(dal "Tacuìn da Lunà 2004", realizzato a cura della Pro Loco di Lonate Pozzolo)
Nella ripartizione del capoluogo e delle frazioni effettuata ai fini dell'organizzazione e dello svolgimento del cosiddetto "Palio delle Contrade", non si è potuto tenere conto, se non per approssimazione, dell'estensione storica precisa delle singole contrade antiche: e ciò per più di un motivo. Infatti, una volta scelto il criterio di rifarsi alle contrade del passato, erano da considerare e ripartire rispetto al centro storico le zone dell'enorme sviluppo periferico avvenuto nel secolo XX. Inoltre talune zone di tale sviluppo non sono immediatamente riconducibili a precedenti storici. Infine, bisognava comunque equilibrare le parti di territorio e di popolazione, per equilibrare di conseguenza le forze in campo nell'ottica delle manifestazioni e dei giochi del Palio.
Ecco l'elenco delle nove contrade formate per il Palio, avvertendo che denominazioni e aggregazioni sono state discusse e decise nel corso di riunioni preliminari distintamente effettuate nel capoluogo e in ciascuna frazione.
Tutte le aggregazioni si sono poi scelte uno stemma, per distinguersi. In gran parte hanno attinto, con alta disinvoltura, dall'araldica aristocratica del passato lonatese (la contrada nella quale attualmente io vivo è la contrada di Mara, con un'oca nello stemma. NdR).
Le CONTRADE STORICHE erano invece Capovico con Piazza Maggiore, Vertemasso, Incessi, Monte, Borgo, Valletta con Piazza S. Nazaro, Mara, Pozzo nel territorio di Lonate, Olle a Sant'Antonino, più Tornavento e Porto. Bisogna tenere conto del fatto che Sant'Antonino e Tornavento furono comuni autonomi fino all'anno 1869, quando per regio decreto vennero uniti a Lonate come frazioni (vedi cronologia). In verità, mentre Tornavento non fu mai indipendente da Lonate salvo che sotto il profilo fiscale, una precedente aggregazione di Sant'Antonino al comune di Lonate era già avvenuta in età napoleonica, precisamente dal 1804 al 1818. Fare la storia delle contrade è fare la storia degli abitati. Il raffronto tra le situazioni a diversa altezza della storia sarebbe agevole se si disponesse di una cartografia per ogni tappa della storia, a partire dalle epoche più lontane. Purtroppo la cartografia, cioè le planimetrie e le mappe, sono disponibili per Lonate, Tornavento e Sant'Antonino soltanto dal Settecento in poi: così è, d'altronde, per molti paesi. Famose le mappe risalenti al catasto detto di Maria Teresa e al cosiddetto Cessato Catasto Lombardo, rispettivamente datate 1722 e 1856, punto di partenza entrambe di molta cartografia derivata e di "rettifiche" parziali di aggiornamento. Ultimo catasto, oggi in vigore, quello realizzato in Italia a partire dal 1905. Per Lonate torna utile anche la planimetria dell'abitato, conservata nell'archivio comunale, che fu disegnata nel 1841 dall'ing. Andrea Mariani, la quale, benché relativa ad un progetto di smaltimento delle acque piovane, è molto chiara nel darci, contrada per contrada, vicolo per vicolo, i proprietari dei singoli stabili, ivi indicati con i rispettivi numeri civici: 163 in tutto, in serie continuativa unica per tutto l'abitato.
Per i secoli precedenti, mancando la cartografia, bisogna accontentarsi di testi. Tra essi risultano particolarmente utili quelli strutturati come elenchi attenti all'intero abitato: tali sono per es. gli status animarum delle parrocchie, ovvero gli stati delle anime, che furono redatti a partire dalla seconda metà del Cinquecento ad intervalli irregolari: elenchi descrittivi delle persone, famiglia per famiglia, cortile per cortile, dunque contrada per contrada. Per Lonate ed i suoi cascinali isolati tra cui Tornavento, compilarono uno status nel 1574 i curati porzionari Frotti e Setticelli, nel 1824 il vicecurato Antonio Regalia, nel 1857-64 il curato Giovanni Ambrogio Regalia, nel 1896 il curato Pifferi; per Sant'Antonino il curato Girardi nel 1574, il curato Perelli nel 1850 (vedi cronotassi dei parroci).
Andando ulteriormente a ritroso fino al medioevo, bisogna accontentarsi delle indicazioni per singoli stabili, che si incontrano numerose negli atti notarili purché si abbia la pazienza di cercare. Per Lonate i primi documenti utili risalgono alla metà del Duecento, per Sant'Antonino al primo Trecento.
Nel presentare le singole contrade si cercherà di focalizzare l'attenzione sull'estensione e conformazione di ciascuna, sui vicoli laterali, sugli "accessori" di uso pubblico come uffici, forni, pozzi, spiazzi, vasche, sulla presenza - una volta assai più fitta - di chiese, campanili e cappelle, sulle domus monastiche ovvero sui monasteri, sui dipinti murali a lato delle vie, sugli edifici privati notevoli e, per quanto si sa, sulle famiglie che vi abitavano, su eventuali manifestazioni o curiosità legate alla singola contrada.
Nel recupero degli elementi significativi del passato si è assunta come soglia invalicabile la metà del secolo XX, tempo in cui le contrade venivano ancora abitualmente indicate dalla gente col nome medievale, venivano raggruppate in modo da dividere il paese nei due settori d'in sü e d'in gió e, a dispetto della continua mobilità delle famiglie da un settore all'altro, era diffusa l'idea che i "lonatesi d.o.c." fossero quelli d'in gíó.
Per snellire il testo relativo alle singole contrade storiche, è utile anticipare riferimenti comuni, validi per Lonate capoluogo. Nel Medioevo un fossato o terrapieno a scopo difensivo circondava l'abitato, le case esterne tendevano ad addossarsi tra loro per impedire infiltrazioni di nemici indesiderati, all'inizio di ogni contrada stava una "porta" che era puntigliosamente sorvegliata nei tempi di pestilenza e di guerra. Allora il nome cantono faceva concorrenza al nome contrada. Nel Trecento un nucleo monastico si collocò, convenientemente appartato, in fondo a più di un vicolo; ogni contrada doveva già avere, oltre ai primi pozzi privati, un pozzo ad uso pubblico. Le costruzioni erano ancora in gran parte di ciottoli e di legno, poi si fece uso sempre più frequente del mattone.
Nel Cinquecento a Lonate tutte le contrade vennero "rizzate", cioè ebbero un fondo di ciottoli, realizzato in modo da ottenere al centro della contrada un canalicolo a cielo aperto per lo scolo delle acque (la riànä), canalicolo da scavalcare all'occorrenza mediante passerelle; a quel tempo c'era una piccola cappella all'uscita di ogni contrada verso la campagna. I dieci e più nuclei monastici preesistenti vennero nel 1567 ridotti a tre: S. Michele, S. Agata, S. Maria. Nel 1784 tutti e tre furono chiusi, ed i loro immobili divennero proprietà della borghesia esterna, soprattutto milanese.
Nell'Ottocento una strada consorziale di circonvallazione girava intorno all'abitato, ben leggibile nella mappa del 1856. I suoi segmenti corrispondono in circuito alle attuali vie Dante, Maciantelli, Repossi, S. Caterina, Pellico, Fiume, Galvani, IV Novembre, Monte Grappa. Alla fine di ogni contrada c'era una vasca per la raccolta delle acque piovane, utile anche per spegnere i non rari incendi, essendo le cascine frammiste alle case di abitazione. Dopo l'Unità d'Italia, ma secondo una planimetria non prima del 1877, contrade e piazze abbandonarono ufficialmente, non popolarmente, le denominazioni plurisecolari per assumere le nuove, intonate ai personaggi e agli eventi della storia patria, come dimostra la planimetria del 1891. Cortili piuttosto grandi (gli stàj) si aprivano ancora ai lati di ogni contrada, soprattutto nelle zone terminali, circondati da case povere abitate da braccianti e pigionanti, al centro dei quali trionfavano concimaie fumanti.
Lo sviluppo dell'abitato, prima lentissimo, ebbe una forte accelerazione negli ultimissimi anni dell'Ottocento e nei primi del Novecento. Per convincersene basta mettere a confronto con la planimetria dell'anno 1856 o anche del 1891, che è pressoché identica, la planimetria dell'anno 1912. Le nuove abitazioni, le cosiddette "case degli americani", cioè degli emigranti di ritorno, crebbero come funghi ai lati delle vie che oggi si chiamano Dante, Repossi, S. Caterina, Matteotti, Volta. Contemporaneamente anche le prime industrie, soprattutto meccaniche, quasi tutte cotonifici, si erano insediate nell'abitato sullo scorcio dell'Ottocento, altre si insediarono ai margini di esso nel Novecento, soprattutto dopo la prima guerra mondiale.
Non si hanno notizie così dettagliate per i villaggi di Sant'Antonino e Tornavento, ma strutture e soluzioni non dovevano essere dissimili, magari adottate con qualche ritardo rispetto a Lonate che da secoli era borgo, quindi nucleo più dinamico.
CODEVICO - CAPUT VICI - CAPO DI SOPRA
I tre nomi sono perfettamente equivalenti: indicano in dialetto, in latino, in italiano la parte settentrionale dell'abitato. Per siti simili si ritrovano toponimi simili in altre località: Capovico a Gallarate, Summovico (donde Savico) a Busto Arsizio. A Lonate il toponimo è caduto in dimenticanza da molto tempo, anche nella forma ultima, come dimostra un fatto veramente capitato. In un pomeriggio d'estate dei primi anni ottanta un cittadino USA discendente da lonatesi emigrati in California, carico di un borsone e di nozioni gelosamente conservate, si aggirava nel centro storico di Lonate chiedendo dove fosse Capo di Sopra, contrada dei suoi avi; ma i lonatesi da lui interpellati non seppero orientarlo.
La contrada Codevico compare la prima volta in una pergamena dell'anno 1412, e poi ancora nel 1425 insieme con la derivata ruga muzia, con riferimento al nucleo monastico Gennari poi detto di San Michele: ruga successivamente detta Sciücä, cioè presumibilmente d'in sü rispetto ad altre rughe e rugazze dell'abitato. La dicitura « in capite vici » compare in atti notarili del secondo Quattrocento. Ben articolato il territorio edificato, di cui il sacerdote Francesco Bodio fece dono nel 1488 al monastero di S. Pietro Martire: era composto di vari locali con loggiato superiore, di cascina, cortile, aia, colombaia, orto e magazzino.
Nella mappa del 1841 la scritta Capo di Sopra copre lo spazio dalla Ruga Sciucca fino al lembo più settentrionale dell'abitato, mentre nella mappa catastale del 1856 si estende anche alla "piazza maggiore di Sant'Ambrogio".
La contrada, per uscire dall'abitato verso nord, doveva e deve fare un breve gomito verso est, punto dal quale era ed è possibile sia la prosecuzione verso Ferno mediante l'attuale via Antonio Repossi (benemerito fondatore di una causa pia, nel 1681, a favore dei poveri), gradualmente urbanizzata nel corso di cinquant'anni a partire dalla fine dell'Ottocento, sia la prosecuzione verso est per via campestre nella zona detta di S. Caterina in direzione di Busto attraverso la cascina Gelata. Tale gomito richiede una spiegazione: poteva essere determinato dalla presenza del monastero di S. Caterina, oppure poteva corrispondere al fosso di apporto regolato di acque dell'Arno nel cuore dell'abitato per alimentare la piscina di cui si dirà sotto. L'andamento irregolare della contrada e dei vicoli su di essa innestati, ben visibile nella cartografia citata ed ancor oggi nella realtà, sottende un impianto medievale. Poco a nord, appena fuori abitato, era la vigna in Peveredo, nome suggestivo che richiama la tarda romanità e suggerisce uno stallazzo di cavalli postali lungo l'antica strada Como-Novara. I vicoli, tre sul lato ovest della contrada, due ad est, già disegnati nella mappa di Maria Teresa, sono nella planimetria del 1841 così denominati: ad ovest, vicolo S. Caterina, Strettone, Regalia; ad est, vicolo Bollazzi, vicolo della Curia. Ben tre i nuclei monastici medievali insediatisi nella zona: S. Caterina di Sopra in cima alla contrada, S. Francesco e la domus di Pagano Piantanida nel vicolo Strettone; il primo nucleo finì unito a S. Agata di contrada Vertemasso, gli altri furono uniti a S. Michele.
La contrada terminava a sud all'altezza della statua di S. Dionigi, segnalata con la sagoma del suo piedistallo in tutte le mappe del Sette e Ottocento; in quel punto confluiva nella piazza più grande dell'abitato lonatese, che però non era tale in origine e si formò tardi. Infatti lo stato delle anime del 1574 parla di "piscina quale è inante alla chiesa di Santo Ambrogio" con attiguo pozzo "commune" cioè comunale. La mappa del 1722 disegna, allineati da nord a sud, il basamento per una colonna o una statua, verosimilmente la statua di S. Dionigi, il pozzo, una enorme piscina ovale di 15 x 40 metri all'incirca.
La chiesa di Sant'Ambrogio, attestata nel 1303 come sede canonica dei due rettori di Lonate e comparrocchiale alla pari con S. Nazaro, fu ricostruita più grande negli anni 1499-1520. Nei pressi di Sant'Ambrogio, se non sulla stessa area, si era sviluppato nel Medioevo il castellum, una fortificazione di cui qualcosa ancora rimaneva in piedi nell'anno 1337. Sotto il 1337 è anche segnalata la piscina comunale come vallis, cioè grande tazza d'acqua. Colmata di terra la piscina, si formò una piazza molto grande di sagoma irregolare, che nella mappa del 1841 - come già anticipato - era detta "maggiore" (rispetto a quella di S. Nazaro), piazza di Sant'Ambrogio nella mappa del 1856.
Secondo la mappa del 1856, ma anche secondo gli stati delle anime del 1574 e del 1864, la piazza o lo spazio preesistente era parte della contrada Capo di Sopra. Così la contrada risultò sempre la più popolosa del paese. Nel 1574 contava 65 "fuochi" o famiglie, per lo più di impianto patriarcale; nel 1864 le famiglie residenti erano 97. Nell'Ottocento la piazza era delimitata a levante dall'area delle case parrocchiali, dalla chiesa di S. Ambrogio e dagli edifici che erano stati via via affiancati ad essa: il campanile del 1635, il cimitero del 1775, popolarmente noto come Via crucis per la serie di affreschi che vi si conservano. l'apertura nel 1932 della via Martiri Fascisti (oggi via S. Fortunato) come accesso alla nuova stazione del tram tolse alla piazza quel minimo di coesione che ogni piazza deve avere. Sul lato opposto, all'angolo della ruga Sciucca, esisteva nel 1722, probabilmente da lungo tempo, un forno per le famiglie d'in sü. La Ruga Sciucca, più larga di qualsiasi vicolo, quasi una contrada, portava, secoli addietro, a quello che era il monastero di S. Pietro Martire, detto di S. Michele dal Cinquecento in poi.
Nel 1891 la contrada di Sopra portava il nome di via Garibaldi, la piazza quello di Vittorio Emanuele. La contrada si considerò il cuore della parte d'in sü del paese, anche quando all'inizio del Novecento il paese ebbe grande sviluppo anche verso nord e verso est, cioè lungo la strada comunale per Ferno, detta poi via Repossi, e lungo quella che oggi chiamiamo via S. Caterina. Fin dal 1860, l'industrializzazione portò all'insediamento in testa alla contrada di una tessitura di cotone, inizialmente di proprietà Gagliardi, passata nel 1905 sotto il nome di Tanzi, indi proprietà Bossi nel 1915, infine di Michele Solbiati dal 1934. Altre imprese collocarono i loro impianti lungo o a margine della via Repossi: nel 1901 la segheria a vapore di Alberto Arbini e probabilmente anche il Cotonificio Novarese cui subentrò nel 1905 la manifattura Rossari & Varzi, intorno al 1930 il calzaturificio Marca Cervo.
Nel 1910, secondo la guida Taglioretti, "in piazza grande" operavano la farmacia Alessandri (poi Muzio, indi Perina dal 1926), il caffè Commercio di proprietà Giudici Giuseppina con unita rivendita di tabacchi e di giornali, il panettiere Vizzolini, il vetturale Mismirigo (mio bisnonno!) che svolgeva anche servizio funerario; in via Repossi il Circolo Economico, la filiale del Consorzio Agrario della Cooperativa Gallaratese, il vicino molino Diani per cereali azionato da motore elettrico, l'osteria del Sole in gestione Cavestri; a pochi passi dall'osteria era la palazzina del dottor Piccinelli, medico condotto del paese.
Nel 1925 circa operavano in piazza il negozio di calzature Griffanti e, all'angolo con via Cavour, l'osteria Piemontese, fornita dal 1930 di telefono pubblico, mentre all'altezza della statua di San Dionigi c'erano l'osteria Simontacchi detto Maétä, la pesa pubblica e lo spaccio di una Cooperativa di consumo di generi alimentari (la Cuperatìä d'in sü, nella quale lavorò anche mio nonno materno Natale Soldavini!) e, poco più a nord, la macelleria dal Mazasnìn. Nel 1930 o poco dopo, prese posto a metà della via Repossi la Stazione dei Carabinieri, che prima stava di Valletta. All'inizio degli anni Sessanta sorse il primo dei due condomini che abbruttiscono la piazza.
Fino a pochi anni fa, in piazza e in via Garibaldi si contavano almeno tre dipinti murali (una Addolorata, una Madonna fra i santi Pietro e Paolo, una Deposizione); altri due (Madonna di Caravaggio, Madonna del Rosario) erano all'imbocco di via Repossi e in via S. Caterina. Ora restano visibili soltanto il secondo dipinto e il quarto.
Si innesta nella piazza Sant'Ambrogio da ponente, perpendicolarmente alla piazza. Nelle mappe sette-ottocentesche presenta sviluppo rettilineo con una piccola anomalia a metà del corso, il quale terminava alla Madonna delle Grazie, una chiesa di medie dimensioni costruita nel 1657 sull'area di un precedente sacello dedicato ai santi Rocco e Sebastiano, protettori contro la peste.
La contrada, denominata Vertemaxio o Vertamaxio e simili, compare ripetutamente nelle pergamene del '200 e del primo '300 a motivo di vari stabili e fondi che erano oggetto di compravendita tra privati e che presto divennero proprietà della domus monastica di Sant'Agata, esplicitamente attestata nel 1340, funzionante nel 1455 come clausura femminile di regola agostiniana.
Sotto l'anno 1326 è attestato lo spiazzo di una pertica in prossimità della contrada, presumibilmente utilissimo, stante il carattere di essa. Il nome Vertemasso sa di tedesco, e ricorda i Longobardi: warten + Masse, cioè custodia di merci. La tradizione voleva concentrati in questa contrada i magazzini, ragione dell'antica fortuna commerciale di Lonate, la quale è da collegare ai mulini e al traghetto sul fiume Ticino, raggiungibile mediante la strata maior, detta Strada Grande nel Settecento, oggi via Molinelli. La "porta" di Vertemasso è attestata nel 1340 unitamente al vicino campo "in Braida", toponimo di stampo anch'esso longobardo che significa campo fuori borgo coltivato a prato.
Il monastero di Sant'Agata, posto nel lato sud della contrada non lungi dal sito delle successive Grazie, era già dotato di chiesa propria nei primi anni del Cinquecento; ma dovette poi fruire di ristrutturazione complessiva per poter accogliere nel 1567 le monache e i beni di due altri monasteri lonatesi. Il monastero di S. Agata, così potenziato, funzionò fino al 1784, quando fu soppresso, gli edifici e terreni adiacenti di sua pertinenza furono confiscati dallo Stato asburgico e, messi all'asta, divennero quasi tutti proprietà della famiglia gallaratese Mazzucchelli. Quest'ultima trasformò parte dell'ex monastero in villa, passata poi in proprietà ai Carminati, dal 1936 palazzo del Comune, il quale Comune nel 1980 è riuscito ad acquisire anche la manica est dell'ex monastero che era passata di proprietario in proprietario fino ai signori Bollazzi.
Quasi dirimpetto a S. Agata, sul lato opposto della contrada, stava la domus delle "monache bianche" cioè delle Umiliate, già attestata nel 1312. Nel Cinquecento furono spedite a Milano da san Carlo perché non disposte a unirsi alle agostiniane; la loro casa fu incorporata negli edifici periferici del monastero di S. Michele che inizialmente era accessibile soltanto dalla ruga Sciucca, e che poté così dotarsi di accesso anche dalla contrada Vertemasso. Tutti i beni di S. Michele finiranno nell'Ottocento in proprietà prima dei signori Labiche, poi dei Maestri, infine dei Cerati-Bosisio.
Tre, secondo la planimetria Mariani del 1841, i vicoli aperti nel fianco nord della contrada Vertemasso, rispettivamente denominati vicolo inutile (l'accesso, abbandonato da tempo, alla domus delle monache bianche), vicolo di S. Michele, vicolo Tapella; due nel fianco sud, denominati vicolo di Vertemasso e vicolo Giudici. A metà della contrada, sul fianco nord stava il pozzo comunale, su lato opposto una vasca per la raccolta delle acque piovane.
Nel 1574 Vertemasso contava 28 "fuochi", 47 famiglie nel 1864. Nel 1891 la contrada portava il nome di via Cavour, ma conservava da secoli, a metà del suo corso, sul lato nord, il pozzo pubblico, ultimamente munito di pompa a mano.
Se per il Seicento è attestata una bottega nella contrada, anche nell'Ottocento probabilmente di botteghe se ne contavano poche. Mentre testimoniava un'attività al tramonto il torchio Ruggeri per cavare olio alimentare dal lino o dal ravizzone, la novità era evidenziata dalla presenza presso la villa Carminati, fin dal 1885, della filanda Mayer, poi Vannoni nel primo Novecento. Allora, e poi ancora per qualche decennio, la gente usava indicare la contrada anche come stràa da la carna frégia, in quanto recava al cimitero fuori borgo, sia a quello aperto nel 1814 (ridotto nel 1957 a Parco delle Rimembranze), sia a quello del 1912. La contrada indirizzava anche al fabbricato dell'Unione Agricola Cooperativa costruito nel 1925 e dotato di ampio cortile, indi alla fornace di laterizi Rossi già attiva nel 1900, e infine, tre miglia più in là, agli ormai plurisecolari Molinelli nella valle del Ticino.
Nel 1917 teneva recapito in via Cavour il vetturale Dionigi Vada. A metà della contrada, dove prima era una palestra, si costruì alla fine degli anni Venti il Cinema Italia (oggi Sala Civica). Dirimpetto al palazzo municipale rimase ancora per molti anni un grande cortile rustico, recentemente distrutto per far posto ad un servizio sanitario del distretto di Gallarate.
A lato della circonvallazione ottocentesca, elevata a strada provinciale a seguito della costruzione del ponte di Oleggio e quanto prima denominata via Dante, sorsero, negli anni 1915-18, le scuole elementari e, più a nord, l'acquedotto comunale, ai piedi del quale si insediò, dopo la prima guerra mondiale, la fonderia Bragonzi.
Durante la seconda guerra mondiale sull'area oggi occupata dalle scuole medie Carminati c'erano strane costruzioni a forma di cupola che introducevano a rifugi antiaerei per i militari dell'aviazione della Repubblica di Salò, che usavano a mo' di caserma l'edificio delle scuole elementari, mentre gli ufficiali occupavano la palazzina privata oggi all'angolo di via Adige. La vicina chiesa delle Grazie, che aveva il suo campaniletto, venne demolita nel 1963 per allargare l'imbocco della via Cavour. Sulla parete esterna di essa si leggeva un invito alla prudenza per i conduttori di bestie: cavalli al passo!
A tergo della chiesa era dipinta una Madonna in adorazione del Bambino: staccato e riportato sulla facciata delle vicine scuole medie dentro una cornice decorativa tratta dalla chiesa demolita, il dipinto è ormai rovinato e reso illeggibile dalle intemperie. Un dipinto a soggetto natalizio, del Primo Novecento, rimane ancora nell'ex vicolo Tapella, oggi via Cavour 9.
Nei documenti questo percorso non è mai denominato né contrada né cantone. Ma ha uno sviluppo notevole, pari a quello di una contrada, anche se il suo calibro è inferiore. La sua funzione era di scorciatoia interna all'abitato, idonea a collegare tre contrade: Vertemasso, Monte, Borgo. Praticamente un corridoio tra gli orti delle domus di S. Pietro Apostolo e di S. Agata. Corrisponde all'attuale via Oberdan. Il nome è Vicolo di Vertemasso nella planimetria del 1841, con i numeri civici 76-88, per la via Oberdan, mentre é lasciato senza nome il percorso corrispondente all'attuale via Lisenzio. Nel 1856 i nomi sono tre, quanti e quali le contrade di sbocco: vicolo di Vertemasso, vicolo di Monte, vicolo della Contrada Grande. Nella planimetria del 1891 è confermato il vicolo della Contrada Grande, mentre il collegamento tra la via Ticino (oggi via Vittorio Veneto) e la via Cavour è chiamato "vicolo Vertemasso o Lissenzio". Ma il nome antico è Incessio. In una pergamena del 1339 si legge "in Incessio" per un edificio di cinque locali con cascina, cortile ed orto.
La realtà di spicco che connotò a lungo il vicolo è la domus di S. Pietro Apostolo, che è attestata nel 1389 anche come hospitale ed è confermata nel 1455 come ospizio per viandanti e per malati, affiancato dalla chiesa omonima. Sopprimendo il piccolo centro monastico-assistenziale per unirne le monache a quelle di S. Maria, san Carlo assegnò la chiesa di S. Pietro ad una confraternita di disciplini che sul finire del Cinquecento la fecero ornare di affreschi.
Il curato Setticelli, che era fiorentino e probabilmente incline all'ironia come tutti i suoi conterranei, nello stato d'anime del 1574 scrisse "in cessi", spezzando il toponimo. Vi collocò 23 fuochi o famiglie in 21 cortili. Lo stato d'anime del 1864 pone in Licenzia ben 47 famiglie, tante quante in Vertemasso.
Se Incessio può significare passaggio pedonale, Licenzia accenna ad una concessione, ad una agevolazione consentita da autorevoli (o presunti tali) proprietari confinanti. Nel 1841, a non molta distanza di tempo dalla vendita dei beni dei soppressi monasteri, alcuni dei quali beni stavano in Incessio, tutto il lato est del vicolo sfociante nella contrada di Monte era proprietà Carini, il lato ovest del tratto aperto su contrada Vertemasso era proprietà Mazzucchelli. Si ebbero poi altri passaggi di proprietà.
Le mappe sette-ottocentesche raffigurano lo slargo iniziale su contrada Monte, slargo che rimane davanti a quella che a metà Novecento era la Trattoria dell'Uva (ovvero dal Giàn) ed ora è sede di una delle tante agenzie di credito presenti nel capoluogo. Sul finire dell'Ottocento la locale Società Mutua Bestiame (Sucità di Bésti) vi teneva il proprio macello con ghiacciaia.
Via Oberdan è denominazione novecentesca, usata per il collegamento tra le vie Cavour e Vittorio Veneto, già contrade di Vertemasso e di Monte; di poco anteriore è la Via dei Mille, aperta nel 1912 per iniziativa dei signori Arnaboldi allo scopo di collegare la via Oberdan alla via Dante, ex circonvallazione. Scontato il passaggio fonetico da Licenzia a Lisenzio, nome oggi in uso per il solo tratto che dal cuore dell'antico trivio porta a via Roma (ex contrada Borgo).
In questi ultimissimi decenni tutta l'area adiacente alla contrada di Monte è stata radicalmente riedificata, con il risultato che la larghezza del vicolo è raddoppiata. Della chiesa profanata gli ultimi proprietari, i signori Bollazzi, hanno voluto salvare il presbiterio che era la parte più carica di affreschi. Anche il diverticolo, chiuso tra muraglie di ciottoli, che dava su via Roma, è stato di molto allargato e, sul lato sud di esso, sono stati costruiti grandi edifici residenziali con portici.
Sul percorso erano segnalati ben cinque dipinti aventi per soggetto la Madonna, ormai tutti scomparsi tranne il primo, una Pietà in nicchia sopra il portone al n. 5 di via Oberdan. Da ricordare la sottocabina della corrente elettrica di via Lisenzio, già presente nel 1913, inizialmente alimentata dalla centrale idroelettrica di Turbigo.
Le mappe sette-ottocentesche disegnano la contrada come un rettifilo in senso est-ovest, con inizio dalla piazzetta di S. Nazaro (oggi piazza Mazzini). Il nome significa che la contrada non è in piano ma sale verso ovest. Perciò Monte, in territorio lonatese, è anche tutta la fascia che sta ad ovest dell'abitato, con analoga inclinazione del terreno, in passato fascia ricca di vigne, tanto estesa da nord a sud da richiedere suddivisioni denominative: Monte Superiore, Monte Castano, Monte di Castellera, Monte Selvino, Monteruzzo, Moncucco.
Nelle mappe ottocentesche la contrada si estende ad ovest fino ad incrociare la circonvallazione di allora (oggi via Dante) dopo la quale proseguiva in un ventaglio di strade esterne all'abitato, tra le quali la strada per il "Porto d'Oleggio", la strada per il mulino di Gaggio e la cascina Maggia, la strada di Semeda. In zona, a fianco della strada per il Porto, esisteva una cappellina, già attestata nel Cinquecento, che oggi chiamiamo di Sant'Anna; a lato della strada di Semeda una grande vasca per la raccolta delle acque piovane o di scorrimento superficiale. Per tutte queste uscite dal borgo la contrada di Monte continuava ad essere importante.
Per l'epoca medievale la contrada si trova citata sotto l'anno 1270 per la domus de Monte, di ubicazione incerta. È questa la prima ad essere citata delle varie domus monastiche lonatesi, e dovrebbe essere la più antica. Perciò potrebbe coincidere con quella che altre pergamene medievali degli anni 1313 e seguenti chiamano, con riferimento alla stessa contrada, domus Veterum, cioè delle monache di prima fondazione in paese, la quale di solito viene identificata con il nucleo monastico di S. Girolamo. Non è escluso tuttavia che le cose stessero altrimenti e che si debba cercare nella contrada il sito non di uno ma di due nuclei monastici, anche perché un atto notarile del 1478 menziona le suore di S. Chiara di Monte.
Le mappe sette-ottocentesche presentano uno slargo a metà della contrada sul lato nord (già accennato sotto Incessi) ed un altro quasi contrapposto sul lato sud, assai più vasto, oggi piazza Cesare Battisti. Erano probabilmente il primo il sito di un pozzo comunale fruibile sia dalle famiglie degli Incessi sia dalle famiglie di Monte, l'altro uno spazio di sosta, nel medioevo, delle merci più ingombranti provenienti dal Ticino; oppure erano entrambi spazi di sosta delle merci. Le cose cambiarono con il passare del tempo. Lo schizzo planimetrico del 1841 denomina il secondo slargo "Piazza commune" e vi indica il sito di una struttura che la planimetria del 1891 definisce "pompa", cioè pozzo munito di pompa a mano.
Si può fondatamente ritenere che dopo il medioevo il paese si sia sviluppato lungo questa contrada. Infatti nel 1574 si contavano in essa una cinquantina di "fuochi", mentre nel 1864 vi abitavano ben 93 famiglie, quasi come in Capo di Sopra.
Lo schizzo del 1841 fornisce i nomi dei ben 9 vicoli della contrada. Letti nel senso estovest, i vicoli del fianco nord si denominavano vicolo Bottini, vicolo Carini, vicolo di Vertemasso (oggi via Oberdan), vicolo Cittadella. Sul lato opposto c'erano il vicolo del Collegio, due vicoli intitolati forse Borracchi e Mugnella e, dopo la piazza, vicolo Bertozzi e vicolo Casoretti, quest'ultimo dal nome dei proprietari dei terreni posti sui due lati della contrada sino al termine di essa. Il Collegio Imperiale dei nobili di Milano era gran proprietario anche a Lonate, di terreni ma anche di case. Il termine Cittadella fa pensare ad uso militare del caseggiato con ampio cortile sito in fondo al vicolo. Giovanni Visconti Venosta nel suo "Ricordi di gioventù" fa riferimento sotto l'anno 1858 alla casa del signor Ernesto Tirinnanzi, allora al limite dell'abitato e cenacolo di patrioti antiaustriaci. Nell'ultimo quarto dell'Ottocento il comune vendette a privati il forno che stava a metà della contrada e la vasca che stava alla fine, presso la quale sorse nel 1890 l'asilo infantile Sormani.
Nel 1891 la contrada era denominata via Ticino; divenne via Vittorio Veneto dopo la guerra mondiale in omaggio alla vittoria italiana sull'Austria. Nel 1910, all'angolo con piazza Umberto, operava l'ustarìä dal Pirèlä di propretà Soldavini (poi Chinetti). Intorno al 1920 nel fianco nord della contrada erano l'officina meccanica e fonderia di Ernesto Nerviani e la selleria Cavestri; nel fianco sud si notava la bottega del ciclista Enrico Nerviani detto Mugnèlä.
Nella parte più antica la contrada presenta due dipinti murali ottocenteschi (una Crocifissione e un' Immacolata), restaurati negli anni novanta a spese dei proprietari degli immobili e della Pro Loco.
Circonvallazione delle Grazie è il nome indicato nella planimetria del 1891 per il tratto inferiore dell'attuale via Dante. Ivi nel 1910 lavorava il maniscalco Nazzaro Moro. Nel 1930 circa, in una laterale della stessa strada che oggi porta il nome di via Pola, costruì la sua bella casa il pittore lonatese Luigi Brusatori (1885-1942), dopo il suo ritorno dall'America dove aveva fatto fortuna, casa nella quale il figlio Biagio, pochi anni dopo, aprì il primo studio fotografico del paese. Luigi Brusatori operò nelle chiese di Crenna, Castano Primo, Vigevano, Viarigi, Alessandria e San Francisco.
Il termine dialettale limbúrgh, in uso fino a pochi anni fa tra gli anziani, significa cuore del borgo, la parte al centro del borgo: l'« in burgh ». Traduzioni letterali del concetto sono le circonlocuzioni « in medio burgo » del 1491 e « de medio burgo » del 1557, usati dai notai lonatesi per indicare case di questa contrada. Essa non si trova citata nei documenti sotto il nome di Contrada Borgo prima del Cinquecento. Era detta Contrada "del borgo" nel 1841, "di borgo" nel 1856, estesa dalla piazza di S. Ambrogio alla piazza di S. Nazaro, con un vicolo sul lato ovest che nel 1856 era denominato vicolo della Contrada Grande, con la piazza Santa Maria sul lato opposto della contrada e, più a sud, un vicolo detto allora Rugazza.
La mappa del 1722 disegna la chiesa di S. Nazaro perfettamente orientata, perciò con facciata sghemba rispetto alla contrada, e poco più a nord, sul lato di levante, la vistosa piazza denominata di Santa Maria dal titolo della chiesa che le fa da sfondo. La stessa mappa mostra bene come non su ogni punto della contrada si affacciavano case di abitazione, indizio dell'ancora incompleta saldatura tra il nucleo originariamente longobardo e il nucleo romano dell'abitato. La contrada iniziava a nord con il giardino del Collegio Imperiale di Milano a est della contrada, con l'orto di proprietà Della Croce ad ovest. Già nel 1574 i Della Croce erano proprietari di tutte le case di abitazione sul lato est della contrada dalla piazza maggiore sin quasi a quella di Santa Maria; allora apparteneva ai nobili Modoni la casa sul lato ovest della contrada immediatamente successiva al vicolo, in seguito abbattuta per far posto a un condominio.
La chiesa di Santa Maria esisteva già nel 1333, sede di due dei tre "consorzi" lonatesi aventi scopo di devozione, di beneficenza e mutua assistenza. Questa chiesa era curiosamente di proprietà e giurisdizione congiuntamente della comunità di Lonate e del monastero attiguo di Santa Maria, come si legge nel testamento del 1541 del curato Tacchi, suo benefattore. Fu ricostruita nel 1625 nelle belle forme che conserva, da allora denominata Santa Maria degli Angioli forse per il soggetto della grande tela che sta sopra l'altare. Non le manca un campaniletto laterale. Il monastero, dopo la soppressione, diventò proprietà Patellani, passò nel secondo Ottocento all'imprenditore Carlo Sormani che lo ridusse in parte a filanda, affiancata nel primo Novecento da una cabina della corrente elettrica. La filanda fu trasformata intorno al 1935 in grande caseggiato residenziale, che venne ed è abitato per lo più da famiglie di immigrati.
Sul lato settentrionale di piazza Santa Maria stavano nel Cinquecento la casa dei feudatari Visconti, usata per i loro brevi soggiorni a Lonate, e la "casa del Comune". Nel tratto da piazza Santa Maria a piazza San Nazaro, che era affiancato da portici, si tennero per quasi un secolo il mercato settimanale del giovedì e la fiera annuale di San Nazaro, che erano stati istituiti per privilegio imperiale del 1541. Sotto il portico di San Nazaro venivano affisse le ordinanze del Comune.
Nel Settecento, in aggiunta alle realtà già accennate, si segnalavano sul lato est della contrada il cortile del maresciallo Bodio, cui subentrò il Collegio Imperiale, e la casa Agnesina, trasformata ai primi del Novecento in Albergo Ticino e successivamente in Oratorio per la gioventù; sul lato ovest si segnalavano l'estesa proprietà Porro nel primo tratto della contrada, altre due case ravvicinate dei feudatari più a sud. Alla metà dell'Ottocento le aree già Della Croce e Collegio Imperiale all'imbocco della contrada erano passate in proprietà rispettivamente Azzimonti e Ferrario.
Quanta la popolazione? I "fuochi" erano 42 nel 1574: 26 nel lato est della contrada, 16 nel lato ovest. Nel 1841 la contrada contava 21 numeri civici. Nel 1864 vi abitavano 58 famiglie.
Nel 1891 a metà della contrada, che nella nomenclatura ufficiale era diventata Corsia Vittorio Emanuele, stavano gli uffici comunali nell'edificio contrapposto a piazza S. Maria il quale sarà poi del Caffé Impero a partire dal 1938-39; le scuole comunali erano in faccia alla Rugazza, nella casa che nel Settecento era stata dei feudatari e che sarà sede della Casa del Fascio durante il famigerato ventennio, e della scuola di avviamento commerciale dal 1948 al 1962 (vi insegnò anche mia mamma!).
La contrada era già piena di botteghe e di attività. Fin dal 1865 vi operavano quattro ditte Giudici che fabbricavano spazzole di trebbia per le filande. Nel 1910 vi tenevano bottega o ufficio la drogheria Barzaghi (già Ghislanzoni), il macellaio Moro, il notaio Rizzi (poi Pizzamiglio), l'agente per l'emigrazione Simontacchi, la panetteria Tresoldi.
Nel 1920 la contrada si denominò finalmente via Roma. All'angolo con la Rugazza era aperto il primo sportello bancario del paese (Banca Gallaratese). In piazza Santa Maria funzionava con spettacoli saltuari il salone teatro dell'oratorio maschile. Nel 1930 si istallò in via Roma a lato dell'ingresso all'oratorio l'ufficio Posta e Telegrafo. Per tutto il Novecento l'edificio privato più importante della contrada rimase la residenza della famiglia patrizia Porro.
La denominazione di Valletta si accompagna nelle planimetrie del 1841 e del 1856 alla contrada che da piazza San Nazaro porta in direzione sud alla fine dell'abitato, fino alla biforcazione in due strade comunali esterne: l'una in direzione di Sant'Antonino (strada ancor oggi esistente come via Sant'Antonino), l'altra (oggi via XXIV Maggio) allora strada per Turbigo, importantissima da secoli. Sul lato di levante della contrada, prima della biforcazione, era una vasca piuttosto vistosa, pari a metà circa di quella antistante alla chiesa di S. Ambrogio, che perciò rispetto alla vallis di S. Ambrogio risultava una vallicula: donde l'italiano Valletta. Ma il nome antico era contrada dell'Olmo, da una pianta certamente vistosa che doveva concludere o contrassegnare il percorso dentro l'abitato. La contrada de Ulmo compare più volte nelle pergamene medievali a partire dall'anno 1389, ad essa fanno riferimento gli statuti comunali del 1496, mentre in un atto notarile del 1495 sono menzionate sia la porta de Ulmo che la piazza di San Nazaro. Stava in contrata de Ulmo l'edificio a tre piani oggetto di donazione testamentaria nel 1543 a favore del monastero di Santa Maria: aveva quattro locali a piano terra "cum suis superioribus" e con i sovrapposti solai, ed aveva cascina e cortile.
Valletta si impone a partire dalla metà del Cinquecento. Il compilatore dello stato delle anime del 1574 considerava parte della contrada Valletta la piazza San Nazaro, così denominata dalla chiesa di origine altomedievale che sorgeva, leggermente sghemba per essere perfettamente orientata, sull'area attualmente antistante un istituto di credito. Della fiera di S. Nazaro istituita nel 1541 si è già detto trattando della contrada Borgo. La chiesa, dotata di campanile, soppressa e profanata nel 1790, venne demolita molto più tardi, a fine Ottocento. Le mappe sette-ottocentesche disegnano nella parte inferiore della piazza la base della colonna di San Nazaro, che oggi si conserva nel chiostrino di Sant' Ambrogio dopo essere stata per tanti anni in zona lontanissima, nel lazzaretto recintato di S. Giovanni in Campagna. Nel 1891 la piazza San Nazaro, persa la colonna, portava il nome di re Umberto.
Contrada breve ma sempre densamente abitata quella di Valletta: aveva una quindicina di fuochi nel 1574 sul lato est, il doppio sul lato ovest della contrada; 15 numeri civici nel 1841. Nel 1864 vi abitavano 79 famiglie. Due i vicoli su ogni lato della contrada segnati nello schizzo planimetrico del 1841: quelli di levante erano denominati Privativa Repossi e vicolo Repossi, quelli di ponente vicolo del pozzo di Valletta e vicolo Valletta.
Al centro dell'accennata biforcazione, davanti ad un caseggiato costruito su terreno più alto, sta una colonna con croce sovrapposta, che dà il nome alla piazzetta attuale; la colonna reca incisa nello zoccolo la data 1577 a memoria della peste di quell'anno, passata alla storia come peste di san Carlo.
Poco oltre la biforcazione, sulla strada per Turbigo, in faccia alla consorziale del Casarile (oggi via Santa Savina), la mappa del 1856 segna una cappellina, corrispondente a quella che si conserva sotto il titolo di Sant'Antonio, recante su un mattone la data 1425, dunque costruzione assai antica.
Ancora "fossa" nel 1841 per la raccolta delle acque piovane, essendo questa la zona più bassa del paese, piazza S. Croce si formò nel primo Novecento. Per qualche tempo, intorno al 1925, fu denominata piazza IV Novembre. Prima, secondo la planimetria del 1891, quando ancora conteneva la grande vasca, era stata piazza Novara, così come via Novara era il nome allora imposto alla contrada Valletta (in questa via io ho abitato per 29 anni!). Fino agli anni Cinquanta e oltre del secolo XX la piazzetta fu luogo di aggregazione chiassosa e serena di bambini e di adulti. Nella contrada vera e propria di Valletta, sul lato ovest, stava il forno comunale ad utilità delle famiglie residenti nella parte sud del paese, forno che sul finire dell'Ottocento venne ceduto a privati che lo tennero in funzione fin verso il 1960 (vi ha lavorato a lungo anche mia zia Antonia Soldavini, sorella di mio bisnonno Antonio Soldavini!). Il pozzo pubblico della contrada nel 1891 era ancora sprovvisto di pompa: l'acqua veniva attinta con corda e secchio. Nel 1898, sempre sul lato ovest, venne attivato il circolo S. Ambrogio, sorto in forma di società cooperativa, per decenni luogo di banchetti nuziali e tuttora esistente (proprio in faccia alla mia vecchia abitazione!). Nel 1910 operava in piazza Umberto I il fruttivendolo Lindelli, detto Manèlä (è stato anche inquilino di mio nonno!), in via Novara la salumeria Locati (ul Bazulìn); il caseggiato signorile sul lato ovest della piazza S. Croce fu stazione dei carabinieri dal 1915 al 1930 circa. Nel 1930 in piazza Umberto I era istallata una pompa di erogazione di carburante per autoveicoli ed era attivo uno spaccio della Cooperativa di consumo (la Cuperatìä d'in gió); in via Novara era aperto uno studio dentistico, il primo per il paese.
Chi veniva da fuori con carri o bestie, incontrava sulla prima casa dopo la piazza Santa Croce una scritta che invitava alla prudenza, simile a quella della Madonna delle Grazie: testimonianze della civiltà contadina. Dove oggi sul lato ovest della contrada sono stati edificati moderni edifici residenziali, si estendeva la proprietà Riva.
Nel 1920 non si vedeva più la grande vasca: era stata colmata di terra e la piazza livellata; a margine della prosecuzione stradale, oggi via XXIV Maggio, erano disposte, opportunamente distanziate tra loro, alcune vasche piccole e una più grande (detta bugióm) per la raccolta delle acque di scolo. Ma, quando pioveva tanto, capitava che quelli d'in sü venissero a vedere Valletta allagata. Essendo il punto più basso dell'abitato, vi confluivano le acque di scolo di tutte le contrade.
Dal 1900 anche il prosieguo della contrada di Valletta si era infittito di case di abitazione. Dal 1918 il percorso, che già portava alla cascina Calderona, risultò sempre più frequentato in quanto recava al campo di aviazione, che D'Annunzio in una sua visita battezzò Campo della Promessa, grande simbolo del progresso tecnologico: aeroporto che fu smantellato nel 1945 alla fine della seconda guerra mondiale.
Il toponimo Mara compare la prima volta nelle pergamene lonatesi sotto l'anno 1312, la porta de Mara e il fossato del borgo sotto l'anno 1389. Mara significa acquitrino. È toponimo presente anche altrove, per esempio a Castano, ove però denominava una zona non dentro ma a fianco dell'abitato antico.
Sono diverse le indicazioni medievali di strutture presenti in questa contrada. Spetta ad essa la prima citazione di edifici in Lonate: nell'anno 1270 Monferrato Scrosati vendeva a Gerardo Tacchi un terreno edificato "in cantono de Mara". Erano oggetto di compravendita nel 1339 un locale più cucina e cortile; nel 1389 un terreno con torchio, locali, solai, stalle, aia, cortile; ancora nel 1389 una casa con solaio, cascina "palcata", aia, cortile e "chiosso", cioè orto recintato: tutti immobili ubicati in contrata de Mara.
Sul finire del Quattrocento Antonio Bodio, architetto seguace del celeberrimo Bramante, noto come Antonio da Lonate, possedette ed abitò uno dei primi edifici sul fianco sud della contrada. Perpendicolare a quella di Valletta, la contrada di Mara, piuttosto breve, si sviluppa in direzione ovest-est con inizio da piazza S. Nazaro, proseguendo fuori dell'abitato secondo le mappe sette-ottocentesche come strada comunale recante a Busto Arsizio.
Nel 1841 i vicoli laterali erano così denominati: sul lato sud della contrada vicolo Brusatori, sul lato nord vicolo Tacchi e, per il pozzo all'ingresso, vicolo del pozzo. Nel 1856 l'ultima parte della contrada non aveva ancora case sui lati, ma coltivi, fino all'incrocio con la strada detta Portazza a nord e la contrapposta strada Semella verso sud (oggi via Fiume) a fianco della cappellina che oggi chiamiamo di San Mauro, disegnata nella mappa del 1856, non in quella del 1722. La mappa del 1856 rappresenta, sul fianco nord, non soltanto il pozzo ma anche una vasca per la raccolta delle acque piovane, a ridosso dell'ultimo terreno abitato. Nel vicolo Brusatori (e non nel vicolo Tacchi) è da collocare, con probabilità, il convento di Santa Caterina de Mara, attestato fin dal Trecento, fondazione della famiglia Tacchi, il quale aveva anche un accesso in contrada dell'Olmo, cioè di Valletta.
Nel 1574 la contrada contava 36 "fuochi", 43 famiglie nel 1864. Vari nel 1841 i proprietari delle aree abitative sul lato nord della contrada, mentre nel lato sud spiccavano i Labiche nel tratto iniziale e più addentro per un lungo tratto i Finati, con tanto di villa, ai quali Finati successero i Riva. Negli ultimi anni dell'Ottocento la vasca comunale, che stava sul lato nord della contrada, fu venduta a privati. A quel tempo dal pozzo della contrada bisognava ancora attingere con corda e secchia. Nel 1891 la denominazione era via Milano, nel 1901 via XX Settembre.
Nei primi anni del Novecento chi veniva da Busto trovava all'inizio della contrada storica due portali simmetrici di ingresso alle proprietà Riva (a sud) e Sormani (a nord), che sono stati salvati insieme con i rispettivi pilastri durante le recenti trasformazioni edilizie che hanno interessato i due lati della contrada.
Un forno funzionava ancora intorno al 1950 in fondo al cortile antistante il vicolo Tacchi. Lungo la contrada, divenuta via Matteotti dopo la seconda guerra mondiale (qui casa mia aveva una porta di uscita), rimane al civico numero 4 un dipinto, ormai mal ridotto, raffigurante la Crocefissione (proprio davanti alla porta suddetta).
SANT'ANTONINO - CONTRADA DEL POZZO
Gli studi recenti sulle antiche pergamene dei monasteri soppressi di Lonate Pozzolo hanno molto arricchito il quadro dei toponimi medievali di Sant'Antonino relativi alle zone e alle strade esterne all'abitato, ma poco o nulla hanno aggiunto alle conoscenze già acquisite sull'abitato. Per quanto piccolo, il paese fu comune a sé stante e tale rimase fino all'anno 1869, quando per decreto regio fu ridotto a frazione di Lonate. Oggi l'archivio storico della frazione sta con quello del capoluogo. Segni tipici del comune medievale sono considerati i consoli, il pozzo comunale, la piazza, il fossato. Tutte queste realtà sono attestate anche per Sant'Antonino.
Nel 1383 e nel 1488, secondo le predette pergamene, il comune di Sant'Antonino era proprietario di terreni in loco e a Lonate. Nell'atto del 1354 istitutivo della cappellania di S. Taddeo da parte del nobile Villano Crivelli, che volle la chiesina superstite nella contrada omonima (con lastra ricordo sopra la porta d'ingresso), è menzionata una strada del comune dentro l'abitato ed il fossato intorno all'abitato. Gli statuti di Milano del 1346 concernenti le più importanti strade del ducato prevedevano, per la Milano-Novara, un tributo da tutti i proprietari di Sant'Antonino, "sì per li nobili como li vicini". Nobili proprietari in Sant'Antonino furono nel medioevo i Bodio, i Crivelli, i Carcano, ai quali poi si aggiunsero o su sostituirono i Della Croce, i Piantanida, gli Oltrona Visconti. (assidui clienti di mio nonno, che di mestiere faceva il tassista) Soltanto le carte del Settecento ci danno, per ora, notizia del pozzo pubblico e della piazza; ma queste realtà potranno essere facilmente retrodatate nel corso di nuove esplorazioni archivistiche. La tradizione locale vuole che l'antico nome del paese fosse Cascina del Pozzo, e che al suo pozzo sostasse, per abbeverare il cavallo, il soldato Antonino, di passaggio verso la regione in cui sarebbe stato martirizzato insieme con i commilitoni cristiani. La chiesa del luogo, intitolata al santo soldato, esisteva già alla fine del Duecento: la ricorda un repertorio ecclesiastico milanese.
Nel 1496, cresciuta la popolazione, Sant'Antonino si costituì in parrocchia autonoma da Magnago, di cui prima era parte. Il beneficio parrocchiale si costituì con beni offerti dalla "vicinanza" e da benestanti delle famiglie Bodio e Luoni. E la popolazione continuò a crescere: 200 persone circa nel 1581, 280 nel 1655, 379 nel 1750. Le planimetrie dell'abitato del 1722 e del 1856 non mostrano sostanziali differenze, segno che la gente visse più stipata: concausa della emigrazione verso terre d'oltralpe e d'oltremare.
Secondo la mappa del 1722 l'abitato era costituito da una trentina di caseggiati, disposti sui due lati delle vie disegnate senza denominazione, corrispondenti alle odierne via Giassi, via Madonna, via San Taddeo, con pochi caseggiati nella zona dell'odierna via Baracca, ancora separati dall'abitato: tutte case da massaro tranne le dieci con annesso giardino che i proprietari nobili Bodio, Cermelli, Piantanida, Oltrona utilizzavano come loro abitazione, discontinua per taluni. Al centro del paese stava la piazza della Chiesa, oggi rinominata piazza don Mario Manfrin. C'erano un'osteria e una macelleria, due torchi da vino e uno da olio. In uscita dall'abitato le strade che conducevano a Lonate, a San Macario, a Vanzaghello, a Castano (oggi via Montello, purtroppo chiusa a tempo indeterminato), verso il Ticino. È del 1804 la strada esterna di collegamento con Tornavento (oggi via Adamello), del 1814 la strada "in rettilineo" dalla piazza del paese alla "stradale" da Lonate a Busto (oggi via Manzoni).
Nell'Ottocento il paese aveva il suo "convocato generale" e, dopo l'Unità d'Italia, ebbe il suo consiglio comunale e il suo sindaco (l'ultimo fu un Brusatori). Lo stato delle anime del 1850 dà 719 abitanti, raccolti in 32 cortili, forse corrispondenti ad altrettanti numeri civici: almeno 10 cortili contavano 30 e più individui. È attestata sotto l'anno 1832 la presenza in piazza di una vasca comunale per la raccolta delle acque piovane, a metà Ottocento il forno comunale e il pozzo pubblico.
Nella mappa del 1856 le strade che attraversano l'abitato sono così denominate: comunale per Lonate (quella realizzata nel 1814), contrada S. Taddeo, comunale per Vanzaghello (oggi via Baracca), contrada della Madonna (recante alla cappellina costruita fuori abitato nel 1734), contrada Visconti (oggi via Isonzo), vicolo degli Osti (oggi via Piave). Le strade per Castano, per Vanzaghello, per Lonate, classificate comunali nel 1866, erano di 5 metri di larghezza; di calibro inferiore e ormai declassata, la vecchia strada per Lonate, che sboccava in Valletta. L'industrializzazione portò in paese la tessitura Giudici, l'officina Santino Brusatori, il cotonificio Candiani, attestati nel 1900: il cotonificio passò nel 1918 in proprietà di Michele Solbiati. La guida Taglioretti del 1911 segnala un circolo San Giuseppe, un circolo Sant'Antonino, le scuole elementari.
Le abitazioni mantennero carattere rurale fino alla metà del Novecento. Grandiosi taluni cortili, caratteristici quelli intercomunicanti (i tri stàj). Fra le poche strutture nuove sorte in zone allora periferiche è da ricordare l'asilo infantile, del 1925 circa.
Rimane, degna di nota, la villa Oltrona Visconti con ampio parco a lato della via Giassi (che ricorda due cugini partigiani antifascisti caduti nella Resistenza); sulla stessa via la villa Sormani, ottocentesca, è stata oggetto di trasformazioni recenti. In piazza, sopra la porta del bar Mainini, è una Madonna del Carmine, dipinta nel 1930 circa dal pittore locale Angelo Galloni.
SANT'ANTONINO - CONTRADA DELLE OLLE
Nel 1722 e 1856 via Baracca era tracciata, ma non ancora costruita, se non per breve tratto e con pochi edifici isolati sul lato di levante. Era dunque una contrada in formazione quella che nel Palio prende orgogliosamente nome dai reperti archeologici che ivi sono stati trovati a più riprese, risalenti probabilmente all'età romana.
Riassumendo testimonianze precedenti, Gian Domenico Oltrona Visconti scriveva a fine anni sessanta nella sua storia di Lonate: "Nella frazione di S. Antonino fu reperita un'ara romana ora al museo di Legnano che la tradizione locale direbbe proveniente da Castelseprio; fu anche ritrovato qualche oggetto fittile nel campo poi detto « delle olle » in via Baracca su proprietà ora Airoldi".
Quanto al "campo delle olle", bisogna dire che tale denominazione non è una fantasiosa invenzione del nostro secolo. Essa figura in due atti notarili, datati rispettivamente 1699 e 1806. Nella divisione dei beni tra gli eredi dei fratelli don Andrea e Giovanni Battista Torno, avvenuta nell'anno 1699, figura un "campo delle Olle" in territorio di Sant'Antonino, di pertiche 2 e tavole 2, confinante a monte con una strada, a mezzogiorno con un fondo del monastero lonatese di San Michele. Nella divisione dei beni tra i fratelli Vincenzo e don Giuseppe Brusatori, avvenuta nel 1806 sulla base di descrizione peritale dell'agrimensore Carlo Quadrio, figura un "campo detto alle Ole", di pertiche 1,2, n° di mappa 287 del catasto teresiano. Poiché tali atti indicano proprietario e perticato, non è difficile identificare il luogo con il campo "aratorio con moroni" intestato nel 1753 ad Antonio Airoldi del fu Carlo Giuseppe, e giungere a confermare la localizzazione in via Baracca, in prossimità dell'incrocio fra la strada vecchia per Castano e quella per Vanzaghello.
La denominazione del campo fa pensare ad una necropoli, probabilmente piccola, costituita da vasi contenenti le ceneri dei defunti cremati, vasi di fattura povera, poco o niente diversi da quelli di cucina, collocati senza protezione direttamente nella nuda terra, secondo usanze di ascendenza celtica, continuate attraverso l'età romana ed ampiamente attestate nell'alto Milanese. Poteva facilmente trattarsi, in linea con una prassi ampiamente riscontrata nel Gallaratese, di insediamenti di individui subalterni, se non di schiavi, mandati alla ricerca di risorse da sfruttare (calce, argilla, legname) una volta esaurite le risorse nelle zone di insediamento continuativo di generazioni e generazioni, zone che gli archeologi, sulla base dell'abbondanza di reperti di varie epoche, ormai fanno corrispondere alle fasce percorse dalle grandi strade romane: la Milano-Gallarate-Sesto-Angera oppure la MilanoMagenta-Novara-Vercelli o, più vicina a Sant'Antonino, la tardoromana Como-Gallarate-LonateTurbigo-Novara. La necropoli è, comunque, di epoca anteriore alla diffusione del cristianesimo, con il quale si adottò l'inumazione dei defunti.
Come già detto in quel che precede, non è questa delle "olle" l'unica testimonianza archeologica che Sant'Antonino possa vantare. C'era un'ara romana con iscrizione, tanto corrosa da non risultare leggibile: il comune di Lonate la cedette al museo di Legnano nel 1933. Non si sa quale fosse il suo posto nel territorio di Sant'Antonino.
Venendo alla storia più recente, c'è da dire che nella mappa del 1856 la futura via Baracca (denominazione non anteriore al 1920), contrada che qui chiamano delle "olle", presenta qualche casa in più rispetto alla mappa del 1722. Tra le aggiunte il caseggiato dei Brusatori, persone facoltose, costruito prima del 1784, oggi al civico numero 10 di via Baracca, con portale distinto. Del caseggiato si ha una descrizione del primo Ottocento: comprendeva 8 locali a piano terra con pavimento in cotto, preceduti da portico, e altrettanti al primo piano, raccordato con scala di vivo, un corpo rustico con stalle e cascine, la cantina, l'aia con il pozzo, la corte per il letame, un giardino. Una casa ben diversa dalle povere abitazioni dei pigionanti, che alla stessa epoca dovevano ancora accontentarsi di pochi locali, stretti e umidi, con suolo di ghiaione e scale di legno.
Dopo il 1830 furono piantati o rinnovati i cippi segnaletici agli incroci stradali più importanti. Risulta che nel 1832 la Deputazione comunale di Sant'Antonino sollecitò, presso l'autorità distrettuale, la correzione della "frizza" sull'unico cippo piantato in territorio comunale, proprio alla fine della contrada che stiamo considerando, perché, così com'era incisa, disorientava i viandanti, mandando a Castano anche chi voleva andare a Vanzaghello.
Tra le vasche comunali esterne all'abitato per la raccolta delle acque piovane, una era in questa zona su un terreno di donna Luigia Piantanida, la quale nel 1844 si fece pregare più volte per provvedere ad estirpare delle robinie cresciute nel "rizzo" che circondava la vasca.
Da notare che in via Baracca 8 rimane una Madonna con Bambino dipinta intorno al 1910 dal pittore Luigi Brusatori, a quel tempo abitante a Sant'Antonino.
Da via Baracca si raggiunge il cimitero nuovo, del 1912, sull'attuale via Montello; l'area del vecchio cimitero è di competenza territoriale dell'altra contrada e corrisponde oggi al Parco delle Rimembranze.
Nel 1574 il curato Frotti di Lonate, compilando lo stato delle anime della sua porzione, non ometteva la "villa Della Croce", cioè il piccolo nucleo abitato di Tornavento, tre cortili con 31 persone in tutto; nel 1622 la denominazione era Cassina Della Croce. Da pochi anni, per decreto di san Carlo, Tornavento apparteneva alla parrocchia di Lonate, mentre fino al 1564 era stato sotto la parrocchia di Magnago, inizialmente estesa fino al Ticino, dalla quale si erano via via staccati tra il 1496 e il 1529 i villaggi di Sant'Antonino, Vanzaghello e Bienate.
Ma Tornavento era già locus nel 1353, anzi nel 1263 quando vi abitava un certo Zanolo Lamperti. In un atto del 1465 del notaio lonatese Stefanino Cane, con cui i fratelli della Croce affittavano ai fratelli Perotti campi, prati e boschi di Tornavento, è menzionato un terreno nella valle del Ticino subtus Castellatium, cioè che stava sotto una fortificazione piuttosto antica e ormai cadente. Questa struttura poteva fungere da punto di riferimento utilissimo per chi, navigando con barca o barcone sul Ticino, fiume ancora rapido e vorticoso in questo tratto, voleva essere avvertito che l'imbocco del Naviglio era prossimo. Donde l'epiteto di torre segnaletica per i naviganti, turris naventium, italianizzato in Tornavento, nome poi esteso anche alle case che sorsero lì accanto.
È solo un'ipotesi che la chiesa di Sant'Eugenio già esistesse nel Trecento; certo esisteva nel Seicento quando ebbe un cappellano. Il piccolo nucleo abitato crebbe col tempo più degli altri cascinali che si formarono intorno sul pianalto e nella valle. Gli abitanti erano 89 nel 1824, ben 251 nel 1864. Nel 1900 Tornavento contava oltre 400 anime, comprese quelle delle adiacenti cascine del pianalto e dei mulini in valle, e diventò parrocchia autonoma.
Ciò che sta sotto Tornavento, nella valle del Ticino, è un museo all'aperto di tecnologia idraulica realizzata in epoche differenti. Dall'alto l'occhio spazia agevolmente e vede i canali Villoresi e industriale, la roggia molinara, il ponte in ferro sul Ticino, vede l'inizio del Naviglio Grande con la Casa della Camera, la paladella in granito che divide l'acqua del fiume in due parti: a sinistra l'imbocco del canale, a destra la "Bocca di Pavia" per la quale si proseguiva la navigazione sul fiume; vede la Castellana, dalla quale nell'Ottocento partiva una barca-corriera per trasporto di persone fino a Milano Porta Ticinese. E ci sarebbe da vedere, se tutto non fosse stato cancellato, in valle e sopra, la meravigliosa "Ferrovia delle barche" ideata da Carlo Cattaneo per sollevare le stesse dal Naviglio al pianalto e da lì trasportarle su vagoni trainati da cavalli sino a Sesto Calende con grande economia di tempi e di fatiche rispetto ai modi prima in uso per risalire il Ticino. L'industrializzazione animò la valle del Ticino, richiamando mano d'opera e determinando l'aumento della popolazione residente. È attestata nel 1900 una filatura di lana Trezzi. Una centrale termica a carbone funzionò nel primo decennio del Novecento, producendo energia elettrica per la ferrovia Milano-Gallarate-Varese. Nel 1910 funzionavano in valle il Tubettificio di Tornavento di proprietà Formenti e Gorla e, ai Molinelli, la ditta Gagliardi (cardatura cascami, produzione di cotone idrofilo). Sempre nel 1910 al ponte Ticino c'era una pista ciclabile ove si esercitava il Velo Club Ticino; contemporaneamente nell'abitato di Tornavento operava l'oste Lattuada, funzionava la scuola elementare con una sola maestra, c'era l'ufficio idraulico del Naviglio Grande. Dopo il 1920 aprì la Trattoria dell'Altopiano. Nel 1933 cominciò l'attività l'asilo infantile Parravicino.
Storicamente in territorio di Lonate, ma non lontano dall'abitato di Tornavento che anzi lo poteva osservare dall'alto, era il "porto", cioè il traghetto per il trasporto di uomini e merci attraverso il fiume Ticino. Questa realtà importantissima, che pure teneva occupate per il suo funzionamento pochissime persone, era certamente più antica del primo documento finora reperito che ne fa menzione: la concessione in affitto della struttura nell'anno 1421 da parte del comune di Lonate, che ne divideva proprietà e diritti con il comune di Oleggio. Il comune di Lonate concedeva, limitatamente alla quota di sua spettanza, ad Antonio da Cardano, gestore anche del porto di Castelnovate, il diritto di traghettare attraverso il Ticino con le due navi di comproprietà Lonate-Oleggio che allora valevano 34 fiorini d'oro. La bastia era allora sulla sponda di Oleggio.
Un atto del 1465 attesta la vendita tra Piantanida fernese di un bosco in territorio di Lonate a filo della roggia nuova dei Vismara "super strata publica portus bastie": c'era dunque una fortificazione anche sulla sponda lonatese del Ticino. Erano allora "i portinari del porto di bastia sul Ticino" Antonio Piantanida e Cristoforo Brusatori.
Il porto dovette cambiare posizione più volte, in obbedienza ai capricci del grande fiume. Nel 1499 un Piantanida di Oleggio vendette a un nobile Modoni di Lonate un terreno con edifici sulla sponda di Oleggio ad portum novum. Nel 1536 è riconosciuto ai comuni di Lonate e di Oleggio il diritto di "mutare" il porto "de loco ad locum ad eorum libitum".
Nel 1574 alla casa del porto abitavano i fratelli Domenico e Cesare Bombarda con i familiari, cinque persone in tutto. Nel 1636, nei giorni precedenti la battaglia di Tornavento, i soldati franco-sabaudi invasori del ducato di Milano, "trovandosi il porto dalla parte di là, lo presero et lo trattennero così incordato". Nel 1783 il porto era affittato a un certo Masser. Nel 1875 il comune di Lonate appaltò il porto natante o traghetto al signor Arbini: allora l'impianto era poco a valle del successivo ponte in ferro. Fornito di due barche unite dal soprastante palco munito di parapetto, il traghetto era assicurato con cavo e carrucola ad una fune tesa attraverso il Ticino e si muoveva da una sponda all'altra sfruttando la corrente dell'acqua, con opportuna manovra del timone.
Pochi anni dopo, precisamente nel 1889, fu costruito sul Ticino per il raccordo tra Lonate e Oleggio un ponte di ferro che rese anacronistico il secolare traghetto.
BIBLIOGRAFIA:
Archivio comunale di Lonate Pozzolo, in particolare la sezione Mariani.
Archivi parrocchiali di Lonate e di Sant'Antonino. Archivio di Stato, Milano: fondo notarile (notai Cane e Gennari);
Archivio di Stato di Varese: catasti.
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Antiche pergamene dei soppressi monasteri di Lonate Pozzolo (1254-1576), a cura di F. Bertolli e F. Lincio, ed. Nomos 2002.
Interviste a persone anziane.
Se volete maggiori informazioni, rivolgetevi alla Pro Loco di Lonate Pozzolo, indirizzo via Cavour 21, telefono 0331/301155.