Ciò che per l'universo si squaderna  


Nel suo profondo vidi che s'interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l'universo si squaderna.

(Par. XXXIII, 85-87)

 

Nella lezione precedente abbiamo visto come nessuno sia mai riuscito a fornire una rappresentazione dell'ipersfera migliore di quella che ce ne dà il Ghibellin Fuggiasco. Il fatto davvero sorprendente è però un altro: se per la maggior parte dei lettori di ogni secolo l'immagine di due insiemi di sfere concentriche ciascuno dei quali "inchiude" l'altro è solo un'oscura immagine poetica pressoché incomprensibile, soprattutto alla luce dell'universo aristotelico come è riportato su tutte le edizioni scolastiche della Divina Commedia, per un cosmologo di oggi, la descrizione della forma ipersferica dell'Universo dantesco è perfettamente riconoscibile, coincidendo con la struttura che un secolo fa Albert Einstein ipotizzò costituire il nostro universo, e che oggi resta compatibile con le più recenti misure cosmologiche.

La sfrenata fantasia poetica e la superiore intelligenza di Dante Alighieri hanno incredibilmente anticipato di sei secoli il modello elaborato dal massimo scienziato del Novecento nella sua fondamentale opera "Die Grundlage der allgemeinen Relativitätstheorie" ("Fondamenti della Teoria della Relatività Generale", 1917), secondo la quale lo spazio-tempo della Relatività Ristretta (di cui si è già parlato in precedenza) viene letteralmente curvato dalla presenza di una massa, e le altre masse circostanti si muovono lungo questa curvatura. In altre parole, se la Teoria della Gravitazione Universale di Newton spiegava il moto ellittico dei pianeti attorno al Sole mediante la forza attrattiva da parte di quest'ultimo, Einstein "geometrizza" la gravità, eliminando totalmente il concetto di forza che si esercita a distanza, e sostituendolo con la traiettoria in uno spazio-tempo incurvato. L'esempio classico che si fa a questo proposito, visibile qui sotto, è quello di una pallina d'acciaio che deforma con il suo peso una superficie elastica su cui p osta: se si lancia un'altra pallina su questo telo incurvato, la sua traiettoria non sarà più rettilinea ma curva, apparendo accelerata ed attratta dalla biglia centrale. In pratica il cammino più breve tra due punti (la cosiddetta geodetica) in uno spazio euclideo è una retta, mentre in uno spazio incurvato è una curva assai più complessa. Questa rappresenta la maggiore fra tutte le intuizioni di Einstein, tanto che il fisico Richard P. Feynman ebbe a commentare: « Non riesco proprio a capire come abbia fatto a venirgli in mente! »

Effettivamente, poiché la grande massa del Sole deforma lo spazio-tempo circostante, se noi misurassimo gli angoli del triangolo che ha per vertici i pianeti Venere, Terra e Marte, scopriremmo con grande sorpresa che la loro somma non è 180°! Curvando il tessuto dello spazio-tempo, inoltre, risulta che anche i raggi di luce restano incurvati dalla gravità, come fu dimostrato da sir Arthur Eddington (1882-1944), che il 29 maggio 1919 osservò la luce delle stelle leggermente deviata dal "pozzo" dovuto alla grande massa solare durante un'eclisse totale di Sole visibile dall'Africa Centrale. Questo fenomeno è alla base del fenomeno della cosiddetta "croce di Einstein", cui vale la pena accennare.

È ben noto che, nel Cielo di Marte, Dante vede i Beati, in continuo e vorticoso movimento, disporsi lungo le braccia di un'immensa Croce, da cui si diffonde un canto melodioso:

« Costellati facean nel profondo
Marte quei raggi il venerabil segno
che fan giunture di quadranti in tondo.
Qui vince la memoria mia lo 'ngegno;
ché quella croce lampeggiava Cristo,
sì ch'io non so trovare essempro degno;
...Da' lumi che lì m'apparinno
s'accogliea per la croce una melode
che mi rapiva, sanza intender l'inno. » (Par. XIV, 100-105.121-123)

Il fatto è che, se puntiamo un telescopio verso il cielo profondo, scopriremo che delle croci nel firmamento... esistono davvero! Basta osservare lo stranissimo quasar G2237 +0305 che vedete qui fotografato:

La Croce di Einstein a confronto con la Croce vista da Dante nel Cielo di Marte

Un quasar è un oggetto del profondo cielo (i più vicini distano da noi un miliardo di anni luce!) che emette tanta luce quanta una galassia, per ragioni ancora ignote: secondo alcuni nasconde al suo interno un immenso buco nero. Orbene, il quasar G2237 +0305 ha un'incredibile forma a croce, non dissimile da quella veduta in cielo da Dante entro il corpo del pianeta Marte! Com'è possibile? In realtà si tratta di un'illusione ottica dovuta al fenomeno detto della lente gravitazionale. Una galassia a noi molto più vicina del quasar, in questo caso la galassia ZW 2237 +030, scoperta dall'americano John Peter Huchra (1948–2010), è interposta fra noi e l'oggetto più lontano. La sua grande massa incurva la luce del quasar, in modo da provocare un'amplificazione del segnale luminoso simile a quella causata da una lente di vetro con la luce visibile, nonché una moltiplicazione dell'immagine: Einstein aveva previsto questo fenomeno fin dal 1937, ma esso fu osservato per la prima volta solo il 29 marzo 1980.

Se poi la sorgente luminosa ed il corpo celeste che funge da lente gravitazionale sono posti esattamente sulla stessa linea di vista rispetto all'osservatore, in conseguenza della simmetria circolare della configurazione ottica si osservano non delle immagini multiple della sorgente, disposte a formare una croce, ma addirittura un anello luminoso centrato sulla posizione in cielo della lente gravitazionale: è quello che si chiama un anello di Einstein! Esso è stato effettivamente osservato nell'ammasso di galassie Abell 1689, nella Costellazione della Vergine, perchè esso con la sua grande massa riesce a trasformare in anelli la luce di remotissime galassie distanti da noi ben 11 miliardi di anni luce! Anche in questo caso gli astronomi hanno osservato qualcosa già immaginato da Dante: nel Cielo del Sole egli afferma di aver visto un gruppo di anime disposte a corona intorno a lui e a Beatrice, che dopo aver compiuto tre lenti giri cantando, si ferma e tace, lasciando la parola a San Tommaso d'Aquino:

« Io vidi più folgór vivi e vincenti
far di noi centro e di sé far corona,
più dolci in voce che in vista lucenti:
così cinger la figlia di Latona
vedem talvolta, quando l'aere è pregno,
sì che ritenga il fil che fa la zona. » (Par. X, 64-69)

Addirittura nel gennaio 2008 il telescopio spaziale Hubble ha rivelato l'esistenza di un "doppio anello di Einstein" intorno a una lontanissima galassia, un effetto così strabiliante che lo stesso Einstein lo aveva giudicato troppo difficile da ottenersi per essere prima o poi osservato. Ed invece, anche in questo caso il vecchio Albert con la sua incredibile "ottica gravitazionale" sembra aver confermato la visione dantesca delle due corone di spiriti sapienti che si mettono a roteare intorno a Dante e a Beatrice, perfettamente sincrone tra di loro!

« A rotar cominciò la santa mola;
e nel suo giro tutta non si volse
prima ch'un'altra di cerchio la chiuse,
e moto a moto e canto a canto colse;
canto che tanto vince nostre muse,
nostre serene in quelle dolci tube,
quanto primo splendor quel ch'e' refuse.
... Di quelle sempiterne rose
volgiensi circa noi le due ghirlande,
e sì l'estrema a l'intima rispuose. » (Par. XII, 3-9.19-21)

Anelli di Einstein visti dallo Hubble Space Telescope a paragone
con le corone di anime sapienti nel Cielo del Sole viste dal Dorè

Poiché secondo Einstein la gravità contribuisce a dare vita alla geometria globale dell'Universo, alcuni hanno ipotizzato che l'universo stesso formi una sorta di immensa lente gravitazionale, grazie a cui la luce delle stesse stelle ci arriverebbe da più direzioni. L'ipotesi però non è supportata dalle osservazioni, in quanto la densità dell'universo osservato è di gran lunga più bassa di quanto necessario per produrre un effetto del genere. La massa totale dell'universo è però più che sufficiente per incurvare a tal punto un raggio di luce, da permettergli di tornare al punto di partenza! Per questo l'universo einsteiniano è finito ma illimitato.

Che cosa significa? Proviamo a pensarci: se camminiamo sulla Terra sempre nella stessa direzione, dove arriviamo? Incontriamo il bordo della Terra? No. Visiteremo infiniti paesi sempre nuovi? Nemmeno. Come ben sappiamo fin dai tempi di Magellano, dopo avere fatto il giro della Terra, torniamo al punto di partenza. Un'idea più che ragionevole, visto che la terra è una sfera, o meglio una "due-sfera", come abbiamo detto nella lezione precedente. Poniamoci la stessa domanda per il nostro universo: partendo a bordo di un'astronave velocissima che punta sempre nella stessa direzione, non incontreremo né il "bordo" dell'universo né spazi sempre nuovi all'infinito; dopo aver fatto il periplo completo dell'Universo, ritorneremo al punto di partenza, sulla cara vecchia Terra! È proprio per questa ragione che il nostro universo può essere concepito come una tre-sfera, esattamente come quello di Dante, così come emerge dal celebre ed incredibile verso « parendo inchiuso da quel ch'elli 'nchiude » (Par. XXX, 12)!

E non è tutto. Vi è infatti una sorprendente analogia tra l'universo dantesco come lo abbiamo descritto fin qui, e lo spazio-tempo della cosmologia moderna. Oggi sappiamo che, quando andiamo ad osservare lo spazio profondo, vediamo la luce di galassie remote, le quali però non sono lontane da noi solo nello spazio, ma anche nel tempo. Infatti quella luce non si trasmette istantaneamente, ma viaggia con velocità finita, per quanto molto elevata. Nel breve tempo in cui noi schiocchiamo le dita, la luce ha già fatto sette volte e mezza il giro del globo; eppure, nonostante la sua velocità sia così alta, essa impiega circa un secondo per giungere dalla Luna fino a noi; otto minuti per giungere dal Sole fino a noi; 4 minuti e 20 secondi per raggiungerci da Marte quando si trova all'opposizione (cioè alla minima distanza dalla Terra); 4 ore per giungere a noi da Nettuno; 4 anni e 4 mesi per raggiungerci da α Centauri, la stella più vicina a noi; 2 milioni e 300 mila anni per raggiungerci dalla Galassia M31 di Andromeda; e addirittura un miliardo e mezzo di anni per venire fino a noi da 3C273, che è considerato il Quasar più vicino alla Terra!

Di conseguenza, noi vediamo sì la Luna, ma com'era un secondo fa; il Sole lo vediamo com'era 8 minuti fa; α Centauri la vediamo com'era quattro anni e quattro mesi fa; la Galassia di Andromeda com'era due milioni e trecentomila anni fa; e così via. In linea di principio, se un oggetto è abbastanza lontano da noi, esso potrebbe non esistere più allorché noi scorgiamo la sua luce. Per questo si dice che noi non vediamo il presente, ma il passato dell'universo: guardare punti dello spazio sempre più distanti da noi significa insomma viaggiare nel tempo.

Ma quanto possiamo tornare indietro? Noi sappiamo che l'universo in cui viviamo è in espansione, cioè tutte le galassie stanno allontanandosi le une dalle altre: l'abate belga Georges Lemaître (1894–1966) fu il primo a dimostrare che le equazioni della Relatività Generale di Einstein sono incompatibili con un universo stazionario (come era concepito in passato), e a prevedere l'espansione dell'universo, che poi fu verificata sperimentalmente dall'astronomo statunitense Edwin Hubble (1889-1953). Ma allora, tornando a ritroso nel tempo, se ne deduce che in un certo istante del passato tutta la materia che oggi costituisce il cosmo doveva essere compressa in un volume molto piccolo, che ha cominciato ad espandersi per cause sconosciute, dando vita a quello che oggi viene chiamato Big Bang ("grande scoppio"); come anticipato quando abbiamo parlato dell'età dell'universo, questo evento ebbe probabilmente luogo circa 13,7 miliardi di anni fa. Ed ecco ora una cronologia dei principali eventi che hanno avuto luogo da quel momento in poi.

Prima di 1043 secondi dal Big Bang (la cosiddetta "era di Planck") non possiamo dire nulla su ciò che è avvenuto, perchè prima di questo istante, detto "tempo di Planck", la gravità era governata da leggi quantistiche, diverse da quelle della Relatività Generale di Einstein, e, come vedremo nell'ultima lezione, a tutt'oggi purtroppo una teoria quantistica della gravitazione non esiste ancora, pur venendo ricercata con foga da fisici e matematici di tutto il globo. Al di sotto di questa soglia perciò possiamo dire solo che la temperatura era superiore ai 1037 K, che le fluttuazioni quantistiche impedivano alle particelle di esistere come entità separate, e le onde gravitazionali emesse venivano subito assorbite. A partire dal tempo di Planck in poi, invece, esse erano libere di propagarsi. Possiamo quindi fare nostre le parole di Dante allorché cerca di richiamare alla mente la sua visione di Dio:

« Un punto solo m'è maggior letargo
che venticinque secoli a la 'mpresa
che fé Nettuno ammirar l'ombra d'Argo » (Par. XXXIII, 94-96)

Anche per gli astrofisici odierni, insomma, analizzare "un punto solo", cioè la singolarità che ha prodotto l'Universo, quando lo spazio era ridotto a un punto geometrico, la temperatura aveva valori infiniti, l'energia totale era complessivamente nulla e il tempo non era ancora partito, è più difficile che ricostruire la storia dei venticinque secoli che separavano Dante dall'impresa degli Argonauti (tradizionalmente collocata nel 1223 a.C.), quando il dio Nettuno si stupì vedendo Argo, la prima nave, solcare le acque del mare!

Dal tempo di Planck in poi vengono "create" le prime particelle; a questo punto la forza gravitazionale si disaccoppia dalle altre quattro forze (elettromagnetica, nucleare forte, nucleare debole), che invece restano accoppiate tra di loro in un'unica interazione. Poiché tale stato di cose è oggi descritto dalle cosiddette Teorie di Grande Unificazione (GUT), tuttora in fase di elaborazione, il periodo che va da 10–43 a 10–35 secondi dal Big Bang prende il nome di "Era GUT". A quel tempo l'Universo era composto da un plasma di quark e leptoni, uno stato esotico della materia che nel nostro universo non può sussistere (i quark sono i componenti fondamentali di mesoni e barioni, e quindi anche di protoni e neutroni, mentre i leptoni sono elettroni, muoni e neutrini). In pratica, nonostante oggi manifestino enormi differenze tra di loro, a quell'epoca i leptoni e i quark si comportavano come membri di una stessa famiglia: un quark può essere trasformato in un leptone e viceversa. Erano presenti altre particelle la cui esistenza per ora è stata solo supposta, come i bosoni X ed Y, e la temperatura dell'universo raggiungeva i 1027 K.

A 10–35 secondi terminò l'Era GUT e l'interazione nucleare forte si separò da quella elettrodebole (si ebbe cioè quella che viene definita una transizione di fase): i quark divennero particelle assai diverse dai leptoni, e non furono più possibili trasformazioni dagli uni agli altri. Come proposto nel 1981 dal fisico americano Alan Guth (1947-), durante questa transizione di fase avvenne un'iperespansione dell'universo a velocità superiore a quella della luce, che prende il nome di Inflazione Cosmica, dovuta alla cosiddetta energia del vuoto: in tal modo tutto l'universo osservabile si sviluppò da una regione causalmente connessa, cioè così piccola che la luce ha potuto attraversarla interamente nel brevissimo tempo intercorso fra la "nascita" dell'Universo e l'inizio della fase inflazionaria. Le fluttuazioni quantistiche all'interno di questa regione microscopica che venne "ingrandita" dall'inflazione diedero vita a piccole disomogeneità che crebbero fino a dare origine alle galassie e ai loro ammassi. Dante sembra aver immaginato qualcosa del genere quando nell'Empireo vede espandersi davanti ai suoi occhi la meravigliosa Rosa dei Beati:

« E se l'infimo grado in sé raccoglie
sì grande lume, quanta è la larghezza
di questa rosa ne l'estreme foglie! » (Par. XXX, 115-117)

Siccome forza elettromagnetica e forza nucleare debole (quest'ultima responsabile del decadimento radioattivo) restarono accoppiate tra di loro, situazione descritta dalla Teoria Elettrodebole di Steven Weinberg (1933-) e Abdus Salam (1926-1996), verificata sperimentalmente dal nostro Carlo Rubbia (1934-), tra 10–35 e 10–10 secondi siamo nella cosiddetta "Era Elettrodebole". I cosiddetti bosoni X e Y, prodotti nell'Era GUT, decaddero in quark e leptoni, ma in modo lievemente asimmetrico tra materia e antimateria, con una lieve prevalenza della prima: ciò spiega perchè il nostro universo oggi è composto per lo più da materia, mentre l'antimateria è sparita, annichilatasi con la materia in pura energia.  Secondo alcuni l'Era Elettrodebole vide anche la nascita di particelle cosiddette supersimmetriche, che sarebbero le costituenti della famosa Materia Oscura.

A 10–10 secondi, quando la temperatura era circa di 1015 K, terminò l'Era Elettrodebole con la separazione tra la forza nucleare debole e quella elettromagnetica. I quark cessarono di esistere come particelle libere e si aggregarono a tre a tre per formare i barioni (tra cui protoni e neutroni) e a due a due per formare i mesoni; da questo momento in poi i quark furono confinati dentro le particelle senza possibilità di esistere liberi (si parla di "libertà asintotica"). Iniziò così l'Era delle Particelle: elettroni, positroni, neutrini e fotoni. L'Universo era ancora così caldo e denso che anche i neutrini interagivano rapidamente (a differenza del nostro universo, in cui sono estremamente elusivi e poco reattivi) ed erano in equilibrio termodinamico con le altre particelle. Tra 0,001 secondi e un minuto dall'inizio di tutto, con la temperatura compresa tra 1012 e 109 K, si ebbe invece l'Era della Nucleosintesi: i neutrini si disaccoppiarono dal resto della materia, con la quale praticamente non interagirono più. Elettroni e positroni (antiparticelle degli elettroni) si annichilarono a vicenda, e restò solo un piccolo numero di elettroni, esattamente uguale a quello dei protoni. Questa situazione, in cui gli elettroni negativi si scontrano con i loro partner positivi, i positroni, trasfigurandosi in energia pura, è simile alla meravigliosa visione degli Angeli di Dio visti da Dante nell'Empireo che, come le api su questa Terra, entrano nei fiori risplendenti che tappezzano le due rive del fiume celeste (le anime dei Santi dell'Antico e quelli del Nuovo Testamento):

« Di tal fiumana uscian faville vive,
e d'ogne parte si mettìen ne' fiori,
quasi rubin che oro circunscrive » (Par. XXX, 64-66)

A partire da circa un minuto dopo il Big Bang la temperatura scese a un miliardo di Kelvin, a sufficienza perchè i nuclei di deuterio, tritio, elio e di altri elementi leggeri cominciassero ad essere stabili: ora l'universo era composto per il 76 % di nuclei di idrogeno e per il 24 % di nuclei di elio. Ormai non vi erano più neutroni liberi: quelli non entrati a far parte dei nuclei erano decaduti in un protone, un elettrone e un antineutrino. Tuttavia non si potevano ancora formare atomi: l'intensità della radiazione era tale che, ogni volta che un protone catturava un elettrone a formare un atomo di idrogeno, poco dopo una collisione con un fotone lo distruggeva. L'universo era costituito da un plasma di particelle elettricamente cariche (protoni e elettroni), uno stato molto abbondante anche nel cosmo attuale, costituendo le stelle, e sulla Terra lo ritroviamo ad esempio nei fulmini, come spiegato a suo tempo; il tutto era opaco ed oscuro, essendo la radiazione accoppiata alla materia, e quindi la luce impossibilitata a propagarsi.

L'Era dei Nuclei durò fino a 300.000 anni dopo il Big bang, quando ebbe finalmente fine l'Era della Radiazione, ed iniziò l'Era della Materia, che prosegue tuttora. La temperatura dell'universo a questo punto era di "soli" 3000 K (la lunghezza d'onda media della radiazione cosmica di fondo era ormai arrivata nel campo dei raggi infrarossi), e cominciarono a formarsi degli atomi. L'energia dei fotoni ormai era così bassa da non riuscire più a distruggere gli atomi che si andavano formando: gli elettroni si unirono ai nuclei, e l'Universo diventò trasparente alla radiazione elettromagnetica, che da questo momento si disaccoppiò dalla materia ed ebbe vita autonoma: un fotone interagisce oggi con una carica elettrica, come quella dell'elettrone, ma interagisce pochissimo con un atomo neutro. L'Universo cominciò finalmente a risplendere, realizzando in un certo senso il « Sia fatta la luce! » di Gen 1, 3. Anche in questo caso Dante, nell'ultimo tratto del suo viaggio, sembra aver avuto un "flash" di questo stato di cose, quando dice:

« La prima luce, che tutta la raia,
per tanti modi in essa si recepe,
quanti son li splendori a chi s'appaia » (Par. XXIX, 136-138)

Dopo circa un miliardo di anni cominciarono infine a formarsi le prime stelle: per effetto dell'attrazione gravitazionale le nubi di idrogeno primordiale si contrassero formando le protostelle, la temperatura al loro interno aumentò finché divenne tale da innescare le reazioni termonucleari in cui l'idrogeno si cambiava in elio (nelle stelle massicce anche l'elio bruciava, dando luogo a carbonio, ossigeno, zolfo e infine ferro). L'universo cominciò a popolarsi di galassie e di ammassi di galassie. Dopo qualche qualche miliardo di anni esplosero le prime supernovae, che dispersero nello spazio interstellare una grande quantità di materia contenente elementi pesanti sintetizzati all'interno delle stelle. Poterono così formarsi nuove nubi, da cui ebbero vita stelle di seconda generazione, ma anche pianeti. Ormai la radiazione di fondo (cioè la "bruciatura" lasciata dal Big Bang, scoperta nel 1964 dagli astronomi americani Arno Penzias e Robert Wilson) corrispondeva ad una manciata di Kelvin. Oggi, 13,7 miliardi di anni dopo il Big Bang, essa corrisponde alla radiazione di un corpo nero (vedi lezione corrispondente) alla temperatura di 2,725 K, come determinato con precisione dal satellite WMAP nel 2003. Ed ecco dunque come si presenta la storia del nostro universo, quale noi potremmo vederla spingendo i nostri strumenti più lontano, sempre più lontano nelle profondità del cosmo:

Si noti l'incredibile somiglianza di questo modello con la tre-sfera dantesca da noi illustrata nella lezione precedente!

Allora, quanto più lontano noi spingiamo i nostri occhi nello spazio, tanto più noi ci avviciniamo a quell'evento iniziale. E questo avviene in qualsiasi direzione noi rivolgiamo il nostro sguardo. Ne consegue che noi uomini siamo completamente avvolti da un orizzonte sferico, che in realtà coincide con… un punto, il punto centrale da cui è partita l'espansione universale! Esattamente come Dante che, dal Primo Mobile, voltandosi verso "l'interno" vede i Pianeti, le Stelle e la nostra Terra mentre, voltandosi verso "l'esterno", si trova ad osservare quel Punto di pura luce che rappresenta l'Unità e la Trinità di Dio. Insomma da un punto (la Terra) è partito, e ad un punto (Dio) approda, esattamente come, nel nostro universo finito ed illimitato, la nostra osservazione parte da un punto (la Terra) per raggiungere un altro punto (il Big Bang). E il nostro Autore sembra quasi avere in mente l'incredibile visione di tutto il cosmo concentrato in un solo punto, come tutta la materia e tutta l'energia nel Big Bang, quando esclama, al colmo della sua capacità visiva di penetrazione dentro i misteri del Creato:

« Nel suo profondo vidi che s'interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l'universo si squaderna: 
sustanze e accidenti e lor costume
quasi conflati insieme, per tal modo
che ciò ch'i' dico è un semplice lume! » (Par. XXXIII, 85-90)

In pratica, Dante vede racchiuse in un punto, come dentro uno dei Libri di Sibilla, tutte le sostanze materiali e spirituali ("sustanze"), le loro proprietà ("accidenti") e il modo in cui interagiscono ("costume"), "conflati insieme", cioè uniti e compenetrati tra di loro: questo verbo dantesco, "conflare", rappresenta il contrario della radice del termine "inflazione"! In tal modo tutto l'Universo, a partire dalla Terra e passando attraverso le sfere d'etere, il Primo Mobile e i cori angelici, finisce per convergere nel punto geometrico con il quale Dante rappresenta Nostro Signore. È come se il Ghibellin Fuggiasco vedesse il tempo correre a ritroso: le particelle di materia come elettroni, protoni e neutroni ("sustanze"), i vettori di campo come il fotone e i gluoni ("accidenti") ed infine le particelle che attribuiscono le proprietà a tutte le altre ("lor costume"), come lo sfuggente bosone di Higgs che dovrebbe assegnare le masse, si precipitano tutti verso il punto da cui tutti sono usciti, fino a comprimersi e a ritornare "conflati" nelle mani del loro Creatore!

Ma come ha potuto Dante anticipare Einstein, Hubble e Guth di sei secoli? Come ha scritto Carlo Rovelli, « l'immaginazione spaziale di Dante, nel tardo medioevo, non era ancora ingabbiata nel rigido immaginario newtoniano per il quale lo spazio fisico è euclideo e infinito. Per Dante, come per Aristotele, lo spazio è solo la struttura della relazione tra e cose, e una tale struttura può avere forme peculiari. In secondo luogo, l'idea che la divinità risieda “oltre” il bordo dell'Universo aristotelico si trova già nel Lì Tresor, il bellissimo libro di Brunetto Latini, maestro di Dante, che compendia il sapere medioevale. In terzo luogo, l'immagine di Dio come un punto di luce circondato da sfere di angeli è anch'esso già presente nel Medioevo, come ci mostrano diverse immagini del tempo. Dante ha messo insieme i pezzi del puzzle. » Insomma, , Dante non fu profeta né della geometria non euclidea di Riemann, né della relatività generale di Einstein, né tantomeno della teoria inflazionaria di Alan Guth. Il suo straordinario mondo a quattro dimensioni è l'inconsapevole risultato del tentativo di conciliare la cosmologia aristotelica con la visione cristiana: visibile e invisibile, materia e spirito, temporalità ed eternità.

Coppo di Marcovaldo, Cupola del Battistero di Firenze

« A me piace pensare », continua Rovelli, « che sia stata un'immagine precisa a ispirare Dante. Dante lascia Firenze nel 1301, mentre si stanno completando gli straordinari mosaici della cupola del Battistero. Se entrate nel Battistero e guardate in alto, vedete un punto di luce (la presa di luce dalla lanterna sulla sommità della cupola) circondato da nove ordini di angeli, con il nome scritto per ciascun ordine: Angeli, Arcangeli, Principati, Potestà, Virtù, Dominazioni, Troni, Cherubini e Serafini: esattamente come nel Paradiso. Se immaginate di essere una formica sul pavimento del Battistero (il polo sud) e iniziare a camminare in una qualunque direzione, notate come da qualunque direzione saliste sui muri, arrivereste poi allo stesso punto di luce circondato da angeli (il polo nord): il punto di luce e suoi angeli "circondano" e insieme "sono circondati", dal resto delle decorazioni interne del Battistero. L'interno del battistero è una due‑sfera, ovviamente. Dante, come ogni cittadino della Firenze della fine del Duecento, sarà certo rimasto impressionato dalla grandiosa opera architettonica che la sua città stava completando. (Il bellissimo e terrificante mosaico del Battistero che rappresenta l'Inferno, opera di Coppo di Marcovaldo, maestro di Cimabue, è comunemente considerato una sorgente d'ispirazione per Dante). Non potrebbe Dante avere trovato ispirazione anche nella "topologia" del Battistero? Il Paradiso ne riproduce con esattezza la struttura, compresi gli angeli e il punto di luce, traducendola da due dimensioni a tre, e ottenendo così la tre-sfera einsteiniana. Che sia questa o altra l'origine dell'idea, resta il fatto che la straordinaria immaginazione di Dante ha saputo trovare una soluzione consistente all'antico problema di conciliare l'idea di un mondo finito con l'idea dell'assenza del "bordo del Mondo". La soluzione è la stessa che Einstein escogiterà sei secoli più tardi. E che forse è la soluzione giusta. »

Come è ben noto, due furono le grandi rivoluzioni scientifiche del XX secolo. L'una è la Relatività di Einstein, e ne abbiamo esplorato sopra le implicazioni cosmologiche; l'altra invece è la Meccanica Quantistica. Anch'essa fu avviata da Einstein con la sua fondamentale memoria del 1905 intitolata « Über einen die Erzeugung und Verwandlung des Lichtes betreffenden heuristischen Gesichtspunkt » ("Su un punto di vista euristico circa l'emissione e la trasformazione della luce"), con la quale spiegava brillantemente l'effetto fotoelettrico, dopo che nel 1900 Max Planck (1858-1947) aveva interpretato lo spettro di corpo nero alla luce della nuova teoria dei quanti, come anticipato in una lezione precedente. Ovviamente Dante, che seguiva la Fisica Aristotelica e dunque non conosceva tutte le implicazioni della Fisica di Galilei e Newton, non poteva certo avere sentore della rivoluzione quantistica; tuttavia, un paio di passi dell'Inferno ci possono condurre a una concezione che qualcosa di quantistico ce l'ha.

Se non mi credete, seguite il mio ragionamento. Concetto basilare della Meccanica Quantistica è il fatto che la materia non può scambiare energia con la radiazione in modo continuo, come l'acqua che fuoriesce con continuità da un rubinetto, ma solo sotto forma di pacchetti discreti, che Planck chiamò quanti di energia. Proprio ipotizzando che la luce sia fatta non di onde ma di pacchetti discreti, da lui battezzati fotoni, Einstein arrivò a spiegare le proprietà dell'effetto fotoelettrico (il fenomeno grazie al quale un metallo, se irraggiato dalla luce, emette elettroni). L'idea, inizialmente considerata peregrina perchè incompatibile con la Fisica Classica, fu poi utilizzata nel 1913 dal danese Niels Bohr (1885-1962) per costruire un modello di atomo che perfezionava quello planetario di Ernest Rutherford (1871-1937). Si ricorderà a questo proposito che Dante aveva rifiutato l'ipotesi atomica di Democrito, poiché quest'ultimo riteneva che gli atomi si aggregassero e si disgregassero a caso, mentre l'Alighieri aveva una concezione provvidenziale e finalistica dell'universo:

« Democrito che 'l mondo a caso pone » (Inf. IV, 136)

Ai primi del Novecento, tuttavia, gli atomi erano ormai entrati a far parte integrante della visione moderno dell'universo, e a partire dal primo modello di Joseph John Thomson (1856-1940), elaborato nel 1898, si cominciava a pensare che esso non fosse affatto "indivisibile" (tale è il significato del termine), ma che fosse formato da particelle cariche. Orbene, Rutherford nel 1911 descrisse l'atomo come un piccolo sistema solare in cui gli elettroni ruotano lungo orbite classiche intorno a un nucleo densissimo. Ma, secondo le equazioni dell'elettromagnetismo di Maxwell, una carica accelerata irraggia; un elettrone in moto lungo un'orbita circolare o ellittica avverte un'accelerazione centripeta, e quindi dovrebbe irraggiare in breve tempo tutta la sua energia e schiantarsi sul nucleo. Assodato che l'atomo di Rutherford, seppure ingegnoso nella sua modellizzazione, è instabile, Bohr affermò l'esistenza di livelli energetici particolari attorno al nucleo, entro i quali l'elettrone poteva ruotare senza perdere energia, da lui chiamati shell. Il modello di Bohr, poi ulteriormente perfezionato da Arnold Sommerfeld (1868-1951) e detto Modello Quantomeccanico, spiegava perfettamente gli spettri di emissione delle sostanze, fatti di righe discrete: l'energia della luce emessa corrispondeva infatti esattamente ai salti tra i diversi livelli energetici degli atomi, salti che gli elettroni compivano una volta eccitati. Nonostante questo successo, restava una grossa difficoltà concettuale, che venne esposta a Bohr dallo stesso Rutherford in una lettera a lui indirizzata il 20 marzo 1913, di cui questo è il passaggio fondamentale:

« Caro dottor Bohr, le Sue idee sullo spettro dell'idrogeno sono estremamente ingegnose e sembrano funzionare bene; ma la mescolanza delle idee di Planck [cioè la quantizzazione dell'energia] con la vecchia meccanica newtoniana consente molto difficilmente di formarsi un'idea fisica della base di tutto il discorso... »

In pratica, Bohr contraddiceva la Fisica Classica negando la possibilità di scambi energetici continui e non discreti, ma poi utilizzava le leggi del moto come furono espresse da Galilei e Newton per determinare le frequenze degli spettri di emissione. Come disse un altro Fisico, perchè usare la Fisica Classica il lunedì, il mercoledì e il venerdì, e la Fisica dei Quanti il martedì, il giovedì e il sabato? Ben presto gli scienziati si accorsero che non bastava alterare il concetto della trasmissione dell'energia da valori continui a valori discreti: era necessario modificare completamente le basi stesse della Fisica.

L'impresa di elaborare una Fisica del tutto nuova, detta appunto Meccanica Quantistica, fu portata avanti separatamente dall'austriaco Erwin Schrödinger (1887-1961), dal tedesco Werner Heisenberg (1901-1976) e dal britannico Paul Adrien Maurice Dirac (1902-1984). Il primo elaborò la cosiddetta Meccanica Ondulatoria; il secondo la Meccanica delle Matrici; il terzo la complessa Algebra degli Operatori, e cercò tra l'altro di conciliare la Fisica dei Quanti con la Relatività di Einstein. Oggi sappiamo che tutti e tre sono formalismi matematici diversi per esprimere la stessa realtà fisica. Quella che comunemente oggi viene adottata è la Meccanica Ondulatoria di Schrödinger, basata sul concetto di funzione d'onda ψ.

Già nel 1924 il duca Louis-Victor de Broglie (1892-1987), nella sua tesi di dottorato dal titolo "Recherches sur la Théorie des Quanta" ("Ricerche sulla Teoria dei Quanti") aveva proposto che ad ogni particella fosse associata un'onda, da lui definita onda di materia. In altre parole non solo la luce sarebbe costituita tanto da onde (elettromagnetiche) quanto da particelle (fotoni), a seconda dei fenomeni che essa produce, ma il dualismo onda/particella si estenderebbe a tutta la natura. La lunghezza d'onda di de Broglie associata ad ogni particella sarebbe pari a λ = h/mv, dove h è la costante di Planck, m la massa della particella e v la sua velocità. L'ipotesi di de Broglie permetteva di interpretare i livelli energetici stazionari dell'atomo di Bohr come onde stazionarie di materia associate agli elettroni, ma restò una curiosità matematica fino al 1927, quando George Paget Thomson (1892–1975), figlio del suddetto autore del primo modello atomico, dimostrò che un fascio di elettroni subisce diffrazione attraverso un reticolo cristallino, esattamente come fa la luce attraverso una fenditura di spessore adeguato. Il comportamento ondulatorio è insomma caratteristico di tutta la realtà fisica, anche se le realtà macroscopiche non manifestano tale comportamento poiché hanno una lunghezza d'onda troppo piccola per poter esibire proprietà ondulatorie percettibili: nessuno di noi diffrangerà attraverso la porta di casa sua, semplicemente perchè la sua lunghezza d'onda h/mv sarebbe enormemente più piccola della larghezza della porta stessa.

Anche il Paradiso di Dante sembra essere stato concepito come un meraviglioso intreccio di onde, in questo caso di melodie acustiche perfettamente intonate tra di loro, come si intuisce da questo passo, da noi già analizzato parlando dell'Acustica:

« E come giga e arpa, in tempra tesa
di molte corde, fa dolce tintinno
a tal da cui la nota non è intesa,
così da' lumi che lì m'apparinno
s'accogliea per la croce una melode
che mi rapiva, sanza intender l'inno. » (Par. XIV, 118-123)

Cioè: come diversi strumenti musicali (la "giga" era uno strumento medioevale a corde simile al violino), con la temperata armonia che risulta dalla diversa tensione delle loro corde, producono un suono gradevole anche a chi non è in grado di distinguerne le singole note, così dagli Spiriti del Cielo di Marte si diffondeva un canto tale da rapire Dante in estasi, anche senza riuscire a coglierne le singole parole. Quest'immagine delle parole indistinguibili nella dolce melodia rende perfettamente il concetto delle particelle indistinguibili dentro il treno delle loro onde di materia. E l'idea di de Broglie secondo cui gli elettroni possono muoversi entro certe shell senza perdere energia (si parla di "stati stazionari") solo se le loro onde di materia sono stazionarie, può essere colta nell'eterno canto delle gerarchie angeliche che Dante Alighieri vede ruotare attorno al Punto Divino, esattamente come gli elettroni del modello planetario ruotano attorno al nucleo:

« L'altro ternaro, che così germoglia (...)
perpetüalemente "Osanna" sberna
con tre melode, che suonano in tree
ordini di letizia onde s'interna » (Par. XXVIII, 115-120)

In altre parole, la Triade di Intelligenze Angeliche formata da Dominazioni, Virtù e Potestà canta (letteralmente "sberna", cioè "cinguetta" come fanno gli uccelli quando l'inverno è finito) perpetuamente con tre melodie che risuonano nei tre ordini di spiriti di cui questo "ternaro" si compone nella sua triplice unità. Ad ogni coro angelico, un diverso canto, e se la melodia di ogni canto non fosse quella giusta, il coro che la intona non potrebbe ruotare intorno al Punto che è Dio, esattamente come nel modello di De Broglie!

La visione dantesca dei cori angelici a confronto con l'atomo di De Broglie

Schrödinger elaborò allora una teoria in cui ad ogni particella era associata una funzione d'onda ψ, che descriveva in ogni punto e in ogni istante l'onda di materia ad essa associata. Tale funzione d'onda ψ obbedisce ad un'equazione, da allora chiamata equazione di Schrödinger, che rappresenta l'equivalente quantistico della classica conservazione dell'energia meccanica.

Erwin Schrödinger credeva realmente che l'elettrone, giunto in vicinanza di una fenditura, si "sciogliesse" in un'onda che interferiva con la fenditura, dando vita a fenomeni di interferenza e diffrazione, ma questa interpretazione apparve ben presto inaccettabile, attribuendo alle particelle proprietà metafisiche. Bohr preferì "glissare" il problema, introducendo il cosiddetto Principio di Complementarietà, secondo il quale la materia ha una duplice realtà, ondulatoria e corpuscolare, ma quando si manifesta l'una, non si può manifestare l'altra. Il fisico ebreo tedesco Max Born (1882-1970) suggerì invece che |ψ|2, cioè il modulo quadrato della funzione d'onda, rappresentasse la "densità di probabilità" di trovare la particella nello spazio. In altre parole l'elettrone non si "scioglie" affatto, restando sempre una particella; ma, interagendo con una fenditura, il suo cammino successivo non è affatto deterministico, bensì probabilistico, e la probabilità di trovare la particella nello spazio coincide proprio con |ψ|2. Questo darebbe ragione al dantesco "Democrito che 'l mondo a caso pone", ricordato poco fa. Einstein, che non era d'accordo con questa visione della realtà, reagì con il celebre aforisma "Gott würfelt nicht!" ("Dio non gioca a dadi!"); e sicuramente Dante Alighieri sarebbe stato d'accordo con il vecchio Einstein, dal momento che nella seconda parte del VII Canto dell'Inferno ci presenta la Fortuna non come una dea volubile e cieca che distribuisce a casaccio i beni mondani tra gli uomini, bensì come un'Intelligenza Celeste, una "ministra" obbediente della volontà di Dio, le cui operazioni, tanto maledette da noi uomini, traducono in realtà un consiglio altrettanto imperscrutabile alle menti terrene, quanto giusto e infallibile nella sua infinita onniveggenza:

« Colui lo cui saver tutto trascende
(...) a li splendor mondani
ordinò general ministra e duce,
che permutasse a tempo li ben vani
di gente in gente e d'uno in altro sangue,
oltre la difension d'i senni umani (...)
Le sue permutazion non hanno triegue:
necessità la fa esser veloce;
sì spesso vien chi vicenda consegue. » (Inf. VII, 73.77-81.88-90)

Tornando alla concezione probabilistica della Meccanica Quantistica, essa ha effettivamente delle conseguenze sconcertanti. Noi sappiamo che, se tiriamo una palla contro il muro, essa non verrà mai trasmessa attraverso di esso, ma rimbalzerà indietro. Se invece risolviamo l'equazione di Schrödinger per una particella in vicinanza di una barriera di potenziale, scopriamo con sorpresa che, in base alle leggi della Meccanica Quantistica, la sua onda di materia in parte è riflessa, in parte è trasmessa attraverso la barriera; in altre parole, l'elettrone ha una probabilità, per quanto piccolo, di attraversare la barriera, anche se, in base alla Fisica Classica, non dovrebbe avere abbastanza energia per farcela. Ciò dimostra che le funzioni d'onda delle particelle quantistiche si comportano in maniera molto diversa da quelle che obbediscono alla Fisica di Galilei e Newton. Ma non basta.

Infatti il celebre Principio di Indeterminazione di Heisenberg afferma che non possiamo conoscere con uguale precisione la posizione e la velocità di una particella quantistica: tanto meglio conosciamo la posizione, tanto peggio conosciamo la velocità, e viceversa. A ciò si aggiunga il fatto che le soluzioni dell'equazione di Schrödinger sono funzioni d'onda, cioè descrivono un'oscillazione nello spazio, che per sua definizione non può essere localizzata in un punto preciso. Ne consegue che la particella quantistica è delocalizzata, In base all'interpretazione probabilistica della funzione d'onda ψ, tanto deprecata da Einstein, dire che essa ha una probabilità del 70 % di trovarsi al di qua della barriera e del 30 % di trovarsi al di là di essa, significa di fatto che esistono due stati quantici separati, uno in cui la particella è al di qua e uno in cui è al di là. E siccome l'equazione di Schrödinger è lineare (cioè, se ψ1 e ψ2 sono due sue soluzioni possibili, anche ψ1 + ψ2 è una sua possibile soluzione), lo stato attuale della particella è una combinazione lineare delle due situazioni: cioè, la particella si trova al 70 % a sinistra della barriera e al 30 % a destra di essa.

In pratica, nella situazione della particella che va a sbattere contro la barriera di potenziale, essa si trova contemporaneamente al di qua e al di là della barriera, in parti proporzionali alle rispettive probabilità. Per stigmatizzare l'irrealtà di una simile situazione, venne elaborato il celebre paradosso detto del "Gatto di Schrödinger". Un gatto si trova dentro una scatola chiusa insieme ad una fiala di veleno gassoso, la cui apertura è comandata dal decadimento di un isotopo radioattivo. Quest'ultimo è un fenomeno quantistico, dunque ha una certa probabilità o meno di verificarsi, diciamo del 50 %. Se l'isotopo decade, la fiala si apre e il gatto defunge; se non decade, la fiala resta chiusa e il gatto è ancora vivo. La suddetta interpretazione della Meccanica Quantistica ci porta a concludere che, siccome la funzione d'onda ψ dell'isotopo è composta da un 50 % in cui l'isotopo è decaduto e da un 50 % in cui non è decaduto, l'isotopo è contemporaneamente decaduto e non decaduto, e dunque il gatto è contemporaneamente al 50 % vivo, e al 50 % morto!

Dante sembra aver presente questa incredibile situazione quando descrive le strane metamorfosi subite da Agnolo Brunelleschi, celebre ladro fiorentino, nella Settima Bolgia. Quando viene afferrato da un rettile infernale, i due corpi si compenetrano fino a diventare « membra che non fuor mai viste » (Inf. XXV, 75), e così commentano ad alta voce i suoi due compagni:

« Li altri due 'l riguardavano, e ciascuno
gridava: "Omè, Agnel, come ti muti!
Vedi che già non se' né due né uno!" » (Inf. XXV, 67-69)

Ma l'idea della funzione d'onda microscopica nella quale coesistono due realtà macroscopiche tra di loro inconciliabili, un'idea che evidentemente fa a cazzotti con il senso comune, è ancor meglio percepibile durante lo spaventoso incontro del Sommo Vate con il poeta provenzale Bertran de Born (1140-1215). Quest'ultimo ha ispirato in più punti la poesia dantesca e viene lodato nel Convivio per la magnificenza dei costumi:

« E quanto fa bello cambio chi di queste imperfettissime cose dà per avere e per acquistare cose perfette, sì come li cuori de’ valenti uomini! [...] E c[u]i non è ancora [ne]l cuore Alessandro per li suoi reali benefici? Cui non è ancora lo buono re di Castella, o il Saladino, o il buono Marchese di Monferrato, o il buono Conte di Tolosa, o Beltramo dal Bornio...? » (Convivio IV, XI, 13-14)

Nonostante questo, però, viene piazzato dal nostro Autore all'Inferno, nell'Ottava Bolgia dei Seminatori di Discordia, avendo istigato Enrico III a ribellarsi al padre Enrico II d'Inghilterra. Per aver separato tra loro persone così vicine, egli è condannato a vagare per la Bolgia con il proprio capo reciso in mano, un'immagine non ignota a certi incubi medioevali, ma che in Dante acquista la potenza statuaria di un Laocoonte:

« Io vidi certo, e ancor par ch'io 'l veggia,
un busto sanza capo andar sì come
andavan li altri de la trista greggia; (...)
Di sé facea a sé stesso lucerna,
ed eran due in uno e uno in due;
com'esser può, quei sa che sì governa. » (Inf. XXVIII, 118-120.124-126

Egli insomma era un solo individuo diviso in due, ma anche due parti distinte di un sol tutto: un'evidente incongruenza logica che ha lo stesso rilievo del Gatto di Schrödinger!

Bertran de Born "diviso in due" visto dal Dorè

Bertran de Born "diviso in due" visto dal Dorè

La terrificante visione di Bertran de Born "diviso in due" ci aiuta anche a comprendere il concetto di "collasso della funzione d'onda". È evidente che, fino a quando noi non abbiamo appurato con certezza che l'isotopo si è disintegrato, il gatto di Erwin Schrödinger è da ritenersi vivo. Pertanto, se non si apre il contenitore in cui esso è posto insieme al marchingegno letale, non si potrà determinare quale destino il gatto abbia avuto; solo aprendo il contenitore (e quindi ultimando l'esperimento) si troverà un gatto non può vivo al 50 % e morto al 50 %, ma uno vivo al 100 %, oppure uno morto al 100 %. Appena io eseguo l'osservazione, la funzione d'onda, fin qui equamente distribuita tra lo stato quantico "gatto vivo" e quello "gatto morto", "collassa" in via definitiva su uno solo dei due stati. Allo stesso modo, finché Dante non guarda il Trovatore che fece litigare tra loro padre e figlio, può pensare che abbia ancora la testa al suo posto, oppure che il demonio carnefice gliela abbia già tagliata. Appena guarderà giù nella bolgia e vedrà in che stato si trova Bertran de Born, la "funzione d'onda" di quest'ultimo "collasserà" su uno dei due stati, e il Poeta avrà la sua risposta. Come si vede, in questa descrizione l'osservatore riveste un ruolo cruciale. Ma anche questa spiegazione non accontentò tutti. Il fisico ungherese naturalizzato americano Eugene Wigner (1902-1995) estese il Paradosso del Gatto introducendo il cosiddetto "Paradosso dell'Amico". In pratica Wigner immaginò che, in sua assenza, un amico compisse nel suo laboratorio  l'esperimento del Gatto di Schrödinger; Wigner sarebbe venuto a sapere se il gatto fosse vivo o morto solo al suo ritorno. Orbene, al ritorno di Wigner, lo stato del sistema "Laboratorio" sarà ancora di sovrapposizione tra un 50 % di "gatto morto/amico triste" e un 50 % di "gatto vivo/amico felice", e collasserà su una sola delle due possibilità unicamente quando il fisico verrà a conoscenza del risultato, oppure Wigner troverà che il sistema quantico del Laboratorio è già stato alterato a causa della presenza dell'amico, che ha già fatto collassare il sistema "Gatto", e quindi sarà al 100 % triste o al 100 % felice?

I paradossi del Gatto e dell'Amico di Wigner mettono in evidenza l'insanabile contraddizione tra una realtà microscopica intrinsecamente indeterminata, ed una realtà macroscopica che invece in buona misura appare deterministica. Spiegare questa apparente contraddizione fu una sfida per molti fisici teorici. Ecco in particolare come si esprime in proposito Alberto Viotto:

« Il felino deve essere o vivo o morto, non riusciamo ad ammettere un’altra possibilità. Per uscire dal paradosso del gatto di Schrödinger dobbiamo ripensare la nostra visione del mondo. Normalmente riteniamo che, al di fuori di noi, vi siano cose che esistono indipendentemente da noi; il gatto esiste, e questo implica che debba essere o vivo o morto. Proviamo invece ad accettare completamente il paradigma dell’interpretazione di Niels Bohr e compagni: quando un oggetto o un essere vivente non influenza i nostri sensi (in altri termini, non viene misurato) possiamo dire di sapere qualcosa su di esso? Fino a quando non apriamo la gabbia del gatto (il che equivale ad effettuare una misura) ha senso chiederci se sia vivo o morto? Rispondere negativamente a queste domande non ci porta a conseguenze assurde. Le nostre concezioni non riflettono le cose come stanno là fuori, ma semplicemente ci servono, ci permettono di fare fronte all’ambiente naturale in cui ci troviamo. Chiederci come siano le cose là fuori indipendentemente da quanto possiamo osservare (chiederci se il gatto sia vivo o morto prima che la gabbia venga aperta) è privo di senso. Il paradosso del gatto può essere risolto soltanto attraverso questo cambio di prospettiva. »

L'interpretazione oggi comunemente accettata è quella della "Decoerenza". In pratica, nel mondo microscopico ogni singola particella si comporta individualmente come delocalizzata. Invece, nel nostro universo macroscopico un aggregato di singole particelle non si comporta individualmente, come la singola particella. L'insieme delle particelle quantistiche, una volta aggregate in un insieme macroscopico, azzera reciprocamente le singole posizioni individuali, abolendo l'anomalia di ciascuna particella. Ne consegue che un corpo macroscopico ha come risultante quelle che noi chiamiamo "le consuete proprietà" della Fisica Classica, eliminando ogni paradosso quantistico: ad esempio, la lunghezza d'onda di de Broglie diventa troppo piccola per poter dare luogo ad effetti di interferenza, e il comportamento probabilistico svanisce. L'interazione reciproca delle singole particelle in una realtà macroscopica che sgretola le singole anomalie prende il nome di Decoerenza.

Incredibilmente, anche questo fenomeno è rintracciabile nelle terzine dantesche. Infatti, giunto nel Cielo di Giove, il nostro Autore vede i Beati disposti a formare l'effigie di una colossale aquila con le ali spalancate, così da lui descritta:

« Parea dinanzi a me con l'ali aperte
la bella image che nel dolce frui
liete facevan l'anime conserte;
parea ciascuna rubinetto in cui
raggio di sole ardesse sì acceso,
che ne' miei occhi rifrangesse lui.
E quel che mi convien ritrar testeso,
non portò voce mai, né scrisse incostro,
né fu per fantasia già mai compreso;
ch'io vidi e anche udi' parlar lo rostro,
e sonar ne la voce e "io" e "mio",
quand'era nel concetto e "noi" e "nostro". » (Par. XIX, 1-12)

Dante vuole dire: si mostrava ("pareva") dinanzi a me l'immagine che le anime unite insieme formavano nel loro godimento ("frui", latinismo); ogni anima appariva fulgida come un rubino su cui brilla un raggio di sole, rifrangendone la luce mille volte; e ciò che ora ("testeso") devo riferire non fu mai detto, né scritto, né immaginato, poiché io vidi il becco ("rostro") dell'aquila esprimersi come se essa fosse un unico essere, usando la prima persona singolare ("io" e "mio") al posto della prima plurale ("noi" e "nostro"), come avrebbe dovuto fare una collettività. Insomma, il discorso era pronunciato da tutti gli Spiriti che formavano l'Aquila, ma essa sembrava parlare come un singolo individuo (chiara la metafora: la Giustizia, chiunque sia che la amministri sulla Terra, è sempre uguale a se stessa in ogni epoca e in ogni paese). Quindi, l'individualità si è per così dire "sciolta" dentro la collettività, esattamente come le particelle quantistiche, quando sono unite fra di loro a generare una realtà macroscopica, subiscono decoerenza, ovverossia perdono ogni loro singola caratteristica, sì che l'oggetto segue le leggi della Fisica Classica, e non di quella Quantistica!

Una vignetta in tema con l'argomento  ^__^

 

Prima di chiudere questo discorso, non si può fare a meno di accennare all'opera di Paul Adrien Maurice Dirac, il già citato fisico che fu tra i padri della Meccanica Quantistica. Questi fece osservare come l'elettrone dentro l'atomo si muova ad una velocità tanto elevata da essere vicina a quella della luce, e quindi il suo moto dovrebbe manifestare proprietà relativistiche. Egli perciò si impegnò nel primo tentativo di conciliare tra di loro Meccanica Quantistica e Relatività Ristretta, formulando nel 1928 una complessa equazione che da lui prese il nome di Equazione di Dirac; per velocità molto piccole rispetto a quella della luce, essa si trasforma nella già studiata equazione di Schrödinger. L'equazione di Dirac è sicuramente corretta, ma presenta delle soluzioni a dir poco sorprendenti.

Tanto per cominciare, l'equazione di Schrödinger applicata all'atomo di idrogeno fornisce tre tipi di quantizzazione: quella dell'energia, tramite il numero quantico principale n, che nel modello Quantomeccanico di Bohr-Sommerfeld equivaleva a distinguere le shell elettroniche; quella del momento angolare, tramite il numero quantico secondario l, che nel modello Quantomeccanico equivaleva a quantizzare l'eccentricità delle orbite elettroniche (oggi sappiamo che il concetto di orbita elettronica è privo di senso, e va sostituito con quello di orbitale o nuvola di probabilità); e quella del momento magnetico, tramite il numero quantico magnetico m, che nel modello di Bohr-Sommerfeld equivaleva a distinguere l'orientazione spaziale delle orbite. Le misurazioni tuttavia dimostrarono che il momento angolare dell'elettrone era leggermente diverso da quello predetto da Bohr e Sommerfeld: oltre al momento angolare orbitale, ve ne era anche uno intrinseco. Nel 1927 il fisico austriaco Wolfgang Pauli (1900-1958) interpretò questo momento angolare intrinseco come dovuto ad una rotazione dell'elettrone su se stesso, e gli diede il nome di momento di spin, dall'inglese "spin", "trottola", giacché l'elettrone pareva ruotare su se stesso proprio come una trottola. La rotazione era possibile solo in due modi: in senso orario o in senso antiorario lungo lo stesso asse. Pauli battezzò tali modalità spin up e spin down.

L'ipotesi di Pauli della rotazione dell'elettrone sul suo asse venne severamente criticata da chi sostenne che la superficie dell'elettrone avrebbe dovuto muoversi più velocemente della velocità della luce per poter produrre il necessario momento angolare; e soprattutto da quanti osservarono che l'elettrone non ha mai mostrato alcuna struttura interna, apparendo assolutamente puntiforme, cosicché non può certo possedere gradi di libertà di rotazione intorno al proprio asse. Le soluzioni dell'equazione di Dirac mostrarono però che lo spin dell'elettrone compariva in maniera naturale, senza bisogno di ipotizzare alcuna rotazione su se stesso; il momento angolare intrinseco dell'elettrone è dunque un effetto relativistico, che compare perché l'elettrone si muove a velocità prossima a quella della luce. Tuttavia, il nome di spin è rimasto, così come la schematizzazione del fenomeno sotto forma di rotazione attorno al proprio asse, esattamente come si continua a rappresentare l'atomo come un piccolo sistema solare, anche dopo che il Principio di Indeterminazione di Heisenberg ha escluso che l'elettrone possa comportarsi come una "particella" in senso classico.

Vi sono diverse immagini, nell'ambito della Commedia dantesca, che rimandano al concetto di spin. Tanto per cominciare, il moto delle anime combattenti per la Fede nel Cielo di Marte:

« E al nome de l'alto Macabeo
vidi moversi un altro roteando,
e letizia era ferza del paleo » (Par. XVIII, 40-42)

Il personaggio qui citato è Giuda Maccabeo, che liberò gli Ebrei dalla tirannide del Re di Siria Antioco IV Epifane e riconsacrò il Tempio di Gerusalemme. Affascinante è il moto rotatorio su se stesso di questo spirito, proprio come quello di un "paleo", cioè di una trottola (in inglese "spin"!), fatta girare da una frusta, che in questo caso è rappresentato dalla sua letizia di anima beata.

Ma sicuramente l'immagine dantesca che più richiama l'argomento del nostro discorso è quella dei tre fiorentini Iacopo Rusticucci, Guido Guerra e Tegghiaio Aldobrandi, puniti nel Girone dei Sodomiti, i quali si soffermano a parlare con il loro compatriota; tuttavia, non potendo fermarsi perchè la loro pena glielo impedisce, si impegnano in un vorticoso girotondo:

« Ricominciar, come noi restammo, ei
l'antico verso; e quando a noi fuor giunti,
fenno una rota di sé tutti e trei.
Qual sogliono i campion far nudi e unti,
avvisando lor presa e lor vantaggio,
prima che sien tra lor battuti e punti,
così rotando, ciascuno il visaggio
drizzava a me, sì che 'n contraro il collo
faceva ai piè continüo vïaggio » (Inf. XVI, 19-27)

Qui Dante allude ai lottatori, unti di olio come li descrivono i poeti antichi, che si afferrano per le braccia studiando la presa migliore per afferrare l'avversario in posizione vantaggiosa ed abbatterlo. Ma ciò che qui ci interessa è il fatto che, roteando, ciascuno dei tre dannati fissava negli occhi il Poeta. Così commenta in proposito Manfredi Porena:

« Supponiamo che i tre Sodomiti ruotino nel senso delle lancette dell'orologio: se vogliono tenere gli occhi fissi a Dante, la loro testa deve, finché può, ruotare, rispetto al loro corpo, in senso inverso, cioè da destra a sinistra. »

Si tratta dello stesso fenomeno per cui la Luna, dovendo volgere sempre la stessa faccia alla Terra, ruota su se stessa nello stesso tempo in cui ruota attorno alla Terra. Iacopo, Guido e Tegghiaio girano su se stessi esattamente come tre elettroni dotati dello stesso spin!

C'è però da aggiungere un altro particolare. Mentre l'equazione di Schrödinger fornisce come autovalori, cioè come possibili soluzioni indipendenti dal tempo, solo energie positive, com'è logico, l'equazione di Dirac fornisce anche autovalori negativi. Ma nessuna particella conosciuta ha energie negative! Per interpretare questo risultato della sua equazione, Dirac propose che i livelli energetici negativi siano tutti già occupati da un mare di elettroni; alcuni di essi si trovano in un livello eccitato, e dunque hanno un'energia positiva. Quando un elettrone abbandona il "mare" di energie negative, in esso al suo posto rimane una lacuna, che si comporta a tutti gli effetti come una particella identica all'elettone, ma di carica positiva. Se l'elettrone originario torna a riempire la lacuna, emette la differenza di energia sotto forma di radiazione elettromagnetica. Per questo Dirac propose l'esistenza di antiparticelle: particelle assolutamente identiche fuorché per la carica. Quando la particella e l'antiparticella si incontrano, subiscono un fenomeno chiamato annichilazione, trasformandosi integralmente in energia secondo la nota equazione di Einstein E = m c2. L'ipotesi, inizialmente criticata, trovò una clamorosa conferma nel 1932 quando l'americano Carl Anderson (1905-1991) scoprì nei raggi cosmici una particella, chiamata positrone, che risultò essere proprio l'antiparticella dell'elettrone. Nel 1955 l'italiano Emilio Segrè (1905-1989) e l'americano Owen Chamberlain (1920–2006) scoprirono anche l'antiprotone, l'antiparticella del protone. L'antimateria (della quale si è già accennato sopra a proposito del Big Bang) è oggi una realtà acquisita dalla Fisica, e c'è addirittura chi comincia a pensare ad astronavi mosse da futuribili motori ad antimateria. A qualcosa di simile al "mare" previsto brillantemente da Dirac pensava probabilmente il nostro Dante, nella sua meravigliosa visione del fiume di luce che scorre nel Cielo Empireo, sulla scorta di un passo dell'Apocalisse (« Mi mostrò poi un fiume d'acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell'Agnello »: Ap 22, 1). A questo fiume abbiamo già accennato sopra, proprio a proposito dell'antimateria annichilatasi poco dopo il Big Bang:

« Vidi lume in forma di rivera
fulvido di fulgore, intra due rive
dipinte di mirabil primavera.
Di tal fiumana uscian faville vive, (...)
poi, come inebrïate da li odori,
riprofondavan sé nel miro gurge,
e s'una intrava, un'altra n'uscia fori. » (Par. XXX, 61-64.67-69)

Il colossale fiume di luce scorto da Dante assomiglia in tutto e per tutto al "mare" di Dirac, soprattutto in virtù di quelle scintille vive che escono da esso per poi rientrarvi, esattamente come le particelle che si riuniscono alle corrispettive antiparticelle, dissolvendosi in pura energia!

Sandro Botticelli, il Canto XXX del Paradiso, Berlino, Staatliche Museen

Sandro Botticelli, il Canto XXX del Paradiso, Berlino, Staatliche Museen

 

Ormai non ci resta che avventurarci in compagnia di Dante nel difficile e pericoloso territorio degli ultimi sviluppi della Fisica degli anni Duemila. Per completare in bellezza il nostro percorso attraverso le terzine del Sacrato Poema, venite con me cliccando qui, se termini come "p-brane" e "Big Rip" non sono sufficienti per scoraggiarvi!