Una delle particelle più misteriose della Fisica contemporanea è il neutrino. A suo tempo abbiamo spiegato come esso fu introdotto da Wolfgang Pauli (1900-1958) nel 1931 per spiegare la mancata conservazione dell'energia e dello spin nel decadimento beta; Edoardo Amaldi (1908-1989) lo battezzò scherzosamente così in contrapposizione con il neutrone, dotato a differenza di esso di una grande massa, ma solo nel 1956 Clyde Cowan (1919-1974) e Frederick Reines (1918-1998) riuscirono a rivelarlo sperimentalmente. Ben presto divenne chiaro che esistono tipologie diverse di neutrini: quello scoperto da Cowan e Reines nel 1952 era il neutrino elettronico, indicato con νe, ma esistono anche un neutrino muonico, indicato con il simbolo νμ e scoperto nel 1962 da Leon Max Lederman (1922-), Melvin Schwartz (1932-2006) e Jack Steinberger (1921-); e un neutrino tauonico, indicato con ντ ed osservato al Fermilab solo nel luglio 2000.
Copertina di "Le Scienze" del dicembre 2017, numero dedicato ai neutrini
I neutrini appartengono alla famiglia dei leptoni; interagiscono solo con la forza nucleare debole e la forza gravitazionale, ma non risentono né dell'interazione nucleare forte né dell'elettromagnetismo; sono privi di carica elettrica e a lungo si è creduto che fossero anche privi di massa, anche se oggi i Fisici sono più inclini a ritenere che possiedano una massa piccolissima. I neutrini sono ovunque: ogni secondo, mille miliardi di loro attraversano i nostri corpi, ma interagiscono così raramente con la materia che potrebbero attraversare un'ipotetica lastra di piombo spessa un anno luce senza subire alcuna interazione! In effetti, è probabile che solo un neutrino interagisca con un atomo del nostro corpo durante l'intera durata della nostra vita. È per questo motivo che è difficilissimo osservarli: per dare la caccia ai neutrini sono stati costruiti rivelatori di enormi dimensioni, come il SuperKamiokande (in giapponese スーパーカミオカンデ) realizzato nel 1983 nella miniera nipponica di Kamioka, a 915 m di profondità per non risentire del "rumore" costituito dai raggi cosmici. Questo rivelatore è riempito con quasi 50 milioni di litri di acqua ultrapura ed è costituito da 11.000 tubi fotomoltiplicatori: pensato per rivelare il decadimento del protone (mai osservato), si rivelò eccellente per osservare proprio i neutrini. Un altro grande rivelatore di neutrini è il cosiddetto IceCube, allestito da 38 istituzioni in dieci paesi; è srato completato il 18 dicembre 2010 presso il Polo Sud ad una profondità compresa tra 1,45 km e 2,45 km. Lo strato di ghiaccio in cui e inglobato è pari ad un chilometro cubo; il raro evento di collisione tra un neutrino ed un atomo che compone il ghiaccio antartico produce altre particelle osservate direttamente dai rivelatori dell'IceCube.
Proprio attraverso osservatori come il SuperKamiokande si scoprì una curiosa proprietà dei neutrini; una proprietà così curiosa che per spiegarvela partirò dal franchise di "Star Trek", e in particolare dalla serie "Star Trek - Deep Space Nine", andata in onda dal 1993 al 1999. Nell'undicesimo episodio della seconda stagione di questo telefilm intitolata "Questione di fortuna" (in originale "Rivals"), andata in onda per la prima volta il 2 gennaio 1994, il protagonista è Martus Mazur, interpretato dall'attore Chris Sarandon, un truffatore Elauriano (specie aliena molto longeva e famosa per la pazienza con cui ascolta la gente) il quale viene in possesso di una macchina che altera le leggi del calcolo della probabilità. Egli riesce a convincere una bella vedova a finanziarlo e apre un casinò sulla base spaziale; naturalmente usa l'invenzione per aumentare il suo guadagno truccando le macchine per il gioco d'azzardo. A un certo punto però l'imbroglio viene scoperto perché Dax, l'ufficiale scientifico della base, osserva che i neutrini nello spazio circostante Deep Space Nine hanno tutti spin sinistrorso, mentre in condizioni normali dovrebbero risultare per il 50 % con spin destrorso e per il 50 % con spin sinistrorso. Da ciò comprende che qualcosa non va: Dax e Benjamin Sisko, il Comandante della Base, scoprono che la fonte dell'anomalia sta proprio nelle macchine per il gioco d'azzardo di Martus, e le distruggono. L'idea alla base della puntata sembra ottima; purtroppo, però, fra tutti i fenomeni che gli autori di Star Trek potevano scegliere per scoprire la disonestà di Martus, sono incappati proprio nell'unico sbagliato. Per quanto ne sappiamo, infatti, i neutrini hanno solo spin sinistrorso! Essi sono le uniche particelle note in natura che a quanto pare possono esistere in un solo stato di spin. Se l'analisi di Dax avesse rilevato solo neutrini sinistrorsi, la scienziata Trill avrebbe avuto ogni ragione di credere che tutto andava proprio come doveva andare. Come ha scritto Lawrence Krauss, autore del saggio "La Fisica di Star Trek", « ciò che rende questo esempio così affascinante ai miei occhi è proprio ciò che rende così interessante la fisica di Star Trek: a volte la verità è più strana dell'immaginazione ».
Martus e la sua macchina tarocca-probabilità
Dopo decenni di osservazioni, inoltre, si comprese che i neutrini potevano provenire, oltre che dai reattori nucleari e dall'atmosfera terrestre, anche dal Sole e da stelle esplose in Supernova, tant'è vero che oggi si parla di una nuova disciplina, l'astrofisica neutrinica. Ed essa ha oggi una fondamentale importanza nello studio dell'universo che ci circonda. L'analisi dei neutrini prodotti nell'atmosfera a causa dell'interazione dei gas presenti con i raggi cosmici ci può fornire indicazioni sullo spettro di questi ultimi. Poiché i neutrini sono generati nelle reazioni di fusione che avvengono nel nucleo del Sole al ritmo di 1038 particelle al secondo, possono fornirci informazioni dirette sul funzionamento della nostra stella, dal momento che non interagiscono con la materia. La loro produzione da parte di corpi celesti come i nuclei galattici attivi, i buchi neri o le supernovae consente inoltre di osservare sperimentalmente neutrini altamente energetici (dell'ordine del TeV), non ottenibili al momento in nessun acceleratore terrestre. Infine, proprio attraverso osservatori come il SuperKamiokande si scoprì una nuova, inaspettata proprietà di queste particelle. Infatti i rivelatori di neutrini dimostrarono che dal Sole arriva solo un terzo dei neutrini che erano attesi sulla base dei processi di fusione nucleare che alimentano le stelle. Come spiegare questa discrepanza?
I più pensarono ad un'incompletezza dell'astrofisica e dei modelli stellari comunemente accettati. Ci fu anche chi pensò che la ridotta emissione di neutrini da parte del Sole significasse che le reazioni nucleari in grado di sostenerne lo splendore stavano indebolendosi e fossero sul punto di cessare, causando in tempi brevi (qualche millennio) la morte dell'astro solare, e di conseguenza anche della vita sulla Terra. Questa catastrofica previsione per fortuna trovò scarso appeal tra le masse, ma si riverberò in alcune opere di celebri autori di fantascienza, come nel romanzo "Voci di terra lontana" ("The Songs of Distant Earth"), scritto nel 1986 da Arthur C. Clarke (1917-2008), l'autore del più celebre "2001 - Odissea nello Spazio". In esso si racconta il viaggio della Magellano, astronave futuribile che porta con sé un milione di esseri umani ibernati verso il lontano pianeta Sagan 2, dopo che la Terra è stata annientata nell'anno 3600 d.C. dall'esplosione del Sole in Supernova. Il problema dei neutrini solari è descritto dettagliatamente all'inizio del romanzo, proprio come la causa della scoperta che il pianeta Terra stava per morire (in realtà il nostro Sole è troppo piccolo per subire un'evoluzione catastrofica, ed inoltre un'esplosione in Supernova sarebbe accompagnata da pulsazioni di luminosità che avrebbero cancellato la vita dalla Terra ben prima della catastrofica esplosione).
In realtà vi era una spiegazione molto più semplice del deficit dei neutrini provenienti dal Sole, e non preannuncia alcuna catastrofe per il pianeta Terra. Sto parlando dell'oscillazione neutrinica. In pratica, durante il loro percorso attraverso lo spazio, queste elusive particelle cambiano continuamente il loro sapore, per cui un neutrino elettronico si può trasformare in uno muonico o in un uno tauonico, per poi ritornare elettronico e così via. Se è così, su tre neutrini elettronici partiti dal Sole, uno si è trasformato in un neutrino muonico ed un altro in uno tauonico, e così sulla Terra arriva solo un terzo dei neutrini elettronici effettivamente generati dalla nostra stella! Questo fenomeno, che non viola la conservazione del numero leptonico ma viola la conservazione del numero di famiglia, era già stato intuito negli anni cinquanta dal fisico italiano Bruno Pontecorvo (1913-1993), ma solo nel 2007 è iniziato un esperimento per provare questa ipotesi: il CERN di Ginevra genera neutrini muonici e li "spara" in direzione del laboratorio INFN sotto il Gran Sasso. Su miliardi di miliardi di neutrini lanciati dal CERN e arrivati ai laboratori dell'INFN dal 2007, nel 2010 è stato osservato dagli scienziati un primo neutrino che ha oscillato da muonico a tauonico. Intanto nel 2008 era diventato operativo OPERA (Oscillation Project with Emulsion-tRacking Apparatus), un esperimento progettato apposta per studiare le oscillazioni dei neutrini muonici in neutrini tauonici, risultato di una collaborazione tra il CERN e i Laboratori Nazionali del Gran Sasso. Esso usa il fascio di neutrini muonici CNGS (CERN Neutrinos to Gran Sasso), prodotto nell'acceleratore SPS del CERN, dove un fascio di protoni viene accelerato per poi colpire un bersaglio di carbonio. In questa fase vengono prodotti pioni e kaoni che, decadendo, danno origine a muoni e neutrini muonici. Per indirizzare i neutrini, il fascio di mesoni viene focalizzato mediante campi magnetici. Nel 2012 OPERA ha osservato per la seconda volta un'oscillazione di sapore del neutrino muonico in neutrino tauonico.
Come avviene fisicamente l'oscillazione neutrinica? Come ha spiegato Gianpaolo Mangia in questo sito, essa può essere illustrata facendo ricorso a due fari, uno dei quali emette luce gialla, l'altro luce blu. Facendo sovrapporre progressivamente la luce delle due torce, si hanno diverse gradazioni di verde a seconda della percentuale di giallo e di blu che la compongono. Così, è possibile pensare a due funzioni d'onda dette autostati, ciascuna corrispondente a due possibili configurazioni neutriniche. Le due funzioni d'onda si sovrappongono progressivamente; una sovrapposizione dell'autostato 1 e dell'autostato 2 con certe percentuali viene osservato come neutrino elettronico, mentre la sovrapposizione degli stessi due autostati con percentuali diverse viene osservato come neutrino muonico. Idem se i sapori possibili dei neutrini sono tre.
Questo modo di vedere le cose permette una spiegazione affascinante dell'oscillazione neutrinica. Affinché i neutrini possano cambiare sapore, ciascun sapore deve essere costituito da diverse "configurazioni di massa". In pratica, sembra che ogni sapore dei neutrini non abbia una massa specifica, come accade per tutte le altre particelle in seguito all'interazione con il campo di Higgs, ma sia invece una sovrapposizione quantistica di tre diverse masse. E queste "configurazioni di massa", proprio perchè hanno masse differenti, viaggiano nello spazio a velocità leggermente differenti, come conseguenza della Relatività Ristretta. Con il passare del tempo, le masse maggiori "restano indietro" rispetto a quelle più leggere, e di conseguenza la composizione di massa di ciascun neutrino cambia nel corso del suo viaggio attraverso lo spazio. Una particella che era inizialmente di sapore elettronico, definito da una precisa miscela di masse, si trasforma così dopo un certo tempo nella miscela cui corrisponde il neutrino muonico. Purtroppo non conosciamo ancora i precisi valori delle tre configurazioni di massa dei neutrini, ma solo che sono diversi tra loro e maggiori di zero. Le proposte sono due: due configurazioni di massa sarebbero molto leggere e una terza nettamente più pesante (la cosiddetta "gerarchia normale"), oppure due sarebbero più pesanti e una più piccola (la cosiddetta "gerarchia inversa"). Per decidere quale delle due gerarchia è quella giusta, nel 2024 partirà l'esperimento DUNE (Deep Underground Neutrino Experiment): al Fermilab di Chicago un fascio di protoni verrà indirizzato contro un bersaglio di grafite per produrre un fascio collimato di neutrini, che sarà inviato attraverso 1300 km di roccia (come nel suddetto esperimento OPERA, ma su scala maggiore) fino al Sanford Underground Research Facility vicino a Lead, nel South Dakota. Se veramente partirà (simili progetti erano già stati varati negli anni Novanta, ma poi sono stati cancellati per mancanza di fondi), DUNE dovrebbe essere in grado di misurare il tasso di oscillazione dei neutrini, e quindi di discriminare tra le due possibili gerarchie. Chi vivrà, vedrà.
Tra l'altro, l'oscillazione dei neutrini può permettere una reazione rarissima, che i Fisici cercano di osservare da più di settant'anni: il decadimento del muone in un elettrone e un fotone, che conserva essa pure il numero leptonico ma non il numero di famiglia. Il muone infatti emette per un tempo brevissimo un neutrino muonico e un astenone W–. Il neutrino oscilla in un neutrino elettronico, mentre l'astenone emette un fotone e poi trasforma il neutrino elettronico in elettrone. Purtroppo però la probabilità che questo decadimento avvenga dipende dal rapporto fra le piccolissime masse dei neutrini e quella dell'astenone W– elevato alla quarta potenza; di conseguenza, possiamo attenderci un solo decadimento di questo tipo ogni 1054 decadimenti ordinari del muone in un elettrone, un antineutrino elettronico e un neutrino muonico. Sembra un numero troppo piccolo per poter essere mai osservato in un esperimento; tuttavia, la probabilità che questo decadimento avvenga è così assurdamente piccola come conseguenza della piccolezza delle masse dei neutrini, non della conservazione dei numeri di famiglia, e quindi non è prevista nella maggior parte delle teorie alternative al Modello Standard che sono state proposte negli ultimi decenni. Ad esempio, se le particelle avessero un partner supersimmetrico, come spiegato in una precedente lezione, potremmo immaginare di sostituire nel diagramma di Feynman visibile qui sotto i neutrini e l'astenone W– con le corrispondenti superparticelle, il che eviterebbe la bassissima probabilità dovuta alla leggerezza dei neutrini, e renderebbe il decadimento in questione potenzialmente alla portata degli esperimenti attualmente in corso. La caccia ovviamente continua.
Come conseguenza di questa continua oscillazione, mai osservata in nessun'altra particella, i neutrini devono possedere una massa, per quanto piccola, contrariamente a quanto postulato nel Modello Standard, che li ha sempre ritenuti privi di massa (e in accordo con quanto detto sopra). Oggi si pensa che la massa dei neutrini elettronici si aggiri intorno ai 10–2 eV/c2. Avendo una massa diversa da zero, l'immensa quantità di neutrini presente nell'universo potrebbe dare ragione almeno in parte della materia oscura, in quanto da una parte potrebbero contribuire con la loro massa al suo ammontare complessivo, e dall'altra, interagendo con essa, potrebbero fornire dettagli sulle sue proprietà. Nel 2015 il premio Nobel per la Fisica è stato assegnato al giapponese Takaaki Kajita (1959-) e al canadese Arthur McDonald (1943-) proprio per la dimostrazione sperimentale dell'oscillazione del neutrino.
La questione dell'origine della massa del neutrino non ha ancora trovato una risposta definitiva. Nel Modello Standard, come si è visto, i fermioni hanno massa perché interagiscono con il campo di Higgs. Queste interazioni coinvolgono le versioni con spin destrorso e sinistrorso dei fermioni. I neutrini, però, esistono solo nella forma sinistrorsa, e ciò potrebbe interferire con il campo di Higgs. « Pochi pensano che sia il meccanismo di Higgs a dare la loro massa ai neutrini », ha dichiarato Nigel Lockyer (1952-), direttore del Fermilab: « Probabilmente c'è un meccanismo diverso, quindi dovrebbero esserci altre particelle associate al suo verificarsi ». Resta inoltre da spiegare perché le loro masse sono molto più piccole di quelle delle altre particelle conosciute (almeno 500.000 volte più piccole della massa dell'elettrone). Una possibile motivazione potrebbe risiedere nel fatto che i neutrini, in quanto elettricamente neutri, potrebbero essere dei Fermioni di Majorana, cioè potrebbero coincidere con le loro rispettive antiparticelle, condizione mai finora rispettata da alcun fermione conosciuto. In tal modo potrebbero possedere una massa, pur senza interagire con il campo di Higgs: in base al cosiddetto "modello see-saw" o "ad altalena", maggiore è la scala di energia della fisica, e più piccole sono le masse dei Fermioni di Majorana.) Nel caso della scala di energia della GUT, pari a 1015 GeV, la massa del neutrino di Majorana sarebbe pari a 10–11 GeV/c2, cioè proprio a 10–2 eV/c2, come detto sopra. Purtroppo finora non è stato possibile confermare se i neutrini siano effettivamente identici agli antineutrini di ugual sapore. E non basta: i neutrini potrebbero dire molto anche sul problema della sostanziale assenza di antimateria dal nostro universo. Nel primo minuto dopo il Big Bang, durante la cosiddetta Era delle Particelle, è avvenuto il disaccoppiamento dei neutrini, che ha consentito a queste particelle di diffondersi nello spazio, non più prigioniere della materia primordiale. Se venisse dimostrato che il neutrino è l'antiparticella di se stesso, questo evento comporterebbe che dal suo punto di vista non vi è distinzione tra materia e antimateria e, conseguentemente, potrebbe spiegare come mai intorno a noi quest'ultima sembra praticamente inesistente.
Alcuni fisici hanno suggerito però una spiegazione alternativa per il problema della massa dei neutrini: la presenza di neutrini con spin destrorso, che interagirebbero con il campo di Higgs in maniera analoga agli altri fermioni, senza essere soggetti all'interazione nucleare debole. A metà degli anni Novanta, infatti, un rivelatore del Los Alamos National Laboratory nel New Mexico ha catturato un'anomalia, interpretata come un indizio del fatto che potrebbe esserci un quarto tipo di neutrino, che interagirebbe ancor più raramente con la materia di quelli già noti. A questo neutrino "speciale" è stato dato il nome di neutrino sterile, perchè non interagirebbe tramite nessuna delle interazioni fondamentali del Modello Standard, ad eccezione della gravità. I comuni neutrini del Modello Standard, che invece "sentono" l'interazione debole, vengono chiamati neutrini attivi. L'introduzione di simili neutrini è tutt'altro che campata in aria, dato che tutti gli altri fermioni noti sono stati osservati con spin sia sinistrorso che destrorso, e può spiegare in modo naturale le masse dei neutrini attivi osservati. La massa dei neutrini sterili è sconosciuta, ma il cosiddetto "modello see-saw" o "ad altalena" prevede per essi masse molto grandi, in contrapposizione ai neutrini sinistrorsi con massa molto piccola; per questo alcuni li chiamano anche Neutral Heavy Leptons (NHL). Anche il numero dei sapori dei neutrini sterili è sconosciuto, mentre è stato dimostrato che il numero di sapori dei neutrini attivi deve uguagliare quello dei leptoni carichi e delle generazioni di quark per assicurare la libertà da anomalie dell'interazione elettrodebole. Ovviamente i neutrini sterili potrebbero avere una parte di rilievo in molti fenomeni attualmente inspiegati come la materia oscura fredda e l'energia oscura.
I neutrini destrorsi però finora non sono mai stati osservati, nonostante la loro ricerca sia un'area molto attiva della Fisica di Domani. Il primo grande tentativo di individuarli è stato eseguito dal Main Injector Neutrino Oscillation Search (MINOS), lanciato nel 2005, che utilizza un rilevatore posizionato al Fermilab e uno al Soudan Underground Mine State Park, nel nord del Minnesota. La sua fonte è un fascio di neutrini muonici che attraversano 1.600 chilometri nella terra, passando da un rivelatore all'altro: è durante questo tragitto che i neutrini possono cambiare sapore. Se durante l'esperimento vengono rilevate meno interazioni del previsto, questo significa che alcuni neutrini attivi si sono trasformati in neutrini sterili. Purtroppo MINOS non ha cavato un ragno dal buco, non rilevando sinora alcuna diminuzione dell'interazione tra i neutrini attualmente conosciuti e « ponendo un forte limite all'esistenza dei neutrini sterili », come ha commentato nel 2014 il fisico Justin Evans dell'Università di Manchester: « Il caso dei neutrini sterili non è ancora chiuso, ma ora c'è molto meno spazio per loro dove nascondersi ».
Nel frattempo si è mobilitato il già citato osservatorio IceCube, che si sperava potesse trovarne traccia grazie alla sua elevatissima sensibilità. Per cercare neutrini sterili Francesco Halzen, fisico dell'Università del Wisconsin a Madison e principal investigator di IceCube, ha osservato l'arrivo dei neutrini muonici partiti dall'altra parte della Terra ed originariamente prodotti nell'atmosfera dalla collisione di raggi cosmici con molecole d'aria: per raggiungere il rivelatore, essi hanno attraversato il pianeta da parte a parte. Il team di Halzen sperava di trovare una carenza di neutrini muonici a particolari valori di energia, il che avrebbe suggerito che alcuni neutrini muonici si erano temporaneamente mutati in neutrini sterili durante il tragitto. Ma dopo aver analizzato i risultati di un anno di dati, l'8 agosto 2016 Halzen ha annunciato sconsolato di non aver trovato alcun indizio che potesse suggerire l'esistenza di neutrini sterili di circa 1 eV. Questo risultato negativo, in linea con quelli dell'osservatorio Planck dell'ESA, rappresenta a tutt'oggi la prova più evidente che il neutrino sterile non esiste nell'intervallo di massa che i fisici avevano sperato, e che in esso esistono solo tre famiglie di neutrini in quell'intervallo di massa.
In modo indipendente, alcuni astronomi hanno scorto nelle osservazioni a raggi X un bagliore misterioso in alcune galassie che, secondo una teoria, potrebbe anche essere spiegato se esistesse un neutrino molto più massiccio, con una massa di circa 7000 eV. L'osservatorio spaziale giapponese Hitomi non ha trovato alcuna prova nemmeno dell'esistenza dei neutrini sterili da 7 KeV, ma la ricerca prosegue in intervalli di massa più elevati. Invece, nel corso di queste ricerche l'osservatorio IceCube ci ha rivelato che la Terra ha una notevole capacità di fermare i neutrini più energetici, provenienti dalla parte più alta dell'atmosfera terrestre e dallo spazio. Le misurazioni di IceCube hanno infatti mostrato che i neutrini provenienti dal suolo, ovvero quelli che arrivano ai rivelatori dell'osservatorio dopo aver attraversato l'interno del nostro pianeta, sono meno numerosi rispetto ai neutrini provenienti dal cielo, ovvero quelli che lungo il loro percorso hanno incontrato assai meno ostacoli. In questo esperimento, gli eventi di interazione dei neutrini considerati hanno energie di almeno 1000 TeV: questa analisi è importante perché mostra che IceCube può contribuire alla fisica delle particelle in un dominio di energie oltre quello degli attuali acceleratori da noi costruiti.
Il doppio decadimento beta senza neutrini
Nel gennaio 2022 poi un esperimento condotto dalla collaborazione KATRIN presso il Karlsruher Institut für Technologie ha stabilito che l'enigmatica massa del neutrino non supera la soglia di 0,8 eV (per confronto, l'elettrone ha una massa di 511 KeV). Il gruppo suddetto ha studiato lo spettro di decadimento del trizio, nel quale come sappiamo un neutrone si converte in un protone, producendo un elettrone e un neutrino elettronico. Durante tale reazione l'energia liberata è sempre la stessa e viene suddivisa tra elettrone e neutrino in modo variabile. Per questo, in termini fisici, si dice che l'elettrone prodotto in questo decadimento beta ha uno spettro di energia continuo: è proprio da questo fenomeno che già nel 1930 il fisico tedesco Wolfgang Pauli ipotizzò l'esistenza di una particella di carica elettrica nulla e con una massa nulla o molto piccola. L'idea alla base dell'esperimento KATRIN è di usare una sorgente di trizio e di misurare i diversi valori di energia degli elettroni emessi durante il decadimento beta. Gli elettroni di massima energia, in particolare, rappresentano i casi in cui l'energia del neutrino è minima, dato che l'energia emessa in un singolo evento di decadimento è sempre la stessa. Grazie all'equivalenza di massa ed energia, da queste misurazioni è possibile ricavare indirettamente la massa del neutrino, o meglio un limite superiore per essa. Per arrivare a questo risultato occorre però una precisione estrema degli strumenti sperimentali, e in questo l'esperimento KATRIN ha superato se stesso, considerato che finora la soglia dell'elettronvolt era considerata difficilmente valicabile. Dopo aver iniziato le misurazioni nel 2019, i ricercatori di KATRIN hanno lavorato incessantemente per ridurre al minimo il rumore di fondo, verificando una per una le possibili fonti di disturbo. Il risultato è considerato particolarmente importante non solo per la fisica delle particelle ma anche per la cosmologia, visto che il neutrino è candidato a costituire almeno in parte la materia oscura.
Tuttavia la migliore sensibilità possibile di KATRIN è di 0,2 eV; pertanto, quando la collaborazione KATRIN rilascerà i suoi risultati finali, sarà in grado di effettuare una misura definitiva solo se la massa del neutrino è compresa tra 0,2 e 0,8 eV. Un risultato del genere sarebbe però in netto disaccordo con le stime della cosmologia: affinché la massa del neutrino sia nell'intervallo che KATRIN è in grado di misurare, occorrerebbe una fisica esotica, come forze fondamentali precedentemente sconosciute che influenzano i neutrini o addirittura modifiche alla teoria della Relatività Generale di Albert Einstein, che finora ha resistito ad ogni tentativo di metterla in crisi. I fisici delle particelle però vogliono sviluppare tecniche che potrebbero spingere la sensibilità su valori assai più piccoli, oltre a fornire controlli incrociati tra gli esperimenti. Un'opzione possibile sfrutta il decadimento dell'olmio-163, un isotopo radioattivo che, differenza del trizio, non decade beta; invece, uno degli elettroni dell'atomo viene catturato da un protone nel suo nucleo. Questo converte il protone in un neutrone, rilasciando un neutrino e fotoni. L'elettrone catturato lascia un vuoto nella configurazione degli elettroni dell'atomo e gli altri elettroni si riorganizzano rapidamente, liberando energia. Se l'atomo di olmio originale fosse incorporato in un materiale, tutta l'energia rimarrebbe intrappolata, producendo una piccola quantità di calore che può essere misurata con un rilevatore sufficientemente sensibile. L'idea di utilizzare questo approccio, chiamato cattura degli elettroni, è venuta per la prima volta ad Álvaro de Rújula (1944-), un fisico teorico del CERN che, durante un soggiorno a Rio de Janeiro nel 1981, avrebbe avuto una folgorazione osservando la forma del Monte Pan di Zucchero, che ha proprio la forma dello spettro di cattura degli elettroni! I fisici abbandonarono l'idea dopo alcuni tentativi iniziali, ma essa fu ripresa alla fine degli anni novanta da Loredana Gastaldo dell'Università di Heidelberg e da Angelo Nucciotti dell'Università di Milano-Bicocca. Sebbene entrambi i gruppi fossero notevolmente a corto di finanziamenti e di personale, hanno lavorato duro e con scarso riconoscimento per molti anni. Ognuno dei due gruppi adotta un approccio diverso per iniettare l'olmio-163 in schegge di metallo inserite in sensibili rivelatori di calore che sono mantenuti a temperature prossime allo zero assoluto, ed entrambi i gruppi hanno dimostrato di poter misurare l'energia con grande precisione. Nel 2019, Gastaldo e i suoi collaboratori hanno fissato un limite superiore di 150 eV per la massa del neutrino, e attualmente stanno lavorando per migliorarlo di un fattore dieci. Un altro approccio è stato proposto da Juliana Stachurska, fisica del Massachusetts Institute of Technology. In un esperimento chiamato Project 8, Stachurska e i suoi collaboratori immettono gas trizio a bassa densità in una bottiglia magnetica, che intrappola gli elettroni del decadimento beta usando i campi magnetici. In un lavoro pubblicato nel 2023, i ricercatori hanno dimostrato di poter misurare l'energia degli elettroni con alta precisione analizzando le onde radio. L'équipe ha in programma di passare al trizio atomico, che è più impegnativo da gestiree non è mai stato usato prima d'ora, ma eliminerebbe alcune incertezze sperimentali che hanno limitato la precisione dei risultati fin qui ottenuti, anche da KATRIN. Una versione su larga scala dell'esperimento Project 8 potrebbe portare la sensibilità addirittura a 0,04 eV, abbastanza piccola da battere i severi limiti degli esperimenti cosmologici. Ancora più avanti su questa linea di ricerca, un esperimento chiamato PTOLEMY dell'INFN prevede di utilizzare trizio solido, anziché gassoso, fissato a sottilissime pellicole di grafene, in modo che i ricercatori potrebbero inserire nell'apparato sperimentale molto più trizio e ottenere un numero più elevato di emissioni radioattive.
Vorrei aggiungere che, come spiegato in questo articolo, il 23 ottobre 2017 presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso ha preso il via l'esperimento CUORE (Cryogenic Underground Observatory for Rare Events), il più grande rivelatore criogenico mai costruito, concepito proprio per studiare le proprietà dei neutrini, ed in particolare per cercare di osservare il rarissimo fenomeno noto come doppio decadimento beta senza emissione di neutrini. Come già sappiamo, il decadimento beta consiste nella trasformazione di un neutrone in un protone con l'emissione di un elettrone e di un antineutrino; nel 1935 la scienziata tedesca Maria Goeppert-Mayer (1906-1972) predisse che certi nuclei atomici avrebbero potuto decadere tramutando contemporaneamente due dei propri neutroni in protoni o viceversa, ed emettendo due particelle beta. Questo "doppio decadimento beta" dovrebbe produrre anche due neutrini o antineutrini. I calcoli della Goeppert-Mayer risultarono corretti, e oggi Maria Goeppert-Mayer è una delle sole quattro donne ad essere stata insignita del Premio Nobel per la Fisica, nel 1963. Quattro anni dopo il lavoro di Goeppert-Mayer, il fisico Wendell Furry (1907-1984) fece notare che se il neutrino è una particella di Majorana, cioè coincide con l'antineutrino, l'antineutrino prodotto nel decadimento beta potrebbe a sua volta comportarsi come un neutrino, interagire con un neutrone ed emettere un altro protone e un secondo elettrone: come si vede qui sopra, due neutroni si trasformano in due protoni e due elettroni, senza che vi sia emissione di alcun neutrino. Rivelare questo processo consentirebbe non solo di determinare la massa dei neutrini, ma anche di dimostrare la loro eventuale natura di particelle di Majorana, fornendo una possibile spiegazione alla prevalenza della materia sull'antimateria nell'universo. Purtroppo già il doppio decadimento beta è estremamente raro: la trasmutazione del tellurio-128 in xenon-128 secondo questo meccanismo ha l'emivita più lunga tra tutte le reazioni nucleari note, pari a più di 1024 anni (un milione di miliardi di miliardi di anni!); i calcoli dicono che, se il germanio-76 decadesse doppio beta senza neutrini, tale processo dovrebbe avere un'emivita di oltre 1,8 × 1026 anni, vale a dire 10 milioni di miliardi di volte l'età dell'universo! Da qui la difficoltà di riuscire ad osservare un fenomeno talmente raro
Come ha spiegato Oliviero Cremonesi, responsabile scientifico dell'esperimento, CUORE è formato da cristalli cubici di tellurite disposti all'interno di 19 speciali "torri" di rame, e progettati per funzionare a soli 10 millesimi di Kelvin sopra lo zero assoluto; il tutto è schermato dai raggi cosmici non solo dai 1400 metri di roccia del massiccio del Gran Sasso soprastante, ma anche da uno speciale scudo protettivo realizzato grazie alla fusione di lingotti di piombo recuperati da una nave romana affondata oltre 2000 anni fa al largo delle coste della Sardegna, perchè caratterizzati da una bassissima radioattività (in oltre 2000 anni di permanenza nel fondo del Mediterraneo è infatti completamente decaduto l'isotopo radioattivo piombo-210 normalmente presente nel piombo appena estratto in miniera). È proprio il caso di dire: dalla tecnologia di ieri riemerge la Fisica di Domani! Per studiare i dati raccolti dal rivelatore, i ricercatori hanno sviluppato un algoritmo molto raffinato, in grado di amplificare i segnali rilevati e identificare quelli spuri, dovuti a processi diversi da quello cercato. Tuttavia, pur eliminando ogni possibile "rumore di fondo", a febbraio 2020 è stato annunciato che non è ancora emersa alcuna prova del decadimento che tutti noi speravamo di osservare. Ciò significa che, se questo raro processo esiste davvero, per rivelarlo servirà raggiungere un livello di sensibilità ancora maggiore. Comunque la sfida continua: CUORE continuerà ad operare ancora per qualche anno, per lasciare poi spazio a CUPID (CUORE Upgrade with Particle Identification), una variante di nuova generazione che aumenterà ulteriormente la sensibilità dell'esperimento. Attualmente la ricerca del doppio decadimento beta senza neutrini è considerata prioritaria da molti istituti di ricerca, che stanno progettando esperimenti appositi, come LEGEND-200, attualmente in costruzione al Gran Sasso. il cui bersaglio sarà costituito da 200 chilogrammi di germanio-76.
Se i neutrini fossero contemporaneamente materia e antimateria, ciò potrebbe contribuire a rispondere a varie domande ancora aperte alle frontiere della Fisica:
1) Dove è andata a finire l'antimateria? Il Big Bang dovrebbe aver prodotto materia e antimateria in quantità uguali, ma la materia doveva avere una probabilità un po' più grande di sopravvivere alle reazioni tra le particelle subatomiche dell'incandescente zuppa primordiale, il che avrebbe portato all'attuale squilibrio. La domanda da un milione di euro è: come mai? Il doppio decadimento beta produce due elettroni e due antineutrini, dunque non modifica l'equilibrio tra particelle ed antiparticelle. Ma il doppio decadimento beta in assenza di neutrini produrrebbe solo due elettroni, con un incremento netto del numero di particelle dell'universo rispetto a quello delle antiparticelle.
2) Da dove viene la massa del neutrino, e qual è il suo valore? Se i neutrini sono particelle di Majorana, la loro massa proviene da un meccanismo diverso da quello che coinvolge il bosone di Higgs, e misurando la frequenza dei decadimenti in assenza di neutrini si avrebbe una misurazione indiretta della massa dell'antineutrino e dunque del neutrino, perché maggiore è la massa delle particelle, maggiore è la probabilità che si annichilino reciprocamente.
3) Perché il neutrino esiste in un solo stato di spin? I neutrini sono stati osservati solo con spin sinistrorso, e gli antineutrini solo con spin destrorso, ma se i neutrini sono particelle di Majorana, ne deriva che l'antineutrino potrebbe essere semplicemente un neutrino con spin orientato nella direzione opposta.
Naturalmente non è affatto garantito che gli esperimenti progettati o in corso dimostrino a breve che i neutrini sono particelle di Majorana, perchè non sempre, nella lunga storia della Scienza, una congettura si è rivelata vera, come dimostra il Problema di Malfatti. La maggior parte dei fisici, tuttavia, ritiene che sia questione di quando, e non di se. Non ci resta che attendere.
Traccia del neutrino ad altissima energia (si stima 1,14 PeV) rilevato dall'Osservatorio IceCube al Polo Sud il 3 gennaio 2012 e battezzato "Ernie" (da questo sito) |
Impossibile non citare anche l'incredibile scoperta compiuta il 22 settembre 2017 da parte del rivelatore IceCube in Antartide: esso ha osservato un neutrino, battezzato IC-170922A, con energia estremamente elevata, pari a 290 TeV, e quindi originatosi da un non meglio identificato oggetto celeste molto lontano e attivo. IceCube, che si basa sulla rilevazione delle traiettorie di muoni prodotti dall'interazione dei neutrini con il ghiaccio, è in grado di determinare con buona approssimazione la regione di cielo di provenienza dei neutrini: la precisione per questo tipo di stima è di circa 0,5 gradi per una particella con un'energia dell'ordine dei 30 TeV e si riduce a 0,3 gradi se l'energia sale a 1 PeV (un milione di miliardi di elettronvolt). Ma si tratta di valori ancora piuttosto elevati per individuare una specifica sorgente, specie se si tratta di un oggetto molto lontano. Occorreva perciò un aiuto da altri osservatori terrestri, in grado di rilevare la radiazione elettromagnetica concomitante e determinare un possibile candidato. I ricercatori di IceCube hanno quindi diramato subito un'allerta neutrino, consapevoli che secondo la teoria i neutrini cosmici sono sempre prodotti insieme con raggi gamma.
Il primo a rispondere all'allerta è stato il Large Area Telescope del satellite Fermi, realizzato dalla NASA e gestito grazie un'importante partecipazione di ASI, INAF e INFN, che ha potuto individuare una sorgente di questa specifica radiazione gamma molto energetica nel blazar detto TXS 0506+056, nella stessa direzione di provenienza del neutrino. Il buco nero supermassiccio presente nel suo nucleo è infatti molto attivo: proietta nello spazio circostante getti di materia a velocità prossime a quelle della luce, oltre a flussi di particelle e diversi tipi di radiazioni. Un'ulteriore allerta ha attivato altri 14 esperimenti del mondo che hanno puntato gli strumenti verso la sorgente, tra cui diversi telescopi spaziali per l'osservazione in raggi gamma come AGILE, dell'ASI, Swift, della NASA, INTEGRAL dell'Agenzia spaziale europea, e l'osservatorio terrestre MAGIC, alle Isole Canarie, per l'osservazione della cosiddetta radiazione Cerenkov prodotta dall'interazione dei fotoni gamma provenienti dalle sorgenti celesti con l'atmosfera terrestre.
In particolare AGILE e MAGIC hanno confermato i dati raccolti dal Large Area Telescope del satellite Fermi. La determinazione della posizione dell'oggetto candidato, all'interno di un decimo di grado, è stata fondamentale per poter associare il neutrini di IceCube con una sorgente così lontana: 4,5 miliardi di anni luce, secondo la misurazione effettuata da un gruppo dell'Università di Padova. Il modello di sorgente cosmica di neutrini che ne emerge è quello di un buco nero estremamente massiccio che emette particelle ad alta energia. Sicuramente elettroni e positroni, ma anche protoni, necessari per la formazione dei neutrini, la cui presenza nei getti dei blazar finora era stata solo ipotizzata. Quest'ultimo è un solido indizio nell'ambito dell'origine dei raggi cosmici di altissima energia, uno dei principali misteri ancora irrisolti dell'universo.
E non è tutto: anche i neutrini della Via Lattea possono aiutare gli scienziati a capire l'origine dei raggi cosmici, perché sono particelle al di fuori dello spettro elettromagnetico, e quindi sono una radiazione indipendente dalla luce attraverso cui studiare la struttura della nostra galassia. Naoko Kurahashi Neilson, fisica della Drexel University, nel 2023 ha ideato un nuovo metodo che ha permesso ai ricercatori di osservare, per la prima volta, la nostra galassia attraverso qualcosa di diverso dalla luce. Come abbiamo visto, i neutrini possono formarsi quando la radiazione ad alta energia che costituisce la maggior parte dei raggi cosmici interagisce con la materia, creando pioni, che decadendo producono neutrini. Si pensa che questo processo produca costantemente neutrini nel disco della Via Lattea, denso di materia e inondato di raggi cosmici. Siccome i neutrini interagiscono pochissimo con la materia o con i campi elettromagnetici, e viaggiano per lunghe distanze attraverso l'universo quasi alla velocità della luce, sono ideali per studiare i raggi cosmici che li hanno generati. Molti raggi cosmici sono infatti fotoni gamma ad altissima energia che possono essere assorbiti dalla materia interstellare o intergalattica mentre viaggiano nello spazio. Al contrario, i neutrini sono come una capsula del tempo della loro stessa formazione, con poche o nessuna impronta dei loro viaggi successivi, ma con la speranza che qualche prova persistente illumini gli scienziati alla ricerca delle origini astrofisiche più profonde dei raggi cosmici, che sono ancora sconosciute. Alcuni neutrini provenienti dallo spazio raggiungono livelli di energia più elevati di quelli provenienti da un laboratorio, rendendo la loro fisica importante da studiare. L'osservatorio IceCube aveva già rilevato in modo certo neutrini provenienti da fuori dalla Via Lattea, ma non si poteva dire con certezza che nessuno di loro provenisse dall'interno della galassia: cosa piuttosto bizzarra, considerando la vicinanza del disco della Via Lattea e l'alta probabilità che i neutrini si formino lì. Il problema, però, sta nella posizione. La maggior parte dei neutrini che attraversano IceCube si formano quando i raggi cosmici colpiscono l'atmosfera terrestre: questi neutrini atmosferici attivano il rivelatore poche migliaia di volte al secondo, mentre gli interessanti neutrini astrofisici compaiono solo una volta al giorno, quando va bene. Ora, IceCube si trova nell'emisfero australe, e la massa terrestre filtra molto di questo rumore atmosferico quando proviene dalla metà settentrionale del cielo. Ma anche il disco della Via Lattea si trova in gran parte nei cieli dell'emisfero meridionale, il che rende l'ambiente molto "rumoroso". La chiave della scoperta è consistita nel trovare un modo per "filtrare" tutto questo rumore utilizzando l'"apprendimento automatico" che oggi è comune nei software di riconoscimento delle immagini.
Ebbene, analizzando un decennio di dati di IceCube, gli scienziati hanno scartato alcuni segnali chiamati tracce, lunghe strisce che hanno origine all'esterno del rivelatore, per lo più prodotte da neutrini atmosferici. Per individuare un maggior numero di neutrini formatisi nello spazio, Kurahashi Neilson e il suo gruppo si sono concentrati su un altro tipo di segnale, chiamato cascata, che somiglia a una chiazza di luce. Per le cascate è più difficile da trovare un punto di origine, ma sono i segnali più importanti. Stephen Sclafani, ricercatore post-dottorato presso l'Università del Maryland, ha sviluppato una rete neurale e la ha "addestrata" a riconoscere gli eventi a cascata che si sono generati in profondità all'interno del rivelatore, cioè quelli che avevano maggiori probabilità di essere neutrini astrofisici piuttosto che atmosferici. Lasciando alla rete neurale il compito di riconoscere questi complessi schemi di caratteristiche, i ricercatori sono stati in grado di estrarre dall'insieme di dati un numero di eventi promettenti 30 volte superiore rispetto ai metodi precedenti. Si stima che ci sarebbero voluti 75 anni per osservare quel numero di eventi alla vecchia maniera! Con l'apprendimento automatico, tutto sembra decisamente molto più nitido. I ricercatori sono stati poi in grado di confrontare le informazioni sui neutrini con i dati sui raggi gamma ad alta energia nella Via Lattea per osservare che avevano la stessa origine, indicando che questi neutrini erano la conseguenza di raggi cosmici originati all'interno e intorno al disco centrale della Via Lattea: un risultato davvero eccezionale. In futuro i ricercatori potrebbero essere in grado di analizzare i dati sui neutrini per rispondere a domande fondamentali sulle origini dei raggi cosmici, che potrebbero provenire da resti di supernove, nuclei galattici attivi o da qualcos'altro di più esotico, o forse più probabilmente, da un mix di tutte queste fonti. Finora è impossibile dire se un dato neutrino si forma alla sorgente di un raggio cosmico o durante il suo viaggio nello spazio, ma studi futuri potrebbero essere in grado di distinguere tra questi due scenari. I neutrini potrebbero anche essere sfruttati per indagare sulla materia oscura, perchè è teoricamente possibile che i neutrini si formino durante le collisioni tra particelle di materia invisibile: il rilevamento di segnali anomali di neutrini potrebbe portare all'individuazione indiretta della materia oscura!
Un altro grande risultato della cosiddetta "astronomia multimessaggera", che indica la possibilità di studiare fenomeni cosmici attraverso più canali di osservazione, ciascuno portatore di informazioni diverse, è stato annunciato nel novembre 2022 dai ricercatori dell'esperimento IceCube, i quali hanno individuato una probabile sorgente di neutrini di alta energia all'interno della galassia a spirale M77, detta anche NGC 1068, a circa 47 milioni di anni luce dalla Terra, che ospita nel suo cuore un buco nero supermassiccio. Sulla base dell'analisi approfondita dei dati raccolti tra il 2011 e il 2020, i ricercatori di IceCube hanno annunciato l'osservazione di 79 neutrini di energie comprese tra poche unità e alcune centinaia di TeV, provenienti dalla regione di cielo corrispondente alla galassia M77. « Abbiamo individuato una sorgente di neutrini cosmici ben nota e relativamente vicina, che sarà possibile continuare a studiare facilmente anche in futuro », ha spiegato Elisa Resconi, docente alla Technische Universität di Monaco di Baviera e leader del gruppo di ricerca che ha realizzato l'analisi dei dati in questo studio. « Ora abbiamo a disposizione un vero laboratorio cosmico di astrofisica e fisica della particelle, che potremo sfruttare per ottenere informazioni molto preziose sui raggi cosmici e le loro sorgenti. » A rendere ancora più importante l'osservazione è il fatto che la galassia M77 non emette fotoni gamma, e quindi i neutrini sono l'unico messaggero portatore di informazioni sulla sorgente di raggi cosmici. Ciò implica che probabilmente la zona di emissione è molto vicina al buco nero centrale. Resta però ancora molto da capire su come avviene l'accelerazione delle particelle vicino al buco nero e quali interazioni portano all'assorbimento completo dei raggi gamma. Un prossimo passo sarà provare a modellizzare in modo più preciso la sorgente, per capire se potrebbero entrare in gioco anche fenomeni esotici, come per esempio la materia oscura. Nei prossimi anni è previsto un aggiornamento di IceCube, che potrebbe portare a un notrvole miglioramento delle osservazioni.
I neutrini potrebbero anche darci una mano nella ricerca di una teoria che coniughi la relatività generale di Albert Einstein e la meccanica quantistica, una delle sfide più complesse e ambiziose per i fisici teorici. Un gruppo di fisici teorici italiani guidato da Giovanni Amelino-Camelia, dell'Università "Federico II" di Napoli, potrebbe rappresentare una possibile svolta in questo settore. I ricercatori hanno infatti messo alla prova una classe di modelli di gravità quantistica che prevedono il rallentamento di particelle in moto all'aumentare della loro energia a causa di effetti quantistici dello spazio-tempo: in particolare, analizzando i dati relativi a neutrini di alta energia rilevati dall'osservatorio IceCube, al Polo Sud, lo studio ha evidenziato l'esistenza di un ritardo nei tempi di arrivo dei neutrini rispetto a quanto atteso, che sarebbe coerente con le previsioni della gravità quantistica. Purtroppo i numerosi modelli teorici proposti (tra i più noti ci sono la teoria delle stringhe e la gravità quantistica a loop) devono scontrarsi sia con problemi di coerenza interna sia, soprattutto, con l'estrema difficoltà (per non dire impossibilità, in alcuni casi) di riuscire a ottenere previsioni verificabili sperimentalmente. Ma negli ultimi anni ha guadagnato attenzione nella comunità scientifica un approccio noto come “fenomenologia della gravità quantistica”, che punta a sviluppare modelli teorici che siano più facilmente indagabili a livello sperimentale. Il riferimento è in particolare alla “dispersione nel vuoto”, fenomeno previsto da alcuni modelli di gravità quantistica, secondo cui fluttuazioni quantistiche possono rallentare particelle di energia molto elevata. Tale diminuzione di velocità, che è tanto più marcata quanto maggiore è l'energia della particella, è un effetto estremamente piccolo. Tuttavia, se si considerano tempi di propagazione lunghissimi, dell'ordine dei miliardi di anni, esso può accumularsi fino a diventare osservabile. Amelino-Camelia e colleghi sono andati così alla ricerca di indizi provenienti dall'analisi dei dati di fenomeni astrofisici molto lontani nel tempo e nello spazio come i lampi di raggi gamma, emissioni molto violente di radiazione di alta energia osservati dal telescopio spaziale Fermi, e a una decina di neutrini cosmici altamente energetici rilevati dal telescopio IceCube, che si presume abbiano un'origine comune (un'esplosione di supernova o la fusione tra stelle di neutroni). Le osservazioni hanno evidenziato un ritardo nell'arrivo dei neutrini rispetto alla rilevazione dei lampi di raggi gamma, ritardo in alcuni casi quantificabile fino a diverse ore: un risultato che appare coerente con un possibile effetto di dispersione nel vuoto, che avrebbe progressivamente rallentato i neutrini nel loro lungo viaggio verso la Terra. Il gruppo di ricerca ha stimato in un valore inferiore all'uno per cento la probabilità che questa tendenza sia casuale. Tuttavia, non si può escludere che alla base dell'effetto osservato ci possa essere una causa diversa dalla gravità quantistica, come per esempio un fenomeno astrofisico correlato all'emissione dei neutrini e non alla loro propagazione, anche se l'entità osservata del ritardo dei neutrini sarebbe difficilmente compatibile con le scale di tempi delle emissioni astrofisiche. La pubblicazione dello studio ha aperto un dibattito all'interno della comunità scientifica, con diversi scienziati non del tutto convinti della reale solidità di questo risultato, tra cui Sabine Hossenfelder, fisica teorica e membro esterno del Münich Center for Mathematical Philosophy alla Ludwig-Maximillian-Universität di Monaco di Baviera, in Germania, da anni molto attiva nella divulgazione scientifica e nota per le sue posizioni spesso critiche e in controtendenza rispetto alle principali linee di ricerca attuali della fisica. « L'ipotesi che fluttuazioni quantistiche possano ostacolare la propagazione delle particelle, in modo dipendente dalla loro energia, presuppone l'esistenza di un sistema di riferimento privilegiato, perché l'energia di una particella dipende dal suo moto rispetto a noi, e finora non abbiamo evidenze sperimentali dell'esistenza di un sistema "speciale" di questo tipo », ha affermato la fisica tedesca. « L'unico modo per sostenere questa idea è postulare che, per qualche motivo, le fluttuazioni riguardino solo particelle per le quali abbiamo pochi dati, come appunto i neutrini. » Come sempre, per saperne di più sarà necessario attendere nuove osservazioni e avere quindi una statistica più certa. In quest'ottica, IceCube subirà nei prossimi anni un potenziamento che porterà a un aumento significativo della sua sensibilità.
Aggiungiamo due parole sui cosiddetti geoneutrini, che non provengono dal Sole ma dalle viscere della Terra. Protetto dal massiccio del Gran Sasso dalla radiazione che arriva dallo spazio, e immerso così in quello che viene chiamato silenzio cosmico, l'esperimento più avanzato al mondo per lo studio dei geoneutrini è Borexino. Dopo più di dieci anni di acquisizione dati e una loro sofisticata analisi, nel 2020 la collaborazione internazionale che conduce l'esperimento dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell'INFN ha pubblicato i nuovi risultati sui geoneutrini. Per la prima volta è stato chiaramente osservato il segnale dei neutrini prodotti dai processi di decadimento radioattivo di uranio e torio distribuiti nel mantello terrestre, permettendo di escludere al 99 % l'ipotesi di assenza di radioattività nelle profondità della Terra. Il risultato dimostra che buona parte del calore sprigionato dalle viscere della Terra deriva dal decadimento radioattivo dell'uranio-238 e del torio-232 presenti nel mantello terrestre, spesso quasi 3.000 km, su cui poggia la crosta terrestre. I ricercatori di Borexino hanno stimato con un'alta probabilità (circa 85 %) che siano i decadimenti radioattivi nelle rocce a produrre più della metà del calore terrestre, che alimenta fenomeni come i vulcani e la deriva dei continenti, con un ruolo preponderante del mantello rispetto alla crosta. Questa evidenza apre nuovi scenari nell'esplorazione geochimica globale del nostro pianeta. Essendo stato fissato un valore minimo di abbondanza di uranio e torio nel mantello terrestre, è possibile affermare che una frazione non trascurabile dell'energia che alimenta vulcani, terremoti e il campo magnetico terrestre sia prodotta dalla radioattività terrestre. La prossima sfida consisterà nel riuscire a misurare i geoneutrini provenienti dal mantello con una significatività statistica maggiore, grazie a rivelatori distribuiti in luoghi diversi sul nostro pianeta.
Concludiamo con un'altra curiosità riguardante i neutrini. Nel settembre 2011 i ricercatori del già citato esperimento OPERA hanno affermato di aver riscontrato un'anomalia nel tempo di volo dei neutrini partiti nell'acceleratore SPS del CERN: essi sembravano aver viaggiato ad una velocità superiore a quella della luce. Nuove misure, pubblicate nel novembre dello stesso anno, ottenute grazie a fasci di neutrini più stretti e con una separazione temporale minore, sembravano confermare i risultati ottenuti in precedenza, ma nel marzo 2012 presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso è stato annunciato con imbarazzo che l'apparente moto superluminale dei neutrini era dovuto ad un'errata sincronizzazione dell'orologio atomico del Gran Sasso con quello di Ginevra, necessaria per calcolare il tempo di volo dei neutrini. Per questo errore il direttore di OPERA Antonio Ereditato si è dimesso il 30 marzo 2012.
In ogni caso, anche se queste fantomatiche particelle non violano i postulati fondamentali della Relatività di Einstein, sia l'oscillazione di sapore dei neutrini, sia la scoperta del fatto che essi possiedono massa, non sono assolutamente spiegabili attraverso alcun meccanismo previsto dal Modello Standard, e quindi, come l'energia oscura, lasciano intravedere che questo Modello è effettivamente incompleto, come lo era la Fisica Classica a fine Ottocento (non riusciva a spiegare né lo spettro di corpo nero né l'esperimento di Michelson e Morley). Molti ritengono che queste misteriose proprietà lascino intravedere una teoria, non ancora formulata, delle particelle e delle loro interazioni, più fondamentale del tanto celebrato Modello Standard. Starà ai Fisici del XXI Secolo trovare la risposta a queste domande.