Nel corso del XX secolo, il panorama delle forze conosciute era notevolmente mutato rispetto al secolo precedente, quando le quattro forze fondamentali erano ritenute. La scoperta della struttura interna dell'atomo infatti ci aveva portato a comprendere che, benché l'atomo nel suo complesso sia neutro, i suoi costituenti sono carichi e la forza molecolare a breve raggio d'azione venne interpretata come un complesso effetto delle interazioni elettromagnetiche tra nuclei positivi ed elettroni negativi. Quando due atomi neutri sono molto lontani, tra essi non si manifestano forze elettromagnetiche. Quando invece sono vicini, i costituenti di un atomo sono in grado di "vedere" e di influenzare le cariche più interne dell'altro, causando attrazioni e repulsioni a breve raggio. In seguito a queste scoperte, la fisica restò con due sole forze fondamentali, la gravitazione e l'elettromagnetismo, entrambe a lungo raggio d'azione. Questo stato di cose però non durò a lungo. Come abbiamo visto nelle lezioni dedicate alla Fisica Nucleare, l'esplorazione sempre più profonda della struttura nucleare ci costrinse ad introdurre due nuove forze a breve raggio d'azione: la forza nucleare forte, che che trattiene insieme i protoni e i neutroni nel nucleo, e la forza nucleare debole, che media il decadimento beta di un nucleo radioattivo. In tal modo le forze fondamentali diventarono di nuovo quattro.
A questo punto, sorse la domanda se il modello dell'Elettrodinamica Quantistica fosse applicabile anche ai nuovi tipi di interazione scoperti a livello subnucleare. La risposta fu positiva, e diede vita a quella che oggi conosciamo con il nome suggestivo di Teoria Quantistica dei Campi o QFT (Quantum Field Theory). Anzitutto, anche la forza nucleare forte può essere spiegata in termini di quanto mediatore. Siccome la forza nucleare forte è una forza a corto raggio (dell'ordine di 10−15 m), il bosone vettore deve avere una massa considerevole, a differenza del mediatore della forza elettromagnetica; inoltre, per tenere conto della trasformazione di un protone in un neutrone e viceversa, i quanti di campo devono presentarsi in tre versioni con carica positiva, negativa o nulla. Come abbiamo visto nella lezione dedicata alle particelle, essa fu introdotta dal giapponese Hideki Yukawa (1907-1981) e poi scoperta nel 1947 dall'inglese Cecil Frank Powell (1903-1969), dal brasiliano Cesare Mansueto Giulio Lattes (1924-2005) e dall'italiano Giuseppe Occhialini (1907-1993), che la identificarono con i pioni π+, π– e π0. All'interno di un nucleo anche i quanti mediatori delle forze nucleari devono essere considerati particelle virtuali: i nucleoni, infatti sono, contornati da un nuvola di pioni (oggi sappiamo anche di altre particelle, come i mesoni K), esattamente come le particelle cariche sono circondate da una nuvola di fotoni virtuali.
A questo punto, appare logico domandarsi se è possibile estendere la Teoria Quantistica dei Campi anche all'interazione nucleare debole. Essendo il raggio d'azione di questa forza ancora più piccolo di quello della forza nucleare forte (dell'ordine di 10−18 m), secondo il ragionamento di Yukawa che ha condotto alla scoperta dei pioni, la massa del quanto mediatore dovrebbe essere almeno cento volte più grande, e quindi dell'ordine delle decine di GeV/c2. Queste ipotetiche particelle furono introdotte nel 1968, quando gli americani Sheldon Lee Glashow (1932-) e Steven Weinberg (1933-) e il pachistano Abdus Salam (1926-1996) proposero la teoria elettrodebole, che vuole unificare la forza debole e quella elettromagnetica in un'unica interazione, detta forza elettrodebole: fu il primo riuscito tentativo di unificare tra di loro due delle quattro forze fondamentali della natura. I bosoni vettori che mediano il decadimento beta vennero battezzati W± (dall'inglese "Weak Interaction"), Inoltre i tre fisici suddetti postularono l'esistenza di un terzo bosone vettore, il bosone Z0, che era stato predetto fin dal 1958 dal fisico brasiliano José Leite Lopes (1918-2006). Queste tre particelle sono oggi conosciute complessivamente con il nome di astenoni (dal greco "asthenos", "debole"). I risultati del rivelatore Gargamelle al CERN fornirono la prima valida conferma della teoria elettrodebole, e Glashow, Weinberg e Salam ricevettero il Premio Nobel per la Fisica nel 1979. La loro teoria costituisce attualmente uno dei pilastri del Modello Standard.
Il fatto che gli astenoni W± e Z0 siano molto massicci fu uno dei principali ostacoli alla loro osservazione diretta, che è stata possibile solo in seguito alla costruzione di acceleratori abbastanza potenti da raggiungere le energie necessarie alla loro produzione. I W± furono scoperti nel gennaio del 1983 grazie all'utilizzo dell'acceleratore SPS (Super Proton Synchrotron) del CERN ad opera di Carlo Rubbia (1934-); pochi mesi più tardi avvenne l'osservazione di Z0. Tali risultati furono possibili grazie all'introduzione da parte di Simon van der Meer (1925-2011) della tecnica del raffreddamento stocastico, e la scoperta fu così sensazionale che Rubbia e van Der Meer furono insigniti del Premio Nobel per la Fisica già nel 1984. La successiva costruzione di collisori elettrone-positrone come il LEP del CERN alla fine degli anni ottanta del secolo scorso ha permesso una più elevata produzione degli astenoni W± e Z0 e dunque uno studio più approfondito delle loro proprietà. Oggi sappiamo che i W± hanno una massa di circa 80,4 GeV/c2, mentre Z0 di 91,2 GeV/c2; entrambi hanno spin 1, come il fotone, e una emivita molto breve, pari a circa 3 x 10−25 s. La misura della massa dei W± viene effettuata tramite le proprietà cinematiche dei suoi prodotti di decadimento, un leptone carico e un neutrino, ma è molto impegnativa e richiede una misura estremamente accurata delle energie e degli impulsi delle particelle misurate, oltre ad un'attenta valutazione e ad un eccellente controllo delle incertezze sistematiche. Negli ultimi 40 anni, gli esperimenti hanno pubblicato diversi risultati, sempre più precisi: nel 2017 la collaborazione ATLAS presso il collisore di protoni LHC del CERN ha ottenuto il valore più preciso mai raggiunto da un singolo esperimento, con i dati raccolti nel 2011 a un'energia di 7 TeV. La massa è risultata pari a 80370 MeV, con un'incertezza di 19 MeV, in buon accordo con la previsione del Modello Standard e con tutti i precedenti risultati sperimentali. Però nel 2022, la collaborazione CDF al Fermilab ha annunciato una misura ancora più precisa, basata su un'analisi di tutti i dati raccolti all'acceleratore Tevatron: 80434 MeV con un'incertezza di 9 MeV, significativamente differente dalla previsione della teoria e dai risultati precedenti. Questo ha destato un notevole dibattito nella comunità scientifica, che attende ulteriori misure a eventuale conferma o smentita di questo risultato. Lo scorso marzo ATLAS ha presentato una nuova misura, ottenuta rianalizzando i circa 14 milioni di bosoni W raccolti nel 2011: 80360 MeV con un'incertezza di 16 MeV, più precisa del 16%, rispetto al precedente risultato di ATLAS, e in accordo con il Modello Standard. La misura si basa su un’accurata calibrazione del rivelatore, su una migliore modellizzazione della produzione del bosone W, sull’utilizzo di una tecnica più avanzata di analisi dati e su una conoscenza più approfondita della sottostruttura del protone. Le ragioni della discrepanza della misura effettuata da CDF non sono ancora state comprese, e si attendono perciò altre misure della massa del W, con nuovi dati: chi vivrà vedrà!
I processi mediati da W+ e W− si dicono processi di corrente di carica debole, in quanto gli astenoni possono aumentare o diminuire di un'unità la carica elettrica della particella generata dal processo rispetto a quella della particella iniziale; essi possono inoltre cambiare il sapore dei quark coinvolti. Invece i processi in cui interviene Z0 sono detti processi di corrente debole neutra e non implicano né un cambiamento di carica elettrica né di sapore dei quark. Vediamo come gli astenoni W rendono possibile il decadimento beta dei neutroni del nucleo atomico. Sappiamo che il neutrone è formato da due quark down e un quark up (d d u) e il protone da due quark up e un quark down (u u d). Un quark down cambia sapore e diventa un quark up con l'emissione di un astenone W−:
d → u + W–
la quale a sua volta decade immediatamente in un elettrone e un antineutrino elettronico:
W– → e– + νe
Ecco il diagramma di Feynman che descrive il decadimento beta:
I processi che coinvolgono Z0, lasciando inalterata la carica e il sapore delle particelle, sono di più difficile osservazione e richiedono l'utilizzo di grandi acceleratori di particelle e sofisticati rivelatori. Tale astenone ha alcune caratteristiche analoghe a quelle del fotone, ed è per questo che ad alte energie, dell'ordine dei 100 GeV, le due forze si accoppiano diventando una sola. Un risultato molto importante che si ricava studiando i decadimenti dell'astenone Z0 è che esistono solo tre famiglie di neutrini con massa minore di mZ/2, e perciò molto probabilmente vi sono solo tre famiglie di particelle fondamentali.
Lo sviluppo del Modello a Quark ad opera di Murray Gell-Mann e della teoria delle interazioni tra quark rappresentarono l'occasione per rivedere di nuovo l'elenco delle forze. Infatti il barione Δ++ sembrava impossibile da spiegare, risultando composto da tre quark up con spin paralleli, cioè con tutti i numeri quantici uguali, in palese contraddizione con il Principio di Esclusione di Pauli (i quark sono fermioni). Per questo nel 1965 Moo-Young Han (1934-2016) della Duke University e Yoichiro Nambu (1921-2015) della University of Chicago decisero di introdurre un nuovo numero quantico, mai ritenuto necessario per descrivere le particelle composte. Ciò portò con sé la scoperta che i quark in un protone o in un neutrone sono tenuti assieme da un nuovo tipo di forza fondamentale a lungo raggio d'azione, chiamata forza di colore, la quale agisce sui quark dal momento che essi possiedono un nuovo tipo di carica, chiamata carica di colore, anche se né la forza né la carica hanno nulla a che vedere con i colori ordinari che il nostro occhio può scorgere. Questo nome è dovuto al fatto che i vari tipi possibili di carica di colore si combinano tra di loro così come i colori fondamentali dell'ottica. I colori possibili dei quark sono tre, indicanti per l'appunto con i nomi di rosso (r), verde (v) e blu (b). Naturalmente le corrispondenti particelle possiedono i rispettivi anticolori, cioè antirosso (r), antiverde (v) e antiblu (b), a volte rappresentati con i corrispettivi colori complementari dell'ottica, cioè il ciano, il magenta e il giallo.
Allo stesso modo in cui un atomo è formato da costituenti elettricamente carichi pur essendo di per sé neutro, così un protone o un neutrone sono formati da quark colorati pur essendo di per sé incolori. Insomma, barioni e mesoni non hanno mai carica di colore, perchè nessun corpo al di fuori degli adroni manifesta tale proprietà: in gergo tecnico si dice che gli adroni formano i cosiddetti singoletti di colore. Di conseguenza, un barione può essere formato solo da tre quark necessariamente di colore diverso, in modo da non violare il Principio di Esclusione, ed in modo che la loro somma dia l'assenza di colore. Invece un mesone può essere formato solo da un quark con un certo colore e da un antiquark con il rispettivo anticolore, in modo che colore e anticolore si cancellino a vicenda, come mostra lo schema qui sopra. Per esempio, un protone è formato necessariamente da tre quark di colore rosso, verde e blu; un antiprotone deve essere formato da tre antiquark di colore antirosso, antiverde e antiblu; un pione è formato da un quark rosso e da un antiquark antirosso, oppure da un quark verde e da un antiquark antirosso, o anche da un quark blu e da un antiquark antiblu. Da notare che un tetraquark dovrebbe essere composto da due coppie di quark dotate di un colore e del rispettivo anticolore, ad esempio rosso - antirosso - blu - antiblu, in modo che il risultato complessivo sia privo di colore, mentre un pentaquark dovrebbe essere formato da tre quark di colori diversi e da una coppia colore-anticolore, ad esempio rosso - blu - verde - blu - antiblu, cosicché anche in questo caso il risultato finale sarà privo di colore:
Da notare che, come ha scritto Georg Wolschin, dell'Istituto di Fisica Teorica dell'Università di Heidelberg, che probabilmente i tetraquark e i pentaquark, se esistono, sono necessariamente costituiti da quark molto pesanti, come charm e bottom. Questo significherebbe che i quark molto pesanti svolgono un ruolo essenziale nella formazione dei sistemi multiquark, e proprio la loro grande massa sarebbe responsabile della loro coesione. Ciò porterebbe a concludere che l'accoppiamento tra quark non sarebbe lo stesso per tutte le particelle, come predica oggi il Modello Standard, ma potrebbe dipendere dalla massa dei quark coinvolti, e ciò potrebbe avere delle importanti conseguenze sulla formulazione matematica della Cromodinamica Quantistica.
Quando due protoni incolori sono molto lontani, non vi sono in pratica forze di colore tra di essi, ma quando sono vicini i quark colorati di un protone "vedono" le cariche di colore dell'altro protone. Le attrazioni e le repulsioni a breve raggio d'azione che ne risultano sono state identificate negli effetti della forza forte. In altre parole, allo stesso modo in cui la forza molecolare a breve raggio d'azione divenne un caso particolare della forza elettromagnetica a lungo raggio d'azione, la forza forte a breve raggio d'azione è diventata un caso particolare della forza di colore a lungo raggio d'azione. Così come la forza elettromagnetica è mediata dai fotoni e la forza elettrodebole dagli astenoni W± e Z0, così la forza di colore, e quindi la forza nucleare forte, deve essere mediata da bosoni vettori chiamati gluoni, dall'inglese "glue" ("colla"), in quanto tengono "incollati" fra loro i quark. Essi hanno carica elettrica zero, spin 1 e generalmente si assume che abbiano massa nulla. I gluoni hanno la capacità di far cambiare il colore ai quark: in tutto si conoscono otto gluoni ed otto antigluoni, ciascuno per uno scambio specifico tra un colore e un anticolore, e viceversa. Ad esempio, quando un quark di colore rosso emette un gluone rosso-antiverde, subisce un cambiamento di colore e diventa verde. Assorbendo lo stesso gluone, invece, un quark verde diventa rosso. I gluoni vengono scambiati molto rapidamente tra i tre quark che costituiscono un protone, cosicché ognuno di questi quark continua a cambiare colore, anche se i tre quark in ogni istante risultano sempre di colore diverso tra di loro, come si vede nell'animazione qui sotto. L'esistenza dei gluoni è stata dimostrata nel 1979 durante esperimenti con l'acceleratore HERA di Amburgo.
Le prime evidenze sperimentali sull'esistenza dei gluoni arrivarono nel 1979 presso il collisore PETRA del Deutsches Elektronen Synchrotron di Amburgo: grazie a collisioni altamente energetiche tra elettroni e positroni, venivano prodotte coppie quark-antiquark, che venivano diffuse in direzioni opposte e generavano due getti di particelle; tuttavia, vennero rilevati anche eventi con tre getti: in tal caso alle reazioni doveva aver partecipato anche un'altra particella. Le successive analisi dimostrarono che questa nuova particella doveva essere proprio il gluone.
A differenza dei fotoni, che si muovono indipendentemente gli uni dagli altri, dato che non portano con sé alcuna carica, i gluoni tendono a raggrupparsi tra loro, essendo dotati della carica di colore. Esiste infatti un mesone esotico chiamato glueball ("palla di colla"), che non contiene quark, ma è composto solo di gluoni, i quali interagiscono fra di loro attraverso la forza di colore. Le glueball sono assai difficili da identificare negli acceleratori di particelle, perché si confondono con gli stati mesonici ordinari; i calcoli teorici mostrano che le glueball dovrebbero esistere a energie accessibili con gli attuali acceleratori di particelle, e quindi aspettiamo tutti la loro identificazione.
La teoria, analoga all'elettrodinamica quantistica, che descrive la forza nucleare forte e la forza di colore in termini di scambio di gluoni prende il nome di Cromodinamica Quantistica, di solito indicata con la sigla QCD ("Quantum Chromo-Dynamics"), dal greco "chroma", "colore". La conferma della validità della QCD ad un livello di errore di pochi punti percentuali è arrivata grazie al LEP del CERN di Ginevra. Oggi la QCD, insieme alla QED, è uno dei pilastri fondanti del Modello Standard.
Con gli strumenti della QCD e la rappresentazione simbolica sotto forma dei diagrammi di Feynman è possibile visualizzare le reazioni nucleari in termini di costituenti degli adroni. Sia data ad esempio la reazione di decadimento del kaone più in due pioni positivi e un pione negativo:
K+ → π+ + π+ + π–
Essa coinvolge tanto l'interazione forte quanto l'interazione debole. Il kaone positivo è formato da un quark up u e da un antiquark strange s. Il quark up u non viene modificato, invece l'antiquark strange s si trasforma in un antiquark up u con l'emissione di un bosone W positivo. Quest'ultimo è soggetto alla forza nucleare debole e decade immediatamente in un quark up u e in un antiquark down d. Quest'ultimo si lega al quark up u di partenza a formare un pione più π+, mentre il quark up u, soggetto alla forza nucleare forte, emette un gluone g che si trasforma in una coppia quark down u - antiquark down u. Il quark up u emesso dal W+ si lega all'antiquark down d generato dal gluone g e forma un secondo pione positivo π+; invece il quark down d emesso dal gluone si lega all'antiquark up u risultato del decadimento debole del kaone, ed ecco comparire un pione negativo π–. Questo complesso decadimento può venire schematizzato mediante il seguente diagramma di Feynman:
In modo analogo si può spiegare il decadimento del kaone zero in un pione positivo ed in uno negativo, e il decadimento del barione lambda in un protone e in un pione negativo. Provate voi stessi a disegnare i rispettivi diagrammi di Feynman, e poi a confrontarli con quelli che vedete qui sotto:
Vale la pena di riportare qui una curiosità, il cosiddetto "Pinguino di Feynman". Nel 1977 il fisico John Ellis (1946-) del King's College di Londra stava lavorando sulle proprietà del quark bottom da poco scoperto al Fermilab, e cercava di risolvere teoricamente il problema del suo decadimento. Durante una serata al bar trascorsa insieme ad altri fisici delle particelle, John Ellis sfidò a freccette una collega e, in caso di sconfitta, avrebbe dovuto pagare un pegno molto speciale: nel suo prossimo articolo scientifico avrebbe dovuto inserire in qualche modo la parola "pinguino"! Naturalmente Ellis perse la partita. Dai quark ai simpatici uccelli antartici la strada è molto lunga, tuttavia una scommessa è una scommessa, e da allora il pinguino divenne la nuova ossessione del fisico britannico. Fu proprio il decadimento del quark bottom a salvarlo: mentre disegnava un diagramma di Feynman ad esso relativo, si accorse che modificando leggermente alcune linee appariva una forma che ricordava quasi perfettamente un pinguino, anche se quasi privo di testa. Non solo aveva risolto il mistero della nuova particella, ma aveva anche un buon motivo per inserire la parola "pinguino" nel suo lavoro. Da allora questo tipo di diagramma prende nome di Pinguino di Feynman:
La cromodinamica quantistica prevede anche l'esistenza di un ulteriore stato di aggregazione della materia, il cosiddetto plasma di quark e gluoni (o QGP, "Quark-Gluon Plasma"), un nuovo stato della materia che esiste solamente a temperature e densità estremamente elevate: si ritiene che l'intero Universo si sia trovato nello stato di QGP per i primi 20-30 microsecondi della sua esistenza, subito dopo il Big Bang. Il plasma di quark e gluoni però è stato anche ricreato in laboratorio facendo collidere nuclei di atomi pesanti (piombo ed oro) ad energie superiori ai 170 MeV. I risultati degli esperimenti condotti a Ginevra negli anni ottanta e novanta del secolo scorso hanno permesso al CERN di annunciare nel 2000 la scoperta di tale nuovo stato della materia. Oggi stanno continuando questo sforzo quattro esperimenti presso il RHIC (Relativistic Heavy Ion Collider) del Brookhaven National Laboratory e l'esperimento ALICE presso l'LHC del CERN. Un tempo si pensava che il nucleo delle stelle di neutroni, dove si raggiungono densità e pressioni estreme, fosse composto proprio fa questo esotico stato della materia, ma uno studio pubblicato nel 2020 da Or Hen e colleghi del Massachusetts Institute of Technology fa piuttosto pensare che esso sia composto ancora da neutroni. Secondo Hen, infatti, sotto una certa distanza la forza nucleare forte subirebbe una transizione che la porterebbe ad essere non più attrattiva bensì repulsiva, cosicché arrivando tra loro a distanze minime, pari a quelle che si riscontrano nel cuore di una stella di neutroni, i neutroni non si "scioglierebbero" più nel QGP, animati da un'azione repulsiva. Si tratta indubbiamente di una scoperta di grande rilievo.
Bisogna aggiungere un'altra importantissima conseguenza della QCD. Come abbiamo visto, a grande distanza un protone appare composto da tre soli quark, due up e un down. Ma, guardando più da vicino, si evidenzia un insieme caotico di particelle che appaiono e scompaiono, in accordo con le stranezze della Meccanica Quantistica. In altre parole, all’interno del protone turbina un numero variabile di sei tipi di quark, dei rispettivi antiquark e di gluoni. Sappiamo che intorno al 1970, il modello a quark fu confermato trionfalmente dall’acceleratore lineare SLAC di Stanford che, sparando elettroni ad alta velocità contro dei protoni, li osservò rimbalzare sugli oggetti al loro interno. Il quadro, però, divenne presto più oscuro. Più si cercava di misurare le proprietà di quei tre quark, più appariva evidente che c’era qualcos’altro. L’analisi della quantità di moto dei tre quark mostrava che le loro masse corrispondevano solo a una frazione minuscola della massa totale del protone. Inoltre, quando i ricercatori dello SLAC sparavano verso i protoni elettroni più veloci, sembrava che questi rimbalzassero contro altri oggetti al loro interno. Maggiore è la velocità degli elettroni e minore è la loro lunghezza d’onda: questa proprietà li rendeva sensibili alle strutture più fini del protone, come se i ricercatori avessero aumentato la risoluzione di un microscopio. La QCD predice proprio il vortice osservato negli esperimenti . Le complicazioni nascono perché i gluoni, a differenza dei fotoni, sono soggetti alla stessa forza che comunicano, e questa auto-interazione crea un ginepraio all’interno dei protoni, perché dà ai gluoni la libertà di proliferare e generare coppie quark-antiquark dalla vita breve. Da lontano, questi quark e antiquark ravvicinati e con carica opposta si neutralizzano passando inosservati: solo tre quark "non bilanciati" contribuiscono alla carica totale del protone, ma i fisici avevano capito che, sparando contro il protone elettroni più veloci, potevano centrare anche quei bersagli sfuggenti. I fisici comunque non avevano ragione di pensare che i gluoni generassero più spesso un tipo specifico di coppie quark-antiquark piuttosto che un altro. Da qui la sorpresa quando, nel 1991, i fisici teorici scoprirono una caratteristica sorprendente di questo "mare protonico". Essi si attendevano una distribuzione omogenea delle diverse forme di antimateria, ed invece il numero di antiquark down sembrava significativamente maggiore di quello degli antiquark up. Donald Geesaman e Paul Reimer dell'Argonne National Laboratory organizzarono l'esperimento SeaQuest, che ha terminato i lavori nel 2021, scoprendo con una precisione mai vista prima che dentro il protone, in media, ci sono 1,4 antiquark down per ogni antiquark up. I fisici teorici hanno escogitato vari modelli possibili per spiegare l’asimmetria del protone; in un modello risalente addirittura agli anni '40 del secolo scorso, si immaginava che i protoni e i neutroni all’interno dei nuclei atomici, come dei giocatori di basket, si passassero avanti e indietro dei pioni, il che contribuiva a tenerli uniti dentro il nucleo. Ma i protoni potrebbero "lanciare la palla" anche a se stessi, cioè emettere e riassorbire rapidamente un pione carico, trasformandosi per un brevissimo lasso di tempo in neutroni. Insomma, se stiamo osservando un protone, è probabile che per buona parte del tempo di osservazione quel protone fluttui in questa coppia neutrone-pione, e così fisici teorici come Mary Alberg, Gerald Miller e Tony Thomas sostennero che la nuvola di pioni potrebbe spiegare l’eccesso di antiquark down misurato nel protone. Invece in Francia Claude Bourrely e colleghi svilupparono un modello statistico che descrive le particelle all’interno del protone come molecole di gas in un recipiente chiuso, che rimbalzano di qua e di là con una distribuzione di velocità variabile a seconda che abbiano momento angolare intero o semintero. Se regolato in modo da adattarsi ai dati raccolti da numerosi esperimenti di scattering, il modello prediceva proprio un eccesso di antiquark down. Nel 2019, Alberg e Miller hanno calcolato che cosa avrebbe dovuto osservare SeaQuest secondo il modello della nuvola di pioni, e le loro previsioni si accordano bene con i risultati dell’esperimento SeaQuest. A cioè si aggiunga il fatto che alla fine degli anni '80 del secolo scorso un esperimento di scattering di muoni su protoni aveva mostrato che gli spin dei tre quark di valenza del protone riuscivano a dar conto appena del 30 % dello spin totale della particella, scatenando la cosiddetta "crisi dello spin del protone": che cosa contribuiva con il restante 70 %? Per stabilirlo sta per partire l’esperimento SpinQuest del Fermilab, compatibilmente con i progressi della lotta contro il Coronavirus.
Ne consegue che l'originario modello a quark riesce a rappresentare solo fino a un certo punto la realtà, che è assai più complessa: la QCD raffigura il protone non come la somma di due quark up e uno down, quanto piuttosto come una massa brulicante di quark legati assieme da stringhe aggrovigliate di gluoni. Gli esperimenti hanno confermato molti aspetti della QCD, ma nessuna teoria matematica nota è in grado di risolvere con precisione l’equazione centrale della teoria. Inoltre la QCD spiega l'esistenza di particelle esotiche come i già citati e sfuggenti tetraquark e pentaquark, ma da quasi vent’anni i teorici sono in difficoltà per descrivere come essi siano realmente fatti, una lacuna invero imbarazzante. La scoperta avvenuta nella primavera 2021 di un nuovo strampalato tetraquark doppio charm, indicato con la sigla T+cc, se possibile ha infittito ulteriormente il mistero. Esso è stato osservato dal fisico Ivan Polyakov della Syracuse University tra i residui di circa 200 collisioni dell'esperimento LHCb del CERN, durante le quali si fanno scontrare protoni 40 milioni di volte al secondo, fornendo ai quark innumerevoli possibilità di legarsi tra loro in tutti i modi permessi da Madre Natura. Siccome i quark più pesanti sono anche i più rari, ognuna di quelle 200 collisioni ha generato energia sufficiente a produrre due quark charm, più pesanti dei quark leggeri che formano i protoni, ma meno degli enormi quark beauty che costituiscono il bersaglio principale di LHCb. I quark charm di peso medio si sono ritrovati a una distanza sufficiente per attrarsi e coinvolgere due antiquark leggeri; le analisi suggeriscono che i quattro quark si siano legati tra loro per appena 12 triliardesimi di secondo prima che una fluttuazione di energia producesse due quark in più, disintegrando il gruppo in tre mesoni. Non ci crederete, ma per un tetraquark quell’intervallo infinitesimo di tempo equivale a un’eternità. I tetraquark precedentemente scoperti infatti contenevano quark appaiati con i loro opposti antiquark di pari massa, e perciò tendevano a scomparire nel nulla a una velocità migliaia di volte maggiore. La formazione e la successiva stabilità di questo nuovo tetraquark ha sorpreso tutti gli scienziati, ma non Jean-Marc Richard, oggi all’Institut de physique des 2 Infinis a Lione, in Francia, che nel 1982 aveva studiato un modello semplice del quark, scoprendo presto che quattro quark tenderebbero a formare di preferenza due coppie mesoni-mesoni, ma se se ne aggiungono altri due, i nuovi arrivati tendono a intromettersi, indebolendo l’attrazione e condannando la particella a un rapido decadimento. I quartetti asimmetrici però possono restare uniti se la coppia maggiore "pesa" abbastanza da non risentire troppo dell’effetto della coppia più leggera. Secondo ulteriori analisi effettuate da Richard, non servono quark enormi: per tenere insieme un tetraquark basta una coppia di quark charm di peso medio. Ma estensioni alternative del modello a quark prevedevano soglie diverse; così, l’esistenza del tetraquark con doppio charm rimaneva dubbia, e i più propendevano piuttosto per la sua non esistenza. Oggi l’esperimento LHCb ci ha dimostrato che i quark charm possono legarsi a formare un tetraquark, anche se i fisici calcolano che se la particella composta avesse solo l’1 % in più di massa, al suo posto nascerebbero due mesoni. Finalmente i teorici hanno un nuovo punto di riferimento per i loro modelli, anche se le questioni irrisolte restano estremamente più numerose delle risposte che abbiamo già avuto.
Grandi novità nel campo della forza nucleare forte sono poi arrivate all'inizio del 2023. Un gruppo di scienziati del Brookhaven National Laboratory di Long Island ha misurato per la prima volta come il campo della forza forte fluttua su brevi distanze. Nei più potenti acceleratori di particelle i protoni vengono fatti scontrare ad altissime velocità, e i loro costituenti, cioè quark e gluoni, si liberano per minuscole frazioni di secondo in un nuovo, vorticoso stato della materia, chiamato plasma di quark e gluoni, per poi ricombinarsi in nuove particelle. Gli scienziati volevano sapere se, nell'istante successivo alla collisione, il movimento vorticoso del plasma di quark e gluoni potesse far ruotare insieme a loro un tipo particolare di particelle, i mesoni phi, come un pallone da spiaggia investito dalle onde (i mesoni phi furono teorizzati dal fisico giapponese naturalizzato americano Jun John Sakurai (1933-1982) e scoperti da P.L. Connolly nel 1962). Questo effetto, chiamato polarizzazione di spin, era già stato osservato in altre particelle esotiche, ma misurare se e come le particelle phi si accoppiano con i quark e i gluoni in movimento è un compito non facile, che richiede un software automatizzato e occhi particolarmente attenti per individuare i mesoni phi tra le migliaia di nuove particelle prodotte da ogni collisione. Però i fisici ci sono riusciti, ed è allora che hanno scoperto qualcosa di completamente inaspettato. I mesoni phi stavano effettivamente ruotando insieme al plasma di quark e gluoni, ma in modi molto diversi da quanto previsto teoricamente.
Difatti i mesoni phi possono avere lo spin orientato in tre diverse direzioni. Se il loro spin non fosse influenzato dal plasma di quark e gluoni, ognuna di queste direzioni di spin sarebbe ugualmente probabile, e dunque ognuna si manifesterebbe con una probabilità di circa il 33%. Anche una piccola deviazione da questa probabilità indicherebbe che lo spin del mesone phi è stato influenzato dalla quantità di moto che lo circonda. Ed ecco che invece è stata rilevata un'enorme deviazione dalla probabilità del 33%, 1000 volte più ampia di quanto i modelli convenzionali potessero spiegare. Le solite variabili, come l'interferenza dei campi elettromagnetici che alterano lo spin, non riuscivano a spiegare una differenza così grande, lasciando perplessi i teorici. In effetti, i campi elettromagnetici non erano abbastanza forti da influenzare lo spin dei mesoni phi, ma che dire dei campi generati dalla forza forte? Come sappiamo, i campi sono generati dallo scambio di particelle cariche in movimento: proprio come i campi elettromagnetici nascono da elettroni in movimento, i campi forti nascono da quark e gluoni in movimento. I modelli precedenti ignoravano del tutto i campi forti, perché i loro effetti sarebbero stati generalmente irrilevanti: anche a distanze tipiche del mondo subatomico, i movimenti casuali di quark e gluoni che creerebbero tali campi si annullerebbero, senza alcun effetto sul sistema nel suo complesso. Ma su scale piccolissime, inferiori al raggio del protone, la somma di tutti questi movimenti casuali assumono una grande importanza. Bedangadas Mohanty (1973-), fisico presso il National Institute of Science Education and Research in India ed uno dei collaboratori dell'esperimento di Brookhaven, ha proposto che il movimento degli stessi mesoni phi crei un forte campo di forza le cui minuscole fluttuazioni influenzano la polarizzazione di spin dei mesoni. Se questa idea è corretta, gli esperimenti di Brookhaven rappresentano la prima osservazione da parte dei fisici di simili fluttuazioni nel campo della forza forte: una novità assoluta, le cui conseguenze sulla fisica delle particelle potrebbero essere di vasta portata!
Si può però aggiungere altro capitolo a questa breve carrellata delle forze della natura dal punto di vista della Teoria dei Campi. Infatti, così come è stata scoperta una profonda e suggestiva connessione tra l'elettromagnetismo e la forza debole, prevista teoricamente negli anni sessanta e settanta e confermata nel 1983 al CERN con l'individuazione dei portatori della forza elettrodebole, così i Fisici delle Particelle si sono messe alla ricerca di una teoria ancora più generale, che riesca ad unificare la forza elettromagnetica e la forza nucleare debole con la forza nucleare forte. Questa è stata battezzata GUT ("Grand Unified Theory", "Teoria della Grande Unificazione"). Per il momento non vi è alcuna verifica sperimentale diretta della GUT, della quale peraltro esistono parecchie versioni discordanti, poiché l'ordine di grandezza dell'energia necessaria per la Grande Unificazione è superiore ai 1013 TeV, mentre oggigiorno si effettuano esperimenti con energie dell'ordine di 1 TeV, ossia diecimila miliardi di volte di meno. Tra le possibili verifiche indirette della GUT vi sono la ricerca del decadimento del protone, delle masse di neutrini e dell'oscillazione di questi ultimi, argomenti dei quali riparleremo più avanti. In particolare il modello di Georgi-Glashow, una delle possibili versioni della GUT, prevede l'instaurarsi di una nuova forza, che sarebbe mediata dai bosoni X ed Y. Essi avrebbero una massa incredibile, per l'appunto di circa 1013 TeV, e sarebbero composte sia da quark che da leptoni, permettendo così agli adroni di trasformarsi in leptoni, e viceversa, cosa impossibile per effetto della forza nucleare forte o debole. Questa trasformazione ovviamente non conserva il numero barionico e permette il decadimento del protone secondo uno schema di questo tipo:
Nessuno finora però è riuscito ad osservare il decadimento di un protone in un pione neutro e un positrone. Di questo parleremo ancora in una prossima lezione.
Devo però rendere conto di un problema emerso di recente. Per testare la forza nucleare forte, i fisici hanno studiato il nucleo di elio-4, che è formato da due protoni e due neutroni. Quando i nuclei di elio sono eccitati, crescono come un palloncino che si gonfia, fino a quando uno dei protoni si stacca. Sorprendentemente, tuttavia, in un esperimento condotto nel 2022 da Sonia Bacca, fisica teorica all'Università "Johannes Gutenberg" di Mainz e colleghi, i nuclei di elio non si sono "gonfiati" come ci si attendeva: prima di "scoppiare" si sono gonfiati più del previsto. Il fattore di forma, un parametro che descrive questa espansione, è risultato due volte maggiore delle previsioni teoriche. I fisici ritengono che alcune peculiarità del rigonfiamento rendano il nucleo di elio estremamente sensibile anche alle componenti più deboli della forza nucleare, fattori così piccoli che di solito sono ignorati. Il rigonfiamento del nucleo corrisponde anche alla compattezza della materia nucleare, una proprietà che offre spunti di riflessione sul misterioso cuore delle stelle di neutroni. Ma prima di spiegare lo schiacciamento della materia nelle stelle di neutroni, i fisici devono capire perché le loro previsioni sono così distanti dai dati sperimentali. In un altro esperimento guidato da Simon Kegel e colleghi si eccitavano i nuclei di elio-4 "sparando" un fascio di elettroni su un serbatoio di gas di elio freddo. Se un elettrone si avvicinava a uno dei nuclei di elio, cedeva parte della sua energia in eccesso ai protoni e ai neutroni, facendo gonfiare il nucleo. Questo stato "rigonfio" era effimero: il nucleo perdeva rapidamente la presa di uno dei suoi protoni, decadendo in un nucleo di deuterio con due neutroni e un protone libero. Come per altre transizioni nucleari, solo una quantità specifica di energia ceduta permette al nucleo di gonfiarsi. Variando la quantità di moto degli elettroni e osservando la risposta dell'elio, gli scienziati hanno potuto misurarne l'espansione. Il gruppo ha poi confrontato il fattore di forma così misurato con una serie di calcoli teorici, e nessuna delle teorie corrispondeva ai dati. Ora, quando l'esperimento e la teoria si contraddicono a vicenda, evidentemente uno dei due deve essere sbagliato. In realtà, però, quest'esperienza è particolarmente esigente: l'energia necessaria per produrre il nucleo di elio transitoriamente gonfio si trova appena al di sopra dell'energia necessaria per espellere un protone e appena al di sotto della stessa soglia per un neutrone, e questo rende tutto difficile da calcolare. Diversi gruppi di scienziati hanno in programma di ripetere i calcoli di Bacca per scoprire che cosa è andato storto, ed è possibile che la risposta sia semplicemente l'esclusione di alcuni termini nell'approssimazione della forza nucleare forte solitamente usata, che in situazioni limite invece sono importanti e forse addirittura preponderanti. D'altra parte, è anche possibile che questi nuclei di "elio gonfiato" abbiano messo a nudo una falla nella nostra comprensione della forza nucleare: il tempo ci dirà se è davvero così.
Come logica conclusione della Teoria dei Campi, anche la forza gravitazionale dovrebbe avere un vettore di campo; in altre parole, anch'essa dovrebbe essere trasmessa da un quanto di massa nulla, per giustificare il raggio d'azione infinito. Tale particella è stata battezzata gravitone e, avendo massa nulla, può viaggiare solo alla velocità della luce; essa avrebbe inoltre spin pari a 2. Però, mentre il fotone, mediatore della forza elettromagnetica, è descritto da un vettore, il gravitone dovrebbe essere espresso da un tensore, cioè da una matrice di valori. Questo diverso comportamento giustificherebbe le molte differenze tra l'interazione elettromagnetica e quella gravitazionale: la prima infatti può essere attrattiva o repulsiva, la seconda è unicamente attrattiva. Dato il grande successo dei quanti nel descrivere le altre forze dell'universo, si sperava che l'introduzione di questa particella avrebbe portato rapidamente a una teoria quantistica della gravitazione, ma non è andata così. Infatti, se nell'elettrodinamica quantistica i fotoni agiscono semplicemente sulle particelle cariche, la gravità è invece prodotta da qualsiasi forma di energia, di cui la massa è uno degli aspetti, e il campo gravitazionale prodotto dalle masse è esso stesso sorgente di altri campi gravitazionali. Uno dei tentativi per giungere a tale teoria consiste nella cosiddetta supergravità, una teoria di campo che combina la relatività generale con la supersimmetria (ne parleremo più avanti); essa prevede due nuovi mediatori delle interazioni gravitazionali, chiamati gravifotone e graviscalare. Né il gravitone né queste due sue lontane parenti sono state ancora rivelate, ed è probabile che passi un sacco di tempo prima che ce la facciamo, dato che l'interazione gravitazionale è di gran lunga la più debole tra le forze note all'uomo, e di conseguenza il gravitone porterebbe con sé pochissima energia. Oltretutto, una teoria quantistica della gravità potrebbe non richiedere necessariamente l'esistenza del gravitone; ad esempio la teoria della Gravità Quantistica a Loop non la prevede. Tutto ciò spiega perchè a tutt'oggi tutti i tentativi di creare una gravitodinamica quantistica (QGD), ovvero una teoria quantistica coerente per la gravitazione, sono falliti, come spiegheremo meglio in una prossima lezione.
L'Elettrodinamica Quantistica, la Cromodinamica Quantistica e l'eventuale futura Gravitodinamica Quantistica sono chiamate anche Teorie di Gauge (dall'inglese "grado di libertà") o di Scala, e ci costringono ad utilizzare formulazioni matematiche difficilissime, basate su un'estensione del concetto di simmetria. Infatti il teorema di Noether, formulato nel 1918 dalla matematica tedesca Amalie Emmy Noether (1882-1935), allieva di Hilbert, stabilisce che ad ogni simmetria della Natura corrisponde la conservazione di una certa quantità fisica. Il cinese Chen Ning Yang (1922-) e l'americano Robert Mills (1927-1999) applicarono per primi l'idea della Noether alla Fisica Quantistica, formulando nel 1954 la cosiddetta Teoria Quantistica di Yang e Mills, inizialmente basata sull'invarianza dell'isospin nell'interazione nucleare forte. Inizialmente la loro idea non ebbe successo poiché, per mantenere l'invarianza di gauge, i quanti del campo di Yang-Mills dovevano essere privi di massa, e di conseguenza avere un raggio d'azione infinito, in contrasto con le evidenze sperimentali sulla forza nucleare forte. All'inizio degli anni sessanta però il britannico Jeffrey Goldstone (1933-), il giapponese Yōichirō Nambu (1921-2015) e l'italiano Giovanni Jona-Lasinio (1932-) introdussero l'idea di rottura spontanea di simmetria, grazie alla quale le particelle teoricamente prive di massa la acquistano in modo compatibile con l'invarianza di gauge. Oggi le Teorie di Gauge e in particolare la Teoria di Yang e Mills sono alla base di quello che noi chiamiamo il Modello Standard delle particelle fondamentali.
Riassumiamo ora in una tabella i bosoni mediatori delle forze fondamentali. Int. indica l'intensità relativa (considerando come unità la forza gravitazionale), M la massa in GeV/c2, Q la carica, S lo spin e Raggio indica il raggio d'azione della forza:
Nome |
Vettore |
Int. | M | Q | S | Raggio |
forza nucleare forte | gluoni | 1038 | 0 | 0 | 1 | 10−15 m |
forza elettro- magnetica |
fotone | 1036 | 0 | − 1 | 1 | infinito |
forza nucleare debole | W± Z0 |
1025 | 80,4 91,2 |
±
1 0 |
1 | 10−18 m |
forza gravita- zionale |
gravitone | 1 | 0 | 0 | 2 | infinito |
Le idee sulle particelle e sulle forze si sono evolute in modo chiaramente interdipendente. Via via che si scoprono nuove particelle fondamentali ci si accorge che quelle vecchie sono in realtà oggetti composti. Via via che si scoprono nuove forze, le vecchie vengono unificate ad esse o ridotte a loro casi particolari. Gli elenchi delle particelle e delle forze vengono revisionati via via che la materia viene esplorata a una scala più piccola e che le conoscenze teoriche progrediscono; qualsiasi variazione in un elenco conduce inevitabilmente a una modifica dell'altro. Anche le ipotesi su una struttura interna dei quark e dei leptoni avanzate di recente richiederanno variazioni nella definizione delle forze. Resta da vedere se tali modifiche rappresenteranno una semplificazione o una complicazione. Chi vivrà, vedrà.