LABORATORIO DI ZOOLOGIA: IL MONDO DEGLI ANIMALI

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Con questa foto digitale, scattata l'11 maggio 2005 dalla mia brillante allieva Marta Milano (III B cl. a.s. 2004/05), che ha già contribuito con generosità ad arricchire gli Armadi Virtuali di Fisica, lasciamo la botanica e ci inoltriamo nella zoologia. In pratica si tratta della fotografia di un armadio del laboratorio di geologia, zoologia e botanica del Liceo Classico di Gallarate, da me ripreso con il permesso del subconsegnatario, prof. Carlo Puglisi. In questa sezione si può vedere un'ampia collezione di animali sotto formalina:, che nel seguito esamineremo nel dettaglio. Sul ripiano superiore si riconoscono diversi invertebrati inferiori ed una tenia, lo strano verme bianco arrotolato più volte; sul secondo è invece visibile una serie di insetti. In particolare il vasetto più alto contiene delle api: ape regina, ape operaia, fuco. Che ne dite?
All'inizio dello studio della zoologia è giusto dedicare un tributo ad uno dei più grandi zoologi e naturalisti moderni, Charles Darwin (1809-1882), autore della moderna teoria evoluzionistica detta della selezione naturale. In occasione del duecentesimo anniversario della sua nascita, che ricorreva il 12 febbraio 2009, gli studenti del mio Liceo hanno realizzato una mostra in suo onore, composta di opere da loro stessi realizzate; e tra di esse spiccava questo magnifico ritratto a pastello del grande zoologo, circondato dalle immagini degli animali da egli stesso studiati con cura. Complimenti all'autore!
Oggi si ritiene che i Protozoi (in greco "vita primitiva") costituiscano un regno a parte, ma un tempo questi esseri viventi, scoperti dall'olandese Antoon van Loeuwenhoek nel 1676, erano considerati animali unicellulari; è giusto dunque iniziare questa rassegna proprio con un loro rappresentante, e precisamente con un ciliato, cosiddetto perchè deambula grazie alle numerose ciglia sparse lungo il corpo. La loro classificazione si basa sui diversi sistemi di locomozione: oltre ai ciliati (o infusori) si hanno le classi dei flagellati o mastigofori, dei sarcodici, degli sporozoi e degli acineti o suttori. Alcuni conducono vita parassitica. 
Uno dei ciliati più comuni è il paramecio (Paramecium caudatum),; sono chiaramente visibili i vacuoli digestivi. È facilissimo osservare questi organismi nelle acque putride, come per esempio in quella dei vasi che hanno contenuto fiori recisi. I protozoi, che per lo più si riproducono per scissione, comprendono tutti gli organismi monocellulari eterotrofi che un tempo erano considerati "animali unicellulari"; alcuni autori classificano come protozoi anche i fitoflagellati autotrofi.
Allevare parameci da osservare al microscopio è semplicissimo: come si vede nella foto scattata nel nostro laboratorio, basta porre in un bicchiere foglie in decomposizione ed aggiungervi una goccia di latte o un chicco di riso. Da notare che quando i parameci si muovono nell’acqua, seguono una traiettoria a spirale, ruotando rispetto all'asse maggiore. Se incontrano un ostacolo, indietreggiano, per poi riprendere una nuova direzione!
Un altro tra i protozoi più diffusi, stavolta appartenente alla classe dei sarcodici, è l'Ameba (dal greco "che si trasforma"), un genere che comprende sia specie marine che d'acqua dolce. L'ameba misura circa 25 micron ed è priva di forma propria, ma si deforma continuamente estroflettendo porzioni di citoplasma dette pseudopodi (falsi piedi), utilizzati anche per catturare il cibo. Alcune specie vivono su piante acquatiche, altre nel terreno umido; vi sono anche alcune specie che parassitano gli animali e l'uomo. Questa foto, come le due soprastanti, si trova nel ricchissimo sito Mad Scientist, che vi consiglio di esplorare.
Qui possiamo vedere ingrandito il primo ripiano dell'armadio sopra ritratto, sul quale si trovano diversi rappresentanti dei phila dei Poriferi e dei Celenterati. Essi sono i più primitivi rappresentanti del sottoregno animale dei Metazoi, cioè dei pluricellulari, e precisamente degli Acelomatici Radiati, privi cioè del celoma, la cavità presente tra il "foglio esterno" (la cute) ed il "foglio interno" (la cavità gastrica), e caratterizzati da una simmetria raggiata. Il terzo philum di questo gruppo è costituito dagli Ctenofori. Cliccate qui per scaricare l'intera classificazione del Regno Animale scritta dal prof. Puglisi.
Questo bellissimo esemplare di spugna (Callyspongia plicifera) ci introduce al primo phylum del Regno Animale, quello dei Poriferi, che rappresentano il tipo di organizzazione più semplice dell'intero Regno perchè, piuttosto che veri organi,  presentano un’organizzazione cellulare a tessuti. Sono animali sessili, il corpo appare sacciforme con un’apertura principale, detta osculo, che immette in una cavità gastrica. Le Spugne si nutrono facendo circolare grandi volumi d’acqua attraverso i pori (detti anche ostii) e intrappolando i batteri o le particelle di cibo sospese nell’acqua. La circolazione dell’acqua è provocata dal movimento dei flagelli dei coanociti,cellule presenti nel rivestimento interno della parete.Le spugne si riproducono sessualmente e, prima di diventare adulte, passano attraverso uno stadio larvale che si muove liberamente nell’acqua.
Con l'anemone di mare (Anemonia sulcata) cominciamo ad esaminare il phylum dei Celenterati. Esso appartiene alla classe degli Antozoi, sottordine degli Zoantarii o Esacoralli, ordine degli Attinarii. È un animale caratterizzato da simmetria esamera, ha cioè 6 tentacoli o in numero maggiore, sempre però diverso da 8. Nei nostri mari sono note varie specie, alcune delle quali vivono in simbiosi con i paguri. Sono animali solitari dal corpo cilindrico senza esoscheletro, provvisti di un'introflessione dell’ectoderma dentro la cavità gastrale in modo da formare uno stomodeo, detto anche faringe, esofago, proventriglio, o stomaco muscolare. Le Attinie sono anemoni con il piede munito di un disco adesivo, con il quale si fissano alle rocce o ad oggetti sommersi, e dunque sono specie per lo più bentoniche. I tentacoli sono spesso assai velenosi.
Il corallo rosso (Corallium rubrum) qui mostrato rientra nel phylum dei Celenterati, classe degli Antozoi, sottoclasse degli Alcionarii o Ottocoralli, ordine dei Gorgonacei. Esso formano ampie colonie cespugliose ramificate di colori vivaci, con uno scheletro calcareo colorato più o meno intensamente in rosso da sali di ferro. Con la morte dei singoli individui, le ramificazioni dei loro scheletri sono ricoperte dai nuovi individui nati; questo continuo processo, col tempo, dà origine ad ammassi rocciosi caratteristici, dai quali si ricava la pietra preziosa detta corallo per la produzione di oggetti di ornamento (fiorente l'attività artigiana di Torre del Greco). Essa forma immense barriere coralline lungo le coste del Pacifico.
La pennatula (Pennatula phosphorea) qui conservata sotto formalina appartiene anch'essa al phylum dei Celenterati, classe degli Antozoi, sottoclasse degli Alcionarii o Ottocoralli, ma all'ordine dei Pennatulacei. Frequente nel Mediterraneo, è provvista di un polipo principale, che ne forma l’asse; da esso si originano i polipi secondari, che possono essere portati da rami laterali disposti come le barbe di una penna. Vivono inserite con il piede su fondi molli, preferibilmente in acque calde. Alcune specie sono fosforescenti. I Celenterati o Cnidari comprendono gli Idrozoi, le Meduse, i Coralli e gli Anemoni di mare; la maggior parte delle 11.000 specie conosciute è marina (sono note solo 50 specie d’acqua dolce).
Ed ecco una magnifica medusa fotografata da Lorenzo Mainini, che ringrazio molto. Essa appartiene al phylum dei Celenterati, classe degli Scifozoi, ed ha il tipico corpo a sacco appiattito, al cui centro è posta la bocca circondata da tentacoli urticanti, a scopo sia di difesa che di predazione (le cubomeduse, sono particolarmente pericolose per l'uomo e possono causare anche la morte per shock anafilattico). Il corpo è composto per circa il 98 % da acqua: infatti sulla spiaggia al sole si disidrata in fretta.
Questa fotografia è stata scattata da Sandro Degiani nelle acque del Mar Rosso nel giugno 2012; sul fondo di questo mare limpido come cristallo si notano numerose madrepore. Si tratta di una classe di Celenterati molto simili agli anemoni di mare, ma a differenza di questi producono uno scheletro di carbonato di calcio. Comprendono più di 700 specie; e le loro colonie danno luogo alle grandi barriere coralline o reef e agli atolli. Quanto ai pesci qui visibili, quelli in primo piano sono Lutjanus monostigma, quello nero al centro vicino al corallo è un Acanthurus bahianus, al centro si vede un pesce Pappagallo a muso lungo (Hipposcarus harid), il pesce a bande bianche e nere sopra a un corallo è un Dascyllus aruanus.
Con la Fasciola epatica, tipico parassita nei canali biliari della pecora, ed accidentalmente anche dell’uomo, entriamo nel phylum dei Platelminti, vermi piatti cefalizzati e per lo più parassiti. Alla classe dei Trematodi, ordine dei Digenei, appartiene proprio la Fasciola, dal corpo filiforme, lungo 2-3 cm. La locomozione è favorita dalla produzione di secreti mucosi di ghiandole cutanee, che in alcune specie producono del fili mediante i quali si spostano o calano dall’alto. L’apparato digerente inizia con un'apertura boccale sita nella faccia ventrale e termina senza apertura anale. Mancano apparati circolatori e respiratori differenziati; il sistema nervoso si addensa nel capo a formare dei plessi cerebrali. È ermafrodito, cioè ogni individuo è dotato di organi sessuali sia maschili che femminili, ma normalmente non si ha l’autofecondazione. Il mesoderma, che da origine alla muscolatura e alle strutture riproduttive, ha avuto un ruolo chiave nell’evoluzione degli animali complessi, diventando la matrice dalla quale si formano tuttora, oltre alle strutture riproduttive, il sangue, le ossa e altri organi fondamentali.
La tenia (Taenia solium) appartiene al phylum dei Platelminti, classe dei Cestodi, sottoclasse degli Eucestodi (caratterizzati dall’avere una larva provvista di 6 uncini), ordine dei Ciclofillidei. È detta anche "verme solitario" perché parassita uccelli, mammiferi ed anche l'uomo, nell'intestino del quale si insedia dopo che il suo ciclo vitale è passato attraverso un ospite intermedio (un suino, un pesce d’acqua dolce o un bovino). Se mangiate poco cotte, le sue carni liberano che nell'intestino umano le forme larvali (cisticerchi) che si sviluppano poi in tenie lunghe da 2 a 8 cm. Per via della loro vita parassitaria, le tenie sono caratterizzate dalla presenza di acetaboli o ventose (per lo più 4), e possono essere provviste di un rostro (tenie armate) o possono esserne prive (tenie inermi). La teniasi è una patologia che un tempo poteva anche condurre a gravi conseguenze.
Altri gruppi di Protostomii come i Platelminti sono i meno comuni Briozoi, Brachiopodi, i Foronidei e i Brachiopodi, cui appartiene quest'esemplare di Terebratula vitrea. I Brachiopodi hanno una rassomiglianza superficiale con i molluschi bivalvi, e sono suddivisi in due ordini: inarticolati ed articolati. Questi ultimi, come la Terebratula, hanno appunto due valve articolate, chitinose ed in parte calcificate, racchiuse da muscoli occlusori.
Ecco un esemplare di lombrico (Lumbricus terrestris), rappresentante del phylum degli Anellidi. Sono animali vermiformi, per lo più cilindrici, caratterizzati dalla metameria, caratteristica anche degli Artropodi e dei Vertebrati, che consiste nella ripetizione di segmenti ed interessa tutti i sistemi organici. Il lombrico appartiene alla classe degli Oligocheti, all'ordine degli opistopori e della famiglia dei lumbricidi. È ermafrodito e vive nel terriccio umido, spostandosi in senso verticale anche di 8 metri. Riveste notevole importanza per l'agricoltura per il continuo rimescolamento cui sottopone il terreno: lo ingoia e poi lo riemette dopo che esso ha attraversato tutto il suo intestino. In tal modo rimescola i fertilizzanti e facilita l'aerazione dei terreni più compatti. Può però anche riportare in superficie germi pericolosi come quelli del carbonchio o del tetano.
Fa parte del phylum degli Anellidi anche la sanguisuga (Hirudo medicinalis), appartenente alla classe degli Irudinei (caratterizzati da due ventose terminali, una cefalica e una caudale) ed all'ordine degli Gnatobdellidi, il cui nome indica che hanno l’apertura boccale munita di mascelle. Lunga da 6 a 10 cm, ha corpo quasi cilindrico solcato da numerosi anelli trasversali, ed è munita di due ventose, una anteriormente più piccola in mezzo alla quale si apre la bocca, ed una posteriormente più grande presso la quale si apre l’ano; la bocca è fornita di formazioni chitinose dette mascelle; la faringe funge da organo succhiatore. Vive nelle acque stagnanti, e si nutre del sangue dei mammiferi che vanno ad abbeverarsi; un tempo era usata per eseguire salassi.
Con la stella di mare entriamo nel philum degli echinodermi, un tipo di metazoi deuterostomi a cui appartengono forme marine con simmetria pentaraggiata più o meno regolare, come i ricci di mare, le oloturie o cetrioli di mare, le stelle, le ofiure e i crinoidi o gigli di mare; il loro caratteristico sistema boccale è detto "lanterna di Aristotele". La stella di mare (Astropecten aurancianus) appartiene alla classe degli Asteroidi, ordine dei Fanerozoni, ed è caratterizzata dalla sua magnifica simmetria raggiata, sovente citata nei testi di geometria euclidea. In genere le braccia sono cinque ma possono essere anche più numerose, percorse da un solco e da 2 o 4 serie di pedicelli ambulacrali. Sono organismi marini che si nutrono di molluschi gasteropodi o bivalvi, per mezzo dell'estroflessione dello stomaco. Nel Mediterraneo sono comunissimi.
Quello in figura è un comune riccio di mare (Sphaerechinus granularis), philum degli Echinodermi, classe degli Echinoidi, ordine dei Diadematoidei. È una specie comunissima nel Mediterraneo e nell'Atlantico, caratterizzata dalla forma globosa schiacciata e dal fatto che, sulle piastre del dermascheletro, si articolano le spine mobili dette radioli, imperniate su appositi tubercoli. Possono servire sia da organi locomotori che a scopo difensivo, da cui il nome. Sul corpo si notano le pedicellarie, formazioni peduncolate che terminano con tre branche mobili, talora provviste di ghiandola velenifera. Si tratta di una leccornia per i buongustai.
L'oloturia (Oloturia tubulosa) del Mediterraneo è un altro rappresentante del phylum degli Echinodermi, classe degli Oloturoidei, ordine degli Aspidochiroti; gli Oloturoidei hanno un corpo allungato (sono detti anche cetrioli di mare), una ventina di tentacoli attorno alla bocca e pedicelli ambulacrali; quelli dei tre raggi che poggiano al suolo formano il "trivio" e permettono la locomozione. Le oloturie sono inoltre provviste di organi arborescenti chiamati "polmoni acquiferi", con funzione sia respiratoria che escretrice. Se maltrattate, le oloturie emettono la parte terminale dell'intestino (eviscerazione), che poi viene rigenerato. Da qui viene il loro nome, che in greco significa "assai permaloso"!
Il notissimo paguro appartiene all'importantissimo phylum degli Artropodi, invertebrati caratterizzati da simmetria bilaterale, organizzazione metamerica, dall’avere appendici articolate e dall’essere provvisti di un esoscheletro cunicolare, dotato cioè di trachee che portano direttamente l'ossigeno agli organi interni. Il paguro è un crostaceo dell'ordine dei Decapodi, famiglia degli Anomuri; i crostacei si distinguono per la presenza di esoscheletro chitinoso rigido, di due paia di antenne e per la respirazione branchiale. In particolare il paguro è dotato di un addome molle che introduce, per proteggersi, nella conchiglia abbandonata di un mollusco gasteropode; sulla conchiglia s’impianta poi spesso un’attinia che gode il vantaggio dello spostamento, difendendo il paguro con i propri tentacoli urticanti.
Durante una visita al Civico Museo di Storia Naturale di Milano ho fotografato questo splendido esemplare di astice (Homarus gammarus), un crostaceo della famiglia dei Nefropodi ben noto ai buongustai per la bontà delle sue carni. Si distingue dall'aragosta, con cui a volte viene confusa, per la presenza delle chele, di cui una più grande dell'altra, e di due spine, situate vicino agli occhi. Può raggiungere il mezzo metro di lunghezza, e vive sulle rocce sottomarine delle coste orientali dell'Oceano Atlantico e del Mar Mediterraneo.
Ed ecco, nell'ambito degli Artropodi, due rappresentanti della classe degli Aracnidi, con il corpo diviso solo in cefalotorace e addome. A destra si vede uno scorpione e a sinistra un ragno. Gli Aracnidi hanno quattro paia di zampe e il loro corpo è suddiviso in due segmenti: quello anteriore, detto prosoma o cefalotorace, e quello posteriore, detto opistosoma o addome. Hanno un primo paio di appendici, dette cheliceri, composte da due o tre articoli e con funzioni relative all'alimentazione e alla difesa, e un secondo paio, dette pedipalpi, con funzioni sensoriali, locomotorie o riproduttive, a seconda degli ordini. Le altre paia di appendici costituiscono le zampe vere e proprie, atte principalmente alla locomozione.Gli ordini più conosciuti sono quelli degli scorpioni e dei ragni, ma sono aracnidi anche gli acari e le zecche.
Ed ecco uno scorpione (Euscorpius europaeus), lungo circa 5 cm, fotografato in casa sua dall'amico Enrico Pizzo, che ringrazio vivamente: il cefalotorace reca i cheliceri e 4 paia di arti ambulacrali provvisti di unghie. L’addome, diviso in 7 segmenti, termina con una falsa coda costituita da 5 segmenti, l’ultimo dei quali, il telson, è aculeato e provvisto di ghiandole velenifere. Gli Scorpioni sono vivipari e abitano di preferenza regioni calde.
Ed ecco l'Epeira (Epeira diademata), che fa parte dell'ordine degli Araneidi, ritratta in questa splendida foto inviatami dall'amico Carlo Pontesilli.. Lo caratterizzano le ghiandole filatrici, il cui secreto solidifica all’aria ed è riunito in fili per mezzo delle unghie dentate e delle setole delle otto zampe. Per lo più i ragni sono predatori e succhiano liquidi organici dagli animali predati, dopo avervi iniettato un veleno che le scioglie. Epeira diademata è lungo circa 10 mm, con addome ovoidale e rigonfio, zampe lunghe, livrea fulva con macchie scure sul dorso a forma di croce. Vive comunemente in Italia, nei boschi e nei giardini.
Anche questa foto si deve (come la successiva) a Carlo Pontesilli, appassionato fotografo della natura, ed illustra un altro aracnide, Larinioides cornutus, caratterizzato da un addome ovoidale e da zampe piuttosto lunghe e di colore rossastro. Esso fa parte della famiglia degli Araneidi, una delle più diffuse tra tutti gli aracnidi. Questi animali incutono un naturale ribrezzo in molti esseri umani, dando luogo a quella forma di repulsione detta aracnofobia. Ma così esorcizza questa paura l'amico fotografo: « Avreste dovuto vederlo da vicino mentre lo fotografavo! Magnifico e timido, cercava di nascondersi di fronte al "mostro enorme" (io) che lo stava fotografando! » Come non dargli ragione?
Quanto a lunghezza delle zampe, nessuno può battere i ragni detti opilioni (in figura, un Phalangium opilio), dotati di zampine esilissime e sproporzionatamente lunghe, anche dieci volte più del corpo. Sono molto diffusi nelle nostre case e, pur essendo innocui, sono tra i più temuti dagli aracnofobi. Se ne conoscono 2200 specie, diffuse su tutto il pianeta; si nutrono di piccoli insetti catturati nelle loro ragnatele e, se molestati, imprimono al corpo un rapido movimento pendolare.
La Scolopendra (Scolopendra cingulata) appartiene al phylum degli Artropodi, classe dei Chilopodi, ordine degli Scolopendromorfi. Lunga 6-8 cm, ha il  primo paio di arti toracici, trasformati in piedi mascellari (cioè con  forme e funzione di mascella), atti ad ospitare le ghiandole del veleno che la scolopendra inocula con il morso. Frequente in Italia e nei paesi mediterranei, è provvista di 1- 4 occhi, ma talvolta è cieca. Nelle zone tropicali può raggiungere notevoli dimensioni ed il suo morso può rivelarsi fatale.
Con questa nuova, spettacolare fotografia dell'affezionata Marta Milano restiamo nel phylum degli Artropodi, ma entriamo nell'importantissima classe degli Insetti, che con un milione di specie è considerata da alcuni la classe più affollata del regno animale.  Qui vediamo una bacheca con la classificazione degli insetti. I principali ordini sono quelli dei Coleotteri (l'ordine più vasto, con due ali trasformate in elitre ed esoscheletro robusto, come negli scarabei), dei Lepidotteri (apparato boccale succhiatore, le comuni farfalle), dei Ditteri (due ali sole, le altre trasformate in bilanceri, come le mosche), degli Imenotteri (apparato boccale masticatore, addome dotato di pungiglione, come le api), degli Ortotteri (zampe adattate al salto, es. le cavallette) e degli Atteri (senza ali).
Gli insetti, a differenza di crostacei ed aracnidi, sono caratterizzati dal fatto di avere il corpo diviso in capo, torace e addome. Il capo consta delle seguenti appendici cefaliche: 1 paio di antenne e 3 paia di arti boccali. Il torace degli Insetti consta sempre di tre segmenti detti prototorace, mesotorace, metatorace, provvisto ciascuno di un paio di arti ambulacrali. Il meso- e il metatorace negli insetti alati (pterigoti) portano, inoltre, ciascuno un paio di ali. Talvolta le ali anteriori sono rigide e formano una copertura protettiva sopra le ali posteriori, in tal caso sono denominate elitre. La muscolatura striata che muove le ali consente movimenti rapidi di queste e una gran resistenza alla fatica. L’apparato respiratorio è sempre costituito da trachee tubulari. Gli Insetti si riproducono per via sessuale, normalmente con sessi separati: frequente è il dimorfismo sessuale. Sono in genere ovipari, e subiscono una metamorfosi dallo stato di larva a quello di pupa, contenuta in un bozzolo, fino all'insetto adulto. La foto mostra appunto le varie fasi dello sviluppo dell'insetto dall'uovo all'individuo in grado di riprodursi.
Altro scatto di Marta Milano che illustra il fenomeno del mimetismo degli insetti, ben esemplificato in questa bacheca assai datata ma didatticamente efficace. Il mimetismo è manifesttato da quelle specie animali che assumono l'aspetto di altre, oppure di parti dell'ambiente in cui vivono, onde letteralmente sparire agli occhi di un predatore (mimetismo aggressivo) o delle loro prede (mimetismo difensivo). Gli insetti in particolare tendono ad assumere l'aspetto di foglie o rami secchi.
Il fenomeno del mimetismo è illustrato "dal vivo" anche in questi quattro magnifiche foto inviatemi dall'amico Carlo Pontesilli, appassionato di foto naturalistiche, che le ha scattate sulle Prealpi friulane, in Val di Guerra. La prima in alto a sinistra è una cavalletta Leptophyes punctatissima; la seconda in alto a destra è sempre una cavalletta Myrmeleotettix_maculatus; la terza in basso a sinistra è una cavalletta Decticus verrucivorus; la farfalla invece potrebbe essere una Papilio Demoleus oppure una Melanargia Galathea. Grazie all'amico Carlo per avermi fornito queste stupende fotografie!
Comincia ora una sfilata di magnifiche foto di insetti, tutte dovute a Carlo Pontesilli, che illustrano bene l'immensa varietà di questa sterminata classe, che annovera più di un milione di specie. Cominciamo con i Lepidotteri, il vasto ordine (dal greco "ali leggere") di cui fanno parte le farfalle, costituito da ben 130 famiglie per un totale di 175.000 specie, non tutte classificate dall'uomo. Questa è un'Amata phegea, famiglia dei Noctuoidei, intenta ad impollinare un fiore di prato. Da notare che la distinzione tra farfalle (diurne) e falene (notturne) appartiene all'uso comune, ma non ha alcuna base scientifica.
Ed ecco un'Argynnis paphia (famiglia delle Arginnidi) con le magnifiche ali dispiegate. I lepidotteri hanno due paia di ali membranose, con quelle anteriori solitamente più grandi. La struttura alare è costituita da tessuto vivo, attraversato da tubicini dette trachee, che trasportano ossigeno, e ricoperto da minute scaglie, disposte come le tegole di un tetto, che determinano le colorazioni ed i complessi disegni delle ali.
La Coenonympha pamphilus è una farfalla molto comune in Italia, della famiglia dei Satiridi, che si adatta ad ogni ambiente e può essere avvistata nei prati fino a 2000 m di quota. Le ali di questa farfalla non sono particolarmente colorate, ma come altri lepidotteri presentano delle macchie in grado di ingannare i predatori: pensando che si tratti di occhi, essi attaccano in quella direzione per colpire la testa, che invece è piccola e seminascosta: con gran sorpresa del predatore, la Coenonympha ha tutto l tempo per scappare. Alcune farfalle hanno evoluto addirittura delle "finte teste" vere e proprie all'estremità delle ali!
Della famiglia dei Satiridi fa parte anche questa Erebia aethiops, una farfalla in grado di colonizzare anche le regioni più inospitali dell'estremo Nord. Il genere Erebia comprende ben 70 specie: le ali di queste farfalle hanno livree piuttosto uniformi, brune molto scure con una bordatura rossastra e "finti occhi" come la Coenonympha; tuttavia l'occhio attento scopre che anche i loro disegni sono estremamente variabili. In Italia si trovano sulle Alpi fin oltre i 3000 metri di quota, ma anche in Abruzzo.
Della famiglia degli Zigenoidei fa parte questa Zygaena lonicerae, una farfalla con grosse antenne dentate, corpo tozzo e largo ed ali nere punteggiate di rosso. Da notare che la più grande farfalla oggi vivente (peraltro minacciata di estinzione) è la Ornithoptera alexandrae, con ben 28 cm di apertura alare, ma da evidenze fossili si pensa che nel periodo geologico chiamato Carbonifero vivessero farfalle e libellule anche con un metro di apertura alare. Ciò perchè allora l'atmosfera terrestre conteneva il 32 % di ossigeno contro il 21 % attuale. Gli insetti non hanno polmoni, ma respirano tramite trachee, canalicoli che portano l'ossigeno ovunque nel corpo: solo altissime concentrazioni di ossigeno possono permettere di raggiungere tali dimensioni!
Il macaone (Papilio machaon) è sicuramente una delle farfalle più splendide che ci sia dato di incontrare in Italia, per la magnifica colorazione delle sue ali. Già la larva è gialla e decorata ad anelli neri, proprio come i colori dell'esemplare adulto. La maggior parte delle specie di papilionidi, famiglia cui appartiene il Macaone, sono diffuse nelle zone tropicali.
Queste farfalle della famiglia dei papilionidi prendono il nome comune di cavolaie (Pieris brassicae). Si tratta di una specie diffusa in tutta la penisola italiana, in Europa continentale, in Africa Settentrionale compresa e nell'Himalaya. In alcuni casi dà vita a grandi migrazioni per cercare zone temperate. Come mostra la foto, la si può osservare in tutte le aree fiorite dal livello del mare fino a 2200 m di quota. Il suo nome deriva dalla predilezione per le foglie di cavolo, motivo per cui è stata a lungo considerata un flagello dagli orticoltori.
Una cavolaia è anche questa magnifica Euchloë cardamines, appartenente alla famiglia dei papilionidi, sottofamiglia dei Pieridi. Con questa fotografia lasciamo momentaneamente gli scatti dell'amico Carlo per prelevare alcuni interessanti esemplari dalla collezione entomologica del laboratorio di scienze del mio Liceo. Le Euchloë sono caratterizzate da colorazione bianca o gialla, spesso con macchie nere o multicolori, che in genere si presentano in numero e con forme differenti nei due sessi. È un esempio di dimorfismo sessuale, cioè forte disparità tra i due sessi, tipico degli insetti in generale.
Questi esemplari di Gonepteryx rhamni sono troppo belli e colorati per non meritare un posto nel nostro Armadio Virtuale. Tale genere comprende specie ad ali anteriori con apice falciforme, che nei maschi (come si vede) sono di un giallo molto intenso, nelle femmine sono uniformemente bianche o bianco-verdastre. Le ali di tutte presentano un caratteristico punto mediano arancione. Questa bellissima cavolaia è diffusa praticamente su tutto il pianeta.
Le Vanesse sono alcuni tra i lepidotteri più belli e colorati, tanto che il loro nome è passato anche come nome femminile oggi molto usato. Si distinguono dagli altri papilionidi per il margine ondulato delle ali. Questa Vanessa urticae (talora è aggregata al genere Aglais) ha le ali di uno splendido colore arancione con macchie nere e lunule marginali azzurre, e trae il proprio nome dalla preferenza per le ortiche. È diffusa in tutta Italia, e sulle Alpi può raggiungere altitudini anche di 2500 metri.
Il dimorfismo sessuale appare accentuato anche in questi Saturnoidei, una famiglia che comprende farfalle di grandi e talvolta di grandissime dimensioni. La Saturnia pavonia qui illustrata è forse il più grande lepidottero europeo, perchè può raggiungere i 16 cm di apertura alare. Caratteristici sono i "falsi occhi" sulle ali, i quali ingannano facilmente i predatori: essi tendono a beccare in queste posizioni lasciando illeso il corpo certamente meno vistoso
Ed ecco un magnifico esemplare di Phylosamia cynthia, un lepidottero di grosse dimensioni (anche 10 cm di apertura alare), che fa parte della famiglia dei Saturnoidei; il suo genere è talvolta inglobato in quello denominato Attacus. I colori sono molto smorti e tendenti al marrone per permetterle di mimetizzarsi sui tronchi, perchè le sue dimensioni difficilmente la farebbero passare inosservata. Originaria della Cina, produce una seta di qualità inferiore a quella del più noto baco, chiamata "toussah". Nel secolo scorso la si è importata in Italia per tentare la commercializzazione di questa fibra, ma l'insetto ha finito per diventare infestante della nostra flora.
Continuiamo con i lepidotteri tratti dalla collezione entomologica del mio laboratorio, riconoscibili dallo spillo con cui i poveri animali sono infilzati nella carta. Alla famiglia dei Noctuoidei, sottofamiglia delle Arctiine, appartiene questo bellissimo esemplare di Callimorpha quadripunctari, il cui nome è un programma ("di bell'aspetto, con quattro punti").
La famiglia degli Sfingidi è qui rappresentata da una Sfinge del convolvolo (Sphynx convolvuli), una delle specie da noi più diffuse: ha ali grigie e variegate, mentre l'addome si presenta a strisce bianche o nere. Ha una spiritromba lunghissima con cui sugge il nettare del convolvolo. Specie migratrice, alla fine dell'estate abbandona l'Europa per raggiungere l'Africa tropicale.
Non può mancare la foto di una larva di farfalla, in questo caso Euproctis chrysorrhoea, dovuta all'amico Carlo. Questa larva prende il nome comune di bruco, è priva di ali, estremamente pelosa e vive camminando al suolo o sulle foglie di cui si nutre. Ma a un certo punto essa si chiude in un bozzolo costruito con la sua stessa secrezione, subisce un radicale mutamento (fase di pupa) ed alfine rompe il bozzolo, spiega le ali ed è pronta a volare via.
Quest'immagine ritrae un utilissimo esperimento didattico portato avanti dal mio collega Luigi Tenconi nel Laboratorio di Biologia del nostro Liceo: l'allevamento di bachi da seta. Fotografata qui accanto si vede un'incubatrice termostatica formata da due recipienti di vetro separati da acqua, tenuta mediante un termostato a 28° C. I bachi sono già assai sviluppati e pronti ad imbozzolarsi: li si vede su uno strato di mangime artificiale appositamente predisposto per il loro allevamento.
Il collega Luigi Tenconi ha scattato una serie di fotografie che documentano l'intero ciclo vitale del baco da seta. In alto a sinistra si vede l'accoppiamento tra il maschio e la femmina; in alto a destra, la femmina che depone le uova; in basso a sinistra, un dettaglio delle uova; in basso a destra, i bacolini a due giorni di vita, intenti a nutrirsi. I Bombyx mori (bachi da seta) sono lepidotteri della famiglia dei Bombicidi, e sono allevati in Cina fin dal 3500 a.C.
I bachi da seta hanno un notevole appetito: la loro dieta è costituita esclusivamente da foglie di gelso, ed essi mangiano giorno e notte, senza interruzione, cosicché crescono rapidamente. Il loro pasto è interrotto solo quattro volte, in corrispondenza di altrettante mute. Oggi si è tentato di realizzare mangimi artificiali per poter allevare i bachi tutto l'anno, come quello qui ritratto, ma la qualità della seta così ottenuta è nettamente inferiore a quella prodotta da bachi con una dieta a base di gelso, e così i mangimi sono utilizzati per lo più per l'allevamento di bachi a scopo didattico, come avvenuto nel nostro Liceo.
I bruchi da noi allevati producono la seta da due ghiandole ed estrusa da due aperture ai lati della bocca, i seritteri. In questa foto si vede il baco in primo piano, in modo da poter osservare gli stigmi, cioè le aperture che consentono l'ingresso dell'aria nel corpo attraverso le trachee, e gli pseudopodi o false zampe, formazioni addominali non articolate, tipiche delle larve dei lepidotteri, che hanno la funzione di favorire i movimenti.
Ed ecco l'epilogo del ciclo vitale del baco: dopo la quarta muta la larva comincia ad estrudere la seta e, con movimenti ad otto della testa, si tesse attorno un bozzolo, nel quale avviene la metamorfosi ad insetto adulto; nella foto in basso a destra vediamo il bozzolo aperto, a mostrare la crisalide. Quando il baco inizia a realizzare il bozzolo, in gergo si dice che "sale al bosco", in quanto esso in genere è costruito tra i rametti del sottobosco (nel nostro caso, i bozzoli sono stati tessuti entro fogli di carta).
In questa fotografia vedete i bozzoli belli e pronti: il baco impiega 3 o 4 giorni per preparare il bozzolo, formato da circa 20 o 30 strati concentrici costituiti da un unico filo ininterrotto, la gioia dei sericoltori. Da notare che ad ogni muta del bruco corrisponde una "dormita" (una pausa nella nutrizione); e, siccome l'ultima e più lunga dormita è detta "grossa" nel gergo dei sericoltori, da qui deriva la diffusissima espressione "dormire della grossa"!
Con questa foto di un Syrphus ribesii lasciamo i lepidotteri e facciamo conoscenza dei Ditteri, sicuramente un altro dei più importanti ordini di insetti, visto che comprende oltre 110.000 specie. Come dice il nome( dal greco " due ali"), essi sono tipicamente forniti di un solo paio di ali, quelle anteriori o mesotoraciche. Quelle posteriori o metatoraciche sono trasfomate in piccole clave dette bilancieri, vibranti anch'esse durante il volo, ma con la sola funzione di organi sensoriali. Sono ditteri le mosche e le zanzare, alcuni tra gli insetti con cui più abbiamo a interagire nelle nostre città. I Sirfoidei, famiglia cui appartiene il Syrphus ribesii qui fotografato su una Rhodiola rosea, sono privi di setole sul corpo e hanno ali di grandi dimensioni.
Con la comune ape domestica (Apis mellifica), allevata praticamente in tutto il mondo, entriamo nell'ordine degli Imenotteri, famiglia degli Apidi. La società dell’ape è una delle meglio organizzate del pianeta: ha un solo individuo dominante (ape regina), più maschi (fuchi) e numerose operaie sterili. Di volta in volta la società si scinde mediante la sciamatura occasionata dalla presenza di più regine. La regina, è fecondata nel volo nuziale; vive dai 3 ai 6 anni e produce 20 milioni di uova, generando fuchi per partenogenesi (l’uovo si sviluppa senza essere stato fecondato) e femmine mediante anfigonia (riproduzione con fecondazione). Dopo la fecondazione, i maschi sono scacciati. In questa foto di Marta Milano ne vediamo l'intero ciclo vitale
Questa fotografia illustra un favo di alveare, con le tipiche cellette esagonali costruite dalle api con la loro secrezione chiamata cera. Le cellette ospitano l'uovo deposto dalla regina e, di seguito, le larve e le pupe. È da notare che, oltre ad avere una organizzazione tale da rivaleggiare con quella umana, le api sembrano... conoscere alla perfezione la geometria. Infatti la forma esagonale è quella che permette di avere il numero maggiore di celle nel minimo spazio! Vedi l'Armadio Virtuale di Matematica.
Anche il bombo (Bombus monticola), qui fotografato da Carlo Pontesilli sopra un Aster alpinus in fase di impollinazione, appartiene all'ordine degli Imenotteri. È caratterizzato da una livrea gialla e nera a bande, è generalmente più grande e peloso delle api e generalmente è molto poco aggressivo, anche se può pungere più di una volta. Come le api, i bombi raccolgono il nettare ed il polline per nutrire i loro piccoli, e sono tra gli impollinatori più importanti ed utili per l’uomo.
Questa è una magnifica libellula (Libellula sanguinea), appartenente all'ordine degli Odonati; il suo nome deriva dal latino "libra", bilancia, perché nel volo tiene le ali orizzontali. Ha un capo voluminoso rispetto al corpo, gli occhi composti e le antenne piuttosto brevi; le due paia di ali sono allungate e membranose, mentre l'addome è lungo e sottile, composto da undici segmenti. Il suo apparato boccale masticatore è tipico: il labbro inferiore termina con delle piccole pinze con cui la libellula afferra la preda, perchè si ciba di insetti che afferra e divora in volo. Non sembra, ma si tratta di un predatore terribile!
Ed ecco uno dei rappresentanti più famosi di tutta la classe degli insetti: la mantide religiosa (Mantis religiosa), ordine dei Mantodei, distribuita in tutta l'Europa meridionale. Il suo nome latino significa "profetessa", e le fu dato da Carlo Linneo in base a leggende medievali secondo cui, con il movimento delle zampette, avrebbe indicato la via giusta al viandante perdutosi. Le femmine arrivano a misurare anche 7,5 cm, e le zampe anteriori non servono certo loro per pregare, come alluderebbe il nome della specie, ma per afferrare rapidamente le malcapitate prede che portano alla bocca e divorano con facilità.
Questa è una Pentatoma Rufipes, appartenente all'ordine dei Rincoti (dal greco rhynchos, "rostro"), in passato denominati Emitteri, ed alla famiglia dei Pentatomidi. Di questa famiglia fanno parte oltre 2500 specie diffuse su tutto il mondo. Conosciuto con il nome volgare di cimice, quest'insetto presenta colori vivaci ed in genere è vegetariano (solo alcune specie divorano altri insetti). In genere si tratta di insetti considerati molto dannosi per l'agricoltura e per il giardinaggio, perchè divorano e distruggono le foglie delle piante.
Dei Rincoti, famiglia degli Aneuridi, fa parte questo bellissimo esemplare di Lygaeus saxatilis, altra "cimice" caratterizzata dal dorso decorato con un mosaico di rosso e di nero. Di solito questa cimice infesta le nocciole. Da notare che i colori vivaci del dorso hanno uno scopo esattamente contrario ai colori tenui (verde, marrone, ecc.) che caratterizzano il fenomeno del mimetismo; in pratica, questi animali vogliono essere notati. Essi infatti hanno un odore ed anche un sapore nauseabondo, per cui essi "avvisano" l'uccello che vorrebbe papparseli: stammi alla larga, oppure te ne pentirai!
Fa parte dei Rincoti, famiglia dei Cicadidi, anche la cicala, uno degli insetti più popolari grazie alla favola di Esopo "La cicala e la formica", che le ha ingiustamente dato la fama di oziosa fannullona. Lunghi tra 2,3 e 5,6 cm, i  maschi portano sotto l'addome un organo che emette un suono caratteristico (si dice che la cicala "frinisce"), mentre le femmine sono mute: per produrre il suono l'insetto fa vibrare delle lamine, mentre delle camere d'aria provvedono alla risonanza. Questo canto ha funzione di richiamo sessuale per le femmine; appena nate, le larve vivono una vita sotterranea che può durare anche qualche anno, prima di uscire all'aperto, lasciare l'involucro ninfale e spiccare il primo volo. La foto qui pubblicata è di Gloria Nobili.
Altre due bellissime foto di Carlo Pontesilli che illustrano due specie autoctone di cavalletta, che fa parte dell'ordine degli Ortotteri. Quella in alto è una Podisma pedestris, quella in basso una Tettigoniide della specie Pholidoptera aptera. Questi insetti, molto diffusi anche in Italia e tristemente famosi per la loro voracità (rappresentarono una delle dieci bibliche Piaghe d'Egitto), amano i terreni aridi e incolti, hanno il capo tipicamente prognato, apparato boccale masticatore, antenne corte e robuste, e zampe da "saltatori". Depongono le uova soprattutto nel suolo e possono alternare fasi gregarie a fasi solitarie. Alcune specie sono migratrici, e si spostano in grandi nuvole che possono oscurare la luce del sole!
Questa Leptophyes punctatissima è una cavalletta verde che sfrutta molto bene il proprio colore per mimetizzarsi in mezzo alle foglie. Si tratta di un insetto della famiglia degli ortotteri, diffuso nelle macchie boschive e nelle vegetazioni basse e spinose. Di solito si muove camminando piuttosto che saltando, e questa caratteristica lo avvicina molto ai grillidi, anche se se ne distingue per la struttura alare. Questa cavalletta possiede antenne lunghe anche più del corpo, sottili come capelli.
Ed ecco altre tre cavallette, le cui fotografie mi sono state inviate dal solito Carlo Pontesilli, attento osservatore della natura, che poi si è preoccupato anche di ricercare l'esatta specie cui esse appartengono. La prima a sinistra è una Chorthippus biguttulus, quella in mezzo è una Sepiana sepium, della famiglia delle Tettigoniidae, mentre la terza appartiene alla specie Podisma alpina, della famiglia delle Acrididae. Quest'ultima rappresenta il raggruppamento più vasto nell'ambito del sottordine delle cavallette, ed in essa sono comprese la maggior parte delle cavallette più comunemente note.
Questa foto invece è stata scattata il 20 agosto 2023 dall'autore di questo sito nel bagno di casa sua, e rappresenta un magnifico esemplare maschio di grillo delle cantine (Gryllomorpha dalmatina), dell'ordine degli Ortotteri e della famiglia dei Grillidi. Si osserva il tipico colore giallo-marrone, punteggiato di macchie più scure sul corpo e sulle zampe. L'adulto raggiunge i 15-20 millimetri di lunghezza, a cui vanno aggiunte due antenne lunghe e filiformi. Come gli altri grilli, anche questa specie possiede zampe posteriori sviluppate, che le permettono brevi salti. Il grillo delle cantine è osservabile da aprile fino a settembre, è attiva di notte, è onnivora ma non è in grado di "cantare", e non è in alcun modo nocivo né per l'uomo né per altri animali.
La mia classe 5 F a.s. 2011/12 ha portato in aula questo terrario che contiene dei bellissimi esemplari di Baculum extradentatum del Vietnam, meglio noti come insetti stecco per la loro forma, che consente loro di mimetizzarsi fra ramoscelli e piccioli. Appartengono all'ordine dei Fasmidi, sono in grado a volte di cambiare colore, generalmente sono ghiotti di foglie (infatti ne hanno molte a loro disposizione nel terrario) e, se riconosciuti e attaccati, si fingono morti. Il fasmide Pharnacia kirbyi è l'insetto più lungo del mondo, raggiungendo i 32 cm zampe escluse!.
Questo cetonide (Cetonia aurata) è sicuramente uno dei più belli tra tutti gli insetti, a parte le farfalle, per la sua livrea smagliante e dai colori cangianti. Si tratta di un tipico rappresentante dell'ordine dei Coleotteri (dal greco "ali come fodero"), cosiddetti perché le ali anteriori, dette elitre dal greco "elytron", involucro, fortemente sclerificate, non svolgono più la funzione del volo ma proteggono le ali posteriori e l'addome. Se ne conoscono più di 450.000 specie!
Un altro coleottero, stavolta un Bostrichus capucinus, caratterizzato da un "collare" molto rigido e sviluppato che costringe l'animale a procedere sempre a testa bassa. Diffuso nelle zone tropicali, se ne trova una ventina di specie anche in Italia, come quella qui fotografata. Questi coleotteri sono dotati di mandibole robuste, in grado di traforare senza difficoltà il legno degli alberi, e talora anche i manufatti dell'uomo.
Ancora un coleottero, appartenente alla famiglia dei Cerambicidi: è il Corymbia rubra fotografato in fase di accoppiamento su un fiore di Scabiosa succisa, un'erbacea, perennedal colore verde cupo e dai tipici fiori violacei, il cui infuso era usato come decongestionante. Chiamati anche Capricorni a causa delle lunghe antenne, i Cerambicidi hanno il corpo allungato e una colorazione piuttosto vistosa. Sono insetti xilofagi, cioè si nutrono di legno, scavando gallerie dentro i tronchi e producendo di conseguenza gravi danni alle coltivazioni. E con questo chiudiamo la galleria degli insetti fotografati dall'amico Carlo Pontesilli.
Ebbene sì, anche il mio giardino è stato infestato dal terribile coleottero noto come scarabeo giapponese (Popillia japonica), della famiglia degli Scarabeidi. Si tratta di una specie di insetto particolarmente infestante, originario del Giappone come indica il suo nome, in grado di distruggere tappeti erbosi, piante da frutto e ornamentali. Nelle foto a fianco si vedono gli effetti sul mio giardino, dove intere piante hanno avuto le foglie distrutte, e in molti casi anche i frutti. Negli Stati Uniti si pensa sia stata introdotta attraverso larve contenute in bulbi di piante di iris nel 1916, nello stato del New Jersey, mentre nell'Europa continentale è apparsa nell'estate 2014
Purtroppo in Italia lo scarabeo giapponese prospera in Lombarda e in Piemonte su entrambe le sponde del fiume Ticino, e anche il mio comune natale, Lonate Pozzolo, ne è stato investito, ma la zona infestata si sta progressivamente allargando. A parte la lotta chimica con potenti insetticidi o batteriologica (introducendo Bacillus thuringiensis, un batterio che agisce a livello dello stomaco delle larve producendo una tossina), in commercio sono disponibili delle trappole per catturare gli scarabei giapponesi adulti nei giardini domestici, come il mio, e qui vedete il modello che ho acquistato e installato: in essa si pone un feromone che attira i maschi adulti, intrappolandoli dentro una reticella. Come si vede, la pur semplicissima trappola è molto efficace, ma va collocata nella posizione corretta: esche e trappole posizionate troppo vicine alle piante colpite potrebbero attrarre su di esse ancora più coleotteri, provocando così un'infestazione maggiore.
Questo coleottero viene invece dalla collezione scientifica del mio Liceo, ed è uno degli insetti più famosi in assoluto: si tratta del cervo volante (Lucanus cervus), così detto perchè sul capo presenta due strutture ramificate che ricordano le corna di un cervo, ma che altro non sono se non le mandibole molto sviluppate, più nel maschio che nella femmina. Sono usate nei combattimenti fra maschi, perchè in realtà non sono dotate di muscoli in grado di farle richiudere con forza. La sua lunghezza varia dai 25 agli 80 millimetri, per cui il cervo volante è sicuramente uno dei più grossi coleotteri esistenti in Europa.
Il cervo volante è anche un ottimo esempio di dimorfismo sessuale, cioè della forte disparità tra gli appartenenti ai due sessi diversi di una stessa specie, una caratteristica molto comune tra gli insetti, come abbiamo già visto tra i lepidotteri. Le mandibole della femmina sono molto più piccole di quelle del maschio ma, essendo comandate da muscoli ben più forti, le consentono di pizzicare con più forza e con maggiore danno, mentre le gigantesche appendici del maschio risultano per lo più inoffensive. Oggi la specie risulta purtroppo minacciata a causa della progressiva distruzione del suo habitat.
Chiudiamo i coleotteri, e tutti gli insetti, con questo Cerambice (Cerambyx heros), appartenente alla superfamiglia dei Crisomeloidei, famiglia dei Cerambicidi. Sono caratterizzati, come si vede, da antenne lunghissime, anche più del resto del corpo (donde il nome di Longicorni). Gli adulti sono xilofagi, cioè si nutrono di legno, ma talora anche di erbe, foglie e polline.
Ed ecco la seppia (Sepia oficinalis), con la quale entriamo nell'altrettanto importante phylum dei molluschi. Essa fa parte della classe dei Cefalopodi, ordine dei Decapodi, ed ha un corpo appiattito lungo 30 o 40 cm munito di due pinne laterali per il nuoto e di dieci braccia, di cui due tentacolari fornite di ventose. Sotto il mantello, nella regione dorsale, porta una conchiglia ("osso di seppia") rinforzata da lamelle calcaree, oltre alla cosiddetta "borsa del nero", che usa per coprirsi la fuga. Comune nel Mediterraneo, vive sui fondali fangosi o sabbiosi nutrendosi di crostacei e di piccoli pesci.
I molluschi della classe dei bivalvi o lamellibranchi hanno corpo bilaterale simmetrico, ricoperto ai lati da due lembi del mantello, rivestiti a loro volta dalla conchiglia costituita da due valve, una a destra e una a sinistra, di forma rotondeggiante o allungata. Tra i lembi del mantello si aprono i sifoni per l'entrata e l'uscita dell'acqua. Questi animali hanno branchie a lamelle (da cui il nome) che assorbono l'ossigeno per la respirazione e che trattengono il cibo, costituito da plancton. L'Anodonta cygnea è un rappresentante dell'ordine degli Eulamellibranchi: sulla conchiglia ha dentelli in piccolo numero o mancanti e branchie lamellari doppie unite da ponti trasversali. Si tratta di una specie d'acqua dolce molto diffusa in Europa.
Il mitilo (Mytilus galloprovincialis), chiamato muscolo nel Nord d'Italia e cozza nel Sud, è un mollusco bivalve lamellibranco, dotato cioè. La valva qui fotografata, composta di carbonato di calcio, si presenta di colore nero all'esterno e iridescente all'interno, ricoperto da uno strato madreperlaceo. La parte curva della valva corrisponde al dorso del mollusco. Nella foto sono evidenziati l'umbone, cioè la punta da cui si sviluppano gli anelli di accrescimento del guscio (1), l'impronta del muscolo del piede (2), del bisso, cioè del filamento con cui il mollusco si fissa alle rocce (3), del muscolo posteriore (4), del mantello (5) e del muscolo anteriore (6).
Le conchiglie a volte assumono aspetti straordinariamente artistici, com'è il caso di quella della Nassaria coromaldeica, un mollusco gasteropode appartenente all'ordine de Cenogasteropodi e alla famiglia delle Buccinidi, che vive nei Mari del Sud. L'esponente qui fotografato è di proprietà dell'autore di questo sito, che l'ha ricevuto in dono da una dei suoi cari che non c'è più. Le Buccinidi sono carnivore e spazzine, ma le loro conchiglie vuote sono tanto belle da collezionare...
Quella che qui vedete, fotografata dall'amico Enrico Pizzo, è una chiocciola, appartenente alla specie Cornu aspersum, e rappresenta la classe dei Gasteropodi. Questo mollusco è diffuso nel bacino del Mediterraneo e nell'Europa nordoccidentale fino alle isole britanniche. L'uso in ambito alimentare ha portato alla sua introduzione in molte parti del mondo. La chiocciola è un animale assai timido: si ritira nella conchiglia appena molestato. Si trascina sul piede ed usa una bava argentea come lubrificante per evitare di ferirsi. Grazie alla sua capacità di adattamento, è presente in diversi habitat: nelle radure, ai margini delle foreste e anche nei nostri giardini.
Tra invertebrati e vertebrati c'è un anello di congiunzione, rappresentato dai Tunicati. Con esse entriamo nel phylum dei Cordati, del quale facciamo parte anche noi. L'ascidia (Ascidia mentula) qui raffigurata fa parte dell'ordine dei Flebobranchiati, famiglia degli Ascidioidi. Allo stato larvale è un organismo natante, ma subisce una metamorfosi durante la quale perdono la corda dorsale (che li fa rientrare nei Cordati), diventa bentonica e vive in colonie. Ha il corpo a forma di sacchetto, ricoperto da una spessa tunica gelatinosa (donde il nome) e provvisto di un'apertura boccale e di una cloacale poste vicine l'una all'altra. È ermafrodita, ma può riprodursi per gemmazione.
Quest'altra fotografia di Marta Milano rappresenta un ingrandimento dei due ripiani inferiori dell'armadio ripreso nella fotografia di apertura, con i quali passiamo al mondo dei Vertebrati. Sul ripiano più basso, da sinistra a destra, si vedono un rospo, un orbettino, un camaleonte, una vipera e diversi stadi evolutivi di un pulcino (poveretto!) Invece sul ripiano soprastante, oltre alla stella marina e all'ascidia già esaminate, si vedono un luccio con gli organi interni ben visibili, un tritone (particolare specie di anfibio) ed infine uno spettacolare vasetto che contiene diversi stadi evolutivi di una rana, dal girino all'anfibio adulto. Ricordo che la formalina usata per preservare questi interessanti campioni è una soluzione acquosa di aldeide formica, impiegata appunto come battericida.
Ed ecco un magnifico tabellone, realizzato da alcuni studenti della 3 I a.s. 2009/10 del mio Liceo in occasione della mostra da essi allestita per il bicentenario della nascita di Charles Darwin. Nulla di meglio, prima di iniziare l'analisi dei Vertebrati, che confrontare le ossa degli arti di alcuni di essi. Le ossa analoghe sono dipinte delle stesso colore, e le evidenti analogie fra di esse, nonostante le differenze morfologiche tra gli animali considerati, dimostrano che essi non sono atti separati della Creazione, ma discendono tutti quanti da un antenato comune, proprio come asseriva Darwin.
I primi pesci con i quali abbiamo a che fare sono i Pesci Cartilaginei, cioè privi di uno scheletro ossificato. Ne è un ottimo esempio questo pesce sega (Pristis pristis), fotografato da Lorenzo Mainini. Vive nei mari tropicali e la sua caratteristica principale è il rostro, un prolungamento cefalico armato di scaglie simili a denti, che può raggiungere oltre un quarto della lunghezza del corpo: esso serve per smuovere la sabbia del fondale alla ricerca delle prede e per ucciderle.
Altro notevole pesce cartilagineo è la razza, sempre fotografata da Lorenzo Mainini. La classificazione delle circa 600 specie di razze è tuttora oggetto di dibattito tra i biologi: alcuni parlano di 12 famiglie, altri di 18. Sono pesci dal corpo piatto, con le pinne pettorali unite al tronco in una singolare struttura discoidale la cui forma può essere di cuneo, ovale, circolare o triangolare. Alcune di esse arrivano ai 7 metri di lunghezza, e sono spesso armate di aculei assai velenosi.
Con il luccio (Esox lucius) entriamo a pieno titolo nella classe dei Pesci ossei (sottoclasse degli Attinottergii, ordine dei Clupeiformi, famiglia degli Eocidi). Come tutti i pesci ossei, ha forma allungata, respirazione branchiale e scheletro ossificato. In particolare il luccio ha muso a spatola, vive nelle acque dolci, ha denti piccoli ma acutissimi e rivolti all'indietro; è uno dei più temibili predatori della fauna dei fiumi, a volte manifesta casi di cannibalismo intraspecifico ed è molto apprezzato dai buongustai. Questo esemplare sotto formalina mostra tutta la sua struttura interna.
I pesci si distinguono in pesci cartilaginei o condritti e pesci ossei o osteitti, a seconda che lo scheletro sia cartilagineo o ossificato. In questa foto vediamo alcuni pesci rossi del genere Hypoplectrus (ordine dei Perciformi, famiglia dei Serranidi) che vivono nella fontana del Municipio del mio paese, trattandosi tipicamente di pesci ornamentali.
Questa foto, scattata dal sottoscritto sulle rive del Lago di Tiberiade (nel nord di Israele), illustra un bel mucchio di pesci di San Pietro (Zeus faber), così detto perchè sarebbe in uno di questi pesci che San Pietro, per ordine di Gesù, pescò la moneta del tributo (vedi Mt 17, 24-27). Ha squame molto piccole e giallastre, una serie di spine che armano la base delle pinne dorsali, tocca il mezzo metro di lunghezza e vive sui fondali melmosi e sabbiosi fino alla profondità di 150 m. Oltre che nel Lago di Tiberiade lo si trova anche nel Mediterraneo e nell'Atlantico.
Il rospo (Bufo vulgaris) ci introduce nella classe degli Anfibi (dal greco "dalla doppia vita" a causa della metamorfosi che subiscono, acquatici muniti di branchie allo stato larvale, terrestri muniti di polmoni allo stato adulto), ordine degli Anuri o Saltatori (senza coda da adulti), famiglia dei bufonidi. Questi ultimi (i volgari "rospi") hanno corpo tozzo, pelle viscida ricoperta di verruche contenenti ghiandole la cui secrezione è irritante, e zampe corte inadatte al salto. Vivono nei luoghi umidi, cacciando di notte insetti e altri piccoli animali dannosi per le colture; come tutti gli anfibi sono costretti a ritornare nell'acqua per la riproduzione, e depongono le uova in caratteristici cordoni gelatinosi ancorati alle piante acquatiche.
Una spettacolare fotografia dell'impeccabile Marta Milano mostra tutta la metamorfosi della rana (Rana esculenta), anuro della famiglia dei Ranidi, estremamente comune in Italia, dotata di pelle nuda di colore verde, gambe posteriori robuste ed adatte al salto, bocca per lo più sdentata, lingua estroflessibile per la cattura degli insetti, membrana timpanica esterna e costole fuse con le vertebre toraciche. La stagione degli amori è animata dai concerti dei maschi, muniti di due sacchi vocali esterni; dopo gli accoppiamenti le femmine depongono da 5.000 a 10.000 piccole uova, che dopo una settimana circa si schiudono e nascono dei girini. Si può vedere lo sviluppo dello stadio di girino, che ricorda vagamente un avannotto ed è dotato di branchie e di coda, fino all'individuo adulto senza coda e dotato di polmoni.
Ed ecco uno scheletro di rana completo. Questi anfibi sono molto diffusi in tutte le zone temperate e calde, eccetto l'Australia centromeridionale, la Nuova Zelanda, la Polinesia orientale e la parte meridionale del Sud America. Vi sono rane di dimensioni enormi, come la rana golia (Gigantorana goliath), dell'Africa occidentale, che raggiunge i 30 cm di lunghezza e i 2 kg di peso. La rana ha dato il nome ad un tipico stile del nuoto, simile a quello dell'animale, ed è attivamente cacciata perchè costituisce una vera prelibatezza per i buongustai.
Il tritone (Triton cristatus) trae il nome da un dio marino dell'antica Grecia e fa parte della classe degli Anfibi, ordine degli Urodeli o Caudati, famiglia dei Salamandridi. Come tutti gli urodeli è dotato di coda anche nello stadio adulta e palesa grandi capacità rigenerative, riformando zampe e code amputate. Lungo 15 cm, ha arti poco sviluppati e pelle viscida, ventre arancione a macchie scure, e deve necessariamente ritornare nell'acqua per l'accoppiamento. In Italia centro-settentrionale è presente anche il Triton vulgaris, lungo circa 10 cm; il Triton vulgaris, ancora più corto, è presente solo in Italia meridionale; il Triton alpestris, infine, è diffuso sulle Alpi Apuane e sugli Appennini.
Ecco un orbettino (Anguis fragilis), con il quale entriamo nella classe dei Rettili, ordine degli Squamati, sottordine degli Ofidi, famiglia degli Anguidi. Tale famiglia comprende specie ofidiformi, con il corpo cilindrico allungato ricoperto da squame o scudi cornei (da cui il nome di Squamati), senza arti o con arti atrofizzati. L'orbettino in particolare è un piccolo serpente terrestre lungo fino a 40 cm, che si ciba principalmente di vermi e bruchi; il suo morso è assolutamente innocuo per l'uomo. È diffuso in tutta Italia, soprattutto nella valle del Po.
Questa è la temibile vipera (Vipera berus, classe dei Rettili, ordine degli Squamati, sottordine degli Ofidi, famiglia dei Viperidi), diffuso serpente caratterizzato da testa triangolare, corpo cilindrico terminante con una breve coda, colorazione variabile e veleno letale anche per l'uomo, perchè provoca emorragie e paralisi respiratoria e cardiache (la leggenda racconta che Cleopatra VII si suicidò facendosi mordere da un aspide). È ovovivipara e variamente diffusa in tutta l'Europa meridionale; contrariamente a quanto si crede, però morde solo se disturbata, e quindi non va fatta oggetto di una caccia indiscriminata.
Ed ecco un rettile vivo: si tratta di una comune lucertola (Lacerta agilis, classe dei Rettili, ordine degli Squamati, sottordine dei Sauri, famiglia dei Lacertidi), il più comune rappresentante di questa classe, dato che vive nelle fessure stesse dei muri delle nostre case. Ha corpo sottile ed agile, arti con cinque dita in grado di arrampicarsi anche sui muri, e coda lunga e sottile; se attaccato, l'animale cerca di lasciare la coda nelle grinfie dell'aggressore, confidando nella sua capacità di rigenerarla. Lunga da 12 fino a 75 cm, vive in tutto il Vecchio Continente fino a 2500 m di quota, è ovipara e si nutre di insetti.
Questo è un camaleonte (Camaleonte vulgaris), che appartiene alla classe dei Rettili, ordine degli Squamati, sottordine dei Sauri, famiglia dei Camaleontidi. Si tratta di un piccolo rettile arboricolo lungo da 20 a 30 cm, con arti e coda prensili, lingua vermiforme protrattile, occhi capaci di ruotare indipendentemente l'uno dall'altro e di un angolo molto ampio, e parecchie specie possiedono la caratteristica di mutare colore della pelle per ragioni mimetiche, grazie a cellule chiamate cromatofore. Vive nell'Africa settentrionale, nel Madagascar e nelle isole del Mediterraneo orientale; dall'Europa si è estinto.
Abbiamo a disposizione anche la foto di un camaleonte vivo, grazie alla gentilezza di Lorenzo Mainini. Questo rettile ha avuto un grande impatto sulla cultura umana, tanto che oggi definiamo "camaleontismo" in senso figurato l'attitudine a cambiare pelle a seconda delle convenienze. In Madagascar, dove vivono diverse specie di camaleonti, essi vengono visti dalla popolazione con una sorta di soggezione, ritenendo che in essi si nascondano gli spiriti cattivi dei morti.
Ed ecco una magnifica foto di una tartaruga di Aldabra (Dipsochelys elephantina), inviatami dall'amico Sandro Degiani che l'ha ripresa alle Seychelles, dove è diffusissima. Le tartarughe appartengono alla classe dei Rettili, ordine dei Cheloni, ed il loro nome curiosamente significa "abitante del Tartaro", con riferimento ad antiche cosmologie secondo cui la Terra poggerebbe proprio su di una immensa tartaruga. Sono rettili privi di denti e dotati invece di un forte becco osseo, il cui corpo è protetto da un poderoso guscio formato da placche ossee, nelle quali esse ritirano le zampe e la testa in caso di pericolo.
Altra eccezionale foto di Marta Milano che illustra tutto lo sviluppo embrionale della Gallina domestica, animale con la quale entriamo nella classe degli Uccelli, ordine dei galliformi. Come in tutti gli uccelli, gli arti anteriori sono trasformati in ali ed il petto è carenato per sorreggere i muscoli del volo. La comune gallina è però piuttosto pesante e perciò il suo volo è breve e faticoso. Il becco è forte e incurvato e, come tutti gli uccelli, è ovipara. Questa foto mostra appunto l'embrione dentro l'uovo a diversi stadi di sviluppo; il tuorlo d'uovo costituisce la riserva di nutrimento per l'embrione, mentre l'albume fa la parte del liquido amniotico. L'uomo alleva questo animale da quasi diecimila anni.
Questo scheletro di gallina ci mostra tutte le caratteristiche salienti dell'ossatura degli uccelli. Lo sterno è fortemente carenato perchè su di esso fanno presa i muscoli pettorali preposti al volo, mentre le ossa sono cave ed in diretta comunicazione con l'apparato respiratorio, così da alleggerire la struttura e favorire il distacco dal suolo. Queste caratteristiche derivano da quelle di dinosauri piumati ritrovati in tempi recenti in Asia e soprattutto in Cina; le penne derivano direttamente da un'evoluzione delle scaglie, e può darsi che fossero usate come pigliamosche prima ancora che per compiere voli planati da un ramo all'altro. Una cosa è ormai certa: gli uccelli sono discendenti diretti dei dinosauri che riuscirono a superare la fine dell'era Mesozoica.
Un altro armadio del laboratorio di Zoologia e Botanica ci mostra tutta una serie di uccelli impagliati (sui tre ripiani superiori) e di mammiferi impagliati (sul ripiano più basso). Sul secondo ripiano dall'alto, da sinistra a destra, si distinguono un germano, una gazza, un barbagianni e un germano; sul terzo ripiano ci sono molti uccelli selvatici tra cui, al centro, una beccaccia; sull'ultimo ripiano in basso si vedono dei roditori, ed in particolare uno scoiattolo dalla coda lunga. Vi ricordo che, secondo la definizione data dal dizionario Zingarelli, si dice tassidermia l'insieme dei procedimenti che hanno lo scopo di conservare indefinitamente gli animali vertebrati con l'aspetto che essi hanno in vita. Talora gli animali impagliati ingenerano una sensazione di fastidio in chi li guarda, ma nei Laboratori sono utili per mostrare agli studenti le varietà del Regno Animale. 
Cominciamo la serie degli uccelli impagliati (invero talora un po' danneggiati con una cornacchia (Corvus corone cornix), nome comune di un noto uccello dell'ordine dei Passeriformi e della famiglia dei Corvidi (genere Corvus, comprendenti molte specie diffuse anche in Italia). Diffusa in pianura, in montagna è sostituita dalla cornacchia nera (Corvus corone corone). È un uccello simile al corvo, ma di dimensioni minori; vive gregaria e si ciba di animaletti e di frutti. È stata resa immortale dalla favola di Esopo in cui la volpe inganna la cornacchia e la convince a lasciar cadere il formaggio che ha nel becco; ma, nonostante i pregiudizi, non si tratta affatto di un animale idiota.
Ed ecco una ghiandaia (Garrulus glandarius), ordine dei Passeriformi e famiglia dei Corvidi come la cornacchia; si tratta in effetti di una varietà di gazza dal piumaggio azzurro pallido, il cui dorso è di un castano acceso, le ali di un blu intenso nero ai margini, e la coda verdastra con penne centrali brune. È caratterizzata da un ciuffo di penne erigibili sulla testa; vive in coppie e, durante il volo nuziale, esegue delle tipiche picchiate da notevole altezza. Vive in boschi maturi di latifoglie o misti, dove (come tutti i corvidi) costruisce un nido di rami piuttosto voluminoso; la sua predilezione per le ghiande le è valso il nome. Purtroppo è dannosa sia alle colture orticole, perché si nutre di semi, sia per la selvaggina, distruggendo uova di uccelli e nidiacei.
Un altro esponente dell'ordine dei Passeriformi, famiglia dei Corvidi è la gazza (Pica pica), simile ad un corvo, ma ha la coda più lunga ed il piumaggio bianco e nero. Vive nelle zone pianeggianti ricche di alberi e di corsi d'acqua, e secondo la credenza popolare sarebbe fortemente attratta dagli oggetti luccicanti, che ruberebbe volentieri; da qui viene il suo nomignolo di "gazza ladra", reso celeberrimo da un'opera di Gioacchino Rossini. Può essere facilmente addomesticata. Di solito vive in piccoli gruppi, ma d'inverno si riunisce in gruppi anche numerosi. Assai diffusa in tutt'Italia, manca in Sardegna e nell'Elba.
Questo è uno storno (Strnus vulgaris), ordine dei Passeriformi, famiglia degli Oriolidi. Si tratta di un uccello nerastro la cui livrea ha riflessi bronzei e purpurei; il becco degli adulti è scuro in inverno, giallo limone in primavera. Lo caratterizza un volo rapido e diritto, talvolta planato; si nutre e riposa in colonie numerose, talora enormi. Nella stagione fredda si riunisce in stuoli affollatissimi che si riuniscono in rumorosi dormitori nei boschi, nei canneti e talora anche nelle nostre città. Nidifica nei buchi degli alberi e nel terreno, ma non disdegna certo di coabitare con l'uomo in torri e sottotetti.
La cesena (Turdus pilaris) è un altro passeriforme, ma della famiglia dei Tordidi. Ha testa e groppone grigie chiare, il dorso castano e la coda pressoché nera, mentre gola e petto sono di un giallo rugginoso striato di nero. Nidifica solitamente in colonie presso le radure o i margini dei boschi, specialmente di betulle, ed occasionalmente sui fabbricati o sui covoni. Tipica dell'Europa settentrionale e orientale, questa specie nidifica regolarmente anche in Italia sull’arco alpino.
Appartiene alla famiglia dei Tordidi anche il pettirosso (Erithacus rubecula), un uccelletto dal collo corto i cui adulti hanno il petto e la fronte di colore arancio. Una bella leggenda racconta che questa macchia rossa il pettirosso se la procurò tentando di strappare una delle spine della corona di Gesù crocifisso. Effettivamente ha un atteggiamento confidente nei confronti dell'uomo. Nidifica nei giardini o nelle siepi; le popolazioni nordiche possono compiere erratismi, mentre la popolazione Italiana è stanziale.
Chiudiamo la rassegna dei Tordidi con l'usignolo (Luscinia megarhynchos), che si riconosce per la coda castano chiara ed il canto melodioso. Ha un comportamento schivo e solitario; abita nei boschi cedui di pianura, nella vegetazione fitta e umida, nelle siepi e si nutre di insetti e bacche; fa il nido vicino al terreno, ben nascosto tra sambuchi ed ortiche. Assai diffuso in Europa, migra durante i mesi freddi in Africa e nell'Asia occidentale. Nel passato era simbolo di buon augurio: nella favola "L'usignolo dell'imperatore", il suo canto riesce a sconfiggere persino la Morte.
"Alauda est nuntia Aurorae", dicevano i latini. Ed ecco l'allodola (Alauda arvensis) ordine dei Passeriformi, famiglia degli Alaudidi. Le parti superiori della livrea sono fittamente striate di nero, mentre le parti inferiori sono di un bianco fulvo con larghe striature sul petto; piuttosto lunga è la coda, con le timoniere esterne decisamente bianche. Cammina in posizione accucciata, ma il volo è forte e leggermente ondulante, con battiti d'ala alternati a fasi ad ali chiuse. Uccello canterino (lo si sente soprattutto all'alba, come testimonia il proverbio latino), nidifica per terra e vive di preferenza in aperta campagna.
Altro esponente dell'ordine dei Passeriformi (il più numeroso tra tutti gli uccelli), famiglia dei Silviidi, è la capinera (Sylvia atricapilla), cosiddetta per il piumaggio nerissimo alla sommità del capo (ma nelle femmine è rosso-bruno). Il resto del corpo è grigio, dalle forme assai snelle. Nidifica nei boschi (da cui il nome di Silviidi) e tra i cespugli, cibandosi di insetti e di frutta, ed è caratterizzata dal canto particolarmente melodioso. In Italia è molto comune e stazionaria, cioè non emigra al sud durante l'inverno. Altra specie europea molto nota è la sterpazzola (Sylvia communis) dal piumaggio bruno, con capo grigio e gola bianca.
Il fringuello (Fringilla coelebs) è un passeriforme della famiglia dei Fringillidi. Lo si riconosce per la chiara barra alare bianca e doppia, ma anche per le bianche timoniere esterne, chiaramente visibili durante il volo. Vive nei boschi, nelle siepi, nei giardini e nelle aree coltivate; ha un canto melodioso, e per questo è allevato spesso in cattività. Diffuso in Europa e nei paesi mediterranei, è passata nell'uso comune la locuzione "cantare come un fringuello".
Chiudiamo la serie dei passeriformi con questo meraviglioso uccello del Paradiso, fotografato nel Civico Museo di Storia Naturale di Milano. Si tratta per la precisione di una Paradisea maggiore (Paradisaea apoda). Questi uccelli sono caratterizzati dal piumaggio estremamente variopinto e dal canto melodioso, e vivono principalmente nella foresta pluviale dell'Australia, delle Molucche e della Nuova Guinea, sulla cui bandiera tra l'altro compare proprio la sagoma di un uccello del Paradiso. Molto famose anche le danze compiute da questi uccelli durante l'accoppiamento, che hanno contribuito non poco a far attribuire loro questo suggestivo nome.
La fotografia, scattata dal mio amico Roberto Vielmi, dimostra che il mio paese, Lonate Pozzolo, è ancora frequentato da superbi esemplari di cicogna (Ciconia ciconia). Questi uccelli di grandi dimensioni (raggiungono i 180 cm di apertura alare!) appartengono all'ordine dei Ciconiiformi, famglia dei Ciconidi, e sono muti, ma emettono suoni sbattendo il becco. Un tempo diffusi in tutta l'Europa, il loro habitat si è ristretto a causa della caccia indiscriminata; come si vede nella foto, nidificano spesso sui nostri tetti, e migrano in Africa durante l'inverno, passando anche sull'Italia.
Con il rondone (Apus apus) cambiamo ordine, passando agli Apodiformi, caratterizzati da ossa del femore e del tibiotarso molto corte, ma da pettorali assai sviluppati, il che fa di loro degli ottimi volatori. Il rondone appartiene alla famiglia degli Apodidi ed è caratterizzato da piumaggio nero fumo, con ali lunghe e coda corta e forcuta. Il suo volo è rapido e instancabile, ed è molto rumoroso all'epoca delle cove, quando gruppi urlanti di rondoni si inseguono febbrilmente intorno alle cime dei tetti. Nidifica sotto le tegole e le grondaie, ed è diffuso in tutta l'Europa settentrionale.
Chi non conosce il picchio verde (Picus viridis)? Esso appartiene all'ordine dei Piciformi, caratterizzati dall'avere due dita costantemente rivolte in avanti e due indietro, e alla famiglia dei Picidi. Ha una livrea verde scuro (ma le parti inferiori sono grigie chiare) e la sommità della testa di un rosso acceso, il becco robusto, una lingua sottile, lunghissima e protrattile, e vive sugli alberi nutrendosi degli insetti che estrae dal legno scavando buchi nella corteccia con il becco (il cranio è particolarmente rinforzato). Il volo è ondulante, con lunghe pause ad ali chiuse; di solito depone le uova nelle cavità degli alberi.
Il germano (Anas platyrhymcos) appartiene all'ordine degli Anseriformi ed alla famiglia degli Anatidi; parente, dunque, delle anitre domestiche. In inverno e in primavera il maschio ha la testa e la parte alta del collo di color verde lucente, un collare chiaro ed il resto del corpo grigio sul ventre, nero sul dorso. Vive gregario nelle zone paludose e si nutre di vegetali o di piccoli animaletti acquatici; in Italia è comune d'inverno e nell'epoca delle migrazioni. Purtroppo è preda ambita dai cacciatori.
Ed ecco la quaglia (Coturnix coturnix), rappresentante dell'ordine dei Galliformi, famiglia dei Fasianidi: la stessa cui appartengono i tipici gallinacei assai apprezzati dai buongustai (gallo domestico, tacchino, fagiano, pernice). Questo uccello alto tra i 15 e i 20 cm ha il corpo bianco o nero, vive nella vegetazione bassa e si nutre di semi, vermi ed insetti. È diffusa nelle regioni temperate di Europa, Africa ed Asia centrale; migra d'inverno fino all'Africa e all'Asia meridionale. In Italia è abbondante d'estate per il sopraggiungere dei migratori; secondo la Bibbia essa costituì la riserva di carne inviata da Dio agli Israeliti nel deserto (Es 16, 13).
Quest'uccello è una gallinella d'acqua, esponente dei Ralliformi, famiglia dei Rallidi. I Ralliformi sono uccelli dal collo e dal becco lungo, per lo più acquatici e palustri, di solito migratori, che si nutrono di pesci, molluschi e vermi (ma all'occorrenza anche di semi). La gallinella d'acqua è un uccello dal piumaggio nerastro dal becco rosso e dalle zampe verdi con una specie di "giarrettiera" rossa. Vive sulle rive degli stagni e si alza in volo cominciando a "correre" sulla superficie dell'acqua per acquistare portanza. Quando è allarmata alza e abbassa continuamente la coda. È comune in Europa e in Asia.
La beccaccia (Scolopax rusticula) fa parte dell'ordine dei Caradriformi, famiglia degli Scolopacidi, ed è un tipico uccello di bosco, sfortunatamente oggetto di attiva caccia. È di abitudini solitarie, ha zampe corte e lungo becco robusto, ed il piumaggio color foglie morte con striature nere imita il sottobosco per motivi mimetici. Buona volatrice, esce in volo nel crepuscolo dopo aver trascorso il giorno nel fitto della vegetazione, si nutre di vermi e insetti che stana frugando nel terreno umido con il lungo becco e vive in tutta l'Europa settentrionale. All'arrivo dell'inverno migra in Europa meridionale, in India e in Cina. In marina, ha il nome di beccaccia un tipo di imbarcazione spagnola.
Altro esponente dell'ordine dei Caradriformi e della famiglia dei Canadridi è la pavoncella (Vanellus vanellus), un piviere alto circa 30 cm, dal piumaggio verde iridescente oppure bianco, coda bianca, una banda terminale nera ed il sottocoda castano acceso. Il volo è spesso stranamente irregolare con lenti battiti d'ala. Risulta gregaria e spesso in inverno forma gruppi enormi. Abita i terreni coltivati, le marcite, le paludi e le lande melmose; spesso nidifica nei terreni arativi.
Il gabbiano comune (Larus ridibundus) appartiene all'ordine dei Caradriformi, famiglia dei Laridi: sono uccelli acquatici dalle ali lunghe, buoni volatori ed ottimi tuffatori, dotati di piedi palmati e becco uncinato. Il gabbiano comune ha becco sottile e zampe rosse, e vive lungo le coste del mare e dei grandi fiumi, pur spingendosi anche nell'entroterra. Nidifica in piccole comunità sul terreno, e spesso si posa sull'acqua e vi galleggia. Si nutre di pesci, molluschi e spesso anche di rifiuti.
Il fenicottero appartiene invece all'ordine dei Fenicotteriformi, famiglia dei Fenicotteridi; qui se ne vede una colonia ripresa nel parco faunistico delle Cornelle (BG) dalla mia allieva Alessia Martini. È distribuito in America, Africa, Asia sudorientale ed anche in Europa meridionale, Italia compresa; risulta inoltre molto legato all'acqua salsa, soprattutto alle coste basse e fangose, dove sonda con il proprio strano becco il limo del fondo alla ricerca di molluschi, crostacei, insetti, pesci e vegetali.
Fa parte dell'ordine degli Struzioniformi questo bellissimo esemplare di Nandù (Rhea americana) fotografato da Lorenzo Mainini. Si tratta del più grande uccello dell'America Latina non capace di volare: ha un corpo forte e zampe massicce, adatte alla vita terrestre;pesa 20-25 kg per un'altezza di circa 135 cm, ed il suo piumaggio è grigio o bruno con riflessi chiari. Il nandù . vive nelle pampasdel Brasile meridionale e della Patagonia, in prossimità dei fiumi, e pur non essendo in grado di volare possiede ali piuttosto ampie, che apre per sembrare più grosso e spaventare eventuali predatori.
Ed ecco un'upupa (Upupa epops) fotografata nel mio giardino. Fa parte dell'ordine dei Coraciiformi (lo stesso dei corvi), ed è inconfondibile per via del suo piumaggio, marrone chiaro nella parte superiore e a strisce orizzontali bianco-nere nella parte inferiore. Il capo è provvisto di un tipico ciuffo di penne, il becco è lungo e sottile e leggermente ricurvo verso il basso. Il suo verso "pu-pu-pu" era considerato presagio di sventura, e Foscolo lo descrive erroneamente come un uccello notturno abitante dei cimiteri. Eugenio Montale ne dà tutt'altra immagine: « Upupa, ilare uccello, aligero folletto... »
Con il barbagianni (Tyto alba) passiamo ai cosiddetti rapaci notturni. Per la precisione esso appartiene all'ordine degli strigiformi, famiglia dei Titonidi; ha livrea chiarissima, zampe assai lunghe, occhi neri e molto grandi. Notturno, caccia occasionalmente anche di giorno. Il volo ondulante e il colore latteo hanno contribuito a conferirgli un aspetto fantasmatico e la fama di annunciatore di sciagure, il che ha causato una caccia indiscriminata. In realtà è molto utile per l'agricoltura perchè si nutre di piccoli roditori, un flagello per i campi di cereali. Nidifica per lo più nelle costruzioni rurali e nei campanili.
Allo stesso ordine e famiglia del barbagianni appartiene questo gufo comune (Asio otus), che con i suoi 70 cm è il più grosso gufo europeo. Ha petto fulvo striato e grandi occhi arancione. Caccia all'alba ed al tramonto, e riesce a catturare prede addirittura delle dimensioni di un gallo domestico. Dorme nelle fenditure delle rocce o nel cavo degli alberi, ma anche sui promontori rocciosi. Come tutti i rapaci notturni ingenera reazioni di repulsione negli uomini ed è accompagnato da una fama sinistra, ma le nostre paure ancestrali, risalenti all'epoca in cui gli ominidi potevano essere attaccati nell'oscurità da creature come questa, identificati con gli spiriti delle tenebre, sono oggi del tutto ingiustificate.
Passiamo alla famiglia degli Accipitridi, cui appartengono i maggiori rapaci diurni. Si tratta di un falco pecchiaiolo (Pernis apivorus) lungo circa 50 cm con ali larghe, coda arrotondata e volo piuttosto pesante. Volteggia per ore sulle larghe ali immobili, con le primarie rivolte all'insù. Essendo dotato di una vista eccezionale, appena individua una preda vi si precipita sopra in picchiata da alta quota, catturando piccoli mammiferi e raramente altri uccelli; talora si ciba anche di carogne. Abita le balze rocciose poco accessibili, le colline e le regioni boscose, nidificando sui fianchi delle montagne o sul terreno irregolare. Il portamento fiero fa di questi rapaci i "signori della classe degli uccelli".
Un altro esempio di falco, ma stavolta più piccolo (35 cm), è questo gheppio (Falco tinnunculus), che come tutti i Falconiformi è caratterizzato da becco robusto ed uncinato, zampe lunghe con tarsi nudi ed artigli fortissimi, ed abitudini diurne. Il gheppio si riconosce in particolare per le ali appuntite e la coda stretta. Vola con rapide battute d'ali ed ama mettersi nella posizione detta "Spirito Santo", orientato controvento. Come il falco, si getta in picchiata per afferrare topi e grossi insetti. Frequenta colline, terreni coltivati, boschi non fitti ed occasionalmente le città. Nidifica in vecchi nidi di cornacchie e gazze.
Per concludere con gli uccelli, ecco una magnifica fotografia di aquila reale (Aquila chrysaetos), inviatami dall'amico Carlo Pontesilli, e da lui fotografata nell'area avifaunistica del comune di Andreis (PN). Si tratta certamente del rapace più famoso, già simbolo di Zeus e poi dell'impero romano, e come tale ereditato anche dal Sacro Romano Impero, da Napoleone, da Hitler e dall'impero zarista. Ha una lunghezza di 80 cm ed un peso variabile dai 3 ai 9 Kg; la femmina è più grande del maschio. La testa è di color castano dorato, da cui viene il nome della specie ("chrysaetos", cioè "aquila d'oro"). Un tempo diffusa in tutta l'Eurasia, oggi la si trova solo sui rilievi montuosi; in Italia è diffusa sulle Alpi e lungo gli Appennini.
Ed eccoci finalmente alla classe dei mammiferi, così detti perchè vivipari e perché sono soliti allattare i propri piccoli. Oggi si tratta della classe prevalente nel regno animale, grazie al suo più pretenzioso rappresentante: l'uomo. Da sinistra si vedono una lepre, uno scoiattolo, un criceto, una cavia, una donnola ed una faina. I mammiferi si suddividono in Prototeri e Teri.
I Prototeri sono detti anche monotremi (in greco "un orifizio"), i mammiferi più primitivi e privi di placenta e mammelle; hanno un becco come gli uccelli, una cloaca unica e sono ovovivipari. Questa fotografia è tratta dal sito www.terrambiente.org e rappresenta un ornitorinco (Ornithorynchus anatinus), strano fossile vivente dell'Australia con le zampe palmate e la coda a spatola, simile a quella dei castori; vive in gallerie vicino all'acqua ed i maschi sono provvisti di uno sperone velenoso.
I Teri a loro volta si dividono in Metateri ed Euteri. I Metateri sono detti anche marsupiali, sono pressoché privi di placenta e così il piccolo è partorito ad uno stato embrionale e deve trovare rifugio in una tasca ventrale detta marsupio, da cui il nome dell'ordine. I marsupiali vivono in Oceania e nelle due Americhe; il più famoso di tutti è il canguro in fotografia, ruminante che vive in zone aride ed ha le zampe posteriori robuste ed adatte ad un'andatura a balzi; si difende sferrando pugni e calci. Nella foto sottostante si vede il piccolo sporgere dal marsupio materno. La foto è stata scattata nel parco faunistico delle Cornelle (BG) nell'aprile 2007 dalla mia allieva Alessia Martini
Gli Euteri sono detti anche placentati, e costituiscono la stragrande maggioranza dei mammiferi attuali. Il criceto (Cricetus cricetus), molto diffuso nelle nostre case, appartiene al vastissimo ordine dei Roditori, famiglia dei cricetidi. È simile ad un topo, di forma tozza e con pelame assai morbido, che ha atto crescere le sue quotazioni come animale domestico. È inoltre provvisto di caratteristiche sacche guanciali, nelle quali raccoglie il cibo che poi trasporta nella tana. Ha abitudini notturne e, essendo granivoro, può rivelarsi dannoso per le colture dei cereali. È diffuso in tutta l'Europa centrale e settentrionale.
Lo scoiattolo (Siurus vulgaris) è un tipico roditore della famiglia dei Castoridi. Ha testa rotonda e muso breve, occhi grandi e può raggiungere i 45 cm di lunghezza, dei quali 20 di sola coda. È pentadattilo con unghie ricurve, che gli permettono di arrampicarsi molto facilmente; il mantello è di colore rossastro, talora grigio. Vive nei boschi molto fitti, sui rami degli alberi, nutrendosi di semi e frutti secchi, che immagazzina d'estate nelle cavità dei tronchi per consumarle durante l'inverno. Curioso e vivacissimo, è facilmente addomesticabile; è stato reso celebre dai personaggi Disney di Cheap & Dale (Cip e Ciop).
La cavia (Cavia porcellus) è un roditore della famiglia dei Caviidi, noto anche come porcellino d'India. Originario dell'America meridionale, è caratterizzato da modeste dimensioni, dal mantello di colore e di tipo di pelame molto vario, da zampe corte e da coda brevissima. Purtroppo viene frequentemente utilizzato nei laboratori di ricerca per testare farmaci o per eseguire ricerche mediche e biologiche, il che ha fatto di "cavia" un sinonimo di "vittima". Le organizzazioni animaliste chiedono da tempo la fine di queste sperimentazioni e della vivisezione.
Il riccio o porcospino (Erinaceus europaeus) è qui a rappresentare l'ordine degli Insettivori, famiglia degli Erinaceidi. Lo caratterizzano il corpo tozzo, il muso appuntito, le zampe brevi armate di grosse unghie, e soprattutto il fitto vello di aculei lunghi 2-3 cm che ricoprono la parte superiore del corpo. Vive di preferenza nei boschi, ha abitudini notturne e si nutre di insetti, vermi, molluschi, piccoli mammiferi ed anche di serpenti. Se minacciato, reagisce arrotolandosi a palla. È diffuso in tutta Europa; in Italia vivono le due sottospecie italicus e meridionalis. Ho fotografato questo riccio nel mio giardino il 10/6/2012!
Altro insettivoro, della famiglia dei Talpidi, è la comune talpa (Talpa europaea). Il corpo tozzo è lungo circa 20 cm, con collo corto, muso appuntito, occhi piccolissimi spesso coperti da spesse palpebre, arti inferiori trasformati in vere e proprie pale atte allo scavo e terminanti con artigli affilati. Conduce vita sotterranea e scava lunghe gallerie, nutrendosi di insetti e lombrichi. Purtroppo la sua pelliccia è pregiata ed è considerata dannosa per l'agricoltura, devastando gli orti con i suoi scavi.
La lepre (Lepus europaeus) appartiene all'ordine dei Roditori e al sottordine dei Lagomorfi, che sulla mascella superiore hanno un secondo paio di piccoli incisivi. La famiglia è quella dei Leporini. Arriva ai 70 cm, ha orecchie assai lunghe, pelliccia folta ci colore rosso-grigio, coda corta ed arti posteriori particolarmente sviluppati, il che fa di loro delle ottime saltatrici e corritrici. Ha abitudini in genere notturne e si nutre di vegetali. Risulta diffusa in Europa centrale e meridionale. Il suo carattere è molto timido, ed è fatta oggetto di una caccia spietata per la bontà delle sue carni. In Sardegna è diffusa la Lepus capensis, di statura inferiore; la Lepus timidus o lepre alpina invece ha pelo molto più folto, che in inverno diventa bianchissimo.
La donnola (Mustella nivalis) ci fa passare all'ordine dei Carnivori, famiglia dei Mustelidi. Ha corpo snello, muso appuntito, orecchie piccole e tondeggianti, dita artigliate e coda breve; il mantello, morbidissimo, è rossiccio nella parte superiore e bianco in quella inferiore. Diffusa in Europa e in Asia settentrionale, sulla catena alpina si spinge fino a 3000 metri di quota. Feroce predatrice, spesso attacca i pollai, ma è considerata utile, compiendo vere stragi di roditori dannosi.
La faina (Martes faina) è un altro mustelide dal pelame di colore bruno, con una larga macchia sul petto e sulla gola. Ottima arrampicatrice, vive nei boschi o nei pressi delle abitazioni di campagna, spesso insediandosi in solai, tetti e granai; esce dal rifugio solo di notte per dare la caccia a topi, conigli, polli e altri uccelli. È diffusa in Europa e in Asia centrosettentrionale; in Italia manca solo in Sardegna. La sua pelliccia è pregiata. 
Un'importante famiglia dell'ordine dei Carnivori è quella dei Felidi, comprendente i predatori per eccellenza. Dotati di grande forza, acuità di sensi ed eleganza, sono diffusi su tutto il pianeta fatta eccezione per il Madagascar. Sono felidi il gatto domestico (Felis catus), la lince (Lynx), il leopardo (Panthera pardus) e questi magnifici esemplari di leone (Panthera leo, in alto) di tigre (Panthera tigris, in basso). Il leone, "re della foresta" che in realtà vive nella savana, è diffuso in Africa, mentre la tigre vive solo in Asia, dalla Siberia alle isole della Sonda, ma purtroppo è vicina all'estinzione. Le foto sono di Lorenzo Mainini.
Quello che si vede qui a fianco è il bellissimo disegno dello scheletro di un ghepardo (Acinonyx jubatus) realizzato dallo studente Dario Pavan (5 L a.s. 2009/10). L'animale è rappresentato in corsa perché questo felide detiene il record di velocità in corsa lanciata tra i vertebrati: quasi 120 Km/h! Ciò può avvenire grazie ala sua struttura leggera e alla colonna vertebrale straordinariamente flessibile, che durante la corsa contrae ad arco per poi distenderla in avanti, sviluppando una formidabile forza propulsiva. Ciò che gli fa difetto è la resistenza: può mantenere questa velocità solo per pochi secondi.
Anche questa foto viene da www.terrambiente.org. Essa rappresenta un esemplare di orso bruno (Ursus arctos) fotografato nel suo ambiente naturale. Tale animale appartiene alla famiglia degli Ursidi, che comprende i carnivori terrestri di maggior mole: hanno corporatura pesante, testa assai grande ma occhi in proporzione molto piccoli, collo muscoloso, arti corti ma robustissimi, coda rudimentale ed andatura plantigrade. L'orso bruno oscilla tra i 150 ed i 300 Kg e può arrivare ai due metri di lunghezza; una sua zampata equivale ad un colpo di mazza, ma difficilmente attacca l'uomo.
L'orecchione bruno (Plecotus auritus), qui ripreso in volo, è il più classico pipistrello italiano e, come tutti i suoi consimili volanti, fa parte dell'ordine dei Chirotteri. Si tratta di mammiferi particolarmente adattati alla vita aerea, grazie alle dita delle mani abnormemente allungate, che reggono una membrana detta patagio. Per motivi di concorrenza con gli uccelli hanno sviluppato abitudini notturne, e si orientano nel buio emettendo ultrasuoni che, riflessi dagli ostacoli, vengono captati dagli ampi padiglioni auricolari a mó di sonar. L'orecchione è lungo solo 5 cm, ma ha orecchie che raggiungono i 36 mm!
Il delfino comune (Delphinus delphis), diffuso in tutti i mari temperati e caldi del pianeta, è un tipico rappresentante dell'ordine dei Cetacei, ed assieme all'orecchione dimostra l'incredibile adattabilità dei mammiferi a tutti i biomi terrestri, in questo caso a quello acquatico. I cetacei (purtroppo in via di estinzione a motivo della caccia indiscriminata) mostrano un'incredibile convergenza evolutiva con i pesci nella forma del corpo e delle pinne! La foto è stata scattata dall'amico Lorenzo Mainini all'acquario di Genova.
Dell'ordine degli Artiodattili, famiglia dei Tilopodi o Camelidi, fa parte il genere Camelus, ben rappresentato da questo dromedario (Camelus dromedarius), da me stesso fotografato in Israele. Esso si distingue dal più comune cammello (Camelus bactrianus) perchè ha una sola gobba sul dorso; le dita poggiano al suolo tramite cuscinetti elastici e sono dotate di particolari callosità (da cui il nome di tilopodi, "con il piede calloso"). Presenta spiccate attitudini per le zone aride e può resistere settimane senza bere, ricavando acqua dal metabolismo dei grassi contenuti nella cospicua gobba adiposa che ha sulla schiena.
Anche questa ripresa mi è stata spedita dall'amico Carlo Pontesilli, appassionato di foto naturalistiche, ed illustra un bellissimo esemplare di cervo europeo (Cervus elaphus), ordine degli Artiodattili, famiglia dei Crvidi. I maschi adulti di questa specie, diffusa in tutta Europa, in Anatolia, sul Kasmir, in Mongolia e in Manciuria, possono essere lunghi sino a 2,50 m  e alti fino a 1,50 m al garrese, con un peso che può superare i 300 kg. Le corna o palchi sono strutture tipiche dei maschi.
Quella che vedete in figura è una magnifica testa di caribù (Rangifer tarandus), nome (proveniente dall'algonchino kalibù) con cui è conosciuta la renna  in Nordamerica. Si tratta di un cervide diffuso in tutte le aree settentrionali di Eurasia, Nordamerica e Groenlandia, con un'altezza alla spalla di 120 cm; nonostante le dimensioni, può correre fino ad una velocità di 70 km/h. Caratteristica della renna è la presenza dei palchi anche nelle femmine; in certi individui essi raggiungono i 150 cm di lunghezza e la renna li cambia tutti gli anni. Le popolazioni del nord come i Lapponi le allevano da secoli per il loro sostentamento. La fotografia è stata scattata nel Civico Museo di Storia Naturale di Milano.
Nuova fotografia dovuta a Carlo Pontesilli, e stavolta rappresenta uno stambecco (Capra ibex), appartenente all'ordine degli Artiodattili, famiglia dei Bovidi. Un tempo viveva in tutte le zone montagnose dell'Europa (è stato anche raffigurato dai nostri antenati sulle pareti delle loro caverne), ma poi la caccia spietata, alimentata dall'assurda convinzione che le sue corna macinate fossero un rimedio contro l'impotenza, lo ridusse a poche centinaia di individui. Fu Vittorio Emanuele II di Savoia a istituire la prima riserva loro dedicata. Oggi fortunatamente è fuori pericolo. La carne di stambecco è stata consumata fin dalle epoche più remote: le ricerche dei paleontologi hanno permesso di scoprire che Ötzi, il famoso Uomo del Similaun, mangiò speck di stambecco prima di venire presumibilmente ucciso.
Anche l'amico Andrea Villa, dopo le sue vacanze a Foppolo (alta Val Brembana, provincia di Bergamo) nell'agosto 2021, è stato così gentile da inviarmi alcune foto da lui scattate sulle Alpi Orobie, e tra di esse c'era questo meraviglioso scatto di un gruppo di stambecchi, dei quali abbiamo già parlato a proposito dell'immagine precedente. Qui si vedono in particolar modo il loro tipico manto estivo color bruno chiaro (quello invernale è marrone scurissimo) e le lunghe corna arcuate e nodose, che negli esemplari più anziani possono superare il metro di lunghezza, e che li portarono sull'orlo dell'estinzione. La loro crescita si blocca ogni anno in novembre, e questo arresto dà vita ad un anello ben visibile sulla parte laterale e posteriore del corno. Contando il numero di questi cerchi si risale al numero di inverni trascorsi, e quindi all'età dell'animale.
Questa foto mi è stata invece spedita dall'amica Giulia Grazi Bracci, e raffigura le sue (vecchie) capre, come specifica lei stessa tra parentesi. La capra domestica (Capra hircus) fu addomesticata per la prima volta dagli abitanti dei Monti Zagros, in Iran, circa 10.000 anni fa. Appartiene all'ordine degli Artiodattili, famiglia dei Bovidi, sottofamiglia dei Caprini, e sono famose per la loro adattabilità a qualsiasi tipo di cibo. Contrariamente alla loro reputazione, tuttavia, sono piuttosto schizzinose per quanto concerne il cibo, preferendo brucare i germogli di cespugli e giovani alberelli, comprese specie tossiche per mucche o pecore.
Agli Artiodattili appartiene anche questo esemplare di facocero (Phacocerus aethiopicus), appartenente alla famiglia dei Suidi, animali caratterizzati da un muso allungato, carnoso e tronco, a contorno circolare, alla cui estremità si aprono le narici. I denti canini sono trasformati in zanne a scopo di difesa, a crescita continua e incurvate all'indietro. Animali onnivori, sono allevati da millenni anche se Arabi ed Ebrei li considerano animali impuri, probabilmente per la loro abitudine a razzolare dovunque con il muso, il che li fa considerare vettori di malattie. La foto in questione viene da www.terrambiente.org.
Questa foto, scattata nel parco faunistico delle Cornelle (BG) dalla mia allieva Alessia Martini, illustra un rinoceronte bianco o di Burchell (Ceratotherium simum), ordine dei Perissodattili (come i cavalli e i tapiri). famiglia dei Rinocerontidi. Si tratta di mammiferi cornuti dai caratteri piuttosto primitivi, di grande mole ma, nonostante questa, timorosi e schivi; attaccano solo per difesa e in questo caso caricano l'avversario sfruttando la grande massa (possono arrivare ai 45 Km/h). Il rinoceronte bianco è il maggior mammifero terrestre dopo l'elefante, supera i 4,5 m di lunghezza e le 3,5 tonnellate di peso!
Allo stesso ordine dei Perissodattili, famiglia degli Equidi, appartengono questi cavalli (Equus caballus) fotografati nella Camargue, Provenza. Gli Equidi si sono sviluppati a partire da animali piccoli (eoippi) dell'Eocene dotati di cinque dita separate, e a poco a poco hanno aumentato le loro dimensioni, diffondendosi in tutto il mondo tranne che in America, dove furono reintrodotti solo dai Conquistadores, ritornando poi allo stato brado nelle vastissime praterie di quel continente.
Presso il Civico Museo di Storia Naturale di Milano è conservato uno dei pochi esemplari superstiti di quagga (Equus quagga quagga), una sottospecie di zebra che viveva in Sudafrica, ma che si estinse verso la fine del XIX secolo a causa della caccia spietata cui fu sottoposta. A differenza di tutte le altre zebre, essa aveva le caratteristiche strisce nere soltanto sulla parte anteriore del corpo, mentre la porzione posteriore era interamente bruna. Il suo nome deriva probabilmente da una parola indigena onomatopeica, che voleva riprodurre il verso dell'animale. Oggi è stato proposto di riportarla in vita tramite le moderne tecniche di clonazione.
Qui vediamo a confronto il piede di bovino (a sinistra) e quello di un cavallo (a destra). Gli equidi e i bovidi sono "unguligradi", cioè camminano sulle unghie, indurite e trasformate in zoccoli, mentre i felini sono digitigradi, ed i primati (ma anche gli ursidi) sono plantigradi. Tutta la parte di osso che noi vediamo nelle teche in vetro rappresenta solo il "dito del piede" del cavallo, cioè il metatarso; sopra di esso viene il garretto, l'equivalente del nostro calcagno, e poi l'osso della gamba vero e proprio. Analogo discorso per il bovino. Bovini e cavalli sono stati addomesticati dall'uomo già nel Mesolitico.
A rappresentare l'ordine dei Ruminanti c'è questo teschio di mucca, femmina della specie Bos taurus, il cui nome viene forse dal lombardo "mocca", mozza, nel senso di « quella dalle corna mozze ». Essa appartiene alla famiglia dei bovidi, mammiferi grossi, tozzi e robusti, con grandi corna cilindriche e lisce, e con la coda che termina in un fiocco di peli; si nutrono di erba ed il loro nome deriva dal fatto che il bolo alimentare, sommariamente masticato, giunge prima nella parte di stomaco chiamata rumine, poi di qui viene rimandato in bocca dove è nuovamente masticato prima di ridiscendere nello stomaco.
Dell'ordine dei Ruminanti fa parte anche la famiglia degli Ovini, il cui rappresentante più classico è la pecora domestica (Ovis aries), allevata fin dal 9000 a.C. in stazioni neolitiche del Kurdistan persiano e irakeno; se questo dato è vero, la pecora domestica deriva allora dall'urial (Ovis orientalis). Alta al garrese da 70 a 120 cm, ha tronco tozzo, muso camuso, corna che nei maschi (i montoni) hanno forma a spirale, e soprattutto un fitto mantello lanoso. Allo stato brado (es. il muflone) abita le zone montane dell'Asia, dell'America Settentrionale e dell'Europa.
In un Armadio Virtuale di Zoologia che si rispetti non può mancare lo scheletro di un cane. Sul "migliore amico dell'uomo" sappiamo tutto; qui val la pena di aggiungere solo che esso appartiene all'ordine dei Carnivori ed alla famiglia dei canidi, come il lupo, lo sciacallo e la volpe. Il genere Canis compare in Europa alla fine del Pliocene, l'ultimo periodo dell'era Cenozoica, quando nasce il Canis etruscus. Il cane cui noi siamo abituati (Canis familiaris),  venne addomesticato dall'uomo nel Mesolitico, ma già nel Neolitico era rappresentato da numerosissime razze, e cominciava ad essere allevato non solo per la caccia o per custodire abitazioni e greggi, ma semplicemente come animale da compagnia. 
E così arriviamo ai primati, che costituiscono (come dice il nome) l'ordine più evoluto di tutti i mammiferi; oltre all'uomo, esso comprende proscimmie e scimmie. Sono plantigradi pentadattili con pollice ed alluce opponibili (nell'uomo l'alluce ha perso l'opponibilità per favorire la camminata), il cranio ha un volume notevole rispetto all'intero corpo, e l'encefalo è particolarmente sviluppato, con progressiva evoluzione della corteccia. La maggior parte dei primati è arboricola; solo gli ominidi hanno abbandonato le foreste per vivere nella prateria e sviluppare la stazione eretta, resa possibile da una colonna vertebrale con tre curvature come una molla per sorreggere il cranio, come mostra questo scheletro umano.
Le proscimmie sono a loro volta divise in lemuroidee e tasioidee, e rappresentano i primati più primitivi. Sono di dimensioni piccole, hanno per lo più abitudini notturne (ed infatti presentano occhi di dimensioni talora gigantesche rispetto alla testa) e vivono spesso nel folto delle foreste; sono assai diffuse in Amazzonia e nel Madagascar, anche se oggi sono minacciate di estinzione. La foto a sinistra mi è stata mandata da un amico (se qualcuno ne conosce i credits è pregato di inviarmeli) ed illustra una delle specie più piccole di proscimmie, grande poco più di un pollice umano.
Le scimmie vere e proprie (dette anche primati antropoidei) sono invece suddivise in catarrine platirrine. Le platirrine (dal greco "naso piatto") hanno un setto nasale largo con narici distanziate ed aperte in avanti, e comprendono le famiglie dei cebidi e dei callitricidi. Le catarrine hanno invece le narici separate da un setto nasale stretto e rivolto verso il basso, e comprendono le famiglie e dei cercopitecidi, degli antropomorfi e degli ominidi (oggi rappresentato dal solo genere.Homo). Qui vediamo un macaco (Macaca mulatta) fotografato presso il Civico Museo di Storia Naturale di Milano: si tratta di una scimmia catarrina della famiglia dei cercopitecidi.
Questa foto, scattata in Kenya il 13 dicembre 2009 dall'amico tuttologo Sandro Degiani, raffigura una scimmia catarrina chiamata Colobo Negro (Colobus Satanas). Il suo nome deriva dal greco kolobòs, "mutilo", "monco", perchè è quasi priva di pollice ed ha un semplice moncone opponibile nella mano per aiutare la presa. La specie è caratterizzata dall'avere narici strette e rivolte verso il basso (come noi umani) e due premolari in meno rispetto alle altre scimmie. Grazie, Sandro!
Questa foto di Lorenzo Mainini rappresenta un babbuino (Papio cynocephalus), un primate della famiglia dei Cercopitecidi diffuso in Africa e nella penisola arabica. Il nome della specie deriva dal muso, che ha la forma di quello di un cane. I babbuini presentano un netto dimorfismo sessuale (i maschi pesano circa il doppio delle femmine e canini più sviluppati), sono ottimi arrampicatori, mangiano di tutto e vivono in folti gruppi, comunicando tra loro con complessi sistemi vocali e gestuali 
Se passiamo alla famiglia delle scimmie antropomorfe, non possiamo non parlare dello scimpanzè (Pan troglodytes), considerato tra tutti gli animali quello geneticamente più simile all'uomo tanto che alcuni naturalisti hanno proposto di ribattezzare la specie addirittura Homo troglodytes. Estremamente intelligenti, in natura gli scimpanzè sono in grado di usare utensili, tra cui un rametto da inserire in un termitaio per catturare gli insetti, ed in cattività hanno addirittura dimostrato di poter apprendere il linguaggio dei gesti. Gli studi sul campo di Jane Goodall hanno dimostrato l'esistenza di una vera e propria "cultura scimpanzé"! Anche questa foto viene dal Civico Museo di Storia Naturale di Milano.
E i gorilla, dei quali qui vediamo uno scheletro di maschio e uno di femmina, fotografati anche in questo caso al Museo succitato? Sicuramente si tratta di un'altra scimmia antropomorfa assai simile a noi, come dimostra l'etimologia del suo nome (Gorilla gorilla) dal senegalese "gor", "uomo". Anzi, si tratta della maggiore scimmia antropomorfa vivente, raggiungendo i due metri e mezzo di altezza, ma è seriamente minacciata di estinzione, soprattutto per quanto riguarda la sottospecie di montagna, resa famosa dagli studi di Dian Fossey (1932-1985).
Naturalmente, parlando dei nostri parenti più stretti, non poteva certo mancare l'orango (Pongo pygmaeus), l'unico grande primate che sia riuscito ad evolvere fuori dall'Africa. Il suo nome deriva dalle parole malesi Orang-utan (nome con cui talvolta è conosciuto), cioè "uomo dei boschi"; e difatti nel suo habitat naturale trascorre la maggior parte della vita sugli alberi, perché le sue zampe non sono adatte per camminare sul terreno. Sua caratteristica precipua sono i forti arti superiori, che usa per dondolarsi sui rami, mentre gli arti inferiori sono deboli e non riescono a sostenere a lungo il peso del corpo. L'evidente disparità tra gli arti è ben visibile in questo scheletro esposto al Civico Museo di Storia Naturale di Milano.
Ed ecco tre teschi di primati a confronto, sempre fotografati nel Museo testé citato. Da destra a sinistra vediamo un cranio di babbuino Gelada (Theropithecus gelada), scimmia catarrina della famiglia dei cercopitecidi che vive sulle montagne dell'Etiopia, uno di scimpanzè ed uno di uomo moderno.
Lo scheletro dell'uomo, di cui qui vediamo il cranio e parte della gabbia toracica, deriva il suo nome dal greco skeletós, da skéllein, "disseccare", costituisce l'apparato di sostegno del l'intero organismo ed è composto da 208 ossa, completate da alcuni elementi cartilaginei (es. le costole e il naso), organizzate in modo da proteggere gli organi interni. Schematicamente è formato da una parte assile (testa e tronco) e una appendicolare, rappresentata dalle ossa degli arti; le due si collegano fra loro mediante i cinti scapolare e pelvico. Le ossa si distinguono in lunghe (es. il femore) e piatte (es. la scapola). Le ossa lunghe sono costituite da un corpo o diafisi che contiene il midollo, e da due estremità o epifisi, su cui fanno presa le articolazioni.
Questo è un femore umano, osso lungo pari e asimmetrico che costituisce lo scheletro della coscia. È il più lungo osso dello scheletro umano, raggiungendo talora i 40 cm. In alto si articola con l'osso iliaco dentro una cavità emisferica detta acetabolo, in basso con la tibia. L'estremità superiore è formata da una grossa sporgenza di forma sferoidale, la testa del femore, e da due sporgenze minori, il grande e il piccolo trocantere. L'estremità inferiore invece presenta due superfici articolari situate lateralmente e chiamate condili, separate l'una dall'altra da un solco chiamato in gergo medico incisura intercondiloidea. Un femore può reggere un peso di svariati quintali, ma si spezza facilmente in seguito ad urti laterali.
Per studiare le ossa, niente di meglio di una radiografia (quella che qui vedete ritrae il torace umano). Infatti i tessuti molli vengono attraversati dai raggi X come se fossero trasparenti, mentre le ossa sono abbastanza dense da fermarli; fin dai primi del '900 nacquero così innumerevoli centri specializzati in radiografie, e addirittura, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, dei camion vennero attrezzati come veri e propri laboratori radiologici ambulanti. Prima della scoperta dei raggi X, ogni operazione chirurgica doveva essere effettuata... alla cieca. Purtroppo molti medici, presi dall'entusiasmo, esagerarono nello scattare radiografie ai loro pazienti, e ricevettero danni irreversibili a causa dell'overdose da radiazioni.
Purtroppo il 12 febbraio 2024 l'autore di questo sito ha rimediato una frattura scomposta all'epifisi del radio scivolando banalmente su una foglia bagnata. Per questo sono stato operato il 1° marzo 2024 in anestesia plessica (un tipo di anestesia locale) e mi è stata impiantata una placca di titanio più quattro viti. Cerchiamo di trarre l'utile anche dal male, ed ecco pubblicata la radiografia del mio braccio e del mio polso, in cui si distinguono il radio (con la frattura ricomposta), l'ulna, la placca, le viti e le ossa del carpo, del metacarpo e delle falangi. Dopotutto, anche la prima radiografia della storia, pubblicata su una rivista scientifica, fu quella di Anna Bertha Ludwig (1839-1919), moglie di Wilhelm Conrad Röntgen, lo scopritore dei raggi X!
La parola anatomia deriva da un termine greco, antatemnein, che significa "sezionare", poiché per studiare gli organi interni nei secoli trascorsi si sezionavano dei cadaveri (mirabili gli studi anatomici che ci ha lasciato Leonardo da Vinci). Essa studia le innumerevoli parti di cui è formato il nostro corpo, dette organi ed organizzate in apparati e sistemi. Qui si vede un utile modellino del corpo umano fatto di parti staccabili, che permettono di studiare anatomia senza dover far ricorso allo sgradevole lavoro di dissezione dei morti. Si vedono in particolare l'interno della gabbia toracica, l'intestino e parte della scatola cranica.
Il cuore è "la sottile parete che ci separa dalla morte", come ebbe a scrivere un poeta. Più scientificamente si tratta di un muscolo cavo che occupa la parte centrale della gabbia toracica, tra i due polmoni. È composto da due cavità quasi simmetriche, non comunicanti tra loro se non in caso di malformazioni; quella destra contiene sangue non ossigenato e quella sinistra contenente sangue ossigenato. La parte superiore è detta atrio e quella inferiore ventricolo. La valvola che mette in comunicazione il ventricolo con l'atrio impedisce il reflusso del sangue dal primo al secondo; la destra è detta tricuspide mentre a sinistra è detta mitrale. Alla base del ventricolo destro inizia l'arteria polmonare, alla base di quello sinistro l'aorta Il cuore, di cui qui vediamo un modellino apribile, è nutrito da due grandi arterie dette coronarie, la cui occlusione causa l'infarto.
Siccome parlando di cuore è impossibile non parlare anche di sangue, ecco in fotografia una sacca di sangue da usarsi nel corso di una trasfusione. Il sangue viene definito un "tessuto liquido" ed è composto da una parte liquida e da una parte corpuscolare. La prima si chiama plasma ed è composta per il 90% da acqua e per il restante 10% da sostanze organiche come l'albumina. Le cellule ematiche si dividono in globuli rossi o eritrociti, prodotti dal midollo osseo (sono privi di nucleo e trasportano l'ossigeno a tutte le cellule del corpo), globuli bianchi o leucociti (hanno il nucleo, sono più grandi ma meno numerose dei globuli rossi, e difendono l'organismo dagli attacchi degli agenti patogeni) e piastrine o trombociti, deputate alla coagulazione del sangue. E dire che Aristotele credeva che le vene trasportassero aria!
Questo spettacoloso modellino illustra invece un villo intestinale. Queste particolari strutture di rivestimento a forma di minuscolo dito si trovano sulla parete interna dell'intestino tenue, e rivestono enorme importanza per l'assorbimento del nutrimento da parte dell'organnismo. Essi infatti incrementano in modo incredibile la superficie assorbente dell'intestino; inoltre le loro cellule contengono enzimi che completano il processo digestivo: la maltasi scinde il maltosio in due molecole di glucosio, la saccarasi scinde il saccarosio in glucosio e fruttosio, mentre la lattasi scinde il lattosio in galattosio e glucosio. I materiali digeriti vengono infine assorbiti all'interno dei vasi sanguigni che irrorano i villi.
Questo tabellone da laboratorio illustra una sezione di mascella con i denti ben in evidenza. I denti sono ossa conficcate nella mascella per mezzo della radice, il cui interno (polpa) è fittamente intrecciato di vasi sanguigni e di nervi. La parte visibile o corona è ricoperta di una sostanza bianca detta smalto. L'erosione della corona da parte di residui alimentari o inquinanti causa la carie (perforazione del dente sino alla polpa), fenomeno doloroso ed assai diffuso tra i bambini.
Un altro bellissimo modello da laboratorio illustra la struttura dell'occhio dei vertebrati. Esso è costituito da un globo riempito con una sostanza trasparente chiamata umor vitreo, e circondato da una membrana chiamata sclerotica. Anteriormente questa dà luogo alla cornea, una lamina trasparente che racchiude il cristallino. Si tratta di una vera e propria lente capace di mettere a fuoco le immagini e di provocare la loro formazione su un tappeto di cellule sensibili poste sul retro dell'occhio, chiamato retina. Essa è fortemente irrorata di capillari ed è la responsabile del fenomeno degli "occhi rossi" nelle foto con il flash!
Dopo l'occhio, eccoci all'orecchio; questo straordinario modellino smontabile permette di aprirlo e di vederne le singole parti. L'organo dell'udito si divide infatti in orecchio esterno, orecchio medio ed orecchio interno. Il primo è costituito dal padiglione auricolare (a sinistra), preposto a raccogliere i suoni, e dal condotto uditivo che li convoglia alla membrana del timpano. L'orecchio medio comprende la cassa del timpano scavata nell'osso temporale; la catena degli ossicini (martello, incudine, staffa) trasmette le vibrazioni all'orecchio interno, che comprende un organo detto coclea o chiocciola (se ne vede una parte smontata ed appoggiata sotto il modellino). Esso contiene l'organo del Corti, preposto a trasformare le vibrazioni meccaniche in impulsi elettrici, che poi il nervo acustico trasmette sino al cervello.
Questa foto è stata scattata dallo studente Luca Chiurazzi al Museo de Ciencias Naturales di Valencia nell'agosto 2017. Essa illustra, come si vede, un cervello umano conservato sotto formalina. Colloquialmente con la parola cervello si intende l'intero contenuto della cavità cranica, che invece prende il nome di encefalo, di cui il cervello è la parte più voluminosa, ma che comprende anche cervelletto e tronco encefalico. Il cervello è l'organo più importante del sistema nervoso centrale con un peso che non supera i 1500 grammi, ed ha un volume compreso tra i 1100 e i 1300 cm³. Negli esseri umani la corteccia cerebrale è la struttura predominante del cervello ed è sede delle funzioni cerebrali superiori, come il pensiero e la coscienza.
Il tabellone mostra la struttura del midollo spinale umano. Esso ha la forma di un cordone cilindrico, avvolto dalle meningi ed immerso nel cosiddetto liquido cefalorachidiano. Esso ha il compito di trasportare verso l'encefalo gli impulsi sensitivi del tronco umano, ed è formato da materia nervosa bianca che circonda la materia nervosa grigia. È protetto dalla colonna vertebrale e corre nei cosiddetti "fori vertebrali" di cui le singole vertebre sono dotate.
Si dice embriologia la scienza che studia lo sviluppo degli organismi a partire dall'ovulo fecondato. In questa fotografia, dietro ad un set di alcuni crani di uccelli, si distinguono alcuni modelli che presentano l'embrione animale a diversi stadi del suo sviluppo, a partire dalla morula, il semplice aggregato di 32 cellule sull'estrema sinistra.
Nell'ambito della Settimana della Scienza dal 14 al 27 marzo 2010, le bravissime studentesse Noemi Caruggi e Martina Cioffi della 3 I a.s. 2009/10 hanno realizzato questi ulteriori modellini di embrioni di diversi vertebrati, per sottolinearne le incredibili somiglianze nei primi mesi dello sviluppo. Nei mammiferi placentati l'embrione parte dalla fase di zigote e giunge fino al completo sviluppo degli organi, quando viene sostituito dal termine feto (nell'uomo, all'ottava settimana di gestazione). Le somiglianze incredibili tra gli embrioni di animali molto diversi tra di loro dimostra che essi hanno avuto un antenato comune, centinaia di milioni di anni fa.
Quello in figura è un disegno dell'autore di questo sito, che illustra il cranio del cosiddetto « bambino di Taung », esemplare di Australopithecus africanus, un ominide vissuto tra tre ed un milione di anni fa. Il curioso nome si deve al fatto che si tratta di un cucciolo, probabilmente ucciso da un uccello da preda. Il cranio non si è conservato, ma ci resta il calco pietrificato del suo cervello. Questo disegno ci introduce alla zoologia degli animali estinti, meglio nota come paleontologia, che rappresenta un capitolo della geologia. Ciò significa che è ora di cambiare Armadio Virtuale... andiamo?
I testi delle didascalie sono stati realizzati con la fattiva collaborazione del prof. Carlo Puglisi
Queste immagini possono essere liberamente utilizzate da chiunque, purché se ne citi la fonte

 

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