Abbiamo visto che, negli ultimi decenni del XX secolo, sono state elaborate una teoria quantistica dell'elettromagnetismo, l'Elettrodinamica Quantistica (QED), ad opera di Richard P. Feynman (1918-1988); una teoria quantistica dell'interazione elettrodebole, ad opera di Sheldon Lee Glashov (1932-), Steven Weinberg (1933-) ed Abdus Salam (1926-1996); e persino una teoria quantistica della forza nucleare forte e della forza di colore, la Cromodinamica Quantistica, ad opera di vari fisici s partire da Moo-Young Han (1934-2016) e Yoichiro Nambu (1921-2015). Sembra logico pensare che debba esistere anche una teoria quantistica della gravitazione, o se si preferisce una Gravitodinamica Quantistica (QGD). Il problema di quantizzare la gravitazione si è però dimostrato più arduo del previsto, a causa delle caratteristiche peculiari di questo tipo di interazione, non ultima la sua debolezza in confronto alle altre forze. Già Albert Einstein dedicò gli ultimi anni della sua vita a conciliare la meccanica quantistica e la relatività generale, ma fu costretto a buttare la spugna. Dopo l'introduzione da parte di Feynman del concetto di bosoni mediatori di forza, fu logico pensare che anche l'interazione gravitazionale fosse mediata da una particella virtuale che fu battezzata gravitone.
Il gravitone deve avere massa a riposo nulla, perchè la gravità è una forza con raggio d'azione infinito, e spin intero, come tutti i bosoni mediatori (il fotone, il gluone e gli astenoni); tuttavia Tuttavia, il suo spin non può essere 1 come quello del fotone, perché ciò implicherebbe che l'interazione gravitazionale tra due masse sia repulsiva, così come lo è quella elettromagnetica tra due particelle di carica uguale. Per avere interazione attrattiva potrebbero andare bene sia spin 0 che spin 2. Ma lo spin 0 non è in grado di descrivere correttamente la deflessione gravitazionale della luce prevista dalla Relatività Generale, e valori di spin più alti sono esclusi per altre ragioni. Rimane quindi lo spin 2. Si pensava che la Gravitodinamica Quantistica avrebbe avuto una formalizzazione matematica simile alle altre Teorie di Gauge sopra menzionate, ma non è stato così. Infatti i fotoni agiscono direttamente l'uno sull'altro e sulle particelle cariche, mentre la Relatività di Einstein ci insegna che la gravità è generata da qualsiasi forma di energia (anche la massa è una forma di energia), e dunque gli stessi campi gravitazionali, con loro energia, generano a loro volta anche campi gravitazionali. Queste caratteristiche sono molto difficili da descrivere in una teoria di campo. Rilevare sperimentalmente un gravitone poi sarebbe estremamente problematico, perchè trasporterebbe pochissima energia; ed alcune proposte per mettere insieme una QGD non lo richiedono nemmeno. Ad esempio, la Gravità Quantistica a Loop non prevede alcun gravitone. E così, ottenere una teoria quantistica consistente per la gravitazione è diventata una delle grandi sfide della Fisica di Domani, insieme alla spiegazione della natura della materia oscura e dell'energia oscura, dell'oscillazione dei neutrini e dell'individuazione delle particelle supersimmetriche. Tutti i tentativi però finora sono falliti, per cui la sfida di quantizzare la gravitazione resta tuttora insoluta, e sarà uno dei compiti della Fisica del Terzo Millennio. Non possiamo dunque chiudere questo ciclo di lezioni senza tratteggiare almeno a grandi linee le dimensioni del problema.
Alcuni passi avanti notevoli però sono stati fatti, nella seconda metà degli anni Duemiladieci. Infatti, mentre l'LHC di Ginevra permetteva la scoperta del Bosone di Higgs ed escludeva l'esistenza di molti tipi di particelle supersimmetriche, veniva annunciata, dopo anni di caccia infruttuosa, la scoperta delle tanto agognate onde gravitazionali. Tale scoperta è stata accompagnata da una tale grancassa mediatica, che non possiamo fare a meno di dedicare loro una lezione. Dopotutto, nella sua canzone disco di platino intitolata "La Cura" (1996), anche il grande Franco Battiato cantava:
« Conosco le leggi del mondo,
e te ne farò dono:
supererò le correnti gravitazionali,
lo spazio e la luce per non farti invecchiare... »
Tanto per cominciare, i campi elettromagnetici non si trasmettono istantaneamente, bensì alla velocità della luce, perchè altrimenti violerebbero i fondamenti della Relatività Ristretta. Ciò significa che, se il Sole sparisse all'istante come per magia, la Terra non proseguirebbe immediatamente lungo la tangente alla propria orbita, ma continuerebbe a ruotare intorno al vuoto ancora per otto minuti, il tempo impiegato dalla luce a coprire la distanza Terra-Sole. Ora, dall'analisi delle Equazioni Gravitazionali di Einstein è possibile ricavare che anche i parametri geometrici dello spazio-tempo obbediscono ad un'equazione differenziale alle derivate parziali nota come Equazione di d'Alembert, cui fanno capo tutti i fenomeni ondulatori. Essa trae il nome da Jean-Baptiste d'Alembert (1717–1783), ed è molto complicata, per cui non la riporto in questa sede; basti dire che, obbedendo a tale equazione, anche i campi gravitazionali devono necessariamente propagarsi per onde: le onde gravitazionali, per l'appunto. Ma queste onde non si propagano in un mezzo materiale, come i suoni o le onde sismiche, ma nella struttura geometrica stessa dello spazio-tempo, modificandone la struttura. In altre parole, il passaggio di un'onda gravitazionale modificherebbe la distanza di due punti, sia nello spazio che nel tempo, facendo tremolare ogni cosa investita da essa. Ma non sarebbero gli oggetti in sé a tremolare, come le pareti di una casa squassata da un terremoto, bensì la stessa tessitura dello spazio-tempo, esattamente come, secondo la Relatività Generale, la massa deforma la geometria stessa dell'universo! In pratica, in seguito al passaggio di un'onda gravitazionale, le geodetiche, cioè i cammini più brevi tra due punti fissati, da rette si trasformano in... sinusoidi!
Onde gravitazionali generate da due buchi neri in rapida rotazione l'uno rispetto all'altro
Siccome l'esperienza concettuale del Sole che scompare dal nostro sistema non è ovviamente realizzabile, anche delle onde gravitazionali dobbiamo cercare delle prove indirette. Oggi il modello teorico più accreditato prevede che l'intensità della radiazione gravitazionale emessa da un corpo dipenda dal grado di disomogeneità nella distribuzione della sua massa, cioè dalla sua deviazione dalla simmetria cilindrica; la grandezza fisica che misura questa disomogeneità è chiamata momento di quadrupolo. Quando il momento di quadrupolo di un corpo di grande massa subisce variazioni molto rapide, in seguito ad esempio alla rapidissima rotazione di una massa non uniformemente distribuita, dovrebbe essere emesso un treno di onde gravitazionali di intensità proporzionale alla velocità delle variazioni. Questo è il caso per esempio di una stella doppia, classico sistema isolato a due corpi interagenti che si muovono di moto reciproco.
In particolare, quando un sistema binario giunge alla fine della sua vita, le stelle che lo compongono precipitano rapidamente verso il centro di massa lungo una traiettoria a spirale, fino a che collidono e si disintegrano, emettendo per l'appunto onde gravitazionali. Ma l'emissione in questo caso è probabilmente troppo tenue per essere rivelata. L'impulso di onde gravitazionali dovrebbe essere molto più intenso se a ruotare e a collidere sono due stelle di neutroni, a causa della massa assai maggiore. Anche l'esplosione di una supernova dovrebbe essere annunciata dalla trasformazione di circa lo 0,1 % della massa iniziale in onde gravitazionali, ed idem dicasi per la formazione di buchi neri. Particolarmente importante in questo senso è PSR B1913 +16, il primo sistema binario costituito da due stelle di neutroni ad essere scoperto nel 1974 ad opera di Alan Russell Hulse (1950-) e Joseph Hooton Taylor (1941-) dell'Università del Massachusetts Amherst; per la loro scoperta, i due ricercatori furono insigniti nel 1993 del Premio Nobel per la Fisica. La variazione del periodo di rivoluzione del sistema binario PSR 1913+16 si rivelò essere identica a quella prevista dalla Relatività Generale, ed è molto probabile che tale sistema irraggi onde gravitazionali in grande quantità.
Ancora più eclatante è la scoperta di due buchi neri in rapida rotazione l'uno attorno all'altro, separati da una distanza inferiore alla dimensione del sistema solare, nel cuore di una galassia lontana da noi 3,5 miliardi di anni luce. Questo fenomeno sarebbe responsabile dello strano comportamento di un particolare quasar, indicato con la sigla PG 1302-102: di solito i quasar passano dall'essere luminosi a oscuri in modo apparentemente casuale, mentre questo emette luce in maniera insolitamente periodica e intensa, aumentando di luminosità del 14 % ogni cinque anni. La scoperta, avvenuta nel 2015, la dobbiamo a un gruppo di ricercatori del California Institute of Technology guidati da Matthew Graham. Per effetto Doppler, la materia che si muove vicino alla velocità della luce sembra cambiare di luminosità in funzione della posizione, e ciò spiegherebbe la periodicità del quasar; il gruppo di studiosi ha usato una simulazione al computer di due buchi neri rotanti per prevedere in che modo varierebbe la luce ultravioletta emessa dal quasar, confrontando poi il risultato con i dati raccolti in vent'anni di osservazioni, e la previsione del modello è risultata corretta. Naturalmente la presenza di un sistema binario di buchi neri non è l'unica spiegazione per lo strano comportamento del quasar PG 1302-102: tra le spiegazioni alternative vi sono la deformazione nel disco di materia attorno al buco nero o un hot spot nel disco di accrescimento.
Ma, per quanto tutto questo sia impressionante, la maggior parte delle onde gravitazionali non è visibile a LIGO e a VIRGO. Proprio come la radiazione elettromagnetica, le onde gravitazionali hanno uno spettro di diverse lunghezze d'onda e frequenze. Più grandi sono le masse che generano un'onda gravitazionale, più bassa è la sua frequenza e più ampia la sua lunghezza d'onda. Gli osservatori oggi in funzione possono misurare onde gravitazionali la cui frequenza, convertita in onde sonore, sarebbe nella gamma udibile. Simili onde sono generate in sistemi binari vicini di buchi neri e stelle di neutroni che orbitano l'uno intorno all'altro e alla fine si fondono. Tuttavia nell'universo ci sono oggetti molto più massicci di questi resti stellari, e dunque esistono molte altre frequenze dello spettro delle onde gravitazionali. Per esempio, non sono solo i buchi neri normali a scontrarsi, ma anche i buchi neri estremamente massicci di milioni o miliardi di masse solari al centro delle galassie. Per misurare le loro collisioni galattiche, l'ESA vorrebbe collocare nello spazio il già citato osservatorio LISA, che potrebbe rilevare le onde gravitazionali che si creano quando questi giganti cosmici si fondono. Ma anche in questo caso si copre solo una frazione dello spettro delle onde gravitazionali, perché collisioni del genere sono estremamente rare: la maggior parte delle onde gravitazionali nel rumore di fondo si genera milioni e miliardi di anni prima della collisione, quando buchi neri estremamente massicci orbitano l'uno intorno all'altro. La gamma di frequenze delle loro onde gravitazionali irradiate è di alcuni nanohertz, e questi buchi neri hanno bisogno di diversi anni per orbitare l'uno intorno all'altro. Tra due creste di una simile onda gravitazionale possono passare alcuni anni: secondo i più, il fondo di onde gravitazionali, che si può immaginare come un ronzio profondo, consiste in questo tipo di sorgenti, e per essere rilevato questo ronzio richiederebbe rivelatori lunghi diversi anni luce: non c'è speranza di poterli realizzare. Tuttavia, esso potrebbe essere osservato attraverso le cosiddette pulsar a millisecondi. Esse sono stelle di neutroni spesso dotate di un campo magnetico molto forte con il quale accelerano le particelle a energie così elevate da far loro emettere radiazioni elettromagnetiche, e se il polo magnetico e l'asse di rotazione non coincidono perfettamente, questa radiazione arriva sulla Terra a intervalli regolari. L’idea di base è che una pulsar non può essere turbata da nulla tranne che da un'onda gravitazionale che passa di lì per caso, comprimendo e allungando lo spazio-tempo stesso. Noi sulla Terra ce ne accorgiamo perché i tempi di arrivo dei segnali delle pulsar si spostano in modo evidente. Misurare questo effetto però non è affatto semplice: una sola pulsar non è sufficiente, bisogna confrontare tra loro molte di esse, perché cambiamenti minimi nei tempi di arrivo dei loro segnali dovrebbero essere correlati tra loro. Dato che le onde gravitazionali che stiamo cercando oscillano ogni qualche anno, era chiaro fin dall'inizio della ricerca che ci sarebbero voluti anni. Sulla Terra, ci sono attualmente diversi pulsar-timing-array a caccia di correlazioni., tra cui la European Pulsar Timing Array (EPTA), un'associazione di cinque telescopi, tra cui il radiotelescopio da 100 metri di Effelsberg, in Germania, il NANOGrav negli Stati Uniti, un consorzio fondato nel 2007, e il Parkes Pulsar Timing Array, in Australia. I ricercatori stanno aspettando che la loro serie temporale sia finalmente abbastanza lunga da permettere al segnale di cristallizzarsi. Inoltre il mezzo interstellare influenza le onde radio: le nubi interstellari di gas ionizzato disperdono i segnali provenienti dalle pulsar. In tutto questo rumore generale, i ricercatori stanno cercando un rumore molto specifico. Non un rumore bianco, in cui tutte le frequenze sono equamente distribuite, ma un "rumore rosso" con frequenze leggermente più basse che indicherebbe che le onde gravitazionali hanno cambiato i tempi di arrivo delle pulsar. Chi vivrà, vedrà.
Ma non bisogna dimenticare il Big Bang: come si è detto, esso ha lasciato una radiazione di fondo fatta di microonde, ma anche un rumore di fondo di onde gravitazionali. emesse nei primi istanti di vita dell'Universo, cioè i 'tremori' successivi Big Bang. L'esperimento Background Imaging of Cosmic Extragalactic Polarization (BICEP), coordinato da John Kovac, ha tentato di osservare la radiazione cosmica di fondo per scovarvi le prime evidenze dirette delle onde gravitazionali e dell'inflazione. L'esperimento BICEP, installato nella base Amundsen-Scott nei pressi del Polo Sud, ha osservato la radiazione cosmica di fondo per verificare che le piccolissime differenze di densità fra le varie regioni dello spazio dopo il Big Bang sono state effettivamente amplificate dall'inflazione. Ma, oltre a queste perturbazioni, i modelli prevedono che nella fase inflazionaria siano state emesse delle onde gravitazionali primordiali, causate da perturbazioni del campo gravitazionale. Queste onde gravitazionali, propagandosi nello spazio, avrebbero interagito successivamente con la radiazione cosmica di fondo, lasciando una "firma" caratteristica. BICEP è andato a caccia di quella firma, che si è manifestata nella polarizzazione della radiazione di fondo (la polarizzazione è una delle proprietà delle onde elettromagnetiche, consistente nell'immutata direzione di oscillazione del campo elettromagnetico). Il 17 marzo 2014 John Kovac e colleghi hanno annunciato di aver scoperto alcuni particolari modi di polarizzazione, detti modi B, che secondo loro rappresentano proprio la prima evidenza indiretta delle onde gravitazionali primordiali, ma nel giugno successivo gli autori della suddetta scoperta hanno informato la comunità scientifica che l'effetto di polarizzazione della radiazione a microonde da essi captato era invece causato dalla minuta polvere cosmica presente nella nostra galassia, piuttosto che dalle onde gravitazionali, come ha confermato il satellite Planck dell'ESA.
L'interferometro VIRGO, che il 14 agosto 2017 ha captato la sua prima onda gravitazionale
Purtroppo la caccia alle onde gravitazionali è tutt'altro che semplice, a causa della loro estrema debolezza, visto che la gravitazione è l'interazione meno intensa, tra le quattro della natura: i calcoli ci dicono che le onde prodotte dalla formazione di un buco nero o dal collasso di due stelle a neutroni, investendo la Terra, dovrebbero produrre una deformazione delle lunghezze di appena 10−21 metri per ogni metro, e tale oscillazione corrisponde ad appena un milionesimo del diametro di un protone! Tutto ciò rende davvero problematico rilevare onde gravitazionali con le tecnologie a nostra disposizione, ma gli sforzi dei fisici hanno fatto davvero miracoli. Basti pensare al progetto AURIGA (Antenna Ultracriogenica Risonante per l'Indagine Gravitazionale Astronomica), un rivelatore tutto italiano di onde gravitazionali costruito nel 1991 e basato su un'antenna mantenuta a temperatura prossima allo zero assoluto, e al grande rivelatore interferometrico Virgo (simile ad un interferometro di Michelson), con bracci lunghi 3 km, situato in località Santo Stefano a Macerata, nel comune di Cascina (PI), in funzione dal 2003 e frutto di una collaborazione italo-francese nell'ambito del consorzio EGO (European Gravitational Observatory). Tra i coordinatori del progetto Virgo vi è l'italiana Marica Branchesi (1977-), scienziata di fama mondiale nata ad Urbino che nel 2018 è stata inserita dalla prestigiosa rivista "Time" tra le 100 persone più influenti del Pianeta Terra! Ancora più avanzato è il progetto LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory, "osservatorio interferometrico laser di onde gravitazionali"), esperimento avviato nel 2004 presso Washington da ricercatori del California Institute of Technology e del Massachusetts Institute of Technology. LIGO e VIRGO in pratica sono due enormi tubi lunghi rispettivamente 4 e 3 chilometri perpendicolari l'uno all'altro. In ognuno di questi tubi c'è un raggio laser che viene riflesso una cinquantina di volta da particolari specchi, così da allungarne il percorso. Se passa un'onda gravitazionale, essa dilata lo spazio in una direzione e lo accorcia nella direzione ortogonale alla prima per una lunghezza di miliardesimi di miliardesimi di miliardesimi di metro. Allungando lo spazio, la luce laser quindi impiega più tempo per attraversare uno dei due bracci di Virgo o di Ligo, mentre ne impiega di meno nel braccio ortogonale dove lo spazio si è ristretto. Analizzando con precisione estrema i tempi di anticipo e di ritardo (ed eliminando qualsiasi tipo di disturbo), si riesce a captare l'onda gravitazionale.
Inoltre, il 3 dicembre 2015 alle 5.04 ora italiana con un vettore VEGA è stato lanciato con successo dal poligono spaziale di Kourou, nella Guyana francese, il satellite europeo LISA Pathfinder, realizzato da un cordata di aziende e centri di ricerca europei guidati da Airbus Defence and Space, ed ideato per studiare queste sfuggenti « vibrazioni » dell'universo. Esso si è posizionato nel punto lagrangiano L1, a 1,5 milioni di chilometri da noi, dove (come si è visto) la forza di gravità del Sole e della Terra si annullano. Scopo della missione, realizzata con il contributo del 13 % dell'Agenzia Spaziale Italiana, è quello di verificare il funzionamento delle tecnologie che serviranno per lo sviluppo dell' ambiziosa missione eLISA (evolved Laser Interferometer Space Antenna) da 2 miliardi di euro, che prevede l'invio di una costellazione di tre satelliti co-orbitanti, liberi di fluttuare alla distanza di 2,5 milioni di chilometri l'uno dall'altro, e collegati tra loro a formare un gigantesco interferometro spaziale, che dovrebbe essere pienamente compiuto entro il 2035.
E proprio dagli abissi dell'universo è arrivata, l'11 febbraio 2016, la tanto attesa notizia: nel corso di una conferenza stampa in contemporanea ai due lati dell'Atlantico, le collaborazioni LIGO e VIRGO hanno annunciato la prima osservazione di onde gravitazionali, avvenuta alle 10.50 e 45 secondi ora italiana del 14 settembre 2015. È stato allora che i due strumenti dell'esperimento LIGO hanno registrato un dato anomalo; sono iniziate subito le conferme per avere la sicurezza. Le onde gravitazionali rivelate sono state prodotte nell'ultima frazione di secondo del processo di fusione di due buchi neri a 410 Megaparsec da noi, di massa equivalente a circa 29 e 36 masse solari, in un unico buco nero rotante più massiccio di circa 62 masse solari: le tre masse solari mancanti al totale della somma equivalgono all'energia emessa durante il processo di fusione dei due buchi neri, sotto forma di onde gravitazionali. I due buchi neri, prima di fondersi, hanno percorso una traiettoria a spirale per poi scontrarsi a una velocità pari circa alla metà della velocità della luce. L'osservazione conferma anche l'esistenza di sistemi binari di buchi neri di massa stellare, in particolare aventi massa maggiore di 25 masse solari. Il processo di fusione dei due buchi neri responsabile delle onde gravitazionali rivelate è un evento accaduto quasi un miliardo e mezzo di anni fa, quando sulla Terra facevano la loro comparsa le prime cellule evolute in grado di utilizzare l'ossigeno. « Questo risultato rappresenta una pietra miliare nella storia della fisica, ma ancor più è l'inizio di un nuovo capitolo per l'astrofisica», ha commentato Fulvio Ricci, professore all'Università La Sapienza di Roma e ricercatore dell'INFN che coordina la collaborazione internazionale Virgo. « Osservare il cosmo attraverso le onde gravitazionali cambia radicalmente le nostre possibilità di studiarlo: finora è come se lo avessimo guardato attraverso radiografie, mentre adesso siamo in grado di fare l'ecografia del nostro universo ». Finora infatti lo studio del cosmo è stato realizzato solo attraverso i segnali emessi da stelle e galassie nello spettro elettromagnetico (luce visibile, raggi X e gamma, infrarossi, ultravioletti, onde radio di varia lunghezza d'onda). L'esistenza delle onde gravitazionali apre un mondo nuovo: la possibilità di studiare l'universo e i suoi misteri in modo completamente differente. Oltre che « vederlo », saremo in grado anche di « sentirlo » nella sua essenza più fondamentale, lo spazio-tempo, e capire come e perché l'universo non solo si espande, ma sta addirittura accelerando la sua velocità di ampliamento. « Questo risultato rappresenta un regalo speciale per il centesimo anniversario della Relatività Generale », ha concluso Fernando Ferroni, presidente dell'INFN. « È il sigillo finale sulla meravigliosa teoria che ci ha lasciato il genio di Einstein, ed è anche una scoperta che premia il gruppo di scienziati che ha perseguito questa ricerca per decenni, e alla quale l'Italia ha dato un grande contributo ».
Il 14 agosto 2017, alle ore 12.30.43 ora italiana, finalmente anche l'interferometro europeo VIRGO di Cascina ha captato un'onda gravitazionale: è stata la prima captata dal nostro osservatorio nazionale! Anche questa nuova onda è scaturita dalla fusione di due buchi neri lontani 1,8 miliardi di anni luce dalla Terra, rispettivamente di 31 e 25 masse solari rispettivamente. L'equivalente di una massa solare è stato così trasformato in un'onda di energia gravitazionale, indicata con la sigla GW170814. Decisivo è stato l'apporto di Alessandra Buonanno, uno dei tre direttori del Max Planck Institute for Gravitational Physics di Potsdam, in Germania, esperta delle tecniche di filtraggio dei dati. Si consolida così una pratica sperimentale in campo astronomico e astrofisico che fino a pochi anni fa sembrava quasi fantascienza: non si tratta solo di un fondamentale punto di arrivo, ma anche e soprattutto dell'inizio di un campo di studi inesplorato: l'astronomia a onde gravitazionali. Le nuove misurazioni hanno infatti dato ulteriore conferma della presenza nell'universo di buchi neri con massa maggiore di 20 masse solari, di cui non si conosceva l'esistenza prima dei successi di LIGO.
Il successivo 17 agosto, alle 14.41 ora italiana, è stata rilevata anche la prima emissione di onde gravitazionali prodotta dalla fusione di due stelle di neutroni da parte degli osservatori gemelli LIGO e VIRGO. Questo evento, indicato con la sigla GW170817, oltre a essere il primo segnale gravitazionale confermato ad essere prodotto dalla fusione di una coppia di stelle di neutroni e non di buchi neri, è stato accompagnato dall'emissione di un lampo di raggi gamma, osservato dai satelliti Fermi della NASA e INTEGRAL dell'ESA nella galassia NGC 4993, in direzione della costellazione dell'Idra, e identificata 11 ore dopo. Qui sopra potete vedere l'osservazione del lampo di raggi gamma da parte del satellite INTEGRAL. È proprio questa controparte elettromagnetica delle onde gravitazionali a indicare che la sorgente, denominata AT2017gfo, è diversa da una fusione di buchi neri. Stando agli attuali modelli astrofisici, le due stelle, di 1,1 e 1,2 masse solari rispettivamente, per un diametro di soli 20 chilometri, iniziarono a ruotare freneticamente l'una intorno all'altra fino a scontrarsi: in quest'ultimo processo, durato circa 100 secondi, si sono prodotte le onde gravitazionali. Ecco perché, quando LIGO e VIRGO "vedono" un'onda gravitazionale, scatta l'allerta negli osservatori astronomici di tutto il mondo: in questo caso sono stati coinvolti 70 telescopi a terra e tutti gli osservatori spaziali a nostra disposizione. Da tempo si ipotizzava che i lampi di raggi gamma avessero origine proprio dalla fusione di stelle di neutroni; tra l'altro, le onde gravitazionali e il lampo di raggi gamma sono arrivati sulla Terra a meno di due secondi di distanza l'uno dall'altro, dopo un viaggio durato 130 milioni di anni! È una misura diretta e incredibilmente precisa del fatto che onde gravitazionali e la luce hanno la stessa velocità: si tratta quindi una conferma di quanto previsto dalla Teoria della Relatività. Tra l'altro, lo studio di questo fenomeno ha permesso anche una nuova misura della costante di Hubble-Lemaître, pubblicata su "Nature" il 16 ottobre 2017; tale misura è compatibile con quella ottenuta dagli astrofisici attraverso lo studio del red shift galattico, come spiegheremo in una prossima lezione. E non è tutto. Guglielmo Tino dell'Università di Firenze ha proposto di studiare gli effetti della relatività generale non attraverso enormi interferometri ottici come LIGO e VIRGO, ma attraverso interferometri atomici, che possono essere contenuti in un laboratorio. In particolare il professor Tino ha effettuato un esperimento che impiega una cosiddetta fontana atomica, cioè un getto di atomi di stronzio raffreddati sottovuoto con un laser fin quasi allo zero assoluto, lanciati verso l'alto e poi osservati in caduta libera per valutare la fattibilità di osservazioni su scala quantistica del passaggio di onde gravitazionali a bassissima frequenza, non osservabili con gli attuali strumenti ottici. Le prime prove hanno dato esito positivo, aprendo la strada all'uso di strumenti di dimensioni e costi minori rispetto agli interferometri ottici. Il 21 gennaio 2019 il premio Nobel per la fisica George Smoot (1945-) dell'Università della California a Berkeley ha annunciato che, secondo lui, in due occasioni LIGO avrebbe addirittura osservato le onde gravitazionali deflesse a causa dell'effetto di lente gravitazionale provocato da galassie più vicine. Questo fenomeno viene abitualmente utilizzato per studiare la luce di oggetti nel cosmo molto lontano, ma l'annuncio, se si dimostrasse corretto, lo renderebbe il primo avvistamento simile per le onde gravitazionali. Tuttavia non tutti i colleghi di Smoot sono d'accordo con questa sensazionale affermazione. Infine, il 14 agosto 2019 i rivelatori LIGO e Virgo hanno osservato un nuovo segnale di onde gravitazionali battezzato S190814bv che potrebbe essere stato generato da un fenomeno mai osservato prima: la fusione di un buco nero e di una stella di neutroni. Se confermato, l'evento aggiungerà nuove informazioni sulla fisica dei sistemi binari nel cosmo.
Aggiungiamo che il 21 maggio 2019 gli interferometri LIGO e VIRGO hanno captato un’onda gravitazionale insolita, indicata con la sigla GW190521, dovuta alla collisione di due buchi neri che si sono fusi insieme, rivelando qualcosa mai osservato prima, e ciò inevitabilmente porta con sé nuovi interrogativi. I due oggetti infatti misuravano rispettivamente 66 e 85 masse solari, e si sono scontrati e fusi assieme in un buco nero più grande. È la coppia più massiccia mai osservata ad aver generato un'onda gravitazionale, e quello più massiccio è davvero oversize, tanto che non c'è una spiegazione univoca su come possa essersi formato. Infatti 65 masse solari sono il massimo che, secondo i modelli, può nascere da una stella molto massiccia che collassa su se stessa. Quelli più grandi devono essersi formati in un altro modo. Invece 85 masse solari è una taglia che ricade in quello che viene definito "mass gap dell’instabilità di coppia": insomma, è un buco nero che "non dovrebbe esistere", proprio perché secondo la teoria il limite massimo per un buco nero generato da una stella è attorno alle 65 masse solari. Per stelle al di sopra di una certa massa, si genera a loro interno un fenomeno detto "instabilità di coppia" che può portare a due conclusioni. 1) Stelle più piccole, in questo range, subiscono pulsazioni, perdono massa e riacquistano stabilità, per dare vita a un buco nero di circa 30 masse solari. 2) Per stelle più massicce, fino a 250 masse solari, l'instabilità porta a un'esplosione devastante, una "supernova da instabilità di coppia" che non lascia dietro a sé alcun buco nero. Per questo non ci aspetteremmo di trovare buchi neri di questa massa, tra le 65 e 120 masse solari. Teoricamente, stelle con massa superiore a 250 masse solari potrebbero collassare direttamente in un buco nero, ma non ne conosciamo di così massicce. Lì in mezzo c’è dunque un "deserto" di buchi neri, caselle vuote che gli astrofisici cominciano a riempire.
Questa sarebbe appunto la prima volta che si riesce ad avere un segnale da un esemplare di buco nero di questo tipo grazie alle onde gravitazionali. Inoltre dopo, essersi scontrati, al loro posto dovrebbe esserci ora un buco nero di massa intermedia, pari a 142 masse solari, il primo mai trovato tra le 100 e le 1.000 masse solari. Così, dopo il recente annuncio della scoperta di qualcosa a metà tra una stella di neutroni e un buco nero, abbiamo riempito qualche altra lacuna, anelli mancanti nella catena degli oggetti cosmici. Questo evento potrebbe persino spingerci a ripensare i modelli che attualmente descrivono le fasi finali della vita di una stella massiccia! Si noti che il buco nero risultante è più leggero della somma dei due originari, perché la massa mancante è stata trasformata in energia! L'equivalente di otto soli annichilatisi che, sotto forma di onde gravitazionali, hanno fatto vibrare gli interferometri sulla Terra a sette miliardi di anni luce di distanza. Tra i record di questa osservazione, durata solo 0,1 secondi, c'è anche il fatto di essere il più lontano evento mai osservato grazie alle onde gravitazionali. Analizzando il segnale è emerso anche che uno dei due buchi neri iniziali ruotava velocemente, e che questa rotazione ha causato anche la rotazione del piano dell’orbita. Un indizio sull’ambiente circostante, insomma: molto instabile, forse affollato di altre stelle. Ed è proprio all'interno di ammassi popolati da moltissime stelle concentrate in poco spazio che si sono cercati, finora, i buchi neri di massa intermedia. Una delle teorie ipotizza infatti che possano originarsi da collisioni di stelle massicce: buchi neri in questo mass gap di instabilità si possono originare dalla fusione di buchi neri più piccoli, e questo è il secondo che osserviamo dopo l’evento di onde gravitazionali del 29 luglio 2017, oppure dalla coalescenza di due stelle supermassicce. Però queste formerebbero un buco nero singolo, mentre in GW190521 esso faceva parte di una coppia. Ma se si trovasse in un ammasso stellare, avrebbe più probabilità di trovare un compagno. Esistono anche teorie più esotiche, per le quali propendono alcuni cosmologi, come quelle dei buchi neri primordiali che non si formano da stelle ma da collassi dovuti a instabilità gravitazionali della materia primordiale nelle fasi immediatamente seguite al Big Bang. Ma questo aprirebbe tutto un altro discorso.
Il 29 giugno 2021, poi, Virgo, Ligo e Kagra hanno dato l'annuncio della prima rilevazione di due eventi di onde gravitazionali prodotte dalla fusione di due sistemi binari misti composti da un buco nero e una stella di neutroni. Si tratta di due segnali registrati il 5 e il 15 gennaio 2020, che confermano l'esistenza di una classe di fenomeni previsti dagli astrofisici già da diversi decenni, ma fino a oggi mai osservati. In entrambi i casi, la forma del segnale registrato ha reso possibile la sua attribuzione a un evento di coalescenza che ha coinvolto un buco nero e una stella di neutroni, i quali, al termine di un vorticoso "balletto cosmico" di avvicinamento che li ha visti ruotare l'uno intorno all'altro, si sono fusi in singolo corpo celeste estremamente compatto. I segnali, denominati GW200105 e GW200115 - codici che identificano anno, mese e giorno dell'osservazione dell'onda gravitazionale (GW) -, hanno fornito importanti informazioni sulle caratteristiche fisiche dei sistemi che li hanno emessi, come le masse delle sorgenti primarie e la distanza di queste ultime rispetto al nostro pianeta. Le analisi di GW200105 hanno infatti mostrato come le masse del buco nero e della stella di neutroni a esso associati fossero, rispettivamente, circa 8,9 e 1,9 volte quella del nostro Sole, consentendo inoltre di stabilire che la loro fusione è avvenuta 900 milioni di anni fa. Per quanto riguarda il secondo segnale, gli scienziati delle collaborazioni Virgo e LIGO hanno invece stimato che GW200115 sia stato prodotto da due corpi celesti di quasi 5,7 (buco nero) e 1,5 (stella di neutroni) masse solari, entrati in collisione circa un miliardo di anni fa. Questa scoperta ci ha permesso di svelare eventi catastrofici mai osservati finora, contribuendo a far luce su un paesaggio cosmico finora inesplorato.
Bisogna però tenere conto di un'altra straordinaria proprietà delle onde gravitazionali: esse possono alterare in modo permanente lo spazio dopo averne attraversato una certa regione! In pratica, sarebbe come se le onde oceaniche distorcessero in modo permanente la superficie del mare in continuo movimento. Le onde sono per definizione fenomeni transitori: una volta che l'onda è passata, ne sparisce ogni traccia. Ma allora, come può esistere questo effetto, noto come memoria delle onde gravitazionali? Secondo l'intuizione originaria di Einstein, qualsiasi azione o movimento o evento asimmetrico porta alla creazione di onde gravitazionali, e le onde gravitazionali stesse presentano tali asimmetrie. Un'onda gravitazionale mentre passa distorce lo spazio, avvicinando gli oggetti prima di riportarli alla loro posizione originale; questa distorsione dello spazio è essa stessa un evento asimmetrico che crea una nuova serie di onde gravitazionali che si propagano sulla scia della prima. Queste nuove onde a loro volta distorcono lo spazio e avvicinano gli oggetti; questa seconda onda ne genera una terza, che ne produce una quarta, e così via. Ogni serie di onde è più debole rispetto alla precedente, ma calcoli accurati rivelano che sommando i contributi sempre più ridotti delle infinite onde generate si ottiene una distorsione permanente: una volta passate le onde iniziali, due oggetti liberamente fluttuanti rimarranno per sempre più vicini l'uno all'altro di quanto non lo fosse all'inizio. I nostri rivelatori di onde gravitazionali hanno il potenziale per misurare l'"effetto menemonico", che è intenso all'incirca quanto l'influenza gravitazionale dell'onda iniziale; nonostante questo, tuttavia, tale effetto non è ancora stato rilevato e per ora rimane una previsione puramente ipotetica e non verificata della Relatività Generale. Perchè? Per rilevare la memoria delle onde gravitazionali, sono necessarie due cose: lo strumento deve essere libero di fluttuare per "ricordare" l'impronta delle onde gravitazionali, ed è necessario misurare gli effetti delle onde gravitazionali su tempi lunghi, perché l'effetto memoria impiega un po' di tempo ad accumularsi dopo il passaggio dell'onda iniziale. Purtroppo i nostri attuali rivelatori di onde gravitazionali falliscono su entrambi i fronti. LIGO usa masse attaccate a pendoli, che ripristinano meccanicamente la loro posizione dopo il passaggio di un'onda, offuscando qualsiasi misura di memoria, ed è stato messo a punto per i treni di onde gravitazionali a breve termine e ad alta frequenza. Tuttavia come si è detto intorno al 2035 l'Agenzia Spaziale Europea dovrebbe lanciare nello spazio la missione eLISA, che dovrebbe essere in grado di rilevare la memoria delle onde gravitazionali misurando la distorsione permanente dello spazio all'interno del sistema solare dopo il passaggio delle suddette onde, anche se essa sarà non più grande di un nucleo atomico. In che modo ciò potrebbe esserci utile? Quando due oggetti giganti si scontrano da qualche parte nel cosmo, possono farlo a qualsiasi angolo dal nostro punto di vista, e noi non abbiamo un modo efficace per determinare tale angolo, il che rende più difficile sapere a che distanza si sono verificate tali fusioni. Le osservazioni dell'effetto memoria possono eliminare questa confusione perché l'effetto memoria ha una diversa dipendenza dalla distanza e dall'angolo di osservazione, e quindi la misurazione combinata fornisce un quadro più dettagliato dello scenario in cui le onde gravitazionali si sono generate.
E non basta. Il 28 giugno 2023 quattro gruppi con sede negli Stati Uniti, in Europa, Australia e Cina hanno annunciato l'eccezionale scoperta di un "brusio" bassissimo che rimbomba nell'universo, che altro non sarebbe se non un fondo di onde gravitazionali. Molto probabilmente, queste onde gravitazionali provengono da coppie di buchi neri supermassicci che stanno spiraleggiando l'uno intorno all'altro all'interno di galassie che si stanno fondendo l'una con l'altra, ma forse stiamo vedendo qualcosa di completamente diverso, forse addirittura rotture nello spazio-tempo derivanti da anelli di energia chiamati "stringhe cosmiche", previste per la prima volta negli anni settanta. La scoperta ha aperto una finestra completamente nuova sull'universo, che promette di rivelare fenomeni finora nascosti e ancora ipotetici. Tale "ronzio" di fondo è stato rilevato tracciando i cambiamenti nei battiti incredibilmente regolari di alcune pulsar: quando le onde gravitazionali a grande lunghezza d'onda attraversano il nostro vicinato cosmico, distorcono lo spazio-tempo intorno a noi, modificando il tempo di arrivo degli impulsi di una pulsar. Gli astrofisici hanno dovuto mappare per decenni le correlazioni di questi tempi di arrivo tra decine di pulsar diverse per poter cogliere il segnale. Per cogliere queste fluttuazioni, le schiere di temporizzazione delle pulsar usano più radiotelescopi per osservare molte pulsar nel corso di molti anni. Questi progetti sono "cugini cosmici" di LIGO e di Virgo, che rilevano le onde gravitazionali cercando minuscoli cambiamenti nelle lunghezze relative dei suoi due bracci. Mentre i bracci di LIGO sono lunghi quattro chilometri ciascuno, gli array di cronometraggio delle pulsar usano la distanza tra la Terra e ciascuna pulsar come un braccio molto più grande, lungo centinaia o migliaia di anni luce. Questa maggiore distanza rende le schiere di cronometraggio delle pulsar sensibili a una diversa varietà di onde gravitazionali. Mentre LIGO è in grado di rilevare onde gravitazionali ad alta frequenza, che potrebbero generarsi quando buchi neri di dimensioni stellari orbitano l'uno intorno all'altro decine o centinaia di volte al secondo prima di fondersi, le antenne di cronometraggio delle pulsar sono sensibili a processi che si verificano nell'arco di anni o addirittura decenni. Questo è uno dei motivi per cui i sistemi di cronometraggio delle pulsar necessitano di molti anni di dati: se una singola onda impiega un decennio per passare, non è possibile rilevarla in pochi mesi.
Dei quattro gruppi che hanno pubblicato i dati il 28 giugno, NANOGrav è il più sicuro dei suoi risultati; è stato fondato nel 2007 e ha utilizzato in larga misura il Green Bank Telescope in West Virginia e il radiotelescopio di Arecibo a Porto Rico che è crollato alla fine del 2020, quasi al termine dei 15 anni di raccolta dati di NANOGrav. Nel 2020 ha pubblicato i dati preliminari di 12 anni di osservazioni che hanno mostrato un timido accenno alle onde gravitazionali che influenzano le pulsazioni di circa 45 pulsar. Ora sono stati aggiunti altri anni di dati, insieme a quelli provenienti da quasi due dozzine di altre sorgenti, ed è emerso uno schema più coerente. Gli scienziati hanno rilevato un particolare modello nei dati, chiamato curva di Hellings-Downs, che li rende sicuri che ciò che stanno vedendo è il fondo delle onde gravitazionali. NANOGrav non è ancora in grado di individuare le singole sorgenti di onde gravitazionali, ma ha trovato prove del ronzio di fondo di tutte le onde gravitazionali a bassa frequenza. È come una boa che rimbalza su e giù in un porto affollato: non è in grado di distinguere la scia di una singola barca, ma il suo movimento può rivelare che ci sono alcuni grandi oggetti che attraversano l'acqua. Se le schiere di cronometraggio delle pulsar non vedranno emergere singole sorgenti dai dati in arrivo, ciò potrebbe indicare una fisica esotica al di là del Modello Standard. Ma anche solo la scoperta di una popolazione di coppie di buchi neri supermassicci aiuterebbe a rispondere a domande aperte dell'astrofisica: per esempio, che cosa succede quando due buchi neri supermassicci in orbita si avvicinano relativamente l'uno all'altro? C'erano ragioni per pensare che invece di fondersi, come fanno i buchi neri più piccoli, i buchi neri supermassicci ruotassero per sempre l'uno intorno all'altro: è il cosiddetto "problema dell'ultimo parsec". Se gli array di cronometraggio delle pulsar rilevassero onde gravitazionali provenienti da questi momenti, tuttavia, sarebbe una dimostrazione che due buchi neri supermassicci si avvicinano abbastanza e si fondono, piuttosto che rimanere in orbite distanti. Di sicuro la nascita dell'astronomia delle onde gravitazionali è come quando Galileo ha puntato il suo telescopio sul cielo: un oceano di onde gravitazionali ci attende.
Il 3 ottobre 2017 è arrivato finalmente il meritato riconoscimento: Kip Thorne (1940-, fondatore di LIGO e consulente scientifico del kolossal di fantascienza "Interstellar"), Ray Weiss (1932-) e Barry Barish (1936-) hanno vinto il Premio Nobel per la Fisica per la prima rivelazione delle onde gravitazionali. La motivazione del premio ha citato anche il nostro interferometro VIRGO di Cascina: si tratta solo dell'ennesimo trionfo per la genialità di Albert Einstein. Chiudiamo questa lezione proprio con le parole di Kip Thorne, pronunciate durante un'intervista rilasciata a Giulia Alice Fornaro e riportata sul numero di "Le Scienze" dell'ottobre 2017. Interrogato circa quali potrebbero essere le prospettive della ricerca sulle onde gravitazionali dal suo punto di vista, così ha risposto il fisico fresco di Premio Nobel:
« Probabilmente nei prossimi trent'anni sarà possibile esplorare la nascita dell'universo. Non tanto con LIGO o VIRGO, ma con rivelatori di onde gravitazionali in altre bande di frequenza. Mi aspetto che entro i prossimi quindici o vent'anni ne avremo quattro diverse, analogamente a quello che e successo nella spettroscopia astronomica, che in pochi decenni ha indagato banda visibile, radiofrequenze, infrarossi e raggi X. Sarà tutto molto rapido, fantastico! Potremo osservare i primissimi momenti del cosmo e la nascita delle quattro forze fondamentali. Si stima per esempio che la forza elettromagnetica sia nata nel primo miliardesimo di secondo dell'universo. Vedremo tutto con un discreto grado di sicurezza grazie alle onde gravitazionali generate come prodotto collaterale alla nascita di queste forze. E potremo studiare altro, come collisioni di buchi neri, buchi neri che distruggono stelle e così via. »
Topolino e Orazio sperimentano le distorsioni dovute ad un'onda gravitazionale nella storia a fumetti "Topolino e le onde trasformazionali" sul n°3178 di Topolino del 19 ottobre 2016 |