Dopo aver stabilito il sistema di unità di misura di Planck, possiamo inoltrarci nella parte più difficile della gravità quantistica. Quando un effetto quantistico, come la produzione di particelle o l'energia del vuoto, influenza la curvatura dello spazio-tempo, la curvatura medesima diventa un oggetto quantistico. Per lunghezze d'onda grandi rispetto alla lunghezza di Planck, le fluttuazioni quantistiche del campo gravitazionale quantizzato sono piccole, e possono essere trattate come una debole perturbazione dei risultati classici. Ma alle lunghezze d'onda e alle energie di Planck, la situazione si fa decisamente più complicata. Le particelle mediatrici del campo gravitazionale, i mai osservati gravitoni, sono così debolmente interagenti con la materia ordinaria, che perfino un'intera galassia è quasi totalmente trasparente per essi. I gravitoni interagiscono apprezzabilmente con la materia solo quando raggiungono le energie di Planck; come si è visto, a tali energie essi si comportano né più e né meno come dei nanobuchi neri, e dunque sono in grado di indurre curvature significative nella geometria dello spazio, e di distorcerla completamente.
Da notare come l'energia trasportata da un gravitone sia in grado di distorcere non solo la geometria dello spazio tempo (cioè il tensore metrico), ma pure le onde associate al gravitone stesso. Questa è una conseguenza della non linearità della teoria di Einstein: quando si sovrappongono due campi gravitazionali, il campo risultante non è uguale alla somma dei due campi componenti. La teoria della gravità quantistica è perciò fortemente non lineare. Di solito si trattano le non linearità con un metodo di approssimazioni successive chiamato teoria delle perturbazioni, basata sul perfezionamento di un'approssimazione iniziale mediante una serie di correzioni progressivamente più piccole. Nel caso della gravità quantistica però la teoria delle perturbazioni non è applicabile perchè, ad una scala di energie paragonabili a quelle di Planck i successivi termini della serie di perturbazioni (cioè le successive correzioni) non sono affatto trascurabili, e troncare la serie a un numero finito di termini non porta a un'approssimazione valida, poiché nel quantizzare il campo gravitazionale si quantizza lo stesso spazio-tempo. Nell'ordinaria teoria quantistica dei campi lo spazio-tempo è un fondale di teatro fisso. Nella gravità quantistica il fondo non solo reagisce alle fluttuazioni quantistiche, ma fluttua esso stesso!
Osserviamo allo scopo lo schema sottostante. Il vuoto quantistico diventa sempre più caotico ispezionando regioni di spazio sempre più minuscole. Alla scala del nucleo atomico (la prima in alto), che è anche la più piccola cui riusciamo finora ad accedere con i nostri apparati sperimentali, lo spazio appare praticamente piatto. 17 ordini di grandezza più in basso (al centro) compaiono nella geometria delle irregolarità e delle asperità. Alla scala della lunghezza di Planck, 1000 volte più piccola ancora (in basso), la curvatura e la topologia dello spazio sono continuamente sottoposte a violente fluttuazioni, che trasformano la stessa tessitura dello spazio-tempo (si noti: non la materia e l'energia, bensì la stessa geometria) in un ribollire caotico ed imprevedibile, una sorta di "schiuma" che sfugge ad ogni tentativo di rappresentazione analitica.
Da notare che nel giugno 2017 alcuni ricercatori italiani hanno annunciato una scoperta fondamentale: per la prima volta alcuni risultati sperimentali sono in buon accordo con la tessitura dello spazio-tempo non liscia ma schiumosa, finora confinata nel regno della speculazione teorica a causa soprattutto della difficoltà di rilevarne gl i effetti a una scala piccolissima. La svolta è stata data da modelli di schiuma spazio-temporale secondo cui le particelle che si muovo nello spazio arrivano fino alla Terra in un intervallo di tempo che dipende in lieve misura dall'energia delle particelle stesse e delle caratteristiche delle sorgenti. Queste ultime, a loro volta, sarebbero influenzate dall'esistenza di una struttura schiumosa dello spazio-tempo. L'occasione per osservare alcuni di questi effetti è offerta dai dati registrati dal telescopio spaziale Fermi della NASA a cui collaborano le agenzie spaziali di Italia, Francia, Giappone e Svezia, e da IceCube, un osservatorio per neutrini della National Science Foundation statunitense, costruito al Polo Sud. Giovanni Amelino Camelia e Giacomo D'Amico della "Sapienza" di Roma, in collaborazione con Niccolò Loret dell'Università di Zagabria e Giacomo Rosati dell'Università di Cagliari hanno effettuato un'analisi statistica dei dati relativi a fotoni e neutrini registrati con questi strumenti. Anche se il campione statistico è per ora limitato e non permette di trarre conclusioni definitive, i risultati sono in buon accordo con l'ipotesi della schiuma spazio-temporale.
Ma non è ancora finita. Uno spazio-tempo quantizzato possiede una struttura causale fluttuante e incerta anche per quanto riguarda il tempo. Alle dimensioni di Planck, difatti, la stessa distinzione passato e futuro diventa nebulosa. Per analogia con l'effetto tunnel nei sistemi quantistici, il quale consente a un elettrone di scavalcare una barriera energetica che potrebbe mai superare, dobbiamo aspettarci fenomeni non ammessi dalla tradizionale Relatività di Einstein, tra i quali viaggi su distanze di Planck a velocità superiori a quella della luce. Non sappiamo ancora come calcolare le probabilità di tali fenomeni, proprio per via dell'assenza in una teoria gravitazionale quantistica coerente.
John Archibald Wheeler (1911-2008) propose una descrizione di questo spazio-tempo distorto davvero intrigante, quella della cosiddetta topologia fluttuante. Se le fluttuazioni nel campo gravitazionale, come quelle di tutti i campi, aumentano di intensità mano a mano che ci si avvicina alle lunghezze d'onda di Planck, estrapolando a questa scala i risultati della Relatività Generale di Einstein si deduce che le fluttuazioni diventano talmente violente da provocare dei "buchi" nello spazio-tempo, analogamente ai "wormhole" tanto cari alla fantascienza. In altre parole, Wheeler immagina il vuoto quantistico in uno stato di perenne agitazione, con la continua comparsa e scomparsa di cunicoli (ma anche di strutture assai più complesse) di dimensioni paragonabili a quelle planckiane. La creazione di questi "cunicoli" è percepibile solo al livello di Planck; a scale dimensionali maggiori, lo spazio-tempo continua ad apparire più regolare che mai.
Se l'affascinante interpretazione di Wheeler è corretta, in quale misura le fluttuazioni topologiche contribuiscono all'energia del vuoto, e come influenzano la resistenza alla curvatura macroscopica dello spazio-tempo? Ma soprattutto, qual è la possibilità che questi benedetti cunicoli si aprano, collegando due punti diversi dello spazio-tempo "schiumoso"? Apparirebbe logico rispondere: un cunicolo topologico ha maggiori probabilità di congiungere due eventi tra loro "vicini". Ma che cosa significa realmente "vicini", in una metrica completamente distorta rispetto a quella cui siamo abituati? Si pensi al famoso "iperspazio", introdotto nelle saghe di fantascienza di Isaac Asimov (il ciclo dei Robot e della Fondazione), in quella di "Star Wars" e in quella di "Babylon 5" per superare le distanze interstellari in alternativa al motore a curvatura di "Star Trek" e ai wormhole di "Stargate SG-1". Esso non è forse tale da rendere vicini in esso due eventi che nello spazio-tempo ordinario appaiono lontanissimi?
La "White Star" entra nell'iperspazio in una scena di Babylon 5
Come si intuisce, la "vicinanza" non è una proprietà intrinseca della struttura spaziotemporale; anzi, in genere richiede l'esistenza di uno spazio con un maggior numero di dimensioni nel quale sia immerso lo spazio-tempo ordinario, cui siamo abituati, e questo spazio a più dimensioni deve essere dotato di proprietà metriche assai diverse da quelle del "nostro" universo. Ma allora... lo spazio-tempo non e più l'universo! L'universo è qualcosa di più. Tutto questo potrebbe seriamente danneggiare la dimensionalità macroscopica dello spazio. Se infatti i cunicoli si possono formare spontaneamente, gli stessi cunicoli possono formare altri cunicoli, e cosi via all'infinito. Lo spazio potrebbe evolvere quindi in una struttura che, sebbene tridimensionale alla scala di Planck, presenti invece quattro o più dimensioni in una scala maggiore. Basti pensare alla comune schiuma, che è costituita interamente da superfici bidimensionali (le bolle), ma dal punto di vista macroscopico ha una struttura tridimensionale.
È però vero anche il viceversa: la dimensionalità apparente dello spazio-tempo potrebbe anche essere inferiore alla sua dimensionalità reale. Questa è stata storicamente proprio la prima soluzione proposta per cercare di inserire elettromagnetismo e gravità in un'unica teoria coerente dei campi. A proporla per primi nel 1919 furono il tedesco Theodor Kaluza (1885–1954) e lo svedese Oskar Klein (1894–1977). Inizialmente Albert Einstein sottovalutò il loro lavoro, ma in seguito l'autore della teoria della Relatività si convinse che la loro era la strada giusta per giungere alla Teoria di Grande Unificazione cui egli aspirava, e li incoraggiò a pubblicarne i risultati, il che avvenne nel 1921. Mentre nella Relatività Ristretta lo spazio è tridimensionale e lo spazio-tempo è tetradimensionale, nella Teoria di Kaluza-Klein lo spazio è tetradimensionale e lo spazio-tempo è pentadimensionale. In pratica esiste una quarta dimensione spaziale, che noi non vediamo perchè è "arrotolata" lungo un cilindro con una circonferenza di diametro pari alla lunghezza di Planck, anziché essere "srotolata" come le altre tre lungo l'intera dimensione dell'universo, dell'ordine dei miliardi di anni luce. Nella Teoria di Kaluza-Klein, la traiettoria di tutte le particelle ha quindi una componente ciclica: ogni volta che raggiunge la massima estensione della dimensione arrotolata si ritrova al punto di partenza, e siccome questo continuo ruotare avviene lungo una scala spaziale miliardi di volte più piccola di un nucleo atomico, nessun esperimento a nostra disposizione può rivelarlo, e così noi non vediamo la quarta dimensione, ed abbiamo l'impressione che lo spazio sia tridimensionale.
Nonostante ciò, la quarta dimensione spaziale di Kaluza-Klein può manifestarsi in un altro modo, sotto forma di... luce. Kaluza e Klein infatti dimostrarono che se il loro spazio-tempo pentadimensionale viene trattato matematicamente allo stesso modo in cui lo spazio-tempo tetradimensionale viene trattato da Einstein, le componenti del campo elettromagnetico sono implicite nelle equazioni gravitazionali in cui è coinvolta la curvatura dello spazio-tempo. Kaluza e Klein realizzarono in tal modo la prima valida teoria unificata dei campi, in grado di geometrizzare non solo la gravità, ma anche la radiazione elettromagnetica.
La Teoria di Kaluza-Klein conobbe un notevole successo negli anni venti, ma il suo problema era proprio la totale impossibilità di sottoporla a verifica sperimentale. Mentre la Gravitazione Universale di Newton si dimostrò in grado di prevedere correttamente l'esistenza e la posizione di Nettuno, e la Relatività Generale riuscì a spiegare la deflessione della luce delle stelle, la precessione del perielio di Mercurio e le lenti gravitazionali, la teoria della quinta dimensione non prevedeva alcun nuovo fenomeno, e quindi non poteva essere confrontata con eventuali teorie alternative. La Teoria di Kaluza-Klein prevedeva effetti nuovi solo se venivano rimossi i limiti imposti dai suoi autori al modo in cui lo spazio-tempo può curvarsi nella dimensione aggiuntiva, ma nessuno di tali effetti trovò conferma sperimentale. La teoria venne quindi abbandonata, e riguardata al più come una intelligente curiosità matematica.
Però già sapete che gli errori (o presunti tali) di una grande mente valgono più delle verità enunciate da una mente mediocre. Come la famosa costante cosmologica Λ di Einstein fu rispolverata allorché ci si avvide che l'universo sta accelerando e non rallentando, così anche la teoria di Kaluza-Klein venne riscoperta negli anni sessanta, quando si scopri che le nuove teorie di gauge che stavano destando un interesse crescente in vista della Grande Unificazione potevano essere riformulate proprio come teorie di Kaluza-Klein, nelle quali lo spazio è dotato non di una sola, ma di più dimensioni microscopiche aggiuntive, anch'esse "arrotolate" su una scala dimensionale pari a quella di Planck, e quindi invisibili ai nostri occhi, ed anche a quelli dei più potenti acceleratori di particelle. Si scoprì così che i due teorici degli anni venti avevano visto giusto, e che tutta la fisica si può tradurre in termini geometrici.
Dato che alla forza elettromagnetica e a quella gravitazionale si erano aggiunte la forza nucleare forte e la forza nucleare debole, una sola dimensione non è più sufficiente per descrivere le moderne teorie di gauge in termini di dimensioni "nascoste". Tra tutte le versioni aggiornate dell'idea originaria di Kaluza e Klein formulate dagli scienziati, quella di maggior successo è la cosiddetta supergravità, ideata nel 1973 dal sovietico Dmitriy Volkov e poi perfezionata nel 1976 da Daniel Freedman, Peter van Nieuwenhuizen e Sergio Ferrara. Questa complicatissima teoria richiede che allo spazio-tempo di Einstein siano attribuite altre sette dimensioni oltre alle quattro ordinarie. Queste sette dimensioni non possono più essere arrotolate dentro un nanocilindro, ma vengono pensate come racchiuse dentro una struttura compatta chiamata eptasfera, una ipersfera a sette dimensioni. Ad ogni evento dello spazio-tempo ordinario di Einstein (x, y, z, t) è associata una eptasfera di dimensioni paragonabili alla scala di Planck, che contiene tutte le dimensioni "impacchettate", dando alla geometria dell'universo il curioso aspetto raffigurato in questo disegno:
Una domanda sorge spontanea: perchè sono necessarie esattamente 11 dimensioni? Questo numero deriva da considerazioni matematiche inaspettate, che a prima vista nulla avrebbero a che fare con la gravità quantistica. Tutti gli studenti sono a conoscenza dell'esistenza dei numeri complessi, numeri del topo a + i b, formati da una parte reale a e da una parte immaginaria ottenuta moltiplicando un numero reale b per l'unità immaginaria i, ottenuta estraendo la radice di – 1 (si tratta di un numero che non appartiene al campo reale). Orbene, nel 1843 il matematico irlandese William Rowan Hamilton (1805-1865) scoprì che non è possibile realizzare dei numeri complessi con una parte reale e due unità immaginarie, del tipo a + i b + c j, ai quali possano essere estese le operazioni di moltiplicazione e divisione: un'"algebra di divisione" è ottenibile solo con quattro, otto, sedici, eccetera termini. I numeri complessi del tipo a + i b + c j + d k, con un'unità reale e tre immaginarie i, j, k sono detti quaternioni di Hamilton, ed oggi sono utilizzati in informatica per realizzare le rotazioni tridimensionali, e quindi sono usatissimi nei sistemi di controllo dei veicoli spaziali, ma anche nella progettazione di videogiochi. Per queste entità matematiche non vale più la proprietà commutativa del prodotto. I numeri complessi con un'unità reale e sette immaginarie sono detti invece ottetti di Cayley, dal nome del matematico inglese Arthur Cayley (1821–1895), e per essi il prodotto non è più nemmeno associativo.
Orbene, i fisici contemporanei hanno scoperto che le teorie supergravitazionali nelle quali non si consideri il tempo si possono formulare in modo coerente se tutte le particelle sono descritte proprio da ottetti di Cayley, e se la matematica che li descrive e l'algebra di divisione di questi esotici oggetti matematici. La supersimmetria emerge con naturalezza da questo tipo di descrizione, la normale moltiplicazione tra ottetti esprime le interazioni tra particelle, e tutte queste ultime, di qualsiasi tipo, usano lo stesso sistema numerico. Naturalmente il tempo non può essere trascurato; introducendolo, tuttavia, si modifica il numero di dimensioni, esattamente come un punto, privo di dimensioni, diventa una linea di dimensione uno, se viene rappresentato mentre si sposta nel tempo. Nella gravità quantistica l'introduzione del tempo aumentandolo di tre, non di uno, il numero di dimensioni. Se perciò uso gli ottetti per descrivere le particelle elementari statiche, quando ne studio l'evoluzione temporale ho bisogno di 11 dimensioni, non una di più, non una di meno. Con 12 o più dimensioni la supergravità fallisce nel tentativo di descrivere la realtà, e le sue equazioni non sono più valide. Se dunque la gravità quantistica è valida, gli ottetti di Cayley non sono più un inutile esercizio di stile matematico, ma forniscono la ragione profonda per cui il numero minimo di di dimensioni nascoste necessarie per includere tutte le quattro forze della natura in una sola descrizione matematica di tipo geometrico è proprio sette. Come dimostrano i casi dei numeri complessi o del calcolo differenziale assoluto di Gregorio Ricci Curbastro, non sarebbe certo la prima volta che un'invenzione puramente matematica fornisce gli esatti strumenti di cui hanno bisogno i fisici!
Naturalmente nelle dimensioni aggiuntive si prevedono fluttuazioni di curvatura, che si manifestano come particelle di grande massa. Si consideri infatti l'atomo quantistico: le configurazioni ondulatorie stazionarie corrispondono ad elettroni in moto lungo orbite percorse senza perdere energia. Allo stesso modo, le onde stazionarie sul "cilindro" della quinta dimensione di Kaluza e Klein corrispondono a particelle osservabili. Secondo questa relazione la massa di ogni particella dipende dalla sua lunghezza d'onda, cioè dal rapporto tra la circonferenza del cilindro e il numero di oscillazioni che l'onda compie attorno ad essa: minore è la lunghezza d'onda, maggiore è l'energia dell'onda stessa, e più alta è la massa della particella ad essa associata. Le particelle di massa minore sono quelle associate a lunghezze d'onda grandissime. Tutte le configurazioni ondulatorie stazionarie consentite sul cerchio generano una serie di particelle le cui masse sono multipli interi della prima. E siccome la Teoria di Kaluza-Klein intendeva unificare gravitazione ed elettromagnetismo, tali particelle hanno anche una carica elettrica, inversamente proporzionale alla circonferenza. D'altra parte la carica di tutte le particelle da noi osservate è un multiplo intero di quella dell'elettrone, cosicché, se si ipotizza che questa sia la carica della prima particella pesante, se ne può calcolare anche la massa. La stessa cosa vale, mutatis mutandis, per le ipersfere della supergravità. I calcoli forniscono risultati curiosi: nella supergravità ogni particella fermionica (cioè a spin semintero) ha un partner bosonico (a spin intero), e viceversa. Si comprende così in quale modo è nata l'idea della teoria chiamata supersimmetria, della quale abbiamo già parlato ampiamente nella lezione dedicata alla materia oscura. Il Large Hadron Collider del CERN di Ginevra potrà forse darci risposte definitive intorno a questa affascinante ipotesi; anche in questo caso, chi vivrà vedrà.