Fanta-Odissea – Fanta-Promessi Sposi – Fanta-Promessi Sposi altrove – Il Vangelo di Giuseppe e Maria – E se i fratelli Grimm fossero stati ebrei? – Fanta-Cosette – Fanta-Stil Novo – Il canto centounesimo della Divina Commedia – E se il Ciclo Carolingio raccontasse eventi storici reali? – Il dizionario degli scrittori italiani
Apre le danze William Riker:
Mi sia permesso di fare un po' di « metafantastoria », cioè di vera e propria esegesi della fantastoria medesima, e contemporaneamente di aprire un nuovo filone ucronico, in aggiunta alle lista delle nostre ucronie, basate sulla nostra « storia reale », le quali presuppongono tutte la creazione di Imperi, Regni o Repubbliche di dimensioni mondiali. Uno dei visitatori di questo sito mi ha infatti fatto notare: e chi l'ha detto, che le ucronie devono partire per forza dai libri di storia? Non possono per caso partire dai capolavori della Letteratura?
È un'idea che io giudico a dir poco grandiosa. Sono possibili tre sviluppi:
1) interpretazione "evemeristica" dell'opera letteraria, per renderla apparentemente storica;
2) sviluppo sulla stessa linea (continuazione della narrazione, precisazione di particolari taciuti);
3) fantaletteratura (si propone che un determinato fatto narrato non sia avvenuto - oppure si sia svolto diversamente - e si "calcola" che cosa ne potrebbe conseguire nell'ipotesi di non aggiungere nuovi elementi di fantasia) Ad esempio, che succede se Lucia lascia Renzo e cede alle profferte di don Rodrigo? (una storia un po' torbida, immagino...) O se Ulisse non torna ad Itaca, sposa la maga Circe e col suo aiuto crea una talassocrazia extraegeica? (E Penelope? Altra storia torbiduccia?) O se Gregor Samsa anziché in scarafaggio si trova mutato in farfalla, bellissima ma dalla breve vita? (drammatica e autosublimante!)
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Facciamo un esempio, partendo dalla seconda ipotesi. Penelope, piantata da Ulisse che le ha preferito la figlia del dio Sole, sposa Agamennone che è tornato a Micene ma, avendo creduto una volta tanto alle profezie di Cassandra, ha fatto fuori la moglie Clitemnestra e l'amante Egisto e, riconoscente, lascia libera la figlia di Priamo. Quest'ultima se ne va ad Eea da Ulisse e Circe e diventa l'indovina ufficiale della corte del laertide. Si crea così una contrapposizione tra la geocrazia micenea, una vera società spartana ante litteram, e la talassocrazia eeica (sia detto per inciso, Eea io la identifico con il promontorio del Circeo: NOMINA SVNT OMINA!), che anticipa e di fatto sostituisce Roma ed Atene. Eea crea un impero da Tartesso all'Egitto, mentre Micene uno da Creta alla Colchide. Poi Agamennone ed Ulisse passano tra i più, e quest'ultimo è assunto tra gli dei come Enea, il quale invece non ha lasciato la Troade ed è rimasto a regnare sui superstiti troiani così come argomenta l'Iliade, il resto l'ha inventato poi Virgilio. Ad Agamennone succede Oreste, ad Ulisse Telemaco, ma siccome al padre è andata bene sotto le mura di Troia, Oreste decide di andare a distruggere Eea, creando materiale per nuovi poemi omerici.
Uno scenario favoloso, non è vero? (Anche perché pure Micene, come -crazia, é un po' talasso-) Prima di ogni altra considerazione bisogna riordinare le idee: la talassocrazia eeica comprende un discreto retroterra di Tartesso, le grandi isole del Mediterraneo occidentale (Baleari, Corsica, Sardegna, Sicilia), perlomeno tutta la Penisola Appenninica, immagino le Isole Ionie, disgraziatamente non Creta ma spero almeno Cipro (visto che ha l'Egitto), forse la Fenicia, sicuramente l'Egitto (e quindi anche la Palestina), a questo punto la Libia e l'Africa (almeno Cartagine); la valle dell'Eridano? Oppure é micenea? E gli Arcadi sul Palatino sono filomicenei o prendono ordini dal Circeo?
Sull'altro lato: "Micene" sta per tutto il Peloponneso, l'Attica, la Beozia, Locride e Focide, Etolia e Tessaglia? Anche la Macedonia? Penso le Isole dell'Egeo, visto che arriva in Colchide e, in quanto geocrazia, ci deve arrivare attraverso un itinerario il più possibile continentale quindi anatolico? Ma Troia con chi sta? Con Ulisse suo espugnatore o con Agamennone di Elena? Gli alleati anatolici dei Troiani in che rapporti sono con la geocrazia micenea?
Se Eea ha l'Egitto, Micene deve indispensabilmente arrivare prima a conquistare la Mesopotamia ("da mare a mare e dal fiume fino ai confini della terra") e se possibile arrivare fino alla Valle dell'Indo. In questo modo le due sfere economiche - egizia e mesopotamica - otterrebbero una coesione politica molto anzitempo, sotto guida occidentale anziché centroasiatica (iranica).
molto solleticante curiosare nelle possibilità che - come avveniva tra Micenei e Protoitalici / Protolatini in Italia - potesse sussistere qualche forma di intercomprensibilità (non credo immediata, ma con qualche sforzo) tra Protogreci e altri popoli indoeuropei linguisticamente in una fase protolinguistica comparabile (escludo ovviamente l'Anatolia, dove la differenziazione linguistica era ormai pronunciatissima).
I due imperi non possono stare a guardarsi e quindi, se Oreste muove contro Eea, Telemaco avrebbe fatto il contrario entro non molto tempo. Onore al merito a Oreste per il coraggio di affrontare direttamente il cuore dell'impero rivale. Storicamente l'Egitto é sempre stato incomparabilmente più ricco e potente dei vicini, anche se militarmente forti ("Il miserabile Paese di Hatti"), ma sono sempre state le potenze in possesso della Mezzaluna Fertile a conquistare l'Egitto e mai viceversa.
iò suggerirebbe una vittoria micenea contro Eea, ma si scontra con la costante storica che una potenza non ottiene conquiste durature al di là del mare (a meno di possedere vantaggi teconologici incolmabili, come gli Spagnoli in America). Tutto filerebbe più liscio se Micene avesse una vasta e sicura base nella Valle dell'Eridano, magari congiunta da un corridoio terrestre adriatico orientale (su una delle vie degli Iperborei taciuti da Omero), ma concedere questo significherebbe schierarsi apertamente a fianco dei Micenei.
In effetti, nei poemi che gli ascoltatori degli aedi conoscevano, Ulisse dopo non molto tempo lascia Itaca e va in un paese dove la navigazione é sconosciuta e là terminerà la propria vita (quella sotto la luce del sole). Anche il nome della Terra di Circe (Eea: 'Aiaíê) viene dato come stranoto agli uditori. Le probabilità che la terra dove Ulisse si trasferisce sia Eea sono però inversamente proporzionali al numero di terre citate nel poema come note e queste terre, anche sottraendo quelle di navigatori (come i Feaci), non sono poche.
Già però il ritorno a Itaca doveva costituire un colpo di scena, perché per nove anni Ulisse resta a Ogigia da Calipso. Forse ha vissuto con Calipso più a lungo che con Penelope e gli sarà pur venuta nostalgia di lei, che fra l'altro non gli ha mai fatto niente di male. Non si può dire che Calipso non conosca la navigazione, ma si può ipotizzare che i discendenti suoi e di Ulisse evitassero il mare. Anche l'incontro del maturo Ulisse coi proprî figli Ogigî dovrebbe essere molto commovente.
Se tornasse a Ogigia, non é però escluso che prima passi da Eea e lì sistemi insieme a Circe la questione della talassocrazia (altrimenti improponibile a un popolo di non navigatori). Qualunque talassocrazia avrebbe dovuto fare i conti con la potenza marittima dei Feaci, ma la via più naturale e diretta per sedere sul trono dei Feaci sarebbe sposare Nausicaa. Piuttosto che eliminare una delle due (Nausicaa o Circe), preferirei che entrambe fossero compartecipi dell'amato itacese e si rendessero conto anche dei suoi doveri nei confronti di Calipso.
(Ci si potrebbe pensar su per una decina d'anni mentre fanno l'assedio?)
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Per un po' il discorso è rimasto interrotto; poi, dopo l'uscita del film "Troy" l'amico aNoNimo ci ha mandato questo messaggio:
Menelao che muore ucciso da Ettore, Aiace idem, Briseide e Criseide che sono una persona sola, Cassandra che non c'è, Agamennone che viene ucciso a Troia invece che a Micene... quante ucronie in un film a tratti spettacolare e a tratti un po' "americanata". Ma se davvero Menelao fosse morto sotto le mura di Troia...?
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William ha continuato così il suo suggerimento:
Dunque, Menelao muore sotto le mura di Troia per mano di Ettore. Scartando l'idea che la coalizione degli Ahhiyawa si sfasci, perché il vero capoccia della spedizione era Agamennone ed aveva insistito lui per vendicare l'onore familiare, ci sono tre possibilità:
1) la guerra viene portata avanti comunque, Ettore è ucciso da Achille, Achille da Paride, Paride da Filottete, Ulisse realizza l'inganno del cavallo, Troia viene presa lo stesso. Seguono tre sottocasi:
1a) Elena si uccide perché non vuole ritornare con i Greci che le vogliono dare un nuovo marito. Troia è stata presa ma nessuno degli obiettivi iniziali dettati dall'Eros sono centrati, perché i protagonisti del triangolo sono tutti morti.
1b) Elena fugge con Enea e scappa con lui in Italia dove fonderà un regno greco senza componenti latine, una 'Roma greca' insomma.
1c) Elena si riconcilia con i Greci aprendo la camera del nuovo marito Deifobo che è trucidato da Agamennone. Allora si aprono ulteriori possibilità:
1c i) Elena è data in sposa a Neottolemo, figlio di Achille, e dopo la morte di Agamennone per mano di Clitemnestra, Ftia si sostituisce a Micene come potenza egemone achea (civiltà ftiatica anziché micenea)
1c ii) Elena è presa come sposa da Agamennone che ripudia Clitemnestra lasciandola al cugino Egisto. Agamennone diventa re anche di Sparta e riunifica la Grecia e la Troade in una grande nazione che si scontra con l'Egitto e la Mesopotamia per l'egemonia nel mondo antico.
1c iii) Elena è presa come sposa da Ulisse che dimentica Penelope, va a cercare gloria nel Mediterraneo, sconfigge Lestrigoni, Ciclopi e la maga Circe e fonda una talassocrazia che diventa egemone nel Mediterraneo Occidentale (così rientriamo nell'ucronia che ho già delineato).
1c iv) Elena resta zitella ma diventa regina di Sparta che dà inizio ad una società matriarcale che rivoluziona la concezione femminile nella Grecia Classica.
2) la guerra viene portata avanti comunque, Ettore è ucciso da Achille ma Achille è ucciso da Paride che con Deifobo prende il comando delle operazioni. Due casi:
2a) Ulisse cambia bandiera perché hanno dato le armi di Achille ad Aiace e non a lui, con uno stratagemma libera Troia e provoca il massacro degli altri Greci. La Grecia diventa parte dell'impero di Tarwisa, Ulisse ottiene il governo di Micene per conto dei troiani; resa dei conti tra Paride e Deifobo che provoca una nuova guerra civile. Deifobo è sconfitto e ripara nell'Egitto di Ramses III aizzandolo contro Ilio. Guerra marittima tra le due potenze per il controllo del Mediterraneo. Vince Ilio grazie alla flotta dei Feaci condotta da Telemaco figlio di Ulisse, e si ha la fondazione di un impero stile Alessandro Magno ante litteram.
2b) Ulisse non cambia bandiera ma i Troiani vincono lo stesso, come sopra però la flotta feacia-itacense non si affianca alle navi micenee e vince l'Egitto. Troia è espugnata dagli egizi anziché dagli Ahhiyawa, ed il re Paride muore nella catastrofe. E' Iulo figlio di Enea a far vela verso il Lazio e a fondare la stirpe romana. L'Egitto abbandona agli Ebrei di Giosuè i possessi in Asia e preferisce fondare una talassocrazia che si scontrerà con i Feaci, guidati da Telemaco che ha sposato Nausicaa, per il controllo del Mediterraneo occidentale.
3) Sostanziale pareggio. Morti Menelao, Ettore, Achille, Paride ed Aiace i due eserciti, rimasti senza campioni, decidono di fare la pace ma nei loro annali lasceranno scritto di aver vinto lo stesso la guerra. Omero scrive lo stesso l'Iliade asserendo che Zeus in persona è sceso in campo per ordinare la pace alla vigilia del trionfo greco, analogo poema in lingua frigia viene composto a Tarwisa. Enea, nuovo re di Ilio, permette ai Danai il libero passaggio attraverso i Dardanelli e conquista ciò che era stato l'impero ittita, la Mesopotamia e la Fenicia, facendo alleanza con Sansone, giudice degli Ebrei. Agamennone unifica i regni achei del Peloponneso rimasti senza re e comincia l'espansione ad occidente, fondando con l'aiuto di Ulisse un impero esteso a Spagna, Italia e Nordafrica. Scontro futuro tra le due potenze (Troiani con i Semiti sottomessi e Greci con gli Italici ed i Celti) con l'Egitto come ago della bilancia stile Lorenzo il Magnifico nell'Italia del quattrocento. L'ascesa della Cartagine di Didone, che ha sposato Enea, farà crollare entrambi gli imperi; ma questa, come diceva Michael Ende ne « La Storia Infinita », è tutta un'altra storia, ed andrà raccontata un'altra volta.
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Fanta-Promessi Sposi!
Lasciamo alla fantasia di qualche navigatore la continuazione dell'epopea achea, e passiamo ora ad esaminare la proposta dei fanta-Promessi Sposi nei quali Lucia lascia Renzo e cede alle profferte di don Rodrigo. Come potrebbe continuare la storia? Il nostro amico *BhriHskwo-bhlôukstrôy propone che Lucia si trasferisca in Spagna con Rodrigo e faccia invaghire di sé qualche regnante, che scrive per lei un poema in lecchese...Un feuilleton in grande stile! Altro che "Piccolo Mondo Antico"! Ebbene, il nostro vulcanico amico (cliccate qui per scrivergli) propone una successione del genere: la famiglia é lombarda (v. il conte Attilio e il Conte Zio), ma la madre é spagnola (Quitacercano) e ha scelto il nome del bimbo Rodrigo, il quale fin da piccolo va periodicamente in Castiglia dai nonni ed é ammesso a corte; conquistata Lucia la porta a corte, dove il Re se ne invaghisce e scrive il suddetto poema in milanese; intanto Lorenzo (o, come dicevan tutti, Renzo) si arruola tra i Bravi del Nibbio a servizio dell'Innominato e lo induce a muovere contro le proprietà di Don Rodrigo; il conte Attilio, il Conte Zio e Don Rodrigo si appellano all'Asburgo di Spagna, l'Innominato (in quanto feudatario diretto dell'Impero) all'Asburgo d'Austria imperatore del Sacro Romano Impero; i due Asburgo si accordano sulle teste dei nobili litiganti e in particolare progettano di far incorporare nell'Austria la Signoria dell'Innominato; questi si appella al Tribunale dell'Impero e aderisce alla Lega Grigia (che fino al 1648 farà parte dell'Impero); l'Innominato si inserisce nell'alleanza franco-veneto-elvetica in funzione antiasburgica e chiama le truppe di Richelieu vittoriose in Piemonte; Don Rodrigo viene nominato a capo degli Spagnoli che assediano Casale e dei Lanzichenecchi che assediano Mantova (1631) e ne approfitta per muovere in forze contro le terre dell'Innominato, che nel frattempo ha sconfitto la spedizione punitiva inviatagli contro dal Governatore del Ducato di Milano, Gómez-Suárez de Figueróa duque de Feria; l'Innominato passa alla Riforma e si reca a Lipsia dove si unisce ai principi protestanti tedeschi alleati di Gustavo II Adolfo di Svezia; Don Rodrigo, dopo un periodo passato con il conte Tilly, viene inviato da Wallenstein come vicario imperiale e referente degli Irlandesi; l'Innominato, che in quanto Pallavicino vanta diritti sull'eredità Obertenga incluso il Milanese (in realtà sull'intera Lombardia storica), dichiara decaduta l'unione personale tra corona spagnola e dignità arciducale borgognona e di conseguenza proclama reciso il legame tra Ducato di Milano e Spagna e offre a Gustavo Adolfo, che accetta, la sovranità sulla Lombardia; il 16/11/1632 l'esercito sassone-svedese e quello imperiale si affrontano a Lützen; l'Innominato e Don Rodrigo comandano schieramenti opposti, Lucia é nella tenda di Don Rodrigo, Renzo a fianco dell'Innominato... E così, "qualche anno" dopo la guerra conclusa con un marchingegno dalle parvenze equine, una donna cambia la storia del mondo...
Ma la storia non è finita qui. Lucia vede Renzo in battaglia dalla tenda... Sa che sta combattendo per lei...Solo che se sia Don Rodrigo che il Conte del Sagrato restano senza la bella Lucia, come possono consolarsi? Don Rodrigo, in quanto (metà) castigliano, può recarsi con l'amico di sempre Attilio nella Nuova Spagna e lì si ricostruiscono una vita (e un impero personale) in California; il Conte del Sagrato, dopo aver rotto con Richelieu a causa degli Ugonotti ed essersi perciò accostato agli Inglesi (anche per la paura avuta alla visione degli Irlandesi di Wallenstein), ripercorre le rotte di Sir Francis Drake e si (re)insedia nella Nuova Albione, sul Golden Gate. Così, sul futuro sito di San Luis Obispo (de Tolosa) corre il confine tra il Nuovo Sagrato e la Tierra Reina Lucía.
Intanto, in Lombardia si é creato qualche paciugo feudale, perché il Ducato fa parte della Corona Svedese (in quanto parte integrante della Germania Gustavina), le terre avite del Conte Pallavicino (vero nome dell'Innominato) sono invece la Quarta Lega dei Grigioni e i beni di Don Rodrigo gli erano stati confiscati dall'Imperatore per tramite del Re di Spagna e allora ancora Duca di Milano e costituiti in Feudo Imperiale diretto di cui Ferdinando II d'Austria investe Doña Lucía su preghiera di Filippo IV di Spagna. Dato che questi é da diciassette anni sposo di Isabella figlia di Enrico IV di Francia, i due Asburgo convengono che, anziché rinnovare le ostilità tra i due signori d'Oltreoceano, sia preferibile che alla Contessa Palatina si associ come Principe Consorte Lorenzo (o, come dicevan tutti, Il Principe).
Il punto a cui volevamo arrivare era che Gustavo Adolfo non morisse a Lützen e che tutta la Germania centro-settentrionale (e Milano) restassero svedesi (nell'Impero): non ci sarebbe stato uno sviluppo - o almeno non uno militaristico - della Prussia. Comunque la promiscuità Tridentino-Riformata a Milano e in Valtellina sconvolge l'equilibrio dei Grigioni e induce Gustavo Adolfo a emanare a sua volta un Editto di Tolleranza col quale si abolisce il principio "Cuius Regio Eius (et) Religio". In realtà il Re mira con questo ad assicurarsi la successione al trono polacco, dopo la morte di Sigismondo III Wasa - già Re di Svezia quarant'anni prima - nell'aprile di quell'anno e promettendo al Re Ladislao VII, salito al trono tre giorni prima della battaglia di Lützen, un appoggio decisivo nella rivendicazione del trono di Zar di Russia - già suo vent'anni prima - contro Michail Fëdorovic Romanov.
Ladislao accetta e Gustavo Adolfo chiama il Principe Lorenzo
accanto a sé nella Campagna di Russia, ma Lorenzo gli suggerisce di proporre allo
stesso Romanov un compenso maggiore dell'Impero per il quale combatterebbe.
Gustavo Adolfo si accorda quindi con Michail Fëdorovic per una Crociata
contro Murad IV il Prode, promettendo l'aiuto proprio, dei Polacchi, degli
Irlandesi e degli Imperiali guidati da Wallenstein per riconquistare
Costantinopoli. Urbano VIII (Maffeo Barberini) benedice i Crociati, indice
un Giubileo straordinario e sospende il procedimento contro Galileo Galilei
se questi pone le proprie conoscenze al servizio della Causa.
(P.S. Qual é l'atteggiamento di Fra Cristoforo di fronte alla
Crociata?)
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A questo punto l'amica Eowyn ci ha scritto:
Per quanto riguarda la torbida e intrigante storia tra Lucia Mondella e Don Rodrigo de I Promessi Sposi non credo che possa avere un seguito per le caratteristiche peculiari del personaggio maschile e la differenza di ceto sociale. In pratica Don Rodrigo tratterebbe Lucia Mondella come un Kleenex (usa e getta).
Dico, ma te l'immagini Don Rodrigo e Lucia passeggiare mano nella mano nei giardini del castello (aveva poi un castello Don Rodrigo? mi pare di si ma non ricordo bene) con Don Rodrigo che le recita poesie in castigliano mentre lei, che non ne capisce un accidente di castigliano, ne intuisce il solo trasporto amoroso?
No, questo è il matrimonio che non si deve fare né ora né mai. Non si capirebbero e non solo linguisticamente. Lucia si sentirebbe sempre un pesce fuor d'acqua. Finita la tempesta ormonale, Don Rodrigo si stancherebbe di lei e le farebbe fare comunque una brutta fine. Però potrebbe essere il Griso a farci un pensierino su Lucia... questo è già più probabile.
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Così le risponde William Riker:
Tutto condivisibile, Eowyn. Ricorda, però, che tante "popolane" sono diventate dei veri capi di stato ombra. Certo, come amanti dei re (e non come regine)... ma conta di più la regina o l'amante di un re assoluto?
Eppoi Don Rodrigo (che poi era spagnolo di Iberia o lecchese?) non era che un signorotto, e non aveva neppure problemi di morganatici e cose varie...
Io sono un accanito tolkieniano e, come Tolkien, penso che certe letture, più che far evadere dalla realtà, aiutino a reggerla...
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Ma ecco giungere un altro commento da parte di Eowyn:
Non sono d'accordo. Colui che ha più chance di tutti nella storia potrebbe essere
l'Innominato. Perchè:
1. è uno dei pochi uomini (oltre ai religiosi e a quel farloccone di
Renzo) che vede Lucia da vicino e avrebbe la possibilità di conoscerla
abbastanza bene dato che l'ha rapita ed è lì "a portata di mano".
2. Il pentimento cristiano gli ha fatto guadagnare punti agli occhi di Lucia.
3. Secondo me l'Innominato è molto più umano di Don Rodrigo e
capace di sentimenti forti e veri.
4. L'Innominato nella storia non muore.
Mancherebbe, a questo punto, che scocchi la classica scintilla. È una storia simile a quella della Bella e La Bestia: la Bestia rapisce Belle. I due si conoscono e scoprono di amarsi e a questo punto l'amore trasforma la Bestia in un uomo. Lucia, oltre che ammansire la Bestia/Innominato, potrebbe benissimo innamorarsene come fa Belle. Sicuramente Lucia avrebbe un destino migliore nello sposare l'Innominato che nello sposare Renzo o diventare l'amante di Don Rodrigo. Nella storia potrebbero dare una mano anche Fra Cristoforo e il Card. Borromeo, chissà?
Oppure potrebbe essere una storia drammatica con l'Innominato che, dopo aver sposato Lucia muore di peste (al posto di Don Rodrigo). A questo punto Lucia diventerebbe una ricca ma infelice vedova e potrebbe farsi avanti Don Rodrigo. é qui che la storia diventa intrigante: Lucia, vedova dell'Innominato accetterebbe o no di sposare Don Rodrigo?
Don Rodrigo ha molte meno chance dell'Innominato:
1. Intravede Lucia mentre va alla Filanda. Non riesce quindi a vederla
bene, a conoscerla.
2. Secondo me Don Rodrigo è il classico signorotto bello, presuntuoso e
privo di qualsiasi sentimento che non riguardi la cura di sé e dei suoi
divertimenti. Non si pente mai se non quando sta per morire.
3. Insisto: Don Rodrigo è uno che va dove lo portano gli ormoni.
Vista l'irreprensibilità di Lucia non credo che lei possa diventare
l'amante di Don Rodrigo. Se lo diventasse avrebbe vita breve, lui
si stancherebbe presto e lei non ha le caratteristiche di "donna
fatale" tale per diventare una "Madame de Pompadour".
Per fare l'amante di un potente bisogna avere grandi capacità:
fascino, furbizia e intelligenza non comuni per una popolana qualsiasi. Una donna così è una che fa cadere in trance una pletora di uomini e
che suscita invidia nelle altre donne, inoltre deve saper gestire con
furbizia il potere che ha. Non è decisamente il caso di Lucia.
4. Muore giovane e per l'amante di un signorotto in genere è la fine.
A meno che non si è quel genere di donna descritto al punto 3...
Don Rodrigo alle prese con i Bravi visto da Marcello Toninelli
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Invece Enrica S. ha avuto tutt'altra idea:
Com'è ben noto, Perpetua consigliò al pavido don Abbondio, che certamente non era un cuor di leone, di avvisare il cardinale Federigo Borromeo dopo che i Bravi di Don Rodrigo lo avevano minacciato; e lo stesso Federigo, tempo dopo, gli rimproverò di non averlo informato, anziché piegarsi alle prepotenze di quel signorotto. Il curato di Olate rifiutò nel timore che Don Rodrigo, saputolo, mandasse il Griso a fargli la festa. Ma supponiamo che Perpetua sia più convincente, e praticamente costringa il tremebondo parroco a scrivere una lettera all'Arcivescovo per informarlo di tutto.
La mattina dopo, quando Lorenzo o, come dicevan tutti, Renzo si reca dal curato per fissare l'ora del matrimonio, è da questi informato delle minacce da don Abbondio, il quale lo implora di non lasciarsi sfuggire parola, altrimenti lui è un uomo morto. Anziché tornare da Lucia per spiegarle tutto, però, il focoso Renzo si reca immediatamente al palazzaccio di Don Rodrigo per fare i conti con lui e risolvere la cosa da uomo a uomo. Ovviamente i bravi non lo lasciano passare, ma scoppia una rissa e Renzo uccide il Griso. A questo punto Don Rodrigo ha buon gioco ad accusare Renzo Tramaglino di omicidio premeditato, dato che il Conte Zio siede nel Senato di Milano, e, dopo l'arringa accusatrice dell'avvocato Azzeccagarbugli, il filatore è sommariamente condannato a morte. Tuttavia egli nel frattempo ha incontrato Padre Cristoforo che, saputo cosa il giovane ha fatto, rivede in lui se stesso quando ancora si chiamava Lodovico e, dopo averlo confessato ed averlo convinto a pentirsi, lo aiuta a mettersi in salvo, non nel bergamasco, perchè la strada verso oriente è sbarrata dai birri del Conte Zio, ma a nord, in Svizzera, attraversando in barca il Lago di Como prima e il Lago di Lugano poi.
A questo punto il cardinale Federigo Borromeo, giunto ad Olate per sposare i due giovani e gastigare Don Rodrigo, si trova di fronte il Conte Zio che gli rinfaccia di proteggere un assassino, e che ha già ottenuto di far trasferire Padre Cristoforo a Rimini per aver aiutato Renzo a fuggire. Don Rodrigo avrebbe la strada spianata per costringere Lucia ad essere sua, ma naturalmente Federigo prende la giovane sotto la sua protezione e la porta con sé a Milano, bypassando l'infida Monaca di Monza e affidandola subito a Don Ferrante e a Donna Prassede; anche don Abbondio (con Perpetua) segue il cardinale a Milano, perchè ad Olate non vuole più rimanere, certo che là i bravi di Don Rodrigo gli farebbero la pelle. Ma Don Rodrigo non vuole pagare la scommessa a suo cugino, il Conte Attilio, e così, dopo aver spedito quest'ultimo in Svizzera sulle tracce di Renzo, con il compito di vendicare il Griso, cerca un espediente per mettere le mani su Lucia nonostante la protezione assicurata dal Cardinale. Quale? Chiederà aiuto, come nella HL, a Bernardino Visconti, il potente Conte del Sagrato, il quale potrebbe approfittare del grande casino combinato dalla calata dei Lanzichenecchi nello Stato di Milano per tentare di rapire Lucia Mondella.
Ma tra i lanzi che piombano in Lombardia c'è anche Renzo, arruolatosi tra i mercenari svizzeri al soldo di Ernest Egon di Fürstenberg-Heiligenberg: l'ex filatore è divenuto un combattente spietato, ha liquidato Attilio e ora si prepara a regolare i conti con Don Rodrigo in persona, sullo sfondo della peste (in realtà una disastrosa epidemia di carbonchio). I "Promessi Sposi" finiranno, come l'"Eneide" e l'"Orlando Furioso", con un duello all'ultimo sangue tra i due principali antagonisti? O Lucia e Padre Cristoforo convinceranno Renzo a risparmiare Don Rodrigo, riuscendo a farlo tornare il ragazzo timorato di Dio che abbiamo conosciuto all'inizio del romanzo? Ai posteri / l'ardua sentenza, nui / chiniam la fronte al Massimo / Fattor, ché grazie a Lui / poterono i due giovani / dir "Sì" presso l'altar...
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Non possiamo non riportare l'osservazione di Enrico Pizzo:
Stavo pensando a quale poteva essere la prossima "informazione che voglio condividere con voi" quando, non so nemmeno io dire il perchè, mi è apparso davanti agli occhi Tonio che, ricorderete, nei Promessi Sposi è esposto verso Don Abbondio per la cifra di Lire Milanesi 25 avute dando in garanzia la collana della moglie e che lui avrebbe "barattato con tanta polenta".
Preso dalla curiosità ho controllato sul libro del Maestro quale fosse il cambio del 1630 tra la Lira Milanese e quella Veneta ed ho calcolato che le 25 Lire di Tonio corrispondevano a 36 Lire e 12 Soldi Veneti.
Cifra interessante se consideriamo che il Podestà di Montagnana riceveva mensilmente 16 Lire e 13 Soldi...
Che razza di collana aveva dato Tonio in garanzia...?
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E Tommaso Mazzoni aggiunge:
Soprattutto, stupisce la disponibilità monetaria del Curato!
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Anche Iacopo dice la sua:
Adesso voglio sapere quanta polenta ci si compra...
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Enrico gli replica:
Non è così facile rispondere a questa domanda!!
Non dispongo di nessun dato relativo ai prezzi delle granaglie nel Milanese...
Ho solo un, labile, dato relativo alla Bassa Padovana, ricavato dal libro di Aldo Pettenella "Storie Euganee".
A pagina 25 riporta che Francesco Gusella da Valle di Sotto, odierna Valle San Giorgio, uccise Francesco Gomiero nelle Valli Sagrede, odierna Via Sagrede tra Lozzo Atestino e Vò, dietro compenso di Lire Venete 10, interamente corrisposte in natura sotto forma di un sacco di mais.
Ipotizzando che di un sacco vicentino, equivalente a 4 staia o a 64 quartarole, si tratti, i territori in cui venne ucciso il Gomiero allora erano appartenenti al Vicentino, ed ammettendo che io non abbia commesso errori con Excel, ricavo che le 25 Lire Milanesi di Tonio corrispondono a 36 Lire, 13 Soldi e 5 Piccoli Veneti, con cui poteva acquistare al mercato 3 sacchi, 2 staia e 10 quartarole di mais.
Dato che il sacco vicentino corrisponde a 108,17 litri, Tonio avrebbe potuto comprare 395,5 litri di mais, praticamente
260 Kg di mais. Davvero tanta polenta...
Alessandro Manzoni ritratto nel 1841 da Francesco Hayez (1791-1882)
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Fanta-Promessi Sposi altrove!
E ora, la parola a William Riker, che ha voluto proporci alcune "ambientazioni alternative" del capolavoro di Manzoni:
E Spuse Prummise
"Chella parte d'o Gorfo 'e
Nnapule, che guarda verso 'o Sud, nmiezo a ddoje fil'e muntagne, tutte fatte a
cimm'e gorfe…" Non è facile riambientare il Romanzo di Manzoni a Napoli, ma io
ci voglio provare. Dunque, siamo nel 1647 e Lucia è una popolana del quartiere
Pendino che deve sposare Lorenzo o, come dicevan tutti, Renzo, un pescatore di
Amalfi. Il giorno delle nozze però Don Abbondio, Arciprete della Basilica della
Santissima Annunziata Maggiore, mena il can per l'aia sostenendo che ci sono
degli impicci. Renzo lo costringe a parlare e viene a sapere che il Vicerè
spagnolo di Napoli, Don Rodrigo Ponce de León, Duca d'Arcos, descritto dai
contemporanei come un uomo dedito alla vita mondana, frivolo e senza esperienza
di governo, ha fatto una scommessa con suo cugino, il Conte Attilio, e ha fatto
minacciare Don Abbondio affinché non celebri il matrimonio ("'Stu spusalizje nun
s'agge a fa'!"). Il prete, anziché rivolgersi all'Arcivescovo di Napoli,
Cardinale Ascanio Filomarino, che ha fama di sant'uomo, ha scelto di piegarsi al
prepotente di turno. Lucia si rivolge allora al suo confessore Fra Giuseppe da
Copertino, futuro santo famoso per le visioni mistiche e i suoi "voli", il quale
tenta invano di convincere con le buone don Rodrigo Ponce de León a lasciare in
pace i due giovani; il Duca d'Arcos lo caccia via in malo modo e ottiene il suo
trasferimento al convento di Osimo, nelle Marche. Dopo un fallito tentativo di
matrimonio a sorpresa davanti a Don Abbondio e un altrettanto fallito tentativo
di Don Rodrigo di far rapire Lucia, questa viene messa in salvo nel convento
napoletano di Monteoliveto, sotto la protezione di una Madre Superiora che è
stata monacata a forza e intrattiene una relazione clandestina con Juan Alfonso
Enríquez de Cabrera, predecessore di Don Rodrigo e suo amico. Renzo invece il 6
giugno 1647 viene mandato verso un convento presso la Chiesa di Sant'Eligio
Maggiore, ma resta invischiato nella rivolta di Masaniello. Domata questa, è
creduto un facinoroso e arrestato, ma riesce a scappare e dopo una fuga
rocambolesca si rifugia a Roma presso il cugino Bortolo che là è emigrato per
lavorare nei cantieri dell'architetto Francesco Borromini, cantieri in cui anche
Renzo si impiega. Intanto Don Rodrigo si accorda con Don Giulio Genoino,
ispiratore di Masaniello, promettendogli l'impunità se convincerà la Monaca di
Monteoliveto a farla uscire dal convento con una scusa. Don Juan Alfonso
Enríquez de Cabrera, detto anche il Conte del Sagrato, ne approfitta per farla
rapire e portare nel suo palazzo di campagna fuori Napoli, ma qui le preghiere
della ragazza ottengono di insinuare dei dubbi nel suo animo di peccatore.
Incontratosi con il Cardinale Ascanio Filomarino, in visita pastorale nelle
campagne, il signorotto spagnolo si pente, decide di cambiare vita e di liberare
Lucia. Questa però ha fatto voto a San Gennaro di non sposarsi se fosse stata
liberata. Intanto infuria l'ultima fase della Guerra dei Trent'Anni e i
Lanzichenecchi protestanti, dopo aver inutilmente assediato Roma, scendono fino
a Napoli mettendola a ferro e fuoco, e portano in Italia la peste. Renzo,
guarito dal contagio, torna a Napoli a cercare l'amata e vi trova Fra Giuseppe
da Copertino che ha ottenuto di tornare per stare vicino agli appestati. Questi
prima gli mostra Don Rodrigo morente di peste, convincendolo a perdonarlo, e
infine lo fa incontrare con Lucia, sciogliendola dal voto (in cambio chiamerà
Gennaro il suo primo figlio). Scoppia a piovere, la pestilenza ha fine, e
finalmente Renzo e Lucia sono sposi. Che ne dite? Spero di non avervi annoiato,
amici, ma se ci sono riuscito, credete che non s'è fatto apposta!
The Betrothed
"That coast of the English
Channel, which turns toward the south between two unbroken chains of mountains,
presenting to the eye a succession of bays and gulfs, formed by their jutting
and retiring ridges..." Proviamo ora ad ambientare i Promessi Sposi in
Inghilterra. Siamo stavolta nel 1642, nel pieno dello scontro tra Sovrano e
Parlamento, e in un villaggio poco fuori Londra, a quei tempi non ancora la
megalopoli in cui la avrebbe trasformata la Rivoluzione Industriale, vive la
popolana Lucy Mondale, che dovrebbe sposare l'amato Lawrence Tremaine,
allevatore di pecore. La ragazza tuttavia viene adocchiata da Ralph Hopton, I
Barone di Hopton, uomo di fiducia del Re Carlo I e condottiero delle armate
realiste, con le quali ha da poco inflitto alle Teste Rotonde, i seguaci di
Oliver Cromwell, la sconfitta di Lansdowne. Questi, galvanizzato dalla vittoria,
crede di poter fare il bello e il cattivo tempo con le sue milizie private, e
minaccia il parroco anglicano del villaggio di Lucy affinché eviti di celebrare
il suo matrimonio con Lawrence. Questi è di religione cattolica e si rivolge al
suo confessore, il gesuita Henry Morse (uno dei famosi Santi Quaranta Martiri di
Inghilterra e Galles), affinché sblocchi la situazione, ma il sant'uomo non
riesce a cavare un ragno dal buco e viene addirittura minacciato da Lord Hopton
di impiccagione come "papista". Il fallito tentativo di Lawrence di forzare la
mano al parroco anglicano costringendolo a celebrare il matrimonio contro la sua
volontà costringe i giovani a separarsi e a fuggire. Lucy, in quanto
perseguitata da un realista, viene presa sotto la propria protezione dai
puritani e affidata in custodia proprio ad Elizabeth Bourchier, moglie di
Cromwell, mentre Lawrence si reca a Londra per chiedere aiuto ad alcuni amici.
Vi arriva però quando i Puritani stanno effettuando il primo tentativo di
conquistare la città e rimane invischiato negli scontri. Quando Hopton scaccia
gli uomini di Cromwell dalla città, Lawrence è accusato di essere una Testa
Rotonda e, per sfuggire al capestro, è costretto a fuggire a Dover e da qui in
Francia, presso un parente che lavora come pescatore sulle coste francesi della
Manica. Hopton intanto si rivolge all'amico ammiraglio Edward Montagu, I Conte
di Sandwich, il quale sa che la moglie di Cromwell ha una relazione clandestina
con un nobile inglese, e farebbe una brutta fine se il marito puritano lo
venisse a sapere. Ricattando la donna, Montagu ottiene che questa lasci uscire
di casa con una scusa Miss Lucy Mondale, quindi la fa rapire dai suoi uomini e
portare nel suo castello. Tuttavia il Benedettino Alban Roe (lui pure nella HL
uno dei Santi Quaranta Martiri di Inghilterra e Galles), nominato segretamente
da Papa Urbano VIII Arcivescovo cattolico di Westminster, venuto a sapere della
cosa, si reca al castello e riesce a convertire il Conte di Sandwich, già
tormentato dai rimorsi, che libera Lucy permettendole di tornare a casa sua.
Intanto però i Puritani, guidati da Henry Grey, primo Conte di Stamford, hanno
conquistato Londra dopo furiosi combattimenti, e le pessime condizioni igieniche
causano lo scoppio della peste. Lawrence Tremaine rientra dall'esilio, timoroso
che Lucy sia morta a causa del contagio, e dopo aver ritrovato Henry Morse che
cura gli appestati, incontra anche Lucy, che è guarita dal morbo. Questa ha
promesso di non sposarsi se fosse stata salvata dalle grinfie di Lord Montagu,
ma Morse, che durante la pestilenza la ha convertita al cattolicesimo, modifica
il suo voto in quello di chiamare il suo primo figlio Thomas come San Thomas
Beckett e San Thomas More. Cessato il contagio, che ha colpito soprattutto le
forze realiste dando inizio ad una serie di vittorie dei Parlamentari fino al
loro successo finale, Lucy e Lawrence si sposano e vanno a vivere in Francia,
mentre Morse verrà fatto giustiziare da Cromwell e in seguito sarà proclamato
Santo. Anche stavolta spero di non avervi annoiati, ma credetemi: "if we were
made to bore you, believe that it was not done on purpose!"
Les Fiancés
E ora, non può mancare
un'ambientazione relativa alla più grande pestilenza di tutti i tempi, cambiando
anche il secolo in cui il Romanzo per antonomasia e ambientato. « Ce bras de la
Manche qui se dirige vers le midi entre deux chaînes non interrompues de
montagnes, en formant autant de petits golfes et de petites baies... » Siamo in
Francia nel 1347 ed infuria la Guerra dei Cent'Anni. La prima fase del
conflitto, con il quale Re Edoardo III d'Inghilterra, sbarcato sul continente
nel 1337, mira ad impossessarsi del trono francese, è stata totalmente a sfavore
dei Valois: l'esercito inglese di re Edoardo III, dominato dai Longbowmen, i famosi arcieri muniti
di arco lungo, ha inflitto alla cavalleria pesante francese di Re Filippo VI,
meglio equipaggiata ma indisciplinata, una dura sconfitta nella battaglia di Crécy
e ha conquistato Calais (1347), per cui ora spadroneggia nel nord della Francia. In un paesino
della Normandia occupata dagli inglesi vive Lucie Mondelle, giovane ed avvenente popolana che deve sposare il focoso contadino Laurent Tramallin, ma il
parroco del paese si rifiuta di celebrare le nozze perchè minacciato dagli
sgherri britannici del Principe Nero, alias Edoardo di Woodstock, Principe di
Galles e figlio di re Edoardo III, il trionfatore di Crécy, che ha messo gli
occhi sulla ragazza. Quest'ultima si rivolge al suo direttore spirituale Rocco di
Montpellier (il futuro e popolarissimo San Rocco), il quale incontra il Principe
Nero nel suo quartier generale di Calais ma non riesce a convincerlo a lasciare
in pace i due giovani; anzi, viene cacciato via in malo modo, e l'arrogante
inglese ottiene che il suo confessore gli ingiunga di andare in pellegrinaggio a
Roma, per levarselo dai piedi. Prima di partire, Rocco fa in modo che Lucie
venga presa in custodia da Flora di Beaulieu, badessa dell'omonimo monastero
(lei pure futura Santa), mentre Laurent vada a Parigi, ospite di un altro
convento. Quando vi arriva, però, è in corso una Jacquerie, un'insurrezione
popolare partita dalle campagne (Jacques Bonhomme è il soprannome dato ai
contadini dai nobili), fomentata da Étienne Marcel, rappresentante del Terzo
Stato e capo della borghesia parigina, in seguito agli altissimi costi della
sconfitta militari francese di Crécy, che ha fatto lievitare fino alle stelle le
tasse e il prezzo del pane. I fornai vengono presi d'assalto, e Laurent trova
forme di pane perse dagli insorti in giro per le strade della capitale; siccome
i rivoltosi assediano Giovanni il Buono, futuro Re di Francia, nel palazzo
reale, il nostro eroe contribuisce a liberarlo. Tuttavia, essendo stato preso
per un rivoltoso, viene arrestato e corre il rischio di essere impiccato.
Liberato dal popolo inferocito, riesce a salvare la pelle mettendosi al sicuro in
Borgogna. Intanto il Principe Nero, che ha scoperto dove si è rifugiata Lucie,
la fa rapire con la forza dagli uomini di Carlo II il Malvagio, conte d'Évreux e
re di Navarra, formalmente alleato del Re di Francia, ma che in realtà complotta
contro di lui perchè egli pure aspira al trono. Carlo il Malvagio fa portare
Lucie nel suo castello difeso da centinaia di sgherri a lui fedelissimi, ma le
disperate preghiere della ragazza fanno sorgere in lui degli scrupoli.
Incontratosi con il vescovo carmelitano Pierre de Salignac de Thomas, futuro
Santo, si converte improvvisamente e decide di liberare Lucie, che il vescovo
prende sotto la sua protezione, senza sapere che ha fatto voto a San Martino di
Tour di non sposarsi se fosse stata liberata. Improvvisamente però scoppia
l'epidemia di peste nera, la più devastante pandemia che ha colpito l'Europa
negli ultimi duemila anni, causando la morte di un terzo della sua popolazione.
Laurent, guarito dal morbo, si arrischia a tornare in una Parigi spettrale e
piena di cadaveri insepolti, e vi ritrova Rocco di Montpellier, rientrato di
corsa in patria per assistere gli appestati. Questi gli mostra il Principe Nero
che sta morendo di peste e, dopo che Laurent lo ha perdonato, lo porta da Lucie,
guarita miracolosamente dal morbo, e commuta il suo voto in quello di chiamare
Martino il suo primo figlio. I due innamorati si sposano, e da loro discenderà
una certa Santa Giovanna d'Arco. « Si cette histoire ne vous a pas tout à fait
déplu, sachez-en gré à celui qui l'a écrite, et un peu aussi à celui qui l'a
raccommodée. Mais, si par malheur nous n'avions fait que vous ennuyer, veuillez
croire que ce n'a pas été à dessein. »
De Sponsis Promissis
Un'altra pestilenza che mise
in ginocchio il mondo conosciuto al suo tempo fu la cosiddetta Peste Antonina, e
così mi è venuta l'idea di trasporre il Romanzo di Manzoni nell'Antica Roma. Io
ci provo. Siamo nel 165 dopo Cristo, e sull'Impero Romano regna Marco Aurelio,
l'imperatore filosofo. Il sovrano dei Parti Vologase IV ha approfittato della
recente morte di Antonino Pio, padre adottivo di Marco Aurelio, per attaccare
l'Armenia e la Siria romane, e così Marco Aurelio ha inviato in oriente suo
fratello adottivo nonché co-imperatore Lucio Vero, che ha ottenuto notevoli
successi conquistando l'Armenia e la Mesopotamia ed occupando la capitale nemica
Ctesifonte. Mentre la storia racconta questi grandi eventi, in un villaggio
degli attuali Castelli Romani vive Lucilla, avvenente fanciulla figlia della
contadina Agnese, che dovrebbe celebrare gli Sponsali con il falegname Lorenzo
davanti all'Aruspex, dopo che questi ha esaminato le interiora di una pecora per
trarne auspici sulla felicità o meno del connubio. L'Aruspex tuttavia, a
sorpresa, afferma che ha già eseguito il rito e che l'esame delle interiora ha
parlato di un matrimonio infelicissimo, che perciò è meglio non celebrare.
Lorenzo sente puzza di bruciato, afferma che l'esame delle interiora non è
valido se non è fatto davanti a dei testimoni, e minaccia l'Aruspex di morte.
Messo con le spalle al muro, questi è costretto a confessare che Avidio Cassio,
potente generale romano che è appena tornato dall'Oriente per celebrare
solennemente il trionfo dopo aver conquistato il paese dei Medi al di là del
fiume Tigri, ha messo gli occhi sulla giovane Lucilla e gli ha ingiunto, pena la
vita, di non celebrare gli Sponsali. Lorenzo, furibondo, si appella inutilmente
alla Legge Romana: il giurista Aulo Gellio, famoso autore delle "Notti Attiche",
si rifiuta di aiutarlo e lo caccia via perchè ha paura del potente Avidio
Cassio. A questo punto Lucilla rivela di essere di religione cristiana e si
rivolge al suo direttore spirituale, il sacerdote Erma, noto autore del testo
"Il Pastore di Erma", che in gioventù ha conosciuto San Policarpo di Smirne, a
sua volta discepolo di San Giovanni Apostolo. Erma, che a Roma è uno scrittore
piuttosto noto, si fa ricevere da Avidio Cassio e prova a convincerlo a non
importunare Lucilla, ma non ottiene nulla ed anzi viene fatto esiliare a
Carnunto, sul Danubio, in quanto cristiano (Marco Aurelio ha ripreso le
persecuzioni, dopo la pausa con Adriano ed Antonino Pio). I correligionari di
Lucilla tuttavia la mettono in salvo presso Annia Aurelia Galeria Faustina,
figlia dell'Imperatore Marco Aurelio che si è segretamente convertita al
Cristianesimo, anche se in pubblico per timore continua a fingere di praticare
la religione pagana. Invece Lorenzo viene spedito a Roma, ma quando vi arriva è
in corso un tumulto popolare perchè i Marcomanni hanno superato il danubio ed
invaso la Rezia e il Norico, Marco Aurelio sta organizzando una spedizione
contro di loro, e la plebe romana non ne può più di vedere i suoi figli mandati
a morire ai confini del mondo, dopo il tributo di sangue richiesto dalle guerre
in oriente. Il tumulto è sedato con la forza da Gaio Aufidio Vittorino, Console
ed amico di Marco Aurelio, ma Lorenzo è scambiato per un rivoltoso e deve
fuggire per non finire decapitato; riesce fortunosamente a mettersi in salvo
nella Gallia Cisalpina, sulle rive del Lago di Como (« Hic bracchius Larii qui
ad meridione vertit, intra duo catenas montum ininterruptas, cunctum sinis et
gulfis, secundum eminentiam et contractionem ipsorum, advenit ad quasi repentine
restringendum et ad cependum cursum et figuram fluminis, intra promunturium
dextera et opposite latam oram... ») Intanto Avidio Cassio convince Publio Elvio
Pertinace, generale dell'Impero e futuro imperatore, a ricattare Annia Aurelia
Galeria Faustina: per evitare di essere denunciata come cristiana deve lasciar
uscire Lucilla dalla sua domus con un pretesto. La fanciulla è così sequestrata
dai pretoriani di Pertinace, che la porta nella sua villa di Baia, nei Campi
Flegrei. Qui Lucilla lo implora di lasciarla andare, in nome del suo Dio e degli
déi in cui lui crede; Pertinace rifiuta, ma resta scosso dalla fede della
ragazza. In quei giorni è in visita in Campania Papa Aniceto, il Vescovo di Roma
dodicesimo successore di San Pietro, e Pertinace, incuriosito, va a parlare con
lui. Il Papa riesce a convertirlo e a convincerlo a consegnargli Lucilla, che
però ha fatto voto di consacrarsi a Maria e di non sposarsi se fosse stata
liberata dalle grinfie di Avidio Cassio. A questo punto le truppe di
Lucio Vero
tornano dall'oriente e portano a Roma la peste. Lorenzo torna nell'Urbe, temendo
che Lucilla sia rimasta vittima del contagio, e la trova traboccante di cadaveri
insepolti. A un tratto incontra Erma, rientrato dall'esilio per assistere i
malati e i moribondi, e questi prima gli mostra Avidio Cassio che è in fin di
vita a causa del morbo, e poi Lucilla che è prodigiosamente guarita. Erma
commuta il voto di Lucilla in quello di chiamare Maria la loro prima figlia, e i
due giovani possono finalmente sposarsi, dopo che anche Lorenzo si è fatto
battezzare; essi vanno a vivere proprio sulle rive del Lago di Como, e non mi
stupirebbe se, 1600 anni dopo, da loro due fosse disceso davvero un certo
Alessandro Manzoni...
Οι αρραβωνιασμένοι
Sicuramente non è semplice
trasporre i Promessi Sposi (Οι αρραβωνιασμένοι) nell'Antica Grecia,
con un mutamento totale di mentalità e di religione, ma val la pena di fare un tentativo.
Siamo naturalmente in Attica, in un villaggio a poca distanza da Atene, nel 430
a.C. La giovane contadina Fotina deve sposare il viticoltore Laurento, ma quando
quest'ultimo si reca dal sacerdote di Apollo affinché celebri il gamos, cioè il
rito del matrimonio, che deve culminare nell'anakalupteria, cioè la rimozione
del velo della sposa, il sacerdote accampa scuse e chiede di rimandare la
cerimonia per motivi di salute. Laurento tuttavia è un tipo dai modi spicci: gli
mette il pugnale alla gola e lo costringe a rivelargli che il ricco ed influente
commediografo ateniese Ermippo, più volte vittorioso agli agoni comici e in
particolare alle Grandi Dionisie, si è invaghito della fanciulla, ha scommesso
con suo fratello, il comico Mirtilo, che sarebbe riuscito a conquistarla, e ha
mandato alcuni suoi amici pocodibuono a minacciare il sacerdote: "Questa
proteleia non s'ha da fare!" (la proteleia era il sacrificio prematrimoniale
agli dei per benedire i due sposi). La madre di Fotina suggerisce di appellarsi
a Pericle in persona, sommo stratego di Atene, in quanto Ermippo anni prima
aveva intentato un processo contro l'etera Aspasia di Mileto, compagna di
Pericle, accusandola di empietà per colpire lui nei suoi affetti più cari.
Laurento preferisce assoldare alcuni amici per piombare nel tempio di Apollo e
costringere il sacerdote a celebrare le nozze, ma Ermippo manda a sua volta un
manipolo di bravacci a rapire Fotina, e i due promessi sposi si salvano solo
perchè il filosofo Anassagora, amico della famiglia di Fotina dalla quale è
stato spesso ospitato in campagna, li fa rifugiare entrambi nella sede della
propria scuola filosofica. Visto vano ogni tentativo di convincere Ermippo a
lasciare in pace Fotina, visto che con il suo oro può avere tutte le donne che
vuole, il filosofo convince i due giovani a fuggire separatamente; Ermippo,
furibondo perchè Fotina è sparita, accusa Anassagora di empietà per aver
sostenuto che il Sole è un corpo celeste incandescente e non un dio, e lo fa
esiliare a Lampsaco, nell'Ellesponto. Intanto Fotina viene ospitata da un'etera
amica di Anassagora nel Demo di Anfitrope (Attica meridionale), mentre Laurento
è mandato ad Atene. Vi arriva però proprio il giorno in cui un araldo annuncia
lo scoppio della Guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta, in seguito
all'assedio della città di Potidea che ha respinto l'ultimatum della Lega
Delio-Attica. Gli animi degli ateniesi si dividono tra i seguaci di Pericle, che
vorrebbero regolare una volta per tutte i conti con i nemici Lacedemoni, e i
suoi oppositori che chiedono invece la pace. Laurento è scambiato per una spia
spartana, arrestato e farebbe una brutta fine se alcuni popolani non lo
aiutassero a fuggire. Dopo varie avventure egli riesce a mettersi in salvo a
Tebe, storica rivale di Atene ed alleata di Sparta, dove va a lavorare
nell'impresa di suo cugino, che vi ha aperto una bottega di vasaio. Nel
frattempo Ermippo si rivolge a Tucidide, appartenente alla potente famiglia
aristocratica dei Filaidi e parente di Cimone, dopo la morte del quale gli è
successo come principale oppositore di Pericle, affinché gli permetta di mettere
le mani sulla povera Fotina. Pagando l'etera che dovrebbe tenerla sotto la
propria protezione, Tucidide la convince ad allentare la sorveglianza, cosicché
la fanciulla è brutalmente sequestrata e portata nella villa di campagna dei
Filaidi nel demo di Alopece. Le preghiere di Fotina però smuovono l'animo di
Tucidide, fin qui rotto ad ogni nequizia. Recatosi ad ascoltare un discorso del
famosissimo filosofo Socrate, lui pure originario del demo di Alopece, il
politico ateniese è da questi convinto a cambiare vita e a consegnargli Fotina,
che affida ad Ipparete, moglie del suo giovane allievo e futuro stratego
Alcibiade. Intanto però gli Spartani invadono l'Attica, e Pericle decide di
evacuarne l'intera popolazione, mettendola al sicuro tra le Lunghe Mura che
congiungono Atene al Pireo. Pessima idea: la promiscuità e la scarsa igiene
provocano lo scoppio della peste, della quale anche Pericle resta vittima.
Laurento decide allora di rientrare in città per cercare l'amata, e vi ritrova
il filosofo Anassagora che è rientrato a sua volta per curare e confortare gli
appestati. È quest'ultimo a mostrare a Laurento Ermippo che sta morendo a causa
del morbo, e poi a propiziare l'incontro tra lui e Fotina. La ragazza, che è
guarita dalla peste, ha fatto voto ad Asclepio di non sposarsi se fosse
sopravvissuta, ma Anassagora la convince che non poteva disporre con il proprio
voto anche della volontà dell'amato, e le propone di commutare il voto con
l'offerta di un gallo in sacrificio ad Asclepio. I due innamorati finalmente si
sposano e, lasciata la Guerra del Peloponneso dietro di sé, si trasferiscono a
vivere in Magna Grecia, a Taranto, all'apice del suo splendore; dal loro amore
nascerà Archita, celebre matematico ed esponente della scuola pitagorica, «
magnum in primis et praeclarum virum » come lo definirà Cicerone. E se anche
questa volta vi ho annoiato senza volerlo, non è colpa mia, ma della mia
fantasia troppo sbrigliata...
Sposi Stellari
Dato che è un gioco,
giochiamo. Finora ci siamo mossi nel passato, ma è possibile trovare
un'ambientazione futuribile, e quindi fantascientifica, per il capolavoro di
Manzoni? Tenterò un ardito crossover con una delle saghe più fortunate della
Fantascienza di ogni tempo. Molto tempo fa, in una galassia lontana lontana, e
precisamente sul desertico pianeta Tatooine, su quel ramo del lago disseccato
che volge a mezzogiorno, vive l'orfano diciannovenne Luke Skywalker, cresciuto
dagli zii Owen Lars e Beru Whitesun, che dovrebbe sposare la coetanea Mara Jade
(vedi il romanzo "L'erede dell'Impero" di Timothy Zahn), soprannominata Lucy.
Quando però Luke si reca dal Sindaco di Mos Eisley, la città nel deserto che
rappresenta il principale spazioporto del pianeta, si sente rispondere che non
può ratificare le nozze perchè la promessa sposa è sospettata di essere una
contrabbandiera. L'accusa è palesemente falsa, ma Mos Eisley è un luogo così
malfamato e in preda al crimine che tutti possono crederci. Con l'aiuto del
droide protocollare C-3PO, da lui appena acquistato, Luke riesce a scoprire che
il mostruoso mafioso gasteropode Jabba the Hutt, padrone del pianeta, ha messo gli occhi su
Mara Jade alias Lucy, e ha ordinato al Sindaco di non celebrare le nozze. Luke è
furioso, ma che può fare contro il padrone di un così vasto impero criminale?
Dopo un fallito tentativo di costringere il Sindaco a celebrare comunque le
nozze, e dopo un altrettanto fallito tentativo di Jabba di far rapire dai suoi
Gamorreani la promessa sposa, quest'ultima si rivolge all'anziano e saggio
Obi-Wan Kenobi, il quale, non riuscendo a convincere Jabba a lasciare in pace i
ragazzi, manda Lucy sul pianeta Naboo, ospite della Principessa Leia Organa, sua
vecchia amica, quindi chiede al contrabbandiere spaziale Han Solo e al suo
navigatore wookie Chewbecca di portare con loro Luke sul pianeta Alderaan.
Per questo Obi-Wan Kenobi è esiliato da Jabba sull'inospitale pianeta ghiacciato
Hoth, mentre i genitori adottivi di Luke sono brutalmente uccisi. Quando i tre
eroi
giungono su Alderaan a bordo del mitico "Millennium Falcon", però, sul pianeta è in corso
una violenta rivolta della Resistenza contro le forze armate dell'Impero. Luke,
Han e Chewbacca vengono catturati dagli stormtrooper imperiali, ma con uno
stratagemma riescono a fuggire, pochi minuti prima che la Morte Nera disintegri
il pianeta. Inseguiti da un ordine di cattura,
i tre sono
costretti a rifugiarsi su Dagobah, un mondo selvaggio coperto da paludi e alberi
pietrificati, dove abita il vecchio Maestro Jedi Yoda. Nel frattempo Jabba the Hutt chiede aiuto a Darth Vader, generale
dell'Impero Galattico e braccio destro del malvagio imperatore Palpatine, che
occupa brutalmente il pianeta Naboo e sequestra Mara Jade/Lucy portandola nella
sua fortezza spaziale, la Morte Nera. Ma le preghiere della ragazza smuovono
qualcosa nel suo animo rotto ad ogni nequizia e schiavo del Lato Oscuro della
Forza. E così, quando sulla Morte Nera giunge il suo antico maestro Yoda,
partito da Dagobah dopo aver parlato con Luke e lasciatosi catturare apposta dai suoi stormtroopers per incontrarlo, egli si
pente, abbandona il Lato Oscuro e decide di liberare Lucy, che può tornare sul
pianeta Naboo sotto la protezione delle sue truppe. Ma la guerra tra Resistenza
e Impero infuria più che mai dopo il voltafaccia di Darth Vader, e giunge anche su Naboo dove la senatrice Leia Organa si è unita a coloro che combattono il
malvagio imperatore Sith. Gli scontri portano distruzione, miseria e lo scoppio
di una terribile pestilenza. Allora Luke convince Han Solo e Chewbecca a
portarlo su Naboo, dove ritrovano Obi-Wan Kenobi, giuntovi per soccorrere gli
appestati. Questi gli mostra Jabba the Hutt che, recatosi su Naboo per
riprendersi Lucy, è morto miseramente di peste, e poi lo fa incontrare
finalmente con la sua fidanzata. Questa, unitasi a sua volta alla Resistenza,
aveva promesso di non sposarsi per non lasciare Luke vedovo e solo se fosse
caduta in combattimento, ma Obi-Wan la convince a cambiare idea e lui stesso
sposa i due giovani con rito Jedi. Egli inoltre rivela a Luke che Leia è sua
sorella e che Darth Vader, alias Anakin Skywalker, in realtà è il suo vero
padre. Obi-Wan Kenobi muore di peste, ma Luke e Mara/Lucy si gettano nel
combattimento e, dopo che Darth Vader e l'Imperatore Palpatine si sono uccisi a
vicenda, distruggono la Morte Nera e abbattono l'Impero Galattico, restaurando
la Repubblica Jedi. Han Solo invece sposa la Principessa Leia, e tutti vivranno
felici e contenti. O no? Forse i Sith riproveranno a restaurare l'Impero,
guidati da Kylo Ren, figlio di Ian e Leia? Meglio che mi fermi qui, prima di
riuscire ad annoiarvi sul serio con i miei strani crossover!
I Promessi Sposi al
giorno d'oggi
Non posso non concludere il
mio gioco con la partita più difficile di tutte: ambientare il capolavoro di
Manzoni ai nostri giorni. Siamo in un sobborgo di una città lombarda e la maestra elementare Lucia Mondella deve sposare l'impiegato di banca
Renzo Tramaglino. Quando quest'ultimo va a prendere accordi con Don Abbondio, il
Parroco dell'Unità Pastorale in cui Lucia abita, per fissare il giorno delle
nozze, il reverendo afferma che la sua chiesa è occupata almeno per i prossimi
sei mesi, e consiglia di posticipare il matrimonio almeno fino all'inizio
dell'anno successivo.
Lorenzo o, come dicevan tutti, Renzo si infuria e va in Municipio per prenotare
nozze civili, ma Lucia è una cattolicissima Focolarina e non ne vuole sapere.
Allora Renzo si rivolge al suo amico Tonio, che ha la fama di hacker, e
intrufolandosi nella casella di posta elettronica di Don Abbondio, legge le mail
da questi spedite a un suo ex compagno di seminario per sfogarsi, e viene a
sapere che il Sindaco, esponente di punta del Partito di maggioranza relativa e
già deputato per due legislature, nonostante in TV continui a tuonare contro le
unioni LGBT e a favore della famiglia tradizionale, ha messo gli occhi su Lucia,
maestra di suo figlio, e, vistosi respinta ogni avance ed ogni offerta di
denaro, ha ricattato Don Abbondio minacciando di non fargli avere i fondi
europei per ristrutturare la sua chiesa un po' pericolante, se celebrerà il
matrimonio tra Renzo e Lucia. Renzo si rivolge alle forze dell'ordine, ma queste
negano di poter procedere contro il Sindaco in assenza di prove certe, dal
momento che egli ha dalla sua il fior fiore degli avvocati lombardi, ed allora
pensa di costringere Don Abbondio a celebrare il matrimonio con un altro
ricatto, fabbricando false prove che egli avrebbe molestato dei chierichetti e
minacciando di darle in pasto alla stampa se egli non ottempererà al suo dovere.
Lucia invece chiede aiuto al suo amico e confessore Don Virginio Colmegna,
fondatore della Casa della Carità e in prima linea nella difesa dei diritti dei
più deboli e degli immigrati. Questi si reca dal Sindaco e prova a convincerlo
con le buone a lasciare in pace Lucia, ma l'uomo politico nega tutto, anche
l'evidenza, gli chiede di andarsene se non vuole che lo quereli, e poi ottiene
di far spedire Don Virginio in Repubblica Centrafricana come mediatore nella
guerra civile in quel paese, così da levarselo dai piedi. In seguito il Sindaco
chiede aiuto ad alcuni amici mafiosi affinché sequestrino Lucia, ma prima di
partire Don Virginio ha fatto in modo che ella sia ospitata sotto falso nome
dalla sua amica Chiara Amirante nella sua Comunità Nuovi Orizzonti dedita al
disagio sociale. Invece Renzo va a Milano a chiedere appoggio ad alcuni
oppositori politici del Sindaco, ma vi capita mentre sono in atto furibondi
scontri tra militanti di CasaPound da un lato e Autonomi dall'altro, causati dal
problema dell'ospitalità data ai migranti giunti in barcone a Lampedusa. Renzo,
coinvolto suo malgrado negli scontri, è arrestato perchè creduto uno dei capi
degli Autonomi, ma riesce a sfuggire alla Polizia con uno stratagemma e a
riparare in Svizzera presso suo cugino, stabilitosi laggiù anni prima. Intanto
il Sindaco ha scoperto dove Lucia si è rifugiata e chiede aiuto all'Innominato,
superboss indiscusso nella 'Ndrangheta in Lombardia, che gli deve molti favori
politici: gli uomini d'onore del gangster, dopo aver attirato lontano Chiara Amirante con una scusa, fanno irruzione nella Comunità Nuovi Orizzonti e
sequestrano Lucia, che è legata come un salame e portata nella villa bunker dell'Innominato, nelle
campagne intorno a Varese. Quest'ultimo, che già da tempo sente il peso di una
vita di crimini, è scosso dalle preghiere di Lucia e, dopo una notte insonne nel
letto divenuto un covile di pruni, sente suonare le campane a distesa perchè
Papa Francesco è in visita pastorale al Sacro Monte di Varese, e tutta la Chiesa
Ambrosiana è in festa. Decide allora, quasi per sfida, di andare ad incontrarlo.
Quando il Santo Padre sente il nome di chi vuole parlargli, pianta tutti in asso
e gli va incontro, invitandolo a pentirsi perchè Dio gli ha toccato il cuore, e
vuole salvarlo. "Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov'è questo
Dio?" sbotta il mafioso. "E comunque, se anche ci fosse, che può fare di uno
come me?" Il Papa gli risponde: "Da lei vuole una gloria che nessuno gli può
dare. Chi è lei, pover'uomo, per credere di poter concepire opere così
grandi nel male, che Egli non possa fargliene compiere di più grandi nel bene?" E
lo abbraccia. Sopraffatto da quell'impeto di carità, il gangster scoppia in
pianto, decide di cambiare vita, si costituisce alle forze di Polizia, confessa
tutti i propri crimini e fa in modo che Lucia venga liberata e ospitata
nell'Arcivescovado di Milano da Monsignor Mario Delpini. Lucia però ha fatto
voto a Chiara Lubich di non sposarsi, se fosse stata salvata dalle mani del
Sindaco voglioso. Come se non bastasse, un gruppo terroristico legato ad
Anonymous infetta tutti i
computer di Milano con un potentissimo virus informatico, la Borsa va in tilt e
con essa l'intera rete Internet, i telefoni e i mezzi di comunicazione, cosicché
Milano è temporaneamente isolata. Renzo Tramaglino rientra allora sotto falso
nome a Milano per ritrovare l'amata della quale non ha più notizie, trova la
città in preda al caos e all'anarchia perchè ogni dispositivo elettronico è
saltato, per sfuggire a una banda di neonazisti si rifugia in un centro della Caritas e qui ritrova Don Virginio Colmegna, appena rientrato dalla Repubblica
Centrafricana. "Se ritrovo quel bandito del Sindaco la farò io, la giustizia!"
esclama Renzo accecato dalla rabbia, ma Don Virginio gli mostra il Sindaco che
sta morendo perchè durante una delle sue mille scappatelle amorose si è preso
l'AIDS e non vi sono negli ospedali macchinari funzionanti né medicinali per
salvarlo, quindi a sorpresa lo fa incontrare con Lucia, che ha convinto a
commutare il voto in quello di chiamare Francesco e Chiara i suoi futuri figli.
Intanto il virus informatico viene debellato dagli esperti
dell'antiterrorismo, Milano torna alla normalità, Lucia e Renzo finalmente si
sposano e, dietro consiglio di Don Colmegna, si trasferiranno a vivere nella
Repubblica Centrafricana dove lei insegnerà ai bambini resi orfani dalla guerra
civile e lui lavorerà per una ONG a favore dei più poveri tra i poveri. E,
soprattutto, non avranno mai più a che fare con Sindaci e politicanti di sorta.
E se non vi ho annoiato neppure stavolta, vorrà dire che non ho lavorato invano.
Grazie a tutti, vostro...
.
Il grande Bhrihskwobhloukstroy commenta:
Guarda, sai bene che preferisco mille volte la Grecia, Roma, la Francia, l'Inghilterra &c. (lo stesso Seicento, ovviamente) ai desolati tempi moderni nelle nostre martoriate terre, ma mi alzo in piedi (letteralmente) per l'entusiasmo alla lettura del Tuo ultimo capolavoro sui Promessi Sposi al giorno d'oggi. Non è solo un gioco, è una profezia, le parole che hai usato mi sembrano ispirate da una mente che vede tutta la Storia. Vale più il Tuo racconto che interi volumi di denunce circostanziate (e fa vedere che dal Seicento manzoniano – dipinto a tinte forse più fosche del dovuto – a oggi la situazione è peggiorata). Peccato che la serie sia conclusa...
P.S. riguardo agli "Sposi Stellari", anche nella Tóruigheacht Dhiarmada agus Ghráinne (il romanzo irlandese omologo della fonte folklorica valsassinese del Manzoni) il corrispettivo dell'Innominato è il padre di Gráinne (l'equivalente di Lucia), e infatti la Serva dell'Innominato lo sospetta (si chiede se sia una Principessa)!
.
Gli risponde anche Enrico Pellerito:
La fantasia di
William è sempre encomiabile, io mai
avrei immaginato le trasposizioni che sono state ideate nell'ultimo anno e le
sue sono particolarmente fantasiose, ma plausibili ed affascinanti.
Il fatto che a posteriori ci siano interpretazioni storico-scientifiche su
racconti, favole, tradizioni culturali di qualsiasi tipo rende abbastanza
complicato ma sempre interessante questi aspetti.
Penso che molto faccia anche l'approccio personale dei singoli studiosi nel
proporre una decifrazione dei suddetti generi.
Ad esempio, ho letto che la favola di Hänsel e Gretel, checché ne possa dire
qualcuno di noi con il suo impenitente ottimismo (anch'esso sempre
assolutisticamente arroccato e altrettanto assolutisticamente esposto), non
soltanto secondo alcuni trova le sue radici nel periodo storico delle grandi
carestie medievali europee, con tutti i risvolti ancorati all'infanticidio e
all'antropofagia, per altri farebbe invece riferimento ad un caso storicamente
accertato di omicidio avvenuto nel 1647 da parte di due fratelli, Hans e Greta
Metlzer, nei confronti di Katharina Schraderin, per questioni di concorrenza
mercantile nel campo della pasticceria.
Probabilmente l'aver dato un'interpretazione modificata, addirittura ribaltando
intenzioni e responsabilità, da parte dei Grimm spiega bene la favola, mentre è
altrettanto probabile che la più antica favola di Pollicino sia effettivamente
da inquadrare nei ricordi della Grande Carestia del 1315-1317!
.
Cinque anni dopo, William Riker ha voluto rimettere mano a questo gioco ucronico per colmare quella che riteneva una sua importante lacuna:
ovvero: E se Manzoni fosse stato Ebreo?
Capitolo 1
Il matrimonio negato
1 Quell'ansa del lago di Genesaret, che
volge a mezzogiorno, tra due filari non interrotti di colli, vien, quasi a un
tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un monticello a
destra, e un'ampia costiera dall'altra parte [Luca 5,1];
2 e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile
all'occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e il
Giordano ricomincia. Questa è la porta d'ingresso alla Galilea per chi
viene dall'arsura del deserto orientale.
3 Sefforis, la città principale della Galilea, ai
tempi in cui accaddero i fatti che prendiamo a raccontare, già considerabile,
era anche un castello, e aveva perciò l'onore d'alloggiare un comandante, e una stabile guarnigione di sgherri
della milizia privata al soldo della dinastia erodiana,
4 che insegnavan la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavan
di tempo in tempo le spalle a qualche marito, a qualche padre; e, sul finir
dell'estate, non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per diradar l'uve, e
alleggerire a' contadini le fatiche della vendemmia.
5 Dall'una all'altra di quelle terre, dall'alture alla riva, da un poggio
all'altro, correvano, e corrono tuttavia, strade e stradette, più o men ripide,
o piane, che congiungono tra di loro tutti i villaggi e le città della Galilea;
6 e per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso
casa, sulla sera del giorno 3 del mese di Chisleu dell'anno 3751 dalla Creazione
del mondo, l'anno diciannovesimo dell'impero di Cesare Augusto, il rabbino della
Sinagoga di Nazaret, un certo Zaccaria.
7 Questi non era certo un cuor di leone, ed aveva scelto la professione di rabbino
perchè, sentendosi un vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro, pensava che lo
scialle e i filatteri lo avrebbero protetto dai pericoli dei tempi difficili in
cui si era trovato a vivere.
8 Quella sera purtroppo egli incontrò due soldatacci inviati da Aristobulo,
secondo figlio di
Erode il Grande e della sua sposa Mariamne [Giuseppe
Flavio, Antichità Giudaiche 15,10,1 e 16,1,2].
9 Essi lo minacciarono affinchè non
celebrasse le nozze tra Giuseppe, giovane carpentiere appartenente alla
Casa di Davide, e la sua fidanzata Maria, di stirpe sacerdotale
[Luca 1,27]: "Questo matrimonio non s'ha da
fare, né ora, né mai!" [Promessi Sposi I]
10 Terrorizzato dalle minacce dei due sgherri, che gli promisero di impalarlo se
avesse sposato i due giovani, Zaccaria decise di piegarsi alla prepotenza del
giovane rampollo reale:
11 il giorno dopo Giuseppe, figlio di Giacobbe, figlio di Mattan, discendente di
Zorobabele [Matteo 1,12-16], si recò dal rabbino per
prendere accordi sulle nozze, con quella cert'aria di festa, e nello stesso
tempo di braverìa, comune allora anche agli uomini più quieti,
12 ma Zaccaria inventò delle scuse e lo convinse a
rinviare il matrimonio, citando delle norme della Torah in ebraico, lingua che
Giuseppe non conosceva, esprimendosi solo in aramaico.
13 Irritato dal comportamento evasivo e saccente del rabbino Zaccaria, Giuseppe
se ne andò, ma in piazza presso la fontana trovò Salome
[Protovangelo di Giacomo 19,3], la ciarliera moglie
del rabbino Zaccaria, e la interrogò.
14 Questa gli disse che non poteva rivelargli nulla, ma si lasciò sfuggire
l'esistenza di persone malvagie che si opponevano al suo matrimonio con Maria.
15 Furente, tornò dal rabbino e lo costrinse a rivelargli la verità. Allora si
recò a casa di Maria, dove tutto era pronto per le nozze, e narrò a lei e ai
suoi genitori Anna e Gioacchino
[Protovangelo di Giacomo 1,1 e 2,3] la vigliaccheria di Zaccaria che si
era rifiutato di sposarli [Promessi Sposi II].
16 Allora Maria scoppiò in un pianto dirotto e raccontò che, nel corso del suo
recente pellegrinaggio a Gerusalemme, Aristobulo figlio di Erode la aveva notata
e aveva cercato di sedurla, ma ella era fuggita. Lo aveva allora sentito dire a
suo fratello maggiore Alessandro, ribaldo quanto lui: "Scommettiamo?"
17 I due promessi sposi e i genitori di lei capirono allora che l'empio
Aristobulo aveva scommesso di possedere la giovane così come aveva posseduto
mille altre fanciulle in Giudea.
18 Ciò avvenne perchè si realizzasse la parola della Scrittura: « Le nozze
furono mutate in lutto e i suoni delle loro musiche in lamento. »
[1Mac 9,41]
19 Gioacchino, padre di Maria, propose di chiedere consiglio ad Anania ben
Hezekiah ben Garon, grande conoscitore della Torah, autore tra l'altro della
Megillat Taanit [Talmud Babilonese, Trattato Shabat, 13b];
questi aveva fondato la sua scuola a Sefforis.
20 Di certo infatti Anania sarebbe riuscito a far condannare l'operato del
figlio del Re come contrario ai precetti di Mosè. Giuseppe allora si recò a
Sefforis per incontrarlo ed esporgli il suo caso.
21 Quando però gli chiese "Vorrei sapere se a minacciare un rabbino, perchè non
faccia un matrimonio, c'è pena", il Maestro Anania prese un granchio e credette
che fosse stato Giuseppe a commettere quel crimine.
22 In quanto tale, si disse disposto ad aiutarlo, ma quando Giuseppe gli rivelò
che lui era la parte offesa, e che era venuto a chiedergli giustizia nei
confronti di Aristobulo, figlio di Erode, il Dottore della Legge si impaurì e lo
scacciò in malo modo.
23 Giuseppe così, con le pive nel sacco, fece ritorno a Nazaret, e Gioacchino
dovette riconoscere di averlo mandato dall'uomo sbagliato [Promessi Sposi
III].
24 A questo punto Maria decise di rivolgersi a Gionata Ben Uzziel
[Sukkah 28a; Bava Batra 133b; Megillah 3a], che era stato suo maestro in
gioventù. Un tempo uomo violento che disprezzava la Legge di Mosè, si convertì
dopo aver ucciso un uomo e si dedicò allo studio della Legge.
25 Gionata Ben Uzziel, chiamato da Maria, venne a Nazaret, ascoltò il racconto
di quanto era accaduto e, ben deciso a compiere il proprio dovere di proteggere
i più deboli dai soprusi dei potenti, vagliò il da farsi.
26 Scartata l'idea di cercare di ricondurre il codardo rabbino Zaccaria alla
ragione, e quella di avvisare il suo maestro Hillel perchè ciò avrebbe richiesto
troppo tempo, e il tempo stringeva, Gionata decise di affrontare lo stesso
Aristobulo che si trovava allora nel suo palazzo di Sefforis [Promessi Sposi
IV].
27 Arrivato al palazzo, il saggio Maestro viene introdotto alla presenza di
Aristobulo, che in quel momento era intento a pranzare insieme al fratello
Alessandro, al tribuno della guarnigione romana in città e ad Anania ben
Hezekiah ben Garon, a noi già ben noto.
28 Aristobulo lo accolse con malumore, intuendo il motivo della sua visita, ma
lo lasciò parlare. Quando però Gionata lo implorò in nome di Dio di lasciare in
pace Maria, egli, con aria di scherno, replicò: "Ebbene, consigliale di venirsi
a mettere sotto la mia protezione. Non le mancherà più nulla, e nessuno ardirà
inquietarla!"
29 Acceso d'indignazione, Gionata abbandonò ogni prudenza, l'uomo d'armi d'un
tempo tornò a galla e gli si rivolse con ira: "Ho compassione di questa casa: la
maledizione le è sopra sospesa. Stai a vedere che la giustizia di Dio avrà
rispetto a quattro pietre e a quattro scherani!
30 Tu hai creduto, o Aristobulo, che Dio abbia fatta una creatura a sua immagine
per darti il diletto di tormentarla! Tu hai creduto che Dio non saprebbe
difenderla! Tu hai disprezzato il suo avviso! Ebbene, o figlio di Erode, ti sei
giudicato da solo.
31 Il cuore del Faraone era indurato quanto il tuo, e Dio ha saputo spezzarlo.
Maria di Nazaret è sicura da te, te lo dico io povero rabbino; e quanto a te, o
superbo Asmoneo, senti bene quello che io ti prometto. Verrà un giorno..."
32 Furibondo di collera e ad un tempo atterrito dalla maledizione che l'Uomo di
Dio gli aveva scagliato contro, Aristobulo scacciò Gionata: "Villan rifatto! Tu
mi tratti da par tuo, io che sono figlio di Re e discendente dei Maccabei!
33 Ma ringrazia il mantello che ti copre codeste spalle di poltrone, e ti salva
dalle carezze che si fanno ai pari tuoi, per insegnar loro a parlare. Esci colle
tue gambe, per questa volta: e la vedremo!"
34 Gionata Ben Uzziel se ne andò, ma venne fermato da un vecchio servitore, il
quale gli rivelò di aver udito, origliando a una porta, che si stava preparando
un colpo gobbo ai danni della povera Maria. Il dottore della legge allora lasciò
Sefforis rincuorato [Promessi Sposi V-VI].
I birri di Aristobulo minacciano Rabbi Zaccaria (immagine creata con BING)
Capitolo 2
Addio, colli...
1 Intanto Anna, la madre di
Maria, propose ai due fidanzati un matrimonio un po' irrituale: mettere il
rabbino davanti al fatto compiuto, pronunciando
davanti a lui le frasi di rito alla presenza di due testimoni.
2 Gioacchino e Giuseppe accettarono subito la proposta, ma Maria si oppose,
ritenendo che non fosse giusto estorcere il matrimonio con un inganno, poiché
nella Torah è scritto: « Non userete inganno o menzogna a danno del prossimo.
» [Levitico 19,11]
3 Quando però Rabbi Gionata tornò ed
annunciò il fallimento del suo tentativo di convincereAristobulo a recedere dai
suoi propositi, Giuseppe convinse Maria che quella del matrimonio forzato fosse
l'unica soluzione possibile.
4 Così, la sera dopo due amici di Giuseppe bussarono alla porta di Zaccaria con
la scusa di pagare un vecchio debito. Anna distrasse la moglie del rabbino con
una scusa, e Maria e Giuseppe ne approfittarono per intrufolarsi di nascosto in
casa sua, mentre Gioacchino fungeva da palo in fondo alla via.
5 Nello stesso momento, Aristobulo decideva di rapire Maria e farla portare nel
suo palazzo di Sefforis, e i suoi sgherri facevano irruzione in casa sua, ma la
trovarono deserta poiché tutti erano a casa di Zaccaria per tentare di
ingannarlo [Promessi Sposi VII].
6 Giuseppe riuscì a promunciare la frase rituale del matrimonio, ma
quando lo vide Zaccaria gettò in testa a Maria un tappeto, impedendole di
pronunciare a sua volta la frase che suggellava la Ketubbàh, il contratto di
matrimonio, quindi si chiuse in un'altra stanza e invocò aiuto.
7 Giuseppe, Maria, Anna e Gioacchino furono costretti alla fuga, a causa
dell'accorrere di gente da tutta Nazaret, ma mentre correvano verso casa venne
loro incontro un ragazzo, il quale li avvisò che in casa loro li attendevano i
birri di Aristobulo, e li invitò a cercare rifugio nella scuola rabbinica di
Gionata Ben Uzziel.
8 Essi obbedirono, ma ignoravano che in realtà il bambino era l'angelo
Gabriele, inviato da Dio a Nazaret per salvare Maria e Giuseppe.
9 Subito dopo il bambino apparve anche a Zaccaria, che era riuscito a mettere
tutto a tacere dicendo a chi era accorso in suo aiuto che era stato aggredito da
alcuni ladri, ma che ormai essi erano scappati. E gli disse:
10 "Io sono Gabriele che sto al cospetto di Dio e sono stato mandato a dirti che
sarai muto e non potrai parlare per quattordici giorni, fino a che sarà
necessario che tu parli di nuovo, perché non hai voluto sposare quei giovani ed
hai mentito per giustificare la tua inqualificabile condotta
[Luca 1,19-20].
11 Infatti così il Signore degli Eserciti ha parlato per bocca del profeta
Malachia: « Se voi leviti non mi ascolterete e non vi prenderete a cuore di
dar gloria al mio nome, manderò su di voi la maledizione e cambierò in
maledizione le vostre benedizioni! »" [Malachia 2,2]
12 Zaccaria lo cacciò via, ma si accorse ben presto di essere diventato muto
davvero, e si spaventò. Gli abitanti di Nazaret credettero che il suo momentaneo
mutismo fosse dovuto allo spavento preso quella notte.
13 Quanto a Gionata Ben Uzziel, quando ascoltò la storia del matrimonio estorto
rimproverò Giuseppe, Anna e Gioacchino per non aver avuto abbastanza fede in Dio
e per aver cercato una scorciatoia, ma subito dopo si affrettò a spiegare in che
modo li avrebbe salvati dalle grinfie del figlio di Erode.
14 Giuseppe si sarebbe recato a Gerusalemme, per lavorare come
carpentiere nel cantiere del Tempio del Signore, che Erode il Grande stava
facendo profondamente ristrutturare; per questo Gionata gli diede una lettera di
raccomandazioni scritta di suo pugno.
15 Invece Maria si sarebbe rifugiata segretamente a Gerico, nel palazzo
di Salampsio [ebraico שלומציון, Shlomtzion],
sorella di Aristobulo e di Alessandro, che però odiava, come suo padre Erode,
per il matrimonio combinato che era stata costretta da loro a contrarre
[Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche 18,5,4].
16 Salampsio era infatti amica di Gionata Ben Uzziel, praticava la religione
giudaica a differenza dei parenti la cui adesione al giudaismo era puramente
formale, e Maria sarebbe stata una delle sue ancelle di fiducia.
17 Sul far della sera Anna e Gioacchino fecero ritorno a Nazaret, mentre
Giuseppe e Maria si imbarcarono sul lago di Genesaret, presso il punto in cui da
esso usciva il Giordano, e lo ridiscesero per un tratto, onde portarsi in
Transgiordania e poi aggiungere le rispettive mete evitando la Samaria.
18 Maria, rivedendo i propri luoghi più cari, che temeva di perdere per sempre, e
timorosa di finire tra le grinfie di Aristobulo, si sentì sopraffare dallo
sconforto e, posati il braccio e la fronte sul bordo della piccola imbarcazione,
pianse segretamente, e pregò tra sé, udita solo da Dio e dai Suoi angeli:
19 "Addio, colli sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a
chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia
l'aspetto de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio,
come il suono delle voci domestiche; villaggi sparsi e biancheggianti sul
pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio!
20 Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Quanto
più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da
quell'ampiezza uniforme; l'aria gli par gravosa e morta; s'inoltra mesto e
disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che
sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro;
21 e davanti agli edifizi e ai monumenti ammirati dallo straniero greco e
romano, pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla
casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà,
tornando ricco a' suoi monti.
22 Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio
fuggitivo, chi aveva composti in essi tutti i disegni dell'avvenire, e n'è
sbalzato lontano, da una forza perversa!
23 Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s'imparò a
distinguere dal rumore de' passi comuni il rumore d'un passo aspettato con un
misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte
alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava
un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa.
24 Addio, Sinagoga, dove l'animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del
Signore Dio di Israele; dov'era promesso, preparato un rito; dove il sospiro
segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l'amore venir
comandato, e chiamarsi santo; addio!
25 Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de'
suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande. Infatti solo
in Dio riposa l'anima mia:
da Lui la mia speranza!" [Salmo 62,6; Promessi Sposi
VIII]
26 Attraversata la Decapoli e la Perea, nei pressi di Betania
di là dal Giordano i due promesi sposi si separarono, consci del fatto che
non si sarebbero rivisti per lungo tempo. Giuseppe il carpentiere prese la
strada che recava a Gerusalemme, mentre Maria, accompagnata da un levita,
raggiunse Gerico e si presentò in casa di Salampsio.
27 Il suo aspetto, che poteva dimostrar venticinque anni, faceva a prima vista
un'impressione di bellezza, ma d'una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi,
scomposta.
28 Costei era la terza figlia di Erode il Grande e della sua seconda moglie
Mariamne, appartenente alla famiglia degli Asmonei. Il padre non aveva esitato a
usarla per i suoi giochi politici e a darla in sposa al proprio fratello
Ferora, rimasto vedovo, che avrebbe potuto essere suo padre, con una dote di
300 talenti.
29 Ma Ferora si era innamorato di una concubina e aveva rotto il fidanzamento
con Salampsio, facendo infuriare Erode. Per rifarsi della perdita dei 300
talenti, Erode la diede in sposa a Fasaele, figlio di suo
fratello Fasaele, per assicurarsi la fedeltà dei suoi sudditi Idumei.
30 Ovviamente a nessuno interessò il fatto che Salampsio si era innamorata di
Lisania, tetrarca dell'Abilene [Luca 3,1], ben
più giovane di Ferora e di Fasaele. Salampsio comunque aveva continuato
segretamente la relazione con Lisania, tanto che tre dei cinque figli avuti da
lei erano in realtà figli di Lisania.
31 Questi purtroppo era uno scellerato di professione, e la relazione con il
tetrarca dell'Abilene avviluppò la sventurata Salampsio in un vortice di
menzogne, ricatti e complicità, fino ad arrivare all'omicidio di un'ancella che
minacciava di far scoppiare lo scandalo rivelando la tresca tra i due.
32 Ovviamente della relazione adulterina era all'oscuro Gionata Ben Uzziel, che
altrimenti se ne sarebbe ben guardato dal mandare la povera Maria in quella
casa! [Promessi Sposi IX-X]
"Addio, colli sorgenti dall'acque..." (immagine creata con BING)
Capitolo 3
Disavventure di Giuseppe
1 Nel frattempo Giuseppe era
giunto a Gerusalemme entrando dalla Porta d'Oro, e si stupì di trovarla
in preda al disordine ed ai tumulti.
2 Approfittando infatti del fatto che re Erode si trovava nella sua fortezza di
Macheronte, ad est del Mar Morto, impegnato in una contesa di confine con
il vicino regno dei Nabatei
[Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche 15,147,4], il popolo della Città Santa era insorto contro il
rincaro del pane, deciso proprio per finanziare la guerra contro i vicini.
3 Il popolo, furibondo, assediò Alessandro, figlio maggiore di Aristobulo, nel
palazzo reale, ma il giovane Filippo, fratellastro di Alessandro e di
Aristobulo, uscì ad arringare la folla, e la convinse a levare l'assedio in
cambio della promessa di eliminare il rincaro del prezzo del pane;
4 per questo il padre in seguito lo avrebbe compensato attribuendogli il governo
di Gaulanitide, Traconitide, Batanea, Auranitide e Iturea, e dandogli in sposa
Erodiade, la bellissima e scaltra figlia di Aristobulo
[in seguito Erodiade avrebbe lasciato Filippo per convivere con il cognato Erode
Antipa, scatenando la reazione di Giovanni il Battista.
Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche 18,7,240-255].
5 Giuseppe si lasciò trascinare dalla folla e dall'ammirazione popolare nei
confronti di Filippo, e davanti all'ingresso all'Atrio dei Gentili del Tempio di
Erode abbandonò ogni prudenza e si mise a pronunciare un discorso in cui criticava la giustizia
di Re Erode, che stava sempre dalla parte dei
potenti [Promessi Sposi XI-XIII].
6 Non sapeva che tra i suoi ascoltatori vi era proprio una delle tante spie di
Aristobulo sparpagliate in borghese per la città, un birro intenzionato a
trovare il modo per arrestarlo.
7 Questi finse di essere d'accordo con lui e di lo portò in una taverna dove, con uno
stratagemma, la spia lo fece ubriacare e venne a conoscenza del suo nome.
8 Il giorno dopo Giuseppe fu svegliato da alcuni soldatacci di Aristobulo che lo
arrestarono e lo portarono via senza troppi complimenti. Tuttavia Giuseppe si
rivolse alla folla in strada urlando: "Figliuoli! mi menano in prigione, perchè
ieri ho gridato: pane e giustizia. Non ho fatto nulla; son galantuomo:
aiutatemi, non m'abbandonate, figliuoli!"
9 Subito alcuni tra la folla riconobbero in Giuseppe uno di coloro che aveva
protestato il giorno innanzi contro il rincaro del pane, e assalirono le guardie
liberando il prigioniero [Promessi Sposi, XIV-XV].
10 Questi fu invitato a rifugiarsi nel Tempio di Gerusalemme, sotto la
protezione dei Sacerdoti, ma il discendente di Davide si disse: "Se posso essere
uccel di bosco, non voglio diventare uccel di gabbia!" e decise di fuggire dal
regno di Erode.
11 Infatti Aristobulo ormai conosceva il suo nome, sapeva che era il suo rivale
in amore, e non avrebbe avuto pace fino a che non lo avesse avuto tra le
grinfie. Giunse correndo alla Porta di Giaffa, e qui incontrò un ragazzo
che lo ammonì:
12 "Imbocca quella via, segui la strada del mare e fuggi in Egitto, e
resta là finché non ti avvertirò, perché Aristobulo ti sta cercando per
ucciderti!" [Matteo 2,13]
13 Giuseppe, ignaro che quel bambino fosse in realtà l'angelo Gabriele, mandato
di nuovo dal Signore in suo aiuto, lo ringraziò ed intraprese il viaggio; del
resto quella di fuggire in Egitto gli parve l'idea migliore, giacché aveva dei
parenti che abitavano dalle parti di Eliopoli.
14 Viaggiando più veloce che poteva, e contando sull'aiuto di uomini di buon
cuore che di tanto in tanto gli donavano un pane lungo il cammino, dietro ordine
dell'angelo, Giuseppe raggiunse Gaza, mettendosi così in salvo perchè
quella città era fuori dalla giurisdizione della dinastia erodiana,
15 e di qui gli fu facile raggiungere Eliopoli, dove abitava un cugino che
volentieri lo ospitò. Laggiù egli visse del suo lavoro di carpentiere, come
aveva fatto a Nazaret.
16 Ciò avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo
del profeta: « Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio. »
[Osea 11,1; Matteo 2,15]
17 Intanto Aristobulo, venuto a sapere che il promesso sposo di Maria era
coinvolto nei tumulti contro la sua dinastia, fece perquisire la sua casa a
Nazaret e lo presentò al padre nientemeno che come il capo dell'intera rivolta,
facendolo condannare a morte in contumacia.
18 Egli fu attivamente ricercato ma mai trovato, poiché grazie all'angelo
Gabriele si trovava al sicuro, dove neppure le spie di Aristobulo potevano
raggiungerlo [Promessi Sposi XVI-XVIII].
19 Dice infatti il Salmista: « Amate il Signore, voi tutti Suoi fedeli; il
Signore protegge chi ha fiducia in Lui, e ripaga in abbondanza chi opera con
superbia! » [Salmo 31,24]
20 Nel
frattempo Alessandro persuase il padre Erode ad esiliare Gionata Ben Uzziel,
accusandolo di essere amico del fuorilegge Giuseppe. Gionata fu così costretto a
lasciare la Galilea e a rifugiarsi ad Antiochia di Siria, presso la locale
comunità ebraica, dove riaprì la sua scuola, affidando Maria e Giuseppe alla
volontà del Signore [Promessi Sposi, XIX].
21 Maria a Gerico venne a sapere che Giuseppe il carpentiere di Nazaret, figlio
di Giacobbe, figlio di Mattan, era ricercato in ogni dove, e che rabbi Gionata
era stato cacciato in esilio, e di ciò pianse amaramente. Ma il peggio per lei
era ancora da venire.
22 Infatti il prepotente Aristobulo non era ancora riuscito a vincere la
scommessa, e di ciò il suo orgoglio fremeva come un cavallo imbizzarrito [Promessi Sposi
XIX].
23 Giuseppe era fuori gioco, rabbi Gionata era lontano, ma Maria continuava a
sfuggirgli. Dalle sue spie era venuto a sapere che si trovava in qualità di
ancella nella casa di sua sorella Salampsio,
24 ma gli era impossibile ghermirla alla luce del sole, giacchè con Salampsio
era in pessime relazioni, ed ella avrebbe goduto di vederlo perdere la
scommessa; né i suoi birri potevano impunemente penetrare nel palazzo di lei e
di Fasaele: il loro padre Erode non glielo avrebbe perdonato.
25 Nè egli poteva pensare di arrivare a lei ricattando i suoi genitori Anna e
Gioacchino, perché anch'essi erano stati avvisati dall'angelo Gabriele di porsi
in salvo, e si erano rifugiati a Gadara [oggi Umm
Qays in Giordania], una delle città greche della Decapoli, fuori
dalla giurisdizione di Erode [Matteo 8,28;
Plinio, Naturalis Historia 5,15].
26 Di nascosto da suo padre, allora, Aristobulo decise di giocare l'ultima carta
che gli rimaneva: allearsi con gli storici nemici Nabatei, che
insidiavano il Regno di suo padre,
27 e in particolare con Areta, giovane principe nabateo che agiva come un
bandito nelle regioni ad oriente del Giordano, aveva il suo quartier generale in
un imprendibile castello sulle montagne difeso da pretoriani a lui fedelissimi,
e spadroneggiava anche in parte della Giudea, compiendo scorrerie nel regno di
Erode [Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche 14,9 4 e 10,9;
Strabone, Geografia 16].
28 Egli si faceva chiamare Anonymos [Ανώνυμος,
l'Innominato], solo in pochi conoscevano la sua vera identità, e tra
questi vi era proprio Aristobulo, che era spe sso venuto a patti con lui e aveva
coperto alcune delle sue malefatte, così da poter contare su un alleato potente
al momento della successione al trono di suo padre.
29 Con la scusa di compiere una ricognizione sul confine con i Nabatei, così,
Aristobulo passò il Giordano e si recò personalmente a Ramot di Galaad
[1Re 4,13], antica città presso la quale l'Anonymos
aveva costruito la sua piazzaforte, e vi entrò per incontrare quel potentissimo
e sanguinario condottiero.
30 Gli raccontò la scommessa da lui fatta con suo fratello Alessandro, gli
rammentò i favori che gli aveva fatto in passato, e gli chiese esplicitamente di
contraccambiare, facendo rapire Maria dalla casa di sua sorella Salampsio, onde
consegnarla finalmente nelle sue mani.
31 Come infatti aveva ammonito re Salomone, le labbra del giusto conoscono
benevolenza, la bocca degli empi solo cose perverse. I pensieri dei giusti sono
equità, i propositi degli empi sono soltanto frode! [Prov
10,32 e 12,5; Promessi Sposi XX]
Giuseppe fugge da Gerusalemme in preda ai tumulti (immagine creata con BING)
Capitolo 4
La conversione dell'Anonymos
1 Areta ascoltò Aristobulo con
sufficienza, considerandolo un figlio di papà annoiato e buono solo a correre
dietro alle ragazze, e per toglierselo dai piedi accettò di aiutarlo e ordinò ai
propri mercenari di andare a rapire Maria.
2 Già da qualche tempo però l'Anonymos rifletteva sulle proprie responsabilità,
sulle vessazioni di cui si era reso autore o complice per attestare la propria
autorità al di là della legge, facendosi beffe persino della potenza di Roma, e
sul senso della propria vita.
3 Ormai aveva dato la sua parola ad Aristobulo, e così si risolse ad ordinare a
Lisania di far uscire Maria di Nazaret dalla casa di Salampsio. Quest'ultima
cercò di opporsi, essendosi affezionata a Maria, ma Lisania fu irremovibile: "Tu
non mi puoi negare nulla, lo sai! Se uno di noi finisce crocifisso, ci finiamo
entrambi!"
4 E così, a malincuore, Salampsio ordinò a Maria di fare per lei una commissione
alla periferia di Gerico. Lì la attendevano gli sgherri di Areta, che la
afferrarono a viva forza, la cacciarono in un carro coperto e la portarono a
Ramot di Galaad.
5 Inizialmente Areta si rifiutò di vederla e ordinò di consegnarla subito ad
Aristobulo, ma un vecchio servitore gli chiese di andare ad incontrarla, poichè
la poverina era terrorizzata e piangeva in continuazione.
6 Ovviamente non poteva sapere che quel servitore era in realtà l'angelo
Gabriele, ma nessuno può dire di no ad un angelo del Signore, e così si sentì
spinto ad andare a incontrarla nella stanzina in cui era stata segregata.
7 La ragazza supplicò l'Anonymos di
lasciarla libera, promettendogli che, per quanti peccati uno possa aver
commesso, "Dio perdona molte cose per
un atto di misericordia!" Scosso, il potente signore della guerra se ne andò,
incerto sul da farsi.
8 Quanto a Maria, si rivolse direttamente al Signore che rovescia i potenti dai
troni e innalza gli umili [Luca 1,52] e promise di
rinunciare per sempre a Giuseppe e di non sposarsi mai se la avesse salvata [Promessi Sposi
XXI].
9 Nel frattempo Areta trascorse una notte terribile e
piena di rimorsi, perseguitato dalle anime degi innocenti che aveva ucciso, e stava per uccidersi
con la propria stessa spada, quando per volere di Dio udì sotto le sue finestre
che molti stavano correndo in città cantando i salmi e glorificando Dio.
10 Domandandosi il perchè di tanto trambusto, inviò un birro ad informarsi, e
questi gli riferì che Maestro Hillel in persona era giunto in
visita presso la locale sinagoga, e tutti correvano ad ascoltare la sua parola,
ricolma di Sapienza.
11 Appartenente alla Casa di David da parte di madre ed alla tribù di Beniamino
da parte di padre, aveva lasciato da giovane la natia Babilonia per studiare con
i maestri ebrei della Terra d'Israele Shemaiah e Avtalyon.
12 Quando l'ingresso alle lezioni era a pagamento, non avendo egli disponibilità
di denaro, dovette alire sul tetto dell'edificio dove si tenevano le lezioni,
per ascoltarle attraverso il camino; i suoi maestri lo notarono, apprezzarono il
suo impegno nello studio e lo invitarono a seguirli.
13 Divenne in seguito il membro più importante dell'accademia rabbinica di
Gerusalemme, e fu il primo dei Tannaim, i Maestri della Mishnah.
Noto per il suo atteggiamento più aperto e meno conservatoree nei confronti dei
convertiti,
14 una volta rispose a un giovane studente che desiderava conoscere l'intera
Torah: "Ciò che non è buono per te, non lo fare al tuo prossimo. Il resto è solo
commento. Questa è tutta la Torah." [Talmud Babilonese,
Trattato dello Shabbath, 31a]
15 Spinto dall'inquietudine che lo tormentava,
l'Anonymos si presentò nella Sinagoga di Ramot di Galaad, tra il terrore di tutti i
presenti, per parlare con il rabbino. Questi, lungi dallo scacciarlo, lo accolse
a braccia aperte:
16 "Oh! Che preziosa visita è questa! E quanto ti devo esser grato, quantunque
per me abbia un po' del rimprovero quando, da tanto tempo, tante volte, avrei
dovuto venir io da te."
17 "Da me, tu!" replicò Anonymos, stupefatto. "Lo sai chi sono io,
maestro? Ti hanno detto bene il mio nome?"
18 "E questa consolazione ch'io sento, ti pare ch'io dovessi provarla
all'annunzio e alla vista d'uno sconosciuto? Sei tu che me la fai provare; tu,
dico, che ho tanto amato e pianto, per cui ho tanto pregato;
19 tu, dei miei figli, che pure amo tutti e di cuore, quello che avrei più
desiderato d'accogliere e d'abbracciare, se avessi creduto di poterlo sperare.
Ma Dio sa fare Egli solo le maraviglie, e supplisce alla debolezza di noi Suoi
poveri servi."
20 Areta, commosso e sbalordito, restava in silenzio, e Hillel riprese ancor più
affettuosamente: "E che? Tu hai una buona nuova da darmi, e me la fai tanto
sospirare?"
21 "Una buona nuova, io? Ho i demoni dell'Abisso nel cuore, e ti darò una buona
nuova? Dimmi tu, se lo sai, qual è questa buona nuova che ti aspetti da un par
mio."
22 "Che Dio ti ha toccato il cuore, e vuole farti suo," rispose pacatamente il
rabbino. Areta tuttavia sbottò: "Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi!
Dov'è questo Dio?"
22 "Tu me lo domandi? Tu? E chi più di te Lo ha vicino? Non te lo senti nel
cuore, che ti opprime, che ti agita, che non ti lascia stare, e nello stesso
tempo ti attira, ti fa presentire una speranza di quiete e di consolazione, che
sarà piena, immensa, subito che tu Lo riconosca, Lo ami, L'implori?"
23 Replicò Areta: "Oh, certo! ho qui qualche cosa che mi opprime, che mi rode!
Ma il Dio d'Israele... Se questo Dio esiste, se è quello che dicono, cosa vuoi
che faccia di me?"
24 Queste parole furono pronunciate con un accento disperato, ma rabbi Hillel
gli rispose con tono solenne: "Cosa può far Dio di te? Vuole che tu gli dia una
gloria che nessun altro Gli potrebbe dare!
25 Che la Giudea gridi da tanto tempo contro di te, che mille e mille voci
detestino e denuncino le tue opere, che gloria ne viene a Dio? Sono voci forse
anche di giustizia, ma di una giustizia troppo facile, e alcune purtroppo sono
voci d'invidia di codesta tua sciagurata potenza, di codesta, fino ad oggi,
deplorabile sicurezza d'animo.
26 Ma quando tu stesso sorgerai a condannare la tua vita, ad accusare te stesso,
allora sì che il Dio degli Eserciti sarà glorificato! E tu domandi cosa Dio
possa far di codesta tua volontà impetuosa, di codesta tua imperturbata
costanza, quando l'abbia animata, infiammata d'amore, di speranza, di
pentimento?
27 Chi sei tu, pover'uomo, che pensi d'aver saputo da te immaginare e fare cose
così grandi nel male, che Dio non possa fartene volere e operare di più grandi nel bene?
28 Cosa può Dio far di te? E perdonarti? E risuscitarti nell'Ultimo Giorno? Non
son imprese magnifiche e degne di Lui? Oh pensa, se io miserabile mi struggo ora
tanto della tua salvezza, che per essa darei con gaudio (Dio m'è testimonio)
questi pochi giorni che mi rimangono;
29 oh pensa quanta, quale debba essere la carità di Colui che m'infonde questa
così imperfetta, ma così viva; come ti ami, come ti voglia Quello che mi comanda
e m'ispira un amore per te che mi divora!"
30 Subito gli occhi dell'Anonymos, che dall'infanzia più non conoscevan le
lacrime, si gonfiarono; egli si coprì il viso con le mani e diede in un dirotto
pianto. Subito rabbi Hillel, con il volto come circonfuso di luce, gli prese la
mano tra le sue, ma egli cercò di divincolarsi:
31 "No! Lontano, lontano da me, Maestro buono: non lordare quella mano innocente
e benefica. Non sai tutto ciò che ha fatto questa che tu vuoi stringere!"
32 "Lascia", rispose Hillel, "ch'io stringa codesta mano che riparerà tanti
torti, che spargerà tante beneficenze, che solleverà tanti afflitti, che si
stenderà disarmata, pacifica, umile a tanti nemici. Lascia che io ti
abbracci." Così dicendo, stese le braccia al collo del signore della guerra.
33 "È troppo!" replicò, singhiozzando, l'Anonymos che, vinto da quell'impeto di
carità, abbracciò anche lui il rabbino, e abbandonò sull'omero di lui il suo
volto tremante e mutato. Le sue lacrime ardenti cadevano sul mantello di Hillel;
e le mani incolpevoli di questo premevano affettuosamente quell'armatura,
avvezza a portar l'armi della violenza e del tradimento [Promessi Sposi
XXII-XXIII].
34 Così avevano compimento le parole del Profeta: « L'empio abbandoni la sua
via e l'uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di
lui e al nostro Dio che largamente perdona! » [Isaia
55,7]
L'Anonymos si converte tra le braccia di Rabbi Hillel (immagine creata con BING)
Capitolo 5
Maria e gli Esseni
1 L'Anonymos, sciogliendosi da quell'abbraccio, si coprì di nuovo gli occhi con
una mano ed esclamò: “Dio d'Israele veramente grande! Dio di Mosè veramente
buono! Io mi conosco ora, comprendo chi sono. Sì, le mie iniquità io le
riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
2 Contro di Lui, contro Lui solo ho peccato, e quello che è male ai Suoi
occhi, io l'ho fatto: ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha
concepito mia madre. Ma Lui gradisce la sincerità nel mio intimo, e nel segreto
del cuore mi insegna la sapienza [Salmo 50,5-8].
3 Ho ribrezzo di me stesso; eppure... eppure provo un refrigerio, una gioia,
quale non ho provata mai in tutta questa mia orribile vita! Me sventurato:
quante cose, le quali non potrò se non piangere! Ma almeno ne ho d'intraprese,
che posso, se non altro, rompere a mezzo: una ne ho, che posso romper subito,
disfare, riparare."
4 Subito Areta narrò a rabbi Hillel la prepotenza fatta a Maria di Nazaret, e il
dottore della Legge, intravedendo in questo fatto una possibilità di redenzione
per il predone, mandò subito a chiamare Zaccaria, il codardo capo della sinagoga
di Nazaret, che da poco aveva ritrovato la parola.
5 Gli ordinò quindi di andare con Areta a prendere la povera Maria, ancora
prigioniera nella piazzaforte. Nonostante il terrore che ciò gli suscitava,
Zaccaria obbedì, perchè nessuno in Israele poteva permettersi di contraddire
Hillel, salì con lui sulla rocca e riportò indietro Maria sana e salva.
6 Areta chiese perdono alla sua vittima, la quale glielo accordò di cuore, e
così egli decise di cambiare vita e di combattere d'ora in poi solo per la
giustizia, non più per l'oppressione [Promessi Sposi XXIV].
7 Rabbi Hillel mandò un suo scriba di fiducia a Gadara, affinché facesse venire
Gioacchino ed Anna, e li fece ospitare insieme alla figlia presso una comunità
di Esseni suoi amici ad Engaddi [Gs 15,62;
Ct 1,14], la "fonte del capretto", sulle rive del Mare d'Asfalto.
8 A capo della comunità c'era Menachem l'Esseno
[Talmud Babilonese, Hagigah, 16b], amico intimo di Hillel. Da giovane
questi aveva predetto a Erode che sarebbe diventato Re dei Giudei, e per questo
Erode aveva protetto e finanziato gli Esseni [Giuseppe
Flavio, Antichità Giudaiche 19,10,5].
9 Sembrava perciò impossibile che Aristobulo tentasse di violare un monastero
degli Esseni, con il rischio di incorrere nelle ire paterne.
10 Gli Esseni in verità non si sposavano e consideravano impuro il sesso
femminile, ma intorno al loro monastero vivevano anche molte famiglie con mogli
e figli, e così Gioacchino, Anna e Maria si accasarono tra di loro [Promessi Sposi
XXV].
11 Siccome occorreva costruire una tenda sotto cui ospitare i sacri riti
comunitari, Menachem disse: "Su, tirate a sorte chi filerà l'oro, l'amianto, il
bisso, la seta, il giacinto, lo scarlatto e la porpora". A Maria toccarono la
porpora e lo scarlatto: li prese, li portò a casa sua e li filava
[Protovangelo di Giacomo 10,1].
12 Ben presto la conversione dell'Anonymos e la miracolosa salvezza di Maria ad
opera di Rabbi Hillel divennero di pubblico dominio, e in tutta la Giudea e la
Galilea se ne
parlava, da Dan a Bersabea [2 Sam 24,15].
13 Aristobulo, resosi conto che la sua preda gli era scappata di nuovo tra le
mani, canzonato dal fratello Alessandro che lo invitava a gettare la spugna, e
odiato dal popolo come un prevaricatore di innocenti fanciulle, lasciò la
Galilea e se ne fece ritorno scornato a Gerusalemme.
14 Menachem l'Esseno, tutto infiammato di zelo contro i nemici di Israele,
avendo saputo della condanna che pendeva sul capo di Giuseppe, con la sua forte
volontà tentò in tutti i modi di convincere la Vergine a dimenticare il suo
promesso sposo, ma questa, nonostante gli sforzi, non ci riusciva, per volere
divino [Promessi Sposi XXVI-XXVII].
15 Nel frattempo Maria aveva rivelato ad Hillel la codardia di rabbi Zaccaria, e
così il famoso Maestro lo convocò e gli diede una lavata di capo,
rimproverandolo di aver obbedito a un prepotente e di non aver celebrato il
matrimonio di Maria e Giuseppe.
16 Zaccaria si discolpò dicendo che i due giovani a loro volta avevano cercato
di ingannarlo con un matrimonio forzato, ma Hillel si rattristò poiché egli
tentava di difendersi accusando i suoi fedeli, visto che i due giovani non
avrebbero certo tentato quel sotterfugio se avessero potuto sposarsi
regolarmente.
17 Zaccaria si finse pentito, ma nel suo cuore continuò a credere di essere nel
giusto non avendoli sposati, poichè la sua vita era più importante del loro
matrimonio.
18 Per questo, finito il colloquio con Hillel, gli apparve di nuovo l'angelo e
lo rese di nuovo muto, stavolta per ventotto giorni.
19 Intanto gli eventi stavano precipitando. Oboda, Re dei Nabatei, era un
uomo ozioso e pigro; la maggior parte degli affari li trattava, per lui,
Silleo, persona abile, giovane e di buona presenza.
20 In quel tempo, venuto da Erode per trattare la pace con i Giudei, mentre
cenava con lui, Silleo vide sua sorella Salome, si innamorò di lei e,
quando seppe che era vedova, parlò con lei del suo sentimento.
21 Salome, che temeva di essere usata dal fratello per le sue spregiudicate
politiche matrimoniali, e guardava il giovane in modo tutt'altro che
indifferente, era impaziente di maritarsi con lui; nei giorni seguenti, allorché
molta gente si era radunata per una cena, apparvero molti e chiari segni di
intesa tra questi due.
22 Dopo tre mesi Silleo tornò e domandò a Erode che gli desse in sposa Salome;
questa unione, disse, non sarebbe stata inutile a Erode visto che il governo dei
Nabatei virtualmente ora era nelle mani di Silleo.
23 Erode acconsentì, ma domandò a Silleo di assoggettarsi ai costumi dei Giudei
prima delle nozze, altrimenti, diceva, il matrimonio sarebbe stato impossibile.
Egli non volle assoggettarsi, protestando che qualora si fosse assoggettato,
sarebbe stato lapidato a morte dai Nabatei. Così, Silleo tornò in Arabia a mani
vuote [Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche 16,220-225].
24 Ora, Erode partì per Roma per visitare Cesare Augusto e presentargli il
figlio Antipatro. Gli abitanti della Traconitide sparsero la voce che era morto:
si ribellarono e vissero di brigantaggio contro i loro vicini. I generali
del re, in sua assenza, li sgominarono e li sottomisero.
25 Ma una quarantina di capobanditi abbandonarono la regione e ripararono in
Arabia presso i Nabatei, accolti da Silleo, che aveva il dente avvelenato dopo
che era tramontato il suo matrimonio con Salome, e diede loro un fortilizio come
base per le loro scorrerie.
26 Di qui infestavano e saccheggiavano non solo la Giudea, ma anche tutta la
Celesiria, poiché Silleo prestava a questi malfattori una base sicura per le
loro operazioni.
27 Era infatti venuto a sapere della figuraccia rimediata da Aristobulo e
Alessandro con la loro sciocca scommessa, e ritenne che i figli di Erode erano
degli imbelli che non avrebbero potuto opporgli alcuna resistenza.
28 Così infatti si compiva la parola della Scrittura: « Chi si vendica subirà
la vendetta del Signore, il quale tiene sempre presenti i suoi peccati. »
[Siracide 28,1]
29 Allorché Erode ritornò da Roma, venne a conoscenza che Oboda era morto, che
Silleo gli era succeduto in qualità di reggente e che gran parte dei suoi
possedimenti era stata danneggiata dalle scorrerie dei predoni;
30 essendo incapace di catturare i briganti
a motivo della sicurezza di cui godevano per la protezione data loro dagli
Arabi, e in collera per i danni provocati da loro, invase la Traconitide e
assassinò i loro congiunti.
31 Ora, presso i Nabatei vige la legge della vendetta ad ogni costo contro gli
assassini dei propri congiunti, e così essi seguitarono a saccheggiare e
derubare tutto il territorio di Erode senza alcuna paura delle conseguenze,
tanto da sconvolgere il regno di Erode;
32 saccheggiarono città e villaggi, assassinarono i loro prigionieri, sicché la
loro sommossa era in tutto uguale a una guerra: erano già circa un migliaio.
33 Indignato per questi atti, Erode chiese la consegna dei briganti, ma Silleo,
il quale aveva sempre negato che in Arabia ci fossero dei briganti, colse
l'occasione di quella provocazione per invadere con le sue forze il Regno di
Giudea e vendicarsi di Erode [Giuseppe Flavio, Antichità
Giudaiche 16,271-280].
Rabbi Hillel annuncia la pestilenza a Re Erode (immagine creata con BING)
Capitolo 6
Guerra e peste in Giudea
1 La Giudea venne così invasa
da un potente esercito del regno dei Nabatei, affiancato da altre tribù arabe
del deserto, che seminarono morte e distruzione. Varie falangi giunsero fino in
Galilea, dove misero a sacco Nazaret, il paese di Giuseppe e di Maria.
2
Gioacchino, Anna, rabbi Zaccaria e sua moglie trovarono rifugio a Ramot di
Galaad, sotto la protezione di Areta, che aveva aperto la sua imprendibile
piazzafororte ai popolani in fuga dalle soldataglie nabatee [Promessi Sposi
XXVIII-XXIX].
3 Questi organizzò delle coorti di giovani robusti che guidò contro gli Arabi
che mettevano a sacco la regione di Galaad, ma non toccò mai più un'arma in vita
sua, cosicché si vide un uomo disarmato che comandava una pattuglia di soldati
armati fino ai denti.
4 Purtroppo le armate di Silleo comprendevano anche dei mercenari Parti, uno dei
quali portò a Gerusalemme la peste; di qui essa si diffuse in tutta la Giudea,
la Samaria, la Galilea e fin nell'Iturea, nella Traconitide e nell'Idumea.
5 Ciò avvenne per i peccati della dinastia di Erode, compiuti sia dal re che dai
suoi figli. E siccome il Sommo Sacerdote del tempo, Simone Boeto, era
stato insediato da Erode solo perchè padre di sua moglie Mariamne, e quindi per
paura non lo avrebbe mai contraddetto [Giuseppe Flavio, Antichità
Giudaiche 15,320],
6 il Signore Iddio inviò Menachem l'Esseno a dire a Re Erode: "Mi è stata
rivolta la Parola del Signore: « Per espiare le colpe dei tuoi figli
Aristobulo ed Alessandro preferisci tre anni di carestia nel tuo paese, o tre
mesi di fuga davanti al nemico che ti insegue, oppure tre settimane di peste nel
tuo regno? »
7 Erode si stracciò le vesti e rispose a Menachem: "Sono in grande angoscia!
Ebbene, cadiamo nelle mani del Signore, perché la Sua misericordia è grande, ma
che io non cada nelle mani degli uomini di Silleo!"
8 Così il Signore mandò la peste in Israele, da quella mattina fino al tempo
fissato; inizialmente sottovalutato da molti Giudei, il morbo si diffuse
rapidamente e da Dan a Bersabea morirono settantamila persone di ogni ceto
sociale [2Sam 24,12-15].
9 Erode, per paura, fuggì nella sua fortezza di Masada, sulle
montagne, e solo Rabbi Hillel si prodigò nell'assistenza ai malati, unica
autorità rimasta in una Gerusalemme letteralmente abbandonata a sé stessa.
10 Purtroppo egli promosse una grande celebrazione comunitaria nel Tempio di
Gerusalemme per impetrare la fine del contagio, cerimonia dopo la quale, come
c'era da aspettarsi, il morbo dilagò con maggior virulenza [Promessi Sposi
XXX-XXXII].
11 Il popolo ignorante accusò stranieri, neoconvertiti e soprattutto i
Samaritani di diffondere apposta il contagio ungendo le porte delle case con
una sostanza mefitica, chiamata olio di pietra o petrolio, che
sgorgava dal suolo nel deserto dell'Arabia; ci furono massacri indiscriminati e
molti innocenti finirono vittime dell'isteria popolare.
12 Ovviamente Erode non fece nulla per impedire il diffondersi di tali dicerie,
nella speranza che il popolo non considerasse colpevoli lui e i suoi figli, come
era in realtà, ma sfogasse la sua rabbia contro gli odiati eretici di Samaria
[Gv 4,9].
13 Anche Aristobulo si ammalò di peste, e pagò i suoi pretoriani affinché gli
chiamassero segretamente un medico che lo tenesse nascosto, ma essi lo tradirono
e lo derubarono. Avendo toccato i suoi vestiti, tuttavia, si ammalarono
anch'essi e morirono di lì a poco. La profezia contro di loro di Gionata Ben
Uzziel si era compiuta.
14 Giuseppe intanto era stato raggiunto da una lettera di Gioacchino ed Anna, i
quali lo informavano che la loro figlia aveva deciso di rompere il fidanzamento
con lui.
15 Mentre era incerto sul da farsi, poiché i suoi parenti gli chiedevano di
restare per sempre in Egitto e di scegliersi un'altra moglie, gli apparve di
nuovo l'angelo Gabriele, sotto le sembianze di un mendicante, che lo invitò a
rientrare in Israele per cercare la sua promessa sposa.
16 Giuseppe riconobbe in lui l'angelo di Dio e prontamente obbedì. Giunto a
Gaza, si ammalò lui pure di peste, rimase tre giorni tra la vita e la morte, ma
alla fine guarì e divenne immune al contagio.
17 Rientrò allora a Nazaret ma lo trovò in preda alla desolazione: i suoi amici
erano morti, e così pure Salome, la moglie del rabbino Zaccaria. Questi era
sopravvissuto, ma pareva invecchiato di colpo di
almeno dieci anni [Promessi Sposi XXXIII].
18 Avendo saputo da Zaccaria che Maria era stata ospitata a Engaddi, decise di
andare a cercarla là, ma giunto a Gerusalemme, venne a sapere che molti malati
di peste di tutta la Giudea, inclusi quelli della comunità essena di Engaddi,
erano stati confinati presso la Città Santa, nella tristemente famosa Valle
della Geenna [Mt 5,22].
19 Lì il fuoco ardeva in continuazione, per bruciare i cadaveri dei morti di
peste. Sì compiva così la parola del Profeta: « Sarai un obbrobrio e un
vituperio, un esempio e un orrore per le genti che ti circondano quando in mezzo
a te farò giustizia, con sdegno e furore, con terribile vendetta! »
[Ez 5,15]
20 Avendo bussato con insistenza alla porta della locale comunità di Esseni
per chiedere notizie di Maria, Giuseppe fu scambiato per un untore Samaritano e fu
costretto alla fuga.
21 Si salvò saltando su un carro carico di cadaveri condotti alla Geenna per
essere bruciati. Là, sotto lo spietato dardeggiare del sole a picco, in un
angoscioso trionfo della morte, si mise a cercare in ogni dove Maria [Promessi Sposi
XXXIV].
22 In mezzo al dolore e alla morte degli appestati, trovò invece Gionata Ben
Uzziel, che aveva sfidato i comandi di Erode ed era giunto in città per
soccorrere i moribondi; egli stesso era già segnato dai sintomi del contagio.
23 Gli chiese se avesse notizie di Maria. Egli non seppe dargliene, ma lo invitò
a cercarla con fiducia in ogni dove. Preso da improvvisa ira, Giuseppe gli
rispose: "Vado: guarderò, cercherò, in un luogo, nell'altro, e poi ancora, per
tutta la Valle della Geenna, in lungo e in largo; e se non la trovo..."
24 "Se non la trovi?" ribatté il Dottore della Legge, con un'aria di serietà e
d'aspettativa, e con uno sguardo che ammoniva. Ma Giuseppe, a cui la rabbia
riaccesa dal dubbio aveva fatto perdere il lume degli occhi, ripetè e seguitò:
25 "Se non la trovo, vedrò di trovare qualchedun altro. O in questa Valle, o nel
suo scellerato palazzo di Sefforis, o in capo al mondo, o sul fondo dello Sheol,
lo troverò quel furfante che ci ha separati; quel birbone che, se non fosse
stato lui, Maria sarebbe mia, da venti mesi; e se eravamo destinati a morire,
almeno saremmo morti insieme.
26 E se lo trovo," continuò Giuseppe, cieco affatto dalla collera, "se l'angelo
di Dio che ha portato la peste non ha già fatto giustizia... Non è più il tempo
che un poltrone, coi suoi pretoriani d'intorno, possa metter la gente alla
disperazione, e ridersene: è venuto un tempo che gli uomini s'incontrino a viso
a viso: e... la farò io la giustizia!"
27 "Sciagurato!" gridò rabbi Gionata, con una voce che aveva ripreso tutta
l'antica pienezza e sonorità: "Guarda, sciagurato!" E mentre con una mano
stringeva e scoteva forte il braccio di Giuseppe, girava l'altra davanti a sè,
accennando quanto più poteva della dolorosa scena all'intorno.
28 "Guarda chi è Colui che gastiga! Colui che giudica, e non è giudicato! Colui
che flagella e che perdona! Ma tu, verme della terra, tu vuoi far giustizia! Tu
lo sai, tu, quale sia la giustizia! Vattene, sciagurato, vattene!
29 Sì, io ho sperato che, prima della mia morte, il Dio d'Israele
m'avrebbe data questa consolazione di sentir che la mia povera Maria fosse viva;
forse di vederla, e di sentirmi prometter da lei che rivolgerebbe una preghiera
là verso quella tomba dov'io sarò.
30 Ma tu m'hai levata la mia speranza. Il Signore non l'ha lasciata in terra per
te; e tu, certo, non hai l'ardire di crederti degno che Dio pensi a consolarti.
Avrà pensato a lei, perchè lei è una di quell'anime a cui son riservate le
consolazioni eterne. Vattene! non ho più tempo di darti retta."
31 E, così dicendo, rigettò da sè il braccio di Giuseppe, e si mosse verso una
capanna d'infermi. Giuseppe gli corse dietro, ma egli lo respinse: "Ardiresti tu
di pretendere ch'io rubassi il tempo a questi afflitti, i quali aspettano ch'io
parli loro del perdono di Dio, per ascoltar le tue voci di rabbia, i tuoi
proponimenti di vendetta?
32 T'ho ascoltato quando chiedevi consolazione e aiuto; ho lasciata la carità
per la carità; ma ora tu hai la tua vendetta in cuore: che vuoi da me? vattene.
Ne ho visti morire qui degli offesi che perdonavano; degli offensori che
gemevano di non potersi umiliare davanti all'offeso: ho pianto con gli uni e con
gli altri; ma con te che ho da fare?"
33 "Ah gli perdono! gli perdono davvero, gli perdono per sempre!" esclamò il
giovane. Convinto che il suo pentimento fosse sincero, Gionata lo condusse in
una capanna e gli mostrò l'insolente Aristobulo, anch'egli malato di peste,
ormai morente e privo di ragione. Giuseppe si inginocchiò accanto a lui, e lo
perdonò di tutto cuore [Promessi Sposi XXXV].
Giuseppe di Nazaret tra gli appestati nella Valle della Geenna (immagine creata con BING)
Capitolo 7
Ritorno a Nazaret
1 Ripartito di là, Giuseppe trovò finalmente Maria che, miracolosamente, non si
era mai malata di peste, e sembrava nata immune al contagio; per questo si
prodigava per aiutare i suoi fratelli più sfortunati, inclusi i suoi genitori,
che si erano ammalati ma ora erano prossimi alla guarigione.
2 Quando lo vide, Maria tentò di fuggire, poiché non voleva venire meno al
voto che aveva pronunciato quando si riteneva in pericolo di vita.
3 Giuseppe allora chiamò Gionata Ben Uzziel, il quale prima la riabbracciò con
affetto, poi la convinse che la sua promessa non era valida, essendo in
conflitto con la promessa precedentemente fatta a Giuseppe di sposarlo;
4 matrimonio, questo, che era voluto da Dio, visti i tanti interventi diretti
dell'angelo Gabriele in loro difesa. Tuttavia, siccome ogni promessa è debito,
il saggio Gionata promose ai due giovani un'alternativa:
5 si sarebbero sposati ma sarebbero vissuti in castità, alla maniera degli
Esseni presso cui Maria era stata ospitata. Giuseppe, che aveva degli amici
Esseni ed ammirava il loro stile di vita, si disse d'accordo, e la promessa di
matrimonio fu solennemente rinnovata [Promessi Sposi
XXXVI].
6 Subito l'angelo l'angelo Gabriele corse davanti al trono di Dio per informarLo
del lieto fine dell'avventura. Già l'angelo della morta aveva stesa la mano su
Gerusalemme per distruggerla, ma ecco il Signore si pentì di quel male e disse
all'angelo che distruggeva il popolo: "Basta; ritira ora la mano!"
[2Sam 24,16]
7 Immediatamente il Signore fece cadere sulla Terra una pioggia purificatrice,
la quale annunciò la prossima fine della pestilenza.
8 Quando il contagio ebbe termine, Erode decise di chiudere i conti con Silleo.
Il re fece gli usuali sacrifici e guidò contro i Nabatei un'armata tenuta
prudenzialmente in Perea, regione risparmiata dalla pestilenza.
9 Pose l'accampamento vicino al nemico, lo battè in alcune scaramucce e, quando
osservò che le forze del nemico avrebbero fatto tutto tranne che entrare in
battaglia, irruppe con tutto il coraggio per abbattere le sue palizzate,
avvicinarsi il più possibile al loro accampamento e attaccarlo.
10 Ne seguì una battaglia ostinata dove caddero da ambo le parti. Ma alla fine i
Nabatei furono vinti e incominciarono a fuggire, parte calpestati parte dalla
moltitudine che incalzava con forza disordinata e parte uccisi dalle proprie
armi. I morti furono almeno cinquemila, i superstiti furono assediati nelle loro
piazzeforti.
11 Trovandosi in questa situazione, Silleo mandò un'ambasciata a Erode, in primo
luogo per discutere una tregua, in secondo luogo, siccome erano tormentati dalla
sete, dichiarandosi pronti ad accettare qualsiasi condizione pur di ottenere, al
presente, la sicurezza di uno scampo.
12 Ma re Erode non accolse gli ambasciatori né accettò il riscatto per i
prigionieri, né altra proposta moderata, perché era ferocemente determinato a
volere vendetta per le azioni empie da loro commesse contro i Giudei). Perciò i
Nabatei furono costretti ad arrendersi per essere trattati come schiavi.
13 Dopo avere sopportato una simile sconfitta, i Nabatei persero la presunzione
che avevano prima, ammirarono le doti strategiche di Erode, messe in evidenza
dalle loro disavventure, si sottomisero a lui.
14 Erode fece uccidere Silleo e, d'intesa con Cesare Augusto, nominò proprio
Areta nuovo Re dei Nabatei come suo cliente, con il nome di Areta IV
Filopatore, perchè amava Rabbi Hillel come se fosse suo padre. Iniziava così il lungo regno di
quest'ultimo, che sarebbe stato ricordato come un'era di giustizia e buon
governo.
15 E così, considerandosi sufficientemente degno di attribuirsi grandi
onori per i suoi successi, Erode ritornò a casa dopo avere conquistato nuovo
prestigio da questa impresa militare [Giuseppe Flavio, Antichità
Giudaiche 15,147-160].
16 Tornato a Gerusalemme, e appreso che Aristobulo era morto di peste, Erode
fece strangolare suo figlio Alessandro per aver causato, con la sua stolida
scommessa con il fratello, le scorrerie e le tre settimane di pestilenza che
avevano devastato il suo regno.
17 Per questo Cesare Augusto ebbe a dire che era meglio essere il maiale che il
figlio di Erode, dato che il sovrano seguiva i dettami della legge mosaica e non
si cibava di carne di maiale [Macrobio, Saturnalia 2].
18 Tutte le decisioni politiche prese da Alessandro e Aristobulo vennero
annullate, e così anche la condanna in contumacia inflitta a Giuseppe il
carpentiere cadde nel dimenticatoio.
19 Così infatti si compiva la parola del profeta: « Questa è la tua sorte, la
parte che ti ho destinato, perché mi hai dimenticato e hai confidato nella
menzogna! » [Geremia 13,25]
20 Quanto a Salampsio, la sua relazione con Lisania divenne di pubblico dominio,
ed Erode la fece arrestare e sbattere nella fortezza di Macheronte, dove sarebbe
rimasta per quattordici anni.
21 Purtroppo Gionata Ben Uzziel non sopravvisse alla pestilenza. Ancor oggi scapoli e nubili visitano la sua tomba ad
Amuka, in Galilea, per pregare di accasarsi, memori della parte che egli
ebbe nelle vicende di Giuseppe e Maria.
22 Del morbo fu
vittima anche Menachem l'Esseno: convinto che la peste fosse provocata dal
fetore pestilenziale che, dal profondo dello Sheol, era emerso attraverso alcune
spaccature della roccia per avvelenare
la Creazione divina,
23 non prese alcuna precauzione contro il dilagare del morbo, gli s'attaccò e
andò a letto a morire, come un eroe di Euripide, convinto di essere stato
falciato dal respiro delle creature demoniache che abitavano l'Abisso e se la ridevano della disperazione degli
uomini.
24 Di Anania ben Hezekiah ben Garon, invece, quando si dice ch'era morto, si è
detto tutto. Le sue spoglie riposano da qualche parte nella Valle della Geenna.
25 Finita la pestilenza, Giuseppe, Maria, Anna e Gioacchino fecero finalmente
ritorno a Nazaret, e qui, siccome il paese era stato semidistrutto dalle armate
di Silleo, Giuseppe il carpentiere ebbe moltissimo lavoro e poté mantenere anche
la famiglia della sua fidanzata [Promessi Sposi XXXVII].
26 Nel terzo mese dopo la fine della pestilenza, Maria prese la brocca ed uscì
ad attingere acqua. Giunse al pozzo, ed ecco udì una voce che diceva: « Ti
saluto, o piena di grazia, il Signore è con te ».
27 All'udire queste parole ella rimase turbata, si guardò intorno, a destra e a
sinistra, per capire da dove venisse la voce, ma non vide nessuno. Tutta
tremante se ne andò a casa, posò la brocca, si sedette sul suo scanno e filava
[Protovangelo di Giacomo 10,1-3].
28 Ed ecco un giovane bellissimo entrò da lei e ripetè: "Ti saluto, o piena di
grazia, il Signore è con te." Maria comprese che egli era l'angelo Gabriele e
gli si prostrò dinanzi, ma egli la costrinse a rialzarsi, si inginocchiò davanti
a lei e riprese:
29 "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai un
figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù, poiché salverà il suo
popolo dai suoi peccati.
30 Sarà grande, e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il
trono di Davide suo padre, egli regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il
suo regno non avrà fine."
31 Allora Maria domandò all'angelo: "Come sarà possibile questo? Ho promesso che
non conoscerò mai uomo, e non posso rimangiarmi la parola data."
32 Le rispose l'angelo: "Non così, Maria! Lo Spirito Santo scenderà su di te, su
di te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà
dunque Santo e chiamato Figlio di Dio.
33 Vedi, Iddio ha voluto che sposassi Giuseppe, nonostante tanti nemici e tante
traversie ti volessero separare da lui: nulla è impossibile a Dio."
34 Allora Maria rispose: "Eccomi, sono la serva del Signore: avvenga di me
quello che hai detto." E l'angelo, dopo essersi prostato fino a terra, partì da
lei [Lc 1,26-38].
Rabbi Hillel venera il Bambino Gesù... o forse è un anziano Alessandro Manzoni (immagine creata con BING)
Capitolo 8
Finalmente sposi
1 Quando giunse per lei il sesto mese, ecco che Giuseppe tornò da Cafarnao, dove
aveva contributo a ricostruire la locale sinagoga e, entrato in casa, la trovò
incinta. Allora si stracciò le vesti, si gettò a terra sul sacco e pianse
amaramente, dicendo:
2 "Con quale faccia guarderò il Signore, Dio mio, che ci ha salvati dalle mani
di Aristobulo? Che preghiera innalzerò io per questa ragazza? L'ho ricevuta
vergine in mia custodia, e io non l'ho custodita. Chi è che mi ha insidiato? Chi
ha commesso questa disonestà in casa mia, contaminando la vergine?
3 Si è forse ripetuta per me la storia di Adamo? Quando, infatti, Adamo era
distratto, venne il serpente, trovò Eva da sola e la sedusse: così è accaduto
anche a me!"
4 Subito dopo chiese a Maria: "Prediletta da Dio e dai Suoi angeli, perché hai
fatto questo e ti sei dimenticata del Signore, tuo Dio, che ti aveva salvato
dalle mani di Aristobulo e di Alessandro? Perché hai avvilito l'anima tua?"
5 Ella pianse amaramente, dicendo: "Io non ho infranto il mio voto: sono
immacolata e non conosco uomo!" Giuseppe insistette: "Da dove viene dunque colui
che è nel tuo ventre?"
6 Rispose Maria: "Come è vero che vive il Signore, mio Dio, questi che è in me
non è opera della fornicazione di uomo mortale."
[Protovangelo di Giacomo 13,1-14,2]
7 A quel punto Giuseppe, che era giusto e non voleva ripudiarla, dopo aver tanto
fatto per riaverla con sé, ebbe molta paura, perché se la avesse denunziata,
ella sarebbe stata lapidata come adultera. Decise allora di licenziarla in
segreto.
8 Mentre però stava pensando a queste cose, lo sorprese la notte e si
addormentò. Ed ecco che gli apparve in sogno l'angelo Gabriele e gli disse:
9 "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua
sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella
partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo
dai suoi peccati."
10 Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore
per mezzo del profeta Isaia: « Ecco, la vergine concepirà e partorirà un
figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con Noi. »
[Isaia 7,14]
11 Destatosi dal sonno, Giuseppe glorificò il Dio di Israele che gli aveva
concesso questo privilegio, fece come gli aveva ordinato l'angelo e prese con sé
la sua fidanzata [Matteo 1,19-24]. Avendo ricevuto
prove certe che Aristobulo e i suoi birri erano morti di peste, rabbi Zaccaria
acconsentì finalmente a celebrare le nozze tra i due giovani.
12 Finalmente venne quel benedetto giorno: i due promessi andarono, con
sicurezza trionfale, proprio a quella sinagoga, dove, proprio per bocca di rabbi
Zaccaria, furono sposi.
13 "Ah!" diceva poi tra sè rabbi Zaccaria, tornato a casa: "Se la peste facesse
sempre e per tutto le cose in questa maniera, sarebbe proprio peccato il dirne
male: quasi quasi ce ne vorrebbe una, ogni generazione; e si potrebbe stare a
patti d'averla; ma a patto di guarirne!"
14 In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il
censimento di tutta la Terra. Questo primo censimento fu fatto quando
Publio Sulpicio Quirinio era governatore della Siria per la prima volta
[dal 9 al 7 a.C.; Dione
Cassio, Storia Romana LV,10].
15 Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe,
che era della Casa di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in
Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con
Maria sua sposa, che era incinta.
16 Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del
parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo
depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo [Matteo 1,25;
Luca 2,1-7].
17 In tal modo si adempì ciò che era stato detto dal Profeta: « E tu,
Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da
te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele. »
[Michea 5,1; Matteo 2,5-6]
18 Quando furono
passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome
Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima di essere concepito nel
grembo della madre [Luca 2,21].
19 Giunto il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè,
Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore,
come è scritto nella Legge del Signore: « ogni maschio primogenito sarà sacro
al Signore » [Esodo 13,12],
20 e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come
prescrive la Legge del Signore [Levitico 1,14].
21 L'angelo Gabriele apparve anche a Rabbi Hillel, che aspettava il conforto d'Israele,
e gli preannunziò che, pur essendo già molto avanti con gli anni, come premio
per ciò che aveva fatto per Areta, per Maria e per Giuseppe, egli non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto
il Messia del Signore.
22 Mosso dunque dallo Spirito, quel giorno Hillel si recò al Tempio proprio mentre i genitori vi
portavano il Bambino Gesù per adempiere la Legge. Egli riconobbe i due giovani,
si avvicinò loro, prese tra le braccia il Bambino, fu colmo di Spirito Santo e
benedisse Dio:
23 "Ora lascia, o Signore, che il Tuo servo vada in pace secondo la Tua
parola; perché i miei occhi hanno visto la Tua salvezza, preparata da Te davanti
a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del Tuo popolo Israele."
24 Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.
Hillel li benedisse e parlò a Maria, sua madre: "Egli è qui per la rovina e
la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano
svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima."
25 C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di
Aser. Aveva ottantaquattro anni e non si allontanava mai dal Tempio, servendo
Dio notte e giorno con digiuni e preghiere.
26 Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del
Bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
27 Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, Maria e Giuseppe
fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si
fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui
[Luca 2,21-40].
28 Ora che Iddio sembrava aver messo a posto ogni cosa, il bello era sentire
Giuseppe raccontare le sue avventure: e finiva sempre col dire le gran cose che
ci aveva imparate, per governarsi meglio in avvenire.
29 "Ho imparato," diceva, "a non mettermi nei tumulti: ho imparato a non
predicare in piazza: ho imparato a non alzar troppo il gomito: ho imparato a non
tenere in mano il martello delle porte, quando c'è lì d'intorno gente che ha la
testa calda: ho imparato a confidare maggiormente in Dio." E cent'altre cose.
30 Sua moglie serbava tutte queste cose nel suo cuore
[Luca 2,51]. A forza però di sentir ripetere la stessa canzone, e di
pensarci sopra ogni volta, Maria replicò un giorno a suo marito moralista: "E
io, cosa vuoi che abbia imparato? Io non sono andata a cercare i guai: son
loro che sono venuti a cercar me.
31 Quando non vorresti dire," aggiunse, soavemente sorridendo, "che il mio
sproposito sia stato quello di volerti bene, e di promettermi a te.
32 Giuseppe, sulle prime, rimase impicciato. Dopo un lungo dibattere e cercare
insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perchè ci si è dato
cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli
lontani;
33 e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li
raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione,
benchè trovata da povera gente, mi è parsa così giusta, che ho pensato di
metterla qui, come la morale di tutto il mio Vangelo.
34 Il quale, se non v'è dispiaciuto affatto, vogliatene bene un pochino a chi
l'ha scritto, oltre che a Dio che me lo ha ispirato. Ma se invece
fossi riuscito ad annoiarvi, credete che non s'è fatto apposta
[Promessi Sposi XXXVIII].
.
Questo è il commento in proposito di Bhrihskwobhloukstroy:
A proposito della Semitizzazione: la
Storia reale è stata di fatto in gran parte una sorta di semitizzazione
dell’Indoeuropa (e altro), per cui man mano che si procede nel tempo si trova
una cultura sempre più ‘semitizzata’.
Come abbiamo visto, i Promessi Sposi risalgono a una mitologia indoeuropea
contenuta anche nel Rāmāyăṇăm, ma fra gli antecedenti preistorici e la versione
antiasburgica del Manzoni sono intervenuti almeno quattro processi di
Semitizzazione (fenicio, siriaco, giudaico-cristiano, pontificio) e quindi
l’ucronia diventa quasi un completamento della Storia anziché un suo
ribaltamento.
Mi spiego. Durante l’Impero Romano, oltre alla componente fenicio-punica, una
notevole parte – benché non maggioritaria – della popolazione urbana era di
origine servile e, al suo interno, in particolare siriaca.
Ognuna di queste quattro fasi ha determinato un processo di semitizzazione
(strutturale) delle lingue indoeuropee (non limitato a quelle di area
mediterranea); precedente a queste quattro è stata la dinamica interlinguistica
protostorica vicino-orientale che ha contribuito a rendere definitiva la rottura
della (relativa) unità linguistica indoeuropea e che si osserva soprattutto
nelle classi anatolica e ’īrānica, ma si è ripercossa fino al celtico e
all’indoario.
Beninteso, questa Semitizzazione non è partita dal semitico preistorico, ma da
lingue semitiche storicamente ormai già ben delineate (anzitutto l’accadico, per
quantp pure l’eblaitico e i suoi vicini possano aver avuto un ruolo maggiore di
quanto appaia dalle fonti) e poi soprattutto appunto dal fenicio-punico,
dall’aramaico-siriaco e, in misura minore (se non sul piano culturale),
dall’ebraico (molto meno dall’arabo, se non nel Vicino e Medio Oriente).
L’Ucronia sostituisce alla Realtà – conservandone le fattezze – un’Alternativa
radicalmente diversa; la Semitizzazione rientra in questa categoria e posso
garantire che nel caso del Manzoni è molto minore che in quelli del Măhābhārătăḥ
e del Rāmâyăṇăm, perché questi ultimi due ci sono pervenuti in una Cultura che
direttamente continua quella indoeuropea preistorica nella quale erano stati
redatti, mentre i Promessi Sposi sono l’ultima rielaborazione, in veste già
largamente ‘semitizzata’, di miti di cui è più laborioso recuperare la forma
primitiva.
La Semitizzazione è un fenomeno storico e queste ucronie – come le precedenti
consimili – sono in un certo senso ‘più storiche che la Storia’, come lo
potrebbe essere un’ucronia in cui, dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Germania
e il Giappone (nonché tutti i Tedeschi e i Giapponesi) sparissero senza residui
dalla faccia della Terra.
Com’è naturale, ogni ucronia dice molto anche sull’Ucronista che la scrive. In
passato mi ero un po’ sbilanciato a pregare il Comandante di non affaticarsi e
di non prendere le proposte altrui come ordini da eseguire a ogni costo; mi è
però stato fatto convincentemente capire che, al di là dell’occasione, si
trattava di una profonda necessità interiore. Me ne sono convinto e adesso mi
pare di riconoscere, in queste grandi opere – insisto – (anche) letterarie,
l’appassionato tentativo di recuperare le certezze di un’epoca felice in cui la
Fede Cattolica e quindi Cristiana, col suo fondamento biblico (ebraico), poteva
rappresentare la premessa del Paradiso sulla Terra.
Sul piano formale, anche i Promessi Sposi rientrano in questa impostazione, ma è
innegabile che si prestino pure a una controlettura all’insegna di un Pessimismo
cosmico che non lascia speranza: è chiaro che assumere anche questa
controlettura sarebbe inammissibile nella Semitizzazione (se vale quanto sopra),
così come risulterebbe altrettanto stravolta in un’eventuale restaurazione del
mito indoeuropeo che potrei proporre sulla base dello stesso romanzo, perché il
latente Pessimismo nero manzoniano è in ultima analisi innescato dalla
contraddizione fra Mito indoeuropeo e Semitizzazione già largamente avvenuta col
Cristianesimo (un Nichilismo perfino e di gran lunga più negativo è nato, come
ahinoi sappiamo, laddove la Semitizzazione – potenzialmente a oltranza –
intrinseca alla Riforma Evangelica si è innestata sul Mito formativo della
Nazione Indoeuropea).
.
E Paolo Maltagliati aggiunge:
Si può leggere i Promessi Sposi anche, volendo, come un grande e fantastico saggio sull'amore (e la versione con Giuseppe e Maria lo completerebbe mirabilmente)! Nella mia personalissima interpretazione dei Promessi Sposi come scala amoris, il punto più alto è duplice. Chiaramente dal punto di vista della catarsi dei protagonisti, per Renzo il punto più alto è la comprensione del senso dell'amore di Lucia, la quale ama tutta l'esistenza donatale da Dio, compresi i famosi 'guai', passaggio che può essere compiuto solo attraverso il perdono di Don Rodrigo al Lazzaretto, attraverso fra Cristoforo-Virgilio. Da parte di Lucia è lo scioglimento del voto, ovvero che il corpo (nel senso di Renzo) è compimento dell'amore e non tomba dell'anima. Potremmo ben dire che il finale è tanto anticlimatico (rispetto al climax della scena al lazzaretto) quanto però necessario. solo apparentemente, dunque, è un happy ending piccolo borghese. Come inserire Alcibiade nella conclusione del Simposio dopo che ha già parlato Socrate (e, dunque, apparentemente non servirebbe altro).
Tuttavia, il picco vero (cioé per quel che concerne Manzoni) della scala amoris è raggiunto durante la peste, attraverso personaggi narginalissimi, che guardacaso, ai fini della trama sarebbero del tutto superflui, ma il cui fine catartico è proprio per l'animo di Manzoni. L'abisso della piccolezza nella fine (crudele perché totalmente arida di compassione, anzi, piena di scherno) di Don Ferrante. Il vertice del sublime nell'amore della madre di Cecilia, che, è vero, è uno dei pezzi emotivamente più toccanti della letteratura mondiale, ma è il compimento dell'amore nella sua forma più totale: totale perché non è solo la spirituale certezza della salvezza dell'anima della bambina, non esplicitata, ma comunque evidente, ma anche carnalissima, per quel rispetto al corpo come tempio dell'anima che risalta dai piccoli gesti della madre. In quelle due scene Manzoni giunge alla sua personale comprensione di cosa è e cosa non è Eros... E dunque alla sua personale salvezza dallo smarrimento, che è poi necessaria per far concludere il cammimo ai due protagonisti.
.
Anche Findarato Anàrion ha voluto cimentarsi con questo gioco:
E se i fratelli Grimm fossero stati ebrei?
Ho chiesto all’Intelligenza artificiale di riscrivere un libro della Bibbia come se fosse il lavoro di Jacob e Wilhelm Grimm. Il risultato è stato un riassunto del Libro di Tobia, con introduzione e finale in stile fiabesco:
C'era una volta, in una terra lontana chiamata Nínive, un uomo giusto e devoto di nome Tobit. Tobit era un uomo retto che seguiva fedelmente i precetti del Signore, ma la sua fortuna non fu sempre benevola. Un giorno, mentre seppelliva i morti, una disgrazia lo colpì: degli escrementi di uccello gli caddero negli occhi, rendendolo cieco.
Nel frattempo, in un villaggio non lontano, viveva una giovane donna di nome Sara. Ella era afflitta da una maledizione terribile: ogni volta che si sposava, un demone di nome Asmodeo uccideva il suo marito nella notte delle nozze. Sette mariti avevano già trovato la morte in questo modo, e Sara viveva disperata, pregando giorno e notte per la sua liberazione.
Tobit, nella sua cecità, pregava incessantemente per il suo figlio Tobia, un giovane forte e coraggioso. Un giorno, Tobit chiamò Tobia e gli disse: "Figlio mio, prendi con te del denaro che ho lasciato in Media presso Gabael. Questo denaro ci sosterrà nel nostro bisogno." Tobia, rispettoso e obbediente, si mise in viaggio. Durante il suo cammino, Tobia incontrò un misterioso viandante di nome Raffaele. Questi non era altro che un angelo inviato da Dio per aiutare Tobia nella sua missione.
Raffaele si unì a lui e lo guidò lungo il percorso, insegnandogli molte cose. Mentre attraversavano un fiume, Tobia vide un grande pesce e, seguendo il consiglio di Raffaele, lo catturò. "Apri il pesce," disse Raffaele, "e conserva il cuore, il fegato e la bile. Ti serviranno per scacciare i demoni e curare le malattie."
Arrivarono infine a Media e trovarono Gabael, che restituì il denaro a Tobia. Qui, Raffaele suggerì a Tobia di prendere in moglie Sara, la giovane afflitta dal demone. Tobia, seguendo il consiglio dell'angelo, bruciò il cuore e il fegato del pesce durante la notte delle nozze. Il fumo sacro scacciò Asmodeo, liberando Sara dalla sua maledizione.
Tobia e Sara tornarono a Nínive, dove la loro felicità divenne ancora più grande. Raffaele, prima di congedarsi, rivelò la sua vera identità, spiegando che Dio aveva ascoltato le preghiere di Tobit e Sara, inviando lui come aiuto. Utilizzando la bile del pesce, Tobia curò gli occhi di suo padre, restituendogli la vista.
E così, Tobit visse il resto dei suoi giorni nella gioia, circondato dall'amore della sua famiglia e dalla gratitudine per le benedizioni ricevute. Tobia e Sara vissero felici e contenti, ricordando sempre la guida e la protezione divina che li aveva condotti attraverso le loro avventure.
E la loro storia, tramandata di generazione in generazione, continuò a risuonare come un'eco di fede e speranza nei cuori di tutti.
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Tommaso Mazzoni commenta:
Buona scelta. Il libro di Tobia presenta tutti gli stilemi della fiaba.
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Fanta-Cosette
L'idea è di Agnese Pagliarani:
Fantine muore in mezzo alla strada o in prigione, senza aver avuto la possibilità di chiedere a Jean Valjean di prendere con sé la figlia. Come cambia la vita di Cosette, ormai condannata a fare da sguattera ai Thénardier? Imparerà da loro l'arte del furto? Si opporrà e scapperà?
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Le risponde Enrica S.:
Dunque, a me sono venute in mente queste idee:
a) I Thénardier con Cosette al seguito sfuggono alla giustizia francese fuggendo in Germania. Qui Cosette incontra uno studente di filosofia, un certo Karl Marx, che si innamora di lei e la sposa. Anziché con Engels, Marx fonderà il comunismo insieme all'amata Cosette, che diventerà la prima pasionaria comunista della storia. Oggi a Cuba vedremo le statue di Marx e Thénardier al posto di quelle di Marx ed Engels: Cuore e Martello, più che Falce e Martello ^__^
b) I Thénardier con Cosette fuggono in Inghilterra. Qui Cosette sfugge loro, conosce un altro ragazzino diseredato chiamato Oliver Twist, condivide le sue disavventure ed alla fine è adottata assieme ad Oliver dal signor Brownlow. Una volta cresciuta sposerà Oliver Twist, e i due vivranno felici e contenti. Secondo lieto fine.
c) I Thénardier con Cosette fuggono in Spagna. Qui Cosette riesce a scappare e conosce Diego de la Vega, figlio di un ricco possidente della California. Questi si innamora e la porta con sé in patria, ma là i due scoprono che la ricca colonia è tiranneggiata dal crudele ed avido Capitano Monastario. Diego decide allora di fingersi un bellimbusto smidollato, per poi vestire di notte i panni di Zorro, l'inafferrabile giustiziere mascherato, mentre Cosette si finge sordomuta e dice di essere la sua cameriera. In tal modo Zorro avrà una "spalla" femminile, e con la spada inciderà sugli alberi delle Zeta dentro dei cuori...
d) I Thénardier con Cosette fuggono in Russia. Qui vendono Cosette al ricco Fëdor Pavlovič Karamazov, che la tiene in casa come domestica. Suo figlio Dimitrij si innamora di lei anziché di Katerina Ivanovna e di Grušenka (anzi, Cosette aiuterà quest'ultima a riscattarsi), e quando il vecchio Fëdor è ucciso da Smerdjakov, è quest'ultimo a finire in Siberia. Fiori d'arancio e lieto fine.
e) I Thénardier con Cosette fuggono in Sudafrica, nel Transvaal. Qui Cosette incontra il vedovo Allan Quatermain, famoso cacciatore bianco, e quando sir Henry Curtis assolda Quatermain per cercare suo fratello George, scomparso anni prima, Cosette chiede ad Allan di portarla con sé per sfuggire ai due Thénardier. Alla fine dell'avventura, nella terra dei Kukuana, i due scopriranno le mitiche miniere di Re Salomone. Cosette convincerà Allan a non tornare in Transvaal, dove la aspettano i Thénardier, ma a viaggiare per l'Africa con la loro parte di diamanti in cerca di nuove avventure. A Zanzibar i due incontrano il dottor Samuel Ferguson, che li convince a partecipare alla sua spedizione: Cinque Settimane in Pallone...
f) I Thénardier con Cosette fuggono in Estremo Oriente. Un certo Giuseppe Garibaldi, che si trova laggiù con il suo brigantino dopo aver perso Anita de Jèsus, la vede e la riscatta dai Thénardier, quindi la sposa. Cosette (Cosetta) diventerà un'eroina del Risorgimento, essendo l'unica donna a partecipare alla Spedizione dei Mille, e sarà citata anche nell'Inno di Garibaldi: «Ancora d'Italia minaccian gli spaldi: / Cosetta, ritorna col tuo Garibaldi!... »
g) I Thénardier con Cosette fuggono negli Stati Uniti. Cosette sfugge loro e viene adottata da una famiglia di neri, mentre Monsieur Thénardier diventa schiavista. Cosette conosce un certo John Brown, lo sposa e diventa con lui una attivista per la liberazione dei neri. Nel 1859 John Brown sarà impiccato, e per lui Cosette comporrà la canzone "Glory, glory, hallelujah..." Cosette invece sarà condannata all'ergastolo, ma liberata dopo la guerra di Secessione e diverrà un'eroina per neri ed antischiavisti.
h) I Thénardier con Cosette fuggono in Italia, precisamente a Milano. La nota un certo Alessandro Manzoni, che prende in odio i Thénardier, la riscatta e la adotta come figlia sua. Dato che nessuno dei suoi numerosi figli gli sopravvivrà, sarà lei a rimanergli vicino fino alla fine. In suo onore Sciùr Lisànder chiamerà il Romanzo "Renzo e Cosetta". Più immortale di così... ^__^
Se me ne vengono in mente delle altre, te le scrivo :)
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E il grande Perchè No? aggiunge:
Questo é davvero un magnifico divertissement fantaletterario! Mi avete fatto ridere un sacco, sopratutto pensando a Cosette e Karl Marx che raggiunge forse al meglio l'idea originale di Hugo. Dopotutto Cosette é solo la dimostrazione che una buona educazione e la prosperità possono fare di una ragazza miserabile una grande donna. Per Fantine vale il contrario, quanto una persona onesta può essere corrotta dalla povertà, e la stessa cosa dicasi per i Thénardier in un'altra maniera. Non sono malvagi di natura, ma solo per colpa di una vita di sforzi per sopravvivere. Hugo scrivendo questo era in piena conversione a idee vicine alla socialdemocrazia del XX secolo. Ipso facto: una Cosette alternativa deve essere dedicata al progresso sociale e legata a delle figure di rivoluzionari o di riformatori.
i) E se i Thénardier e Cosette emigrano piuttosto nel vecchio West? Chissà, Cosette potrebbe incontrare Wild Bill Hickock, diventa un'infallibile pistolera e sarà ricordata come Calamity Cosette!
l) Spingiamo alle estreme conseguenze il gioco della fantaletteratura, Cosette e i Thénardier emigrano in Australia, ma la nave viene affondata e Cosette viene salvata da un enigmatico personaggio dai tratti somatici indiani, che la accoglie sul suo sottomarino, il Nautilus...
Possiamo continuare a lungo cosi!
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Lord Wilmore gli regge il sacco:
OK, proseguiamo il gioco del Grande Perchè No?:
m) I Thénardier tentano di far prostituire Cosette, ma questa scappa, e mentre fugge in una selva oscura tallonata dai suoi aguzzini, è improvvisamente avvolta da scintillii e si ritrova a bordo di un'astronave. E' la nave del vulcaniano Sarek, tornata indietro nel tempo per esplorare il passato della Terra e della Federazione Unita dei Pianeti. Tornata su Vulcano, Sarek la sposa e da loro nascerà un certo Mister Spock...
n) I Thénardier cercano di emigrare in Canada, ma la loro nave fa naufragio e solo Cosette si salva. Su una scialuppa imbocca per caso la Via Diritta e si ritrova a Tol Eressea, dove conosce re Elrond che le narra la gloriosa storia degli Elfi e dei Valar. Molti anni dopo, con il permesso dei Valar, tornerà nel Mondo degli Uomini e da anziana farà da governante a un bambino, un certo John Ronald Reuel Tolkien, cui racconterà tutto ciò che ha appreso in Valinor, con le conseguenze che sappiamo...
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A questo punto, il 10 febbraio 2022, William Riker ci ha inviato quanto segue:
In memoria del grandissimo Mino Milani, scomparso oggi.
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Fanta-Stil Novo: il sommo Uguccione e Dante da Firenze!
Tocca a Renato Balduzzi proporre un interessante crossover:
Nella nostra Timeline, nel corso del Duecento vi furono due importanti movimenti letterari autoctoni dell'Italia: lo Stil Novo toscano e la Poesia Didattica Lombardo-veneta. Dalla prima nacque Dante Alighieri, che non ha bisogno di presentazione. Dalla seconda un certo Uguçon da Laodho (toscanizzato in Uguccione da Lodi), poeta che scrisse il Liber, poemetto ispirato alla letteratura francese didattico-religiosa di tipo escatologico.
Non ho potuto far altro che constatare un possibile crossover tra i due. Dante, nato in un ambiente di poesia "pura" che giunge a scrivere la Commedia, poema religioso. Uguccione, nato in un ambiente di poesia didattica, non riuscirà ad arrivare al livello di Dante non perché fosse intrinsecamente negato per la poesia, ma perché al suo Liber mancava quella componente estetica propria dello Stil Novo, che però potrebbe ripescare dalla grande tradizione provenzale.
Così, in questa Timeline, Uguçon da Laodho viene folgorato dall'ispirazione all'alba del 1300. Va a prendere carta e penna e inizia a scrivere i primi versi della sua opera straordinaria, il "Liber". In esso, un viaggio dalle profondità dell'Inferno al punto più alto del Paradiso compiuto da Uguccione medesimo. Il suo scopo, come quello di tutta la poesia didattica dell'epoca, è quello di ammonire i peccatori e invogliarli ad essere pii per godere dell'Eterna ricompensa. Purtroppo il suo sforzo primario, come tutte le opere di questo tipo, è una goccia nel mare, ma l'indubbia qualità letteraria lo consacrerà come Sommo Vate nonché padre della lingua lombarda.
Contemporaneamente, a Firenze un erudito di nome Dante Alighieri, dopo anni di stesure e cancellature, darà la luce a un poema didattico intitolato "Commedia", che però rimarrà letto esclusivamente nelle regioni di lingua toscana, per poi perdersi nell'oblio ed essere ad oggi conosciuto solo dai medievalisti interessati al caso della poesia didattica toscana.
Conseguenze storiche? La lingua lombarda diviene lingua letteraria, ovviamente in sordina, come accadde col toscano. Ma se effettivamente il toscano si trovava abbastanza vicino al centro dell'Italia, così non è per il lombardo. Nel sud potrebbero prevalere altri idiomi, come il siciliano o il napoletano.
Qualche conseguenza... noi ora parleremmo tutti la lingua dei Galli Insubri o,
come dice Foscolo ne "I Sepolcri", "delle Insubri nepoti". E
nel 1848 il letterato milanese Lisander Manzun, non convinto della prosa del suo romanzo storico "i espus prumis", decise di "indà a pucià i pagn indel Lamber", cioè andare nella campagna milanese per trarre ispirazione dalla lingua dei contadini che avrebbe inserito nel libro...
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Subito William Riker, ispirato, gli ribatte componendo il proemio dell'ucronico "Liber":
« In dal mezz da la
nostra ümana via
ma son truvòo in d'üna furesta oscüra,
ca la stràa giüsta mi l'avea smarìa.
Madòna, verament l'è roba düra
dì quant l'ea brüt quèl post ca gh'ea la in sü:
dümò a pensagh ma turna la paüra!
Mi a murivi a restagg un pò da pü,
ma par cüntav ul ben che dentar gh'ea
dirò d'i altar ropp ca g'ho vidü.
Mi som bom no da div l'ingress
dua l'ea,
tant a gh'ea sogn in del mument esatt
ca da drè la via driza rimanea... »
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Naturalmente non poteva mancare il contributo del piemontese Sandro Degiani:
Mica siamo da meno qui ai piedi delle maestose Alpi, all'ombra del Monviso! E se la lingua colta d'Italia diventasse il piemontese? Ecco come suonerebbe l'incipit del "Liber" in questo caso:
« Ed nostra vita squasi a
la mità
i son trovame 'nt na boschina scura
perchè ch'i jera perdume per la stra.
E a dive com'a l'è,
a l'è bin dura:
un bosch angavignà, sensa sentè;
mach a penseje am pija na paura... »
Ed il canto III:
« Da si as va ant na sità
piorosa,
da si as va 'nt el mai pasià dolor
da si as va fra gent bin escarosa.
Giustissia a l'ha bin
consija Nosgnor,
a l'ha fame la suprema podestà,
la gran sapiensa e 'l prim divin amor.
dednans a mi a-i é gnente
'd creà
se nen etern e mi eterna i son
Lassè minca speransa pen-a intrà.
Coste parole, brute per
dabon,
i l'hai vedduje scrite su na porta
e "Magister i son sasì 'd frisson"... »
(tratto da: La Divina Comedia, ed. Dant Alighieri, vira an lenga piemonteisa con consulensa e giustagi ed Beppe Burzio da Luis Ricard Piovano con ses anlustrassion originaj, ed Genio Gabanino, Torino [IT\ICCU\TO0\1078628]).
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Enrico Pizzo non vuole essere da meno:
Ecco invece l'incipit dell'"Omero in
Lombardia", dell'Abate Francesco Boaretti, 1788.
No amici miei, non si tratta di una versione dell'Iliade traslata in quel di
Milan, l'è semper un gran Milan, bensì della traduzione in Padovano del testo
originale Greco. Perché Lombardia mi state chiedendo?
Il Boaretti usa questo termine nel suo significato arcaico di toponimo per la
terraferma Veneta, in quanto anticamente parte della " Langobardia Maior ",
perciò quel "in Lombardia" ha il significato di "in Lombardo", dove per
"Lombardo" intende la lingua usata per la traduzione:
« Canto d'Achille, che
l'Eroe xe stà
Tra i primi el primo per vigor de brazzi,
Quela Rabbia famosa, che ga dà
Tanti spasemi a i Greghi e tanti impazzi;
Stramaledeta Rabbia, che ha mandà
A cenar con Pluton tanti Bravazzi.
Cussì Giove ordinava; e intanto i can
Magnava carne, e bevea sangue uman... »
Segnalo anche "El libro primo de la Iliade de Omero tradoto in Venezian " di Luigi De Giorgi, 1872, gustosa traduzione in Veneziano del primo libro dell'Iliade. Personalmente trovo che sia quella che finora ho apprezzato di più. Peccato solo che il De Giorgi non abbia concluso la sua opera...
« Contime vià, Caliope,
quela bile,
Tanto fatal per i infelici Achei,
Che ha chiapà el semidio Pelide Achile,
E i Greghi, co dolori e piagnistei,
Ga fato andar al Orco a mile a mile;
Chè pur tropo cussì el gran re dei Dei
El gaveva za belo destinà
Co Achile e Agamenòn ga barufà... »
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E ora, la parola a Tommaso Mazzoni:
Il Canto Centounesimo della Divina Commedia
Ecco, tristemente scendeva dall'alta e
benedetta cima il poeta che d'Enea aveva cantato;
aveva lasciato Dante in buone mani e ora mestamente tornava al suo eterno
sospirare;
Lentamente scese intrattenendosi a discorrere con le anime ma alla fine era
uscito dalla porta del Purgatorio.
L'angelo lo aveva guardato con uno sguardo
strano, a metà fra la commiserazione e la sorpresa,
giacché le anime di solito salgono, non scendono, ma poco ci potevano fare
entrambi; con passo pesante e tormentato, Virgilio giunse alla spiaggia; di li
sarebbe tornato al fiumiciattolo, e alla grotta vicino al centro della
terra, dalla quale si sarebbe potuto arrampicare. Lo aspettava una scalata lunga
e ben più amara di quella del Purgatorio, per tornare fra coloro che stavano
sospesi.
Ma ecco una mano si posò sulla spalla del poeta Mantovano; Virgilio si girò e vide Catone che lo guardava in maniera sorprendentemente paterna. "A quanto pare un nuovo editto è stato fatto davvero in Cielo, amico mio. Hai trovato grazia agli occhi del Signore."
Virgilio lo guardò con stupore e iniziò a
piangere e cadde in ginocchio. ma Catone lo aiutò a rialzarsi. "Vieni con me,
Publio Virgilio Marone, da oggi mi aiuterai nei miei compiti."
Virgilio lo seguì
piangendo ancora di gloria e in cuor suo ringraziò Beatrice che aveva rammentato
il suo nome all'Altissimo; Ora i suoi sospiri non sarebbero stati più di
rimpianto perchè nel suo cuore si formò per la prima volta in secoli la vera
gioia al pensiero delle stelle che ora attendevano anche lui.
(Il destino di Virgilio, dover tornare nel Limbo, mi aveva sempre lasciato intristito: non me ne voglia Dante, ma mi sono permesso di aggiungere questa postilla)
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Gli risponde William Riker:
Ehi, bella idea! Io avevo sempre pensato
che Virgilio era "sparito" dall'Eden ed era stato "teletrasportato" nel Limbo...
i miei complimenti!!!
Forse ci riesco a riscriverla in terzine:
« Tristemente
scendea dall'alta cima
benedetta, l'altissimo poeta
che Enea cantò ne la sua vita prima;
del viaggio giunto
all'ultima sua meta
Dante lasciato aveva in buone mani,
e omai scendea alla sede consueta.
Scendea là 've i
sospiri sono vani,
perchè per sempre fuor dal Paradiso
lo costringean gli editti sovrumani.
Fermato s'era per
guardar in viso
taluno dei purganti, e per parlare
con lui, e con più d'uno avea sorriso,
ma con cupa
mestizia il limitare
del monte che l'uom purga, aveva passato,
per tornar sulla spiaggia del gran mare.
Là, mesto, a mirar l'onde
era restato:
ahimé, dovea scontar l'eterno bando
sol perchè troppo presto egli era nato!
Ma mentre elli si stava
già calando
nella grotta dell'orrida fiumana
per risalire a Dite sospirando,
su per l'abisso della
follia umana,
sull'omero una mano si posò
dell'anima gentile mantovana.
Stupefatto, il poeta si
voltò;
ecco, Caton come si guarda un figlio
lo guardava, e benigno gli parlò:
"Davver mutato è in Ciel
novo consiglio,
alfine, o sommo vate degli eroi
che tra i prischi cantor non hai simiglio.
Tu profetasti a tutti
quanti noi
l'avvento della Vergine e del Regno
del Buon Pastore e degli agnelli Suoi.
Chi per grazia di Dio, non
per suo 'ngegno,
poté scrutar sì a fondo in seno a Dio,
è di vivere in Dio senz'altro degno."
Quei che cantò
d'Enea il contegno pio
cadde in ginocchio e pianse, comprendendo
che mai rivisto avrebbe il Limbo rio;
e l'Uticense
onesto, sorridendo
sotto le bianche piume, in piè lo trasse
e seco lo condusse, soggiungendo:
"Pensavi che
Beatrice ti obliasse
nella Candida Rosa, e nell'esilio
eterno a sospirare ti lasciasse?
Facean così gli déi
che infranser Ilio,
non l'anime di cui va Cristo fiero!
Il fato mio sarà anche il tuo, o Virgilio.
Gli spirti che
deposita il nocchiero
celeste sulla spiaggia, condurrai
sino al gradino bianco, al rosso e al nero.
E allor che i sette
angeli tu udrai
suonar le sette trombe del Gran Dì,
te pure avvolgeranno i divi rai."
Il mantovano vate
si sentì
qual uom che va al supplizio, e all'ultim'ora
graziato vien, e tutto ne gioì:
rivisto avrebbe
Dante, e Stazio ancora!
Al contrario di Ulisse, i lieti giri
del Ciel raggiunto avrebbe la sua prora.
Non più sol di
rimpianto i suoi sospiri
si sarebbero alzati, or che alla luce
vissuto avrebbe, e non giù tra i martìri.
D'altri spirti
sarebbe stato duce
sul monte che tra i monti tutti eccelle,
e alfin, nel dì per i malvagi truce,
sarebbe stato stella tra le stelle.
San Publio Virgilio Marone (disegnata con Bing Image Creator)
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Lapidario il commento di Bhrihskwobhloukstroy:
Gloria e onore! Sei un vero drago, complimenti! Bravissimo!
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Diamo ora la parola a Inuyasha Han'yō:
Guardate un po' come ha risposto un concorrente a un telequiz non italiano (che pollo!):
Mi è venuto in mente: e se Dante fosse nato davvero nelle Fiandre, a quell'epoca parte del Sacro Romano Impero? Come cambierebbe la Divina Commedia, o meglio De Goddelijke Komedie? Forse potrebbe cominciare così:
« Op 't midden van ons levenspad gekomen,
kwam ik bij zinnen in een donker woud
want ik had niet de rechte weg genomen.
Rondom mij dicht en doornig kreupelhout;
ik kan niet zeggen hoe het mij bezwaarde,
nu de herinnering mij weer benauwt. »
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Enrico Pizzo in seguito ha voluto dire la sua:
Periodicamente viene
ristampato "L'Inferno di Topolino", una lunga storia a fumetti di Angelo
Bioletti, disegni, e Guido Martina, testi e rime, pubblicata a puntate su
"Topolino" dal numero 7 al numero 12.
In questa storia Topolino e Pippo, a causa di un incantesimo lanciato contro di
loro da un mago alleato di Gambadilegno, si ritrovano all'inferno nei panni di
Dante (Topolino), e Virgilio (Pippo), e se vogliono ritornare sulla terra
dovranno discendere i vari cerchi fino al più profondo, poiché solo da lì si può
uscire.
Nell'Inferno i peccatori sono disposti, in base alla gravità dei loro peccati, a
profondità variabile e cosi, partendo dal primo, incontriamo:
1 - Materie scolastiche
noiose
2 - Gagarelli
3 - Golosi
4 - Avari, non compare Zio Paperone in quanto non ancora noto in Italia
5 - Professori che tormentarono i propri studenti
10 - Irascibili, tra cui Paperino
13 - Studenti che danneggiavano i banchi scolastici, liberati dalla Fata dai
capelli turchini
15 - Coloro che predicavano bene e razzolavano male
Arrivati a Malebolge il disegnatore non indica più il cerchio, comunque si incontrano:
Imbroglioni
Giocatori d'azzardo
Falsi maghi
Suggeritori
Studenti svogliati
Giornalisti bugiardi, costretti a scrivere la verità per terra con la lingua
(evidentemente si tratta di un malcostume antico...)
Arbitri venduti che per denaro non fischiarono i calci di rigore, condannati a
divorare eternamente dei palloni da calcio (dove ho già sentito questa
storia...?)
Ed infine i due traditori
supremi, Bioletti e Martina, colpevoli di avere adattato a fumetti l'opera di
Dante sono da questo puniti a colpi di penna stilografica.
Vengono liberati per intercessione di Topolino che fa notare a Dante come i
lettori siano entusiasti.
Nell'ultima tavola, però, si capisce che non è solo per il successo della
trasposizione che Dante accetta di liberare Bioletti e Martina, bensì vuole che
i due, tornati sulla terra, parlino a tutti gli italiani, spingendoli a lavorare
tutti insieme alla ricostruzione nazionale: il fumetto è di fine anni '40 quando
le ferite della seconda guerra mondiale erano ancora fresche.
Ma lasciamo parlare il Sommo...
« Allora Dante racquetò il
suo fiero
Disdegno e disse al tristo scrittorello:
Va'! Porta il mio messaggio al mondo intero!
E riferisci che s'io mi fui
quello
Ch'un dì gridava pieno d'amarezza:
Ahi, serva Italia, di dolore ostello!
Oggi affido al mio verso la
certezza
D'una speranza bella e pura, e canto:
Oh, Santa Italia, nido di dolcezza...
O patria mia, solleva il capo
affranto.
Sorridi ancora o bella fra le belle,
O madre delle madri, asciuga il pianto!
Il ciel per te s'accenda di
fiammelle
Splendenti a rischiararti ancor la via
Sì che tu possa riveder le stelle!
Dio ti protegga, Italia! E così sia. »
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C'è anche la folgorante domanda postaci da Lord Wilmore:
Nel "Paradiso" manca il racconto di Dante che torna sulla Terra! Come potrebbe apparire, se fosse stato realizzato?
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E se il Ciclo Carolingio raccontasse eventi storici reali?
Non contento di quanto scritto sopra, ecco la nuova impresa in cui William si è imbarcato: storicizzare il Ciclo Carolingio!!
« Signori e cavalieri che vi radunate per udire cose dilettose e nuove, state attenti e quieti, ed ascoltate la vera storia che il mio racconto risuscita; e conoscerete i gesti smisurati, l'alta fatica e le mirabili prove che fece il franco Rolando per amore, al tempo del re Carlo Magno, futuro Imperatore. Non vi pare già, signori, meraviglioso, udir narrare di Rolando innamorato, perché chiunque nel mondo è più orgoglioso, è da Amor vinto, del tutto soggiogato? Né forte braccio, né ardire animoso, né scudo o maglia, né spada affilata, né altra potenza può mai far difesa, che al fin non sia da Amor battuta e presa. »
Come racconta Paolo di Vanefrido, noto anche come Paolo Diacono, nel settimo libro della sua monumentale "Historia Langobardorum", Carlo, Re dei Franchi, dopo aver sconfitto in battaglia Desiderio e suo figlio Adelchi, conquista il regno dei Longobardi e il 10 luglio 774, a Pavia, assume il titolo di "Rex Francorum et Langobardorum et Patricius Romanorum", creando una grande potenza germanica. Nella presa di Pavia si distingue Rolando (in latino Hruodlandus, che diverrà Orlando nella tradizione italiana successiva), figlio di Bertrada, sorella minore di Re Carlo, e del barone franco Milone, signore del feudo di Anglant in Neustria, e imparentato alla lontana con i Merovingi. Il margravio dimostra un inaudito vigore anche nella successiva campagna militare condotta da Carlo contro i Sassoni, allo scopo di assoggettarli e di cristianizzarli: una campagna che assume i contorni di una vera e propria guerra santa, visto il tenace rifiuto dei Sassoni ad abbracciare il cristianesimo. Rolando viene premiato dallo zio Carlo per il suo valore con il titolo di Margravio di Bretagna, con capitale Le Mans, creata per controllare il popolo dei Bretoni, riottoso contro la supremazia franca, e Rolando si dimostra un feudatario e un amministratore capace; Eginardo ricorda la sua indomabile fierezza d'animo, il suo vigore in battaglia, ma anche il suo senso grave e un po' triste del dovere di fedeltà verso il suo sovrano in terra e verso Iddio in cielo.
Nella primavera del 775 Carlo intende festeggiare le vittorie ottenute contro i Sassoni organizzando presso Parigi un grande torneo, a cui partecipano valorosi guerrieri da ogni parte d'Europa. Alla corte di Carlo si presenta anche Antusa, bellissima figlia dell'imperatore bizantino Costantino V Copronimo, accompagnata dal fratello Eudocimo. La bellezza di Antusa è tale che pressoché tutti i guerrieri si invaghiscono di lei, e il conte Rinaldo di Clermont, cugino di Rolando per parte di padre, spirito ribelle e spesso insofferente all'autorità del sovrano, la ribattezza addirittura Angelica. Quest'ultima si promette in sposa a chi riuscirà a sconfiggere in duello suo fratello, ma si tratta di un inganno a danno dei Franchi, dato che Eudocimo a Costantinopoli è considerato invincibile: Costantino V spera di far perdere la testa ai principali paladini di Carlo e di indebolirne l'esercito. A sorpresa tuttavia ʿOmar ibn ʿAbd al-Raḥmān, figlio secondogenito dell'Emiro di Cordova Abd al-Rahman ibn Mu'awiya, in buoni rapporti con Carlo, ha la meglio e uccide Eudocimo in duello; ʿOmar è noto ai franchi con il nome di Ferracutus o Ferraù, e ha il chiodo fisso di dimostrarsi il guerriero più forte del mondo. Siccome Antusa, cristiana fervente, non vuole saperne di sposare il musulmano ʿOmar, fugge di notte da Parigi, ma viene inseguita dai guerrieri dietro ordine di Re Carlo, che non vuole scontrarsi con il Basileus Costantino V per aver causato la morte della sua amata figlia, dopo che già Eudocimo è deceduto. In realtà i paladini, inclusi Rolando e Rinaldo, vogliono trovarla perchè si sono innamorati di lei. Rinaldo trova Antusa e la salva da una banda di tagliagole, cosicché la ragazza si infatua di lui e del suo vigore fisico. Rinaldo di Clermont però riceve una lettera dalla sua promessa sposa, che lo accusa di infedeltà, e decide di affidare Antusa ad un convento di monache per andare a riconciliarsi con la fidanzata. Antusa/Angelica fugge di nuovo, cercando di ricongiungersi all'amato, inseguita dagli altri paladini. Dopo varie peripezie e una girandola di inseguimenti, la nobildonna bizantina viene catturata da Rotgaudo, Duca longobardo del Friuli che si è ribellato a Re Carlo e vuole usarla come merce di scambio; anch'egli però si innamora della fanciulla. Rolando, mandato da Carlo contro di lui, assedia il suo feudo di Cividale e alla fine lo uccide in duello. Rolando intende affrontare in duello anche Rinaldo, per punirlo di aver abbandonato la missione affidatagli dal suo re, ma Antusa/Angelica interviene per salvare l'uomo che ama e lo fa fuggire.
Intanto, in assenza di Rolando e Rinaldo, in tutt'altre faccende affaccendati, ʿAbd al-Raḥmān ibn Rustum, Emiro della città africana di Tiyārat in Algeria, noto ai cristiani come Agramante (corruzione di Rustum), vuole vendicare la morte del padre Rustum ibn Bahram, ucciso da Rolando durante una sua scorreria in Provenza, e così tenta il colpo grosso sbarcando nel Lazio e assediando Roma. A capo delle sue truppe c'è l'emiro del Marocco Idrīs ibn ʿAbd Allāh, un guerriero feroce con la fama di imbattibilità, soprannominato dai cristiani Rodomonte. Papa Adriano I invoca l'aiuto di Carlo che interviene in forze per difendere il Patrimonio di San Pietro. Entra in scena anche Ibrahim ibn al-Aghlab, wālī (governatore) di origini tuircomanne dell'Ifrīqiya (la Tunisia) per conto del califfo abbaside Abū Jaʿfar ʿAbd Allāh ibn Muḥammad al-Manṣūr. Ibrahim (in seguito meglio noto come Ruggiero), viene tenuto lontano dalla guerra dal suo precettore e padre adottivo, il matematico e astronomo persiano Yaʿqūb ibn Ṭāriq (chiamato Atlante dai cristiani, che lo considerano un astrologo e un mago), perchè sostiene di aver letto negli astri che Ibrahim si convertirà al cristianesimo, abiurando la sua religione, e morirà giovane per tradimento. Tuttavia ʿAbd al-Raḥmān ibn Rustum costringe lo scienziato a consegnargli Ibrahim per unirsi alle sue forze e conquistare Roma. A questo punto si profila una nuova minaccia: il Khan dei Cazari Bahadur, soprannominato Gradasso dai cristiani, arriva dall'oriente con un notevole esercito per contrastare la restaurazione di un forte impero in Europa, che minaccerebbe il suo stato esteso dal Caucaso alle pianure sarmatiche, ma inaspettatamente subisce una cocente sconfitta presso Wogastiburg in Moravia da parte di Astolfo, guerriero sassone fratello di Cinevulfo, Re del Wessex, che è stato da questi inviato sul continente per combattere a fianco di Carlo. In virtù di tale vittoria, Astolfo è creato da Carlo Conte Palatino, mentre Bahadur è costretto a rientrare precipitosamente nelle steppe sarmatiche con i resti del suo esercito; il suo nome in Europa diverrà sinonimo di "smargiasso" per antonomasia.
Rinaldo tuttavia scopre che, in sua assenza, la promessa sposa gli è stata infedele, e così si pente di aver abbandonato Antusa/Angelica e si innamora nuovamente di lei, ma quest'ultima si è rifugiata a Venezia dove ha saputo che il padre Costantino V è morto il 14 settembre 775 e gli è succeduto il figlio Leone IV, fratello maggiore di Antusa. Leone intima alla sorella di guardarsi bene dallo sposare Rinaldo, che in passato aveva insultato pubblicamente il loro padre, sostenendo che aveva defecato nel proprio fonte battesimale (da cui l'ingiurioso epiteto "Copronimo"), e così Antusa si disamora completamente del paladino, per cui la situazione si ribalta. Antusa cerca di raggiungere Costantinopoli via mare, ma la sua nave fa naufragio presso Ancona e lei viene presa in custodia da Rolando. Ne segue un nuovo duello tra Rinaldo e Rolando, ma Carlo è spazientito dal fatto che i due maggiori campioni dell'esercito franco litighino fra di loro per una donna straniera, anziché correre in aiuto del Papa, e così la sottrae ai due per affidarla all'anziano Tassilone III, Duca di Baviera, e la promette in sposa a chi di loro due ucciderà più nemici nella guerra contro i Saraceni che assediano Roma. Nel frattempo la bella e audace guerriera bavara Rotrude di Ratisbona, figlia di Tassilone III detta anche Bradamante, raggiunge Roma per dar manforte all'esercito di Carlo, ma viene affrontata in duello da Idrīs ibn ʿAbd Allāh/Rodomonte. Perirebbe se non fosse salvata da Ibrahim/Ruggero, che giudica la ferocia di Idrīs contraria allo spirito dell'Islam, ed allora la guerriera bavarese si innamora perdutamente di lui, dando inizio ad un idillio che darà vita alla Casa d'Este. Sfortunatamente l"Historia Langobardum" rimane interrotta a questo punto a causa della morte del suo autore.
« Io narro le donne, i
cavalieri, le armi, gli amori, le cortesie, le imprese audaci che ebbero luogo
al tempo in cui i Mori attraversarono il mar Mediterraneo, e in Italia fecero
tanti danni, assecondando le ire e i giovanili ardori del loro re ʿAbd al-Raḥmān ibn Rustum,
meglio noto ai Franchi con il nome di Agramante, che si mise in testa di
vendicare la morte di suo padre a spese di re Carlo, futuro Imperatore Romano
d'Occidente.
Parlerò al contempo di Rolando, dicendo di lui cose mai raccontate né in prosa
né in rima, e cioè il fatto che per amore egli divenne pazzo furioso, nonostante
in precedenza fosse considerato un uomo estremamente saggio. Potrò però farlo se
da colei che mi ha reso pazzo quasi quanto Rolando, e che il poco ingegno di ora
in ora mi consuma, me ne sarà concesso abbastanza, che mi basti a finire quanto
vi ho promesso. »
A narrarci il seguito della vicenda è la "Vita et gesta Caroli Magni" dello storico franco Eginardo, opera scritta tra l'829 e l'839. Il segretario personale di Lotario I ci tramanda che nell'estate del 776 il primo round dello scontro tra Franchi ed Arabi sotto le mura di Roma, in assenza di Rolando e Rinaldo, si risolve in una sconfitta per i primi. Antusa/Angelica ne approfitta per fuggire, cercando di raggiungere la Sicilia, ancora possedimento bizantino anche se minacciato dagli Arabi. Purtroppo viene catturata dagli abitanti dell'isola di Ischia e legata a uno scoglio per essere divorata da un'orca marina, cui gli abitanti offrono sacrifici umani, ma viene liberata da Ibrahim ibn al-Aghlab, inviato sull'isola per prendere possesso di quella strategica piazzaforte. La donna si finge innamorata di colui che in seguito prenderà il nome di Ruggiero, ma lo fa fesso e riprende la sua fuga. Giunge così in Calabria, dove gli Arabi hanno inflitto ai cristiani (stavolta ai Bizantini) una nuova sconfitta nella Battaglia di Capo Colonna. Sul campo di battaglia si imbatte in un giovane soldato gravemente ferito: è Telerig, erede al titolo di Khan dei Bulgari, che ha combattuto contro gli Arabi accanto ai Bizantini di cui è alleato. Antusa lo cura, si innamora di lui, lo fa battezzare da un prete ortodosso con il nome di Medoro e lo sposa, ripartendo poi con lui per Costantinopoli. Da qui in poi non saranno più nominati da Eginardo; gli storici bizantini Teofane il Confessore e Giovanni Skylitzes tuttavia ci informano che, dopo la morte di Telerig/Medoro, e dopo numerose opere di carità e di assistenza ai poveri ed agli orfani, nel 784 Antusa si farà suora, ricevendo l'abito monacale dal patriarca di Costantinopoli San Tarasio nel monastero della Concordia di Costantinopoli, dove rimarrà fino alla morte il 18 aprile 801. Oggi sia i Cattolici che gli Ortodossi la venerano come Santa (i Cattolici la chiamano Sant'Angelica).
Nel frattempo a Ferraù, che ha perso nel fiume Arno l'elmo tolto a Eudocimo dopo averlo ucciso e non è più riuscito a recuperarlo, appare in sogno proprio il guerriero bizantino con in mano il proprio elmo, che lo invita a cercare piuttosto di impadronirsi del prezioso elmo di Rolando. ʿOmar ibn ʿAbd al-Raḥmān si sveglia e lo prende in parola, cercando in ogni dove il margravio di Bretagna per incrociare la spada con lui. Invece Ruggiero giunge a Spoleto e libera Astolfo, colui che si era già coperto di gloria sconfiggendo in battaglia campale il potente Khan dei Cazari Bahadur/Gradasso; Alcina, figlia di Ildebrando, Duca di Spoleto, si era innamorata di lui e suo padre lo aveva fatto imprigionare nel suo castello per costringerlo a sposarla. Quanto a Rolando, egli ha un sogno in cui vede Angelica in pericolo, quindi lascia Roma nel bel mezzo della guerra contro ʿAbd al-Raḥmān ibn Rustum/Agramante e inizia a cercare la donna che non riesce a dimenticare. Giunto a Benevento, si accorge che il Duca longobardo Arechi II mantiene il controllo sulla strategica isola d'Ischia facendo leva sulla superstizione dei suoi abitanti, costringendoli ad offrire giovani donne all'orca, e dopo la fuga di Antusa ha fatto incatenare a uno scoglio sua nuora Olimpia, rea di aver rifiutato le nozze combinate con suo figlio Grimoaldo III. Rolando ingaggia singolar tenzone con lui e scopre che Arechi possiede un'arma mai vista, l'archibugio, che uccide a distanza rendendo vani i duelli cavallereschi. Il Margravio di Bretagna però è più scaltro, lo uccide e butta in mare l'archibugio, chiamandolo "maladetto, abominoso ordigno"; infine libera Olimpia e uccide l'orca, per poi rimettersi sulle tracce di Angelica. Siccome Palermo è stata occupata dalle truppe di Agramante, egli crede che l'amata sia tenuta prigioniera colà e raggiunge la città siciliana su una nave bizantina, ma, una volta penetrato nella rocca che domina il porto, cade in una trappola di Yaʿqūb ibn Ṭāriq che lo convince ad assumere ashish e lo fa così cadere completamente in suo potere. Rolando resta rinchiuso nel castello insieme a Ibrahim ibn al-Aghlab e ad altri guerrieri franchi e bizantini che egli tiene prigionieri dopo averli drogati con l'ashish, che fa avere loro visioni delle persone a loro care. A quel punto però giunge a Palermo Astolfo, da cui il Re dei franchi ha dato l'incarico di scacciare i musulmani. Egli occupa il castello di Yaʿqūb ibn Ṭāriq e riesce ad annullare l'effetto dell'hashish usando un antidoto fornitogli dalla monaca bizantina Melissa. Rolando, Ruggiero, Ferraù e gli altri prigionieri vengono liberati; Yaʿqūb ibn Ṭāriq/Atlante muore di dolore per non essere riuscito a proteggere Ruggiero. Quest'ultimo, cavallerescamente liberato da Astolfo con il quale stringe amicizia, si ricongiunge ai musulmani che assediano Roma, mentre Rolando riparte e giunge in Calabria, dove sconfigge l'armata araba di invasione, ma dopo la vittoria capita nel luogo dove Antusa/Angelica e Telerig/Medoro si sono innamorati, e legge le frasi d'amore che i due hanno inciso sulla corteccia degli alberi. Egli impazzisce di gelosia, perde del tutto il senno e si trasforma in un bruto che va in giro per i boschi ad ammazzare chiunque incontri, uomini ed animali.
Sotto le mura di Roma, nello stesso momento, Idrīs/Rodomonte tenta di entrare da solo all'interno della Città Eterna con uno stratagemma: una volta entrato, fa strage tra la popolazione indifesa. ʿAbd al-Raḥmān ibn Rustum ha ricevuto rinforzi e vettovagliamenti anche dall'Emiro di Cordova Abd al-Rahman ibn Mu'awiya, padre di Ferraù; se il condottiero algerino attaccasse con tutto il suo esercito in quel momento, sicuramente conquisterebbe la città, ma fortunatamente arriva Rinaldo, che nel frattempo si è recato in Croazia ed ha impedito al condottiero Ljudevit Posavski di commettere un'ingiustizia, propiziando le sue nozze con l'amata ed incoronandolo Re vassallo di Croazia. Lo stesso Ljudevit giunge con i suoi feroci guerrieri croati (la loro sciarpa multicolore con le insegne dei vari clan darà origine al termine "cravatta") in aiuto dei Franchi: una parte di loro risale il Tevere per sorprendere i nemici alle spalle, un'altra va a sud per aiutare le truppe nella difesa delle mura. Rinaldo mena strage dei saraceni e le vittorie dei Croati appaiono schiaccianti. ʿOmar ibn ʿAbd al-Raḥmān alias Ferraù a questo punto rientra in battaglia per rianimare i compagni, e a sua volta fa strage di cristiani. Intanto i guerrieri Marocchini di Rodomonte tentano di dare l'assalto alle mura Aureliane, ma periscono sotto una colata di pece e olio bollente fatta piovere su di loro per ordine di re Carlo. Furente, Idris si mette in salvo a nuoto gettandosi nel Tevere e si ricongiunge con gli alleati. L'assenza di Rolando comunque si fa sentire, e Carlo ordina di rintracciarlo e di richiamarlo ai suoi doveri.
Intanto, Astolfo compie tutta una serie di viaggi avventurosi, alla ricerca di alleati contro gli Arabi. Infatti a Palermo incontra Eudochia, ultima moglie del Basileus Costantino V, che si è rifugiata nell'isola dopo essere stata scacciata dalla corte di Costantinopoli dal nuovo imperatore Leone IV e dall'ambiziosa consorte di questi, Irene. Essendo istruita ed esperta di erbe e di geografia, il popolo siciliano (che la chiama anche Logistilla) la considera una maga buona, cui rivolgersi per curare ogni genere di malattia. Desiderosa di impedire che i Musulmani conquistino l'isola, Eudochia consegna ad Astolfo un libro di geografia dell'oriente da lei stessa scritto, insieme al sigillo del suo defunto marito come lasciapassare, e lo invita a cercare il Regno di Senàpo, un leggendario re cristiano dell'Africa subsahariana che potrebbe aiutare Carlo, essendo ricchissimo e potentissimo. Travestito da ambasciatore bizantino, ed approfittando della sua conoscenza della lingua greca, insegnatagli in gioventù da un monaco sassone, Astolfo parte dal porto di Siracusa sulla nave "Ippogrifo", di proprietà di Eudochia, così detta perchè ha una polena con il corpo di cavallo e la testa di grifone, e fa vela per l'Oriente, sbarcando a Giaffa e mettendosi in luce sconfiggendo ed uccidendo alcuni feroci briganti ritenuti erroneamente invulnerabili, che terrorizzavano la popolazione del posto. Invitato a partecipare alla giostra di Damasco in virtù del suo eroismo, vi sconfigge molti guerrieri arabi ed è celebrato come un eroe. Parte dunque per Gerusalemme, visita il Santo Sepolcro, raggiunge Alessandria d'Egitto sempre sulla nave "Ippogrifo" e da lì risale il Nilo ed entra nel Mar Rosso grazie ad un canale artificiale scavato nel deserto dagli Arabi. Giunge infine in Etiopia e raggiunge via terra la città di Axum, scoprendo che purtroppo è solo la pallida ombra della splendida città di un tempo, ben nota a Romani e Bizantini. Vi regna in effetti un re cristiano, Degna Djan, assistito dall'Abuna (Patriarca) Giovanni; il nome di Senàpo veniva invece da una corruzione di Aṣḥama ibn Abjar, Re di Axum al tempo della predicazione di Maometto, che rifiutò di abbracciare l'Islam. Degn Djan è malato e cieco a causa della cataratta, ma nel libro di Eudochia sono contenute anche informazioni sulle proprietà delle erbe e sui principi della medicina, e Astolfo riesce a guarire il sovrano e a restituirgli la vista. Riconoscente nei confronti di Astolfo, che gli ha parlato dell'assedio di Roma da parte dei musulmani, il re di Axum lo invia nel convento dell'Abuna Giovanni, che ha il dono della profezia. Il convento sorge in mezzo ad una foresta rigogliosa che Astolfo crede essere il Paradiso Terrestre, e ivi giunto si sente spiegare dal patriarca, che afferma di averlo letto negli astri, che il prode margravio Rolando è sparito perchè impazzito a causa dell'amore per Angelica. Secondo Giovanni si tratta di una punizione divina, per aver abbandonato la difesa della Cristianità per correre dietro a una donna che nemmeno lo amava. Per guarire Rolando dalla pazzia e fargli recuperare il senno, dovrà costringerlo a bere una pozione a base di una pianta aromatica, l'elleboro nero, che cresce sui Monti della Luna: una tisana di tale pianta avrebbe curato dalla pazzia persino Eracle. Dopo un avventuroso viaggio Astolfo raggiunge i Monti della Luna già citati da Claudio Tolomeo, cioè l'Acrocoro Etiopico, e sulle pendici dell'altissimo monte Ras Dascian (in amarico "Capo delle Guardie", la vetta più alta dell'Etiopia e la quarta di tutta l'Africa) coglie le preziose foglie della pianta di elleboro nero. Torna quindi sulla costa dell'Oceano Indiano, presso Adulis (l'odierna Zula), dove lo attende la nave "Ippogrifo" per riportarlo velocemente a casa seguendo l'itinerario inverso dell'andata.
E in Europa? Rotrude/Bradamante cade in preda ad una folle gelosia, perché crede che Ruggiero ami Fatima, guerriera musulmana chiamata da Idris a dargli manforte per conquistare Roma. Tra le due donne guerriere inizia un violento duello, che provoca un nuovo scontro tra cristiani e arabi. Bradamante sconfigge in duello Ferraù, che la riconosce e rivela la sua identità a Ruggiero. Questi la convince ad appartarsi presso un sepolcreto ungo la Via Appia dove poter discutere. Vi arriva però anche Fatima, e il combattimento riprende, trasformandosi in un duello a tre. Ad interrompere il duello interviene Muḥammad ibn Ibrāhīm al-Fazārī, scienziato e astronomo arabo discepolo del defunto Yaʿqūb ibn Ṭāriq/Atlante ed inventore dell'astrolabio. Egli sostiene che Yaʿqūb ibn Ṭāriq gli è apparso in sogno e lo ha inviato lì per rivelare a Ibrahim e Fatima che sono fratelli gemelli separati alla nascita, e che ʿAbd al-Raḥmān ibn Rustum ha fatto uccdere il loro padre al-Aghlab. Allora i tre guerrieri si rappacificano ed intervengono per punire il malvagio Wicheramo, Duca di Toscana, il quale ha in odio tutte le donne. Ibrahim/Ruggiero torna al quartier generale arabo, mentre Fatima a sorpresa segue Bradamante all'accampamento cristiano, dove si fa battezzare con il nome di Marfisa e si mette al servizio di Re Carlo.
Astolfo, rientrato nel Mediterraneo, assalta la città di Biserta e la espugna, minacciando anche Tunisi. Venuto a conoscenza delle sue vittorie, temendo di restare intrappolato in Italia, ʿAbd al-Raḥmān ibn Rustum/Agramante cerca di concludere al più presto alla guerra in Italia evitando di perdere la faccia di fronte al Califfo Abbaside al-Manṣūr, e così propone un duello tra Ibrahim e Rinaldo. I due guerrieri giurano di passare all'esercito avversario se qualcuno appartenente al proprio esercito interverrà nel combattimento. Durante il loro duello però Marfisa si introduce di nascosto nell'accampamento arabo e convince ibn Rustum (che non sa della sua conversione) ad intervenire rompendo i patti. La feroce battaglia che ne scaturisce si conclude con la sconfitta totale dell'esercito saraceno, che il 31 marzo del 777 si imbarca e abbandona l'Italia. Astolfo sbarca ad Ostia e racconta a Re Carlo i propri meravigliosi viaggi in terre sconosciute. Durante i festeggiamenti per la sconfitta dei musulmani, improvvisamente arriva Rolando fuori di sé, che semina il panico nell'accampamento. Con gran difficoltà i paladini di Carlo riescono ad immobilizzarlo e Astolfo gli fa ingoiare un decotto di foglie di elleboro nero, grazie al quale egli riacquista rapidamente la ragione. Tutti si complimentano con Astolfo, che ha dato un contributo decisivo alla conclusione vittoriosa della guerra contro i Saraceni.
Intanto Ruggiero, che si è trattenuto nel Lazio, scopre che è stato ibn Rustum ad interrompere il suo duello con Rinaldo, ma non mantiene il giuramento fatto e si imbarca per raggiungere l'emiro in Algeria. Durante la navigazione tuttavia è sorpreso da una tempesta e fa naufragio in Sardegna. Qui è salvato da San Benedetto di Aniane, inviato da Re Carlo in Sardegna per ricondurre l'isola al cattolicesimo, dopo che i Bizantini avevano cercato di imporvi i riti greci. San Benedetto lo istruisce nella religione cristiana e lo battezza con il nome di Ruggiero, con cui è già noto in Occidente. Il Khan dei Cazari Bahadur/Gradasso tenta una nuova spedizione in Occidente, sperando di trovare il regno franco indebolito dalle lunghe guerre con gli Arabi di Spagna, ma stavolta è affrontato e ucciso da Rolando in persona, e l'armata Cazara si dissolve.
In Africa ʿAbd al-Raḥmān ibn Rustum/Agramante viene deposto ed esiliato dal Califfo al-Manṣūr. L'ex emiro decide di cercarsi un nuovo dominio conquistando proprio la Sardegna e vi sbarca con gli uomini a lui fedeli. Rolando con altri guerrieri cristiani raggiunge l'isola per sloggiarlo e chiudere definitivamente i conti con lui. Nella battaglia che ne segue ibn Rustum uccide Ciniod, figlio del Re dei Pitti e scudiero di Rolando (da questi chiamato Brandimarte), mentre Anselmo, conte paladino e figlio di Roberto I di Hesbaye, viene gravemente ferito. Per i paladini di Re Carlo le cose si mettono male, ma sul campo di battaglia fa irruzione Ruggiero, che capovolge le sorti dello scontro. Avendo compreso che tutto è perduto, ibn Rustum/Agramante cerca la morte in battaglia e la trova per mano di Rolando. I musulmani sconfitti sono graziati purchè lascino l'isola e non si facciano vedere mai più; essi cercano rifugio in Spagna. Saputo della conversione di Ruggiero, Re Carlo gli promette in sposa Bradamante. Una volta giunti a Parigi, dove Re Carlo ha fatto ritorno con l'esercito dopo la vittoria sotto le mura di Roma, Ruggiero viene a sapere che Tassilone III, padre di Rotrude/Bradamante, si è già accordato con Teodoro, Khagan degli Avari, popolo stanziato nella vasta pianura pannonica, per dare in sposa Bradamante a suo figlio Abramo. Egli allora parte immantinente per il Ring degli Avari, un immenso campo trincerato di forma circolare, composto di nove cerchie di mura concentriche, dove il Khagan esercita il suo potere. Ruggiero ha intenzione di sfidare a duello il suo rivale, ma viene fatto prigioniero da Teodoro. Bradamante convince allora Re Carlo a inviarla a sua volta in Pannonia e, una volta giunta al Ring, propone al Khagan di indire un torneo: lei si darà in sposa solo a chi saprà resisterle dall'alba al tramonto. L'eroina bavarese crede di combattere contro Abramo, ma in realtà si tratta di Ruggiero, nel frattempo liberato proprio da Abramo, che vince a favore del rivale. Quando però Abramo scopre la verità, diventa grande amico di Ruggiero e rinuncia alla mano di Bradamante in suo favore. Tutti così ritornano felicemente in Francia.
Il 1° aprile del 778 il matrimonio tra Ruggiero e Bradamante viene finalmente celebrato dall'Arcivescovo di Reims Turpino, ma mentre sono in corso i festeggiamenti fa irruzione sulla piazza Idris ibn ʿAbd Allāh/Rodomonte, che non è mai rientrato in Africa ed accusa il novello sposo di tradimento verso ibn Rustum, sfidandolo a duello. Il combattimento volge a favore di Ruggiero, che si dice disposto a graziare l'avversario, ma questi tenta di pugnalarlo a tradimento, e così Ruggiero uccide con tre pugnalate in fronte l'emiro del Marocco, l'« alma sdegnosa che fu sì altiera al mondo e sì orgogliosa ».
Ma la storia di Rolando non è conclusa. Il margravio di Bretagna e Re Carlo infatti hanno un conto aperto con ʿOmar ibn ʿAbd al-Raḥmān alias Ferraù, che dopo la disastrosa conclusione dell'assedio di Roma è ritornato presso la corte di suo padre a Cordova. Il sovrano dei Franchi e dei Longobardi non ha dimenticato l'aiuto fornito ad ʿAbd al-Raḥmān ibn Rustum/Agramante dall'Emiro Omayyade di Cordova, e così decide di prendere a pretesto la richiesta d'aiuto lanciatagli da Sulayman ben Yaqzan ibn al-Arabi, wālī (cioè governatore) di Barcellona, chiamato Marsilio dai Franchi, che si sente minacciato proprio dall'Emiro di Cordoba: Carlo spera di allearsi con le popolazioni cristiane spagnole per conquistare la penisola iberica. Nell'estate del 778 Carlo attraversa i Pirenei in forze, ma l'Emiro Abd al-Rahman ibn Mu'awiya lo batte sul tempo, manda suo figlio ʿOmar a Barcellona, e questi sconfigge ed uccide Sulayman, sostituendolo con un uomo di sua fiducia. Allora Carlo assedia Saragozza, nel tentativo di aprirsi la via verso la capitale. Sotto le mura di Saragozza ha finalmente luogo il duello tra Rolando e ʿOmar/Ferraù, che questi ha cercato da sempre per impadronirsi del suo elmo e per dimostrare così di essere migliore del campione della cristianità. ʿOmar tuttavia ha la peggio e viene ferito a morte; prima di morire chiede il battesimo, e Rolando acconsente. Però Abd al-Rahman ibn Mu'awiya raduna un grande esercito per andare incontro a Carlo e punirlo per la morte del figlio; inoltre i Sassoni sono in rivolta e stanno attaccando le città più orientali del Regno Franco, mentre Adelchi, figlio del detronizzato Desiderio, ultimo re dei Longobardi, sta fomentando ribellioni antifranche in Italia settentrionale. Carlo è così costretto a fare marcia indietro con le pive nel sacco. Deluso dal mancato aiuto fornitogli dai cristiani spagnoli, il Re franco come rappresaglia mette a ferro e fuoco Pamplona, ma questa mossa gli costa cara. Il 15 agosto 778 infatti i Baschi, sobillati da Gano, margravio di Magonza geloso di Rolando e del favore accordatogli dal re, attirano in un'imboscata la retroguardia franca nello stretto passo di Roncisvalle e la sterminano, uccidendo tra gli altri Eggiardo, sovraintendente alla mensa del re, Anselmo, conte paladino e figlio di Roberto I di Hesbaye, e molti altri guerrieri Franchi, tra cui lo stesso Rolando. Solo all'ultimo momento, quando capisce che la sconfitta è certa, Rolando suona l'olifante, corno donatogli da Astolfo che glielo ha portato dall'Africa centrale, per avvisare Re Carlo di quanto è accaduto. Quando Alda, fidanzata di Rolando, viene a sapere della morte dell'amato, muore sul colpo di dolore; Rolando e Alda sono sepolti a Blaye nella Basilica di Saint Romain, dove si trovano le tombe dei Duchi Merovingi di Aquitania, e che è oggetto ancor oggi di pellegrinaggi. Quanto a Gano, viene fatto squartare da Carlo per punire la sua fellonia. Invece, secondo Turpino, Arcivescovo di Reims che ha preso parte alla sfortunata spedizione carolingia in terra di Spagna, Rolando non è morto in quell'occasione a Roncisvalle, ma molto più tardi, quando già Carlo era stato incoronato Imperatore da Papa Leone III la notte di Natale dell'anno 800. Una cosa comunque è certa: presso il passo di Roncisvalle Rolando ha smesso di vivere nelle pagine dei libri di storia, per cominciare a cavalcare alla testa dei suoi soldati nelle leggende popolari e nelle epiche Chansons de Geste.
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Il dizionario degli scrittori italiani
Prima di chiudere, diamo la parola al grande Umberto Eco.
Il giochino verbale che qui propongo mi sembra facile e divertente, e potrebbe essere fatto anche a scuola: familiarizza con il lessico, con
l'arte difficile (anzi, teoricamente impossibile) della sinonimia e della parafrasi, e serve a ripassare gli autori delta storia letteraria.
Si tratta di riassumere o sintetizzare un autore usando solo parole con l'iniziale del suo nome. Come se 1'autore mandasse
telegrammi per chiarire natura o finalità del suo lavoro. In questo esercizio ho scelto solo autori italiani (o italici, come Ovidio). Ho lasciato perdere la "h"
perché non mi e venuto in mente nessuno. Recupero alla storia letteraria il Cesare Ripa dell'"Iconologia". Per la "z", diviso tra Zeno, Zena, Zanella, Zuccoli, Zen e Zevi, ho optato, come finale omaggio al vocabolario, per
Zingarelli.
Ariosto. Avvampando, Angelica accetta ammaliata amplesso avvenente adolescente arabo. Affedidio! Amante ansiogeno avvoltolasi annaspando. Ariosamente Astolfo alto avventurasi aliando: alambiccando aiuta amico assatanato, acquietandolo. Africa, Arles, Agramante, Atlante... Accadono ancora avvenimenti avvincenti, alterne avventure, armi, amori... Alfine, altro arabo, arruffone, azzuffatore, arrogante, accasciasi ammazzato, alma altera avviasi all'Acheronte.
Boccaccio. Bravi bambini bisesso ballano bevono blaterano bellamente beffandosi bubboni. Buffalmacco birbante burla bonaccione baluginandogli benefico berillo. Bene, bis!... Bacalare baccaglia... Bene, bis!... Beatrice, Biondello, Bruno, Borsiere Beritola, Bernabò, Beltramo... Bis, bis! Beati borghesi...
Calvino. Cosimo che cavalca cime campestri, cavalieri che cessano coesistere, cadetti craqueles, cosmicomiche, codici carte cabalistiche, città ciecamente credibili... Contes come "Candide". Canzono cantando, con celere critica.
Dante. Dirò di detti dal desir dittati. Dirò di donna deificata. Dirò di demotico dictamine. Dopo dirò di dannate dimore di Dite (di divorator di discendenti), di dolcissimi dolenti (dodici + dodici dignitari Dodecannesi), di devoti Dottori dicenti di Degnità di Dio. Dopodichè dirannomi divino. Dopotutto desideravo dicessermelo.
Einaudi. Ecco, espongo esperienze editoriali. Elegiaco? Evvia! Evito esibirmi, elenco esimii editors, elegantemente eludo espressioni encomiastiche, essenziale evoco.
Foscolo. Forti fosse funeree forti fini figurano, facendo fiammeggiar felici financo funebri faci.
Goldoni. Gentili gentildonne, godemo e gingillamose: gondola!
Iacopone. Invitato imeneo, inaspettatamente incartapecorisce infelice innamorata, incinta ispidi istrici. Infuocato, invoco Iesus, insulto ipocriti.
Leopardi. Lodo la limpida luna, levandole lamento. Litorale lontano, lirica lusinga...
Manzoni. Mondella, mite, modesta, mira maritare meccanico meschino, ma miserabile moscardino macchina misfatti. Malgrado maneggi menzognera monaca, magnanimo Monsignore mandala Milano, mentre minaccia maligno male microbico. Moretto minchione mescolasi marasma, millanta: manette. Morte, monatti. Ma Maria Misericordiosa miracola: malvagio muore maleodorante, Mondella merita matrimonio. Molti maschietti. Meno male. Morale: mai mischiarsi manifestazioni, mai menare martelli.
Nievo. Nonno, narro.
Ovidio. Ordii orgia omniforme. Ottativamente opinai onorasseromi. Ohimè, osai orecchiare, ora ò orrendo ostello orientale.
Petrarca. Perseguivo prebende, però preferii poetar perfetta pulzella perduta. Perlucide, pulite, piacevoli polle...
Ripa. Reverente, reinvengo, ricupero, riesumo, reinvento raffinati regesti rivelanti rappresentazioni religiose, riservate reliquie retoriche.
Salgari. Sandokan saccheggia Sumatra, soggioga sultani singalesi, salva sacerdotesse schiave sgominando Suyodana. Suo sarcastico sodale, suggendo senza sosta sigarette, sposa sinuosa Surama. Salpano sfarzosi sampan su Sonda salmastra, saltano santabarbare, spara Sambigliong serramenta sciolta su sciabecchi straziati. Stragi, scudi, scimitarre! Successo? Soldi? Storie... Sono senza sirene. Sogni, speranze, sfioriscono sul Sangone.
Tasso. Terribile tormento! Tramandar torride tenzoni Terrasanta? Tartaree trombe, Tancredi temente trucidar tenera Turca? Troppo torbido. Tollereranno timide tonacate? Turberolle? Tentenno, tribolo triste. Tenterò Torrismondo.
Ungaretti. Umido universo, uggiolo. Udisti un uomo.
Verga. Volete verismo? Voilà: vanno, vengono, valutano, vendono... Vane vicende.
Zingarelli. Zibaldoneggiando zimbello zincotipisti zucconi, zittisco zizzanie zelanti zeugmatici.
(da "La bustina di Minerva", rubrica de "L'espresso" del 27 novembre 1988)
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