Come abbiamo già visto, Albert Einstein elaborò un modello di universo in accordo con la propria visione del mondo, peraltro condivisa da molti suoi colleghi: un universo statico, di densità uniforme e di raggio finito, che era sempre esistito e che sarebbe esistito per sempre. Nonostante i suoi tentativi, però, tale universo si rivelò instabile: come già osservato in una lezione precedente, la gravitazione universale avrebbe fatto sì che tutte le masse si attirassero reciprocamente, facendo collassare l'universo in un unico punto. Siccome però Einstein credeva fortemente nel principio di un universo eterno e statico, decise di modificare le proprie equazioni relativistiche aggiungendovi un nuovo termine, la cosiddetta "costante cosmologica", indicata con la lettera greca Λ (lambda), la quale rappresenta una forza di repulsione tra le masse, in grado di agire solo tra masse enormi e su distanze grandissime. In tal modo, se la mela di Newton è attirata dalla Terra, due galassie molto lontane tenderebbero invece a respingersi tanto quanto la gravitazione la farebbe avvicinare, e così l'universo rimarrebbe statico.
Le cose, invece, stavano in ben altro modo. Già nel 1917 il matematico olandese Willem de Sitter (1872–1934) individuò una soluzione delle equazioni gravitazionali di Albert Einstein che prevedeva un universo in espansione, dodici anni prima della clamorosa scoperta di Lemaître e di Hubble; per questo un universo in espansione è chiamato anche Universo di de Sitter. Naturalmente Hubble e Lemaître sgomberarono il campo da ogni modello statico dell'universo, confermando che l'universo si espande, e quindi che ha avuto un inizio ed avrà una fine; un inizio che oggi sappiamo essere . Albert Einstein dovette infine gettare la spugna e riconoscere che il cosmo in cui viviamo non è affatto statico, e così cancellò la costante cosmologica, definendola « il più grande errore della mia carriera », avendogli impedito di arrivare alla formulazione dell'espansione universale prima che Hubble se ne accorgesse con le sue misurazioni. Tuttavia, nessuna affermazione nella storia della scienza è da considerarsi una verità assoluta; ed infatti, anche "il più grande errore" della carriera di Einstein potrebbe rivelarsi come una straordinaria anticipazione.
Infatti, la gravitazione é la meno intensa tra le interazioni conosciute, eppure essa fa sentire in modo rilevante i suoi effetti proprio sull'evoluzione cosmologica: dato che tra le varie galassie si esercita un'attrazione reciproca, qualunque sia stata l'intensità iniziale dell'espansione, allora la logica vuole che questa proceda ad un ritmo meno intenso di quanto non avverrebbe se gli arcipelaghi stellari fossero del tutto indipendenti l'uno dall'altro. In altre parole, l'attrazione reciproca tra le galassie e gli ammassi di galassie dovrebbe frenare progressivamente l'espansione universale, facendola proseguire ad un ritmo sempre più lento. Così si credette per quasi settant'anni dopo la scoperta di Lemaître e di Hubble. Invece, l'8 gennaio 1998 Saul Perlmutter (1950–) del Berkeley Lab annunciò che le sue accurate misurazioni della velocità di allontanamento reciproco delle galassie dimostravano che l'espansione non sta affatto frenando; anzi, sta accelerando!
Come è possibile questo? Per spiegare questo incredibile comportamento è stato introdotto il concetto di "energia oscura", un'ipotetica forma di energia che si troverebbe in tutto lo spazio, come la famosa "etere" di Aristotele e poi dell'ottica ottocentesca, e con la sua pressione spingerebbe le galassie ad allontanarsi le une dalle altre. Secondo i calcoli di Perlmutter, l'universo sarebbe costituito per lo 0,5 % da oggetti stellari, per il 4 % da nebulose di gas intergalattico, per lo 0,3 % dagli sfuggenti neutrini e solo per lo 0,03 % da elementi pesanti, che costituiscono i pianeti come la Terra. Il 26,8 % sarebbe da imputare alla sfuggente materia oscura trattata nella precedente lezione, e addirittura il 68,3 % da questa misteriosa energia oscura di cui nessuno oggi conosce la vera natura. La scoperta fu così sensazionale che valse il Premio Nobel per la Fisica nel 2011 a Saul Perlmutter, insieme a Brian Schmidt (1967-) dell'Australian National University e ad Adam Riess (1969-) della Johns Hopkins University e dello Space Telescope Science Institute.
Un'ulteriore conferma dell'esistenza di una realtà fisica tanto esotica è venuta nel 2008 da un gruppo di astronomi dell'Università delle Hawaii guidati da István Szapudi, i quali hanno studiato le massime strutture conosciute nell'universo:, i superammassi di galassie, regioni di diametro fino a un miliardo di anni luce, in cui si addensano immense quantità di materia; e i supervuoti cosmici, regioni di volume comparabile a quello dei superammassi, ma praticamente prive di materia. Szapudi e collaboratori hanno studiato con cura certosina lo spostamento gravitazionale verso il rosso subito dalla radiazione cosmica del fondo a microonde nel suo viaggio dal momento in cui fu emessa per la prima volta, circa 300.000 anni dopo il Big Bang, fino a giungere all'orecchio dei nostri radiotelescopi. In un universo dominato dall'energia oscura, questo effetto (detto anche Effetto Sachs-Wolfe) è rilevabile come un lievissimo riscaldamento (cioè aumento della frequenza) o raffreddamento (cioè diminuzione della frequenza, in base alla Legge di Wien) dei fotoni della radiazione cosmica, a seconda che essi attraversino i superammassi, ad alta densità di materia, o i supervuoti, in cui la densità di materia è quasi zero. Szapudi e colleghi sono riusciti ad evidenziare questo effetto sotto forma di un segnale debolissimo, ma di fondamentale importanza, poiché ha rappresentato la prima prova diretta dell'esistenza dell'enigmatica energia oscura. In seguito, ai primi del 2018, un gruppo di ricercatori guidati proprio dal premio Nobel Adam Riess, usando i dati del vecchio e glorioso telescopio spaziale Hubble, è riuscito a stabilire che le galassie si muovono con un velocità superiore a quella prevista in passato, cioè 73 chilometri al secondo per megaparsec; prima, le misure erano incerte e diverse, e con il satellite europeo Planck era emerso un valore inferiore, di 67 chilometri al secondo per megaparsec. L'universo, insomma, sta davvero accelerando più velocemente del previsto. Il Modello Standard della cosmologia moderna viene chiamato anche lambdaCDM (Lambda Cold Dark Matter), e spiega la natura del cosmo su larga scala al prezzo di introdurre due componenti "oscure", e quindi per loro natura misteriose: l'energia oscura e la materia oscura.
Un importante passo avanti verso l'identikit dell'energia oscura è stato compiuto nel 2014 grazie alla Sloan Digital Sky Survey (SDSS), un ambizioso progetto internazionale di mappatura celeste, che ha permesso di misurare il tasso di espansione dell'universo con una precisione senza precedenti. Per riuscirci, sono state prese in considerazione alcune lontanissime galassie, analizzando come la loro luce viene assorbita dalle grandi nubi di idrogeno poste a varie distanze da noi. Per portare a termine un compito come questo, è necessario osservare un campione molto grande di galassie attraverso il Baryon Oscillation Spectroscopic Survey (BOSS), uno dei progetti portati avanti dal team della SDSS, le cui osservazioni sono iniziate nel 2000 e hanno condotto all'osservazione di 500 milioni di stelle e galassie. Il "cuore" della SDSS è un telescopio riflettore da 2,5 metri di diametro, installato a quasi 3000 metri di quota nell'Osservatorio di Apache Point in Arizona.
Le nubi di idrogeno intergalattiche disperse nello spazio fra noi e le più remote galassie assorbono diversi colori della luce emessa da quelle più lontani. Gli astronomi impegnati nel BOSS hanno quindi potuto misurare di quanto l'universo si sia espanso fra le epoche in cui la luce ha attraversato le varie nubi di idrogeno. Si tratta di un metodo pionieristico, che sfrutta la distribuzione delle nubi di gas su grandissima scala, e che ha permesso di concludere che circa 11 miliardi di anni fa l'Universo si espandeva di circa l'1 % ogni 44 milioni di anni. « Poco più di un anno fa abbiamo tentato per la prima volta e mostrato che questo sistema funziona davvero », ha commentato Matthew Pieri dell'Istituto di Cosmologia e Gravitazione dell'Università di Portsmouth. « Ora ci siamo ritornati con il doppio dei dati e con una notevole precisione del 2 %. Stiamo misurando l'espansione dell'Universo in grandissimo dettaglio. Come gli anelli nel tronco di un albero ci dicono la sua età, lo spettro di ogni galassia diventa un archivio della storia dell'universo ». La strada è ovviamente ancora lunga, e la grandissima precisione delle misure potrebbe svelare delle sorprese sulla nostra visione del cosmo.
Un esempio di queste sorprese è arrivato all'inizio del 2014, quando Daniel Eisenstein dell'Harvard–Smithsonian Center for Astrophysics e colleghi hanno condotto una campagna di osservazioni allo scopo di misurare con grandissima precisione la distanza tra due galassie più ricorrente nell'universo; essa è risultata pari a 150 megaparsec, cioè a circa 490 milioni di anni luce. Si tratta di un valore casuale, o di una conseguenza intrinseca dell'espansione dell'universo? Eisenstein e colleghi sostengono la seconda ipotesi. Secondo loro, infatti, nella materia primordiale si sarebbero formate minuscole increspature che avrebbero determinato l'addensamento della materia in certi punti, i "semi" da cui si sarebbero formate le galassie. Quando l'universo era giovane e molto caldo, questi punti ultradensi non avrebbero potuto compensare la loro stessa pressione, e avrebbero prodotto nello spazio delle onde sonore; esse si sarebbero propagate fino a che l'universo non si è raffreddato e si sono formati gli atomi neutri. Le onde sonore avrebbero percorso fino ad oggi una distanza pari appunto a 150 megaparsec, e dove si sarebbero fermate, avrebbero comunicato alla materia presente un impulso che avrebbe innescato la formazione di una galassia. Queste increspature periodiche nella diffusione delle galassie nel cosmo sono chiamate oscillazioni acustiche barioniche; usando queste oscillazioni, gli astronomi potranno confrontare la separazione attuale delle galassie con la dimensione di queste increspature poco dopo la nascita dell'universo per cercare di capire in che modo lo spazio si è "stirato" nel corso del tempo, permettendoci di ricostruire in modo molto accurato la storia dell'espansione dell'universo e di porre un limite alle proprietà dell'energia oscura.
Rappresentazione artistica delle oscillazioni acustiche barioniche, osservabili ancora oggi (immagine di Chris Blake/Moorfield/BOSS) |
Un passo avanti molto importante potrebbe essere stato compiuto nel 2021 quando l'esperimento Xenon1T, presso i Laboratori nazionali del Gran Sasso dell'Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN), ha fornito alcuni risultati anomali. Come ricorderete, abbiamo già spiegato che tale esperimento è stato progettato per "catturare" eventuali particelle di materia oscura come assioni o WIMP. Ebbene, un gruppo di ricerca guidato dagli italiani Sunny Vagnozzi, dell'Università di Cambridge, e Luca Visinelli dell'INFN, ha analizzato gli eventi anomali da esso osservati, suggerendo che ad essere emerse dai dati sarebbero le cosiddette particelle camaleonte, fra le principali candidate al ruolo di portatrici del campo di energia oscura, proposte nel 2003 da Justin Khoury e Amanda Weltman dell'Università della Pennsylvania. Queste particelle hanno infatti la caratteristica, da cui prendono il nome, di cambiare la propria massa in funzione della densità di energia dell'ambiente circostante, mimetizzandosi cos! all'osservatore. Nello spazio vuoto hanno una massa quasi nulla e un raggio d'azione fino a distanze cosmologiche, mentre dentro una stella o un pianeta diventano massicce e con un raggio d'azione estremamente limitato; quindi la forza mediata risulta tanto più schermata quanto maggiore e la densità della materia circostante. Secondo gli studiosi, a permettere di spiegare le anomalie osservate da Xenon1T sarebbe proprio questo meccanismo di schermatura delle particelle camaleonte, le quali verrebbero prodotte all'interno del Sole, in particolare nella regione del tacoclino, una zona di transizione a circa 0,7 raggi solari dal suo centro, dove il trasporto dell'energia passa da radiativo a convettivo. Quando si dice la combinazione: cercavamo la materia oscura, e forse invece abbiamo trovato l'energia oscura... In realtà che sia stata rivelata in maniera diretta l'energia oscura e presto per dirlo, ma speriamo che da altri esperimenti operativi o in costruzione possano arrivare conferme ai risultati di Xenon1T.
E non è tutto. Adam Riess dello Space Telescope Science Institute di Baltimore, nel Maryland, ha confrontato la costante di Hubble-Lemaître misurata dal suo staff mediante osservazioni ottenute col telescopio spaziale Hubble con il valore della stessa costante previsto sulla base dei dati riguardanti l'universo primordiale. La sconcertante differenza da lui evidenziata implica che il tasso di espansione dell'universo è cambiato nel tempo. In particolare, oggi l'universo sembra espandersi con una rapidità più elevata dell'otto per cento rispetto a quanto avveniva nella sua infanzia e rispetto alla sua evoluzione attesa. La maggior parte dei cosmologi era convinta che l'energia oscura si comportasse proprio come la costante cosmologica Λ di Albert Einstein; la discrepanza nella costante di Hubble-Lemaître, però, suggerisce che l'energia oscura potrebbe cambiare nel tempo e nello spazio, causando un'accelerazione crescente del cosmo, anziché rappresentare una forza costante di repulsione. I cosmologi ipotizzano che l'accelerazione dell'espansione dell'universo sia cominciata tra cinque sei miliardi di anni fa, e ritengono che nella fase precedente l'espansione fosse in decelerazione a causa della forza gravitazionale attrattiva esercitata dalla materia barionica e dalla materia oscura.
Secondo i calcoli degli astrofisici, la densità della materia in un universo in espansione dovrebbe ridursi più velocemente rispetto all'energia oscura, ed infine questa dovrebbe prendere il sopravvento. In particolare, quando il volume dell'universo raddoppia, la densità della materia si dimezza, mentre l'energia oscura dovrebbe rimanere quasi invariata. L'enigmatica energia invisibile dovrebbe naturalmente avere un ruolo anche nell'evoluzione futura dell'universo. Il Big Crunch, cioè il collasso di tutte le galassie in un sol punto per effetto della gravità, scenario opposto al Big Bang ritenuto il più probabile fino agli anni ottanta, sembra definitivamente escluso dopo la scoperta dell'accelerazione dell'espansione dell'universo. Quest'ultimo dunque sembra atteso da un'eterna espansione senza limiti, in cui l'energia fantasma "satura" tutto l'universo ed esso raggiunge una densità infinita, espandendosi però di una quantità finita. La continua espansione provoca un universo troppo freddo per sostenere la vita: la materia sopravvissuta ha così poca energia da risultare assolutamente immobile, e il tempo virtualmente si ferma. Le galassie "muoiono" allorché tutta la loro materia viene fagocitata dal buco nero centrale e dagli altri buchi neri causati dalla morte delle stelle supermassicce che la compongono. Come ha insegnato lo scienziato britannico Stephen Hawking (1942-2018), i buchi neri evaporano in un tempo per noi lunghissimo, dell'ordine di 1064 anni: emettendo radiazione, a poco a poco scompaiono. Su scale temporali ancora più lunghe (101000 anni! un intervallo di tempo davvero astrononomico!), questa radiazione si "dissipa" e tutto lo spazio si trasforma in un "fluido" allo zero assoluto; da quel momento in poi, non accade praticamente più nulla, e la freccia del tempo "si rompe". Questo processo coincide con la "morte termica" dell'universo, di cui abbiamo parlato nell'ipertesto dedicato alla Termodinamica. Questo scenario prende il nome di Big Freeze ("grande congelamento").
Non si tratta però dell'unico futuro possibile. Infatti il telescopio spaziale Hubble della Nasa, con il satellite Planck dell'Esa europea e i più potenti telescopi terrestri, unitamente ai risultati del super acceleratore LHC del Cern, hanno permesso di scoprire una sensibile variazione del tempo del valore della costante di Hubble-Lemaître. Con il telescopio Hubble si era misurato un valore di 72 chilometri per secondo per megaparsec, e di recente gli astronomi ritenevano di aver perfezionato la valutazione riducendo l'incertezza al 2,4 %. Ma il risultato è in disaccordo con le conclusioni a cui si è arrivati con il satellite Planck che ha ripreso, con una precisione mai raggiunta prima, l'immagine della radiazione cosmica di fondo quando l'universo aveva appena 380 mila anni di età. Il valore della costante di Hubble-Lemaître registrata da Planck è di "soli" 67 chilometri per secondo per megaparsec. Quindi ci sarebbe una differenza del 9 %, che ha permesso ad alcuni cosmologi più pessimisti degli altri di proporre uno scenario a dir poco catastrofico: se l'energia oscura non è costante nell'universo, come prevedono molti modelli, ma aumenta di potenza, l'universo può letteralmente andare in pezzi. Questa forma potentissima di energia oscura non solo farebbe espandere l'universo all'infinito, ma sarebbe capace addirittura di separare tra di loro tutti i suoi componenti. Prima le galassie verrebbero separate le une dalle altre, poi la gravità sarebbe troppo debole per tenerle assieme e le stelle, che a loro volta si separerebbero, "dissolvendo" le galassie e gli ammassi. Circa tre mesi prima della fine, i pianeti si separerebbero dalle loro stelle, negli ultimi minuti le stelle e i pianeti sarebbero disintegrati, e una frazione di secondo prima della fine anche gli atomi verrebbero distrutti, e i protoni "sciolti" nei quark e nei gluoni che li compongono. Insomma, l'Universo sarebbe ridotto ad un "brodo" di particelle elementari isolate le une dalle altre, in cui ogni attività sarebbe impossibile, poiché ogni particella sarebbe impossibilitata a "vedere" le altre: l'Universo tornerebbe insomma al caos primordiale. Naturalmente, la dissoluzione della materia porterebbe necessariamente anche alla fine del tempo. Secondo questo scenario, la fine avverrebbe tra circa 20 miliardi di anni. La vita totale dell'universo si aggirerebbe allora sui 33 miliardi di anni. In tal caso si parla di Big Rip ("grande strappo"). Ma vi è un'alternativa: il cosiddetto Big Brake ("grande frenata"), ipotizzato per la prima volta nel 1994. In pratica, la materia oscura non guida più l'espansione cosmica, ma al contrario, da un certo punto in poi, la ritarda, frenando bruscamente l'espansione. La decelerazione è potenzialmente infinita, e di conseguenza le strutture dell'universo sarebbero soggette a tali forze di marea, che tutto andrebbe distrutto.
La fine dell'ultimo uomo nella
storia a fumetti "La scorribanda nei secoli"
di Jerry Siegel e Romano Scarpa (da "Topolino" n° 911 del 13 maggio 1973)
Nel 2021 alcuni cosmologi hanno scoperto indizi che nei primi 300.000 anni dopo il Big Bang, potrebbe essere esistito un secondo tipo di energia oscura. Due studi indipendenti tra loro hanno rilevato una prima traccia provvisoria di questa "energia oscura primordiale" nei dati raccolti tra il 2013 e il 2016 dall'Atacama Cosmology Telescope (ACT), in Cile. Se i risultati fossero confermati, potrebbero aiutare a risolvere l'annosa Crisi del Modello Cosmologico Standard. Ma i dati sono preliminari e non mostrano definitivamente se questa forma di energia oscura sia mai realmente esistita, e ci sono molte ragioni per essere cauti nel prendere questo risultato come la scoperta di nuova Fisica. Tuttavia ulteriori osservazioni dell'ACT e di un altro osservatorio, il South Pole Telescope in Antartide, potrebbero fornire presto un test più rigoroso. Entrambi infatti sono progettati per mappare la radiazione cosmica di fondo, residuo del Big Bang, sul cui studio si basa il cosiddetto "Modello Cosmologico Standard". Come abbiamo visto, l'analisi della radiazione cosmica di fondo e lo "studio delle candele standard" hanno portato a valori della costante di Hubble-Lemaître manifestamente inconciliabili tra loro. Ora, nel 2019 il cosmologo Marc Kamionkowski della Johns Hopkins University a Baltimora e i suoi collaboratori hanno suggerito che questa "energia oscura primordiale" fosse una sorta di "fluido" che permeava l'universo prima di svanire entro poche centinaia di migliaia di anni dopo il Big Bang. L'energia oscura primordiale non sarebbe stata abbastanza potente da causare un'espansione accelerata, come sta facendo attualmente l'energia oscura "ordinaria", ma avrebbe fatto sì che il plasma emerso dal Big Bang si raffreddasse più velocemente di quanto avrebbe fatto altrimenti. Questo influenzerebbe il modo in cui dovrebbero essere interpretati i dati sulla radiazione di fondo nel caso di misurazioni dell'età dell'universo e del suo tasso di espansione che si basano su quanto lontano le onde sonore erano in grado di viaggiare nel plasma prima che si raffreddasse per diventare gas. Per fare i calcoli, Planck e altri osservatori usano le tracce che sono rimaste nel cielo dopo questa transizione. Interpretare la radiazione di fondo sulla base del modello di energia oscura primordiale significherebbe che l'universo ha ora 12,4 miliardi di anni, ed è quindi dell'11 % circa più giovane rispetto ai 13,8 miliardi di anni calcolati usando il Modello Standard, mentre l'espansione attuale sarebbe circa del 5 % più rapida di quanto previsto dal Modello Standard, un valore più vicino a quello che gli astronomi calcolano oggi tramite lo studio delle supernovae. Purtroppo quella del "fluido che evapora" non è un'argomentazione convincente per la maggioranza degli astrofisici, e i dati dell'ACT sembrano essere incoerenti con i calcoli del gruppo di Planck: anche se i dati dell'ACT potrebbero portare acqua al mulino dell'ipotesi dell'energia oscura primordiale, non è chiaro se la sua mappa delle temperature della radiazione di fondo dimostri una tale preferenza. I dubbi rimangono, e saranno necessari ulteriori lunghi studi per riuscire a dissiparli.
Naturalmente la fantascienza si è già impadronita di questo nuovo, enigmatico inquilino della Fisica del XXI Secolo. Nella serie di videogiochi d'azione Mass Effect, sviluppata nel 2007 dalla BioWare, dei campi artificiali di energia oscura, generati sottoponendo a una corrente elettrica un altrettanto fittizio "elemento zero", sono in grado di ridurre la massa a riposo della materia contenuta al loro interno (il "mass effect" che dà il nome alla saga): l'energia oscura è quindi utilizzata per alleggerire le astronavi, permettendo loro di raggiungere velocità superiori a quella della luce, per generare gravità artificiale, per accelerare i proiettili delle armi da fuoco, e viene persino utilizzata da particolari individui, i biotici, per generare campi di energia oscura capaci di disarmare i nemici! Ma, al di là delle fantasiose ipotesi dei videogiochi, questa fantomatica energia oscura da quale meccanismo fisico può saltare fuori?
Quando Richard Feynman (1918–1988) sviluppò l'Elettrodinamica Quantistica, si rese conto che anche il vuoto possiede una sua ben definita energia, provocata dalle particelle virtuali che si formano in continuazione. Il principio di indeterminazione di Heisenberg infatti afferma tra l'altro che l'energia e la durata di un fenomeno non possono essere entrambi zero. Di conseguenza il vuoto assoluto non può esistere, poiché in esso energia e durata dei fenomeni sono appunto nulli. Nel vuoto si generano in continuazione coppie di particelle e antiparticelle, per poi annichilarsi a vicenda: quello che noi crediamo il "vuoto" è in realtà un pauroso ribollire di particelle (virtuali, perché non rilevabili) che interagirebbero globalmente con la materia ordinaria, dando vita all'accelerazione dell'universo. Questa situazione è chiamata "vuoto quantistico", e ne riparleremo più avanti. Lo spazio vuoto sarebbe dunque riempito in maniera omogenea da una densità di energia costante, che produrrebbe una pressione opposta a quella della gravità. Insomma, l'energia oscura sarebbe una sorta di energia intrinseca dello spazio (« il prezzo della pace per avere spazio », come lo ha definito un fisico). Da qui nasce l'esigenza di rispolverare proprio la costante cosmologica Λ già scartata da Einstein, alla faccia del più grande errore del fisico tedesco!
Il valore migliore stimato da Saul Perlmutter per la costante cosmologica è dell'ordine di circa 10−29 g/cm3. Il problema è che la maggior parte delle teorie quantistiche dei campi prevedono un valore enorme per la costante dall'energia del vuoto quantistico, fino a 120 ordini di grandezza in più: è questo il massimo sfasamento tra teoria e misure in tutta la storia della Fisica! Altri fisici allora hanno pensato all'energia oscura come ad una "quintessenza" (appunto, come l'etere aristotelica: torna l'eterna ossessione dei cosmologi!) chiamata anche "energia fantasma", un campo che pervade lo spaziotempo e può assumere valori diversi in punti differenti. Una spiegazione ulteriore propone l'esistenza di un'ulteriore particella fondamentale oltre a quelle previste dal Modello Standard: una nuova specie di neutrino, diversa da quelli elettronico, muonico e tauonico. Se esistesse un quarto tipo di neutrino, allora una quantità maggiore di energia totale dell'universo avrebbe assunto la forma di radiazione, invece che di materia (i neutrini, essendo quasi privi di massa, viaggiano a velocità prossime a quella della luce e quindi sono considerati come radiazione). Mentre la materia si aggrega per effetto della gravità, un tasso di radiazione più elevato avrebbe permesso all'universo di espandersi più rapidamente di quanto sarebbe stato altrimenti. Altri fisici ancor più coraggiosi puntano su teorie alternative, innovative ed estremamente complesse, come la teoria delle Superstringhe o la Gravità Quantistica a Loop, le quali potrebbero spiegare la costante cosmologica senza far ricorso all'energia oscura.
All'inizio del 2023 un gruppo di ricercatori guidato da Duncan Farrah dell'Università delle Hawaii ha proposto che l'origine dell'energia oscura si nasconda... nei buchi neri supermassicci al centro delle galassie. L'idea non è nuova: già nel 1966, il fisico sovietico Erast Borisovic' Gliner (1923-2021) aveva avanzato l'ipotesi che i buchi neri possano coincidere con enormi sfere costituite da energia del vuoto, pur comportandosi esattamente come ci si aspetta da un normale buco nero. Una congettura impossibile da testare all'epoca, ma che invece oggi può essere confrontata con i dati osservativi a noi disponibili sui buchi neri. Gli scienziati hanno preso in considerazione un ampio campione di buchi neri supermassicci di età diverse distribuite in modo omogeneo, appartenenti a grandi galassie ellittiche. L'analisi si è concentrata soprattutto sulla massa dei buchi neri, evidenziando un comportamento in parte inatteso: i buchi neri sembrano accrescere la propria massa nel corso del tempo di una quantità compresa tra un fattore 7 e un fattore 20, tale da non essere spiegabile con l'assorbimento di materia o la fusione tra galassie. A rendere possibile questo enorme accrescimento di massa dei buchi neri sarebbe il cosiddetto "accoppiamento cosmologico", un'idea proposta nell'ambito della relatività generale di Albert Einstein, secondo cui la massa dei buchi neri aumenterebbe non solo per l'accrescimento di materia, ma anche come conseguenza dell'espansione dell'universo. Poiché il numero dei buchi neri in un dato volume diminuisce nel tempo a causa dell'espansione, ma la massa di ciascun buco nero al contrario aumenta, la densità di massa dei buchi neri nell'universo risulterebbe all'incirca costante; ma la densità costante è proprio la caratteristica principale dell'energia del vuoto! Farrah e colleghi hanno ripreso la proposta di Gliner, suggerendo che i buchi neri potrebbero essere davvero costituiti da energia del vuoto, e rappresentare così l'energia oscura.
Sebbene sia basata su un modello coerente, definito ricostruendo l'evoluzione nel tempo di un gran numero di buchi neri, l'ipotesi resta al momento una mera congettura, mentre diversi fisici teorici non sono convinti della sua plausibilità. Purtroppo i dettagli questo accoppiamento tra buchi neri ed energia oscura sono lasciati nel vago, perché non esiste nessuna soluzione esatta delle equazioni della relatività generale di Einstein per un buco nero rotante in uno spazio in espansione. Inoltre, non è detto che l'abbondanza dei buchi neri sia paragonabile a quella necessaria per spiegare l'accelerazione cosmica. Infine, per assomigliare a una costante cosmologica, i buchi neri dovrebbero essere distribuiti in maniera quasi omogenea: ma allora perché il resto della materia è invece altamente ammassata in gruppi, ammassi e filamenti? Insomma, perché i buchi neri non trascinano gravitazionalmente anche la materia ordinaria? Tutte queste domande resteranno senza risposta finché non arriveranno conferme osservative più solide. Un aiuto in questo senso arriverà dalla rilevazione sempre più frequente di onde gravitazionali prodotte da fusioni tra buchi neri, che permetteranno di ampliare il "catalogo" di buchi neri noti. Ma una spinta importante potrebbe arrivare da esperimenti appositamente concepiti per indagare la natura dell'energia oscura: tra questi c'è Euclid, missione ambiziosa dell'Agenzia Spaziale Europea lanciata il 1° luglio 2023.
Come ha scritto lo scienziato e divulgatore Emiliano Ricci, « Euclid ha come obiettivo principale quello di determinare la geometria dell'universo, che dipende dalla quantità di materia ed energia in esso contenuto, e da cui dipendono l'evoluzione e la sorte finale dell'universo stesso ». Per raggiungere il suo scopo, l'osservatorio orbitante porta a bordo un telescopio riflettore da 1,2 metri di apertura e due strumenti scientifici: una fotocamera che opera nel visibile (VIS) e uno spettrofotometro che opera nell'infrarosso (NISP). Con questi strumenti Euclid produrrà una mappa tridimensionale di milioni di galassie, per cercare di fare luce su materia oscura ed energia oscura. Risolto un malfunzionamento del sistema di puntamento del telescopio, Euclid è ora operativo e lo dimostra la sorprendente qualità delle prime immagini raccolte, pubblicate dall'ESA a partire dal 7 novembre 2023. Un esempio è rappresentato da quella che vedete qui sopra, e che mostra il grande ammasso di galassie di Perseo. Sullo sfondo di un migliaio di galassie in primo piano dell'ammasso, distante 240 milioni di anni luce, si scorgono oltre 100.000 galassie lontane, alcune distanti addirittura 10 miliardi di anni luce, molte riprese per la prima volta! È grazie a immagini come questa che sarà possibile determinare il contributo della materia oscura nell'evoluzione degli ammassi di galassie. Se questi sono i risultati preliminari, ha scritto sempre Emiliano Ricci, la speranza è che Euclid, nei suoi sei anni di operatività prevista, riesca davvero a « illuminarci » sulla componente oscura dell'universo.
Sempre nel 2023 uno studio del Gruppo di Astrofisica e Cosmologia della SISSA, guidato dal professor Andrea Lapi, ha però introdotto un nuovo approccio che introduce del "rumore" durante l'evoluzione dell'Universo, e permetterebbe di spiegarne l'accelerazione senza modificare la relatività generale e senza invocare l'energia oscura. Questo approccio parte da una coincidenza intrigante: l'accelerazione dell'universo inizia con un certo sincronismo rispetto alla formazione della cosiddetta "ragnatela cosmica", la struttura su larga scala dell'Universo, composta da filamenti di materia che circondano enormi spazi vuoti. La ragnatela cosmica si formò a causa della gravità, che attirò la materia verso le aree più dense e lasciò vuote altre zone, creando un universo disomogeneo e anisotropo. Secondo il modello proposto nella nuova pubblicazione, chiamato etaCDM (ηCDM) il contrapposizione al lambdaCDM, sono proprio queste disomogeneità e anisotropie a influenzare dinamicamente l'espansione dell'Universo. La chiave del modello sta nel "rumore", indicato con la lettera eta (η): in questo approccio ogni regione dell'universo evolve con la sua complessa dinamica gravitazionale, che è descritta matematicamente tramite un rumore appropriato. L'effetto sul comportamento complessivo dell'universo si ottiene mediando quello di tutte le differenti regioni. Con questo piccolo rumore aggiunto, il modello riesce a spiegare l'espansione accelerata dell'Universo grazie alla progressiva dominanza dei vuoti rispetto alle regioni più dense della ragnatela cosmica.
Come ha spiegato lo stesso Lapi, la novità del suo lavoro risiede nell'approccio basato su una dinamica stocastica. Infatti il termine di "rumore" da lui introdotto può anche descrivere effetti non perturbativi dovuti alle condizioni inomogenee e anisotrope associate all' emergere della rete cosmica e della struttura su grande scala. Il nuovo modello ηCDM risolve anche due misteri addizionali finora inspiegati dal Modello Standard. Scompare infatti la cosiddetta Tensione di Hubble, cioè la discrepanza tra le stime del tasso di espansione dell'Universo quando misurato su scala locale rispetto a quello ottenuto nell'universo primordiale grazie alle misurazioni del Fondo Cosmico a Microonde. Inoltre, viene risolto anche il problema della cosiddetta "coincidenza cosmica", cioè la sorprendente osservazione che, proprio in questa era dell'universo, le densità di energia oscura e materia sono simili: coincidenza insolita, perché il Modello Standard prevede che, nel corso della storia cosmica, la densità della materia diminuisca radicalmente con l'espansione dell'Universo, mentre la densità dell'energia oscura rimanga circa costante. Che le nostre osservazioni cadano proprio in questo breve periodo rispetto alla lunghissima storia dell'Universo sembra statisticamente improbabile. Il modello ηCDM risolve la coincidenza, poiché prevede invece che l'Universo avrà valori cosmologici simili a quelli attuali molto a lungo, forse per sempre, dissolvendo questa anomalia senza invocare forme esotiche di energia e senza ricorrere a revisioni sostanziali della teoria della gravità di Einstein, che fino ad ora è stata confermata da tutte le osservazioni.
Infine, grazie ai risultati di eROSITA (Extended Roentgen Survey with an Imaging Telescope Array), uno dei due telescopi a raggi X lanciati nello spazio nel luglio 2019, gli astronomi hanno ricostruito quasi nove miliardi di anni di evoluzione cosmica tracciando il bagliore dei raggi X di lontani ammassi di galassie. L'analisi supporta perfettamente il modello standard della cosmologia, secondo il quale l'attrazione gravitazionale della materia oscura e la repulsione dell'energia oscura sono i fattori principali che plasmano la struttura dell'universo. Lo studio ha analizzato circa 900.000 sorgenti di raggi X, dai buchi neri ai resti delle esplosioni di supernove, e le previsioni sono state verificate con un'accuratezza senza precedenti. Comunque, come nel caso della materia oscura, c'è anche chi pensa che l'energia oscura e l'accelerazione cosmica siano la prova del fallimento del Modello Standard fin qui accettato, poiché costringe ad ammettere l'esistenza di qualcosa non ancora interpretabile mediante quella che per noi è la "Fisica ufficiale". Distinguere quale sia il modello migliore tra l'energia del vuoto, la quintessenza e gli altri richiede misure accuratissime dell'espansione dell'universo per capire come la sua velocità cambia nel tempo, e capire quanto poco è stato sbagliato "il più grande errore" di Einstein sarà uno degli sforzi maggiori della Fisica e della Cosmologia nel corso del XXI secolo.