La Musica degli Ainur

Nel principio Eru, l'Uno, che gli Elfi chiamano Ilúvatar, creò gli Ainur dalla propria mente; e gli Ainur intonarono una Grande Canzone al suo cospetto...

(Ainulindalë)

 

« Nel principio Eru, l'Uno, che gli Elfi chiamano Ilúvatar, creò gli Ainur dalla propria mente; e gli Ainur intonarono una Grande Canzone al suo cospetto. In tale Canzone, il mondo ebbe inizio, poiché Ilúvatar rese visibile il canto degli Ainur, e costoro lo videro quale una luce nell'oscurità. E molti di loro si innamorarono della sua bellezza e della sua vicenda che videro cominciare e svolgersi come in una visione. Per tale ragione Ilúvatar conferì Essere alla loro visione, e la collocò in mezzo al Vuoto, e il Fuoco Segreto fu inviato ad ardere nel cuore del Mondo; e questo fu chiamato Eä. »
(Ainulindalë)

Così inizia l'Ainulindalë, il grande Mito della Creazione posto come prologo del "Silmarillion". Si tratta sicuramente di una delle versioni più poetiche dell'origine del Tutto dal Nulla, dato che la Grande Canzone intonata dagli Ainur si "materializza" letteralmente dando vita ad , il nome Quenya dell'universo. Tale termine in Quenya significa "Essere", e quindi letteralmente Eä è « il Mondo Che È », a differenza del « Mondo Che Non È », costituito da tutto ciò che si trova fuori dal tempo e non ha forma materiale, come le Aule Atemporali di Ilúvatar, corrispondenti al Paradiso delle religioni monoteistiche, e probabile destinazione delle anime degli Uomini (quelle degli Elfi invece restano in Eä, nelle Aule di Mandos). Si noti che Eä potrebbe essere tradotto anche con l'imperativo "Sia!", un termine che ricorda molto da vicino il racconto cosmogonico del Libro della Genesi:

« Dio disse: "Sia la luce!" E la luce fu. » (Gen 1, 3)
« Dio disse: "
Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque!" » (Gen 1, 6)

Per inciso, anche le « Cronache di Narnia » di Clive Staples Lewis, grandissimo amico di Tolkien con il quale fondò il circolo letterario degli Inklings, iniziano con un mito cosmogonico, ed anche in questo caso il Leone Aslan, ipostasi di Gesù Cristo, crea con il suo canto la terra di Narnia e tutti gli animali che la abitano:

« Nel buio accadde qualcosa. Si sentì un canto provenire da lontano, e per quanto Digory si sforzasse di capire da dove, non ci riuscì. Una volta sembrava arrivare da tutte le direzioni, un'altra da sotto terra: le note più basse erano così profonde, che avrebbe potuto produrle la terra stessa. [...] Poi accaddero due cose inspiegabili. Innanzitutto, alla prima voce se ne unirono altre, più di quelle che potreste immaginare. Erano in armonia con la prima ma molto più acute: voci fredde e argentine. La seconda cosa che sorprese i nostri amici fu che il cielo nero si fece trapunto di stelle. Ma le stelle non comparvero a una a una, timidamente, come succede nelle sere d'estate. Si mostrarono tutte insieme là dove un istante prima c'era l'oscurità più profonda. [... ] La voce della terra si era fatta più forte, trionfante, mentre le voci del cielo, dopo averla accompagnata a lungo, si fecero sempre più deboli. Ma non è finita qui. Lontano, sulla riga dell'orizzonte, l'aria cominciò ad assumere un colore grigiastro. Il cielo, proprio in quel punto, si fece sempre più chiaro, e un profilo di colline vi si stagliava contro. [...] Il cielo bianco dell'est si colorò di rosa, poi divenne dorato. La voce era sempre più alta, fino a che l'aria non cominciò a vibrare. Quando la melodia arrivò al culmine della potenza e della gloria, il Sole spuntò. [...] I nostri amici ne furono affascinati, almeno fino a quando videro colui che cantava, perchè allora dimenticarono tutto il resto. Era un leone. Immenso, irsuto e luminoso, stava di fronte al Sole appena sorto, e aveva la bocca aperta nel canto. »
("Il nipote del mago", cap. 9)

I miti cosmogonici, dei quali l'Ainulindalë è uno degli esempi più felici, sono alla base di tutte le visioni cosmologiche, di tutte le religioni e di tutte le filosofie. Infatti, come ha scritto Barbara Sproul nel suo saggio "I Miti Primigeni", « le domande che danno luogo ai miti della Creazione sono tra le più profonde che l'uomo si sia mai poste: Chi siamo? Perché siamo qui? Qual è lo scopo della nostra vita e della nostra morte? Qual è il nostro ruolo nell'universo? Mentre tutte le culture hanno miti specifici attraverso i quali rispondono a questo tipo di domande, è nei loro miti della Creazione che si trovano le risposte più elementari, comuni a tutti ». In questa sede però noi non vogliamo portare avanti una discussione di tipo filosofico o religioso, facendo notare ad esempio come bastò uno che cantasse al di fuori del coro, cioè Melkor, più tardi conosciuto come Morgoth, per provocare l'ingresso del male nel mondo. E non vogliamo neppure raffrontare questo mito alle moderne teorie del Big Bang, con cui la Scienza moderna spiega la nascita stessa dell'Universo, o di Eä se preferite, perchè abbiamo affrontato questo discorso in altri ipertesti, ad esempio in questa pagina. Stavolta vogliamo piuttosto mostrare l'incredibile parallelismo tra le cosmogonie di J.R.R. Tolkien e di C.S. Lewis e una teoria che ha goduto di molta popolarità negli ultimi decenni, tanto da diventare nota nelle sue linee generali anche a chi non ha compiuto studi specifici di Fisica. Stiamo parlando della Teoria delle Stringhe, una delle frontiere attuali della ricerca di una teoria unificata di tutte le interazioni fondamentali della Natura. A noi italiani questa teoria dovrebbe risultare particolarmente cara, poiché a porne le basi teoriche fu proprio un fisico fiirentino, Gabriele Veneziano (1942-), oggi detentore della cattedra di Fisica delle Particelle Elementari, Gravitazione e Cosmologia presso il College de France. Infatti è ad un suo lavoro del 1968 che risale la nascita dei Modelli Duali (detti Modelli di Veneziano o Dual Resonance Model), primo embrione della teoria, o meglio delle teorie delle stringhe, poiché dopo quasi mezzo secolo le teorie di questo tipo si sono moltiplicate come funghi nel panorama della Fisica delle Alte Energie.

La teoria delle stringhe è stata definita dal fisico Sean Carroll "una delle idee più semplici di tutti i tempi". In estrema sintesi essa si basa sull'assunto che tutti i costituenti fondamentali dell'universo non siano particelle puntiformi, bensì piccolissime corde vibranti con frequenze ben precise. L'idea venne proposta in alcuni articoli pubblicati tra il 1968 e il 1969 dal giapponese Yoichiro Nambu (1921-) dell'Università di Chicago, Premio Nobel per la Fisica nel 2008, dal danese Holger Nielsen (1941-) dell'Istituto Niels Bohr dell'Università di Copenaghen e dallo statunitense Leonard Susskind (1940-) della Stanford University; indipendentemente l'uno dall'altro, essi suggerirono che il modello duale di risonanza per le interazioni forti di Gabriele Veneziano poteva essere formulato in maniera molto semplice, sostituendo alle particelle delle corde vibranti, che vennero chiamate stringhe. Se è così, mi chiederete voi, perchè le stringhe non si vedono? Perchè sono piccolissime, e dunque indistinguibili da particelle puntiformi anche agli occhi dei più avanzati esperimenti di Fisica delle Particelle che siamo riusciti a realizzare. Una stringa ha una misura dell'ordine di grandezza della cosiddetta Lunghezza di Planck, così ottenuta:

Essa vale lP = 1,6162 x 10–35 m (vedi questo link). Appare evidente che nessuno di noi riuscirebbe a distinguerla da un punto: se una lunghezza di Planck crescesse fino a diventare grande come un nucleo atomico, e poi questo nucleo atomico aumentasse a sua volta di dimensioni nella stessa proporzione, diventerebbe grande come la Valle d'Aosta!! Così come le diverse note dell'Ainulindalë diedero vita a tutto ciò che esiste nell'universo, così i diversi modi di vibrazione della stringa si manifestano come diverse particelle elementari del Modello Standard: ad esempio, una "nota" della stringa sarebbe associata ad un fotone, ed un'altra "nota" ad un quark. Le stringhe sono tenute in tensione con una forza incredibilmente grande, fino a 1039 tonnellate. È proprio questa enorme tensione a determinare la frequenza di vibrazione, e quindi le caratteristiche delle particelle: il quadrato della massa della particella generata da ogni "nota" è direttamente proporzionale alla tensione della stringa. Ogni particella ed ogni vettore di forza, dunque, altro non sarebbe se non un particolare modo di vibrazione di una stringa, per cui tutto l'universo sarebbe una sinfonia armonica di microcorde di violino che suonano in eterno, esattamente come gli Ainur e come Aslan, che con il loro canto hanno dato vita a tutto l'esistente!

Le stringhe inoltre possono essere aperte (come segmentini) o chiuse (come cerchietti). Non tutte le teorie delle stringhe contengono stringhe aperte, ma ogni teoria deve contenere stringhe chiuse, in quanto le interazioni tra stringhe aperte possono sempre avere come risultato stringhe chiuse. Le stringhe aperte e chiuse sono associate a modalità di vibrazione caratteristiche. Una delle modalità di vibrazione a più bassa energia di una stringa può essere identificata con il tachione (dal greco tachýs, "veloce"), una particella dotata di massa a riposo immaginaria e in grado di muoversi solo più veloce della luce, introdotta nel 1962 dal fisico indiano Ennackal Chandy George Sudarshan (1931-), ma finora mai individuata. Resta senza risposta la domanda "Di cosa sono fatte le stringhe?" Se la ponete ad un grande fisico esperto di questa teoria, probabilmente egli vi risponderà: "Le stringhe sono la sostanza di cui sono fatte tutte le altre cose", il che è un modo per affermare la nostra ignoranza a riguardo.

L'originale teoria delle stringhe si applicava solo ai bosoni, le particelle a spin intero cui abbiamo accennato alla fine della lezione sui fuochi d'artificio di Bohr, ed inoltre era affetta da un problema apparentemente insolubile: come il modello atomico di Rutherford era instabile perchè l'elettrone finiva per ricadere sul nucleo in una frazione di secondo, così lo spazio vuoto nella teoria delle stringhe appariva instabile, e si sarebbe dissolto quasi subito in una nuvola di energia. Inoltre, il modello sembrava effettuare previsioni in contraddizione con l'esperienza. Per questo, l'originale impostazione della teoria delle stringhe venne rapidamente abbandonata. Come spesso accaduto nella storia della scienza, tuttavia, ciò che è stato cacciato fuori dalla porta, rientra dalla finestra. Il merito di aver "ripescato" le stringhe dal limbo va ai francese Pierre Ramond (1943-) dell'Università della Florida a Gainesville, e André Neveu (1946-) dell'Institute for Advanced Study di Princeton, e allo statunitense John Henry Schwarz (1941-) del California Institute of Technology, i quali mostrarono come includere in questa teoria anche i fermioni, le particelle a spin semintero. Nel farlo, concepirono uno dei primi esempi di supersimmetria. Cosa vuol dire questo termine? Molti di coloro che affrontano lo studio della Fisica, specialmente ad un livello assai avanzato, sanno che le simmetrie sono molto apprezzate dai Fisici: più i risultati dei loro calcoli sono simmetrici, meglio è. In particolare la grandissima (e misconosciuta, perchè donna ed ebrea) matematica Amalie Emmy Nöther (1882-1935) nel 1915 formulò quello che oggi conosciamo come Teorema di Nöther: ad ogni simmetria in Fisica corrisponde una Legge di Conservazione, e le Leggi di Conservazione sono i bastioni su cui l'intera Fisica si fonda. Chi vuole saperne di più, vada a questo indirizzo. In particolare:

Ebbene, allo scopo di includere anche i fermioni nella teoria delle stringhe, venne postulata l'esistenza di un'ulteriore simmetria della Natura, chiamata (senza troppa originalità) Supersimmetria. Il Modello Standard delle Particelle di cui oggi disponiamo suddivide i corpuscoli elementari tra i quark (i componenti dei protoni e dei neutroni) e i leptoni (come l'elettrone e i neutrini). La simmetria della forza nucleare forte collega tra loro i quark di diverso colore ("colore" è una proprietà delle particelle subatomiche che nulla ha a che vedere con l'analogo termine usato dall'ottica), e la simmetria della forza nucleare debole associa tra loro quark di diverso tipo (ad es. quark up a quark down) e gli elettroni ai rispettivi neutrini, quindi sempre coppie di fermioni. L'ambizioso programma della supersimmetria è quello di associare i fermioni ai bosoni, e viceversa. A prima vista ciò non sembra possibile. Infatti, affermare che vi è una simmetria equivale ad affermare che certe particelle sono tra loro indistinguibili. Ad esempio, a seconda della loro "carica di colore" (ricordate che tale affermazione non ha alcun significato cromatico) un quark può essere rosso, verde o blu, ma dire che tra di essi vige una simmetria, equivale ad affermare che tale "colore" non ha importanza, e quindi un quark up rosso è indistinguibile da un quark up verde. Ciò sembra possibile intuitivamente. Invece gli elettroni e i quark sembrano sicuramente inconfondibili tra di loro: nessuno oggi potrebbe seriamente affermare ad esempio che "un protone è fatto di elettroni". Le loro masse sono differenti, le loro cariche sono differenti, le loro interazioni attraverso le interazioni nucleari sono differenti. I Fisici però amano spesso andare contro l'intuizione, ed introdussero il concetto secondo il quale tutte le particelle del Modello Standard hanno un "superpartner" assolutamente nuovo, al quale sono collegati per mezzo della Supersimmetria (in inglese SUSY, SUperSimmetrY). I superpartner dei fermioni come l'elettrone hanno un nome che si ottiene dal loro corrispondente ordinario premettendo una s: all'elettrone corrisponderà un selettrone, al quark uno squark, al neutrino uno sneutrino, e così via. Invece i nomi dei superpartner dei bosoni si ottengono sostituendo al suffisso -one il suffisso -ino, per quanto ciò possa apparire ridicolo. Così al posto del fotone avremo il fotino, al posto del gluone il gluino, e così via. I superpartner delle particelle a noi note hanno le loro stesse caratteristiche, tranne per il fatto che la massa è assai maggiore; in base alla celeberrima equazione E = m c2, ciò significa che essi richiedono un'altissima energia per essere prodotte, al di là della portata degli strumenti a nostra disposizione, e ciò spiegherebbe perchè nessuno finora le ha mai scoperte. Il quark Top è il più pesante dei sei noti (la sua massa è paragonabile a quella di un nucleo di oro), mentre il suo supercompagno squark "Stop" sarebbe il più leggero, e dovrebbe essere il più facile da scoprire. Al celebre Bosone di Higgs, del quale si è parlato nel capitolo precedente, corrisponderebbero poi ben cinque "Higgsini" supersimmetrici!

La supersimmetria è sicuramente una delle teorie più eleganti e brillanti della Fisica Moderna, tanto da poter spiegare persino la celebre Materia Oscura che perseguita da decenni gli Astrofisici, ed alla quale abbiamo accennato nella lezione precedente, ma allo stato attuale purtroppo non esiste alcuna evidenza sperimentale diretta a sua sostegno. Inoltre, se l'idea di base è semplice ed attraente, è chiaro che nel mondo reale la supersimmetria deve essere rotta, altrimenti noi osserveremmo dappertutto sprotoni e fotini insieme ai protoni e ai fotoni; e, una volta rotta, come ha detto sempre l'immaginifico Sean Carroll, "da simmetria semplicissima si trasforma in un castigo divino". Ad esempio, il cosiddetto Modello Standard Supersimmetrico Minimale, di solito considerato il modo complicato per inserire la supersimmetria nel mondo reale, contiene ben 120 parametri che devono essere introdotti arbitrariamente; ciò significa che vi è una libertà enorme nel costruire modelli supersimmetrici, ma anche che è difficilissimo fare affermazioni specifiche su ciò che la SUSY prevede; in pratica, è veramente difficoltoso capire quali dei diversi modelli si adatti meglio ai risultati sperimentali. A quest'ora, l'LHC ci ha già permesso di escludere moltissimi tra i possibili modelli supersimmetrici, e molti Fisici cominciano a domandarsi se mai ne verificheremo uno, dal momento che ci saremmo aspettati già da tempo di "vedere" particelle supersimmetriche nei rivelatori del CERN.

In ogni caso, mescolando tra loro la teoria originaria delle stringhe e la neointrodotta supersimmetria, saltò fuori la più complessa ma più completa teoria delle superstringhe. In poche parole, i modelli meglio riusciti della teoria delle stringhe devono essere necessariamente supersimmetrici, anche se esistono modelli supersimmetrici che non hanno alcuna relazione con la teoria delle stringhe; di conseguenza, se l'LHC dovesse evidenziare l'esistenza di particelle supersimmetriche, questo aumenterebbe la probabilità che la teoria delle stringhe sia sulla strada giusta, ma non costituirebbe un'evidenza diretta del fatto che le stringhe esistono. Inoltre, le superstringhe risolvono i problemi di stabilità manifestati dalle prime versioni della teoria, ma portano con sé una conseguenza fastidiosa: prevedono l'esistenza di una particella priva di massa, che si accoppierebbe all'energia di qualsiasi cosa. Ora, il primo obiettivo della teoria delle stringhe era quello di spiegare le interazioni nucleari, e in particolare quella nucleare forte, da cui Gabriele Veneziano era partito, e purtroppo non esiste alcuna particella senza massa che salta fuori in tutte le interazioni nucleari. A un certo punto però, e precisamente nel 1974, il francese Joël Scherk (1946-1990) del California Institute of Technology e il già citato J.H. Schwarz fecero notare come in realtà esista una particella priva di massa che si accoppia all'energia di qualsiasi cosa: è il gravitone, la particella mediatrice della forza di attrazione gravitazionale, come descritto in questa pagina. Insomma, invece di rappresentare una teoria delle interazioni nucleari come pensava Veneziano, quella delle superstringhe potrebbe essere una teoria della gravità quantistica, uno degli El Dorado inseguito con maggior accanimento dai fisici di tutto il mondo. Di più, nel 1984 l'inglese Michael Boris Green (1946-), che il 1 settembre 2009 sarebbe succeduto a Stephen Hawking nella Cattedra Lucasiana di Matematica all'Università di Cambridge, e J.H. Schwarz, dimostrarono che la teoria delle superstringhe avrebbe potuto spiegare l'esistenza di tutte le particelle e di tutte le interazioni, gravità inclusa. In altre parole, avrebbe potuto configurarsi benissimo come una Teoria del Tutto. Ma che cosa si intende, con questo termine? Esso richiede qualche spiegazione supplementare.

È possibile rappresentare tutte le teorie della Fisica su di un unico grafico, chiamato "cubo delle teorie", che vedete disegnato qui sotto dall'autore di questo sito (questo è uno dei siti da cui ho preso ispirazione). Si pensa che esso sia stato concepito dai fisici russi Matvej Petrovič Bronštejn (1906-1938, vittima delle purghe staliniane), Efim Isaakovič Zelmanov (1955-) dell'Università della California a San Diego, e Lev Borisovič Okun' (1929-) dell'Istituto per la Fisica Teorica e Sperimentale di Mosca.; infatti, dalle loro iniziali viene chiamato anche "cubo ZBO".

Il Cubo delle Teorie

Il Cubo delle Teorie

 

Come si vede, sui tre assi cartesiani sono state riportate le tre costanti fondamentali della Fisica: l'inverso 1/c della velocità della luce c, alla base della Relatività Ristretta di Albert Einstein; la costante di Planck h, che in una lezione precedente abbiamo visto essere il fondamento della Meccanica Quantistica; e la costante di Gravitazione Universale G, che in un'altra di queste lezioni abbiamo visto caratteristica della Gravitazione Universale di Isaac Newton. Se 1/c,  h e G valgono tutte zero, abbiamo una teoria che non è né relativistica, né quantistica, e non descrive fenomeni gravitazionali. Dire infatti che 1/c tende a zero significa affermare che la velocità della lice tende all'infinito, e quando siamo lontanissimi da c non si manifestano fenomeni relativistici; dire che h tende a zero significa che siamo su una scala di gran lunga superiore a quella atomica, e dunque non si manifestano fenomeni quantistici; se G è trascurabile, anche l'attrazione gravitazionale tra i singoli corpi è trascurabile. L'origine degli assi rappresenta dunque la semplice Meccanica Galileiana. Tutti gli altri vertici del cubo di lato unitario che vediamo riprodotto qui sopra rappresentano altrettante teorie fisiche:

1) il vertice ( 0 ; 0; G ) rappresenta una teoria non relativistica e non quantistica che si occupa delle interazioni gravitazionali. Essa è quindi la Gravitazione Universale, messa a punto da Isaac Newton nel 1687. Potete saperne di più in quest'altro mio ipertesto. La abbiamo rappresentata con una sfera rossa.

2) il vertice ( 1/c ; 0 ; 0 ) rappresenta una teoria non quantistica e non gravitazionale ma relativistica: è dunque la Relatività Ristretta di Albert Einstein, messa a punto nel 1905. Potete trovarla sintetizzata in questo lavoro. La abbiamo rappresentata con una sfera gialla.

3) il vertice ( 0; h ; 0 ) rappresenta una teoria non relativistica e non gravitazionale ma quantistica: è la Meccanica Quantistica, avviata nel 1900 da Max Planck e poi messa a punto a fine anni Venti da Werner Heisenberg, Erwin Schrödinger e Paul Dirac. Ne abbiamo parlato nella lezione sui fuochi d'artificio. La abbiamo rappresentata con una sfera azzurra.

4) il vertice ( 1/c ; 0 ; G ) rappresenta invece una teoria gravitazionale e relativistica, ma non quantistica: è la Relatività Generale, avviata da Albert Einstein nel 1916 con il suo lavoro "Die Grundlage der allgemeinen Relativitätstheorie" ("Fondamenti di Relatività Generale"). Potete trovarne un sunto in questa pagina. Dato che "mescola" relatività e gravitazione, la abbiamo indicata con una sfera arancione (giallo + rosso).

5) il vertice ( 1/c ; h ; 0 ) rappresenta una teoria quantistica e relativistica, ma non gravitazionale. Si tratta della Teoria Quantistica dei Campi, che interpreta tutti i campi di forze attraverso lo scambio di "particelle virtuali"; potete trovarne una sintesi qui o in questa pagina. Dato che "mixa" relatività e quanti, la abbiamo rappresentata con una sfera verde (giallo + azzurro).

6) il vertice ( 0; h ; G ) rappresenta invece il primo grande rebus. Infatti si tratta di una teoria non relativistica, ma tale da unificare quanti e gravitazione: insomma, una Teoria della Gravità Quantistica. Il problema è che nessuno degli sforzi finora tentati per costruire tale teoria, è approdata a un risultato coerente ed esaustivo, nonostante le mille strade battute. Alcuni tra i tentativi più promettenti sono la Gravità Quantistica a Loop, proposta nel 1990 da Carlo Rovelli (1956-) e da Lee Smolin (1955-), che prevede tra l'altro una quantizzazione dello spazio e del tempo, la Gravità Quantistica Euclidea, proposta dal famoso fisico Stephen Hawking (1942-2018), e la Supergravità, ideata nel 1975 da Richard L. Arnowitt (1928−2014) e Pran Nath (1939-), che combina la Supersimmetria con la Relatività Generale, introducendo una particella chiamata graviscalare; appare però assai difficile poter sottoporre tali eleganti teorie a verifica sperimentale. Potete scoprirne di più cliccando qui. In attesa che questo problema possa trovare una soluzione definitiva, noi la abbiamo rappresentata come una sfera magenta (azzurro + rosso).

7) infine, manca solo il vertice ( 1/c ; h ; G ), cioè una teoria che tenga conto ad un tempo di relatività, quanti e gravitazione. Una teoria del genere sarebbe in grado di interpretare con precisione qualunque fenomeno naturale, anche il più bizzarro, e conterrebbe tutte le altre suddette teorie come casi particolari. Sarebbe insomma una Teoria del Tutto. Non a caso, noi la abbiamo rappresentata con una sfera bianca, perchè il bianco è la sovrapposizione di tutti gli altri colori.

La teoria delle superstringhe è, a tutt'oggi, la migliore candidata a rappresentare una Teoria del Tutto. Tra l'altro, oltre a promettere di quantizzare anche la gravità, la più debole e sfuggente tra le quattro forze della Natura, essa permette di risolvere anche un altro dei problemi contro cui i Fisici Teorici da decenni sbattono la testa: il problema della dimensionalità dello spazio-tempo. La teoria quantistica dei campi, indicata in verde nel cubo ZBO, è più flessibile della teoria delle superstringhe, e vi sono teorie ragionevoli dei campi in tutti i tipi di spazio-tempo, con quante dimensioni si voglia; la teoria delle superstringhe però è più restrittiva. Infatti fin dall'inizio ci si rese conto che tale teoria "funziona" solo se è applicata ad un universo a dieci dimensioni. Questo è un bel problema, perchè lo spazio-tempo ordinario nel quale noi viviamo ha "solo" quattro dimensioni, vale a dire tre nello spazio e una nel tempo. I sostenitori delle ragioni delle superstringhe tuttavia non si arresero, e rispolverarono una vecchia proposta avanzata negli anni Venti dal tedesco Theodor Kaluza (1885–1954) e dallo svedese Oskar Klein (1894–1977). Secondo loro, lo spazio contiene delle "dimensioni nascoste" alla nostra osservazione, e per così dire "raggomitolate" dentro microscopiche sferette, troppo piccole non solo per essere esplorate con i microscopi, ma persino per essere osservate in un super acceleratore come l'LHC. Se la cosa vi sembra incredibile, seguite il mio ragionamento. Un cilindro sottile, come una cannuccia da bibita, ha due dimensioni, una nel senso della lunghezza e una avvolta come un cerchio attorno ad esso, ma se lo si osserva da molto lontano, esso ci apparirà come una linea monodimensionale. Dunque non è impossibile che, osservando una linea con un microscopio potentissimo, si riesca a risolvere ogni suo punto come un cerchietto, scoprendo una dimensione "nascosta". Ma le piccole lunghezze d'onda corrispondono ad alte frequenze e quindi (E = h f) ad alte energie; se dunque quei cerchietti sono davvero piccoli, solo le particelle dotate di un'energia incredibilmente elevata potranno accorgersi che esistono! Si parla della cosiddetta "Energia di Planck", dell'ordine di ben 1019 GeV, cioè 109 J. Si tratta di un'energia tale, che neppure un acceleratore delle dimensioni del raggio terrestre potrebbe raggiungere. Queste "dimensioni occultate che non si vedono" ci ricorda molto da vicino la famosa profezia in versi contenuta nella lettera di Gandalf che Aragorn/Grampasso consegna a Frodo nella locanda "Al Puledro Impennato":

« Non tutto quel ch'è oro brilla,
Né gli erranti sono perduti;
Il vecchio ch'è forte non s'aggrinza,
Le radici profonde non gelano.
Dalle ceneri rinascerà un fuoco,
L'ombra sprigionerà una scintilla;
Nuova sarà la lama ora rotta,
E re quei ch'è senza corona. »
(SdA, libro , capitolo X)

Benché le diverse versioni della teoria delle superstringhe possano essere innumerevoli, in realtà le ricerche svolte negli anni Ottanta del secolo scorso hanno chiarito che possono esistere solo cinque teorie delle superstringhe a dieci dimensioni. Ma, quando ne "nascondiamo" sei, scopriamo che vi possono essere moltissimi modi diversi per "compattarle". Come appena detto, per osservare direttamente una spazio pluridimensionale così compattato occorrerebbero energie ampiamente al di fuori della nostra portata (e forse per sempre), ma le caratteristiche dell'"impacchettamento" dimensionale potrebbero influenzare anche il tipo di Fisica osservabile alle basse energie. Mi riferisco in particolare al tipo di geometria dello spazio-tempo, che come sappiamo può anche non essere affatto euclidea, ma anche alle caratteristiche dei fermioni e delle interazioni esistenti tra di essi. Pertanto, mentre la teoria delle superstringhe è abbastanza univoca, si è rivelato estremamente difficile verificarla tramite esperimenti di laboratorio: senza sapere in che modo sono "impacchettate" le dimensioni extra, è pressoché impossibile formulare previsioni per il mondo osservabile basate sulle superstringhe, e le indagini sperimentali dirette richiedono energie alla scala di Planck, un'energia che nessun acceleratore realizzabile riuscirà mai a raggiungere. Ciò non vuol dire che non vi saranno mai dati a favore o contro la teoria delle superstringhe, ma essi proverranno da esperimenti di una precisione incredibile, stile una parte su un milione di miliardi, e non su energie irraggiungibili.

La Musica degli Ainur, dipinto di Alassea Earello

La Musica degli Ainur, dipinto di Alassea Earello (da questo sito)

 

A questo proposito, vale la pena di citare uno di questi possibili esperimenti, perchè paradossalmente usa un ordine di grandezza elevatissimo, quello delle misure astronomiche, per verificare ciò che accade nel mondo del piccolissimo, cioè al livello delle superstringhe. Infatti la misura delle posizioni reciproche dei pianeti e dei loro satelliti naturali potrebbe fornire un limite di accuratezza per la validità del Principio di Equivalenza, la cui violazione è tra le previsioni della teoria delle superstringhe, offrendo quindi la possibilità di confermarla sperimentalmente. Uno degli esperimenti più famosi della storia della scienza fu effettuato da Galileo Galilei all'inizio del XVII secolo, lasciando cadere dalla cima della Torre di Pisa due sfere identiche per dimensioni ma diverse per composizione, allo scopo di dimostrare che l'accelerazione di gravità è la stessa per tutti i corpi, indipendentemente dal loro peso. Alcuni decenni dopo Isaac Newton, nei suoi "Philosophiae Naturalis Principia Mathematica", osservò che i satelliti di Giove orbitano attorno al pianeta come se il Sole non ci fosse, deducendo che per tutti i corpi l'accelerazione diretta verso il Sole è la stessa.

Orbene, ispirandosi a questi modelli, un gruppo di ricercatori guidati da James Overduin della Towson University nel Maryland, ha escogitato un metodo per testare, grazie alla precisa misurazione astronomica delle posizioni della Terra e di altri pianeti, i risultati della teoria delle stringhe. In pratica il nostro scienziato ha verificato se il comportamento delle grandi masse planetarie si discosta effettivamente, seppur di poco, da quanto previsto dalla teoria della Relatività Generale di Einstein, quella che abbiamo segnato in arancione nel cubo ZBO qui sopra. Uno dei pilastri di questa teoria, come potete leggere in questa pagina, è il Principio di Equivalenza, che si può esprimere in questa forma: un sistema accelerato é perfettamente indistinguibile da un sistema immerso in un campo gravitazionale. Einstein, che amava rappresentare le leggi della fisica con "esperimenti mentali" (in tedesco gedankenexperimenten), lo spiegava così: se siamo in una stazione spaziale e non si vede nulla al di fuori di essa, non esiste alcun modo di scoprire se l'accelerazione subita dai corpi che sono all'interno di essa è dovuta all'attrazione gravitazionale generata da un pianeta sotto di esso, o al fatto che la stazione spaziale sta accelerando in direzione opposta a quella dell'accelerazione rilevata. Dal Principio di Equivalenza discende il fatto che, in un campo gravitazionale prodotto da una grande massa, per esempio quella della Terra, tutti i corpi cadono con la stessa accelerazione, naturalmente trascurando gli effetti dell'attrito dell'aria. In altri termini, la massa inerziale, definita come la resistenza che un corpo offre a una forza che vuole accelerarla, è numericamente uguale alla massa gravitazionale, cioè alla grandezza che determina la forza con cui il corpo in questione viene attirato verso un'altra massa per effetto della forza gravitazionale (nella Fisica delle Alte Energie sarebbe più giusto chiamarla "carica di massa", analogamente alla "carica elettrica" che genera la forza elettromagnetica e alla "carica barionica" che genera la Forza Nucleare Forte). A priori, non esiste un principio o una legge per cui la massa gravitazionale e la massa inerziale debbano essere identiche, eppure tutti gli esperimenti mostrano che lo sono: nel 1885 un famoso esperimento del fisico ungherese Loránd von Eötvös (1848-1919) dimostrò che, se una differenza tra di esse esiste, essa è inferiore a una parte su un miliardo. Nel 1957 un altro famoso esperimento del fisico statunitense Robert Dicke (1916-1997) dell'Università di Princeton portò il limite di accuratezza a una parte su 100 miliardi, e nel 2008 Eric Adelberger dell'Università di Washington si è spinto fino a una parte su 100.000 miliardi. Nel 2014, infine, un gruppo di Fisici guidati dal nostro Guglielmo Tino dell'Università di Firenze ha realizzato una versione "quantistica" dell'esperimento della Torre di Pisa, usando un interferometro amico, uno strumento grazie al quale è possibile osservare l'interferenza tra le "onde di materia" che, come abbiamo visto, sono associate alle particelle elementari. Tino e i suoi collaboratori hanno impiegato isotopi di stronzio di massa 84 e 88, misurandone l'accelerazione di gravità una volta lasciati in caduta libera nel vuoto, e anche stavolta l'accordo con il Principio di Equivalenza è risultato ottimo.

Eppure, tra l'altro la teoria delle superstringhe prevede proprio una seppur lievissima violazione del Principio di Equivalenza (non c'è da stupirsene, visto che si è detto che essa è stata sfruttata per gettare un ponte tra due teorie tra di loro altrimenti incompatibili come la Relatività Generale e la Meccanica Quantistica). Nella teoria delle superstringhe, infatti, l'attrazione tra diverse masse dipende dalla composizione dei corpi. Ne consegue che, secondo Overduin, nel Sistema Solare la violazione del Principio di Equivalenza si evidenzierebbe nel fatto che le posizioni reciproche di un pianeta e di un suo satellite naturale oscillerebbero leggermente in virtù della loro diversa accelerazione verso il Sole. Finora le osservazioni astronomiche non hanno evidenziato alcuna violazione, ma ogni misura ha un suo margine d'incertezza: proprio questo margine costituirebbe un limite sperimentale per le previsioni della teoria delle superstringhe. Dato che si tratterebbe di analizzare dati già acquisiti, è una verifica che non richiede costosi apparati sperimentali. I lavori ovviamente sono in corso, e si spera che essi possano fornire al più presto utili risultati.

Due stelle di neutroni provocano un'onda gravitazionale nella storia a fumetti "Topolino e le onde trasformazionali" sul n°3178 di Topolino del 19 ottobre 2016

Due stelle di neutroni provocano un'onda gravitazionale nella storia a fumetti "Topolino e le onde trasformazionali" sul n°3178 di Topolino del 19 ottobre 2016

Vorrei aggiungere un cenno alla teoria formulata nel 2016 da Stefano Liberati della SISSA di Trieste, Francesco Marin e Francesco Marino del LENS di Firenze e Antonello Ortolan dell’INFN di Padova per conciliare tra loro Relatività Generale e Meccanica Quantistica. La già citata Gravità Quantistica a Loop prevede che lo spazio-tempo non sia continuo, come tutta la Fisica oggi nota presuppone, ma sia granulare a scale molto piccole, cioè sotto la scala di Planck. Una teoria affascinante e basata su un formalismo matematico rigoroso, che però ha un problema. Se infatti consideriamo la Relatività Ristretta, ci dobbiamo aspettare un fenomeno peculiare noto come contrazione delle lunghezze. Secondo uno dei principi della Relatività Ristretta, la cosiddetta Invarianza di Lorentz, in opportune condizioni di moto un osservatore misurerebbe lunghezze anche più corte della lunghezza di Planck, che tuttavia è un limite assoluto. Di conseguenza, uno spazio-tempo granulare alle scale di Planck sarebbe inconciliabile con l'invarianza di Lorentz. A meno di non rinunciare, come hanno fatto Liberati e i suoi colleghi, a un altro cardine della fisica: il Principio di Località. Secondo questo principio, due eventi nello spazio-tempo possono essere legati da un rapporto di causa-effetto solo se sono connessi da una catena causale di eventi che si propaga con una velocità minore o uguale alla velocità della luce nel vuoto, un limite assoluto per qualunque corpo e qualunque segnale. Ciò significa che la fisica in un certo punto dello spazio-tempo può essere influenzata anche da punti molto distanti, non solo da quelli nelle vicinanze. Non si viola la causalità e non si presuppongono informazioni che viaggiano più veloce della luce, ma si introduce la necessità di conoscere la struttura globale per sapere che cosa accade nel locale. L'obiettivo ora è individuare il limite che segna il confine tra lo spazio-tempo continuo e quello granulare, e di conseguenza tra la fisica locale e quella non-locale. Al LENS si sta costruendo un oscillatore armonico quantistico: un chip di silicio di pochi microgrammi che, portato a temperature vicine allo zero assoluto, viene illuminato da un laser ed entra in oscillazione armonica: il modello teorico di Liberati e colleghi prevede infatti la possibilità di testare gli effetti non locali su oggetti quantistici con massa non trascurabile. Osservando l'effetto, gli scienziati italiani confermerebbero la presenza degli effetti non-locali, salvando la Relatività Ristretta e aprendo le porte a una nuova fisica. Solo il tempo ci dirà se essi se sono sulla strada giusta.

Ad ogni modo, nonostante tutti i tentativi di imbastire una Teoria delle Superstringhe coerente abbastanza da essere considerata una Teoria del Tutto, bisogna ammettere che finora nessuno ne è stato capace, nonostante gli sforzi di più di una generazione di Fisici, e a tutt'oggi il punto di domanda posto sulla sfera bianca del cubo ZBO è pesante come un macigno. La ricerca della Teoria del Tutto da parte degli scienziati del nostro XXI secolo ci ricorda quella dei Silmaril trafugati da Morgoth nella Prima Era del Mondo, e davvero l'accanimento di fisici delle particelle e cosmologi nel tentativo di coronare il sogno vecchio di un secolo di unificare tutte le forze e tutte le particelle della Natura, ci rammenta con quale ardore Beren proclamò a re Thingol che avrebbe sposato sua figlia Lúthien a qualsiasi costo:

« Il mio destino, o re, mi ha qui condotto, attraverso perigli tali, che ben pochi persino tra gli Elfi oserebbero affrontarli. E qui ho trovato ciò che invero non cercavo, ma avendolo trovato desidero possederlo per sempre. Poiché è superiore a tutto l'oro e all'argento, trascende ogni gioiello. Né roccia né acciaio, né i fuochi di Morgoth né tutti i poteri dei regni degli Elfi potranno sottrarmi il tesoro che desidero, poiché Lúthien tua figlia è la più bella di tutti i Figli del Mondo. »
(QS, cap. XIX)

E ci ricorda anche le seguenti, infiammate parole di Celegorm il Chiaro, figlio di Fëanor, quando re Felagund propose al proprio popolo di aiutare Beren nella cerca del Silmaril cui lo aveva costretto Thingol per concedergli la mano di Lúthien:

« Che egli sia amico o nemico, demone di Morgoth, Elfo o figlio d'Uomo o qualsiasi altra creatura vivente di Arda, né legge, né amore, né lacci d'inferno, né la potenza dei Valar, né alcun potere magico lo difenderanno dalla persecuzione e dall'odio dei figli di Fëanor, qualora si impadronisca o trovi un Silmaril e lo tenga. Noi soli infatti abbiamo diritto ai Silmaril, fino alla fine del mondo. »
(QS, cap. XIX)

Negli anni Novanta del secolo scorso ci fu una svolta, nel modo in cui i fisici tentavano di collegare la Teoria delle Superstringhe con la realtà che ci circonda. Tutto nacque da un'idea di Joseph Polchinski (1954-) dell'Università della California a Santa Barbara e di Edward Witten (1951-) dell'Università di Princeton: la Teoria delle Superstringhe non è una semplice teoria di stringhe unidimensionali, come la abbiamo descritta finora. Essa infatti può prevedere oggetti multidimensionali, e su questi ora si appunterà la nostra attenzione. Come si sa, una superficie bidimensionale può essere chiamata membrana, ma i teorici delle stringhe la chiamano semplicemente brana. Per la precisione, 2-brana, cioè brana a due dimensioni. Una superstringa invece è una 1-brana. Un oggetto tridimensionale sarà una 3-brana, e così via. Studiando queste brane, i teorici si resero conto che tutte e cinque le Teorie delle Superstringhe citate sopra, così come la cosiddetta Teoria della Supergravità (anch'essa da noi già nominata), sono semplicemente versioni diverse di un'unica teoria battezzata M-Teoria (si pensa che la M stia per "Magica" o "Misteriosa").

C'è però il rovescio della medaglia. Questo serraglio di p-brane (dove p è il loro numero di dimensioni) ha portato alla scoperta di altri modi per "impacchettare" le dimensioni "nascoste". Alcune di esse prevedono anche un valore positivo dell'energia del vuoto, il che permetterebbe di giustificare la scoperta, effettuata nel 1998, che l'universo in espansione non sta rallentando, come si pensava, bensì accelerando (vedi più sotto). Nel 1999 Lisa Randall (1962-), grande astrofisica della Harvard University, e Raman Sundrum dell'Università del Maryland, misero a punto il cosiddetto Modello di Randall-Sundrum, un modello di compattazione del tutto nuovo che usa la M-Teoria per descrivere come lo spazio si "incurverebbe" tra due brane, un risultato che ha portato con sé nuovi approcci alla Fisica delle Particelle. Purtroppo esso fece anche svanire le residue speranze che trovare la giusta compattazione ci avrebbe in qualche modo consentito di collegare la Teoria delle Superstringhe e delle Brane con il Modello Standard, cioè con la Fisica attualmente conosciuta. Il numero delle compattazioni di cui si parla è difficile da stimare, ma qualcuno ha proposto un numero dell'ordine di 10100, il cosiddetto googol: un uno seguito da 100 zeri. Tale termine è stato ideato nel 1938 dal matematico americano Edward Kasner (1878-1955), per illustrare la differenza tra un numero enorme e l'infinito; pare che il nome gli sia stato suggerito da un suo nipotino di nove anni. In seguito Larry Page e Sergey Brin, fondatori del motore di ricerca Google, adottarono questo nome, anche se sbagliarono lo spelling a causa della pronuncia inglese (tale motore avrebbe permesso di trovare addirittura 10100 risultati per ogni ricerca!) In ogni caso, si tratta di un numero immenso su scala umana, e tra un "googol" di compattazioni è praticamente senza speranza la ricerca di trovare tra di esse quella che si adatta al Modello Standard. Siamo di nuovo di fronte a una ricerca più ardua di quella dei Silmaril rubati da Morgoth.

Di conseguenza, alcuni dei fautori della Teoria delle Superstringhe e delle Brane hanno battuto un'altra strada. Anziché tentare di trovare la sola compattazione corretta, hanno immaginato che diverse p-brane presentino compattazioni diverse delle dimensioni extra, e che ogni compattazione debba ben esistere da qualche parte. Poiché la compattazione definisce tutte le particelle e tutte le forze che si osservano alle basse energie (quelle su scala umana), questo equivale a dire che ogni p-brana ha leggi della Fisica diverse da quelle delle altre. In tal caso, ogni p-brana corrisponde a un Universo differente. Uno dei sogni della fantasy di tutti i tempi ha così trovato cittadinanza nella Fisica accademica: esistono infiniti Universi, e tutti insieme essi costituiscono il cosiddetto Multiverso.

A questo punto, siamo a cavallo, e il cerchio si è chiuso. Il Mondo Secondario di Tolkien non esiste in qualche ipotetico limbo sospeso dentro la mente di Tolkien: Esiste in un'altra p-brana, diversa da quella in cui noi viviamo. In tale p-brana vi sono leggi fisiche diverse dalle nostre, tali da giustificare ad esempio perchè gli Elfi sono immortali, o perchè un mondo piatto e finito può trasformarsi in un altro, sferico ed infinito (come si è visto in una delle nostre lezioni). E in un'altra p-brana ancora potrebbero esistere "diramazioni" alternative della vicenda narrata da Tolkien, come ad esempio quella prospettata a Sam Gamgee dalla tentazione di arrogare a sé l'Unico Anello, anziché distruggerlo o restituirlo a Frodo:

« Sam si sentiva come ingigantito, ed aveva l'impressione che un'immensa e deforme ombra di se stesso lo avvolgesse, una gigantesca e nefasta minaccia ferma sulle mura di Mordor. Sapeva che d'ora in poi non aveva che due scelte: trasportare l'Anello, malgrado la tortura che gli provocava, o arrogarselo, sfidando il Potere che covava nella nera fortezza oltre la Valle delle Ombre. L'Anello lo tentava già, rodendo la sua volontà e la sua mente. Pazzie fantasiose sorsero nel suo cervello, ed egli vide Samvise il Forte, Eroe dell'Era, avanzare con una spada di fuoco attraverso il cupo territorio, mentre eserciti marciavano a distruggere Barad-dur. Allora le nubi si squarciarono e il sole tornò a brillare; ai suoi ordini, la Valle di Gorgoroth divenne un giardino in fiore ove gli alberi portavano frutta. Doveva soltanto infilare l'Anello e arrogarselo, e tutto ciò sarebbe stato possibile. »
(SdA, libro VI, cap. I)

Naturalmente non vi sarebbe alcun modo per spostarci da una p-brana all'altra, e dunque gli appassionati lettori di Tolkien dovranno accantonare la speranza di poter un giorno raggiungere Aragorn e Gandalf nel loro universo parallelo, ed aiutarli a sconfiggere Sauron.

Rappresentazione artistica del Multiverso

Rappresentazione artistica del Multiverso

 

In realtà, contrariamente all'entusiasmo che ho sicuramente suscitato in voi, appassionati come me di mondi "alternativi" al nostro, la maggior parte dei cosmologi è scettica nei confronti dell'esistenza del Multiverso. Secondo i più, infatti, essa va relegata nell'ambito della metafisica, e difficilmente ne uscirà: se tutte, dico tutte le possibilità, si possono verificare da qualche parte, come è possibile fare previsioni verificabili sperimentalmente? Qualunque risultato noi otteniamo, si potrà dire: esiste un universo in cui le cose devono andare così, e magari quest'universo è il nostro! Decisamente questa filosofia appare in contraddizione con il metodo scientifico, che consiste nel "testare" una teoria confrontandone le previsioni con i risultati sperimentali. Eppure, l'idea delle infinite p-brane cosmiche viste come "bolle" sospese nello spazio e senza interazioni reciproche ha già ricevuto più di una conferma. Nel 1987, più di dieci anni prima della scoperta che le galassie stanno accelerando anziché rallentando, il famoso Steven Weinberg (1933-), Premio Nobel per la Fisica nel 1979 per la Teoria Elettrodebole, fece notare che un'energia del vuoto estremamente grande (anche con il segno negativo) impedirebbe la formazione delle galassie, e perciò la maggior parte degli osservatori del Multiverso dovrebbero "vedere" un valore di energia del vuoto piccolo ma non nullo; ed il valore che noi abbiamo misurato nel "nostro" universo è perfettamente consistente con la previsione di Weinberg. Anche Sean Michael Carroll (1966-), cosmologo del California Institute of Technology e grande divulgatore, nel suo saggio "Dall'Eternità a qui" (2010), la cui lettura vi caldeggio grandemente, ha suggerito che lo scenario del Multiverso potrebbe essere d'aiuto per spiegare la bassa entropia dell'universo.

L'ipotesi del Multiverso potrebbe inoltre essere consistente con quella dell'Inflazione Cosmica, della quale abbiamo già trattato nella lezione precedente, elaborata per risolvere diversi problemi che affliggono la teoria del Big Bang, fra cui il fatto che l'Universo sembra essere descritto da una geometria con curvatura esattamente pari a zero e la sua straordinaria omogeneità su scale così ampie da non essere causalmente connesse. Secondo molti cosmologi, il nostro universo sarebbe solo una delle possibili "bolle" che si sono "gonfiate" al momento dell'inflazione, dando vita così a un numero sterminato di universi paralleli. Se dunque è vera l'Inflazione, allora è vero anche il Multiverso. Infine, dobbiamo citare le ricerche pubblicate nel 2014 di un gruppo guidato da Matthew Johnson, del Perimeter Institute for Theoretical Physics di Waterloo, in Canada. Johnson e i suoi colleghi sono partiti dall'idea che non solo il multiverso sia reale, ma che esso sia popolato di p-brane in formazione ed espansione continua, grazie al meccanismo detto dell'inflazione eterna. In un multiverso di questo tipo, due p-brane possono occasionalmente entrare in collisione fra loro. Ma allora, è possibile osservare gli effetti di questa collisione, nel caso in cui sia coinvolto il nostro universo? E come si manifestano questi effetti? Grazie a complesse simulazioni numeriche di modelli teorici, i fisici hanno dimostrato l'osservabilità degli effetti di queste collisioni, e prodotto previsioni sul tipo di Universo e sull'effetto da osservare. In particolare, alcuni modelli prevedono che si possa osservare una traccia, un « disco nel cielo » secondo la loro definizione, di queste collisioni sulle mappe della radiazione cosmica di fondo. L'assenza di questo segnale suggerisce che le collisioni fra bolle sono un fenomeno raro, ma i lavori sono solo all'inizio, e il segnale potrebbe semplicemente non essere ancora rilevabile dai nostri strumenti. Comunque, grazie a Johnson e colleghi, l'ipotesi del multiverso è uscita finalmente dal limbo della metafisica, ed è stato per la prima volta sottoposto a verifica sperimentale!

Ma allora, Frodo, Bilbo, Gandalf, Aragorn e tutti i nostri eroi esistono davvero da qualche parte, in giro per il Multiverso, e non solo nella sfrenata fantasia di J.R.R. Tolkien? La cosiddetta "Interpretazione a Molti Mondi" della Meccanica Quantistica, da noi accennata in una precedente lezione, afferma che tutto ciò che potrebbe accadere, prima o poi da qualche parte accade, dunque la risposta sembrerebbe affermativa. Tuttavia, l'"Interpretazione a Molti Mondi" è stata criticata per il fatto che non definisce quando e perchè avviene la diramazione dell'universo lungo infinite strade, per cui non è chiaro quanti mondi ci sono ad un dato istante, e non è possibile prevedere le proprietà di ciascun mondo universo. A questo proposito un contributo importante a questa teoria è stato fornito dal Professor Howard Wiseman della Griffith University a Brisbane, in Australia. Quest'ultimo, con il suo gruppo di ricercatori, ha sviluppato un modello differente, battezzato "Many Interacting Worlds" (MIW), cioè "Molti Mondi che interagiscono". Nel suo approccio, la suddetta diramazione è assente, e al suo posto è stata introdotta una particolare interazione tra gli universi paralleli, che esercitano una forza di repulsione uno sull'altro. Tale forza viene paragonata da Wiseman ad una sorta di "lotta per la supremazia", simile a quella tra i lupi di un branco, o tra gli Orchi di un'orda, tanto per rimanere nell'universo di Tolkien; essa sarebbe in grado di spiegare anche la differenziazione dei numerosi mondi, ed inoltre proprio dalla collisione tra le p-brane nascerebbero i fenomeni quantistici tipici di ogni universo. Il complesso modello matematico utilizzato dal gruppo di Wiseman in particolare prevede i mondi paralleli, ed è stato in grado di prevedere il dualismo onda-corpuscolo della luce, una delle principali previsioni della Meccanica Quantistica che vige nel nostro universo.

Bisogna naturalmente che gli eventi di ciascun universo, o p-brana se preferite, siano compatibili con le leggi fisiche vigenti in esso; e nessuna delle leggi fisiche a noi note sembra compatibile con eventi realmente "magici" come l'immortalità degli Elfi o la capacità dell'Unico Anello di adattarsi ad ogni tipo di dito. Se però ha ragione Arthur C. Clarke, l'autore di "2001, Odissea nello Spazio", « qualunque tecnologia abbastanza avanzata è indistinguibile dalla magia ». Ed allora non è del tutto morta la speranza che, in qualche angolo del Multiverso, stia davvero avendo luogo l'epica Battaglia del Fosso di Helm...

Poco sopra abbiamo detto che non vi sono speranze, per noi, di rilevare o meno l'esistenza degli eventuali universi paralleli; figuriamoci allora se vi sono speranze di viaggiare in essi, come facevano gli eroi di "Star Trek" che andavano e venivano dal cosiddetto "Universo dello Specchio". Ma è proprio vero? In realtà, qualcosa di molto simile ad un viaggio tra due universi lo ritroviamo nell'Akallabêth, il racconto della distruzione di Númenor. Come abbiamo visto a suo tempo, prima della Caduta nei Tempi Remoti il mondo era piatto, ma dopo l'intervento di Ilúvatar la Terra Beata di Valinor fu strappata via dal mondo, e trasportata in un'altra realtà, che a questo punto possiamo benissimo identificare con un'altra p-brana. Il mondo divenne sferico (abbiamo cercato di determinarne le dimensioni), e chi fosse partito in nave dalla Terra di Mezzo o dall'Isola dei Re navigando verso ovest, non avrebbe più raggiunto il continente di Aman, ma avrebbe finito per tornare al punto di partenza, come fecero Ferdinando Magellano e tutti coloro che affrontarono la circumnavigazione del globo nel "nostro" Universo. Ma la nostalgia, soprattutto da parte degli Elfi, per la Terra posta al di là del Mare doveva essere fortissima, se lo è persino per noi, scafati uomini ipertecnologici del XXI secolo, al punto che, stando a quanto ho letto nel Web, il nome "Valinor" è stato dato anche ad un piatto a base di riso, tofu, pomodori grigliati e altre verdure, che servono all'Hobbit Cafe di Richmond, in California, e di cui qui sotto vedete una fotografia!

Valinor, un piatto tutto tolkieniano!

Allora, per permettere agli Elfi, qualora lo volessero, di rientrare nella loro patria naturale in Aman, dove le Tre Stirpi avevano fondato le città di Valimar e di Tirion, Ilúvatar lasciò quello che Tolkien descrive come uno strettissimo corridoio nello spazio, il quale poteva essere percorso dalle navi degli Eldar, e solamente con il permesso dei Valar, ma non da quelle degli Uomini. Diamo la parola al Professore di Oxford:

« Nei giorni successivi, vuoi grazie ai viaggi compiuti per nave, vuoi per sapienza e arte di leggere le stelle, i re degli Uomini seppero che il mondo era invero sferico, e che agli Eldar era ancora permesso di partire e di giungere all'Antico Occidente e ad Avallónë quando lo volessero. Ragion per cui i custodi delle tradizioni tra gli Uomini affermarono che una Via Diritta pur dovesse esistere per coloro ai quali fosse concesso di trovarla. E insegnavano che, mentre il nuovo mondo decadeva, l'antica via e il sentiero del ricordo dell'Ovest ancora erano certo percorribili, un enorme, invisibile ponte arcuandosi nell'aria fatta per il vento e il volo (ché ora erano costretti a seguire la curvatura del mondo) e attraversando Ilmen, luogo mortifero per la carne indifesa, fino a giungere a Tol Eressèa, l'Isola Solitaria, e fors'anche al di là di questa, a Valinor, dove i Valar tuttora dimorano, osservando lo svolgersi della storia del mondo. »
(Akallabêth)

Da notare che le navi dei Dúnedain dovevano seguire giocoforza nelle loro rotte la curvatura del mondo. La Strada Diritta invece, come dice il nome, ignora la curvatura del pianeta, e segue invece il vecchio percorso che facevano le navi elfiche attraverso il Belegaer, il Grande Mare, prima che Arda diventasse curva. Di conseguenza una nave che imboccava la Via Diritta, osservata dalla costa, sarebbe diventata lentamente sempre più piccola, fino a scomparire in un punto, senza scendere sotto l'orizzonte; perché avrebbe continuato a navigare in linea retta, in pratica seguendo una retta tangente alla circonferenza terrestre, puntando verso il luogo dove prima dell'Akallabêth si trovavano le Terre Imperiture. Invece, ecco come sarebbe apparso il moto delle navi elfiche lungo la via diritta, visto da un osservatore posto al di sopra della superficie terrestre, in una celebre illustrazione di John Howe, disegnatore canadese che ha dipinto molte scene tratte dal Legendarium, e che ha lavorato come visual designer anche alla Trilogia di Peter Jackson:

In pratica, a una nave degli Uomini che era costretta a rimanere sulla superficie del mare sarebbe parso che una nave in moto lungo la Via Diritta si sollevasse dall'acqua e volasse nel cielo come un aeroplano che rulla sulla pista e si stacca dal suolo, poiché il moto rettilineo uniforme da essa seguito lungo una retta tangente alla superficie terrestre la avrebbe portata a una distanza sempre crescente dal centro di Arda, come mostra lo schema sottostante. A questo proposito, vorrei far notare che anche alcuni non-Elfi riuscirono ad imboccare la Via Diritta. I tre Hobbit Bilbo Baggins, Frodo Baggins e, più tardi, Sam Gamgee giunsero in Aman per quella Strada, ma nel loro caso i Valar acconsentirono di farli sbarcare in cambio del loro contributo alla distruzione dell'Unico Anello. Sembra che anche Gimli abbia raggiunto Aman in compagnia di Legolas, poiché Tolkien ci descrive la loro partenza su una barca che, percorso tutto il corso dell'Anduin, si perse all'orizzonte del Grande Mare; nel suo caso, il bando è stato infranto per la sua amicizia con Legolas, essendo insolito che i Nani avessero buone relazioni con gli Elfi. Inoltre, secondo i "Racconti Ritrovati", pure l'anglosassone Aelfwine (detto anche Eriol) nel VI secolo avrebbe imboccato la Via Diritta, ma nel suo caso i Valar avrebbero fatto un'eccezione perchè tra i suoi lontani antenati vi erano anche degli Elfi.

Ma come si può interpretare questa Via Diritta, alla luce della Scienza moderna? Apparentemente è impossibile giustificare come delle navi possano sollevarsi dal pelo dell'acqua e volare nel cosmo: una tale invenzione si trova anche nel racconto "Kadath" dell'americano Howard Phillips Lovecraft, ma in quel caso è scritto chiaramente che quella di Randolph Carter è un'avventura onirica ambientata nel Mondo dei Sogni. Nell'universo in esame, invece, conviene invocare il già citato aforisma di Arthur C. Clarke: qualunque tecnologia abbastanza avanzata è indistinguibile dalla magia. In questo caso, la "magia" è rappresentata da un Ponte di Einstein-Rosen.

Ipotizzato per la prima volta nel 1935 dal famoso Albert Einstein in collaborazione con il fisico israeliano Nathan Rosen (1909-1995), si tratta di una tra le più strabilianti conclusioni della Relatività Generale elaborata dal primo. Com'è noto, tra le principali novità introdotte da tale teoria vi è il fatto che la massa può incurvare lo spazio. L'esempio che si fa sempre, a questo proposito, è quello di una palla da bowling, poggiata sulle coperte di un letto, che affonda in esse, e la superficie inizialmente piana del giaciglio assume l'aspetto di una "fossa". Giocando con le biglie su di un letto perfettamente piatto, esse si muoveranno in linea retta di moto rettilineo uniforme; giocando invece su di un letto incurvato dalla palla da bowling, esse seguiranno linee curve e gireranno intorno alla grande massa. Così fa anche la luce: essa, come le biglie colorate, seguono una geodetica dello spazio-tempo, vale a dire il cammino più breve tra due punti. Se lo spazio ha curvatura nulla, le sue geodetiche sono per l'appunto linee rette, e ciò spiega la propagazione rettilinea della luce. Se però lo spazio è "piegato" da una grande massa, la sua geometria non è più euclidea,  la geodetica ha l'aspetto di una curva, e la luce sarà costretta a seguirla nel suo moto. Il primo a verificare la "curvatura della luce" in presenza di grandi masse fu il fisico britannico sir Arthur Eddington (1882-1944), amico di Einstein, che il 29 maggio 1919 organizzò una spedizione sull'isola di Principe, nel Golfo di Guinea, per studiare un'eclisse di Sole totale visibile dall'Africa Centrale. Questa infatti era l'unica occasione per poter osservare le stelle in vicinanza del bordo del Sole, essendo quest'ultimo completamente oscurato dal disco lunare. Eddington e i suoi collaboratori costatarono che la luce delle stelle veniva effettivamente deflessa presso il bordo del disco solare, e questa fu la prima grande conferma della teoria einsteniana della Relatività Generale.

Maggiore è la massa, maggiore è la curvatura subita dallo spazio, e più profonda è la "fossa" che si genera nello spazio-tempo. Un buco nero (vedi al proposito quest'altro mio ipertesto) ha un raggio così piccolo e una massa così grande, che la profondità della fossa diventa praticamente infinita, e qualunque cosa vi sprofondi, compresa la luce, non può tornare fuori mai più. E qui si inseriscono le ricerche di Einstein e Rosen. Esistono infatti soluzioni delle equazioni gravitazionali per cui due "fosse" profondissime "scavate" nell'universo da masse colossali concentrate in uno spazio piccolissimo possono congiungersi. In pratica, è come se un tarlo scavasse una galleria nell'armadio antico posto nella nostra camera da letto, una galleria che ha un'apertura verso l'esterno e quella opposta verso l'interno dell'armadio. Questa galleria insomma si configura come una vera e propria "scorciatoia" topologica tra un punto e l'altro dell'universo, perchè attraverso di essa il tarlo potrebbe andare da un punto sulla superficie esterna a un punto sulla superficie interna dell'armadio, senza bisogno di "aggirare" l'intera parete, e risparmiando un sacco di tempo. Da qui deriva il termine "wormhole" ("galleria di tarlo"), coniato nel 1957 dal fisico americano John Archibald Wheeler (1911-2008), con cui sono conosciuto questi cunicoli spazio-temporali. Senza mai superare la velocità della luce, un Ponte di Einstein-Rosen permetterebbe di viaggiare tra due punti dello spazio assai più velocemente di quanto impiegherebbe la luce a percorrere la stessa distanza attraverso lo spazio "ordinario". In altre parole, un wormhole gravitazionale ci permetterebbe di viaggiare a velocità molto più alta della luce e di esplorare l'universo, entrando eventualmente in contatto con altre civiltà avanzate, come fanno i protagonisti di "Star Trek, Deep Space Nine" usando il tunnel spaziale bajoriano, oppure gli eroi della famosissima SG-1, i quali utilizzano gli "Stargate realizzati dagli "Antichi" nella notte dei tempi per aprire ponti di Einstein-Rosen artificiali e sbarcare su mondi lontanissimi, senza neppure far uso di un'astronave! Un ponte potrebbe potenzialmente permettere addirittura il viaggio nel tempo, poiché le sue due estremità potrebbero congiungere due punti diversi non solo dello spazio, ma anche della linea temporale: è ciò che capita ai personaggi di "Star Trek Voyager" nell'episodio intitolato "La cruna dell'ago": essi sperano di usare un tunnel spaziale strettissimo per rientrare a casa, sfruttando il teletrasporto, ma scoprono con costernazione che l'altra estremità del budello sbocca più di venti anni prima la loro epoca. Un wormhole con queste caratteristiche viene talvolta detto "timehole" o "buco temporale". Il dibattito su quest'ultimo argomento è stato sintetizato da Kip Thorne nel suo saggio "Black Holes and Time Warps" e richiederebbe probabilmente la messa a punto di una Teoria della Gravità Quantistica.

A dir la verità, nel 1962 John Archibald Wheeler e Robert Works Fuller (1936-) dimostrarono che il tipo di wormhole proposto da Einstein e Rosen è instabile, e che collasserebbe appena si è formato, impedendo di attraversarlo: esattamente come si vede nell'episodio "Il Tunnel Conteso" di "Star Trek, The Next Generation", in cui vari approfittatori alieni si contendono un tunnel spaziale, per poi accorgersi che è instabile. Tuttavia nel 1988 Kip Thorne (1940-) e il suo studente Mike Morris presso il Caltech trovarono nuove soluzioni delle Equazioni Gravitazionali di Einstein, che finalmente davano luogo a wormhole stabili, oggi chiamati Ponti di Morris-Thorne. Altre soluzioni stabili furono individuate nel 1989 da Matt Visser della Victoria University di Wellington, in Nuova Zelanda, il quale propose di tenere aperto il wormhole con materia esotica dotata di massa negativa, prevista dalla Teoria delle Superstringhe.

Molto interessante, mi direte voi: ma cosa c'entra con l'universo di Tolkien? Il fatto è che a volte il tunnel di Bajor è utilizzato dal Capitano Benjamin Sisko e dai suoi uomini non per raggiungere un punto remoto del "loro" universo, bensì per accedere al già citato "Universo dello Specchio", in cui si trovano le loro repliche alternative. Ed anche il colonnello Jack O'Neill, il capitano Samantha Carter, il dottor Daniel Jackson e l'alieno Teal'c, protagonisti di "Stargate SG-1", attraverso lo Stargate finiscono in qualche universo parallelo, in cui ad esempio la Carter non si è mai arruolata nell'esercito. In altre parole, sarebbe possibile usare un wormhole come una "porta tra i mondi" per passare da una p-brana all'altra; e non stiamo parlando solo di telefilm di fantascienza. Simili cunicoli possono esistere davvero, se per effetto dell'inflazione eterna da un universo ne è "germinato" un altro, con il quale resta connesso da un wormhole inter-universale formatosi al momento dell'inflazione, simile ad un incredibile "cordone ombelicale" cosmico. È proprio questo che ci interessa, ai fini della nostra lezione. Infatti, la "Via Diritta" che congiunge Arda con Valinor è stata descritta da alcuni proprio come un Ponte di Einstein-Rosen, del quale solo gli Elfi conoscono l'ubicazione dell'imboccatura, oppure solo essi conoscono la tecnica per aprirne l'estremità rivolta verso la Terra (dopotutto sono ben note le avanzate conoscenze scientifiche degli Eldar)!

La Via Diritta come un wormhole: a destra la Terra, a sinistra Valinor

La Via Diritta come un wormhole: a destra la Terra, a sinistra Valinor

 

Finora sono stati osservati molti corpi celesti candidati ad essere dei buchi neri, ma sfortunatamente non sono mai stati scoperti possibili  cunicoli di Einstein-Rosen o di Morris-Thorne. Se anche esistessero, sarebbero presumibilmente molto lontani da noi. Noi non abbiamo idea di come aprirne uno artificiale, nonostante l'ottimismo propugnato da alcune serie di fantascienza e anche da alcuni fisici, soprattutto se volessimo collegare tra loro due universi paralleli. La maggioranza delle soluzioni delle Equazioni della Relatività Generale compatibili con l'esistenza di wormhole stabili richiedono l'esistenza di materia esotica con una densità negativa di energia, e non vi sono prove certe che tale sorta di materia possa esistere sul serio. Ignoriamo poi gli effetti quantistici legati a questi tunnel, non possedendo ancora una teoria quantistica della gravitazione. Infine, bisogna ricordare il problema fondamentale. Un wormhole nasce da una fortissima distorsione nello spazio-tempo, analoga a quella generata da una stella di neutroni o da un buco nero, che in pochi chilometri o addirittura in pochi metri condensano una massa assai maggiore di quella del nostro Sole. La gravità di un simile corpo celeste sarebbe così forte da mandare in briciole qualsiasi cosa: se un astronauta (o un marinaio elfico, se preferite) si avvicinasse ad esso, rischierebbe di essere letteralmente stracciato in due, perchè i piedi sentirebbero un'attrazione gravitazionale assai maggiore di quella avvertita dalla testa. In altri termini, se anche avessimo a disposizione un Ponte di Einstein-Rosen non troppo lontano dalla Terra, tentare di attraversarlo potrebbe voler dire morte certa, ed allora la Via Diritta, più che un viaggio verso un "altro mondo", rischierebbe di diventare una scorciatoia verso l'Altro Mondo.

Nonostante tutte queste obiezioni, però, i più ottimisti (e più sognatori) tra gli uomini di Scienza non hanno perso del tutto la speranza di poter un giorno sfruttare dei Ponti di Einstein-Rosen per infrangere le barriere dello spazio e del tempo, e per partire verso l'esplorazione dell'universo. Di sicuro, come si è visto, se ne sono impossessati gli scrittori di fantascienza; dunque non vediamo quale obiezione si possa muovere a quanti sostengono che anche la Via Diritta fosse un wormhole verso un altro universo, dal momento che la Scienza degli Elfi era così avanzata da poterne sicuramente concepire l'esistenza, e anche da poterne fare uso senza danni, nonostante il Legendarium sia ambientato in una specie di Medioevo fantasy. E veramente si ha l'impressione che si apra un "buco nell'universo" appena la nave con a bordo i Portatori dell'Anello salpò dai Rifugi Oscuri, come si evince da questo passo che chiude il "Silmarillion":

« Bianca era la nave, lunga ne era stata la costruzione, e a lungo essa attese la fine predetta da Cirdan, Signore dei Porti. Ma quando tutto fu compiuto, e l'Erede di Isildur ebbe assunto la signoria degli Uomini, e a lui passò il dominio dell'Ovest, allora risultò chiaro che il potere dei Tre Anelli era del pari finito, e agli occhi dei Primogeniti il mondo divenne vecchio e grigio. Fu allora che gli ultimi dei Noldor partirono dai Porti, lasciando per sempre la Terra di Mezzo. E, dopo tutti gli altri, i Custodi dei Tre Anelli giunsero al Mare, e Mastro Elrond condusse la nave che Cirdan aveva tenuta pronta. Essa fece vela da Mithlond sul finire dell'autunno, i mari del mondo incurvato sparirono dietro di essa, i venti del cielo rotondo più non ne turbarono il corso e, portata sulle alte arie al di sopra delle nebbie terrene, essa penetrò nell'antico Ovest, e questa fu la fine degli Eldar nelle storie e nei canti.
("Gli anelli di Potere e la Terza Età")

Con questa mirabile citazione, potremmo tranquillamente dichiarare concluso questo ipertesto, dato che questo evento segna ad un tempo la fine del racconto del "Silmarillion" e quella del "Signore degli Anelli". Vi è però ancora un paio di cose da aggiungere, prima di chiudere, e la prima riguarda il protagonista assoluto della più ampia e famosa tra le opere di Tolkien, essendo contenuta anche nel suo titolo: stiamo parlando dell'Unico Anello. Nel capitolo precedente infatti lo abbiamo preso come esempio del legame metallico, e nella prima parte di questa lezione lo abbiamo pensato composto da atomi d'oro; queste semplificazioni tuttavia non tengono conto però della sua principale proprietà, e cioè l'indistruttibilità. Quest'ultima, attestata in innumerevoli passi del "Signore degli Anelli", è la causa prima del viaggio della Compagnia dell'Anello, giacché esso potrà essere annientato solo nella voragine del Monte Fato in cui Sauron lo ha forgiato; ed infatti nel primo film della Trilogia di Peter Jackson il nano Gimli tenta invano di farlo a pezzi con la propria scure, ottenendo però il solo risultato di distruggere il tavolo di pietra su cui era poggiato. Ecco il famoso "esperimento" con cui Gandalf dimostra a Frodo tale proprietà:

« "Ebbene, osserva attentamente!" e lo stregone lo lanciò all'improvviso nel mezzo dei tizzoni incandescenti del camino, con sommo stupore e rammarico di Frodo, che con un grido si slanciò per afferrare le molle; ma Gandalf lo trattenne.
"Fermo!" ordinò con timbro severo. L'anello non subì alcuna apparente trasformazione. Dopo un po' Gandalf si alzò, chiuse le imposte e tirò le tende. [...] Quindi dopo essersi chinato per prendere l'anello con le molle e posarlo per terra davanti al camino, lo raccolse subito. Frodo lanciò un grido.
"È perfettamente freddo", lo rassicurò Gandalf. "Prendilo." Frodo tese una mano riluttante: l'anello sembrava più spesso e pesante che mai.
(SdA, libro I, cap. II)

Queste parole, « più pesante che mai », suggeriscono un possibile cortocircuito tra la saga fantasy di Tolkien e molti passaggi chiave della fantascienza, come ad esempio "Stella di Neutroni" (1966) di Larry Niven (1938-) e "L'Alchimista delle Stelle" (1997) di Peter F. Hamilton (1960-), nei quali compare uno stato esotico della materia, del quale possiamo immaginare composto l'Unico Anello: il neutronio. Tale stato si ritrova solo a pressioni e temperature elevatissime all'interno delle stelle di neutroni, che rappresentano uno stadio molto avanzato della vita di stelle supermassicce. Infatti, dopo che la stella ha subito un'esplosione in supernova, il suo nucleo, che come sappiamo è formato essenzialmente di ferro, collassa oltre ogni limite, e gli atomi sono compressi a tal punto l'uno contro l'altro, che gli elettroni degli atomi di ferro vengono schiacciati contro i loro nuclei, dove si combinano con i protoni per dare vita alla seguente reazione nucleare, detta "neutronizzazione", della quale abbiamo già parlato nella lezione dedicata all'astronomia:

dove p+ è un protone, e un elettrone, n un neutrone e ν un antineutrino. Quest'ultimo se ne va, e resta una materia interamente formata solo da neutroni, con una temperatura di 5 miliardi di Kelvin e una densità di 1015 g/cm3: un cucchiaino di essa peserebbe 100 milioni di tonnellate! In questa sostanza, chiamata per l'appunto neutronio, mancano infatti gli ampi spazi vuoti presenti all'interno degli atomi, per cui una stella di neutroni sarebbe un immenso nucleo atomico con alcuni chilometri di diametro! Tali valori di densità sono i più alti conosciuti e impossibili da riprodurre in laboratorio: a titolo di esempio, la densità del neutronio sarebbe pari a quella di un grande Boeing 747, compresso fino alle dimensioni di un granellino di sabbia! La materia non collassa oltre perchè i neutroni sono fermioni, e quindi obbediscono al Principio di Esclusione di Pauli: non possono cioè essercene più di due nello stesso stato quantico, con spin opposti. Il Principio di Esclusione è sufficiente per generare una pressione che si oppone all'ulteriore collasso gravitazionale dell'astro.

Una stella di neutroni ha un diametro di circa 20 km, una massa compresa tra 1,4 volte quella del Sole, altrimenti non sarebbe esplosa in supernova, e 3 volte quella del Sole, altrimenti collasserebbe ulteriormente fino a tramutarsi in un buco nero (vedi in proposito quest'altro mio ipertesto). La sua rotazione è spesso molto rapida, a causa della conservazione del momento angolare durante il collasso; dato che un "punto caldo" della stella emette un fascio di onde radio, la stella di neutroni si comporta come una specie di "radiofaro cosmico", che sventaglia nello spazio un fascio di onde elettromagnetiche; ogni volta che esso intercetta la Terra, noi percepiamo un radiosegnale pulsante, da cui il nome di pulsar. La prima pulsar fu scoperta nel 1967 dall'astrofisica irlandese Susan Jocelyn Bell (1943-), e fu battezzata "LGM1" (Little Green Men), perchè inizialmente scambiata per un segnale radio inviato da una civiltà extraterrestre. L'esistenza di stelle interamente composte di neutroni però era già stata proposta per la prima volta nel 1933 da Walter Baade (1893-1960) e Fritz Zwicky (1898-1974), appena un anno dopo la scoperta del neutrone da parte di James Chadwick (1891-1974).

A causa della sua altissima densità e delle sue piccole dimensioni, una stella di neutroni possiede un campo gravitazionale superficiale cento miliardi di volte più intenso di quello della Terra; basti dire che la velocità di fuga dalla Terra, cioè la velocità che un oggetto deve avere per poter sfuggire al suo campo gravitazionale, vale circa 11 km/s, mentre quella di una stella di neutroni si aggira intorno ai 100 000 km/s, cioè un terzo della velocità della luce! La fisica cui obbedisce questa materia è sconosciuta, anche se di solito la si descrive come un superfluido, cioè un fluido caratterizzato dalla completa assenza di viscosità e di entropia, descritto nel 1937 dal russo Pëtr Leonidovič Kapica (1894-1984); esaminando le curve di raffreddamento di alcune stelle di neutroni conosciute, tale ipotesi sembra confermata. Alcuni scienziati però sostengono che l'interno di una stella di neutroni non possa essere descritto come un mare neutronico, poiché un neutrone è in realtà formato da un quark up e due down, e i quark si separerebbero tra di loro, dando vita ad un plasma di quark e gluoni, uno stato della materia estremamente esotico, esistito nei primi 25 microsecondi di vita dell'Universo dopo il Big Bang, e riprodotto per la prima volta al CERN nel 2000. Secondo altri, la materia della stella di neutroni all'aumentare della profondità subisce una serie di transizioni in cui la materia ha proprietà totalmente differenti a seconda della sua densità e della sua temperatura; gli studi sono ancora in corso, e tutto lascia pensare che potremo avere un quadro preciso della fisica del neutronio solo quando sarà messa a punto una Teoria Quantistica della Gravità.

Nonostante le condizioni di estrema instabilità del neutronio alle pressioni normali, e la tremenda attrazione gravitazionale che tale stato della materia esercita intorno a sé, al punto da curvare fortemente lo spazio che lo circonda, spesso gli scrittori di fantascienza hanno utilizzato il neutronio nelle loro opere come componente di armature, materiale strutturale, eccetera. Anche nella famosa serie a fumetti Marvel "Thor" e nell'omonimo film uscito nel 2011, il mitologico martello Mjöllnir ("il Frantumatore"), che solo il dio Thor è in grado di impugnare, secondo le parole pronunciate da Odino « è stato forgiato nel cuore di una stella morente », e quindi è fatto di neutronio. La tentazione degli autori è quella di descrivere come realizzato in neutronio qualunque oggetto sufficientemente pesante, ed ovviamente questa tentazione sfiora anche noi: per essere indistruttibile e pesantissimo, l'Unico Anello dovrebbe essere costituito proprio da neutroni! Ciò spiegherebbe anche perchè occorrerebbe un ambiente caldissimo come quello del Monte Fato, per sciogliere il neutronio o il plasma di quark e gluoni, anche se ovviamente in nessun vulcano della Terra si potrebbero raggiungere i miliardi di Kelvin necessari per maneggiare questi stati della materia! Nel fotomontaggio qui sopra potete vedere l'Unico Anello trasformato nel disco di accrescimento attorno ad un buco nero, ultimo stadio in cui può degenerare una stella a neutroni, nell'atto di "vampirizzare" un'altra stella; e, del resto, essere "vampirizzati" dall'Anello è proprio quanto è successo ai Nazgûl, secondo questa giustamente famosa citazione del "Silmarillion":

« Coloro che adoperarono i Nove Anelli divennero potenti in vita, e furono gli antichi re, stregoni e guerrieri. Conquistarono gloria e grandi ricchezze, ma tutto questo si volse poi a loro disgrazia. [...] E uno a uno, prima o poi, a seconda della loro forza innata e del bene o del male che ne caratterizzava in origine le volontà, caddero sotto il giogo dell'anello che portavano al dito e sotto il dominio dell'Unico, che era di Sauron. E divennero per sempre invisibili se non a colui che portava l'Anello di Dominio, ed entrarono nel reame delle ombre. Erano essi i Nazgûl, i Fantasmi dell'Anello, i più temibili servi dell'Avversario; tenebra li accompagnava, ed essi urlavano con la voce della morte »
("Gli Anelli del Potere e la Terza Età")

Vorrei aggiungere, a questo punto, una teoria formulata di recente da Niayesh Afshordi, Robert B. Mann e Razieh Pourhasan della Waterloo University (Canada) secondo cui l'universo avrebbe avuto origine durante l'implosione di una stella qudridimensionale di un universo con quattro dimensioni spaziali; una p-brana con una dimensione in più, insomma. Tale implosione avrebbe creato un "guscio" tridimensionale attorno a un buco nero quadridimensionale; e tale "guscio" sarebbe rappresentato dal nostro universo. Sicuramente si tratta di un'ipotesi apparentemente assurda, ma certamente non più dell'idea della Musica degli Ainur; inoltre, a differenza dei racconti mitologici del "Silmarillion", la teoria di Afshordi, Mann e Pourhasan è perfettamente radicata nella Fisica moderna, e non solo nella ancora sfuggente Teoria delle Superstringhe e delle Brane. Infatti nei primi 15 anni del XXI secolo gli scienziati hanno sviluppato una serie di strumenti matematici che permettono di tradurre le descrizioni di eventi in N dimensioni nella Fisica di un universo a (N + 1) dimensioni: è la cosiddetta Teoria Olografica. Grazie a tale formulazione, è possibile ad esempio risolvere equazioni di dinamica dei fluidi in due dimensioni, e utilizzare questi risultati per capire che cosa accade in un sistema molto più complesso, come la dinamica di un buco nero tridimensionale. Il successo della Teoria Olografica ha convinto molti Fisici che questo non è un semplice escamotage matematico: forse le regole dell'universo sono state scritte davvero per essere valide in più di tre dimensioni, e poi "calate" nelle tre che la nostra mente può percepire. L'universo allora sarebbe una sottobrana tridimensionale di una brana più complessa a quattro dimensioni, e sarebbe iniziato quando una stella in un iperuniverso quadridimensionale collassò a formare un buco nero, in modo che il suo orizzonte degli eventi non avrebbe due, ma tre dimensioni spaziali. Grazie ad un modello che descrive la morte di una stella quadridimensionale, Afshordi, Mann e Pourhasan hanno scoperto che il materiale espulso da tale collasso potrebbe dare vita ad una 3-brana in lenta espansione, che circonderebbe questo orizzonte degli eventi tridimensionale, nascondendo per sempre ai nostri occhi la "singolarità" rappresentata ad un tempo dal buco nero iperdimensionale e dal Big Bang. Se tutto ciò fosse vero, si tratterebbe di una clamorosa conferma della teoria delle brane e di tutto quanto siamo andati dicendo in questa complessa lezione. Naturalmente, se è vero che il cosiddetto « Big Bang Olografico » potrebbe risolvere un problema apparentemente insolubile, spiegando cosa c'era prima del Big Bang, ma sollevando una nuova serie di domande senza risposta, la cui principale sarebbe: da dove viene l'universo con quattro dimensioni spaziali, o la p-brana di un ordine superiore se preferite, nella quale è collassata l'iperstella che ha dato origine al nostro mondo? Ma questo sarebbe lavoro per le generazioni di Fisici dei secoli a venire.

Dato che ci siamo spinti fino alle estreme frontiere della Fisica, sull'orlo di un buco nero e prima del Big Bang, vorrei fare un cenno ad un ultimo particolare del corpus mitologico tolkieniano, sconosciuto anche a molti fan del Professore. Infatti è noto che l'arco narrativo di C.S. Lewis (le "Cronache di Narnia") inizia con il racconto della Creazione di Narnia ad opera di Aslan, e si chiude con una sorta di "Giorno del Giudizio", in cui l'universo parallelo di Lewis ha fine, e i protagonisti del ciclo sono accolti da Aslan nel Paradiso. Ora, nell'universo di J.R.R. Tolkien sappiamo che viene narrata la Creazione di Eä, l'Universo, attraverso la Canzone degli Ainur, ma non sembra si accenni alla fine della sua Linea del Tempo. In altre parole, sembra che tra gli scritti di Tolkien manchi un'equivalente della nostra Apocalisse. Ed invece non è così.

Infatti, il "Silmarillion" come noi lo conosciamo termina con le righe riportate poco sopra, quindi con la fine della Terza Era e l'inizio della Quarta, ma in origine Tolkien aveva pensato di chiudere il suo epico racconto con la profezia di Mandos riguardo alla Dagor Dagorath, termine Sindarin che significa "Battaglia delle Battaglie", cioè la Battaglia per eccellenza (in Quenya si utilizza invece il termine Ambar-metta, cioè "La Fine") che segnerà la conclusione della Storia. Del resto, un accenno alla fine dei tempi lo si ritrova anche nell'attuale "Silmarillion" curato da Christopher Tolkien, e precisamente alla fine dell'Akallabêth, quando si dice che «Ar-Pharazôn il Re e i guerrieri mortali che avevano messo piede sulla terra di Aman furono sepolti sotto le colline crollanti, imprigionati nelle Grotte degli Obliati, in attesa dell'Ultima Battaglia e del Giorno della Sorte ». Secondo la Profezia di Mandos, che piuttosto che l'Apocalisse cristiana riecheggia il mito norreno del Ragnarök ("il Crepuscolo degli Déi"), alla fine dei giorni Morgoth scoprirà come abbattere la Porta della Notte, ritornerà nell'Universo e distruggerà il Sole e la Luna. Molti nemici caduti da tempo torneranno per lottare con lui, e fra questi i primi saranno Sauron, il cui spirito si è disperso nel vuoto dopo la distruzione dell'Unico Anello, il Re Stregone di Angmar e gli altri Nazgûl. Balrog, Orchi, Draghi e altre creature spaventose torneranno con tutta la loro potenza, insieme a tutti i malvagi risorti dalla morte. A loro si opporranno Eärendil disceso dal cielo, i Valar e i Maiar guidati da Manwë, Fëanor liberato dalle Aule di Mandos, Beren e Lúthien,Ar-Pharazôn e i suoi Númenóreani, Elendil, Isildur, Aragorn, e con loro tutti i popoli liberi della Terra di Mezzo: Elfi, Uomini, Nani e Hobbit. La battaglia escatologica vedrà naturalmente la vittoria dei buoni e la sconfitta dei malvagi; Morgoth in particolare sarà annientato da Túrin Turambar con la sua spada nera Gurthang ("Ferro di Morte"), che così vendicherà tutti i torti subiti da lui. Dopo la vittoria del Bene nella Dagor Dagorath, i tre Silmaril verranno restituiti dalla terra, dal cielo e dal mare e consegnati a Yavanna, che li spezzerà e li userà per ridare la luce ai Due Alberi. La Battaglia delle Battaglie metterà fine ad Arda, tutti i morti si sveglieranno, ed a quel punto sarà intonata una Seconda Musica degli Ainur. Essa darà vita a un nuovo mondo, e gli Uomini e gli Elfi la canteranno con gli Ainur. Nessuno, nemmeno gli Ainur, sa quale sarà il destino delle razze del vecchio mondo in quello nuovo, se non il fatto che la Seconda Musica sarà più splendida e potente della Prima.

Tutto questo ci porta ad interrogarci su quale sarà il destino ultimo dell'universo in cui noi viviamo. Il primo a considerare questo problema da un punto di vista fisico fu il solito Einstein nel 1917, due anni dopo aver pubblicato la sua teoria della Relatività Generale. Abbiamo visto che quest'ultima prevede la curvatura dello spazio da parte delle grandi masse: più elevata è la massa, e meno "euclidea" (cioè più distorta, dal nostro punto di vista) risulterà lo spazio circostante, tanto da fare addirittura tornare indietro i raggi di luce. Ora, l'intero Universo in cui viviamo racchiude in sé una massa enorme, stimata dell'ordine di 1052 Kg (mille miliardi di miliardi di masse solari!), quindi la sua geometria globale deve essere fortemente incurvata e non euclidea. In pratica, se noi inviassimo un raggio laser verso un punto lontanissimo dell'Universo, aspettando un tempo abbastanza lungo lo vedremmo arrivare alle nostre spalle, dopo aver percorso l'intera "curvatura dell'Universo". Per questo si dice che il cosmo è "finito e illimitato": ha dimensioni definite come una circonferenza, ma una formica che tenti di percorrerla non arriverebbe mai ad una fine, continuando a girare in tondo per l'eternità.

La nave di Elrond giunge in vista del Taniquetil, la montagna più alta di Valinor sulla quale dimorano Manwë e Varda, in una giustamente famosa illustrazione del grande disegnatore canadese Ted Nasmith

La nave di Elrond giunge in vista del Taniquetil, la montagna più alta di Valinor sulla quale dimorano
Manwë e Varda, in una giustamente famosa illustrazione del grande disegnatore canadese Ted Nasmith

 

Orbene, nel 1917 Einstein, fortemente influenzato dal proprio pensiero filosofico, propose un modello di universo statico, omogeneo e isotropo, le cui proprietà cioè sono le stesse in ogni istante, in ogni punto e in ogni direzione dello spazio. Lo stesso Einstein però si rese conto che l'universo da lui immaginato era instabile, giacché l'attrazione gravitazionale tra le varie masse dell'universo avrebbe finito per farle collassare in un punto. Convinto che l'universo non fosse mai nato e non sarebbe mai morto, ma che fosse eterno, Einstein corresse allora le proprie equazioni gravitazionali introducendo in esse un termine Λ chiamato Costante Cosmologica, in pratica una forza repulsiva (una sorta di antigravità, se preferite) che dominava su larga scala ed impediva all'Universo di collassare. Nel 1922 il fisico russo Aleksandr Aleksandrovič Fridman (1888-1925) fece però notare che, senza bisogno di introdurre alcuna ulteriore costante ingiustificata, l'universo al contrario dovrebbe... espandersi, soluzione che invece Einstein aveva scartato, perché in contrasto con la sua visione del mondo. Nel 1927 il sacerdote belga Georges Lemaître (1894-1966) propose che questa espansione fosse dovuta all'esplosione di quello che egli chiamò "atomo primigenio", esplosione che aveva scagliato nel vuoto la materia, creando di fatto l'Universo. La sua proposta venne snobbata dalla grande maggioranza dei fisici, fino al 1929, quando l'astronomo americano Edwin Hubble (1889-1953) scoprì lo spostamento verso il rosso nelle righe spettrali di galassie lontane, e le interpretò come una conseguenza dell'effetto Doppler: le galassie si stanno allontanando le une dalle altre, e quindi l'universo si sta espandendo. Di conseguenza Lemaître aveva ragione, ed Einstein affermò che l'introduzione della Costante Cosmologica Λ era stato « il più grande errore della sua vita ». Nel 1964 poi Arno Penzias (1933-) e Robert Woodrow Wilson (1936-) scoprirono che l'intero universo era permeato da una radiazione di fondo a microonde, corrispondente allo spettro di un corpo nero alla temperatura di circa 3 K. Essa fu interpretata come la "bruciatura" lasciata dal "grande scoppio" dell'"atomo primogenio", che era già stata prevista da George Gamow (1904-1968) fin dal 1940. Fu il trionfo di quella che noi chiamiamo "Teoria del Big Bang".

Tale teoria, oggi largamente accettata anche se con sfumature diverse, descrive l'origine e l'evoluzione dell'Universo fino ad oggi, ma non fornisce risposte certe su quale sarà la sua evoluzione futura. Infatti in esso agiscono due forze contrapposte: la spinta iniziale dell'espansione, che fa allontanare le galassie sempre più l'una dall'altra, e la forza di gravitazione universale, che tende a tenerle legate con l'attrazione reciproca e a frenare l'espansione. Quale sarà il destino dell'Universo verrà deciso da quale delle due prevarrà. I calcoli dei cosmologi hanno rivelato che la curvatura dello spazio-tempo dipende dalla densità di materia che esso contiene. In particolare, esiste una densità critica, pari a circa 1029 g/cm3, oltre la quale l'attrazione gravitazionale prevale sull'espansione, e l'Universo ad un certo punto torna a contrarsi e si riduce ad un punto. I cosmologi preferiscono usare un parametro, indicato con Ω, per descrivere il tipo di universo in cui viviamo. Ω rappresenta il rapporto tra la densità di materia totale presente nell'Universo e la densità critica. Se Ω < 1, la materia presente è insufficiente per controbilanciare la spinta di espansione, e l'Universo è destinato ad espandersi indefinitamente. Questo tipo di universo si dice "aperto". Se Ω > 1, al contrario, l'espansione verrà prima o poi frenata e poi, lentamente, le galassie cominceranno a riavvicinarsi, fino a scontrarsi e a fondersi tra loro, in un gigantesco impatto che viene definito "Big Crunch" (la situazione opposta al Big Bang). Questo è quello che viene chiamato un universo "chiuso". Infine, se Ω e' esattamente uguale a 1, l'espansione rallenterà sempre più il proprio ritmo, ma l'attrazione gravitazionale non sarà sufficiente a far collassare l'Universo su se stesso. È questo il caso di universo "piatto". Da queste considerazioni appare chiara la necessità di determinare con precisione la densità della materia nel cosmo.

Come si può fare? Un primo, semplicistico metodo consiste nel misurare la densità media della materia, sommando le masse di tutte le galassie presenti in un certo volume e dividendole per il volume stesso, ma non è un sistema efficace per via dell'esistenza della materia oscura, inaccessibile alle osservazioni. Un secondo metodo consiste nel misurare la velocità di allontanamento delle galassie a diverse distanze, cioè di diverse età, poiché noi vediamo le galassie lontane così come erano milioni o addirittura miliardi di anni fa, e stimare di quanto l'Universo ha decelerato la propria espansione nel corso della sua storia. In particolare, nel 2014 la Sloan Digital Sky Survey (SDSS), un ambizioso progetto internazionale di mappatura celeste, ha permesso di misurare il tasso di espansione dell'universo con una precisione senza precedenti, e di concludere che circa 11 miliardi di anni fa l'Universo si espandeva di circa l'1 % ogni 44 milioni di anni. Tutte le stime da noi effettuate sembrano convergere verso l'ipotesi che il nostro Universo sia esattamente piatto, cioè che il valore di Ω sia incredibilmente vicino ad 1. In tal caso, esso non potrebbe mai richiudersi.

A ciò si aggiunge la scoperta, effettuata l'8 gennaio 1998 da Saul Perlmutter (1950–) del Berkeley Lab grazie ad accurate misurazioni della velocità di allontanamento reciproco di 40 galassie, che l'espansione non sta affatto frenando; anzi, sta accelerando! Per spiegare questo incredibile comportamento è stato introdotto il concetto di "energia oscura", un'ipotetica forma di energia che permeerebbe tutto lo spazio, e con la sua pressione spingerebbe le galassie ad allontanarsi le une dalle altre. Secondo i calcoli di Perlmutter, l'universo sarebbe costituito solo per il 5 % da materia ordinaria; il 25 % sarebbe da imputare alla "materia oscura", e addirittura il 70 % a questa misteriosa "energia oscura" di cui nessuno oggi conosce la vera natura. La scoperta fu così sensazionale che valse a Perlmutter il Premio Nobel per la Fisica nel 2011. Questa scoperta ci impone di rispolverare la famosa "Costante Cosmologica" Λ di Einstein, dimostrando che gli errori delle grandi menti insegnano più delle verità di una mente ristretta. Ma come interpretare questa enigmatica "energia oscura", alla luce delle nostre conoscenze scientifiche? Alcuni pensano di associarla alla cosiddetta energia del vuoto, da noi già citata en passant in precedenza. Il Principio di Indeterminazione di Heisenberg afferma infatti che io non posso conoscere con uguale precisione l'energia e la durata di un fenomeno. Ne consegue che il vuoto non può avere energia esattamente nulla, altrimenti io conoscerei perfettamente la sua energia (zero, senza errori di sorta) e il tempo di variazione di quest'ultima (sempre zero). La Meccanica Quantistica vede il vuoto non come un mare in assoluta bonaccia, ma anzi come un oceano ribollente di vita, con coppie particella-antiparticella che si creano e si distruggono nell'arco di un tempo di Planck, e questo è sufficiente per assicurare una densità di energia del "vuoto" (a questo punto le virgolette sono d'obbligo) di 10−9 J/m3. Un valore certamente maggiore di zero, ma enormemente più piccolo di quello che ci si aspetterebbe per giustificare l'accelerazione delle galassie osservata da Perlmutter. Più piccolo addirittura di 120 ordini di grandezza: è questo il massimo sfasamento tra teoria e misure in tutta la storia della Fisica!

E allora, come giustificare la reintroduzione di una Costante Cosmologica positiva nelle Equazioni della Relatività Generale? Come si è visto sopra, la Teoria delle Superstringhe e la M-Teoria sembrano fornire valori dell'energia del vuoto più consistenti con l'esistenza dell'Energia Oscura, ed anche diverse versioni proposte della Gravità Quantistica potrebbero dare una risposta affermativa. Alcune di queste ultime teorie anzi recuperano anche il concetto di "Big Crunch", proponendo un modello di "Universo Oscillante" che si è espanso e contratto più volte ("Big Bounce", cioè "Grande Rimbalzo"); ma la quasi impossibilità si sottoporre tali modelli teorici a verifica sperimentale non ci aiuta di certo. La maggior parte dei cosmologi oggi pensa che il nostro Universo si espanderà indefinitamente spegnendosi lentamente, fino a che tutta la sua materia non sarà inglobata dentro colossali buchi neri a una temperatura di pochissimo superiore allo zero assoluto ("Big Freeze", cioè "Grande Congelamento"). Del resto, che l'universo si stia lentamente spegnendo lo dimostra una ricerca condotta da Simon Driver e colleghi dell'International Centre for Radio Astronomy Research della University of Western Australia, i quali hanno analizzato i dati raccolti nell'ambito del progetto GAMA (Galaxy and Mass Assembly), che impiega sia telescopi di terra che spaziali per mappare e confrontare l'energia prodotta a diverse età dell'universo. In particolare, gli astronomi hanno calcolato l'energia totale generata all'interno di un volume molto grande dell'universo, analizzando la radiazione emessa a diverse lunghezza d'onda da oltre 200.000 galassie. I valori trovati dimostrano che, nella porzione di universo analizzata, l'attuale produzione di energia è pari a circa la metà di quella stimata circa due miliardi di anni fa. La diminuzione è sistematica, e riguarda tutte le lunghezze d'onda, dall'ultravioletto al'infrarosso lontano, segno che l'universo si sta davvero affievolendo progressivamente su tutte le regioni dello spettro elettromagnetico.

Alcuni ricercatori dell'Università di Pechino, usando la cosiddetta "Parametrizzazione di Ma-Zhang", si sono spinti addirittura a calcolare la "data di morte" dell'universo, nell'ipotesi che l'Energia Oscura sia tanto grande da lacerare il tessuto stesso dello spazio-tempo, in quello che è stato definito "Big Rip" ("Grande Strappo"); secondo loro questo catastrofico evento avrà luogo esattamente fra 16,7 miliardi di anni. Qualcosa di molto simile al Dagor Dagorath di Tolkien, insomma. Forse persino la Profezia di Mandos non confluita nel "Silmarillion" è consistente con un mondo dominato dalla Scienza e non dalla Magia, o forse da una Scienza così avanzata da confondersi con la Magia...

Beren e Lúthien
Edith Mary e John Ronald Reuel Tolkien
Epitaffio sulla lapide dei coniugi Tolkien

Dall'alto: Beren e Lúthien; Edith e John Tolkien; l'epitaffio sulla tomba di questi ultimi, con il nome di Lúthien associato a quello di Edith e il nome di Beren associato a quello di John

 

E con questo, dopo tanto viaggiare attraverso i meandri della Fisica, siamo giunti al capolinea, come la nave di Elrond giunta infine in vista del Taniquetil nel dipinto di Ted Nasmith che abbiamo mostrato qui sopra. Possiamo perciò fare nostra la poetica conclusione dell'ultimissimo capitolo del "Signore degli Anelli": « Allora Elrond e Galadriel ripresero il cammino; la Terza Era era infatti finita, ed i Giorni degli Anelli ormai passati, e si concludevano così la storia e i canti di quei tempi. [...] "Ebbene", disse Gandalf, "cari amici, qui sulle rive del Mare finisce la nostra compagnia nella Terra di Mezzo. Non dirò: 'Non piangete', perché non tutte le lacrime sono un male." Allora Frodo baciò Merry e Pipino, e per ultimo Sam, e salì a bordo; le vele furono issate, il vento soffiò, e lentamente la nave scivolò via lungo il grigio estuario; e la luce della fiala di Galadriel che Frodo teneva alta, scintillò e svanì. » Se il mio lavoro vi è piaciuto e volete fornirmi il vostro parere, scrivetemi a questo indirizzo. Arrivederci al prossimo ipertesto! Vostro

Franco Maria Boschetto