(da "La Nona Campana", maggio 2004)
A Sant'Eugenio, festeggiato dalla parrocchia di Tornavento i1 30 dicembre, che sarebbe stato vescovo transalpino del sec. VIII e difensore del rito ambrosiano secondo tradizioni medievali che oggi la critica non accoglie benevolmente, risultano dedicate cinque chiese e due altari nel contado milanese (in Mediolanensi pago) sul finire del XIII secolo secondo il "Liber Notitiae Sanctorum Mediolani" del Bussero, che in questo caso non si preoccupa di fornire le ubicazioni. Il fatto che Tornavento compaia in carte trecentesche come "locus" della pieve di Dairago, non è sufficiente per concludere che il piccolo nucleo abitato avesse già una sua chiesina o cappella.
Una "capella de Tornavento", sempre in pieve di Dairago, è comunque indubbiamente attestata nel 1398 dalla "Notitia cleri". Un edificio consentiva la celebrazione periodica (almeno festiva) di messe in Tornavento sulla base di un legato, certamente motivato dalla lontananza del luogo sia da Lonate che da Nosate. Non risulta chi lo abbia istituito. Qualche notizia per i secoli XIV-XV sull'abitato di Tornavento e sulla sua chiesa, con ogni probabilità già dedicata a S. Eugenio, potrà affiorare dalle carte antiche, soprattutto notarili, se si compirà una ricerca mirata.
Noi sappiamo che, al tempo della visita pastorale del cardinal Carlo Borromeo, Tornavento era una "cascina" dipendente dalla cura di Lonate, quindi in pieve di Gallarate. Sappiamo che i Borromeo nel 1570 tracciò alcune prescrizioni per la chiesa di S. Eugenio, tali da darci un'idea sullo stato dell'edificio: "Si provegga di pietra sacrata grande ..., la bradella si facci grande, la soffitta della chiesa s'accomodi che sii ben chiusa, almeno sopra l'altare, si levino fuori di chiesa quelle figure profane di legno ripòsteli, si tenghi serrata dal cappellano se non mentre vi si celebreri la messa".
Nel 1574 Tornavento, "villa del magnifico signor Giovanni Marco Della Croce", contava 31 abitanti, divisi in tre "fuochi" o famiglie e altrettanti cortili.
Nel 1596 la cascina di Tornavento contava solo 13 abitanti, cui bastavano due sepolcri comuni interni alla chiesa. La chiesa di S. Eugenio, piccola, con soffitto non perfettamente sistemato, con pareti in parte dipinte, in parte soltanto intonacate, dotata di confessionale e di acquasantiera, aveva l'altare "in capo alla chiesa" ad ovest, chiuso da cancellata di legno e sovrastato da un crocifisso dipinto sulla parete, la porta d'ingresso ad est, affiancata da due finestre basse con inferriata, una finestra grande e quadrata sul lato meridionale. Aveva una campana, ma non la sacrestia, bastando custodire la poca suppellettile scranni o cassapanche (in sedilibus ligneis). Vi si celebrava ogni domenica per legato del signor Pompeo Della Croce. L'edificio recava sulle pareti i segni della consacrazione, probabilmente effettuata non molto tempo prima in seguito a una ristrutturazione di esso, risultando disatteso il tradizionale "orientamento" medievale delle chiese e delle cappelle. Cappellano di S. Eugenio dopo il 1596 fu Giovan Battista Ferrario.
La situazione si manteneva sostanzialmente identica nei 1622, quando il visitatore ecclesiastico precisava che l'altare - sempre a ponente - era situato non dentro una cappella o nicchia ma sotto un semplice baldacchino, che sulla parete dell'altare erano dipinti i santi Eugenio e Caterina ai lati dei crocifisso, che altre figure di santi erano dipinte sulla parete settentrionale della chiesa ma non sulla meridionale, che presso la cancellata di legno antistante l'altare erano gli scranni dei patroni Della Croce. Il pavimento - lasciò scritto il visitatore - era alquanto dissestato, la chiesa non era preceduta da atrio o portico, sosteneva la campana della chiesa un arco costruito sull'angolo settentrionale della facciata. Si celebrava ogni domenica e nel giorno di S. Eugenio - a cura del cappellano Scala di Sarzana - in adempimento del legato di mille scudi d'oro istituito nel 1605 da Ferdinando Della Croce, arcidiacono del Duomo di Milano.
Nel 1625 il manzoniano cardinal Federigo Borromeo invitava a porre sopra l'altare due gradini o ripiani di noce dorati per la croce e i candelieri, a sistemare il soffitto e i sepolcri, ad imbiancare le pareti, ad alzare le finestre nella facciata, a costruire la sacrestia. Certamente trovarono poco da saccheggiare le truppe francesi ne1 1636 nei giorni della battaglia che prende nome da Tornavento e che le vide contrapposte alle truppe di Spagna.
Perfezionarono il legato dell'arcidiacono a favore di Sant'Eugenio "in capsina Tornaventi" i sacerdoti Diomede ed Orazio Della Croce nel 1644, vendendo terreni in Magnago e comprandone a Tornavento per formare o, meglio, potenziare il patrimonio del cappellano pro tempore, cui si assegnava per abitazione una casa che sarebbe poi stata ceduta nel 1880 alla famiglia Parravicino. Cappellano nel 1689 era Ercole Gomez, di evidente cognome spagnolo; dal 1707 Giovanni Cesare Della Croce, poi Giovanni Maria Giudici; negli anni 1714-1716 Andrea Pinza; dal 1731, eletto dai patroni Della Croce, il chierico Carlo Cardani.
Nel 1684 l'oratorio di Sant'Eugenio misurava 15 x 10 braccia, cioè poco meno di 9 x 6 metri. Il catasto di Maria Teresa del 1722-53 dà un'idea precisa dell'abitato di Tornavento, costituito di poche case ed orti di proprietà dei signori Della Croce, delle monache lonatesi di S. Agata, del nobile Paolo Parravicino che vantava anche un giardino grande più di 4 pertiche. Sulla piazzetta a sud dell'abitato è disegnata la chiesa, che sembra ormai dotata di altare a levante. Il card. Pozzobonelli, in visita nel 1750, rilevava che l'oratorio, pur piccolino (perexiguum), aveva l'altare "dentro una cappella" o nicchia. Tutti i sacerdoti di Lonate, che allora erano quasi una decina, confluivano a Tornavento i1 30 dicembre, festa di S. Eugenio, per la messa cantata, e il giorno seguente per un ufficio funebre.
Dalla carta teresiana e dagli atti della visita del Pozzobonelli si può dedurre che la chiesa era stata ampliata alquanto, con trasferimento dell'altare, ma non si era ancora costruita la sacrestia. Al primo Settecento sono da ascrivere sia il pulpito intarsiato di noce con coste angolari di castagno, sia i due angeli di legno scolpito, posti ai lati dell'anconetta di marmo sovrastante l'altare.
Una più radicale trasformazione, forse una ricostruzione, con ampliamento ulteriore, deve essere avvenuta nel secondo Settecento o nel primo Ottocento, quando la chiesa raggiunse l'equilibrio architettonico interno e una certa grazia complessiva che ancora la contraddistinguono.
La mappa dell'abitato del 1857 presenta infatti una pianta più larga rispetto a quella dell'epoca teresiana, con il campanile già costruito alla sinistra della cappella, la sacrestia e forse un altarino laterale a destra. Intanto ne11821 Bernardo Rigoli aveva aggiunto un legato perpetuo di messe. Probabilmente utile a suggerire la data dei lavori di ampliamento è l'installazione dell'organo che ancora si conserva sulla controfacciata della chiesa, proveniente da Solcio di Lesa, installazione avvenuta nell'anno 1806.
Pianta della chiesa di Tornavento disegnata nel 1858 dall'ing. Luigi Giudici
L'ampliamento era necessario. Nell'Ottocento, particolarmente dopo l'unificazione d'Italia, la popolazione di Tornavento crebbe di molto. Richiamavano immigrazione la mezzadria vigente in agricoltura, gli impianti per la "ferrovia delle barche" costruiti nel 1858, lo stabilimento Gagliardi attivato nel 1876, la costruzione del canale Villoresi nel 1886. Nel 1871 Tornavento, da tre anni frazione del Comune di Lonate, ebbe un suo cimitero. Nel 1876 contava 400 anime secondo un ricorso, forse gonfiato, dei fabbricieri lonatesi all'Amministrazione per il Culto, tendente ad ottenere un assegno "per il prete residente in Tornavento perché non muoia di fame". Nel 1887 furono benedette campane nuove. Dal 1864 al 1882 visse nella frazione come cappellano, prima di trasferirsi a Milano, Carlo Colli, patriota e scrittore di storia locale. Nell'anno 1900 Tornavento diventò parrocchia indipendente da Lonate; suo primo parroco fu Luigi Genoni, l'ultimo cappellano o, meglio, l'ultimo coadiutore in loco.
Nello stesso anno venne costruito davanti alla chiesa il grazioso porticato o pronao, con colonnine di granito e soffitto a cassettoni, corredato di una iscrizione in lettere capitali dorate: "In memoria di Don Ippolito, a beneficio dei terrieri, Casa Parravicino disegnava, costruiva, donava. Anno 1900".
Nel 1897 Tornavento era ancora parte della parrocchia di Lonate; prima della visita pastorale del cardinal Ferrari nel 1904, don Antonio Loaldi compilò già i moduli rituali in quanto parroco di Tornavento, separatamente da Lonate. A don Loaldi si deve la prima parte della manoscritta Cronistoria della parrocchia di Tornavento, dove si legge: « La cappellania di S. Eugenio in Tornavento, con Decreto Arcivescovile 23 settembre 1900 e con Regio Decreto 11 agosto 1902, venne eretta a parrocchia, nominando parroco il M. R. D. Luigi Genoni, cappellano in luogo. La parrocchia di Tornavento deve la sua esistenza alla ferma volontà del compianto Nob. Ippolito Parravicino, che presso la Curia ed il Comune, lottando per parecchi anni contro infinite difficoltà finanziarie, riusciva finalmente ad appianarle tutte. » Il beneficio parrocchiale - continuava la nota Loaldi - fu costituito con le preesistenti modeste rendite della cappellania, con capitali provenienti dal Comune di Lonate (£ 6000) e dall'ing. Giulio Parravicino (£ 3000); e "il Cardinale Andrea Carlo Ferrari arcivescovo di Milano offriva £ 1000". Il cappellano Genoni morì prima di poter fare il festoso ingresso ufficiale come parroco.
Nel 1904 la parrocchia contava 545 persone domiciliate, un quarto delle quali disperse nelle circostanti cascine Maggia, Parravicino, Semprevento, Sperone e Castellana. Della chiesa parrocchiale, dedicata a S. Eugenio, il parroco scrive che non era consacrata, che era stata ricostruita nel 1854, che presentava due altari laterali (del Rosario e del S. Cuore). Della chiesetta della Maggia scrive che era di proprietà Parravicino, che era intitolata a S. Girolamo, che era in disordine e pochissimo usata. Dice ampia la casa parrocchiale (di 8 locali più annessi), vicina alla chiesa, in ottimo stato, in posizione di balcone sulla valle del Ticino. Dice modeste le entrate sia della sua prebenda sia della fabbriceria (tra esse spicca il "ricavo delle sedie").
Dalle risposte del parroco ai quesiti si apprende che la gente era di buoni costumi e attaccata alla religione; dieci soltanto erano gli inosservanti del precetto pasquale; le donne frequentavano mensilmente quasi tutte il confessionale, gli uomini soltanto nelle principali solennità. Il parroco insegnava catechismo nella scuola pubblica, alla messa festiva spiegava il vangelo. Nei venerdì di quaresima c'era predicazione speciale. I bambini facevano la prima Comunione di maggio, nella festa di S. Croce (usanza di chiara matrice lonatese). Alla terza domenica di ogni mese, da maggio a ottobre, si teneva la processione eucaristica; le Quarantore a novembre. Si dava rilievo alle feste di S. Antonio, di S. Biagio, di S. Agata, di S. Croce, di S. Anna, di S. Carlo, oltre che di S. Eugenio. Presenti in parrocchia con istituzione regolare e con alto numero di iscritti la confraternita del SS. Sacramento (rami maschile e femminile) e la pia associazione della Sacra Famiglia.
Nell'ultimo quinquennio la popolazione era cresciuta di 100 persone, scrive il parroco, "causa la Centrale della forza elettrica che muove i treni da Milano a Porto Ceresio", della Rete Mediterranea, ove si praticava anche lavoro notturno e festivo; ma c'erano a Tornavento altri tre stabilimenti industriali, che sono noti da altre fonti. Tuttavia l'attività prevalente della popolazione rimaneva l'agricoltura. Parravicino, Vigevano, Cormani, Gadda, Magnaghi, Gagliardi erano i principali possidenti. Il parroco giudicava cattivi i giornali Perseveranza, Corriere della Sera, Tempo, Secolo, che sapeva localmente letti; ma da quanti?
Fatta la visita, l'arcivescovo raccomandava di ampliare la chiesa e di fare "un po' d'oratorio festivo pei figliuoli".
Dopo la visita pastorale il parroco, che era in carica dal settembre del 1903, inizia la Cronistoria di cui s'è detto, giustificandosi con queste parole d'apertura: « Per annuire alla volontà del Cardinale Andrea Carlo Ferrari Arcivescovo di Milano il parroco Loaldi D. Antonio alla meglio, ma coscienziosamente la cronaca presente compilò. »
Alla visita pastorale del 1904 dedicò poche righe, collocandola tra le sue prime spese: « Si sostenne nel maggio del 1904 la grave spesa (relativamente alla povera parrocchia) della visita pastorale del Cardinale Arcivescovo Andrea Carlo Ferrari. I parrocchiani erano pieni di fede e di slancio. »
Fu don Edoardo Riboni, parroco dal 1910, a riempire i moduli e a rispondere al questionario per la successiva visita pastorale, del 1911, quando Tornavento contava 406 abitanti. Riportiamo le differenze rispetto alla situazione del 1904. Metà ormai erano operai, molti gli emigranti. Nuclei staccati erano la Maggia, S. Anna - S. Giuseppe, Cascinetta, Molinazzo e Molinelli. Nella chiesa parrocchiale, decorata nel 1910, si era aggiunto un altare intitolato a S. Anna e si era istallato l'organo. La chiesetta della Maggia compare sotto il titolo di S. Maria Consolata.
Il parroco teneva tutte le feste la "dottrina" per gli adulti, ma la frequenza era bassa; teneva l'istruzione religiosa per i fanciulli ogni giovedì e durante le vacanze scolastiche ogni giorno; a scuola insegnava catechismo "grazie a Dio" la maestra; la gara catechistica si faceva alla festa di S. Luigi. Il parroco rimediava alla mancanza degli oratori, ospitando i giochi dei ragazzi nel giardino e intrattenendo i più grandi nella casa parrocchiale, radunando le ragazze in una stanza sopra la sacrestia sorvegliate dalla "direttrice delle Figlie di Maria". I genitori erano assai più attenti agli interessi che all'educazione cristiana dei figli.
Era garantita predicazione particolare per gli adulti in aggiunta all'omelia festiva: in avvento una predica alla settimana, in quaresima due, nelle Quarantore due prediche al giorno, un pensiero religioso in ogni giorno di maggio. Esercizi spirituali per il popolo si erano tenuti nel 1910, la Missione in ottobre del 1911 prima della visita pastorale. Il primo venerdì e la terza domenica di. ogni mese si faceva esposizione eucaristica, le Quarantore ora si celebravano alla fine dell'anno, ma una decina soltanto erano le comunioni quotidiane. Lontani dalla chiesa erano una quindicina, fra uomini e donne. "Scandali pubblici niente. Balli continuamente anche in quaresima. Ubriachezza poca". Accanto alla stampa cattiva circolava la buona: "II Resegone", "L'eco del Gallaratese". Alle pie associazioni preesistenti si erano aggiunte le Figlie di Maria.
Succinta, telegrafica la nota del parroco Riboni nella Cronistoria, da lui continuata: "17 ottobre. La Sacra Visita Pastorale. Sua Eminenza partì soddisfat[t]issimo. Convisitatore Mons. Nasoni".
L'ampliamento della chiesa parrocchiale, insufficiente da anni, auspicato dal cardinale nel 1904, si fece a partire dal febbraio del 1917, a guerra in corso, per "una circostanza favorevole", su disegno di Enrico Locatelli, che era il parroco di Vergiate ma al tempo stesso un "bravissimo ingegnere" non solo secondo il parroco Riboni. Costui nella Cronistoria non tacque che "il popolo appoggiò il lavoro e con vero entusiasmo concorse alle spese (£ 1300)", aggiungendo anche che "Sua Eminenza il signor Cardinale di Milano, Andrea C. Ferrari, offriva £ 500".
Nell'anno 1918, anno dell'ultima visita del cardinal Ferrari, Tornavento contava 548 parrocchiani, 250 emigrati in America. Gli era assegnato un secondo sacerdote, Salvatore Pianelli, trattenuto però dalla Patria altrove per servizio militare: una sorte allora comune a tanti giovani sacerdoti. Donne e giovani dell'Unione concorrevano all'istruzione festiva dei fanciulli. Le comunioni erano salite a 30-40 al giorno. Adorazione eucaristica in comune si teneva ogni domenica sera. Si predicava anche nella novena dei morti. Di nuova formazione i gruppi dei Luigini, del S. Cuore, le Madri cristiane, i Terziari francescani, l'Unione Giovani ed anche la cooperativa S. Eugenio e il circolo cattolico con 70 soci. Durante la guerra si era messo in funzione un asilo parrocchiale per l'infanzia. L'arcivescovo non mancò di riconoscere al parroco l'impegno efficacemente profuso: "Ci rallegriamo per il bene fatto dal parroco specialmente alla gioventù".
A questo 'decreto' vescovile di plauso non seppe esimersi dal fare riferimento don Riboni quando scrisse della visita nella Cronistoria parrocchiale: « 1918. Sacra Visita Pastorale, marzo giorno 12. Sua Eminenza fu ricevuto con tutta cordialità. I soldati bombardieri col sacerdote Pianelli don Salvatore cantarono l'Ecce Sacerdos. Sua Eminenza fu contentissimo per l'andamento della parrocchia e pei lavori compiuti in chiesa. (Basta osservare il decreto della S. Visita). » Questa frase non può essere spiegata se non nel senso che don Pianelli era cappellano nel vicino campo di aviazione di Lonate Pozzolo, dove funzionava una scuola di bombardamento aereo.
Nel 1917 la chiesa di Sant'Eugenio venne allargata per l'aggiunta di locali di servizio sui fianchi e di pseudo-navate, venendo a occupare a nord una striscia di strada ceduta dal Comune. Seguirono negli anni '20 i cancelletti in ferro battuto di buona fattura e successivamente i dipinti alle pareti firmati da Luigi Brusatori (1885-1942), pittore lonatese che operò anche nelle chiese di Crenna, Castano Primo, Vigevano, Viarigi, Alessandria e San Francisco. Dopo la morte del Brusatori, altri affreschi furono eseguiti nel 1946 da Giovanni Garavaglia (1908-1959), detto "il Pittore degli Angeli", nato ad Ossona (allora comune di Casorezzo), che ha operato in molte altre chiese del circondario, tra cui a più riprese nella parrocchiale di Arconate (1947-1953), nella Chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo di Turate (1948-1957) e nella Chiesa della Madonna della Neve di Boffalora (1959).
La chiesa di Sant'Eugenio dopo l'ampliamento del 1917 (foto dell'autore di questo sito) |
Innovazioni ha apportato di recente don Pietro Snider. È da ricordare la composizione, nel 1983, dell'ambone per la proclamazione della parola di Dio: ambone ottenuto per l'opera di un artigiano canturino mediante ridimensionamento del pulpito settecentesco, sovrapposizione di un leggio, inserimento decorativo - sotto il leggio - degli angeli di cui si e detto. Ma soprattutto è da ricordare la collocazione, come pala dell'altare, di una maestosa "Deposizione" datata 1545, ove le figure di Nicodemo e di Giuseppe di Arimatea reggono i simboli della crocifissione - chiodo, martello, tenaglie -, affresco strappato da un portico della Castellana nel 1981 che può essere fatto risalire alla scuola di Gaudenzio Ferrari, piemontese, e intorno al quale si può leggere l'articolo sottostante.
Nell'estate 2010 l'interno dell'edificio è stato completamente restaurato. I due gradini che davano accesso alle navate laterali sono stati rimossi, cosicché il pavimento oggi si presenta tutto su di un unico livello. Si è scavato sotto il pavimento per realizzare un impianto di riscaldamento, utile soprattutto nei mesi invernali; l'antica pavimentazione in cotto non è stata ritrovata, e così è stata rifatta nuova di zecca. Le pareti sono state scrostate per eliminare il problema dell'umidità di risalita, ed è stata restituita loro la colorazione originaria. I mobili dell'altare, del coro e della sagrestia sono stati accuratamente ripuliti e restaurati. La suddetta Deposizione è stata spostata sulla parete di destra, in modo che il ciborio con il crocifisso sull'altare è tornato visibile a tutti; hanno fatto il loro ritorno anche quattro angeli, due grandi di pietra candida fin qui nel deposito della parrocchia, e due piccoli in legno sulla semicupola del ciborio. Anche il portone, ormai molto logoro, è stato sostituito con un nuovo, dotato di ampie finestrature. Nel presbiterio si è ricuperata un'antica tribunetta, che è stata integrata al leggio in marmo rosa, realizzando un vero ambone. Anche la statua di Sant'Eugenio, patrono di Tornavento, ha avuto una migliore collocazione in una nicchia immediatamente a sinistra dell'ingresso, sopra il fonte battesimale. Iniziati il 26 aprile 2010, i lavori si sono conclusi il 14 novembre successivo con la riconsacrazione dell'edificio da parte del Prevosto di Gallarate, Monsignor Franco Carnevali.
Ecco l'elenco completo dei parroci residenti in Tornavento (don Franco Crippa fu vicario parrocchiale):
don Luigi Genoni | 1902-1903 |
don Antonio Loaldi | 1903-1910 |
don Edoardo Riboni | 1910-1919 |
don Vito Baroni | 1919-1931 |
don Abbondio Rocca | 1931-1941 |
don Angelo Gornati | 1941-1973 |
don Franco Crippa | 1974-1975 |
don Pietro Snider | 1975-1985 |
don Giovanni Grulli | 1985-1986 |
don Oliviero Bruscagnin | 1987-1994 |
Il 1 gennaio 1995 il cardinale Carlo Maria Martini ha ricostituito l'unità pastorale tra le parrocchie di Sant'Ambrogio in Lonate Pozzolo e di Sant'Eugenio in Tornavento. Da allora i parroci e i coadiutori di Lonate esercitano il loro ministero anche a Tornavento.
L'interno della chiesa di Sant'Eugenio dopo i lavori di restauro del 2010 (foto dell'autore di questo sito) |
(da "La Nona Campana", marzo 2002)
Una delle pitture più antiche del territorio lonatese è il Compianto sul Cristo morto che stava su una parete della Cascina Castellana, sulla riva del Naviglio Grande, e in seguito fu riutilizzata come pala d'altare della chiesa di Tornavento. L'anonimo pittore lombardo-piemontese del sec. XVI, sia pure con modi popolareschi, interpreta il tema in quegli anni particolarmente sentito nella preghiera e nell'arte, dimostrandosi un attento osservatore degli esempi della pittura colta, soprattutto nell'area novarese-valsesiana, che trovava in Gaudenzio Ferrari e nella sua scuola momenti di grande e partecipe poesia figurativa. Se l'affresco può inserirsi, pur con i suoi limiti e le sue ingenuità, entro questo filone, tuttavia non è che in esso vi sia riferimento specifico e puntuale ad opere degli artisti gaudenziani. Piuttosto l'artista ha rielaborato spunti visti e meditati, riprendendo lo schema delle devozionali Pietà: la figura dolente della Vergine che regge il Figlio morto, avendo alle spalle il fariseo Nicodemo che mostra i chiodi e il martello, strumenti della passione di Cristo, e Giuseppe D'Arimatea, con le tenaglie e la corona di spine fra le mani, discepolo segreto di Cristo e fornitore del sepolcro.
La raffigurazione è posta in un ambiente aprospettico, foggiato a mo' di portico architravato, con il pavimento a mattonelle quadrangolari - i lustri midóm delle case della nostra infanzia - sul quale posa un simbolico agnello sacrificale che, rappresentato anamorficamente, si deforma rivelando il teschio; sullo sfondo, striato da livide nubi, si stagliano sinistre le tre croci del Calvario.
La pittura - come si diceva - è più cotta di quello che la sua esecuzione, certamente non eccelsa, può far ritenere. Oltre alla scuola gaudenziana, alla quale rimandano le figure di Nicodemo e di Giuseppe D'Arimatea, occorre far riferimento per il gruppo della Pietà a tutta una serie di "Addolorate" protocinquecentesche di area lombarda, come quella della Madonna della Neve a Rho, assunta a gran rinomanza tra i devoti dopo l'acclamato evento miracoloso.
Indicative per la devozione sono anche le scritte in italiano vetero-popolare, che si leggono in basso, su due righe: "Chi 14 Pater e cinqui Avimarie bona devotione dirà, XII anni per volta aguadagnarà - 1545 die ...".
Al sommo, invece due ermetiche, ma incisive parole: "Postea mori". La morte di Cristo seguiva alle tremende sofferenze rappresentate dalle spine, dai chiodi, dalla croce.
Il dipinto venne staccato ad iniziativa dell'allora parroco don Pietro Snider e nel 1983 fu restaurato dallo studio Carli e Nichilini di Busto Arsizio. Dopo il restauro della Chiesa di Tornavento avvenuto nel 2010, fu posto sulla parete di destra della chiesa guardando verso l'altare, accanto a quest'ultimo.
Giuseppe Pacciarotti
FERDINANDO DELLA CROCE E LA CHIESA DI TORNAVENTO
(da "La Nona Campana", aprile 2007)
Della chiesa tardo-medioevale di Tornavento dedicata a Sant'Eugenio non si sa molto. Si sa che era molto piccola (m 6,30 x 4,20 circa), che non era orientata bensì con l'altare a occidente (verso la valle del Ticino), che aveva due finestre in facciata e un'altra quadra nella parete settentrionale, che presentava i segni della consacrazione ricevuta (ma non si sa quando), che mostrava dipinti sulle pareti (non definiti antichi), che aveva due sepolture interne ad uso della piccola comunità locale, che vi si celebrava ogni domenica grazie a un lascito del 1581 del nobile Pompeo Della Croce. Tutto questo lo sappiamo dagli atti delle visite pastorali compiute negli ultimi decenni del Cinquecento dagli arcivescovi di Milano e dai loro delegati.
Attingendo da carte dei secoli successivi Gian Domenico Oltrona Visconti stese un paragrafo nella sua Storia di Lonate sul lascito del 1605 di Ferdinando Della Croce, arcidiacono del duomo di Milano, assicurando che quel benefattore apparteneva ad una delle linee dei nobili Della Croce di Magnago. Bisogna ricordare però che la carica di arcidiacono ebbe nel volgere dei secoli un'evoluzione al ribasso. Originariamente l'arcidiacono era il capo dei diaconi di una chiesa, era il rappresentante del vescovo e, dal secolo X, candidato alla sua successione. Poi fu il primo dignitario del capitolo cattedrale. Infine, e così era nel Cinquecento, il titolo divenne meramente onorifico.
Un legame secolare di Tornavento con Magnago risulta dagli atti delle visite pastorali della pieve di Dairago, cui appartenevano tanto Magnago quanto Tornavento, quest'ultimo però in subordine al primo: Tornavento, situato oltre la fascia delle brughiere quasi sul ciglio della valle del Ticino, era l'ultima propaggine dell'antica e ampia parrocchia di Magnago, che nei secoli XIV e XV era stata via via frazionata in parrocchie minori di nuova formazione, quali Vanzaghello e Sant'Antonino. Nel 1566 mons. Francesco Bernardino Cermenati, incaricato da san Carlo Borromeo di visitare la pieve di Dairago, venne a Tornavento dopo aver visitato Bienate, Magnago, Vanzaghello, Sant'Antonino ed anche, sul percorso per Tornavento, la chiesa campestre di San Giovanni Battista appartenente alla parrocchia di Sant'Ambrogio di Lonate. "Visitò la chiesa di Sant'Eugenio, che e consacrata, nel luogo di Tornavento, pieve di Dairago", si legge negli atti della visita; in essi segue una breve descrizione dell'edificio. Fu san Carlo, con un decreto del 1570, a legare Tornavento alla parrocchia di Lonate e perciò alla pieve ecclesiastica di Gallarate:
"Si unisca Tornavento a Lonà Pozzolo, et si veda chi lì celebra, essendo solito a celebrarsi per un frate del Novarese, che sta di la dal Tesino et veniva ivi a celebrare senza altra licenza." (A Oleggio c'era un convento dei frati minori osservanti)
Nella pieve di Dairago la famiglia Della Croce era ben radicata fin dal Quattrocento. Ben sette prevosti di Dairago, fra il Tre e il Cinquecento, furono della famiglia Della Croce. Un Giovanni Della Croce fu rettore (cioè curato) di Ferno nella seconda metà del Quattrocento. A Lonate avevano proprietà nel 1574, secondo lo stato delle anime, due "magnifici signori" Della Croce: il signor Gian Marco possedeva diverse case sia sul lato est che sul lato ovest della contrada Borgo, oggi via Roma; un signor Giovanni Ambrogio Della Croce, della linea di Bienate, possedeva case nella contrada di Sopra, oggi via Garibaldi. Semplice lo stemma della famiglia: in campo chiaro una croce rossa con i quattro bracci terminanti a coda di rondine. Lo stemma della Croce si trova anche a Lonate: rimane nell'edificio d'angolo tra via Roma e la piazza maggiore. Nel 1574 il villaggio di Tornavento, da poco inserito nella parrocchia di Lonate, era tutto del predetto signor Marco Della Croce; formavano il villaggio tre case con 31 persone in tutto.
Ora possiamo disporre di un estratto del testamento dell'arcidiacono (che fu rogato dal notaio Gianetto Pusterla in data 23 febbraio 1605), e così possiamo conoscere qualche altro dettaglio riguardo alla chiesa di Sant'Eugenio.
Nel corso del 1602 il testatore lasciava scudi mille, già da lui investiti in alcune proprietà. Il previsto utile annuo di scudi 50 d'oro derivante dall'impiego di tale capitale diventava il compenso annuo del cappellano, al quale si faceva obbligo di celebrare nella chiesa di Sant'Eugenio, a suffragio del testatore, una messa in ogni giorno festivo, altre due messe durante la settimana, un ufficio funebre ogni anno aperto alla partecipazione rimunerata dei sacerdoti di Lonate. Lire 100 imperiali dovevano però essere inizialmente impegnate per restaurare la chiesa e per fabbricare la casa già incominciata per il cappellano, al quale si faceva obbligo di risiedere in Tornavento, con divieto di affittare la casa a privati. Finita quanto prima la costruzione, il cappellano residente doveva anche cantare ogni domenica il vespero nella chiesa di Sant'Eugenio e tenervi la spiegazione della dottrina cristiana, e festeggiare solennemente ogni anno il giorno di Sant'Eugenio.
A fronte della istituzione di questa cappellania che assicurava al villaggio una messa festiva in più, il testatore non gradiva che i massari e i circonvicini frequentanti la chiesa evitassero di versare le offerte cui erano soliti, le quali, a suo parere, potevano essere finalizzate alla costruzione di una sacrestia per la buona conservazione dei paramenti. La chiesa era infatti ancora senza sacrestia, come si legge negli atti di visita del 1596: allora la suppellettile ecclesiastica, d'altronde non numerosa, veniva custodita in una o due cassapanche. Ma la sacrestia si farà desiderare a lungo, fino a metà Ottocento. Mentre la festa di Sant'Eugenio entrò nella consuetudine, le due messe feriali stentarono invece a imporsi, invano sollecitate nelle visite pastorali seguenti ogniqualvolta si venne a trattare di legati.
A contenere i pochi edifici di Tornavento in versione che si può dire ancora seicentesca (fatto salvo che alle poche case si sia aggiunto il grande caseggiato signorile con ampio giardino alle spalle) è sufficiente il frammento di cartina riportato sotto, tolto dal catasto del 1722. La chiesa vi è indicata con una crocetta entro opportuna sagoma posta sopra una lettera A; ma, a ben guardare, questa sagoma riflette un edificio ormai orientato, quindi ristrutturato o ricostruito rispetto alla chiesa del Seicento. Alla stessa lettera A segue un'altra croce entro un terreno rettangolare, che potrebbe essere l'area cimiteriale, esterna alla chiesa. La casa del cappellano, voluta dall'arcidiacono Della Croce, potrebbe essere quella ubicata nel soprastante mappale n. 16, in un punto che l'avrebbe poi condannata alla demolizione perché inglobato nella successiva formazione della piazza. Ma per sostenere questi ultimi argomenti sarebbero necessari più precisi apporti archivistici.
IL PIO ISTITUTO SANTA CORONA A TORNAVENTO
(da "ComuniCare", aprile 2024)
A Santa Corona, vergine del secondo secolo associata nel martirio e nella liturgia a san Vittore, fu intitolato l'ente fondato a Milano nel 1497 dal frate Stefano da Seregno e da alcuni nobili per l'assistenza medica ai più poveri. L'ente acquisì via via proprietà nel territorio milanese per donazioni dei nobili che ne condividevano gli scopi, e partecipavano alla sua gestione amministrativa. Negli ultimi anni del Seicento e nei primi del Settecento sono documentate proprietà dell'ente (case e terreni) in molte località, tra cui Ferno, Lonate,Tornavento, Sant'Antonino, Vanzaghello. I beni del Luogo Pio furono organizzati in province, e l'agente di zona abitava a Vanzaghello in una casa nobiliare. L'istituto di Milano cessò le sue attività nel 1903, confluendo nell'Ospedale Maggiore, e la sua ricchissima documentazione storica (registri, pubblicazioni, pergamene) fu donata all'Archivio di Stato. Disponiamo di alcuni documenti, soprattutto dell'Ottocento, relativi al patrimonio dell'istituto nella nostra zon, in particolare a Tornavento.
Il possesso della Castellana pervenne al Luogo Pio per eredità del marchese Galeazzo Maria Visconti sul finire del Seicento, e comportava il diritto di gestione dell'osteria e della vendita di pane, vino e carne. Nel 1709 e ancora nel 1741 la Castellana fu affittata a Giovanni Bruno, nel 1746 a Carlo Giuseppe Montani, nel 1752 ad Andrea Candiani, nel 1772 a Carlo Cormani. All'affitto nel 1782 concorse Giacomo Pasta, macellaio di Gallarate, allora fornitore dei monasteri di Lonate, che qualche anno dopo comprerà la cascina Calderona, ma l'istituto gli preferì Agostino Brusatori, migliore offerente. Dello stesso anno l'archivio conserva la descrizione della cascina Castellana.
L'acquisto di Tinella risale al 1759. In precedenza era proprietà del Collegio imperiale Longone di Milano, che possedeva molte proprietà a Lonate ed aveva un agente all'ingresso di quella che oggi è via Roma 4. Tinella formava con Tornavento un comune fiscale autonomo, costituendone la propaggine inferiore affacciata sul Naviglio Grande, con un mulino plurisecolare. Nel 1804, in base a una relazione dell'ing. Ratti, l'istituto decise di piantare termini da vivo al confine dei propri beni verso quelli del comune di Bellinzago e dei signori Della Croce. Nel 1817 fece riparare il mulino.Nel 1849 l'istituto procedette giuridicamente contro i signori Luigi Trotti e Luigi Oltrona Visconti per turbato possesso, poiché avevano tagliato e sfalciato piante sul suo fondo di Tinella. Alcuni documenti del 1872 riguardano la darsena e il battello per l'attraversamento del Naviglio presso il mulino di Tinella, battello utile anche per accedere ai boschi, ma inservibile da più mesi. Altri documenti del 1878 riguardano il mulino, che andava aggiornato con un sistema più concorrenziale per la molitura dei cereali e per la pilatura del risone. Nel 1892 l'ing. L. Raffaglia sosteneva la necessità di sistemare la strada che dal mulino di Tinella portava a Tornavento. Qui sotto: il mulino di Tinella, demolito nel 1904 durante i lavori di sistemazione del Naviglio Grande.
In forza dei suoi possedimenti, nel 1809 il Luogo Pio ebbe un suo rappresentante nel consiglio del comune di Tornavento. Ebbe così modo di partecipare alla soluzione dei problemi legati al territorio: ragioni d'acqua, corrosione del fiume Ticino, rettificazioni d'estimo, estrazione di ghiaia, costruzione della strada alzaia del Naviglio. L'istituto ebbe voce in capitolo anche nelle vicende della chiesa e nella erezione della parrocchia: concorse alle spese per la ricostruzione della chiesa su progetto del 1841 dell'ing. Rossetti, dopo aver partecipato alle discussioni sulle cause del crollo della chiesa precedente, secondo l'ing. Sampietro dovuto alla rovina del campanile, sull'utilità della sua ricostruzione, sul coinvolgimento degli estimati. Nel 1898 si trattava per l'erezione a parrocchia della cappellania preesistente, e per questo risultato ha avuto un ruolo fondamentale il conte Ippolito Parravicino: c'è un motivo, se il suo nome rimane scolpito nel soffitto a cassettoni del prònao della chiesa!
Se volete maggiori informazioni, rivolgetevi alla Pro Loco di Lonate Pozzolo, indirizzo via Cavour 21, telefono 0331/301155.
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