Ïo, che al divino da l'umano, (Par. XXXI, 37-39) |
In quest'ultima lezione intendiamo affrontare alcuni dei più complessi problemi della Scienza moderna, che i qualche modo sono stati "anticipati" da alcuni dei versi di Dante, Vi annuncio subito che trattare questi argomenti non sarà una passeggiata; ma, come scrisse Platone nelle ultime righe dell'"Ippia Maggiore", « tutto ciò che è bello è difficile »!
Come si è visto nel capitolo precedente, due sono stati i grandi filoni di indagine della Fisica del XX secolo: la Relatività Generale di Albert Einstein e la Meccanica Quantistica di Erwin Schrödinger, Werner Heisenberg e Paul Dirac. Prese separatamente, esse costituiscono due teorie magnifiche, perfettamente consistenti in ogni loro parte e in grado di prevedere ed interpretare una quantità incredibile di fenomeni. Il problema è che esse sono fondamentalmente incompatibili fra di loro. Vediamo cosa significa questo asserto.
Com'è noto, tutte le forze agenti in natura sono riconducibili a quattro di esse: la forza gravitazionale, introdotta da Isaac Newton a fine Seicento; la forza elettromagnetica, studiata nella sua forma attuale da James Clerk Maxwell a metà dell'Ottocento; la forza nucleare forte, introdotta da Enrico Fermi (1901-1954) per spiegare come mai i nuclei atomici non si disgregano, pur essendo formati da protoni tutti positivi, che quindi dovrebbero respingersi tra di loro; e la forza nucleare debole, anch'essa introdotta da Enrico Fermi, che rende ragione del fenomeno della radioattività. La moderna Teoria dei Campi, messa a punto dallo scienziato statunitense Richard P. Feynman (1918-1988) negli anni cinquanta, interpreta queste interazioni come uno scambio di particelle. Mi spiego. Consideriamo due giocatori di basket: il primo ha la palla e la passa al compagno che va a canestro. Quando il primo lancia la palla, cede ad essa parte della propria quantità di moto e cambia traiettoria; allo stesso modo, quello che riceve la palla modifica a sua volta la propria direzione e va a fare canestro. La medesima cosa succede tra due elettroni. Quando si avvicinano tra loro, il primo cede al secondo un fotone, detto "virtuale" perchè impossibile da rivelare. Avendo perso un quanto di quantità di moto, entrambi gli elettroni modificano la propria traiettoria, cambiando direzione come se si fossero respinti senza toccarsi. Tale fenomeno è descritto dalla cosiddetta QED (Quantum ElectroDynamics, ElettroDinamica Quantistica), e può essere descritto attraverso un "diagramma di Feynman", certamente una delle più geniali intuizioni di questo scienziato.
Vi è qualcosa del genere nel racconto dantesco? Incredibilmente, sì! Anzitutto, il concetto di "mediatore" (nel caso ora esaminato, il fotone scambiato tra i due elettroni) era utilizzato dai teologi medievali per indicare gli angeli, mediatori fra l'umano e il divino, com'è il caso dell'Arcangelo Gabriele che, secondo il racconto di Luca 1, 26-38, portò a Maria l'annuncio della Sua concezione verginale:
«
L'angel che venne in terra col decreto
de la molt' anni lagrimata pace,
ch'aperse il ciel del suo lungo divieto,
dinanzi a noi pareva sì verace
quivi intagliato in un atto soave,
che non sembiava imagine che tace » (Purg. X, 34-39)
Ma soprattutto il diagramma di Feynman sopra realizzato potrebbe essere disegnato tale e quale per i tre principali protagonisti della Commedia: Dante, Virgilio e Beatrice. Infatti, nel secondo Canto dell'Inferno il Poeta è attanagliato dai dubbi, e si chiede se è degno di ripetere le imprese di Enea e di San Paolo, gli unici prima di lui a scendere agli Inferi, visto che il primo aveva ricevuto la missione di fondare l'Impero Romano, e il secondo quello di fondare la Chiesa Cattolica. « Io non Enëa, io non Paulo sono » (Inf. II, 32), conclude sconsolato il Ghibellin Fuggiasco. Allora l'« anima cortese mantoana » (Inf. II, 58) racconta al suo discepolo che, mentre si trovava al Limbo, gli è apparsa l'anima santa della sua amata Beatrice Portinari:
«
Io era tra color che son sospesi,
e donna mi chiamò beata e bella,
tal che di comandare io la richiesi. » (Inf. II, 52-54)
Ella era stata a sua volta sollecitata da Maria Vergine e da Santa Lucia a muoversi in aiuto dell' « amico suo, e non de la ventura » (Inf. II, 61), di « quei che t'amò tanto » (Inf. II, 104), perchè « la morte 'l combatte / su la fiumana ove 'l mar non ha vanto » (Inf. II, 107-108), cioè rischiava di affondare nel gorgo del peccato, rappresentato allegoricamente dalla selva oscura, più vasto e travolgente dell'oceano. L'aspetto di Beatrice è talmente splendido, e la sua pietà talmente profonda, da spingere Virgilio ad ubbidire immediatamente e a correre in aiuto dell'Alighieri, prima che sia troppo tardi per lui:
«
Poscia che m'ebbe ragionato questo,
li occhi lucenti lagrimando volse,
per che mi fece del venir più presto.
E venni a te così com'ella volse:
d'inanzi a quella fiera ti levai
che del bel monte il corto andar ti tolse. (Inf. II, 115-120)
Evidente è il significato allegorico di questo episodio, introduttivo a tutta la Cantica dell'Inferno. Dante si trova nella selva oscura, cioè in una condizione di peccato e di lontananza da Dio, e non può raggiungere con le sue sole forze la salvezza, rappresentata dal colle illuminato dal Sole di Dio, a causa delle tre fiere, cioè i vizi della lussuria (la lonza), della superbia (il leone) e dell'avidità (la lupa). Per ascendere fino a Dio e convertirsi ad una vita pia e illuminata dal Vangelo, Dante ha bisogno della Teologia e della Scienza di Dio, impersonate da Beatrice; ma non può accedervi, se non attraverso la ragione umana, incarnata da « quella fonte / che spande di parlar sì largo fiume » (Inf. I, 79-80). Per questo Beatrice non può intervenire direttamente, guidando Dante sin dal principio del suo viaggio, che consisterà nel riconoscere l'abbruttimento del peccato (il viaggio attraverso l'Inferno) e nel sottoporsi alla purificazione del pentimento (l'ascesa alla montagna del Purgatorio): a queste prime due fasi basterà il soccorso della ragione rappresentata al sommo grado da Virgilio. Questi farà da tramite affinché Dante Alighieri cambi strada e possa giungere alla felicità terrena (l'Eden) e quindi a quella celeste (il Paradiso), dove interverrà la Rivelazione (Beatrice). In pratica, Virgilio sarà il "fotone virtuale" (!) attraverso cui Dante e Beatrice cambieranno entrambi strada fino ad incontrarsi; e dunque anche di questo itinerario potremo costruire un "diagramma di Feynman" come quello che vedete qui sotto, illustrato con i dipinti di Nino e Silvio Gregori!
Torniamo ora alla mostra esposizione della Teoria Quantistica dei Campi, la quale, con la Meccanica Quantistica, il Modello a Quark e la Teoria della Relatività Generale di Albert Einstein, dà vita al cosiddetto Modello Standard, oggi accettato per buono da tutti gli scienziati. Secondo Feynman, ogni interazione ha una "particella mediatrice" o "vettore di forza" che, scambiato fra i due corpuscoli, ne determina il comportamento. La forza elettromagnetica è mediata proprio da fotoni, i quanti di luce individuati da Einstein, indicati con la lettera γ nel diagramma di Feynman soprastante. La forza nucleare debole è mediata da particelle assai massicce, i bosoni Z0 e W±. Siccome il fotone è privo di massa, mentre questi bosoni hanno una massa assai elevata, l'interazione elettromagnetica ha raggio d'azione infinito, mentre quella nucleare debole diventa zero appena al di fuori del nucleo atomico, e quindi è una forza a corto raggio. Nonostante questo, nel 1968 gli americani Sheldon Glashow (1932-) e Steven Weinberg (1933-) ed il pakistano Abdus Salam (1926-1996) dimostrarono che la forza elettromagnetica e la forza nucleare debole sono aspetti diversi di un'unica interazione, detta forza elettrodebole, la quale si manifesta ad ad energie molto alte. Per questa scoperta i tre ricevettero il premio Nobel per la fisica nel 1979. La scoperta dei bosoni mediatori della forza nucleare debole la dobbiamo al nostro Carlo Rubbia (1934-), che per questo vinse a sua volta il Nobel nel 1984. A questo punto ci si può domandare se anche la forza nucleare forte è unificabile a queste due. A questo scopo furono messe a punto le cosiddette GUT (Grand Unified Theories, Teorie di Grande Unificazione), le quali, in modo più o meno ingegnoso, riescono a fare delle tre forze non gravitazionali un'unica interazione, anche se ad energie troppo elevate affinché le diverse teorie (ne esiste almeno una quindicina) possano essere sottoposte a verifica sperimentale. Una cosa è certa: immediatamente dopo il Big Bang l'energia dell'universo era talmente elevata che le tre forze elettromagnetica, nucleare forte e nucleare debole erano unificate in una sola interazione; come visto nella lezione precedente, man mano che il cosmo si espandeva la sua temperatura e la sua energia diminuivano, e le interazioni si disaccoppiarono progressivamente l'una dall'altra, fino a dare origine alla Fisica oggi vigente. La forza nucleare forte è mediata da particelle dette gluoni (dall'inglese "glue", "colla"), caratterizzati da una proprietà chiamata colore (che nulla ha che vedere con i colori percepiti dal nostro occhio); per questo la teoria quantistica che studia la forza nucleare forte prende il nome di QCD (Quantum ChromoDynamics, CromoDinamica Quantistica), dal greco "chrome", "colore". In essa sono i già citati bosoni X e Y a mediare l'interazione che risulta dall'unificazione tra le tre forze suddette. Le GUT e la QCD prevedono diversi effetti che finora non sono mai stati rivelati sperimentalmente, tra cui il decadimento del protone, la massa non nulla dei neutrini e la produzione di un surplus di particelle a discapito delle antiparticelle, il che avrebbe portato alla rottura della simmetria tra materia ed antimateria ed in definitiva all'universo come noi lo vediamo.
E la quarta forza, quella gravitazionale? Anch'essa ha raggio d'azione infinito, dunque dovrebbe essere mediata da una particella priva di massa, che è stata battezzata gravitone. E come l'interazione elettromagnetica si trasmette sotto forma di onde, dette appunto elettromagnetiche, rivelate sperimentalmente nel 1885 da Heinrich Hertz (1857-1894), così l'interazione gravitazionale dovrebbe trasmettersi sotto forma di onde gravitazionali, che apparirebbero come "increspature" nello spazio-tempo, simili ai cerchi che si formano nell'acqua quando vi si getta un sasso. Siccome esse dovrebbero essere di debolissima intensità, rivelarle appare arduo; si pensa che esse potrebbero essere emesse in grandi quantità da fenomeni rari come l'esplosione di una supernova o la formazione di un buco nero, ma i numerosi esperimenti messi a punto per rivelarle finora non hanno visto alcunché di significativo.
Il problema è che finora nessuno è riuscito a mettere a punto una teoria quantistica della gravità, una sorta di "gravitodinamica quantistica", compatibile con la Relatività Generale di Einstein, e in grado di spiegare ad esempio perchè la forza elettromagnetica è attrattiva e repulsiva, mentre quella gravitazionale è solo attrattiva (l'antigravità è finora confinata nel mondo della fantascienza). Se ricordate quanto detto a proposito del Big Bang, proprio l'assenza di una tale teoria ci impedisce di investigare la cosiddetta "Era di Planck", quando a dominare erano gli effetti quantistici gravitazionali. Naturalmente i migliori cervelli degli ultimi cento anni si sono sforzati di ottenere una tale teoria unificata, a partire naturalmente dal grande Albert Einstein, il quale dedicò a questo lavoro gli ultimi lustri della sua vita, ma dovette concludere, in una lettera scritta poco prima di morire:
« A causa di difficoltà matematiche, non ho ancora trovato il modo pratico di controllare i risultati della mia teoria tramite una dimostrazione sperimentale. »
Il primo brillante tentativo di unificare il campo gravitazionale descritto dalle equazioni della Relatività Generale con il campo elettromagnetico descritto dalle Equazioni di Maxwell fu compiuto dal tedesco Theodor Kaluza ( 1885- 1954) e dallo svedese Oskar Klein (1894-1977), i quali, indipendentemente l'uno dall'altro, proposero l'esistenza di una quinta dimensione, oltre alle tre spaziali e alla quarta temporale studiate da Einstein, calcolando che in un mondo a cinque dimensioni anche l'elettromagnetismo maxwelliano potrebbe essere descritto mediante una deformazione geometrica. Kaluza immaginò la misteriosa quinta dimensione come un cerchio associato a ogni punto dello spazio-tempo, cioè il corrispondente pentadimensionale di un cilindro. Einstein rimase colpito dal lavoro di Kaluza, pubblicato nel 1921, e tentò di proseguire su quella strada, ma tale teoria non spiegava l'invisibilità nel nostro universo della quinta dimensione aggiuntiva. Nel 1926 Klein propose che questa misteriosa dimensione non si estendesse all'infinito, ma fosse per così dire "arrotolata" su se stessa, cosicché ad ogni punto dello spazio-tempo quadridimensionale era associato un cerchio di dimensioni troppo piccole per essere accessibile ai sensi umani e alla sensibilità dei migliori strumenti disponibili. Purtroppo la Teoria di Kaluza-Klein non teneva assolutamente conto della Meccanica Quantistica che si stava elaborando in quegli anni, basandosi unicamente su considerazioni classiche, proprio come la Relatività Generale di Einstein. Per questo motivo, dopo l'iniziale successo, il modello di unificazione a cinque dimensioni venne abbandonato e cadde nel dimenticatoio.
A sorpresa, l'idea delle dimensioni compattate in uno spazio ridottissimo tornò in auge negli anni settanta del XX secolo quando, fallito ogni altro tentativo di unificare la Meccanica Quantistica con la Relatività Generale, e la Forza di Gravità con le altre tre (di cui già si occupano le GUT), venne proposta la cosiddetta teoria delle stringhe, la cui paternità è ascrivibile al fisico italiano Gabriele Veneziano (1942-), che in un articolo del 1968 propose l'esistenza di oggetti multidimensionali chiamati stringhe, la cui lunghezza sarebbe pari alla cosiddetta lunghezza di Planck (1,616 x 10–35 m) e le cui vibrazioni sarebbero all'origine del mondo così come noi lo conosciamo. Nel 1974 l'americano John Schwarz (1941-), il francese Joël Scherk (1946–1980) e il giapponese Tamiaki Yoneya (1947-) scoprirono che le proprietà delle stringhe vibranti con ampiezza uguale a zero combaciavano esattamente con quelle dei gravitoni, le particelle mediatrici della forza gravitazionale, e che quindi tale teoria avrebbe potuto potuto portare alla tanto agognata unificazione. In pratica, ogni stringa potrebbe vibrare in molti modi diversi, come la corda di una chitarra, ed ogni tipo di vibrazione rappresenterebbe una diversa particella. La massa di cui è dotata la particella e i vari modi in cui può interagire sarebbero determinati dai modi in cui la stringa vibra o, se si preferisce dalla "nota" che la stringa produce vibrando. La scala delle "note", ad ognuna delle quali corrisponde una particella differente, è chiamata "spettro energetico" della stringa. Le stringhe potrebbero essere aperte o chiuse, e i due tipi di stringa si comporterebbero in maniera leggermente diversa, producendo due spettri distinti. Ben presto fiorì un gran numero di teorie dedicate alle fantomatiche stringhe, talora diversissime tra loro: alcune consideravano solo le stringhe chiuse, altre no, e portavano a risultati e previsioni estremamente differenti le une dalle altre.
Comunque la teoria, anzi le teorie delle stringhe, comportarono fin da subito enormi problemi matematici: esse presentavano per lo più una seccante instabilità, portando al decadimento dello spazio-tempo medesimo. Inoltre si occupava solo dei bosoni, le particelle dotate di spin intero come il fotone. Nel tentativo di includere nella teoria delle stringhe anche i fermioni, cioè le particelle a spin semintero come elettrone, protone e neutrone, venne postulata una nuova simmetria della natura, battezzata supersimmetria. Le teorie delle stringhe che includono vibrazioni fermioniche sono dette teorie delle superstringhe, ed anche di esse esistono molteplici varianti. Per poter unificare tra di loro tutte le interazioni conosciute, la teoria delle superstringhe prevede che l'universo possieda non meno di 11 dimensioni (ma secondo alcune varianti addirittura 26!), e per spiegare dove si trovino le sette dimensioni "nascoste" è necessario fare ricorso all'ipotesi di Klein secondo cui esse si trovino "arrotolate" dentro sfere eptadimensionali, tutte di dimensioni pari alla lunghezza di Planck, associate ciascuna ad ogni punto dello spazio-tempo quadridimensionale. Alcune versioni della teoria prevedono l'esistenza di particelle chiamate tachioni, avente massa immaginaria e in grado di viaggiare solo a velocità superiori a quella della luce, mai finora individuate e sulla cui esistenza molti sono scettici.
Da notare che anche il grande autore fantasy John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973) immaginò che il mondo fosse stato creato da una musica celestiale: la Canzone degli Ainur, gli déi del mondo mitologico da lui creato nel "Silmarillion" (1977):
« Nel principio Eru, l'Uno, che gli Elfi chiamano Ilúvatar, creò gli Ainur dalla propria mente; e gli Ainur intonarono una Grande Canzone al suo cospetto. In tale Canzone, il mondo ebbe inizio, poiché Ilúvatar rese visibile il canto degli Ainur, e costoro lo videro quale una luce nell'oscurità. E molti di loro si innamorarono della sua bellezza e della sua vicenda che videro cominciare e svolgersi come in una visione. Per tale ragione Ilúvatar conferì Essere alla loro visione, e la collocò in mezzo al Vuoto, e il Fuoco Segreto fu inviato ad ardere nel cuore del Mondo; e questo fu chiamato Eä. »
So cosa state per domandarmi. Esiste in Dante anche un'anticipazione della teoria delle superstringhe? La risposta è sì, e la si comprende considerando il ruolo che gioca nella Terza Cantica il concetto di armonia delle sfere. Quest'idea risale addirittura al filosofo e matematico greco Pitagora, secondo il quale le dimensioni e le velocità delle orbite dei pianeti del Sistema Solare (inclusi Sole e Luna) starebbero tra di loro in rapporti armonici, simili a quelli tra le frequenze delle note musicali. L'astronomo ceco Giovanni Keplero (1571-1630) nella sua opera "Harmonices Mundi" (1619) si spinse ancora al di là, sostenendo che le sfere celesti emettono effettivamente una musica melodiosa durante i loro incessanti movimenti. Com'è evidente, l'armonia delle sfere esula dalle scienze esatte per sconfinare nella numerologia astrologica e nella mistica, ed ha affascinato gli spiriti di ogni epoca, visto che il compositore inglese Mike Oldfield (1953-) ha pubblicato nel 2007 l'album "Music of the Spheres".
Naturalmente questa filosofia per metà mistica e per metà matematica non poteva certo sfuggire all'Alighieri, sempre interessato a scoprire in ogni dove l'impronta del Creatore nella Sua creazione. Ecco come egli descrive il momento in cui varca la sfera del fuoco in compagnia di Beatrice per salire al Primo Cielo, quello della Luna:
« Quando la rota, che tu sempiterni
Desiderato, a sé mi fece atteso,
Con l'armonia che
temperi e
discerni,
Parvemi tanto, allor, del cielo acceso
De la fiamma del sol, che pioggia o fiume
Lago non fece mai tanto disteso.
La novità del suono e 'l grande lume
di lor cagion m'accesero un disio
mai non sentito di cotanto acume. » (Par. I, 76-84)
Cioè: quando il moro rotatorio delle sfere celesti, che Tu fai durare in eterno infondendo in esse il perpetuo desiderio di ricongiungersi con Te, che sei il loro Principio, ebbe richiamato su di sé la mia attenzione con quella musica che tu accordi e moduli, una parte tanto grande del cielo mi parve essere accesa dalla fiamma del sole, che mai si formò un lago così ampio per l'eccesso della pioggia o lo straripare di un fiume. Il suono mai udito prima e la luce abbagliante suscitarono in me il desiderio di conoscerne la causa, mai avvertito così acutamente in nessun altro caso. L'"armonia che temperi e discerni" è espressione tecnica della teoria musicale: "temperare" indica infatti l'atto dell'accordatura di uno strumento a corde come la lira, mentre nel termine "discerni" si può ravvisare un preciso riferimento ai numeri interi i cui rapporti danno vita agli accordi musicali.
Modello planetario di Keplero:
le orbite dei pianeti sono
inscritte e circoscritte a successivi poliedri regolari
Si noti che la teoria pitagorica dell'armonia delle sfere era stata ripudiata come assurda da Aristotele e quindi da Alberto Magno e da Tommaso d'Aquino, ma Dante la accoglie nel suo poema, ispirandosi probabilmente a questo passo del già abbondantemente citato "Somnium Scipionis", nel quale ritornano i termini "temperi" e discerni":
«
Dulcis sonus hic est, qui intervallis coniunctis imparibus, sed tamen pro rata
partium ratione distinctis,
impulsu et motu ipsorum orbium conficitur; qui acuta cum gravibus temperans,
varios aequabiliter concentus efficitur »
[Questo dolce suono, che per l'accordarsi di diversi intervalli, distinti
secondo l'ordine prestabilito delle parti, si forma dall'impulsi e dal moto
dei cieli, e temperando i suoni acuti e i suoni gravi genera diverse armonie]
Appare evidente che, nel suo Paradiso, Dante abbia scelto di seguire la tradizione pitagorica che gli offriva la possibilità di raffigurarne aspetti sensibili come la luce e il suono. Luigi Papini, nel suo saggio "Dante Alighieri e la musica" (1895), avanza addirittura l'ipotesi che Dante avesse notevoli conoscenze musicali e sapesse suonare qualche strumento, portando come argomenti a sostegno della sua tesi l'amicizia con grandi musicisti come Casella e la sua fede nell'esistenza dell'armonia delle sfere celesti, attestata da questo passo del Paradiso contro l'opinione della filosofia aristotelica. Bruno Nardi, nel suo saggio dantesco « La novità del suono e 'l grande lume » (1967), scrive in proposito:
« La musica dei mondi diletta gli orecchi degli uomini divini che hanno purificato i loro sensi nel quotidiano sforzo di elevazione verso il mondo superiore; e risuona alla fantasia del Poeta che ha compiuto la sua purificazione sulla cima della Montagna Santa, dopo avere attraversato il duplice regno del peccato. Non l'udirono, quel divino concento delle sfere, Aristotele e Tommaso, perché troppo la loro mente giudicò "ex apparentibus secundum sensum"; l'udirono invece Pitagora e Dante, che seppero innalzarsi sopra il mondo terrestre dei sensi. »
Appare evidente, a questo punto, il raffronto tra la teoria delle supercorde, secondo la quale ogni particella del nostro universo consegue dall'armonico vibrare di quei fuscelli infinitesimi, e l'antica credenza misterica nell'armonia delle sfere: allo spettro energetico della stringa corrisponde la melodia del pentagramma tracciato nei cieli dalle gigantesche sfere di etere rotanti attorno al nostro pianeta, e l'"arrotolarsi" su se stesse delle dimensioni extra fa da contraltare al ciclopico dispiegarsi nel firmamento di quelle immense ruote d'orologio con le quali noi uomini misuriamo la durata delle nostre caduche esistenze. Questa non è certo opinione mia, essendo già stata espressa dagli astrofisici francesi Marc Lachièze-Rey (1950-) e Jean-Pierre Luminet (1951-) in un loro memorabile articolo su "Scientific American" del novembre 1998:
« Si ritrova così, proveniente da una direzione inattesa, la musica segreta dei Pitagorici, non percettibile se non ad orecchie adatte al suo ascolto. Nel "Somnium Scipionis", Cicerone scrisse che la musica delle sfere non potrebbe essere intesa se non lasciando la terra per riunirsi alle immense sfere del cielo. La teoria delle supercorde ci suggerisce proprio che la musica delle particelle microscopiche potrebbe essere compresa soltanto immergesse in quell'infinitamente piccolo. »
Una versione evoluta della teoria delle superstringhe è quella delle brane, ideata dal fisico americano Edward Witten (1951-), secondo il quale a generare l'universo come lo conosciamo sono non delle stringhe ma delle brane di dimensione p (da cui il nome di p-brane), le quali derivano dalla generalizzazione del concetto di "membrana": una zero-brana è un punto materiale, una uno-brana è una stringa, una due-brana è una membrana, e così via. Le superstringhe della precedente teoria sarebbero confinate entro le p-brane, e queste ultime consentirebbero di spiegare diversi aspetti del nostro universo: ad esempio il gravitone, derivando da una stringa chiusa, non sarebbe in alcun modo legato ad alcuna brana e riuscirebbe a sfuggirle, rendendo assai meno intensa la forza gravitazionale rispetto a quella elettromagnetica. Inoltre le p-brane permetterebbero di ottenere previsioni in accordo con la teoria dei buchi neri sviluppata da Stephen Hawking (1942-2018).
Partendo dalla teoria delle p-brane, il fisico statunitense Brian Greene (1963-) ha elaborato il modello del mondo-brana, secondo il quale il nostro universo sarebbe una tre-brana immersa in un iperspazio ad 11 dimensioni, che fluttua in esso come un lenzuolo steso ad asciugare al sole e gonfiato dal vento. Secondo questa teoria, che con il concetto di iperspazio sembra richiamare i romanzi di fantascienza di Isaac Asimov (1920-1992) e la serie di telefilm "Babylon 5", potrebbe esistere un'infinità di altri universi paralleli immersi nell'iperspazio, costituiti da brane multidimensionali; siccome l'universo osservabile sarebbe formato da solo quattro delle undici dimensioni esistenti, che si siano espanse a dispetto delle altre, il Big Bang sarebbe derivato dalla collisione tra due brane che avrebbe sviluppato sufficiente energia per espandersi: una teoria davvero originale, che introduce una "causa" per il Big Bang. Si noti che Dante parla della "causa" della Creazione nel ventinovesimo Canto del Paradiso:
«
Non per aver a sé di bene acquisto,
ch'esser non può, ma perché suo splendore
potesse, risplendendo, dir "Subsisto",
in sua etternità di tempo fore,
fuor d'ogne altro comprender, come i piacque,
s'aperse in nuovi amor l'etterno amore.
Né prima quasi torpente si giacque;
ché né prima né poscia procedette
lo discorrer di Dio sovra quest'acque. » (Par. XXIX, 13-21)
Si tratta di terzine difficili, come del resto molti passi del Paradiso, che necessitano di un'adeguata spiegazione. Dante vuol dire quanto segue: non per ottenere per sé un accrescimento di bene, il che sarebbe impossibile, essendo Egli bene sommo e infinito, ma affinché lo splendore riflesso della Sua luce (e cioè la sostanza creata) prendesse coscienza del proprio essere ("dir: Subsisto"), l'Eterno Amore, nella sua eternità fuori dal tempo e dallo spazio ("di tempo fore"), con un atto spontaneo della Sua volontà ("come i piacque"), si aprì come un fiore in una molteplicità di esseri pronti ad amare: gli angeli e gli uomini. Né si può affermare che Dio, prima della Sua creazione, restò inoperoso ("torpente"), perché non vi fu né un prima né un poi, essendo la Creazione avvenuta fuori dal tempo. Qui si ritrovano molti temi trattati dai maestri dell'Alighieri, a partire da Sant'Agostino d'Ippona:
« Si autem
ante caelum et terram nullum erat tempus, cur quaeritur quid tunc faciebas?
Non enim erat tunc, ubi non erat tempus »
[Se dunque prima del cielo e della terra non vi era il tempo, perché mai si
domanda che cosa facevi allora? Infatti non vi era un "allora" dove
non vi era il tempo] (Confessioni XI, 13)
e da San Tommaso d'Aquino:
« Ad
productionem creaturarum nihil aliud movet Deum, nisi sua bonitas quam rebus
aliis communicare voluit secundum modum assimilationis ad ipsum »
[A generare le creature Iddio fu indotto solo dalla Sua bontà, che Egli volle
comunicare ad altre cose, secondo una certa somiglianza a Lui] (Summa Contra
Gentiles II, 46)
Circa il fatto che la Creazione sia avvenuta fuori dal tempo, ecco come si esprime Cristoforo Landino di Firenze nel 1481:
« Imperò che, se il tempo è misura di moto e il moto non può esser senza corpo, non poteva dinanzi che fussi creato il corpo essere il tempo. »
Si noti come quel magnifico verso: « s'aperse in nuovi amor l'etterno amore » ricorda incredibilmente la teoria dell'inflazione cosmica, di cui abbiamo parlato a proposito del Big Bang! Ma non finisce qui.
Infatti una delle conseguenze più affascinanti della teoria delle p-brane è rappresentata dall'esistenza di altri universi situati su brane vicine a quella dell'universo osservabile, in cui potrebbero anche vigere leggi fisiche diverse da quelle a cui noi siamo abituati, così come diverso potrebbe essere il numero delle loro dimensioni. L'insieme di tutti questi universi paralleli prende il nome di multiverso. Siccome i gravitoni sono prodotti, a differenza di tutte le altre particelle, dalla vibrazione di stringhe chiuse, la gravità potrebbe anche trasmettersi da un universo all'altro attraverso l'iperspazio, e quindi la materia presente in un universo potrebbe interagire attraverso la gravità con la materia presente in un altro. Questa ipotesi spiegherebbe l'esistenza della cosiddetta materia oscura: la materia degli universi paralleli, assolutamente invisibile ai nostri occhi, interagirebbe però con le galassie del nostro universo attraverso la loro attrazione gravitazionale, risolvendo il mistero della "massa mancante"!
Del multiverso e degli universi paralleli si è rapidamente impossessata la Fantascienza, a partire dal racconto "Bivi nel tempo" (1934) di Murray Leinster (1896-1975) e dal romanzo "La legione del tempo" (1938) di Jack Williamson (1908-2006), considerati gli iniziatori del genere. Tra gli altri esempi di multiverso nella fantascienza ci sono il ciclo "Il fabbricante di universi" di Philip José Farmer (1918-2009); la trilogia fantasy " Queste oscure materie" di Philip Pullman (1946-); i romanzi "Assurdo universo" ( 1949) di Fredric Brown (1906-1972), "La porta sull'estate" (1957) di Robert A. Heinlein (1907-1998), "Eon" ( 1985) di Greg Bear (1951-) e "Gli universi di Moras" (1990) di Vittorio Catani (1940-); la celebre saga della "Crisi sulle Terre infinite" nei fumetti di supereroi della DC Comics; e i film "Donnie Darko" di Richard Kelly e "The One" di James Wong (entrambi nel 2001). Ma soprattutto, il multiverso ha permesso di dare inizio al cosiddetto "genere ucronico". Si dice ucronia (dal greco "nessun tempo") il genere letterario che tratta di storie alternative, cioè di linee del tempo nelle quali gli eventi si sono svolti in maniera differente da quella che noi conosciamo, a partire da un "punto di rottura" detto POD ("Point of Divergence"). Esempi di POD sono: Giulio Cesare scampa alla congiura delle Idi di Marzo; i Vichinghi avviano la colonizzazione dell'America fin dall'anno mille; Napoleone non si lancia nella disastrosa Campagna di Russia e il suo impero gli sopravvive; Mussolini non si getta nell'abbraccio con Hitler e il regime fascista prosegue oltre la Seconda Guerra Mondiale, come quello di Francisco Franco; Al Gore sconfigge George W. Bush nelle elezioni presidenziali americane del 2000; e chi più ne ha, più ne metta. Tra i capisaldi di questo genere si annoverano i romanzi "La Svastica sul Sole" (1962) di Philip K. Dick (1928-1982), "L'agente di Bisanzio" (1987) di Harry Turtledove (1949-), "Fatherland" (1992) di Robert Harris (1957-) e il film "Bastardi senza gloria" (2009) di Quentin Tarantino (1963-). A questo indirizzo potrete trovare un sito appositamente dedicato allo sviluppo di ucronie, cui chiunque può partecipare liberamente.
Carlo Martello d'Angiò visto da Gustave Dorè
Orbene, anche Dante Alighieri si è lanciato nel genere ucronico, conseguenza diretta dell'esistenza di universi paralleli in cui tutto può succedere? Incredibilmente, anche questa volta la risposta è affermativa. Quando infatti nel Cielo di Venere Dante incontra l'anima beata di Carlo Martello, così da lui si sente dire:
«
Il mondo m'ebbe
giù poco tempo; e se più fosse stato,
molto sarà di mal, che non sarebbe. » (Par. VIII, 49-51)
Quella descrittta in questa terzina ci si presenta come un'ucronia a tutti gli effetti, giacché il giovane erede degli Angiò spiega in poche parole a Dante come sarebbero andate le cose se non fosse morto prematuramente, e questi eventi trovano logicamente posto in un universo parallelo, cioè in una brana adiacente alla nostra. Così sono andate le cose nella nostra brana: Carlo Martello, primogenito di Carlo II d'Angiò (1248-1309), detto lo Zoppo, e di Maria Arpad (1257-1323), figlia di re Stefano V d'Ungheria, nacque l'8 settembre 1271. Nel 1292, alla morte dello zio Ladislao IV, fu eletto re d'Ungheria, ed il nonno Carlo I d'Angiò lo nominò re di Italia meridionale e di Sicilia, durante la prigionia di Carlo II in seguito alla guerra dei Vespri. Per la sua giovane età il potere passò di fatto ad un consiglio di reggenza, ed in seguito la liberazione di Carlo II gli impedì di governare. Nel 1294 il ventitreenne Carlo Martello si recò a Firenze per incontrare i genitori che rientravano in Francia: per onorare il principe fu organizzata una delegazione, cui prese parte anche Dante, di poco maggiore di lui. In questa occasione i due strinsero amicizia, il che giustifica il tono affettuoso, carico di nostalgia e tutto giocato sul filo della memoria del loro incontro nel Paradiso. Già il 12 agosto 1295 Carlo Martello morì lasciando un grande rimpianto, poiché in lui molti vedevano incarnata la figura del buon principe, il contrario di quello che in seguito avrebbe tratteggiato un altro fiorentino, Niccolò Machiavelli. È dunque lecito pensare che Dante si sia chiesto cosa sarebbe successo se il giovane principe non si fosse spento a meno di 24 anni, unificando nelle proprie mani le corone di Ungheria, Provenza, Italia Meridionale e Sicilia, evitando il malgoverno del fratello Roberto I (1277-1343). Nel genere ucronico, ogni domanda è lecita: avrebbe potuto tentare l'impresa di unificare l'Italia da sud? O aspirare alla corona di Sacro Romano Imperatore? Tutti eventi, questi, che possono benissimo aver avuto luogo in un universo "adiacente" al nostro, e forse "quel" Carlo Martello e i suoi discendenti noi li percepiamo, nel nostro cosmo, sotto forma di materia oscura...
Siamo ormai giunti quasi alla fine del nostro affascinante percorso didattico-scientifico attraverso il "Sacrato Poema", vera e propria enciclopedia della scienza nota agli intellettuali europei del Trecento. Sembra giusto dunque chiudere questo ipertesto parlando della "fine".
La Termodinamica ci insegna che tutto conosce una decadenza e una fine. L'edizione italiana di "Scientific American" ha dedicato un numero speciale, il 507 del novembre 2010, alla "Scienza della Fine". I maggiori esperti del settore su di esso hanno firmato articoli attinenti ai vari rami della conoscenza scientifica: la Medicina e la Bioetica si occupano della morte biologica dell'individuo; le Scienze Forensi dell'utilizzo delle salme per ricerche di vario genere; l'Antropologia della sparizione di parecchie culture e lingue, con tutto il loro patrimonio di sapere; l'Ecologia della fine delle risorse offerteci dal nostro pianeta; la Biologia dell'estinzione delle specie a rischio; la Paleontologia delle specie che si sono già estinte nel passato; e, naturalmente, l'Astrofisica e la Cosmologia del destino ultimo del nostro pianeta e dell'intero universo. Se ci concentreremo in particolare su quest'ultimo aspetto, appare evidente che Dante Alighieri ne ha parlato ripetutamente nella sua Commedia, facendo riferimento al Giudizio Universale e alla fine del mondo così come ne parlano le Sacre Scritture e i maggiori esperti di Teologia del Medioevo.
Virgilio vi accenna dopo che Ciacco ha finito di parlare a Dante e si accascia nel fango del Terzo Cerchio « a par de li altri ciechi »:
«
E 'l duca disse a me: "Più non si desta
di qua dal suon de l'angelica tromba,
quando verrà la nimica podesta:
ciascun rivederà la trista tomba,
ripiglierà sua carne e sua figura,
udirà quel ch'in etterno rimbomba." » (Inf. VI, 94-99)
La "nimica podesta" ovviamente è Cristo, nemico di tutte le anime dannate. Qui sono presenti tutti i clichè della tipica rappresentazione medioevale dell'Ultimo Giudizio: gli angeli che annunciano la fine del mondo suonando le trombe dell'Apocalisse; il ritorno di Cristo sulle nubi del cielo; la risurrezione dei morti; il libro aperto con il quale il mondo verrà giudicato. Il modello scritturale, oltre all'Apocalisse di Giovanni, è offerto da questo passaggio del Libro di Daniele:
« In quei giorni sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Vi sarà un tempo di angoscia, come non c'era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno insegnato la giustizia risplenderanno come le stelle per tutta l'eternità » (Dan 12, 1-3)
Una rappresentazione ancor più terribile dell'Ultimo Giorno la ritroviamo nella selva dei suicidi:
«
Come l'altre verrem per nostre spoglie,
ma non però ch'alcuna sen rivesta,
ché non è giusto aver ciò ch'om si toglie.
Qui le trascineremo, e per la mesta
selva saranno i nostri corpi appesi,
ciascuno al prun de l'ombra sua molesta. » (Inf. XIII, 103-108)
Com'è noto, le anime dei suicidi sono incarcerate dentro alberi: coloro che rifiutarono la forma di vita più elevata, quella umana, ora sono ridotti a quella più bassa e vegetativa. Ma neppure dopo la resurrezione della carne queste anime ritroveranno i loro corpi, da esse stesse rigettati: i corpi saranno appesi come impiccati agli alberi, quale segno perenne della loro colpa e strumento più terribile del loro rimorso e della loro pena.
Per fortuna ben altro è il destino finale che attende Catone l'Uticense, custode della spiaggia del Purgatorio, pagano e suicida che però agli occhi di Dante assurge ad ipostasi di tutta la grandezza morale dell'evo antico:
«
Tu 'l sai, ché non ti fu per lei amara
in Utica la morte, ove lasciasti
la vesta ch'al gran dì sarà sì chiara. » (Purg. I, 73-75)
Ancora fa riferimento all'umanità che sarà giudicata beata nell'Ultimo Giorno l'Apostolo San Giovanni, quando Dante cerca di fissare la sua anima luminosissima, perdendovi la vista, e l'Evangelista lo ammonisce che lì non c'è proprio nulla di corporeo da vedere:
«
...Perché t'abbagli
per veder cosa che qui non ha loco?
In terra è terra il mio corpo, e saragli
tanto con li altri, che 'l numero nostro
con l'etterno proposito s'agguagli. » (Par. XXV, 122-126)
Il corpo dell'Apostolo è polvere sulla Terra, e lo resterà fintanto che il numero dei Beati non raggiungerà quello prestabilito dall'eternità nella mente di Dio. Probabilmente qui Dante si ispira a un passo dell'Apocalisse, scritta proprio da Giovanni:
« Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro » (Ap 6, 11)
È interessante riportare qui un passo del Convivio:
« Di tutti questi ordini si perderono alquanti tosto che furono creati, forse in numero de la decima parte; a la quale restaurare fu l'umana natura poi creata. Li numeri, li ordini, le gerarchie narrano li cieli mobili che sono nove, e lo decimo annunzia essa unitade e stabilitade di Dio. E però dice lo Salmista: «Li cieli narrano la gloria di Dio, e l'opere de le sue mani annunzia lo fermamento. » (Convivio II, V, 12)
In altre parole, secondo il Ghibellin Fuggiasco, dopo la caduta degli angeli ribelli, Dio creò l'umanità affinché ne prendesse il posto; e dunque l'Ultimo Giudizio non verrà fino a che in Paradiso non vi saranno tanti Beati quanti demoni sono stati precipitati nell'Inferno, così da portare al numero perfetto di dieci i Cori di quanti nell'Empireo contemplano L'Unità e la Trinità di Dio. Un concetto, questo, che il nostro Autore riprende da Sant'Agostino (Enchiridion XI) e da San Gregorio Magno (Omelia XXXIV, 6). Ma c'è di più: da altri indizi si arguisce che Dante ritenga ormai prossima la Fine del Mondo e la Parusia di Cristo, essendo ormai il mondo entrato nella sua sesta ed ultima età. Poco prima di riprendere il suo posto nella Candida Rosa, infatti, così Beatrice avverte Dante:
«
Vedi nostra città quant'ella gira;
vedi li nostri scanni sì ripieni,
che poca gente più ci si disira. » (Par. XXX, 130-132)
Insomma, lassù sono attesi ancora pochi spiriti ad occupare i pochi scranni rimasti ancora liberi nella Gerusalemme Celeste, fra cui quelli dell'imperatore Enrico VII di Lussemburgo e quello dello stesso Dante. Così infatti quest'ultimo scrive ancora nel Convivio:
« Chè dal cominciamento del mondo poco più de la sesta parte è volto; e noi siamo già ne l'ultima etade del secolo, e attendemo veracemente la consummazione del celestiale movimento. E così è manifesto che lo Cielo stellato, per molte proprietadi, si può comparare a la Fisica e a la Metafisica. » (Convivio II, XIV, 13)
William Blake, Giudizio Universale (1809), penna e inchiostro su grafite
Veniamo ora alla versione della "fine del mondo" propostaci dalla Scienza moderna. Nel numero sopra citato de "Le Scienze", alle pagine 92-93, si fanno otto pessimistici "pronostici" su eventi che potrebbero metterci in seria difficoltà, o addirittura portare all'estinzione dell'umanità. Eccoli, in ordine crescente di pericolosità:
una supertempesta solare, che metterebbe in tilt i nostri sistemi di comunicazione;
il riscaldamento globale incontrollato, che potrebbe portare al sommergimento di intere zone costiere densamente abitate;
una pandemia devastante, cui l'umanità oggi è assolutamente impreparata;
una serie di supereruzioni vulcaniche, che potrebbero causare un inverno nucleare simile a quello che ha condotto all'estinzione dei dinosauri;
una guerra termonucleare totale, classico spauracchio dell'umanità da Hiroshima in poi;
un lampo di raggi gamma (Gamma Ray Burst), fenomeno le cui cause sono tuttora avvolte nel mistero, ma che potrebbe spazzare via la vita dalla Terra bombardandola con radiazioni altamente letali
l'impatto di un asteroide gigante, che sconvolgerebbe totalmente l'idrosfera terrestre (in media un grande asteroide colpisce la Terra ogni 150 milioni di anni);
infine, secondo Alexander Vilenkin, cosmologo della Tufts University, un altro universo potrebbe emergere spontaneamente ed improvvisamente dentro al nostro, distruggendo del tutto il tessuto dello spazio-tempo. Ma secondo Vilenkin è improbabile che un simile evento avvenga nell'arco dei prossimi 1000 miliardi di anni!
Anche il nostro amato Poeta cita più volte catastrofi leggendarie che hanno rischiato di fare piazza pulita del genere umano. A parte il diluvio universale, cui Dante accenna solo in Inf. IV, 56 quando pone Noè tra gli spiriti liberati dal Limbo da Gesù Risorto, si può citare la disavventura di Fetonte, il mitologico figlio di Iperione che ottenne dal padre di provare a guidare il Carro del Sole. Ma, a causa della sua inesperienza, prima bruciò la volta celeste lasciandovi la traccia della Via Lattea, e quindi si avvicinò tanto alla Terra da far ribollire i mari e ridurre la Libia ad un deserto; e così Zeus, dietro preghiera della Madre Terra, fu costretto a fulminarlo per salvare l'umanità:
«
Maggior paura non credo che fosse
quando Fetonte abbandonò li freni,
per che 'l ciel, come pare ancor, si cosse » (Inf, XVII, 106-108)
«
Quel del Sol che, svïando, fu combusto
per l'orazion de la Terra devota,
quando fu Giove arcanamente giusto. » (Purg. XXIX, 118-120)
Sempre sul piano mitologico vi è la Guerra di Flegra, cosiddetta dall'omonima pianura della Tessaglia in cui i Giganti tentarono l'assalto all'Olimpo dopo aver sovrapposto i monti Pelion e Ossa, ricordata da Capaneo nella landa infuocata dei bestemmiatori:
«
Se Giove stanchi 'l suo fabbro da cui
crucciato prese la folgore aguta
onde l'ultimo dì percosso fui;
o s'elli stanchi li altri a muta a muta
in Mongibello a la focina negra,
chiamando: "Buon Vulcano, aiuta, aiuta!",
sì com'el fece a la pugna di
Flegra,
e me saetti con tutta sua forza:
non ne potrebbe aver vendetta allegra » (Inf. XIV, 52-60)
da Virgilio nel pozzo dei Giganti, nel suo discorso ad Anteo (tra l'altro, un ulteriore esempio di ucronia!):
«
...e che, se fossi stato a l'alta guerra
de'tuoi fratelli, ancor par che si creda
ch'avrebber vinto i figli de la terra » (Inf. XXXI, 119-121)
nonché nella Prima Cornice del Purgatorio, tra gli esempi di superbia punita, di cui abbiamo già parlato in una lezione precedente:
«
Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte,
armati ancora, intorno al padre loro,
mirar le membra d'i Giganti sparte. » (Purg. XII, 31-33)
Qui il modello cui Dante si ispira è un passò delle Metamorfosi di Ovidio:
« Neve foret terris securior arduus
aether,
adfectasse ferunt regnum caeleste gigantas
altaque congestos struxisse ad sidera montis.
tum pater omnipotens misso perfregit Olympum1
fulmine et excussit subiecto Pelion Ossae.
obruta mole sua cum corpora dira iacerent,
perfusam multo natorum sanguine Terram
immaduisse ferunt calidumque animasse cruorem
et, ne nulla suae stirpis monimenta manerent,
in faciem vertisse hominum; sed et illa propago
contemptrix superum saevaeque avidissima caedis
et violenta fuit: scires e sanguine natos. » (Metamorfosi I, 152-163)
[Né più sicuro della terra sarebbe stato l'etere al vertice:
si narra che i Giganti, aspirando al regno celeste,
ammassassero i monti gli uni sugli altri fino alle stelle.
Scagliando i suoi fulmini allora squarciò il padre onnipotente
l'Olimpo e giù dall'Ossa rovesciò il Pelio.
Quando quei corpi orrendi giacquero travolti dal loro edificio,
dicono che la Terra s'inzuppasse del fiume di sangue
sparso dai figli e che ancora caldo lo rianimasse;
poi, perché non sparisse ogni traccia della sua stirpe,
a quello diede aspetto umano. Ma anche questa prole
fu spregiatrice dei numi, assetata con furia di stragi
e violenta: nata dal sangue, questo avresti detto.]
Tutti quelli fin qui citati sono classici racconti attinenti alla "fine del mondo", come raccontano tutte le tradizioni religiose, da quella norrena (il celebre Götterdämmerung , il "crepuscolo degli dei"), fino a quella Maya, con il suo concetto di tempo "ciclico" che ha ingenerato in molti ingenui dei nostri giorni la famosa sindrome del 21 dicembre 2012. Ma, incredibilmente, Dante Alighieri va ancora al di là! Nel 98° e terzultimo Canto dell'intera Divina Commedia, infatti, egli esprime tutto il suo stupore di fronte alla magnificenza incomparabile della Rosa dei Beati, paragonandosi a quei Barbari che invasero l'Italia e rimasero stupefatti di fronte ai templi e alle maestose architetture di Roma, ed aggiunge:
«
...ïo, che al divino da l'umano,
a l'etterno dal tempo era venuto,
e di Fiorenza in popol giusto e sano,
di che stupor dovea esser compiuto!
Certo tra esso e 'l gaudio mi facea
libito non udire e starmi muto. » (Par. XXXI, 37-42)
Come commenta Natalino Sapegno, « la dieresi iniziale crea una pausa di stupore, dando rilievo alla triplice antitesi... Firenze è, ancora una volta, assunta a simbolo della corruzione e dell'ingiustizia terrena; e quel nome proprio, che prende rilievo dal suo collocarsi parallelo e in posizione chiastica accanto agli astratti "umano" e "tempo", basta per un istante a riassumere, come in un supremo compendio, tutte le ragioni polemiche e le note più amaramente personali del poema, ed al tempo stesso le colloca in uno sfondo remoto, le rimpicciolisce e le vanifica, dando risalto al trionfo della giustizia nel "divino" e nell'"eterno" ».
La triplice antitesi qui citata contrappone ciò che è divino e incorruttibile a ciò che è umano e mortale; la Firenze dilaniata dalle contese tra fazioni e il popolo dei Beati che canta concorde la lode a Dio Onnipotente; e, quanto più ci interessa, l'eternità immutabile alla mutevolezza del tempo. Concentriamoci su quest'ultima contrapposizione: come abbiamo già visto nel caso di Marco Lombardo, quando si lascia la dimensione del divenire per entrare in quella dell'eternità, il tempo virtualmente cessa di scorrere, e si smette di « partire il tempo per calendi » (Pur. XVI, 27). Ma il tempo può finire davvero?
I filosofi hanno discusso il problema della mortalità del tempo molto prima dell'avvento di Einstein e di Heisenberg. Il solito Aristotele sosteneva che il tempo non può avere né inizio né fine perché ogni istante è sia la fine di un'epoca che l'inizio della successiva, ed ogni evento è sia il risultato di qualcosa che la causa di un altro. Ad esempio, le 24.00 del giorno precedente sono anche le 00.00 del giorno successivo, e qualunque cosa succeda, ad un giorno ne seguirà sempre un altro, anche se per ipotesi il sole dovesse spegnersi e il mondo andare in rovina. Come si può definire la « fine del tempo », se il concetto stesso di « fine » presuppone l'esistenza del tempo? Ma se il tempo non ha fine, allora l'universo è infinitamente longevo, e ciò porta con sé tutte le domande da sempre legate al paradossale concetto di infinito. Come abbiamo visto sopra, Dante Alighieri ha le idee molto chiare in proposito: il tempo è iniziato con la Creazione e finirà con il Giudizio Universale. Proprio nel XXIV Canto del Paradiso, i cui versi abbiamo già commentato in precedenza, l'Alighieri ribadisce il concetto agostiniano secondo cui il tempo iniziò con il Big Bang, facendo affermare a Beatrice che i puri spiriti NON sono stati creati "prima" del mondo sensibile:
« Ieronimo vi scrisse lungo tratto
di secoli de li angeli creati
anzi che l'altro mondo fosse fatto;
ma questo vero è scritto in molti lati
da li scrittor de lo Spirito Santo,
e tu te n'avvedrai se bene agguati;
e anche la ragione il vede alquanto,
che non concederebbe che ' motori
sanza sua perfezion fosser cotanto. » (Par. XXIX, 37-45)
La costruzione è latineggiante: San Girolamo (347-420) scrisse che gli angeli furono creati molti secoli prima del mondo fatto di materia. Qui Dante si riferisce a Super Epistulam ad Titum I, 2, capoverso che Dante ritrovava citato in Pietro Lombardo (Sententiae II, 2); a questa opinione il nostro Poeta contrappone l'autorità della Sacra Scrittura ("li scrittor de lo Spirito Santo"), di Aristotele e di San Tommaso. Così in effetti si esprime il Libro del Siracide:
« Colui che vive per sempre ha creato insieme l'intero universo » (Sir 18, 1)
e San Tommaso d'Aquino:
« In principio creavit Deus caelum et
terram.
Non autem hoc esset verum, si aliquid creasset ante ea: ergo angeli non sunt
ante naturam corpoream creati »
[In principio Dio creò il cielo e la terra: ciò non sarebbe vero tuttavia,
se Dio avesse creato qualcosa prima: pertanto gli angeli non furono creato
prima della materia.] (Summa Theologica I, LXI, 3)
L'Alighieri tuttavia ritiene che l'ipotesi di Girolamo sia anche contraria alla ragione, dal momento che gli angeli motori dei cieli non avrebbero potuto rimanere così a lungo privi della loro "perfezione", cioè della possibilità di esercitare il loro compito di intelligenze motrici. Infatti lo stesso Dante ha affermato nel Convivio che la perfezione consiste nella beatitudine della vita attiva:
« Con ciò sia cosa che quella che è qui l'umana natura non pur una beatitudine abbia, ma due, sì com'è quella de la vita civile, e quella de la contemplativa, inrazionale sarebbe se noi vedemo quelle avere la beatitudine de la vita attiva, cioè civile, nel governare del mondo, e non avessero quella de la contemplativa, la quale è più eccellente e più divina » (Convivio II, IV, 10)
Andrej Rublev, Icona della Trinità (1410), Mosca, Galleria statale di Tret'jakov
Che poi il tempo abbia fine insieme ai Cieli che regolano il suo moto, e quindi insieme all'universo, ce lo dice più di un passo della Commedia. Prendiamo ad esempio Farinata degli Uberti, da noi già incontrato più volte nel nostro percorso. Prima di riprendere il suo viaggio, Dante gli domanda spiegazioni del perchè egli conosca il suo futuro, mentre Cavalcante Cavalcanti non conosce la situazione attuale di suo figlio Guido, e l'antico capo dei ghibellini di Firenze gli risponde che i dannati vedono « come quei c'ha mala luce / le cose... che ne son lontano » (Inf. X, 100-101): essi fanno cioè come i presbiti, che vedono bene le cose lontane ma, appena si avvicinano ad esse, le vedono sfocate. Questa norma infernale si applica molto bene come contrappasso agli Epicurei, che credettero solo nel presente, respingendo la prospettiva nell'eterno. Ad ogni modo, Farinata non manca di sottolineare che questa sorta di prescienza durerà solo fino al Giorno del Giudizio:
«
Però comprender puoi che tutta morta
fia nostra conoscenza da quel punto
che del futuro fia chiusa la porta. » (Inf. X, 106-108)
Infatti, dopo l'ultimo Giudizio non vi sarà più futuro, ma solo l'immutabilità dell'eterno. Il tempo dunque, secondo Dante, ha avuto un inizio, ed avrà una fine. Cosa ci dice in proposito la Fisica nei suoi sviluppi più recenti?
Nella nostra esperienza quotidiana, nulla "finisce" per davvero. Quando l'uomo muore, il suo corpo si decompone, ma la materia di cui è fatto rientra nel ciclo della vita: le piante estraggono gli elementi dal terreno e li usano per costruire i propri tessuti, di cui si cibano gli animali, e così via. Persino una stella esplosa in supernova non "finisce" veramente. Infatti la sua materia è espulsa nello spazio sotto forma di nebulosa ricca di elementi pesanti, che un giorno darà vita a nuove stelle, magari circondate di pianeti. È dunque possibile arrivare ad un momento in cui non vi è più alcun « dopo »? Se la risposta è sì, davvero questo momento sarebbe la « fine delle fini », come la ha definita un filosofo. Naturalmente, la Fisica Classica sembra escludere che la risposta sia affermativa: il tempo appare come un ritmo universale, un film sulla cui pellicola scorrono gli eventi del cosmo, una rappresentazione teatrale che mai rallenta, mai accelera e mai ha fine, scorrendo sempre nello stesso verso con un battito costante ed eterno.
Einstein tuttavia ha mosso le prime obiezioni a questa visione del tempo, insegnandoci (come si è visto in precedenza) che esso può benissimo rallentare o accelerare a seconda degli osservatori che lo misurano. E non soltanto chi va più veloce sente il tempo dilatarsi: la relatività generale ci ha insegnato che, in presenza di grandi masse, il tempo a sua volta rallenta. Il tempo non solo influenza ciò che la materia fa, ma reagisce a sua volta a ciò che la materia sta facendo. Una stella in rapido collasso gravitazionale "sente" che il tempo sta scorrendo in maniera diversa che nel resto dell'universo. In un buco nero, addirittura, il tempo ha proprio fine. I buchi neri hanno la fama di mostri che divorano tutto ciò che casca loro a tiro, ma la realtà è anche peggiore: chi cade in un buco nero non solo è fatto a pezzi dalla soverchiante gravità, ma, come dimostrò il fisico tedesco Karl Schwarzschild (1873-1916), allievo di Einstein, il suo tempo cessa a tutti gli effetti di scorrere. Nessuna sua molecola verrà riciclata, e nessuna fenice rinascerà dalle sue ceneri. Dante Alighieri sembra aver avuto un flash di questa situazione allorché descrive la prima impressione che ha quando varca la terribile Porta dell'Inferno:
«
Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d'ira,
voci alte e fioche, e suon di man con elle
facevano un tumulto, il qual s'aggira
sempre in quell' aura sanza tempo
tinta,
come la rena quando turbo spira » (Inf. III, 25-30)
Quell'aura "sanza tempo tinta", cioè assolutamente nera e buia, senza l'alternarsi del giorno e della notte. richiama alla mente proprio i buchi neri, che nulla lasciano trasparire e in prossimità dei quali il tempo stesso si arresta (per saperne di più, consultate quest'altro mio ipertesto). Simili abissi senza tempo vengono chiamati "singolarità". Il punto geometrico a cui la gravità riduce un buco nero è una singolarità, ma lo era anche il Big Bang, quando tutta la materia era concentrata in un singolo punto a densità infinita, e il tempo non si era ancora messo in moto. Le singolarità sono una conseguenza ineluttabile della Relatività Generale di Einstein. Forse, se riuscissimo a realizzare una teoria quantistica della gravità, o addirittura una teoria quantistica unificata dei campi, come spiegato sopra, le singolarità sparirebbero, rimuovendo uno dei più imbarazzanti intralci della Fisica contemporanea, ma sappiamo già che tale teoria unificata è ben lungi dall'essere stata messa a punto. Forse uno dei motivi per cui oggi i Fisici la cercano con tanto accanimento, è perché sperano di sbarazzarsi di quelle inquietanti singolarità senza tempo. L'Ottica geometrica ci insegna che una lente concentra in un solo punto i raggi provenienti dall'infinito; ma allora in quel punto di dimensioni nulle si avrebbe un'intensità luminosa infinita. La Fisica Moderna ci insegna invece che l'ottica geometrica è solo un'esemplificazione, che la luce non è composta da raggi rettilinei e unidimensionali ma da onde, e la lente non le concentra in un punto privo di dimensioni, ma in un'area finita, per quanto piccola. Allo stesso modo, il principio di indeterminazione di Heisenberg e tutti gli altri pilastri della Meccanica Quantistica ci conducono a concludere che le singolarità sono piccole, ma non prive di dimensioni, e che la loro densità è altissima, ma non infinita. Se è così, in corrispondenza di esse il tempo non può arrestarsi completamente. In assenza di una teoria quantistica della gravità è impossibile per ora rispondere a questa domanda.
Anche in assenza di una tale teoria, gli Astrofisici hanno cercato in tutti i modi di ricostruire quali scenari potrebbero porre fine al tempo. Assodato che l'universo è nato da una grande deflagrazione oggi nota come Big Bang, che come si è visto in una delle precedenti lezioni ha avuto luogo circa 13,7 miliardi di anni fa, e che da allora lo spazio ha conosciuto un processo di continua espansione e diluizione della materia e dell'energia, sono stati proposti sei possibili scenari, tutti accomunati dall'aggettivo "Big" proprio per antitesi all'iniziale "Big Bang". Vediamoli uno per uno.
1) BIG CRUNCH.
L'espansione dell'universo dura finché prosegue la spinta inerziale delle galassie causata dal Big Bang. Ma ad un certo punto l'attrazione gravitazionale delle galassie è sufficiente per arrestare e addirittura invertire l'espansione. Le galassie tornano a riavvicinarsi ed infine collassano in una nuova singolarità, che decreta la fine del tempo. In Dante un "collasso" del genere è ravvisabile nei versi in cui Beatrice ricorda a Dante che Lucifero, signore dell'Inferno, è a sua volta condannato ad essere sepolto sotto tutta la materia dell'universo, che gli è precipitata contro per incarcerarlo e tenerlo separato per sempre da tutto ciò che è giusto e buono:
«
Principio del cader fu il maladetto
superbir di colui che tu vedesti
da tutti i pesi del mondo costretto » (Par. XXIX, 55-57)
Fino ai primi anni '90 del secolo scorso questo scenario era ritenuto molto probabile. Ed ancor oggi questa teoria ha i suoi partigiani, tra i quali vi sono Roger Penrose (1931-) dell'Università di Oxford e Vahe Gurzadyan (1955-) dell'Università Statale di Yerevan, in Armenia. Essi hanno studiato per anni la radiazione cosmica di fondo che pervade l'intero universo, e che si pensa essere una sorta di "bruciatura" lasciata dal Big Bang: negli anni novanta del secolo scorso si era già scoperto che questa radiazione è anisotropa, cioè è diversa a seconda delle direzioni, e la sua temperatura subisce fluttuazioni di circa una parte su 100.000. Come spiegano in un articolo sul sito arXiv, Penrose e Gurzadyan sostengono di aver scoperto la presenza di una serie di "cerchi concentrici" all'interno della radiazione di fondo, all'interno dei quali la variazione di temperatura è molto inferiore al previsto, e che, secondo i loro calcoli, alcuni dei cerchi più ampi dovrebbero essersi formati prima del Big Bang. Questa scoperta sarebbe in accordo con un modello di universo ciclico, nel quale alla fine di un "eone" l'universo avrebbe fine e si innescherebbe un nuovo Big Bang, dando inizio ad un universo tutto nuovo, in un processo che si ripeterebbe indefinitamente. Sempre secondo Penrose e Gurzadyan, i cerchi si sarebbero formati in seguito allo scontro di buchi neri supermassicci, proprio al termine della contrazione dell'universo precedente al nostro. Alcuni però ritengono che questi "cerchi concentrici", simili a quelli provocati da un sasso gettato nell'acqua, siano solo un'illusione dovuta agli strumenti utilizzati (i satelliti WMAP e BOOMERanG98), o che potrebbero comunque essere spiegati anche da altri modelli di universo.
In ogni caso, la principale prova a sfavore di un universo che rimbalza in continuazione tra un Big Bang e un Big Crunch arrivò l'8 gennaio 1998, quando Saul Perlmutter (1950-) del Berkeley Lab annunciò che le sue accurate misurazioni della velocità di allontanamento reciproco delle galassie dimostravano che l'espansione non sta affatto frenando; anzi, sta accelerando, per motivi del tutto ignoti. Ciò sembra escludere che tutte le galassie possano dare vita a un collasso finale. Per spiegare questa espansione indefinita è stato allora introdotto il concetto di "energia oscura", un'ipotetica forma di energia che si troverebbe in tutto lo spazio, come la famosa "etere" di Aristotele e poi dell'ottica ottocentesca, e con la sua pressione spingerebbe le galassie ad allontanarsi le une dalle altre. Secondo i calcoli di Perlmutter, l'universo sarebbe costituito per lo 0,5 % da oggetti stellari, per il 4 % da nebulose di gas intergalattico, per lo 0,3 % dagli sfuggenti neutrini e solo per lo 0,03 % da elementi pesanti, che costituiscono i pianeti come la Terra. Il 25 % sarebbe da imputare alla "materia oscura", e addirittura il 70 % da questa misteriosa "energia oscura" di cui nessuno oggi conosce la vera natura. Tutto ciò fa tornare in mente i celebri versi con cui inizia la discesa dell'Alighieri all'Inferno, dopo aver superato l'Acheronte:
«
Oscura e profonda era e nebulosa
tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
io non vi discernea alcuna cosa.
"Or discendiam qua giù nel cieco mondo",
cominciò il poeta tutto smorto... » (Inf. IV, 10-14)
Composizione percentuale dell'universo (disegno dell'autore di questo sito)
Quali ipotesi hanno formulato al riguardo i Fisici contemporanei? Riguardo alla materia oscura, le ipotesi si sono susseguite a velocità incredibile negli ultimi sessant'anni, ed una (quella di un universo-brana parallelo al nostro che interagisce con noi attraverso la forza di gravità) lo abbiamo già esaminato in quel che precede. Il fatto però è che non solo stelle, galassie e nubi di gas mostrano di muoversi in risposta all'influsso gravitazionale di materia invisibile, ma anche la fisica legata al nucleo atomico ed ai suoi componenti presenta problemi che potrebbero essere risolti ipotizzando l'esistenza di nuove particelle. Ad esempio, i Bosoni W e Z0, che abbiamo visto essere responsabili della forza nucleare debole, in base ai modelli teorici non dovrebbero essere così massicce come esse ci appaiono. Se è così, significa che altre particelle le inducono ad acquisire massa. Molti fisici sono convinti che stiano per essere scoperte centinaia di nuove particelle, legate a quelle note da quella simmetria della Natura che noi abbiamo già chiamato supersimmetria. Tra queste particelle vi sono le cosiddette WIMP (Weakly Interacting Massive Particle, "Particelle Massicce Debolmente Interagenti"), che interagirebbero con la materia ordinaria solo tramite la forza nucleare debole e la gravità. Essendo invisibili alla forza elettromagnetica, predominante nell'universo che ci circonda, esse ci apparirebbero assolutamente oscure. Le WIMP dovrebbero essersi originate al momento del Big Bang, e il loro numero dovrebbe essersi fissato per sempre circa 10 nanosecondi dopo; i calcoli dimostrano che il numero delle WIMP sopravvissute fino ad oggi corrisponderebbe esattamente a quello necessario per spiegare la materia oscura del cosmo. Purtroppo però dimostrare l'esistenza delle WIMP non è facile, proprio perchè sono assai debolmente interagenti con la materia ordinaria: si scandaglia ormai da molti anni il cielo alla ricerca di loro eventuali effetti di collisione ed annichilazione, ed inoltre si spera che il Large Hadron Collider (LHC) del CERN a Ginevra possa fornirci risposte chiare in proposito.
Ma le WIMP non sono le uniche candidate al ruolo di "materia oscura". Recenti sviluppi nel campo della Fisica delle Particelle hanno messo in luce nuove possibilità, suggerendo l'esistenza di corpuscoli che interagiscono ancora più debolmente delle WIMP: Sembra infatti che queste ultime fossero instabili, e nell'arco di tempo compreso tra alcuni secondi e alcuni giorni dall'inizio di tutto potrebbero essere decadute in particelle di massa confrontabile alla loro, ma che interagiscono solo tramite la forza di gravità e non attraverso la forza nucleare debole. I Fisici le chiamano SuperWIMP, ed esse sfuggirebbero a tutte le osservazioni dirette, ma si potrebbe dedurne l'esistenza da un'impronta caratteristica lasciata sulla formazione delle galassie. Al momento della loro generazione, le SuperWIMP dovevano essere in moto a velocità prossime a quella della luce, ed avrebbero impiegato un certo tempo a fermarsi; solo a quel punto sarebbe iniziata la formazione delle galassie. Questo ritardo avrebbe lasciato meno tempo per l'accumulo di materia nei nuclei galattici prima che l'espansione cosmica la diluisse, e dunque la densità di materia al centro degli aloni di materia oscura dovrebbe indicare se essi sono costituiti da WIMP o da SuperWIMP; le ricerche in questo senso sono ancora in corso. Ma, supponendo che le une o le altre esistano, è possibile che esse formino una sorta di "universo oscuro" parallelo al nostro, a noi invisibile ma formato da galassie oscure, stelle oscure, pianeti oscuri e addirittura esseri viventi oscuri? Dopotutto, come si vede qui sopra, la materia oscura è cinque volte più abbondante di quella ordinaria. La questione è affascinante, e frotte di cosmologi se ne stanno occupando. Una cosa è certa: questo "universo oscuro" posto accanto al nostro (forse vicino a noi ci sono invisibili scienziati che studiano la "nostra" materia!) ricorda incredibilmente il Cielo Empireo di Dante, popolato da angeli così come il nostro è popolato di esseri corporei; essi sono invisibili a noi come le WIMP e le SuperWIMP. La loro distinzione in nove cori (Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Virtù, Potestà, Principati, Arcangeli, Angeli), tenuti "agli ubi", cioè nel loro luogo naturale, dalla Visione Beatifica di Dio, e destinati a "circüir", cioè a circondare per sempre l'oggetto del loro amore, ricorda davvero, come si è visto in una lezione precedente, un "universo parallelo" fatto di sfere concentriche così come i pianeti nel sistema tolemaico circondano la Terra:
«
Io sentiva osannar di coro in coro
al punto fisso che li tiene a li
ubi,
e terrà sempre, ne' quai sempre fuoro. » (Par. XXVIII, 94-96)
«
Or sai tu dove e quando questi amori
furon creati e come (...)
Né giugneriesi, numerando, al venti
sì tosto, come de li angeli parte
turbò il suggetto d'i vostri elementi.
L'altra rimase, e cominciò quest'arte
che tu discerni, con tanto diletto,
che mai da circüir non si diparte. » (Par. XXIX, 46-47.49-54)
Riguardo invece all'energia oscura, quando Richard Feynman (1918-1988) sviluppò la teoria quantistica della radiazione (Elettrodinamica Quantistica), si rese conto che anche il vuoto possiede una sua ben definita energia, provocata dalle particelle virtuali che si formano in continuazione. Il principio di indeterminazione di Heisenberg infatti afferma tra l'altro che l'energia e la durata di un fenomeno non possono essere entrambi zero. Di conseguenza il vuoto assoluto non può esistere, poiché in esso energia e durata dei fenomeni sono appunto nulli. Nel vuoto si generano in continuazione coppie di particelle e antiparticelle, per poi annichilarsi a vicenda: quello che noi crediamo il "vuoto" è in realtà un pauroso ribollire simile, per certi versi, alla pece che riempie la bolgia dantesca dei barattieri. Queste particelle (virtuali, perché non rilevabili) interagiscono globalmente con la materia ordinaria, dando vita all'accelerazione dell'universo. Di conseguenza le equazioni di Einstein vanno corrette con una "costante cosmologica" (indicata con il simbolo Λ, lambda), dovuta all'energia intrinseca dello spazio ("il prezzo della pace per avere spazio", come lo ha definito un fisico). Le fluttuazioni del vuoto darebbero vita a una costante cosmologica stimata dell'ordine di circa 10−29 g/cm3.
Il problema è che la maggior parte delle teorie quantistiche dei campi prevedono un valore enorme per la costante dall'energia del vuoto quantistico, fino a 120 ordini di grandezza in più: è questo il massimo sfasamento tra teoria e misure in tutta la storia della Fisica! Questo vorrebbe dire che tale pressione dovrebbe venire annullata da una forza uguale e di segno opposto. Altri fisici allora hanno pensato all'energia oscura come ad una "quintessenza" (appunto, come l'etere aristotelica: torna l'eterna ossessione dei cosmologi!) chiamata anche "energia fantasma", e che, a differenza della famosa "materia oscura", non dà vita a strutture tipo nebulose o galassie. Alcuni pensano che la teoria delle superstringhe, cui abbiamo dedicato la prima parte di questa lezione, potrebbe prevedere quest'energia fantasma. Altri invece puntano su modelli alternativi, come la Gravita Quantistica a Loop, i quali potrebbero spiegare la costante cosmologica senza far ricorso all'energia oscura. Altri ancora ipotizzano un'interazione tra la materia oscura e l'energia oscura, confortata dal fatto che esse hanno densità confrontabili; tale interazione potrebbe alterare lo sviluppo delle strutture cosmiche fatte di materia ordinaria, in un modo che potrebbe risultare rilevabile da nostri strumenti in un futuro forse non troppo lontano. C'è infine chi pensa che l'energia oscura e l'accelerazione cosmica siano la prova del fallimento del modello Standard fin qui accettato, poiché costringe ad ammettere l'esistenza di qualcosa non ancora interpretabile come l'energia oscura. Distinguere quale sia il modello migliore tra l'energia del vuoto, la quintessenza e gli altri richiede misure accuratissime dell'espansione dell'universo per capire come la sua velocità cambia nel tempo, e questo sarà uno degli sforzi maggiori della cosmologia nel corso del XXI secolo.
2) BIG WHIMPER (letteralmente: grande gemito).
L'energia oscura porta ad una indefinita espansione dell'universo, con ritmo sempre più accelerato. Questo scenario prevede l'esistenza di una "costante cosmologica" nelle equazioni di Einstein, invariante nello spazio e nel tempo. La maggior parte degli scienziati oggi lo vede come lo scenario più probabile, ma anche più inquietante: l'universo, espandendosi senza sosta come un palloncino che si gonfia indefinitamente, diventa sempre più vuoto e oscuro, poiché materia ed energia si diluiscono sempre di più. Tutta la materia presto o tardi verrà inghiottita da buchi neri sempre più grandi e massicci. Ora, secondo la teoria di Stephen Hawking (vedi in proposito il mio ipertesto interamente dedicato ai buchi neri), i buchi neri emettono una debole radiazione, e per miliardi di miliardi di anni il cosmo verrà rischiarato solo dalla debolissima luminosità dei buchi neri in via di dissolvimento. Il tempo allora non avrà mai una fine, ma perderà gradualmente di significato, perché il cosmo andrà verso la « morte termica », uno stato di assoluto equilibrio in cui tutti gli angoli dell'universo, anche i più remoti, si troveranno alla stessa temperatura, e ricavare nuovo lavoro utile da questa radiazione diffusa ed incredibilmente uniforme sarà del tutto impossibile. Da questo momento in poi non cambierà più nulla, e sarà come se il tempo abbia cessato di scorrere. Si realizzerà in tal modo la terrificante eventualità prospettata dal grande scrittore americano Edgar Allan Poe (1809-1849) nel suo allucinante racconto intitolato « La Maschera della Morte Rossa »:
« E allora tutti compresero e riconobbero la presenza della "Morte Rossa". Era giunta come un ladro nella notte, e a uno a uno i gaudenti giacquero nelle sale irrorate di sangue delle loro gozzoviglie, e ciascuno morì nell'atteggiamento disperato in cui era caduto. E la vita della pendola d'ebano si estinse con quella dell'ultimo dei crapuloni. E le fiamme dei tripodi si spensero. E l'Oscurità, la Decomposizione e la Morte rossa regnarono indisturbate su tutto. »
Siamo vicinissimi alle parole con cui, in mezzo alle tombe infuocate degli Eretici, Virgilio risponde alla domanda di Dante se sia possibile vedere le anime che giacciono nelle arche, giacché i coperchi sono tutti sollevati: dopo il Giudizio Universale nella Valle di Giosafat presso Gerusalemme (cfr. Gioele 3, 2),tutte le tombe saranno chiuse, e la Seconda Morte, il silenzio e le tenebre regneranno davvero indisturbate su tutto!
«
"La gente che per li sepolcri giace
potrebbesi veder? già son levati
tutt'i coperchi, e nessun guardia face."
E quelli a me: "Tutti saran serrati
quando di Iosafàt qui torneranno
coi corpi che là sù hanno lasciati" » (Inf. X, 7-12)
La fine dell'ultimo uomo nella
storia a fumetti "La scorribanda nei secoli"
di Jerry Siegel e Romano Scarpa (da "Topolino" n° 911 del 13 maggio
1973)
3) BIG RIP.
Si tratta dello scenario più catastrofico. Se l'energia oscura non è costante nell'universo, come prevedono molti modelli, ma aumenta di potenza, l'universo può letteralmente andare in pezzi. Questa forma potentissima di energia oscura coincide con l'« energia fantasma » di cui abbiamo già parlato sopra: essa non solo farebbe espandere l'universo all'infinito, ma sarebbe capace addirittura di separare tra di loro tutti i suoi componenti. Prima le galassie verrebbero separate le une dalle altre, poi la gravità sarebbe troppo debole per tenerle assieme e le stelle, che a loro volta si separerebbero, "dissolvendo" le galassie e gli ammassi. Circa tre mesi prima della fine, i pianeti si separerebbero dalle loro stelle, negli ultimi minuti le stelle e i pianeti sarebbero disintegrati, e una frazione di secondo prima della fine anche gli atomi verrebbero distrutti, e i protoni "sciolti" nei quark e nei gluoni che li compongono. Insomma, l'Universo sarebbe ridotto ad un "brodo" di particelle elementari isolate le une dalle altre, in cui ogni attività sarebbe impossibile, poiché ogni particella sarebbe impossibilitata a "vedere" le altre: l'Universo tornerebbe insomma al caos primordiale, esattamente come riporta Dante quando Virgilio gli descrive il terremoto seguito alla morte di Cristo, da lui paragonato alla dottrina di Empedocle di Agrigento (492-432 a.C.), per il quale l'universo si regge sulla discordia dei quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco), così che, quando cessa la discordia e ritorna la concordia ("pensai che l'universo sentisse amor"), il cosmo ritorna periodicamente nel caos:
« ...da tutte parti l'alta valle feda
tremò sì, ch'i' pensai che l'universo
sentisse amor, per lo qual è chi creda
più volte il mondo in caòsso converso » (Inf. XII, 40-43)
Naturalmente, la dissoluzione della materia porterebbe necessariamente anche alla fine del tempo. Secondo questo scenario, la fine avverrebbe tra circa 20 miliardi di anni. La "vita" totale dell'universo si aggirerebbe allora sui 33 miliardi di anni.
4) BIG FREEZE.
Analogo al precedente. L'energia fantasma "satura" tutto l'universo ed esso raggiunge una densità infinita, espandendosi però di una quantità finita. La continua espansione provoca un universo troppo freddo per sostenere la vita: la materia sopravvissuta ha così poca energia da risultare assolutamente immobile, e il tempo virtualmente si ferma. Questo processo coincide con la "morte termica" dell'universo, e può avvenire attraverso il seguente scenario. Le galassie "muoiono" allorché tutta la loro materia viene fagocitata dal buco nero centrale e dagli altri buchi neri causati dalla morte delle stelle supermassicce. Come già ricordato sopra, secondo lo scienziato britannico Stephen Hawking (1942-2018), i buchi neri evaporano in un tempo per noi lunghissimo, dell'ordine di 1064 anni (1 seguito da 64 zeri!): emettendo radiazione, a poco a poco scompaiono. Su scale temporali ancora più lunghe (101000 anni, cioè 1 seguito da mille zeri!), questa radiazione si "dissipa" e tutto lo spazio si trasforma in un "fluido" allo zero assoluto; da quel momento in poi, non accade praticamente più nulla, e la freccia del tempo "si rompe". Torna in mente in proposito questa terzina dantesca:
« Buio d'inferno e di notte privata
d'ogne pianeto, sotto pover cielo,
quant' esser può di nuvol tenebrata... » (Purg. XVI, 1-3)
5) BIG BRAKE ("grande frenata", ipotizzata per la prima volta nel 1994).
In pratica, la materia oscura non guida più l'espansione cosmica, ma al contrario, da un certo punto in poi, la ritarda, frenando bruscamente l'espansione. La decelerazione è potenzialmente infinita, e di conseguenza le strutture dell'universo sono soggette a tali forze di marea,che tutto andrebbe distrutto. Sebbene altre grandezze restino finite, il tempo se la vedrebbe molto brutta.
6) BIG LURCH ("grande sbandata", introdotta nel 2004).
Questa prospettiva non richiede energia oscura: basta che la materia barionica (quella da cui noi siamo formati) assuma un moto sufficientemente frenetico. Le forze di pressione diventano infinite, mentre la densità e la velocità di espansione conservano valori finiti. Il tempo potrebbe proseguire oppure no, a seconda dei valori assunti dalle singole variabili. Questo è sicuramente lo scenario più pessimistico, perchè i calcoli non escludono una simile catastrofe tra appena 9 milioni di anni!
Di questi ultimi due scenari si è occupato in particolare Roger Penrose, il già citato fisico dell'Università di Oxford, nel suo saggio "Cycles of Time: an extraordinary new view of the universe". In esso, egli porta avanti il ragionamento seguente. Dieci microsecondi dopo il Big Bang il primitivo plasma di quark e gluoni, stato esotico della materia ricostruito per la prima volta nel novembre 2010 dal Large Hadron Collider di Ginevra, si organizzò in protoni e neutroni, i quali si combinarono, alcuni minuti dopo l'inizio di tutto, per dare vita a nuclei atomici, mentre circa 380.000 anni dopo ebbero vita i primi atomi e molecole di idrogeno. Appare chiaro che, prima di quei dieci microsecondi, quando tutto era confuso in un "brodo" indistinto, non vi era alcuna struttura legata, e quindi non vi era nulla che potesse funzionare come "orologio". Quark ed elettroni non hanno struttura interna nota, e quindi non potevano rappresentare nessun riferimento per la nascita del tempo. E così, in quella "zuppa" primordiale di quark e gluoni, la materia non avrebbe percepito alcun trascorrere del tempo. Ma questa situazione non riguarda solo il passato remoto: secondo Penrose può ripetersi nel futuro più lontano. Molti miliardi di anni dopo lo spegnimento delle ultime stelle, l'universo apparirà come un tetro miscuglio di buchi neri, la cui debole luminescenza sarà l'unica a squarciare la tenebra assoluta. E quando anche i buchi neri saranno evaporati, rimarranno solo più particelle prive di massa come i fotoni, e con essi sarà impossibile fabbricare un orologio; in altre parole, il tempo verrà privato di uno delle sue proprietà fondamentali, la direzionalità. « Se il tempo è ciò che si misura con un orologio, e non vi è più alcun orologio, allora il tempo non esiste », ha affermato il filosofo della scienza Henrik Zinkernagel.
Naturalmente non tutti sono d'accordo con questa teoria. Secondo alcuni resterà sempre qualche particella dotata di massa con cui fabbricare un orologio, ed inoltre, se l'universo primordiale fosse stato privo di una scala temporale, come avrebbe potuto espandersi? Inoltre, Penrose sostiene la tesi secondo cui, quando il tempo avrà fine, la "pellicola verrà riavvolta" dando inizio a un nuovo Big Bang: uno scenario per ora tutt'altro che dimostrabile. E comunque, se anche il concetto di "durata" perdesse di significato, il tempo non sarebbe ancora morto, e continuerebbe a fare in modo che gli eventi si prolunghino in una sequenza di causa e di effetto.
La Vergine Maria disegnata da
Dorè di fronte alla Millennium Simulation,
una immagine della
distribuzione degli ammassi di galassie e della materia
oscura su una scala di più di un miliardo di anni luce (tratta da questo
sito)
Ma, in certe condizioni, il tempo potrebbe perdere anche questa funzione basilare, e trasformarsi addirittura in una... dimensione spaziale. Proprio così. Stephen Hawking e James Hartle hanno ipotizzato che la « brana » rappresentante il nostro universo quadridimensionale potrebbe metterci seriamente nei guai. In genere infatti noi siamo liberi di muoverci all'interno di essa, ma se la brana viene "stirata" abbastanza forte, non potremo più muoverci, perchè per compiere un movimento lungo la brana dovremmo muoverci più veloci della luce, e la relatività di Einstein ce lo vieta. Come conseguenza tutti i fenomeni si bloccherebbero, perchè ogni fenomeno richiede un movimento di qualche tipo. Allora la brana si "piegherebbe" e la dimensione temporale scomparirebbe, assorbita da quelle spaziali. Dato che il tempo si sta trasformando in spazio, gli orologi rallenterebbero e si fermerebbero, e noi non avremmo alcun modo di accertare il fenomeno, restandone all'oscuro. Osserveremmo solo che le galassie stanno accelerando, perchè la brana in via di ripiegamento costringe tutti gli oggetti a muoversi a velocità sempre più vicina a quella della luce: esattamente quell'accelerazione dell'universo che noi oggi tentiamo di spiegare mediante l'energia oscura!
A questo punto, potrebbe sembrare che il tempo svanisca, ma in realtà una sua "ombra" resisterebbe ancora. Anche se non esisterebbero più né durate né relazioni di causa ed effetto, si potrebbero "etichettare" gli eventi sfruttando il cosiddetto "principio olografico". Un ologramma è un'immagine piatta che però dà l'impressione di un senso di profondità: dunque, pur essendo bidimensionale, ci appare tridimensionale. Bene, il cosiddetto Principio Olografico sostiene che l'universo sia simile a una proiezione olografica! Un sistema complesso di particelle quantistiche che interagiscono fra di loro può infatti provocare l'illusione di un senso di profondità, cioè può farci comparire una dimensione aggiuntiva che in realtà non esiste. Ma non è vero il contrario, cioè che tutte le immagini siano ologrammi, poiché un'immagine va disegnata nel modo giusto per apparire olografica. Il nostro amato Dante scorge qualcosa di simile a degli "ologrammi" nella Terza Cornice, quando gli piovono nell'"alata fantasia" le immagini di tre esempi di ira punita: Procne, che uccise il figlio Iti e lo diede da mangiare al marito Tereo, e per questo fu tramutata in usignolo; Aman, che tentò di far sterminare al re persiano Assuero l'intero popolo ebraico, e per questo venne crocifisso; e Amata, moglie di re Latino, che si impiccò credendo che Turno fosse già stato ucciso da Enea, provocando la disperazione di sua figlia Lavinia (Eneide XII, 595-607):
«
O imaginativa che ne rube
talvolta sì di fuor, ch'om non s'accorge
perché dintorno suonin mille tube...
De l'empiezza di lei che mutò forma
ne l'uccel ch'a cantar più si diletta,
ne l'imagine mia apparve l'orma...
Poi piovve dentro a l'alta fantasia
un crucifisso, dispettoso e fero
ne la sua vista, e cotal si moria...
E come questa imagine rompeo
sé per sé stessa, a guisa d'una bulla
cui manca l'acqua sotto qual si feo,
surse in mia visïone una fanciulla
piangendo forte, e dicea: "O regina,
perché per ira hai voluto esser nulla?" » (Purg. XVII,
13-15.19-21.25-27.31-36)
Immaginiamo dunque una stella che collassa in un buco nero. Essa ci appare tridimensionale, ma corrisponde a uno schema in un sistema di particelle a due dimensioni. Se la gravità aumenta, il corrispondente schema in due dimensioni subisce distorsioni sempre maggiori e, quando si forma la singolarità di un buco nero, l'ordine scompare. È esattamente ciò che accade quando si scioglie un cubetto di ghiaccio: le molecole d'acqua passano da una struttura cristallina al disordine di un liquido, e la terza dimensione letteralmente "fonde"! La stessa cosa accadrebbe al tempo. Cadendo nella singolarità di un buco nero, il tempo segnato da un orologio dipende dalla distanza dal centro del buco, definito dentro la dimensione che si sta "dissolvendo". Appena quella dimensione scompare, il nostro orologio inizia a girare senza controllo, e diventa letteralmente impossibile stabilire se gli eventi avvengono in istanti specifici o in punti determinati. Insomma, come ha affermato il fisico Emil J. Martinec dell'Università di Chicago, la nozione geometrica usuale dello spazio-tempo è finita.
Ciò significa semplicemente che, in queste condizioni, spazio e tempo non costituiscono più il "tessuto" dell'universo. Gli oggetti sembrano trovarsi in più luoghi contemporaneamente, e gli eventi sembrano avvenire non in un istante, ma "spalmati" lungo una durata indefinita. Alcuni ricercatori stanno cercando di mettere a punto una nuova Fisica che non presupponga il tempo: ad esempio, già alla fine degli anni sessanta John Archibald Wheeler (1911-2008, fu lui che coniò il termine "buco nero") e Brice DeWitt (1923-2004)hanno proposto un'equazione, nota come Equazione di Wheeler-DeWitt, nella quale la variabile temporale... mancava completamente! Anche nella suddetta Gravità Quantistica a Loop, uno dei modelli proposti per rappresentare una possibile Teoria del Tutto, la Meccanica Quantistica potrebbe fare totalmente a meno dell'idea di tempo. Tuttavia, tale concetto è talmente radicato nella nostra mentalità, che difficilmente qualcuno dei nostri scienziati potrà facilmente dimenticarne l'esistenza, a differenza di Dante che è venuto « a l'etterno dal tempo ». Le caratteristiche che il tempo perderà secondo i modelli cosmologici or ora discussi, sono in realtà i prerequisiti stessi della nostra esistenza; ed eventuali esseri senzienti che si troveranno a vivere quelle spiacevoli situazioni, dal Big Freeze al Big Brake, dovranno lottare per vivere in un cosmo sempre più ostile. Dopotutto, come ha detto il filosofo George Musser, « noi non siamo vittime passive dell'evoluzione del tempo, ne siamo gli autori. Vivendo, convertiamo energia in rifiuti, e contribuiamo così alla degenerazione dell'universo. Il tempo deve morire perchè noi possiamo vivere ».
Ed eccoci giunti al termine della nostra investigazione. Insieme a Dante siamo scesi nei più recessi meandri della materia, e insieme a lui ci siamo elevati fino alla più globale visione del cosmo nel suo insieme. Ci siamo intrufolati nei meandri della Logica, districati fra i labirinti della Matematica, inoltrati tra le equazioni della Meccanica, divertiti tra le onde studiate dall'Acustica e dall'Ottica, immersi nel calore della Termodinamica, elevati fino alle vette dell'Astronomia, spinti nel cuore della Fisica Atomica, fissato i nostri occhi nel punto inarrivabile del Big Bang, da cui davvero « depende il cielo e tutta la natura ». E in tutta questa esplorazione abbiamo concluso che la curiosità dell'uomo Dante era anche la nostra, che il suo desiderio di penetrare nella verità della Mente di Dio la condividiamo noi pure, e che la condivideranno tutti i nostri discendenti, perchè vi saranno sempre problemi da risolvere, paradossi da districare, fenomeni fisici da comprendere, nuovi universi nei quali navigare. Aveva ragione l'Alighieri ad ammonirci come segue, al principio del Convivio:
« Sì come dice lo Filosofo nel principio de la Prima Filosofia, tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere. La ragione di che puote essere ed è che ciascuna cosa, da providenza di propria natura impinta è inclinabile a la sua propria perfezione; onde, acciò che la scienza è ultima perfezione de la nostra anima, ne la quale sta la nostra ultima felicitade, tutti naturalmente al suo desiderio semo subietti. Veramente da questa nobilissima perfezione molti sono privati per diverse cagioni, che dentro a l’uomo e di fuori da esso lui rimovono da l’abito di scienza. (...) Manifestamente adunque può vedere chi bene considera, che pochi rimangono quelli che a l’abito da tutti desiderato possano pervenire, e innumerabili quasi sono li ’mpediti che di questo cibo sempre vivono affamati. Oh beati quelli pochi che seggiono a quella mensa dove lo pane de li angeli si manuca! e miseri quelli che con le pecore hanno comune cibo! » (Convivio I, I, 1-2.6-7)
E a ribadire il concetto all'inizio della scalata al Paradiso:
«
O voi che siete in piccioletta barca,
desiderosi d'ascoltar, seguiti
dietro al mio legno che cantando varca,
tornate a riveder li vostri liti:
non vi mettete in pelago, ché forse,
perdendo me, rimarreste smarriti.
L'acqua ch'io prendo già mai non si corse;
Minerva spira, e conducemi Apollo,
e nove Muse mi dimostran l'Orse. » (Par. II, 1-9)
Davvero ardua e sublime era la rotta che il Ghibellin Fuggiasco si apprestava a navigare, iniziando il suo incredibile viaggio attraverso l'intero universo conosciuto, e noi non possiamo presumere di potergli tenere dietro senza un'adeguata preparazione scientifica, filosofica e teologica. Non a caso egli invocava Minerva, la Dea della Conoscenza, Apollo, il protettore dei poeti, e tutte le Nove Muse, che incarnano la fantasia creativa dell'artista. Eppure, nonostante tanto difficile cammino, anche noi siamo riusciti a seguire le orme di Dante, e a spremere per intero dai suoi versi tutto il succo della scienza enciclopedica che vi ha voluto infondere con uno sforzo che ha davvero dello sbalorditivo da sette secoli a questa parte. Mi piace perciò concludere la nostra ultima lezione con queste parole del dantista Carlo Rovelli:
« Perché ci piace tanto Dante? Per molti motivi, ma forse anche per un motivo che chi come me si occupa di scienza vede particolarmente bene: Dante è uomo non solo di grandissima cultura, ma anche di straordinaria intelligenza, anche matematico‑scientifica. Sentire una persona colta di oggi che scherza e quasi si vanta della sua ignoranza scientifica è altrettanto triste che sentire uno scienziato che si vanta di non avere mai letto una poesia. Poesia e Scienza sono entrambe creazioni dello spirito che creano nuovi modi di pensare il mondo, per farcelo meglio capire. La grande Scienza e la grande Poesia sono entrambe visionarie, e talvolta possono arrivare alle stesse intuizioni. La cultura italiana odierna che tiene Scienza e Poesia separate è sciocca, perché si rende miope alla complessità e alla bellezza del mondo, che sono rivelate da entrambe. »
Domenico di Michelino, Dante e l'Oltretomba del suo Poema, Firenze, 1465
Se il mio lavoro vi è piaciuto e volete scrivermi il vostro parere, scrivetemi a questo indirizzo. Arrivederci al prossimo ipertesto! Vostro