promulgazione, perchè morirà il 30 dicembre 1820, e verrà sostituito da Giovanni Capodistria, ultimo Protospatario di nomina imperiale diretta.
Il 1 settembre 1821, che rappresenta il Capodanno bizantino, il Basileus Costantino XV promulga la Costituzione dell'Impero, detta Costituzione Settembrina o Costituzione dell'Anno 7320. Questa decisione, fortemente osteggiata dal Duca di Metternich, provoca un'ulteriore raffreddamento sui due imperi di qua e di là della Sava. La Costituzione prevede che il Senato sia composto per un terzo (100 membri) da esponenti dell'antica nobiltà, del clero e delle famiglie dell'alta borghesia, tutti scelti dal Basileus, e per due terzi (200 membri) da liberi cittadini eletti direttamente dal popolo in appositi collegi uninominali. Possono votare ed essere eletti tutti i cittadini che sanno leggere e scrivere e pagano almeno 100 dracme di tasse all'anno; in questo modo può effettivamente votare solo il 3 % della popolazione, ma si tratta comunque di un notevole passo avanti sulla strada della democrazia rappresentativa. La Costituzione, molto vicina a quelle della Rivoluzione Francese, prevede inoltre la libertà di parola, stampa e associazione, dando di fatto il via alla costituzione di Partiti Politici. Viene inoltre assicurata la libertà di culto, anche se la Religione Ortodossa resta religione di stato, e ogni neonato alla nascita è automaticamente registrato negli elenchi battesimali della Chiesa Ortodossa. Viene infine ridotto notevolmente il numero dei reati per cui è prevista la pena di morte; si stabilisce che essa può essere comminata solo per impiccagione, eliminando pratiche crudeli come lo squartamento o l'impalamento, e viene abolita definitivamente la tortura, sotto pena di gravi condanne per chi la pratica.
Prima di proseguire, un piccolo inciso che riguarda il Santuario di Tino, definita "la Lourdes bizantina". Nel febbraio del 1821 sull'isola di Tino, nelle Cicladi, un certo Michele Polyzoi, che ha 80 anni, vede in sogno una Donna splendente e bellissima che gli diceva con dolcezza:
"Vai nel mio campo, quello di Antonio Doxara, scava e recupera la mia santa Icona."
Destatosi, l'anziano si consulta con il Pope locale che lo conduce dal Metropolita Gabriele, ma questi si mostra titubante. Allora il 9 luglio 1822, nel Monastero della Madre di Dio dei Santi Angeli, la pia monaca Pelagia vede lei pure in sogno una Signora circondata di luce che le ordina di nuovo di scavare nel podere di Antonio Doxara. La monaca, impaurita, chiedere: « Ma tu, chi sei? » Allora la Signora indicò con il dito il mondo e inizia: « Terra, annuncia una grande gioia... » Pelagia riconosce il Megalinario della IX Ode del Canone festivo dell’Annunciazione: e comprende che si tratta della Vergine Maria. Informa allora il Metropolita Gabriele, che decide di avviare i lavori di scavo. La ricerca proseguì fino a quando, il 30 Gennaio 1823, un operaio di nome Vlassi colpisce con la zappa un'icona dell'Annunciazione, che era rimasta nascosta nella terra per quasi ottocento anni. L’icona è oggi detta della Madonna Evangelístria, ossia dell’Annunciazione, ed è chiamata dal popolo anche Megalocharis, ossia "la Piena di Grazia"; le si attribuiscono molti miracoli, e per conservarla è stato eretto sull'Isola di Tino un colossale Santuario, tuttora meta di pellegrinaggi da parte dei fedeli ortodossi di tutto il mondo.
Torniamo ora alle vicende politiche. Le prime elezioni bizantine del 5 maggio 1822 vedono i 200 senatori eletti dividersi in due partiti, che traggono il nome da antiche cariche civili dell'Impero:
1) i Sakellariòi (dal latino
"sacellus", "borsa per le monete"), conservatori e
tradizionalisti, legati alla Chiesa e alla tradizione assolutistica bizantina, giudicano più che sufficienti le riforme fin qui attuate per
modernizzare l'Impero, e sono favorevoli a mantenere l'amicizia con l'Austria-Ungheria;
2) i Domestikòi, liberali e progressisti, propugnatori di più ampie riforme in senso democratico,
vorrebbero uno stato pienamente laico e parlamentare sul modello del Regno Unito
e degli Stati Uniti d'America, e sono desiderosi di appoggiare i moti carbonari che in questi anni stanno mettendo
a soqquadro l'Europa.
Gli scontri tra Sacellarii e Domestici animeranno la vita politica bizantina dei due secoli a venire. In ogni caso, siccome i Domestici hanno ottenuto la maggioranza dei voti (anche se i conservatori hanno più deputati, tra Senato elettivo e Senato di nomina imperiale), il Basileus conferisce la carica di Protospatario al suo amico d'infanzia Alessandro Ypsilanti, leader della fazione Liberale, il quale sostiene finanziariamente sia il pronunciamiento di Cadice in Spagna contro l'assolutismo di Ferdinando VII di Borbone, sia l'insurrezione di Napoli, promossa da Guglielmo Pepe contro Ferdinando I delle Due Sicilie (il quale si è sempre vantato di governare con tre F: Feste per i nobili, Farina per il popolo e Forche per gli oppositori). Entrambe comunque stroncate nel sangue dai sovrani assoluti.
Ma Ypsilanti si è dimenticato di un piccolo particolare: se si sostengono le ribellioni in casa d'altri, è molto probabile che le ribellioni si estendano anche a casa nostra. Ciò vale in particolare per i Bulgari, che da più di quattro secoli sono soggetti al dominio bizantino, e per primi vengono contagiati dalla nuova atmosfera romantica, la quale esalta le aspirazioni nazionali dei popoli. L'embrione del movimento patriottico prende vita non nella Bulgaria, bensì negli ambienti dell'emigrazione bulgara in Europa, specialmente in Francia: il nuovo clima romantico rivaluta il concetto di nazione come entità etnicamente omogenee che condivide una storia e delle tradizioni, e come sappiamo la Bulgaria nel Medioevo ha avuto una lunga tradizione di indipendenza e anche di potenza. Inoltre, a differenza della Rivoluzione Francese, fondamentalmente illuministica e laica, la Rivoluzione Bulgara ha profonde radici cristiane, e nasce anzitutto dal generale risentimento dei Bulgari nei confronti del controllo greco sulla Chiesa Bulgara, che invece ha sempre aspirato all'autocefalia. Il "padre nobile" dell'aspirazione bulgara all'indipendenza è considerato San Paisiy Hilendarski, monaco e scrittore vissuto in Bulgaria tra il 1722 e il 1773, autore della "Istoriya Slavyanobolgarskaya", uno dei capolavori della letteratura bulgara e prima grande opera storiografica di questa nazione, in cui tra l'altro è contenuta la celeberrima frase:
« Perché ti vergogni di chiamarti Bulgaro? »
Nella sua opera, San Paisiy Hilendarski sottolinea ossessivamente il pericolo per i Bulgari di cadere vittime dell'ellenizzazione da parte del clero greco, come accaduto a buona parte dei Macedoni e degli Albanesi. Il desiderio di riavere una Chiesa Nazionale Bulgara indipendente da Costantinopoli rappresenta perciò la prima scintilla della rivolta bulgara contro l'Impero Bizantino. Nel 1820 alcuni intellettuali bulgari di spicco minacciano di abbandonare la Chiesa Ortodossa e di dare vita ad una Chiesa Bulgaro-Cattolica in comunione con il Papa di Roma, ed allora il Primo Ministro Giovanni Capodistria presenta al Basileus Costantino XV una bozza di Decreto Legge per creare un Esarcato Bulgaro; l'Imperatore si lascia convincere e lo firma, e così il 28 febbraio 1821 la Bulgaria è elevata ad Esarcato; il primo esarca bulgaro Antim I diventa di conseguenza il leader naturale della nazione emergente. Il Patriarca di Costantinopoli Eugenio II reagisce duramente e scomunica l'Esarcato bulgaro, il che però non fa altro che rafforzare la volontà di indipendenza.
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La Guerra d'Indipendenza Bulgara
Nell'aprile del 1822 scoppia in Bulgaria la cosiddetta "Rivolta di Aprile", organizzata da una società segreta di stampo carbonaro nota come "Saedinenieto pravi silata" ("L'Unione fa la Forza"), e chiamata dai bizantini "il Leone Rampante", poiché questo simbolo compare nel suo stemma. Le ribellioni sono chiaramente ispirate alle insurrezioni europee dell'anno precedente, ed hanno il loro epicentro nella regione di Plovdiv, in alcune province della Bulgaria settentrionale, in Macedonia e nella zona di Sliven. Sfortunatamente il Mega Dux Teodoro Kolokotronis scavalca l'autorità del nuovo Protospatario Alessandro Ypsilanti, favorevole al dialogo con gli insorti, e del suo Ministro della Guerra Markos Botzaris, e dopo aver ottenuto il placet del Basileus Costantino XV (evidentemente facile a cambiare idea), nella sua qualità di capo supremo delle forze armate bizantine, decide di stroncare brutalmente la rivolta, con gli stessi metodi dei sovrani assoluti che Ypsilanti combatte con tanta efficacia. Per questo l'esercito bizantino, che di fatto obbedisce al Basileus anziché al governo, utilizza truppe irregolari di mercenari, che si abbandonano a violenze inenarrabili. Molti villaggi vengono saccheggiati e circa 12.000 persone vennero massacrate, la maggior parte dei quali rivoltosi delle città di Batak, Peruštica e Bracigovo nella zona di Plovdiv. A Bracigovo la popolazione viene pressoché interamente sterminata ed i Pope ortodossi fedeli all'Esarcato Bulgaro sono impiccati. A Batak tutti gli uomini sono attirati in un'imboscata dall'esercito bizantino e passati per le armi; le donne allora si recano sul ciglio di un burrone e, all'apparire delle truppe imperiali, buttano giù i loro figli e infine vi si precipitano esse stesse: un episodio che il pittore francese Eugène Delacroix ritrarrà in un suo celebre olio su tela del 1824. Niccolò Foscolo osa alzare apertamente la voce contro il macello bulgaro, ed è costretto all'esilio per non finire in carcere o peggio (si spegnerà in povertà a Londra il 10 settembre 1827).
Il fatto che Kolokotronis e le sue truppe ignorino bellamente il parere del governo costituzionale (un rigurgito della tradizione assolutistica bizantina) provoca la caduta del governo Ypsilanti. Questi è sostituito da Alessandro Mavrokordatos, del Partito dei Sacellarii, che invece appoggia Kolokotronis e la sua brutale repressione. Tuttavia, come ampiamente previsto da Ypsilanti, i massacri destano un'ampia indignazione presso i liberali di tutta l'Europa, a partire da Arthur Wellesley, il celeberrimo Duca di Wellington, che lancia una campagna di stampa contro quelli che chiama "gli orrori bulgari". La campagna viene supportata da vari intellettuali europei, tra i quali Alessandro Manzoni, Wolfgang Goethe, Friedrich Schelling, Samuel Taylor Coleridge, François-René de Chateaubriand e Ludwig van Beethoven; naturalmente l'impatto delle loro denunce sull'opinione pubblica europea è paragonabile per l'Impero Romano a una sconfitta devastante in battaglia. Alcuni, come l'inglese George Gordon Byron e gli italiani Santorre di Santarosa e Giuseppe Rosaroll, partono per unirsi ai rivoluzionari, che resistono disperatamente, arroccati tra le vallo dei Monti Vitoša. Il 19 aprile 1824 Lord Byron muore di meningite a Septemvri, stringendo al petto il manoscritto del XVII canto del suo "Don Juan", che così resta incompiuto, mentre Santorre di Santarosa, reduce dalla fallita insurrezione piemontese cantata da Manzoni nel "Marzo 1821", muore nell'assedio di Rakitovo l'8 maggio 1825. Per di più l'Austria-Ungheria comincia a foraggiare di nascosto i ribelli, e sobilla anche i Bosniaci a fare altrettanto.
Mavrokordatos si trova ben presto in una situazione senza apparente via d'uscita: Regno Unito e Stati Uniti d'America lo pressano affinché arrivi ad una fine negoziale della guerra bulgara, minacciando di stracciare gli accordi commerciali con Bisanzio, mentre l'esercito rivendica il conflitto come cosa di sua competenza, continuando la lotta contro la ribellione; il Basileus dal canto suo tenta di barcamenarsi fra le due posizioni, oggi ricevendo e sostenendo l'ex Protospatario Ypsilanti che continua a sommergerlo di petizioni per intavolare trattative con i Bulgari, e domani assicurando a Kolokotronis che l'esercito ha il suo sostegno, tanto che alcuni Liberali bizantini cominciano a carezzare l'idea di deporre l'imperatore. La situazione si sblocca solo nel 1826, dopo l'ennesima strage di civili a Plovdiv, colpevoli solo di manifestare a favore dell'autodeterniazione bulgara: il nuovo Zar di Russia Nicola I Romanov decide di accogliere la richiesta d'aiuto dei Bulgari (ignorata dal suo predecessore Alessandro I) e di intervenire direttamente contro l'Impero Bizantino, onde evitare il massacro di un popolo slavo che, a sentire lo Zar, sarebbe « fratello di quello russo » (ma in realtà Nicola vuole solo far entrare la Bulgaria nella propria zona di influenza). Nonostante Prussia e Regno Unito gli chiedano di non immischiarsi nelle faccende interne bizantine, lo Zar invia le proprie truppe le quali prima prendono facilmente il controllo di Moldavia e Valacchia, e poi passano il Danubio infliggendo una durissima sconfitta a Kolokotronis presso Pleven. Nel frattempo la flotta russa del Mar Nero attacca il porto di Varna, praticamente annientando la flotta bizantina alla fonda, capitanata dal navarca Andreas Miaoulis, che muore nello scontro.
Nel bel mezzo della Guerra d'Indipendenza Bulgara, il Basileus Costantino XV muore il 9 aprile 1827 a soli 37 anni, in seguito a un assurdo incidente di caccia (sport del quale egli è appassionato) sulle montagne del Pindo: uno dei suoi compagni di caccia spara ad un cespuglio che si muove, pensando che vi si nasconda una preda, ed invece colpisce alla testa l'Imperatore, che muore poche ore dopo. Subito si scatenano le illazioni: secondo alcuni l'ufficiale dell'esercito che ha sparato sarebbe stato pagato dagli Austriaci e dai Russi per eliminare il sovrano ed indebolire l'Impero, ma l'autore materiale del regicidio si protesterà sempre innocente, e ben tre Commissioni istituite dal Senato per investigare sull'accaduto arriveranno tutte alla conclusione che si è trattato di uno sfortunato incidente (ma qualche dubbio permane ancor oggi). In ogni caso il Senato fa proclamare nuovo Basileus il figlio Andrea V, che ha solo 11 anni, e perciò sarà coadiuvato da un Consiglio di Reggenza formato dal Protospatario Alessandro Mavrokordatos, dal Generale Georgios Karaiskakis e da Maria, la vedova di Napoleone Bonaparte, che gode di grandissimo prestigio alla corte di Costantinopoli. La Basilissa Anna, sdegnata per essere stata esclusa dalla reggenza, abbandona l'Impero Bizantino e torna alla corte di San Pietroburgo.
Dopo una nuova schiacciante vittoria russa ad Etropoli il 20 ottobre 1827, e dopo che anche i Turchi Karamanidi hanno attaccato le frontiere orientali dell'Impero, la reggente Maria riesce a silurare Kolokotronis e tutto il suo entourage militare, mentre Mavrokordatos è costretto a chiedere la mediazione britannica per porre fine alla guerra prima che l'esercito russo giunga sotto le Mura Teodosiane. Le trattative vanno per le lunghe perchè la Russia pretende di ritagliare nei Balcani uno stato bulgaro enorme, esteso fino a Tessalonica e all'Albania, ovviamente satellite di Mosca, mentre le altre potenze europee preferirebbero che la Bulgaria resti nominalmente parte integrante dell'Impero Romano, con una larghissima autonomia, in modo da indebolire Bisanzio ma da non concedere nuovi spazi alla Russia. Dopo che Londra e San Pietroburgo hanno sfiorato lo scontro aperto sulla questione bulgara, si giunge infine alla Pace di Adrianopoli, con la quale Costantinopoli concede l'indipendenza a uno stato bulgaro più piccolo di quello attuale, compreso tra il Danubio e la catena dei Monti Balcani, con la sede del governo nella vecchia capitale di Veliko Tărnovo, ed inclusa Sofia. Nicola I vorrebbe eleggere sovrano del nuovo stato suo fratello minore, il Granduca Michele, ma Regno Unito, Francia ed Austria-Ungheria offrono invece la corona ad Ottone di Wittelsbach, secondo figlio del Re Ludovico I di Baviera. Inoltre Moldavia e Valacchia passano definitivamente dalla sfera d'influenza greca a quella russa. L'Impero Bizantino subisce così il primo serio ridimensionamento territoriale dopo molti secoli. Mavrokordatos è costretto a dimettersi, e le nuove elezioni riportano a capo del governo Ypsilanti, che gli subentra anche nella Reggenza dell'Impero, mentre nuovo Mega Dux dell'Impero diventa l'altro Reggente Georgios Karaiskakis. La Guerra d'Indipendenza Bulgara ha almeno un influsso positivo sulla storia bizantina: gli intellettuali si convincono definitivamente della necessità di attribuire quasi tutti i poteri al Senato (la camera legislativa) e al Governo (l'esecutivo), sottoponendo il controllo dell'esercito al Ministero della Guerra, non più al capriccio del Mega Dux e dei Generali, e lasciando al Basileus una mera funzione di rappresentanza. Il passaggio definitivo dall'assolutismo imperiale alla democrazia rappresentativa avviene proprio durante il periodo di Reggenza del Basileus Andrea V, la cui tutela spetta tra gli altri proprio al Protospatario, eletto dal popolo (per quanto da una piccola percentuale di esso) e non più di nomina regia. I partiti politici divengono il fondamento della stabilità politica ed economica dell'Impero, e le elezioni legislative vengono fissate ad intervalli regolari di 5 anni, mentre finora si tenevano solo al momento della caduta dell'esecutivo precedente.
Onde evitare che anche Bosniaci, Serbi, Macedoni e Albanesi seguano l'esempio bulgaro, Ypsilanti fa passare al Senato una serie di leggi che aumentano l'autonomia delle etnie diverse da quella greca. Inoltre nel 1830 il Principe-Vescovo montenegrino Petar II Petrović-Njegoš è investito dal Consiglio di Reggenza dell'Impero Bizantino con il titolo laico di Principe del Montenegro, onde ricompensarlo dell'aiuto fornito all'Impero durante la Guerra d'Indipendenza Bulgara. Lo stato montenegrino cessa di essere una teocrazia retta da vescovi ortodossi, completamente dipendente da Bisanzio, e si trasforma in un vero stato riconosciuto dalle maggiori potenze europee. Petar II Petrović-Njegoš è anche uno dei massimi poeti della sua gente: ci ha lasciato tra l'altro il poema epico-religioso "Il serto della montagna".
Ma la Guerra d'Indipendenza Bulgara ha profonde ripercussioni anche in Europa. Il successo dei rivoluzionari bulgari restituisce coraggio ai Liberali francesi, che con le "Tre Gloriose Giornate" del 27-29 luglio 1830 cacciano definitivamente i Borboni elevando al trono Luigi Filippo d'Orléasns ("Monarchia di Luglio"). Inutilmente il reazionario Re Carlo X aveva tentato di distrarre l'opinione pubblica francese dai problemi interni occupando l'Algeria e togliendola ai Mamelucchi ormai in declino. Nell'agosto dello stesso anno la rivoluzione si estende ai Paesi Bassi Spagnoli che, con l'aiuto militare della Francia e con il tacito appoggio del Regno Unito e dell'Impero Bizantino, danno vita al nuovo Regno del Belgio. L'Austria riconoscerà definitivamente la loro indipendenza solo nel 1838. Inoltre, il contrasto tra la Russia (che ha supportato i Bulgari per estendere la propria influenza nei Balcani) e l'Austria-Ungheria (Metternich ha bollato i Bulgari come "sovversivi rivoluzionari") porta alla lunga allo scioglimento della Santa Alleanza e alla ricerca di nuovi equilibri in Europa.
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La Rivoluzione Industriale Bizantina
Il 5 marzo 1832 muore il Doge di Venezia Anton Maria Lamberti, il Maggior Consiglio elegge come 122° Doge Alvise Mocenigo, 56 anni, amico personale di Ypsilanti, ostilissimo all'Austria ed alleato di ferro dell'Impero Bizantino. Ma il 31 gennaio 1833 Alessandro Ypsilanti muore improvvisamente (come al solito c'è chi pensa a un avvelenamento); le nuove elezioni vedono la vittoria dei Sacellarii, nuovo Protospatario e Reggente diventa Andrea Metaxas. Questi accantona l'amicizia con Vienna, dopo che gli Asburgo si sono intromessi negli affari bizantini a favore dei Bulgari, e comincia a sostenere la causa italiana in funzione chiaramente austriaca (della serie: battili con i loro stessi mezzi). A Costantinopoli arriva così Giuseppe Mazzini, in esilio volontario dopo l'arresto e il processo subito in Piemonte a causa della sua affiliazione alla Carboneria, che proprio sul Bosforo fonda la "Giovine Italia", influenzato dal movimento sansimoniano con il quale è entrato in contatto in Francia. Il suo progetto politico è quello di un Italia unita, indipendente e repubblicana, obiettivo da conseguirsi tramite insurrezioni armate (come quella bulgara) coordinate tra di loro e sostenute da potenze straniere, in primis proprio Bisanzio. Poco dopo arriva a Bisanzio anche Filippo Buonarroti, autore della "Congura degli Eguali". Con lui Mazzini dà vita alla "Giovine Europa", con lo scopo di riunire e coordinare le azioni dei popoli europei che aspirano all'indipendenza nazionale, come la Polonia e l'Ungheria. Tali organizzazioni hanno vita più lunga che nella nostra Timeline, giacché le pressioni di Metternich su Metaxas affinché espella Mazzini e Buonarroti dall'Impero non hanno ovviamente alcun esito.
Subito Mazzini organizza il suo primo tentativo insurrezionale, che ha come basi Chambéry, Torino, Alessandria e Genova, dove egli conta su larghe adesioni nell'ambiente militare. Ma prima ancora che l'insurrezione scoppi, a causa di una rissa fra soldati avvenuta in Savoia, la polizia sabauda scopre ed arresta molti dei congiurati, duramente puniti poiché appartenenti a quell'esercito sulla cui fedeltà Re Carlo Alberto fonda il proprio potere. Fra i condannati figurano i fratelli Giovanni e Jacopo Ruffini, amici personali di Mazzini ed esuli a Costantinopoli come lui. Per timore di fare i nomi dei suoi compagni di cospirazione sotto tortura, Jacopo Ruffini si taglia le vene in carcere, mentre altri congiurati riescono a salvarsi con la fuga. Non ha miglior successo un tentativo insurrezionale a Genova, che dovrebbe essere guidato da un giovane ed ancora sconosciuto Giuseppe Garibaldi, arruolatosi nella marina da guerra sarda per svolgere propaganda rivoluzionaria tra gli equipaggi: quando giunge sul luogo dove dovrebbe iniziare l'insurrezione egli trova ad attenderlo solo la polizia politica, cui sfugge solo grazie alla sua proverbiale fortuna. Per salvarsi dalla condanna a morte emanata contro di lui, sale su una nave in partenza per l'America del Sud, dove continuerà a combattere per la libertà dei popoli oppressi, e diverrà l'Eroe dei Due Mondi.
Espulso dalla Svizzera dove si è spostato, Mazzini cerca di nuovo rifugio a Costantinopoli (e non in Inghilterra, come nella nostra Timeline), dove continua la propria azione politica attraverso discorsi pubblici, lettere e scritti su giornali e riviste, alimentando l'aspirazione all'unità e all'indipendenza degli italiani. Purtroppo i moti mazziniani si rivelano tutti dei fiaschi, ma alla lunga un risultato lo ottengono: spaventato dall'entusiasmo con cui i giovani hanno abbracciato la causa mazziniana, a dispetto delle numerose condanne a morte da lui firmate, Carlo Alberto di Savoia-Carignano decide di cambiare linea politica e, onde evitare di finire prima o poi detronizzato come i Borboni di Francia, si apre ad un cauto riformismo e si dedica al rinnovamento dello Stato, svecchiandone le strutture, risanando le finanze, promuovendo lo sviluppo economico, riorganizzando l'esercito e dando impulso alle industrie e alle ferrovie. Consigliato da intellettuali cresciuti alla scuola di Mazzini come Vincenzo Gioberti e Massimo d'Azeglio, egli raffredda sempre più i suoi rapporti con l'Austria (non dimentichiamo che ha sposato l'arciduchessa Maria Teresa d'Asburgo-Lorena), per avvicinarsi progressivamente al Regno Unito, alla Francia di Luigi Filippo e all'Impero Bizantino.
Il 30 gennaio 1834 Andrea V compie 18 anni ed è dichiarato maggiorenne. Egli sposa Elisabetta di Prussia (18 giugno 1815 – 21 marzo 1885), figlia del principe Federico Guglielmo Carlo di Prussia, a sua volta settimogenito del re Federico Guglielmo II di Prussia e di sua moglie Federica Luisa d'Assia-Darmstadt. Dal matrimonio nasceranno solo tre figlie femmine:
1) Irene (12 settembre 1837 –
13 marzo 1892), che sceglierà la carriera ecclesiastica e diverrà badessa del
Monastero di San Demetrio a Tessalonica;
2) Maria Anna (25 maggio 1843 – 16 aprile 1865), che sposerà il granduca Federico Francesco II di
Meclemburgo - Schwerin, ma morirà a meno di 22 anni;
3) Sofia (16 novembre 1847 – 24 maggio 1900) che, pur essendo la minore, come
vedremo diverrà Basilissa.
Sotto il regno di Andrea V ha impulso l'industrializzazione dell'Impero, grazie a macchine (soprattutto telai meccanici) importate dal Regno Unito, nonché la politica di Libero Scambio, favorita dal potenziamento della flotta commerciale a discapito di quella di guerra. Condizioni favorevoli per l'industrializzazione sono offerte dalla lavorazione del cotone: le filature e le tessiture richiedono solo un piccolo capitale iniziale, ed assicurano alti profitti secondo uno schema già collaudato in Inghilterra: gli schiavi neri sono trasportati dalle colonie bizantine nel Golfo di Guinea al sud degli Stati Uniti, che poi vende a prezzo di favore il cotone grezzo all'Impero, esso è lavorato e quindi il prodotto finito è esportato sul mercato internazionale. Tra il 1789 e il 1848 l'importazione di cotone sale da 4 milioni a 150 milioni di libbre, mentre il prezzo del filato cala del 90 %, e la flotta commerciale bizantina apre nuovi mercati di vendita in Sudamerica e nel mondo arabo, approfittando della posizione strategica di Costantinopoli nel Mediterraneo Orientale e del suo controllo degli Stretti. L'enorme incremento delle risorse finanziarie crea poi le premesse per lo sviluppo di nuovi settori industriali che esploderanno alla fine del XIX secolo, come l'industria pesante e quella alimentare. Nel 1833 è fondato il Politecnico di Costantinopoli, una delle scuole in cui si formeranno generazioni di ingegneri e di architetti dell'Impero.
L'abbondanza di capitali porta ben presto alla Rivoluzione Agraria, promossa da Metaxas: i piccoli proprietari sono espulsi dai loro fondi, vengono ampliate le grandi proprietà, i "campi aperti" sono chiusi e recintati dai grandi latifondisti appoggiati dal Senato, su tutti il ricchissimo Petros Mavromichalis, padrone incontrastato della Penisola di Mani, nel sud del Peloponneso. Nonostante la povertà del territorio greco, i loro mezzadri lavorano la terra con mezzi più razionali e moderni (fertilizzanti, rotazione delle culture), anch'essi importati dall'Inghilterra. Si rende così disponibile della manodopera che è costretta ad emigrare nelle grandi città e a cercare impiego nella nascente industria manifatturiera. D'altro canto i progressi in campo medico (igiene, profilassi, lotta contro le epidemie) e l'aumento della popolazione agricola portano in breve tempo alla sovrappopolazione, alla fuga dalla terra e alla formazione di un proletariato urbano. Parte di quest'ultimo è costretto all'emigrazione, verso gli Stati Uniti d'America, il Brasile e l'Argentina.
Proprio per dare una valvola di sfogo all'emigrazione dei contadini greci in fuga dalla miseria, Metaxas porta avanti a tappe forzate la colonizzazione della Nuova Attica (la nostra Nuova Zelanda): man mano che la popolazione aumenta, vengono fondate le città di Nicea (la nostra Wellington), Laodicea (Dunedin) e Tauranga. Ottimi i rapporti con i Maori, desiderosi di commerciare con i Greci, da loro chiamati Pakeha. L'introduzione della patata e delle armi da fuoco ha un notevole impatto sulla società Maori, modificando i rapporti di forza tra le varie tribù e portando alle cosiddette "guerre del moschetto". Intanto, diversi missionari bizantini si stabiliscono nel paese, convertendo gran parte dei Maori al Cristianesimo Ortodosso. Una parte invece è convertita al Cattolicesimo da missionari italiani e francesi. Il 6 febbraio 1840 il Governatore della Nuova Attica Costantino Kanaris firma il Trattato di Waitangi (in lingua Maori "Te Tiriti o Waitang") con 40 capitribù Maori dell'Isola del Nord, allo scopo di impedire la penetrazione coloniale inglese e francese nell'Isola del Sud. In realtà il Trattato è ingannevole, perchè la copia in lingua greca differisce in alcuni punti da quella tradotta in Maori dal missionario Gregorio Kalamaras (che diverrà Vescovo della Nuova Attica ed in seguito morirà martire): firmando il Trattato, i capi Maori accettano spontaneamente di cedere tutti i loro poteri sull'Isola del Nord al Basileus, mentre nella copia in Maori si parla solo di mutuo soccorso e cooperazione economica. Comunque, il Trattato di Waitangi costituisce l'atto di fondazione della nazione neoatticana, e il 6 febbraio in essa è ancora Festa Nazionale. Nel 1854 verrà insediato a Nicea il primo Parlamento Nazionale della Nuova Attica.
Il 1 settembre 1836, giorno di Capodanno a Bisanzio, è inaugurata la prima linea ferroviaria dell'Impero Bizantino, che congiunge Costantinopoli ad Adrianopoli, e può trasportare sia persone che merci; a bordo del primo convoglio a percorrere la tratta ci sono il Basileus Andrea V, la Basilissa e il Protospatario. Il 15 ottobre dello stesso anno è realizzata la linea ferroviaria che congiunge Atene al Pireo, mentre nel 1848 sarà ultimata la grande linea ferroviaria Atene-Tessalonica-Costantinopoli, prima grande strada ferrata ad unire le principali città europee dell'Impero. Il 4 ottobre 1873 infine verrà inaugurato l'Orient Express, la linea ferroviaria che congiunge tra loro Parigi, Losanna, Milano, Venezia, Belgrado, Sofia e Costantinopoli; esso diverrà uno dei simboli della Belle Époque, e su di esso saranno ambientati innumerevoli racconti, romanzi, e film, tra i quali "Assassinio sull'Orient Express" (1934) di Agatha Christie e "Agente 007: dalla Russia con amore" (1963).
Il progresso dell'economia bizantina nella direzione del capitalismo e del libero scambio, destinata a portare l'Impero al livello di nazioni come la Francia, il Belgio, i Paesi Bassi, la Svizzera e la Svezia, culmina il 1 settembre 1846 nella fondazione della Borsa di Costantinopoli. Pochi giorni dopo inizia le sue pubblicazioni "I Kathimerini" (letteralmente "il Quotidiano"), il più antico quotidiano bizantino tuttora pubblicato, e sicuramente uno dei giornali più prestigiosi dell'Impero, di orientamento conservatore. Come in tutte le nazioni moderne, la diffusione dei periodici d'informazione va di pari passo con il progresso tecnologico, con l'industrializzazione e con la lotta all'analfabetismo: nel 1855 uscirà ad Atene "Ta Nea", un altro dei giornali più diffusi nell'Impero, di orientamento progressista, e nel 1862 "To Vima" ("La Tribuna"), che si rivolge ad un pubblico intellettuale di fascia alta.
L'industrializzazione, la rivoluzione agraria e l'inserimento nel mercato mondiale attraverso la politica coloniale, oltre a concentrare la popolazione nelle aree industriali, elevano il tenore di vita e il reddito nazionale, favorisce il successo personale di chi ha iniziativa imprenditoriale indipendentemente dalla nascita e dal censo, e favorisce la nascita di una società democratica divisa in classi, ma inevitabilmente porta con sé le lotte sociali che caratterizzano tutte le potenze economiche emergenti dell'Ottocento. L'eccedenza di offerta di lavoro e i sistemi vessatori da parte degli imprenditori (orari di lavoro eccessivamente lunghi, salari da fame, sfruttamento del lavoro minorile) fanno prendere una coscienza di classe al proletariato, che dà inizio alle prime proteste, per ora ancora disorganizzate. Il Ministro delle Finanze di Metaxas, Drossos Mansolas, giustifica le paghe da fame con la teoria dei salari dell'economista britannico David Ricardo, secondo il quale lavoro e prodotto sono sottoposti alla stessa legge della domanda e dell'offerta. La questione sociale diventerà ben presto uno dei problemi più urgenti dell'Impero Bizantino.
Il Basileus Andrea V ritratto nel 1835 dal pittore tedesco Gottlieb Bodmer
Ma il Basileus Andrea V è anche protettore di artisti, alcuni dei quali sono inviati all'Accademia di Monaco per poter assorbire gli stili dominanti in Europa. Proprio a Monaco si formano gli scultori Giovanni Kosos (1823-1872) e Giannoules Halepas (1854-1938); quest'ultimo purtroppo si spegnerà in un manicomio. Tra i pittori, schiettamente romantica è l'opera di Niceforo Lystras (1832-1904) e di Nicola Gysis (1842-1901). Tra i letterati attivi alla corte di Andrea V va invece citato Dionisio Salomòs (1798-1859), nato a Zante come Niccolò Foscolo, il quale ha compiuto i suoi studi in Italia ed è diventato amico di Vincenzo Monti e Niccolò Tomaseo (oltre che dello stesso Foscolo). I canti di Salomòs, fortemente impregnati di romanticismo, cantano la grandezza nei secoli dell'Impero Bizantino, soprattutto degli imperatori Basilio II e Giovanni X. Famosissimo è il suo "Inno alla Libertà", che sarà musicato nel 1828 da Nikos Mantzaros e nel 1866 verrà adottato come inno nazionale bizantino:
« Se gnorìνzo apò tin kòpsi,
tou spathiòi tin tromerè,
Se gnorìzo apò tin òpsi,
pou me via metrai tèn gè.
Ap' ta kòkala valmène,
ton Ellènon ta ierà,
Kai san pròta andreiomène,
chaire, o chaire, Eleftherià! »
[Ti riconosco dal taglio
terribile della spada,
ti riconosco dall'espressione
che contempla la terra con vigore.
Risollevata dalle ossa
sacre dei Greci,
e valorosa come prima,
salve, salve, o Libertà!]
Intanto però Metaxas, che per 15 anni si è alternato al potere con altri esponenti del suo Partito (Giovanni Kolettis, Kitsos Tzavelas e Giorgio Kountouriotis), commette un grave errore: egli sostiene la politica del suo ministro per i culti, Michele Schinas, massone dichiarato (come molti esponenti dell'alta borghesia bizantina), il quale tenta di sopprimere buona parte dei monasteri ortodossi per incamerare i loro cospicui beni nel demanio imperiale. In uno stato che si è sempre appoggiato alla Chiesa Ortodossa come cemento dell'unità nazionale e come sostegno morale nei periodi di crisi più acuta, e nel quale la pratica religiosa popolare è ai massimi in Europa, una politica del genere non può che sollevare gravi controversie ed obiezioni. Il Patriarca di Costantinopoli Antimo VI insorge contro il governo Metaxas, invitando alla disobbedienza civile, ed è per questo deposto d'autorità da Michele Schinas, che così scavalca una delle prerogative che la Costituzione riconosce ancora al Basileus. A sorpresa, Antimo VI riceve la solidarietà del Papa di Roma, Pio IX, che intrattiene con il suo "collega" ortodosso il primo scambio epistolare diretto dopo otto secoli (cioè dallo Scisma del 1054). A questo punto i Liberali, pur favorevoli a ridurre il potere della Chiesa Ortodossa, approfittano dell'occasione per mettere Metaxas in minoranza al Senato, cosicché egli è costretto a dimettersi e si va a nuove elezioni, vinte dall'ex governatore della Nuova Attica Costantino Kanaris, rientrato in patria per capeggiare il Partito dei Domestici. Andrea V rimette Antimo VI sul trono e la proposta di Legge Schinas è ritirata. I progressisti tornano così al potere proprio alla vigilia di un anno cruciale: il 1848.
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La tempesta del Quarantotto
Preparata dalla guerra svizzera del Sonderbund (3-29 novembre 1847) e dalla pubblicazione a Londra del "Manifesto del Partito Comunista" di Karl Marx e Friedrich Engels (21 febbraio 1848), scoppia improvvisa la cosiddetta "Primavera dei Popoli", un'ondata di moti rivoluzionari borghesi che sconvolgono l'Europa della Restaurazione in modo tanto radicale, che entra nel linguaggio corrente l'espressione "combinare un quarantotto" per indicare un improvviso scompiglio generalizzato.
Il 12 gennaio 1848 divampa la rivoluzione siciliana capeggiata da Ruggero Settimo, che porta all'indipendenza dell'isola per sedici mesi. L'11 febbraio Re Ferdinando II delle due Sicilie è costretto a promulgare una Costituzione liberale, scritta da Francesco Paolo Bozzelli. Il 17 febbraio anche il Piemonte è in rivolta e Re Carlo Alberto di Savoia promulga lo Statuto Albertino. Il 22 febbraio il popolo di Parigi, scontento della Monarchia di Luglio, si riversa nelle strade della città e punta sulle Tuileries dove si è asserragliato il Re Luigi Filippo d'Orléans, che è costretto alla fuga: è proclamata la Seconda Repubblica Francese. Il 13 marzo la rivolta contagia Vienna: il reazionario Principe di Metternich, anima e simbolo della Restaurazione, fugge dalla città e il Sacro Romano Imperatore Ferdinando I abdica a favore del fratello Francesco Carlo, il quale a sua volta rinuncia a favore del figlio Francesco Giuseppe I, di appena 18 anni: questi regnerà addirittura fino al 1916. Anche l'Ungheria si solleva contro il dominio asburgico, reclamando un re nazionale. Il 15 marzo le sommosse si estendono al vicino Impero Bizantino: Serbi, Bosniaci e Albanesi si rivoltano, il Governatore di Durazzo è linciato dalla folla inferocita.
Il 17 marzo scoppia un'insurrezione popolare anche a Venezia: il popolo reclama una Costituzione più democratica che ponga fine alla millenaria oligarchia della Repubblica di San Marco. Il doge Alvise Mocenigo rassegna le dimissioni, il Maggior Consiglio riunito d'emergenza elegge al suo posto Daniele Manin, 44 anni, nipote del 120° doge Ludovico Manin (scacciato da Napoleone), che subito introduce il suffragio universale maschile ed abolisce la pena di morte. Naturalmente l'esempio di Venezia si estende immediatamente al vicino milanese: a scatenare la rivolta è un episodio apparentemente marginale. L'Amministrazione austriaca ha appena imposto l'ennesima tassa sul tabacco, ed allora in segno di protesta i milanesi decisero di non fumare più. Il vecchio generale Radetzky, eroe delle guerre napoleoniche ed ora governatore della città, in segno di ripicca manda in giro dei soldati austriaci a fumare ostentatamente sigari per le strade; un popolano, sentendosi provocato da un austriaco che gli ha sbuffato il fumo in faccia, gli assesta un robusto cazzotto. Al tentativo dei soldati di arrestarlo, i passanti ne prendono le difese, ed in breve la rivolta dilagò per tutta la città. E così dal 18 al 22 marzo Milano insorge contro l'occupazione austriaca (le gloriose Cinque Giornate di Milano) e caccia Radetzky con le sue armate: Gabrio Casati e Carlo Cattaneo formano un governo provvisorio, e sulla guglia del Duomo di Milano è innalzato il tricolore. Radetzky si ritira in Valtellina, dove l'Impero d'Austria ha eretto numerose fortezze (in questa Timeline il "Quadrilatero" non esiste, essendo parte della Serenissima Repubblica).
Gli insorti di Milano convincono il Re di Sardegna Carlo Alberto, detto il "Re Tentenna" per le sue indecisioni, a dichiarare guerra all'Austria e a mettersi a capo della riscossa nazionale: è il 23 marzo. All'Esercito Sardo si uniscono volontari toscani, emiliani e romagnoli, mentre il doge Daniele Manin finanzia sottobanco la guerra contro gli Asburgo. Il 30 aprile, presso Lecco, l'Esercito Sardo blocca la controffensiva austriaca dalla Valtellina, e il 28 maggio a Morbegno ottiene una brillante vittoria, ma dal Trentino affluiscono nuove truppe che sconfiggono quelle sarde a Mandello Lario ed invadono nuovamente la Lombardia, proprio nel giorno in cui Gabrio Casati annuncia l'annessione del Milanese al Regno di Sardegna. Dopo una nuova sconfitta, il 5 agosto Carlo Alberto è costretto a chiedere l'armistizio di Salasco, e gli Austriaci rientrano a Milano da Porta Romana: tutte le città liberate tornavano nelle mani degli austriaci, che hanno schiacciato nel sangue la ribellione.
Nello Stato della Chiesa, che ha conosciuto alcune timide riforme liberali con Pio IX, il 15 novembre 1848 viene assassinato il primo ministro moderato Pellegrino Rossi, e Pio IX fugge nella fortezza napoletana di Gaeta; poco dopo lo raggiunge Leopoldo II di Toscana, fuggito a sua volta da Firenze. A Roma Giuseppe Mazzini, rientrato in fretta e furia da Costantinopoli, proclama la Repubblica Romana; anche Garibaldi rientra dall'America per difendere la Repubblica Romana. Intanto il generale bizantino Giorgio Karaiskakis reprime definitivamente la rivolta in Bosnia, riconquistando Banja Luka il 13 marzo 1849.
Carlo Alberto rompe la tregua con l'Austria il 20 marzo 1849, ma viene duramente sconfitto a Novara il 23 marzo. Deluso, abdica in favore del figlio Vittorio Emanuele II e va in esilio in Portogallo, dove morirà poco dopo. La fine della Prima Guerra d'Indipendenza Italiana è segnata dall'armistizio di Vignale del 26 marzo: Radetzky incontra Vittorio Emanuele II e lo invita ad abrogare lo Statuto Albertino, ma egli ribatte con una frase passata alla storia:
« Casa Savoia conosce la via dell'esilio, ma non quella del disonore! »
Nelle settimane successive Radetzky chiude definitivamente la partita con i patrioti lombardi, soffocando sul nascere i tentativi di ribellione di Como e Cremona. Dal canto suo Luigi Napoleone, figlio di Luciano Bonaparte (fratello dell'Empereur), eletto Presidente della Repubblica Francese, invia il generale francese Oudinot a rovesciare la Repubblica Romana, dopo che Papa Pio IX gli ha chiesto aiuto. Il 15 maggio Ferdinando II delle Due Sicilie abroga la Costituzione, fa bombardare Messina (da qui il suo epiteto di "Re Bomba") e stronca il tentativo di secessione della Sicilia. Nonostante l'eroica difesa da parte di Garibaldi (negli scontri muore sua moglie Anita, che è incinta), il 1 agosto la Repubblica Romana cade; sia Mazzini che Garibaldi sono costretti a fuggire in esilio a Costantinopoli. Dopo un lunghissimo assedio il 23 agosto cade anche Firenze, e tutti i principi scacciati ritornano sul trono. La violenza dell'assolutismo ha prevalso ancora una volta sulla libera volontà dei popoli; ma sarà l'ultima.
Ritornata padrona dell'Italia, l'Austria pensa di chiudere i conti anche con il doge veneziano Daniele Manin, che ritiene colpevole di aver foraggiato i ribelli milanesi. Ma Giorgio Karaiskakis giunge in laguna con una flotta e avvisa Radetzky che, se tenterà l'invasione della Serenissima, sarà la guerra, e stavolta dovrà vedersela con le sue truppe ben munite, e non con i volonterosi ma pochi patrioti lombardi. Schiumante di rabbia, il generale è costretto a vedere la Repubblica di Venezia accogliere gli esuli milanesi, sfuggiti alla repressione e alle forche austriache, e in qualche caso assegnare loro cariche importanti. Grazie alla protezione bizantina, il doge Daniele Manin diventa uno degli idoli dei liberali italiani, insieme a Re Vittorio Emanuele II di Savoia che si è rifiutato di abrogare la Costituzione.
Gli storici per lo più ritengono che la Rivoluzione del 1848, alla fin fine, sia stata un sanguinoso fallimento, giacché Italia, Germania, Polonia, Bosnia e Albania non sono riuscite a conseguire l'unità e l'indipendenza; ma essa avrà degli strascichi a lungo termine, proprio come la Rivoluzione Francese. Italiani, Bosniaci e Albanesi soprattutto ritengono che la partita sia solo rimandata, ed hanno imparato la lezione: da soli non ce la faranno mai ad abbattere le dominazioni straniere, ed hanno bisogno di costruire una rete di alleanze; grazie a tale strategia, le loro istanze nazionali troveranno compimento nel decennio 1860-70. Se ci concentriamo sull'Impero Bizantino, scopriamo che la causa italiana trova non pochi sostenitori tra il popolo greco. Naturalmente ne conta molti meno nella nobiltà e nell'esercito, visto il timore che la rivoluzione indipendentista si estenda anche alla Bosnia, alla Serbia e all'Albania, come accaduto nel 1848, ma è proprio l'opinione pubblica che nell'Impero di Andrea V può condizionare fortemente l'indirizzo del governo. I giornali progressisti si schierano nettamente contro l'Austria e contro l'idea di monarchia assoluta, mentre a Tessalonica è fondata un'associazione, la "Falange degli Amici dell'Italia", che organizza addirittura raccolte di fondi a favore dei patrioti. Nel 1857 un comizio ad Atene del patriota Aurelio Saffi richiama in piazza più di 2000 ascoltatori, e due celebri cavalli da corsa, vincitori di innumerevoli gare nell'Ippodromo di Costantinopoli, vengono battezzati rispettivamente Mazzini e Garibaldi. L'Austria risponde con gli strumenti della propaganda: "La Bilancia", giornale filoaustriaco stampato a Milano, definisce l'Impero Bizantino « l'avara aquila bicipite che s'impingua soffiando sul fuoco della rivoluzione », la quale « subirà il castigo meritato dai violatori della pace ». Incredibilmente però la causa italiana guadagna sostenitori persino in Russia, dove ogni barlume di rivoluzione è immediatamente scrutato con successo: sebbene il timore che la Polonia si ribelli di nuovo sia fortissimo, indebolire l'Austria-Ungheria per agevolare l'espansione russa nei Balcani è diventata la priorità per lo Zar Alessandro II.
Intanto il progresso tecnologico avanza senza soste. Il 12 aprile 1850 viene realizzata la prima linea telegrafica dell'Impero Bizantino, basata sull'alfabeto Morse. Essa congiunge Costantinopoli sul Bosforo a Gallipoli sui Dardanelli. Il 1 settembre 1851 è adottato ufficialmente nell'Impero il Sistema Metrico Decimale. Il 26 gennaio 1853 l'americano Mercator Cooper (1803-1872), che naviga per conto della Marina Bizantina, nel corso di una battuta di caccia al tricheco con la nave Anatolì ("Oriente") è uno dei primi uomini della storia a sbarcare nel continente antartico, su una costa che battezza Terra di Andrea V in onore del Basileus regnante. L'Impero stabilisce anche una base per lo sfruttamento dei depositi di guano sull'isolotto disabitato di Clipperton, nel Pacifico, 1280 Km a ovest delle coste messicane. Nel 1854 è la volta di Antonio Meucci, esule dal Granducato di Toscana in seguito al suo coinvolgimento nei moti del 1831, il quale ha trovato rifugio a Costantinopoli. Qui egli ospita in casa sua Giuseppe Garibaldi, messosi fortunosamente in salvo dopo la caduta della Repubblica Romana, e con lui impianta una fabbrica di candele steariche. Per mettere in comunicazione il suo ufficio con la camera da letto dove la moglie Ester Mochi è costretta da una grave malattia, egli idea il "telettrofono", in grado di trasmettere la voce umana attraverso un cavo elettrico. L'ingegnere bizantino Alessandro Xenakis intuisce l'importanza della scoperta e impianta insieme a Meucci una fabbrica che produce i primi esemplari del nuovo apparecchio, battezzato "telefono" (un nome indubbiamente greco). Nel 1876 l'ingegnere americano Alexander Graham Bell intenterà causa contro Xenakis e Meucci, sostenendo di aver ideato il telefono per primo, ma la perderà; nonostante questo, ancor oggi negli Stati Uniti Bell è considerato (erroneamente) l'inventore del telefono. Antonio Meucci morirà ricchissimo e stimato da tutti il 18 ottobre 1889, e sarà sepolto nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme.
Il Protospatario Bizantino Costantino Kanaris
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La Guerra di Crimea
E giungiamo così al 1853, l'anno della Guerra di Crimea. Questo conflitto trae origine da un clamoroso errore di valutazione da parte dello Zar Nicola I Romanov. Questi si è convinto che l'Impero Bizantino sia ormai vicino al collasso, come dimostrerebbero le rivolte nazionaliste di bosniaci, serbi e albanesi del 1848; basterebbe una spallata per conquistare gli Stretti del Bosforo e dei Dardanelli, ottenendo così il sospirato sbocco sul Mediterraneo. Nicola I pensa che il Governo Conservatore di Londra non solo non muoverebbe un dito per salvare il suo moribondo alleato orientale, ma anzi in caso di conflitto si alleerebbe con lui per occupare le isole Ionie, il Peloponneso, Creta e Cipro, ed anche il Sacro Romano Impero parteciperebbe volentieri alla spartizione; il resto sarebbe lasciato ai popoli balcanici, divenuti fedeli alleati di Mosca. In realtà il Primo Ministro Britannico John Russell non può assolutamente permettere all'Impero Russo di mettere un piede nel Mediterraneo, contrastando la supremazia britannica in questo mare, ottenuta proprio grazie all'alleanza con Bisanzio, baluardo storico dell'Europa contro il dilagare dell'Islam prima e contro la prepotenza russa poi. Tuttavia il sovrano russo non comprende la posizione britannica e, nonostante i consigli dei suoi generali, continua a considerare il Regno Unito suo potenziale alleato nella conquista dell'Impero Bizantino, e comincia i preparativi per la guerra.
Naturalmente Costantino Kanaris non resta con le mani in mano e, avvistosi delle manovre russe che cercano un pretesto qualsiasi per intervenire, mobilita la flotta e ammassa truppe al confine con la Bulgaria, alleata di ferro di San Pietroburgo; intanto costruisce una rete di alleanze. Lord Russell garantisce il suo sostegno a Bisanzio; a sorpresa, l'Impero riceve anche l'appoggio di Luigi Napoleone, che nel frattempo si è fatto prendere dalle manie di grandezza dello zio, e si è fatto nominare Imperatore dei Francesi con il nome di Napoleone III (Secondo Impero). Nicola I pensava che il novello Imperatore sarebbe rimasto alla finestra a guardare, ma anch'egli non può permettere che i russi facciano irruzione nel Mediterraneo, ora che la Francia progetta di espandersi nell'Africa del Nord ai danni dei Mamelucchi. A questo punto fa irruzione sulla scena politica Camillo Benso, Conte di Cavour e Primo Ministro del Regno di Sardegna, il quale, dimostrando notevole lungimiranza e fiuto politico, aderisce alla coalizione filobizantina, nonostante la freddezza dell'opinione pubblica piemontese e la contrarietà di Re Vittorio Emanuele: egli ha intuito infatti che questa è l'occasione buona per presentare alle grandi potenze europee l'urgenza di risolvere il problema italiano, prima che scoppino nuove pericolose rivoluzioni. La sua strategia si rivelerà vincente.
Il 2 luglio 1853, dopo aver provocato ad arte un incidente navale, Nicola I dichiara guerra all'Impero Bizantino e le truppe russe invadono i Principati danubiani di Moldavia e Valacchia, che godono della protezione bizantina, mentre una fregata zarista bombarda il Bosforo. Subito le navi inglesi e francesi che stazionano nell'Egeo attraversano i Dardanelli e si dispongono in difesa della capitale. Mentre le truppe terrestri zariste sono respinte dalla sollevazione del popolo rumeno, le forze della coalizione portano la guerra in territorio russo, invadendo la penisola di Crimea (da cui il nome di Guerra di Crimea). All'invasione partecipa anche un Corpo di Spedizione Sardo di 18.000 soldati, capeggiati dal generale Alfonso Lamarmora, ed un contingente inviato dalla Repubblica di Venezia, storico alleato di Bisanzio. I russi non sono in grado di fronteggiare le forze della coalizione, per una serie di ragioni: i loro vascelli sono ancora a vela, mentre il nemico li ha a vapore; non hanno cannoni a canna rigata ma liscia, con una gittata tre volte inferiore; non hanno ferrovie per il trasporto delle truppe, dei viveri e delle armi; non dispongono di riserve addestrate per il completamento dell'esercito operante; l'unico loro vantaggio sta nell'uso delle prime mine marittime. L'Austria, che Nicola I sperava lo avrebbe appoggiato, offre invece appoggio diplomatico a Costantinopoli, temendo l'espansione russa nei Balcani, mentre la Prussia rimane neutrale, alla faccia della Santa Alleanza, lasciando così la Russia sola e priva di alleati.
Le truppe alleate sono comandate del francese Armand Jacques Achille Leroy de Saint-Arnaud, del britannico FitzRoy James Henry Somerset, lord Raglan, e dal bizantino Nicola Zervas; esse sbarcano in Crimea nel settembre 1854, e come c'era da aspettarsi colgono tutta una serie di vittorie, dimostrando l'assoluta impreparazione russa ad affrontare una coalizione internazionale. I bersaglieri sardi si distinguono nella Battaglia della Cernaia, mentre a Balaklava e a Inkermann si battono i franco-inglesi. Dopo che il Mega Dux bizantino Nicola Zervas ha colto un grande successo contro i russi nella battaglia dell'Alma (20 settembre 1854), anche grazie al corpo di spedizione veneziano, il 17 ottobre 1854 gli alleati cingono d'assedio la fortezza di Sebastopoli, che resisterà 349 giorni, fino all'8 settembre 1855, quando i bizantini e i bersaglieri piemontesi riescono ad impossessarsi della posizione fortificata di Malakoff, grazie ad un assalto perfettamente coordinato. La città di Sebastopoli non è più difendibile e i russi la evacuano, dopo aver distrutto le fortificazioni. A tale assedio, che ai russi è costato 4000 morti e 16.000 tra feriti e prigionieri, partecipa anche Leone Tolstoj in qualità di ufficiale d'artiglieria; il grande scrittore rievocherà la sua esperienza nei "Racconti di Sebastopoli". Lo svolgimento della guerra e in particolare l'assedio di Sebastopoli vengono seguiti per la prima volta "in diretta" dall'opinione pubblica europea e bizantina grazie all'innovazione del telegrafo.
Il 2 marzo 1855 lo Zar Nicola I è morto, ufficialmente di polmonite, ma si pensa di crepacuore per l'andamento disastroso del conflitto da lui fortemente voluto (ma c'è chi parla addirittura di suicidio). Il suo figlio e successore Alessandro II si rende conto che non ce la farà mai a battere mezza Europa coalizzata contro di lui e nel febbraio 1856 è costretto a chiedere la pace, accantonando per sempre i sogni di conquista dell'Impero Bizantino. In tutto la guerra è costata 500.000 morti alla Russia e 400.000 alla coalizione, ma bisogna dire che la maggior parte di essi non sono caduti in combattimento, bensì a causa delle epidemie, soprattutto di colera, che hanno falcidiato gli eserciti.
Il Congresso di Pace di Parigi (25 febbraio-3 marzo 1856) vede scontrarsi le posizioni del Regno Unito, che vorrebbe espellere la Russia dal Caucaso e vietarle di tenere una flotta da guerra sia nel mar Nero che nel Baltico, e dell'Austria-Ungheria, che tenta di annettere la Moldavia, la Valacchia e la Bessarabia meridionale come garanzia contro futuri attacchi russi. Ma né Londra né Bisanzio né il Piemonte possono permettere che si crei una superpotenza centroeuropea estesa dal Ticino al Dnestr; Cavour allora lancia l'idea di assegnare Moldavia e Valacchia ai principi filoaustriaci di Parma e Modena, in modo da poter annettere i loro ducati al Piemonte; una proposta però che cade nel vuoto. Alla fine prevale la mediazione della Francia: la Russia sgombera i territori occupati e garantisce l'indipendenza e l'integrità dell'impero bizantino; Moldavia e Valacchia tornano sotto il protettorato di Bisanzio; l'Impero Bizantino riottiene la piazzaforte di Kers in Crimea, suo antico possedimento; il mar Nero è dichiarato "smilitarizzato", nel senso che sia l'Impero Bizantino che la Russia si impegnano a non mantenervi una flotta da guerra stabile. Cavour non ottiene ampliamenti territoriali (probabilmente neppure ci sperava), ma riesce nell'intento di presentare il problema italiano sul tavolo delle grandi potenze, dimostrando che è necessario risolverlo una volta per tutte se si vuole assicurare pace e stabilità all'Europa; e per risolverlo bisogna in qualche modo eliminare l'ingombrante presenza dell'impero austriaco. Per raggiungere questo obiettivo sarà fondamentale l'alleanza di Cavour con Napoleone III e di Daniele Manin con Bisanzio.
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Bisanzio e l'Unità d'Italia
Il Primo Ministro del Regno di Sardegna Camillo Benso, Conte di Cavour, ha capito che Napoleone III cerca l'occasione per cancellare l'umiliante ricordo del Congresso di Costantinopoli, che ha ridotto la Francia entro i confini del 1789, e per prendersi la rivincita contro le potenze che allora decretarono la sconfitta di suo zio Napoleone I. La rivincita contro la Russia è già avvenuta, nella Guerra di Crimea; contro l'Impero Bizantino l'Imperatore dei Francesi non ha particolari motivi di astio, dopo l'alleanza con esso nella suddetta guerra; restano da regolare i conti con Austria e Prussia (lo scontro con quest'ultima, come vedremo, porterà alla catastrofe nazionale del 1870). Naturalmente Bisanzio, che già esercita il protettorato su Venezia, non vede l'ora di fare uno sgambetto agli Asburgo; e dal canto suo Napoleone III, che ha ambiziosi sogni di espansione in Europa e nelle colonie, vedrebbe con favore l'espulsione dell'Austria dalla penisola italiana, onde instaurarvi un condominio franco-bizantino; Cavour aspetta perciò l'occasione propizia per tessere l'alleanza con le potenze che possono aiutarlo ad allargare i domini sabaudi in Italia.
L'occasione si presenta a fine aprile 1858, quando giunge a Torino Jacques-Alexandre Bixio, amico personale di Cavour nonché cugino di Napoleone III, che propone a Vittorio Emanuele II di dare in sposa sua figlia Maria Clotilde a Napoleone Giuseppe Bonaparte, detto "Plon-plon" e lui pure cugino dell'Imperatore. L'idea ripugna alquanto al Re di Sardegna, visto che la sua figlia prediletta Maria Clotilde ha 15 anni ed è religiosissima, mentre il principe Napoleone Giuseppe di anni ne ha 36, ed è massone e libertino; Cavour tuttavia coglie la palla al balzo e convince il Re ad accettare, subordinando il matrimonio ad un'alleanza con la Francia in funzione antiaustriaca. Contemporaneamente il Cavour spedisce il suo amico Costantino Nigra, poeta, filologo e diplomatico, in missione prima a Venezia e poi a Costantinopoli, per verificare se il Doge Liberale e il Protospatario Costantino Kanaris sono disposti ad unirsi a lui nella guerra all'Austria. Il 9 maggio 1858 l'Ambasciatore Francese presso il Regno di Sardegna Henri Conneau assicura a Cavour il pieno appoggio di Napoleone III, e pochi giorni dopo l'Ambasciatore Bizantino presso il Regno di Sardegna Aristide Moraitinis conferma che anche il Basileus e il Protospatario sono favorevoli all'iniziativa piemontese. Secondo molti storici l'Imperatore Andrea V, fin qui restio a partecipare ad avventure in Italia temendo le sollevazioni di Serbi e Bosniaci, si è lasciato convincere a dare il suo assenso all'alleanza perchè Cavour ha spedito a Costantinopoli sua cugina Virginia Oldoini, meglio nota come la Contessa di Castiglione, che ha sedotto il Basileus e lo ha tirato dalla parte dell'Italia.
Napoleone III invita Camillo Benso e Aristide Moraitinis a raggiungerlo nella località termale di Plombières-les-Bains, nel Dipartimento dei Vosgi, dove trascorre le ferie; l'incontro avviene il 21 luglio 1858, ed è segretissimo: partendo da Torino, Cavour ha dichiarato di essere diretto in Svizzera, e Moraitinis ha fatto credere che sta recandosi a Londra. L'Imperatore, Cavour e l'Ambasciatore Bizantino stringono un patto il quale prevede che napoleone III interverrà a favore del Piemonte e Kanaris a favore di Venezia se l'Austria attaccherà per prima, cioè se vi sarà un casus belli. I tre statisti si mettono anche d'accordo sul futuro assetto della penisola italiana, che sarà divisa in quattro stati:
1) il Regno di Sardegna, la Pianura padana fino al fiume Isonzo,
l'Istria e la Dalmazia veneta daranno vita al Regno dell’Alta Italia sotto la guida di Vittorio
Emanuele II;
2) i Ducati di Parma, di Modena e Reggio, la Romagna pontificia e il Granducato di Toscana
costituiranno il Regno dell’Italia centrale, da assegnare a Napoleone Giuseppe
"Plon-plon" o a Luisa Maria di Borbone, comunque sotto l'influenza
francese;
3) il resto dello Stato Pontificio rimarrà al Papa;
4) il Regno delle Due Sicilie rimarrà sotto la guida di Ferdinando II, ma la
speranza è quella di liquidare anche costui, ultimo tra i sovrani filoaustriaci
d'Italia, e di sostituirlo con Luciano Murat, figlio di Gioacchino Murat, oppure
con Augusto Bernadotte, quinto figlio del re di Svezia Oscar I e della
Porfirogenita Anna, sorella del Basileus Andrea V, comunque sotto l'influenza
bizantina.
Questi quattro Stati italiani formeranno una confederazione, sul modello del tedesco Zollverein, la cui presidenza onoraria sarà assegnata a Papa Pio IX. Come contropartita per l'aiuto fornito, il Piemonte cederà Nizza e la Savoia alla Francia, e Venezia cederà la Repubblica di Ragusa all'Impero Bizantino.
Naturalmente per la riuscita del piano è necessario che sia l'Austria ad attaccare per prima, in modo che Parigi e Costantinopoli possano presentare l'appoggio al Regno di Sardegna come un atto difensivo. Per questo a partire dall'inizio del 1859 il governo piemontese adotta un comportamento smaccatamente provocatorio nei confronti dell'Impero Austriaco, operando una politica di forte riarmo, in contravvenzione agli impegni assunti nel trattato di pace del 6 agosto 1849; anche Giuseppe Garibaldi rientra dall'esilio a Costantinopoli, e gli viene affidato il compito di organizzare un corpo di volontari, i Cacciatori delle Alpi, nei quali egli arruola fuoriusciti dallo Stato di Milano. Ma il Primo Ministro Austriaco, conte Karl Ferdinand von Buol-Schauenstein, non ci casca, avendo intuito le manovre segreto di Kanaris e di Napoleone III. Allora è proprio Costantino Kanaris a suggerire a Cavour la strategia giusta: far leva sull'ingenuità del Duca Francesco V di Modena, filoaustriaco, che fin qui si è rifiutato di riconoscere Napoleone III sovrano dei Francesi, e ha definito Kanaris « il peggior nemico della monarchia asburgica dai tempi di Napoleone ». Dietro sollecitazione di Garibaldi, il 18 aprile i patrioti modenesi lanciano un appello a Vittorio Emanuele II domandandogli protezione e reclamando l'annessione al Regno di Sardegna. Il Re Galantuomo finge di non accettare, ma il 21 aprile indirizza a Francesco V una nota minacciosa in difesa del popolo oppresso, nella quale sostiene senza mezzi termini che « non può restare insensibile al grido di dolore che gli viene dal suo stato e da ogni parte d'Italia ». Il Duca, forte dell’appoggio austriaco, si lascia abbindolare come un pivello e risponde in modo provocatorio, affermando che « le truppe austriache andranno a snidare quel ribaldo di Cavour nei bassifondi di Torino e lo impiccheranno sulla pubblica piazza ».
A questo punto il Primo Ministro Conservatore del Regno Unito, Edward Smith-Stanley, Conte di Derby, preoccupato dalla possibilità che la Francia estenda la sua sfera d'influenza alla penisola, propone una soluzione diplomatica della crisi, lasciando inalterato lo status quo in Italia, e il Basileus Andrea V si dice disposto ad accettarla, onde evitare lo spargimento di sangue bizantino in terra straniera. Ciò rappresenterebbe il fallimento della paziente opera diplomatica di Cavour, il quale, sconfortato, pensa persino al suicidio. Ma il Ministro degli Esteri Bizantino Anastasio Londos rifiuta sdegnato la proposta, dichiarando che « l'Italia resterà la polveriera d'Europa, se non la si disinnesca una volta per tutte », e quel bietolone di Francesco V completa l'opera, mobilitando le sue truppe e schierandole sul confine come per un'imminente invasione. Cavour si mette a ballare dalla gioia: è il casus belli che aspettava! Il 29 aprile il generale Enrico Cialdini occupa facilmente Massa, in territorio modenese, provocando la reazione austriaca e facendo scoppiare la guerra: il 30 aprile l'Austria dichiara guerra al Regno di Sardegna.
Il generale ungherese Ferencz Gyulai, comandante in capo delle forze austriache nello Stato di Milano, decide di fare la prima mossa, con l'intento di replicare l'operazione così ben riuscita al maresciallo Josef Radetzky contro Carlo Alberto a Novara nel 1849. L'esercito austriaco attraversa il Ticino nei pressi di Pavia ed invade il territorio piemontese, occupando subito Novara e Mortara, ma i piemontesi allagano le risaie tra Novara e Vercelli, l'armata di Gyulai resta impantanata, e fallisce il progetto di battere separatamente piemontesi e francesi, prima dell'arrivo di questi ultimi. Dal canto loro le armate della Serenissima oltrepassano a loro volta il confine orientale, assediando la piazzaforte austriaca di Mantova. Intanto Garibaldi con i suoi Cacciatori delle Alpi attraversa il Lago Maggiore presso Sesto Calende ed invade la Lombardia nordoccidentale, accolto festosamente dalla popolazione: Varese gli spalanca le porte e fa suonare le campane a distesa. Le superiori forze austriache guidate dal generale Urban tentano inutilmente di riprendere la città, ma sono respinte; ancora oggi nel campanile della Basilica di San Vittore si vedono i segni delle cannonate austriache. Il 27 maggio l'Eroe dei Due Mondi sconfigge nuovamente Urban alla battaglia di San Fermo ed occupa Como; l'8 giugno è a Lecco, quindi punta verso la Valtellina, già evacuata dagli Austriaci. Intanto la flotta austriaca di stanza a Trieste guidata dall'ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff muove e tenta di conquistare Venezia, ma la flotta bizantina guidata dal Navarca Antonio Kriezis la affronta all'imboccatura della laguna e la costringe a rifugiarsi nuovamente nel Golfo di Trieste. Viene bloccato anche un tentativo austriaco di occupare Verona partendo dal Trentino.
Intanto la 2ª divisione del generale Joseph Vinoy, appartenente al IV Corpo dell'armata francese, il 5 maggio 1859 raggiunge il Piemonte attraverso il valico del Moncenisio, seguito il 14 maggio da Napoleone III in persona, che assume il comando dell'esercito franco-piemontese. Questo il 20 maggio si scontra con le truppe austriache a Montebello, battendole grazie all'intervento determinante della cavalleria sarda del colonnello Morelli di Popolo. Il 30 ed il 31 maggio le forze piemontesi di Enrico Cialdini e di Giacomo Durando riportano un'altra brillante vittoria nella Battaglia di Palestro.
La battaglia decisiva della guerra però avviene il 4 giugno presso la cittadina di Magenta, dove Gyulai ha concentrato le proprie forze. Qui viene assalito contemporaneamente dai piemontesi, dai francesi che il 2 giugno hanno varcato il Ticino sgominando gli Austriaci nella battaglia di Turbigo, e dalle truppe veneziane che, con l'appoggio di ausiliari bosniaci inviati dai bizantini, hanno preso Lodi. La vittoria della coalizione antiasburgica è completa: il generale francese Patrice de Mac-Mahon si guadagna sul campo la promozione a maresciallo di Francia, ed il 5 giugno l'esercito sconfitto è costretto a sgomberare Milano. L'8 giugno Vittorio Emanuele II, Napoleone III e il Doge Daniele Manin fanno il loro ingresso trionfale attraverso l'arco della Pace e la piazza d'armi (oggi Parco Sempione), fra le acclamazioni della popolazione entusiasta. Il giorno successivo il consiglio comunale di Milano vota per acclamazione l'annessione dello Stato Milanese al Regno di Vittorio Emanuele II. Anche Niccolò Tommaseo, Primo Ministro della Serenissima Repubblica di Venezia, propone al Maggior Consiglio di unirsi al Regno di Sardegna, a patto che a Venezia siano lasciate inalterate le sue secolari tradizioni. La proposta passa a larga maggioranza.
Gli Austriaci però non si rassegnano alla sconfitta: l'imperatore Francesco Giuseppe d'Asburgo, indispettito dai fallimenti del Gyulai e incalzato dal malcontento della pubblica opinione viennese, scontenta della lunga serie di sconfitte subite dall'esercito austriaco, decide di assumere in prima persona il comando delle operazioni belliche, promettendo di riconquistare non solo la Lombardia ma anche la Repubblica di Venezia. Per questo prende l'iniziativa e, partendo dal Trentino, invade la Lombardia Veneziana occupando Brescia e muovendo verso Mantova. Intanto altre truppe austriache passano l'Isonzo e conquistano Udine. I Bizantini allora sbarcano a Caorle un contingente che si unisce alle truppe della Serenissima e ferma gli Austriaci sul Tagliamento. Confortato dal parere di uno stato maggiore portato più all'adulazione che alla strategia, Francesco Giuseppe prima cinge d'assedio Mantova, poi ha la pessima idea di affrontare in campo aperto le forze piemontesi, veneziane e francesi che stanno convergendo da ogni parte contro di lui. Il 24 giugno i franco-piemontesi ottengono una grande vittoria a Solferino, e i veneziani un'altra nella vicina località di San Martino. Francesco Giuseppe riesce a sganciarsi e a ritornare verso Pavia, ma intanto Garibaldi con i suoi Cacciatori delle Alpi gli ha tagliato la ritirata: penetrato in Trentino, il 21 giugno ha vinto un'importante Battaglia a Bezzecca, e il 25 giugno entra a Trento da trionfatore, congiungendosi con le truppe veneziane guidate dal Ministro della Guerra Giovanni Battista Cavedalis.
L'armistizio di Montichiari tra Francesco Giuseppe e Napoleone III
A questo punto gli Austroungarici sono stati scacciati dall'Italia settentrionale, e Cavour comincia a preparare piani per portare la guerra in casa del nemico ed occupare anche Trieste, ma Napoleone III sa che l'Imperatore d'Austria può ancora ricevere rinforzi dalle varie parti del suo vastissimo impero, e non vuole spendere altro sangue francese per la causa italiana; e così, d'accordo con i Veneziani e i Bizantini, decide di avviare colloqui di pace. L'11 luglio Napoleone e Francesco Giuseppe si incontrano a Montichiari, presso Brescia, e sottoscrivono un armistizio, in seguito accettato anche da Vittorio Emanuele II, ma non da Cavour, che per protesta si dimette da Primo Ministro Sabaudo, ma ritorna al suo posto appena gli arriva la notizia che i ducati emiliani, le Legazioni pontificie, e il Granducato di Toscana sono insorti, hanno scacciato i loro sovrani filoaustriaci ed hanno domandato l'annessione al Regno sardo, operazione a cui Napoleone III e Costantino Kanaris hanno dato il loro assenso. Con la pace di Zurigo, siglata l'11 novembre 1859, Francesco Giuseppe è costretto a cedere la Lombardia e il Trentino, ma in segno di disprezzo contro gli italiani li consegna alla Francia, che a sua volta li cede ai Savoia, mentre conservava Trieste e Bolzano. La Repubblica di Venezia confluisce interamente nel regno Sardo, mantenendo però istituzioni proprie, ed anche Modena, Parma, la Toscana e le Legazioni vengono annesse a Torino. I Savoia in compenso cedono alla Francia Nizza e la Savoia e ai Bizantini la Repubblica di Ragusa, dopo i soliti plebisciti "pilotati", mentre Papa Pio IX conserva Lazio, Umbria e Marche, e i Borboni (a Ferdinando II è intanto succeduto il figlio Francesco II) il Regno delle Due Sicilie.
Garibaldi tuttavia non si accontenta del risultato fin qui raggiunto, e decide di ultimare lui l'unificazione della Penisola, dato che Cavour non sembra preoccuparsene. Il 2 marzo 1860 Giuseppe Mazzini scrive una lettera ai Siciliani incitandoli alla ribellione, e dichiarando che « Garibaldi è vincolato ad accorrere ». Il 4 aprile scoppia un moto liberale a Palermo, facilmente represso dalle truppe borboniche; ma è il casus belli che l'Eroe dei Due Mondi aspettava. Il Regno delle Due Sicilie è ancora lo stato più esteso e più potente della penisola, potendo fare affidamento su un esercito di 93.000 uomini e sulla flotta più potente di stanza nel Mediterraneo (11 moderne fregate, 5 corvette e 6 brigantini a vapore, oltre a molte navi a vela); e, come amava dire Ferdinando II, « è difeso dall'acqua salata e dall'acqua benedetta », cioè dal mare e dalla presenza dello Stato della Chiesa, protetto dalla Francia; tuttavia nel 1860 esso è guidato da un monarca giovane e inesperto come Francesco II; e soprattutto è divenuto una presenza scomoda per l'Impero Bizantino, con il quale le relazioni sono divenute decisamente cattive dopo che Ferdinando II ha concesso il monopolio dello zolfo siciliano alla società francese Taix & Aycard, scelta voluta appositamente per contrastare gli interessi bizantini nella regione. Tutto questo convince Garibaldi a muoversi.
La sera del 5 maggio Garibaldi finge di impossessarsi con la forza di due navi a vapore, il "Piemonte" e il "Lombardo", in realtà con la tacita complicità di Vittorio Emanuele II e di Cavour. Su di essi si imbarcano 1162 volontari, passati alla storia come "i Mille di Garibaldi" o "le Camice Rosse" per via della loro uniforme; tra di essi vi sono anche 20 non italiani, di cui due serbi e tre bizantini. Della spedizione fa parte anche Giorgio Manin, figlio del Doge veneziano Daniele Manin; il più giovane, Giuseppe Marchetti di Chioggia, non ha ancora 11 anni e si è arruolato assieme al padre Luigi, il più anziano, Giuseppe Parodi di Genova, ha 69 anni. Dopo una sosta a Talamone il 7 maggio per rifornirsi di armi e munizioni, l'11 maggio i due vascelli garibaldini sbarcano a Marsala (la meta iniziale era Sciacca, ma poi si è decisa una diversione perchè il porto di Marsala è stranamente meno difeso). Lo sbarco dei garibaldini è favorito dalla presenza nel porto di Marsala di due navi da guerra bizantine, giunte lì per proteggere le imprese dell'Impero nella città, come i magazzini vinicoli e le compagnie commerciali: siccome le due navi si mettono proprio in mezzo tra le unità garibaldine e la Real Marina Duosiciliana, quest'ultima non può arrischiarsi a cannoneggiare gli invasori. Inoltre, i comandanti borbonici, ignorando le segnalazioni dei servizi di informazione napoletani, appena un giorno prima dello sbarco hanno fatto rientrare a Palermo le colonne del generale Letizia e del maggiore d'Ambrosio, per far fronte a presunti pericoli di insurrezione nella capitale siciliana; si sospetta che ci sia sotto lo zampino dei Servizi Segreti Bizantini.
In ogni caso ai garibaldini si uniscono ben presto molti "picciotti" siciliani, e l'Eroe dei Due Mondi riesce a vincere la decisiva Battaglia di Calatafimi del 15 maggio. Siccome all'inizio le cose si erano messe male per le Camice Rosse, Nino Bixio, braccio destro di Garibaldi, gli ha proposto la ritirata, ma il Generale gli avrebbe risposto:
« Ritirarci dove? Nino, qui si fa l'Italia o si muore! »
Il 27 maggio Garibaldi entra a Palermo e si proclama Dittatore dell'isola a nome di Vittorio Emanuele II. Il 20 luglio l'Eroe dei Due Mondi vince anche la Battaglia di Milazzo e fa sua tutta l'isola. Il 19 agosto elude la sorveglianza borbonica e sbarca in Calabria a Melito di Porto Salvo, iniziando una trionfale marcia verso Napoli con ben ventimila volontari, mentre l'esercito borbonico si sfalda e interi reparti passano con i garibaldini. Troppo tardi Francesco II riporta in vigore la Costituzione del 1848, indice libere elezioni ed adotta il tricolore: il 7 settembre Garibaldi fa il suo trionfale ingresso a Napoli, accolto come un liberatore, mentre Francesco II di Borbone si arrocca nella fortezza di Gaeta per l'ultima difesa. Intanto Cavour teme che egli voglia continuare fino a Roma, suscitando le ire di Napoleone III che si è fatto garante dello Stato Pontificio, e così invia un corpo di spedizione sardo che attraversa le Marche e l'Umbria, sconfiggendo le truppe pontificie a Castelfidardo (18 settembre). Il 2 ottobre i garibaldini e le truppe sabaude riportano una decisiva vittoria contro i borbonici nella Battaglia del Volturno, che pone fine all'esistenza del Regno delle Due Sicilie. Il 26 ottobre Garibaldi e Vittorio Emanuele II si incontrano sul ponte di Caianello a Teano, in provincia di Caserta: il generale depone la Dittatura e i soliti plebisciti confermano l'annessione dei nuovi territori conquistati alla monarchia sabauda. Garibaldi però, deluso per non essere riuscito a conquistare anche Roma, si ritira in esilio volontario sull'isola di Caprera, dove acquista una tenuta. Sono delusi anche i mazziniani, i quali speravano che Garibaldi proclamasse una repubblica nel Sud d'Italia. Ma i più delusi di tutti sono quei meridionali i quali speravano che con Garibaldi le condizioni di vita del popolo sarebbero migliorate, ed ora invece si ritrovano ad affrontare maggiori tasse e la coscrizione obbligatoria, che toglie alle famiglia delle braccia in grado di sostentarla. Questa disillusione porta ben presto alla nostalgia dell'antica casata borbonica e all'infuriare al Sud del cosiddetto "Brigantaggio", in realtà una vera rivolta sociale contro quella che si è rivelata l'occupazione sabauda.
Ignorando tutto ciò, il 17 marzo 1861 il Parlamento di Torino proclama Vittorio Emanuele II Re d'Italia "per grazia di Dio e per volontà degli Italiani". Il primo stato a riconoscere l'Italia Unita è proprio l'Impero Bizantino, che nella Penisola ha grossissimi interessi economici. Da notare che questo Regno d'Italia, a differenza di quello della nostra Timeline, comprende anche Mantova, il Trentino (ma non l'Alto Adige), tutti i territori dell'antica Repubblica di Venezia, parte dell'Istria (ma non Gorizia né Trieste) e la Dalmazia fino a Ragusa esclusa. Manca solo il Lazio, ancora in mano a Papa Pio IX e protetto dalle baionette francesi. Non ci sarà dunque bisogno di una Terza Guerra d'Indipendenza. Cavour estende a tutto il Regno lo Statuto Albertino, ma l'esempio della ex Repubblica di Venezia lo convince a tenere maggior conto delle individualità locali. In pratica il Regno è diviso in 17 regioni amministrative, di cui nove a statuto ordinario (Piemonte, Liguria, Milanese, Trentino, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzi-Molise) e otto a statuto speciale: Veneto (che comprende anche la Lombardia Orientale, il Friuli e l'Istria), Dalmazia, Campania, Puglie, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Nella Regione Veneto, che coincide con la Serenissima senza la Dalmazia, e in quest'ultima continuano a valere gli statuti veneziani. Il Doge resta l'amministratore della Regione Veneto, ma la sua carica non è più a vita ed è eletto dal popolo, così come il Maggior Consiglio, già divenuto con Manin un organo elettivo, cioè una sorta di parlamento locale. Anche le regioni meridionali e le isole ottengono statuti autonomi, ma la coscrizione obbligatoria è comunque estesa a tutto il Regno d'Italia, con le conseguenze che già sappiamo.
Cavour muore di malaria il 6 giugno 1861, lasciando al suo successore Bettino Ricasoli un'unità ancora in larga parte solo sulla carta. Invece il Doge Daniele Manin si spegne il 22 settembre 1863, e al suo posto è eletto 124° Doge per un periodo di cinque anni il suo collaboratore Niccolò Tommaseo (che verrà poi rieletto nel 1868). Il 25 agosto 1862 Giuseppe Garibaldi, convinto dal Console Bizantino a Cagliari che è andato a fargli visita a Caprera, tenta di ripetere la vittoriosa impresa dei Mille sbarcando in Sicilia e dichiarando che si fermerà solo quando avrà conquistato Roma. Napoleone III tuttavia, che si è eretto a protettore del Papato per convenienza politica, minaccia il governo italiano di intervenire in forze; siccome è già in corso la guerra civile contro i "Briganti" meridionali e il nuovo Stato Unitario è afflitto da mille problemi, il nuovo capo del governo Urbano Rattazzi non può permettersi altre grane ed invia il il colonnello Emilio Pallavicini a fermarlo. Lo scontro avviene sull'Aspromonte il 29 agosto 1862: Garibaldi è ferito a un polpaccio da un colpo di carabina (da cui la famosa ballata popolare « Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba... »), arrestato e rinchiuso nella fortezza di La Spezia. Qui giunge a curarlo il celebre medico bizantino Ippocrate Zemekis, archiatra personale del Basileus Andrea V, che gli estrae la pallottola dalla gamba (i medici italiani non erano stati capaci di farlo): segno dell'appoggio di cui gode Garibaldi sulle rive del Bosforo.
Nel 1862 l'Impero Bizantino segue l'esempio di Regno Unito, Francia, Prussia e Russia e riconosce gli Stati Confederati d'America, che hanno dichiarato la secessione da Washington. Ma il Nord industriale prevale sul Sud agricolo e la secessione viene stroncata dopo quattro anni di guerra sanguinosissima e devastante. Il mercato del cotone negli Stati del Sud cessa di rifornire l'Impero Bizantino, che si volge a nuovi mercati (Egitto, India) e comincia a sviluppare l'industria pesante.
Intanto in Bulgaria il Re Ottone di Wittelsbach si è reso impopolare osteggiando la concessione di una Costituzione sul modello bizantino, tentando di governare come un monarca assoluto e sposando in Germania con rito cattolico (e non in Bulgaria con rito ortodosso) la duchessa Amalia di Oldenburg (1818-1875), odiatissima dai Bulgari. Come ha scritto Victor Hugo, Ottone « si comporta da rude per essere temuto, non compassionevole per essere amato, incompetente per essere rispettato ». Divenuto inviso anche alla Russia, che esercita il protettorato di fatto sulla Bulgaria, il suo regno termina nel modo più inglorioso con la Rivoluzione di Settembre: il 23 settembre 1862 un colpo di stato lo depone, ed egli è costretto all'esilio su di una nave russa che lo porta a Venezia, da dove torna in Baviera, ove morirà il 26 luglio 1867 a soli 52 anni. Al suo posto è eletto sovrano Augusto di Sassonia-Coburgo-Gotha (13 giugno 1818 – 26 luglio 1881) con il nome di Augusto I, che nel 1867 assumerà il titolo di Zar dei Bulgari, e al quale nel 1881 succederà il figlio Ferdinando I (26 febbraio 1861 – 10 settembre 1948).
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La catastrofe del 1866
Nel 1862 l'energico principe Ottone di Bismarck è diventato Cancelliere del Regno di Prussia, e subito questi annuncia la sua volontà di risolvere il problema dell'unificazione tedesca "col ferro e col fuoco", anziché con conferenze e trattati. Il suo progetto è quello di estromettere l'Austria dal Sacro Romano Impero (o meglio da ciò che ne resta), per dare vita ad una nuova monarchia a guida prussiana. Per preparare diplomaticamente la guerra all'Austria e saggiare la forza del proprio esercito, Bismarck ha appoggiato militarmente l'impero russo nella repressione di una violenta insurrezione scoppiata in Polonia nel 1863, quindi ha risolto una vecchia questione relativa ai ducati di Schleswig e Holstein, abitati sia da tedeschi che da danesi. Il tentativo del re di Danimarca Cristiano IX di annettersi lo Schleswig offre alla Prussia il pretesto per un intervento militare al quale è costretta ad unirsi anche l'Austria, nel suo ruolo di guida del Sacro Romano Impero; l'arciduca Ranieri Ferdinando d'Asburgo-Lorena, Cancelliere dell'Arciducato d'Austria, non si rende conto che Bismarck lo ha costretto in un vicolo cieco. In ogni caso l'esercito prussiano dà prova della propria efficienza e la Danimarca è rapidamente sgominata e costretta a cedere i territori contesi. Tale vittoria propone la Prussia come il paese guida del mondo germanico e fa meritare al Bismarck il titolo di "Cancelliere di Ferro", mentre il Sacro Romano Impero si avvia definitivamente al suo tramonto, lacerato tra gli Stati luterani del nord, come Brema, Amburgo e Kiel, vicini ai prussiani, mentre gli Stati cattolici del sud, come il Baden e la Baviera, restano ancorati alla dinastia asburgica.
Lo scontro appare inevitabile dopo che Bismarck stringe un patto di alleanza con l'Impero Bizantino per distogliere da sé una buona parte delle forze armate austriache, impegnandole sul fronte meridionale. Costantino Kanaris si è reso conto della volontà bismarckiana di escludere gli Asburgo dalla nuova Germania, e decide di approfittare della potenza bellica prussiana per recuperare gran parte del prestigio perduto nei Balcani (quasi nessuno a Bisanzio ha fin qui accantonato del tutto l'idea di riconquistare la Bulgaria e di strappare ai russi il protettorato sugli stati rumeni). L'8 aprile 1866 conclude pertanto un'alleanza offensiva di soli tre mesi di durata, del quale però ignora ancora le disastrose conseguenze (nella nostra Timeline l'alleanza fu stretta con il Regno d'Italia, desideroso di annettere il Veneto che però in questa Timeline controlla già).
Kanaris ottiene di tornare al comando dell'esercito assumendo la carica di Mega Dux, che gli viene riconosciuta il 20 giugno, cioè appena tre giorni prima dell'entrata in guerra: tale ritardo è dovuto ad un'aspra diatriba sorta tra il Basileus Andrea V, il generale Nicola Zervas e lo stesso Kanaris circa l'attribuzione del comando delle forze armate. Alla fine, dato che il tempo stringe, il governo decide di distribuire i compiti della guerra tra Kanaris e Zervas, ma iniziano subito i contrasti tra i due generali sulla conduzione della campagna, poiché entrambi reclamano piena libertà d'azione l'uno dall'altro; dal canto suo il Basileus si è riservato il diritto di emanare ordini, finendo così per scavalcare entrambi i generali, e tutto ciò finirà per condurre a cocenti sconfitte. Il piano prevede che Zervas attacchi la Croazia, parte del Regno d'Ungheria, mentre le truppe agli ordini di Kanaris, numericamente più forti, punteranno sulla Transilvania. Tale strategia, tuttavia,lascia troppo distanti fra loro i due eserciti, con evidenti difficoltà di coordinamento, confermati dagli eventi successivi. Inoltre non è stato stabilito a quale delle due azioni deve essere attribuita la priorità, né è stato fissato un obiettivo strategico comune, cosicché la libertà d'azione pretesa da Zervas darà vita in pratica a due eserciti indipendenti tra loro. Dal canto suo il Basileus non è all'altezza del compito di comandante supremo, per via della sua totale inesperienza bellica. Date queste premesse, un insuccesso appare quasi inevitabile.
Kanaris, spavaldo, muove per primo e passa la Sava, dirigendosi verso la capitale croata Zagabria con 120.000 uomini, ma il 24 giugno presso Sisak, 57 chilometri a sudest di Zagabria, si scontra con l'esercito austroungarico guidato dall'Arciduca Alberto d'Austria-Teschen, forte di soli 75.000 effettivi, ed incappa in una disastrosa sconfitta. A causa delle rivalità fra i generali e dalla conoscenza approssimativa dei movimenti delle truppe nemiche sul territorio, sotto l'urto della cavalleria asburgica le forze armate bizantine sbandano e la ritirata si trasforma in una rotta, mentre l'artiglieria austriaca si diverte con il tiro al piccione. Kanaris è fatto prigioniero e subito il Senato di Costantinopoli lo depone dalle cariche di Mega Dux e di Protospatario. Vista la sua forte antipatia nei confronti di Kanaris, Zervas si rifiuta di modificare il suo piano originario per soccorrere l'esercito in ritirata, e le truppe austriache penetrano in territorio bosniaco. Subito gli Slavi sudditi dell'impero bizantino si sollevano, spronati dal recente successo della Rivoluzione Bulgara: i Bosniaci sono guidati dal loro eroe nazionale Vuk Stefanović Karadzić, che accoglie come un liberatore l'Arciduca Alberto nell'antica capitale Travnik, ed ivi proclama l'indipendenza della Bosnia, mentre anche gli Albanesi si ribellano, supportati dalla marina italiana. Incurante dell'aiuto fornito dai Bizantini alla causa dell'unificazione della Penisola, il Primo Ministro Italiano Alfonso La Marmora vuole approfittare della sconfitta di Bisanzio per conquistare una importante testa di ponte nei Balcani, e così l'ammiraglio della Regia Marina Carlo Pellion di Persano sbarca a Durazzo con la sua flotta. Subito il Basileus Andrea V gli invia contro la flotta guidata dall'anziano ammiraglio Antonio Kriezis, mentre ordina a Zervas di portarsi in Bosnia per sconfiggere i ribelli. Ma il 20 luglio 1866 l'ammiraglio Kriezis incassa a sua volta una rovinosa sconfitta da parte dell'ammiraglio Persano nelle acque dell'isola di Saseno, davanti allo strategico porto di Valona, nonostante anche in questo caso disponga di forze superiori a quelle italiane. Kriezis annuncia sfacciatamente di aver sconfitto gli italiani, e per l'evento iniziano grandi festeggiamenti che durano fino alla notizia del reale esito dello scontro (Kriezis in seguito sarà processato e degradato per inettitudine).
Come se non bastasse, anche i Turchi Karamanidi, pagati da Vienna, attaccano le frontiere orientali dell'Impero, sfondandone le difese. Andrea V e Zervas sono costretti a spostarsi in Anatolia per contrastarli, con le scarse forze a loro rimaste. Anche i Bulgari e i Serbi avanzano in territorio romano trovando scarsa resistenza. Sembra ormai vicina l'ultima ora del millenario Impero Bizantino, giacché l'Arciduca Alberto d'Asburgo-Teschen appare in grado di poter giungere a Costantinopoli, mentre i Turchi riversano tutte le loro forze contro i possedimenti bizantini in Anatolia, e solo il valore delle truppe di Zervas impedisce loro di raggiungere Smirne. A questo punto però accadono due fatti importanti. Primo: si muove la Russia che, pur odiando i bizantini, non può permettere all'Austria-Ungheria di annettere tutti i Balcani, regione alla cui conquista gli Zar puntano fin dai tempi di Pietro il Grande. Naturalmente Regno Unito, Francia e Prussia condividono la stessa preoccupazione, e così Londra, Parigi, Berlino e San Pietroburgo cominciano a rifornire di armi i bizantini (e i russi anche di ausiliari cosacchi), con i quali essi riescono a fermare l'avanzata bulgara ed austriaca, mentre Nicola Zervas infligge ai Turchi la sconfitta di Filadelfia (Alasehir nella nostra Timeline), impedendo loro di raggiungere l'Egeo. Secondo: il 3 luglio 1866 il generale prussiano Helmuth von Moltke riporta contro gli austriaci una strepitosa vittoria a Sadowa (oggi in Repubblica Ceca), sfruttando la superiorità del fucile Dreyse a retrocarica, che può essere ricaricato velocemente e può funzionare in posizione prona. In tal modo l'Imperatore Francesco Giuseppe d'Asburgo è costretto a chiedere la pace e a fermare la propria offensiva contro l'Impero Bizantino (armistizio di Nikolsburg).
Napoleone III si propone come mediatore, e si giunge così alla Pace di Praga del 23 agosto 1866. L'Austria deve rinunciare alla sua egemonia sulla Germania, il Sacro Romano Impero è definitivamente dissolto con la rinuncia da parte di Francesco Giuseppe al titolo di Re dei Romani (ma conserva quello di Imperatore d'Austria). Al posto dell'antico Impero che fu di Carlo Magno e del Barbarossa, sorge la Confederazione del Nord, una confederazione di stati tedeschi a nord del fiume Meno diretta dalla Prussia e presieduta da Guglielmo I di Hohenzollern. Come compensazione, considerate le grandi vittorie austriache sul fronte meridionale, Napoleone III ottiene che l'Austria-Ungheria ottenga l'amministrazione della Serbia settentrionale con Belgrado. Invece l'Impero Bizantino, che ha visto l'armistizio di Nikolsburg come una benedizione del Cielo, subisce una dura umiliazione. I Karamanidi infatti avanzano in Anatolia verso la costa dell'Egeo, conquistando regioni in larga parte abitate da Turchi. L'Italia si riprende Ragusa, all'estremità meridionale della Dalmazia, che forma la diciottesima regione a statuto speciale. La Russia occupa la piazzaforte bizantina di Kers in Crimea e ottiene di poter mantenere di nuovo una flotta da guerra nel Mar Nero (cosa che le era stata vietata alla fine della Guerra di Crimea). La Bulgaria annette la Rumelia Orientale e giunge fino ai confini meridionali della nostra Timeline, mentre la Bosnia e l'Albania conquistano l'indipendenza, la prima sotto protettorato russo, la seconda sotto protettorato italiano. L'Albania, con capitale Tirana, ha pressappoco i confini che aveva nella nostra Timeline dopo le Guerre Balcaniche, mentre il nuovo stato di Bosnia-Erzegovina comprende la nostra Bosnia, la Serbia centromeridionale e la Macedonia occidentale, con capitale Travnik. La Moldavia e la Valacchia si fondono per dare vita al nuovo Regno di Romania con capitale Bucarest; dopo l'allontanamento del Principe Alexandru Ioan Cuza, che si è inimicato il popolo e il clero ortodosso, Francia, Regno Unito e Italia offrono la corona di Romania al principe tedesco Karl di Hohenzollern-Sigmaringen (20 aprile 1839 – 10 ottobre 1914), il quale assume il nome di Carlo I, e regnerà fino al 1914. In Bosnia Vuk Stefanović Karadzić vorrebbe proclamare la Repubblica, ma viene assassinato e la Russia offre la corona di Bosnia ad Aleksandar Petrović (11 ottobre 1806 – 4 maggio 1885), di religione cattolica, suo fedele alleato, che nella nostra Timeline si chiama Karageorgević dall'epiteto turco ("Giorgio il Nero") del suo famoso antenato Giorgio Petrović, ed è di religione ortodossa. Invece il Regno d'Italia, che considera l'Albania una proprietà personale, nomina Re del nuovo Stato Amedeo Ferdinando Maria, Primo Duca d'Aosta e fratello minore di Vittorio Emanuele II, il quale prende il nome di Gjergj I (Giorgio I) in onore dell'eroe albanese Giorgio Castriota, fiero nemico dei bizantini. In tal modo Amedeo d'Aosta evita la breve e sfortunata parentesi come Re di Spagna, dove la Prima Repubblica durerà qualche anno di più, e sul trono d'Albania si instaura una dinastia italiana.
Gli italiani tuttavia restano insoddisfatti della Pace di Praga: avendo visto l'Austria-Ungheria, sconfitta dalla Prussia, annettere nonostante tutto una parte della Serbia, il Ministro degli Esteri Italiano Luigi Federico Menabrea avanza rivendicazioni su Trieste, che però restano ignorate dalle altre potenze, già infastidite dal fatto che l'Italia, appena unificata, si sia già impegnata in avventure coloniali "annettendo" de facto l'Albania, solo nominalmente indipendente. Ciò porta al sorgere in Italia del mito delle "terre irredente" ancora da conquistare: Trieste e Bolzano. Dal canto suo Vienna ha evitato il tracollo, conservando intatti i confini dell'Austria e dell'Ungheria, ed anzi li ha allargati, ottenendo il "condominio" su parte della Serbia, ma la perdita della Germania (passata in blocco o quasi sotto l'egemonia prussiana) rappresenta l'inizio di un lungo periodo di decadenza: nell'era romantica degli Stati Nazionali, l'Impero Austro-Ungarico viene visto da tutti come un relitto di ere passate, un edificio ormai logoro che crollerà in occasione della prima crisi. L'imperatore Francesco Giuseppe ne è ben conscio, e per questo aumenta la stretta sulle nazionalità soggette, nel tentativo ormai impossibile di ridare ossigeno all'ultimo rimasuglio del Sacro Romano Impero. Vera vincitrice del conflitto è la Prussia, che si avvia a completare dopo secoli l'unificazione tedesca, ma la sua vittoria rappresenta il germe di tutte le tragedie che il popolo tedesco dovrà affrontare nel XX secolo. Infatti Bismarck ha dimostrato al suo popolo che la potenza di un grande esercito vale più di tutti i congressi e di tutte le iniziative popolari: di fronte alla vittoria di Sadowa il pensiero liberale dichiara la propria immaturità in campo politico, avendo fallito l'occasione dell'Assemblea di Francoforte del 1848, quando il sogno dell'unificazione pacifica era andata in fumo. Federico Guglielmo IV aveva rifiutato la corona perché la voleva conquistare con la forza delle armi, non riceverla da un'assemblea democratica, ed ora il militarismo prussiano ha vinto proprio con la violenza ed i cannoni, e ha dimostrato al mondo di avere il diritto di dirigere politicamente la Germania e l'Europa intera.
L'assetto dei Balcani è totalmente cambiato, con il recupero dell'indipendenza da parte di nazioni antiche come la Bulgaria e la Bosnia, e la nascita di nuovi stati nazionali come Albania e Romania, seppur soggetti al protettorato delle grandi potenze vicine. Qui gli ideali romantici di libertà ed autodeterminazione hanno apparentemente trionfato sull'idea ancestrale dell'Impero Universale incarnata, dopo il decesso finale del Sacro Romano Impero, dalla sopravvivenza attraverso i secoli dell'Impero Bizantino. Nonostante le apparenze, tuttavia, è proprio quest'ultimo ad aver conseguito il risultato più positivo, mentre le nuove nazioni si trovano in una posizione molto difficile. Infatti Albania, Bosnia, Bulgaria e Romania, pur essendosi liberate dal secolare giogo di Bisanzio, sono tutte insoddisfatte del risultato ottenuto. L'Albania infatti ritiene che il proprio territorio non comprenda la totalità del popolo albanese, giacché il Kosovo e la Macedonia occidentale, abitate per lo più da quell'etnia, sono state conquistate dalla Bosnia. La Bulgaria a sua volta rivendica l'intera Macedonia come parte del proprio territorio nazionale, e ritiene che l'intervento di Napoleone III, spalleggiato da britannici e prussiani, le abbia impedito di conquistare uno sbocco sul Mar Egeo. La Romania rivendica la Transilvania, da secoli parte del Regno d'Ungheria ma abitata in maggioranza da rumeni. Quanto alla Bosnia, poi, da decenni essa porta avanti un disegno egemonico che punta alla riunione di tutti i Balcani Occidentali sotto la sua corona, ma questo disegno comporta l'annessione del Montenegro (che invece è geloso della sua indipendenza) e soprattutto uno scontro di vaste proporzioni con l'impero asburgico, che controlla Slovenia, Croazia ed ora anche la Serbia settentrionale con Belgrado. Insomma, praticamente tutti i nuovi Stati sono insoddisfatti dell'assetto creato dalla Pace di Praga, e ciò porta con sé il germe di nuovi conflitti, che finiranno per esplodere in una guerra di proporzioni mondiali.
Bandiera del Regno di Bosnia-Erzegovina
Al contrario, è vero che l'Impero Bizantino è stato ridotto alla metà della propria superficie precedente, ma ora è abitato in stragrande maggioranza da Greci, e quindi si è trasformato a sua volta in un moderno Stato Nazionale europeo, accantonando de facto l'antica pretesa di "Impero del Mondo" rivendicata con orgoglio dai Basileus per secoli. Il cosiddetto "Impero Romano" (che Voltaire sprezzantemente aveva definito « l'Impero Romano senza Roma ») è divenuto a tutti gli effetti un Impero della Nazione Greca, etnicamente omogeneo e quindi più saldo di tutti i suoi vicini, con la sola eccezione dei Karamanidi. Inoltre la democrazia parlamentare che governa l'Impero lo mette al riparo da tentazioni autoritarie, colpi di stato, intrighi di palazzo, sollevazioni di popolo (che pure hanno fatto parte a lungo della realtà bizantina): in seguito alla Pace di Praga non si registrano sollevazioni di popolo con barricate per le vie di Costantinopoli, come sperato forse dalle potenze avversarie, ma solo isolate agitazioni sociali, represse dalla polizia. Il popolo al contrario si stringe intorno al Basileus, simbolo dell'unità della nazione, e si tengono nuove elezioni, cui partecipa un quadro politico rinnovato: i Sacellarii hanno preso il nome di Partito Unionista (EKO, Enotikòn Komma), Conservatore, e i Domestici di Partito Liberale (FIK, Fileleùtheron Komma). Vince l'EKO, e il suo leader Alessandro Koumoundouros diventa nuovo Protospatario. E così l'Impero Bizantino entra nella modernità con tutti gli strumenti per giocare un ruolo chiave sullo scenario europeo, come vedrà chi continuerà a leggere questa mia cronaca.
In questi anni lavora alla corte di Andrea V lo storico Costantino Paparrigopulo (1815-1891), considerato il fondatore della moderna storiografia bizantina, conosciuto per gli originali contributi dati alla storia greca, a quella bizantina e ad altri campi degli studi greci. Nella sua monumentale opera « Storia del popolo greco dai tempi antichi fino ai giorni nostri » in sei volumi, pubblicati tra il 1860 e il 1877, analizza la storia dell'Impero Romano d'Oriente seguendo moderni criteri scientifici e tracciandone lo sviluppo continuo dall'antichità fino alla contemporaneità, rivalutando periodi fin qui considerati oscuri, come quello del regno di Costantino XIII. Altre sue opere sono « Sulle migrazioni delle tribù slave in Peloponneso » del 1843, « Storia generale in due volumi » del 1849, nonché il libro di testo « Elementi di storia generale » del 1845, a lungo adottato nelle scuole superiori dell'Impero.
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