Prima di cominciare il ciclo di lezioni dedicate alla Fisica delle Particelle, vorrei portare un esempio di come l'investigazione di questo ramo della Fisica possa portare a grandi scoperte, ma anche... a solenni cantonate. Per questo dobbiamo tornare indietro fino all'alba della Fisica Nucleare, e cioè ai primi del Novecento. Come fonte principale per parlarvene userò "Le bugie della scienza", testo pubblicato nel 1993 da Federico di Trocchio (1949-2013), grande storico della scienza.
La storia dei cosiddetti "raggi N" è un caso classico di quella che lo statunitense Irving Langmuir (1881-1957), Premio Nobel per la chimica nel 1932, definì « scienza patologica ». Ma cominciamo dal principio. L'8 novembre 1895 il tedesco Wilhelm Conrad Röntgen (1845-1923) stava sperimentando alcuni tubi a vuoto, ed improvvisamente scoprì che essi emettevano dei raggi sconosciuti estremamente più penetranti, ed in grado di fotografare le ossa della sua mano. Röntgen battezzò la sua radiazione "raggi X", per indicare che era ancora di natura sconosciuta. Molti dei suoi colleghi suggerirono invece di chiamarli "raggi R", cioè "raggi Röntgen", ma lo stesso autore della scoperta si oppose a questa denominazione, che oggi è desueta, ed il nome di raggi X divenne famoso in tutto il mondo. Per questa scoperta Röntgen ricevette, nel 1901, il primo Premio Nobel per la Fisica della storia, e mai premio fu più meritato. Infatti i raggi X permisero di rivoluzionare la Medicina: per scoprire la posizione di un proiettile o di una scheggia d'osso, o per studiare una frattura scomposta, non erano più necessarie operazioni esplorative. Soprattutto durante la Grande Guerra, moltissimi soldati ferii poterono essere salvati da questa tecnica, e la stessa Marie Curie, crocerossina sul fronte occidentale, aveva allestito un camion attrezzato con i tubi di Röntgen per soccorrere più feriti possibile.
Prosper-René Blondlot (3 luglio 1849 – 24 novembre 1930)
La scoperta rese Röntgen famosissimo, ma gli attirò anche molte invidie. Si trattava di un'epoca di sfrenati nazionalismi, un clima pesante che porto diritto allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, e tutto, dall'arte alla letteratura, era occasione di rivalità tra le grandi potenze. Figuriamoci se le scoperte scientifiche non potevano contribuire a questa guerra fredda che si preparava a diventare calda, anzi caldissima. Se la scoperta dell'elettrone da parte di Joseph John Thomson (1856-1940) rappresentava un indubbio trionfo per la Fisica britannica, e quella dei Raggi X segnava un grande successo per la Fisica tedesca, la Fisica francese non poteva essere da meno. Fu in questo clima che Prosper-René Blondlot, nato il 3 luglio 1845 a Nancy, compì quella che credeva essere la scoperta della sua vita. A differenza di Röntgen, che prima della scoperta dei raggi X era praticamente sconosciuto, Blondlot era già noto per una scoperta minore, ma importante: l'elettricità si propaga nei conduttori a una velocità molto più bassa di quella della luce. Nel 1903 Blondlot stava compiendo una serie di esperimenti per verificare se, come allora si riteneva, i raggi X non potevano essere polarizzati: un esperimento importante perché, se Blondlot fosse riuscito a polarizzarli, avrebbe dimostrato che i raggi X hanno natura ondulatoria e non di particelle. Per rilevare la polarizzazione, Blondlot aveva posto sul tragitto dei raggi X un rivelatore costituito da coppia di elettrodi fra cui faceva scoccare una scarica elettrica. Se la direzione lungo la quale si produceva la scarica elettrica veniva orientata in modo da giacere sul piano di polarizzazione dei raggi X, questi avrebbero dovuto rinforzare la scarica elettrica e aumentare la sua luminosità. L'esperimento verificò l'aumento della luminosità e quindi, indirettamente, la possibilità di polarizzare i raggi X: sembrava che Blondlot avesse dimostrato che i raggi X hanno natura ondulatoria, ma oggi sappiamo che l'aumento di luminosità da lui osservato non esisteva, essendo frutto di un'illusione ottica.
Tuttavia Blondlot era sicuro di se stesso e si convinse di aver dimostrato la possibilità di polarizzare i raggi X. Non solo: egli ritenne di aver scoperto un nuovo tipo di radiazione, che aveva il potere di rendere più luminosa la scintilla, perchè secondo lui tale misteriosa radiazione veniva deviata quando attraversava un prisma di quarzo, mentre era stato dimostrato che i raggi X non venivano deviati quando attraversavano un prisma di quel tipo. A tale nuova radiazione, in onore della città di Nancy, diede il nome di raggi N. Subito egli si diede allo studio delle caratteristiche dei nuovi raggi, e annunciò di aver scoperto che essi erano in grado di attraversare i metalli e altri materiali perfettamente opachi a tutte le altre radiazioni allora note; annunciò anche che il Sole era una sorgente molto potente di raggi N, che questi potevano essere concentrati utilizzando una lente di quarzo, e che potevano essere immagazzinati da alcuni corpi, i quali diventavano a loro volta sorgenti di raggi N. Praticamente tutti i corpi sembravano emettere questi enigmatici raggi, tranne il legno secco, che chissà perchè non pareva in grado di emetterli. Come nel caso dei raggi X, Blondlot credette anche di scoprire una serie di effetti fisiologici importanti per la medicina: i raggi N avrebbero aumentato l'acuità visiva umana. Nel dicembre 1903 un collega di Blondlot chiamato Augustin Charpentier (1852-1916) credette di dimostrare assieme ai suoi allievi che i raggi N avevano un ruolo fondamentale in vari fenomeni della vita: essi sarebbero emessi dal corpo umano, e in particolare dai muscoli e dai nervi. Gli anestetici avrebbero ridotto sensibilmente l'intensità dei raggi N emessi, ed egli si spinse ad affermare che l'effetto degli anestetici fosse semplicemente quello di inibire l'emissione di raggi N, interpretandoli come uno dei fenomeni più importanti e primordiali di ogni attività vitale. Julien Meyer, altro collaboratore di Blondlot, rivendicò dal canto suo la scoperta che la digitalina, usata nella terapia delle patologie cardiache, rinforzerebbe i raggi N emessi dal cuore; diventava così possibile accertare l'efficacia dei farmaci somministrati ai pazienti. Inoltre, misurando i raggi N emessi dal cervello sarebbe stato addirittura possibile visualizzare le funzioni cerebrali!
I raggi N furono presto sulla bocca di tutti, e la preoccupazione di Blondlot diventò quella di garantire a se stesso la priorità della loro scoperta dal momento che molti avevano tentato di attribuirsela. Ad esempio Gustave Le Bon (1841-1931), grande sociologo ma dilettante della fisica, rivendicò di aver scoperto i raggi N ben sette anni prima di lui. Per porre fine a queste rivendicazioni e chiarire definitivamente a chi spettasse il merito della scoperta, nel 1904 l'Académie des Sciences conferì a Blondlot il prestigioso premio Leconte del valore di cinquantamila franchi, battendo la concorrenza persino del grande Pierre Curie; decisive erano state le insistenze del famoso matematico Henri Poincaré, originario anch'egli di Nancy. Poincaré però ebbe un lampo di preveggenza e, scrivendo la motivazione ufficiale del premio, ridusse a sole poche righe il paragrafo relativo ai raggi N, riuscendo almeno in parte ad evitare che la scienza francese si coprisse di ridicolo.
Infatti, intorno agli strani raggi di Blondlot si accavallavano gli annunci di scoperte davvero incredibili e a volte addirittura imbarazzanti. Sulla base di uno spunto fornitogli da un collega, il dottor Théodore Guilloz (1868-1916), Blondlot affermò addirittura di aver scoperto anche l'esistenza di raggi con proprietà opposte ai raggi N, da lui chiamati "raggi N1", i quali avrebbero avuto la proprietà di diminuire la luminosità della scarica elettrica sulla quale venivano polarizzati. E Jean Becquerel (1878-1953), figlio del Premio Nobel Henri Becquerel, sostenne di aver scoperto che un cubo di acciaio, se "anestetizzato" con del cloroformio, non emetteva più raggi N. Come era possibile?
Dopo questi annunci del tutto inverosimili, come c'era da aspettarsi, cominciò a crescere lo scetticismo nei confronti del nuovo tipo di radiazione. In particolare il fisico tedesco Heinrich Rubens (1865-1922), pioniere delle ricerche sui raggi infrarossi, aveva ricevuto dal Kaiser Guglielmo II in persona l'incarico di verificare se i fantomatici raggi N esistevano oppure no, e non vi era riuscito. Molti altri scienziati ripeterono le esperienze di Blondlot, senza riuscire ad osservare l'aumento della luminosità della scintilla che costituiva la prova regina dell'esistenza dei nuovi raggi. Blondlot tuttavia ribatteva che l'incremento della luminosità della scintilla era fuori della capacità visiva dei suoi critici. Ma proprio la soggettività degli esperimenti che avrebbero dovuto rivelare i raggi N costituiva il principale argomento contro la loro esistenza. La scienza si può definire tale solo se fornisce risultati oggettivi e ripetibili da tutti, come si è già detto nel caso controverso della fusione fredda. E così, il Fisico americano Robert Williams Wood (1868-1955), esperto di ottica e di spettroscopia che insegnava fisica alla prestigiosa Johns Hopkins University, da sempre scettico sull'esistenza dei raggi di Nancy, fu incaricato dai suoi colleghi di smascherare la cantonata in cui Blondlot era incappato; infatti egli era noto come implacabile smascheratore di impostori, in particolare dei medium che asserivano di poter evocare i morti, giacché conosceva molto bene loro i trucchi. Fu cosi che, a metà di settembre 1904, Wood andò a trovare Blondlot nel suo laboratorio a Nancy per osservarlo da vicino mentre eseguiva i suoi famosi esperimenti sui raggi N. Per tutta la durata della visita fu gentilissimo con Blondlot e con M.L. Wirtz, il suo tecnico di laboratorio, e si astenne da qualsiasi commento su ciò che gli veniva mostrato, ma combinò loro una serie di scherzi che demolirono la pretesa scientificità dei loro esperimenti.
Tanto per cominciare Wood, che conosceva benissimo il francese, finse di poter parlare con Blondlot solo in tedesco, in modo che egli si sentisse completamente libero di parlare in francese con il suo assistente. Come prima esperienza, Blondlot mostrò a Wood uno schermo sul quale stati dipinti alcuni cerchi con colori fluorescenti; secondo lui i raggi N avrebbero dovuto aumentare la luminosità di quei cerchi. Wood dichiarò di non vedere alcun cambiamento di luminosità, ma naturalmente Blondlot rispose che i suoi occhi non erano abbastanza sensibili. Allora Wood propose di condurre l'esperimento in questa maniera: egli avrebbe interposto di tanto in tanto uno schermo di legno secco sul cammino delle radiazioni, ostacolandone e favorendone la trasmissione, ed egli, senza guardare il suo collega americano, avrebbe dovuto dirgli quando notava gli aumenti di luminosità. Sfortunatamente Blondlot sbagliò in tutti i casi e disse addirittura di osservare degli aumenti di luminosità anche quando Wood non muoveva affatto lo schermo di legno; l'americano però non disse nulla. Subito dopo Blondlot cercò di dimostrare il preteso aumento dell'acuita visiva che si notava quando un soggetto veniva posto vicino ad una sorgente di raggi N; prese una sbarra d'acciaio, che secondo la sua teoria era un'ottima sorgente di raggi N, e se lo mise sulla fronte; sulla parete opposta della stanza, che era fiocamente illuminata, era appeso un orologio. Blondlot assicurò a Wood che le lancette dell'orologio, invisibili a causa della penombra, gli apparivano più distinte quando aveva la sbarra appoggiata alla fronte. A questo punto Wood chiede se poteva reggergli lui la sbarra sulla fronte, ma approfittando della penombra sostituì la sbarra d'acciaio con una di legno senza che nessuno se ne accorgesse, e Blondlot insistette nell'affermare che riusciva a leggere l'ora distintamente.
Ma il colpo da maestro Wood lo mise a segno nel corso dell'esperimento più importante perchè quantitativo, e non più qualitativo. Blondlot volle ripetere sotto i suoi occhi l'esperienza nel corso della quale i raggi N venivano deviati attraversando un prisma d'alluminio. Quando i raggi non venivano indirizzati sul prisma, la scintilla non avrebbe mostrato alcun aumento di luminosità perchè i raggi deviati non sarebbero riusciti a colpirla; quando colpivano il prisma sarebbero stati deviati e sarebbero andati a cadere su uno schermo sul quale era disegnata una sottile striscia di vernice fosforescente, provocando su di essa delle variazioni di luminosità in quattro diversi punti, che corrispondevano, secondo Blondlot, alle diverse lunghezze d'onda dei raggi N. Perché l'aumento di luminosità fosse apprezzabile, l'esperimento doveva essere eseguito al buio. Wood ne approfittò: dopo aver assistito una prima volta alla dimostrazione, chiese a Blondlot di ripeterla e di rileggere le misure dei quattro punti nei quali si era rivelato l'aumento di luminosità. Stavolta però, non appena furono spente le luci, Wood fece sparire dallo spettroscopio il prisma di alluminio. Furono fatti emettere di nuovo i supposti raggi N, e Blondlot rilesse le stesse misure di prima, nonostante il fatto che i raggi questa volta non erano sicuramente potuti passare attraverso il prisma. A questo punto però Wirtz cominciò a sospettare qualcosa e tirò Blondlot in disparte, dicendogli in francese: « Non vedo nulla, non c'è spettro, credo che l'americano abbia combinato qualche guaio! » A questo punto però, approfittando della semioscurità e della loro distrazione, Wood, che aveva capito tutto, rimise a posto il prisma. A questo punto l'assistente fece emettere di nuovo i raggi N e confermò che le righe spettrali erano invisibili. Subito dopo accese la luce e andò a verificare se il prisma era a posto; immaginatevi come ci rimasero lui e Blondlot, quando videro il prisma d'alluminio là dove doveva essere!
A questo punto, Wood ne sapeva abbastanza: salutò cordialmente i due e prese il treno della notte per Parigi. La mattina dopo scrisse di getto l'articolo nel quale raccontava tutto e lo inviò a "Nature", che lo pubblicò il 29 settembre successivo: in esso, Wirtz era accusato di una vera e propria truffa senza mezzi termini. Un mese dopo ne apparve anche una traduzione in francese su "Revue Scientifique", e questi articoli segnarono l'inizio della fine dei raggi N. Blondlot tentò di rispondere con altri articoli e per due anni ancora i colleghi di Nancy fecero quadrato intorno a Blondlot, ma le critiche ormai fioccavano da ogni parte e risultava sempre più difficile sostenere la credibilità dei raggi N. Blondlot, tuttavia, rifiutò di ammettere che il suo era stato solo un errore, e continuò a lavorare sui raggi N per anni dopo che tutti gli altri avevano rinunciato. Dopo qualche anno, nel 1909, Blondlot si ritirò dall'insegnamento e lasciò alla sua facoltà la bella cifra di ventimila franchi, stabilendo che quella somma fosse utilizzata per pagare lo stipendio al suo assistente Wirtz come tecnico di laboratorio e come curatore di collezioni di strumenti. Questa mossa, con cui egli pensava di dimostrare la sua solidarietà con Wirtz, accusato da Wood di aver orchestrato l'intero inganno, venne invece letto come un'ammissione di colpevolezza, e nessuno parlò più dei raggi N. Blondlot, uscito di scena, venne quasi completamente dimenticato e mori a Nancy il 24 novembre 1930.
Ecco il giudizio che di questa vicenda dà Federico di Trocchio: « Ciò che probabilmente è avvenuto è che Wirtz, conoscendo lo scopo al quale tendevano i primi esperimenti di polarizzazione dei raggi X ideati dal suo superiore, abbia operato delle piccole manipolazioni per indirizzarli verso un esito positivo. Infatuato da questo risultato Blondlot deve averci ricamato sopra ricavandone la scoperta dei raggi N e mettendo Wirtz nella condizione di dover confermare anch'essa con opportune manipolazioni degli ulteriori esperimenti. Deve essere nata insomma tra i due una complicità non dichiarata e non è escluso che lo stesso Wirtz, pur essendo pienamente consapevole del fatto che gli esperimenti erano in definitiva truccati, fosse comunque convinto che in questo modo era stato messo in evidenza un fenomeno che altrimenti sarebbe passato inosservato. »
Ciò che stupisce però non è il fatto che Blondlot e Wirtz abbiano creduto di aver compiuto una scoperta epocale, ancora più straordinaria di quella di Röntgen, che li avrebbe proiettati nell'olimpo della scienza; è il fatto che molti altri stimati scienziati, francesi e non, abbiano creduto alle loro parole, affermando di vedere degli effetti che non esistevano affatto, senza poter essere certamente accusati di aver mentito sapendo di mentire. A tal proposito in questo sito Massimo Polidoro, il famoso "cacciatore di bufale", così commenta la vicenda che vi ho narrato:
« Né Blondlot né i suoi colleghi che avevano creduto nei raggi N avevano mentito, né si erano inventati di avere visto qualcosa. La forte convinzione che i raggi N esistessero aveva alterato il loro modo di percepire. Come dimostra questo episodio, nemmeno gli scienziati sono immuni dalle distorsioni percettive a cui noi tutti siamo soggetti. »
Una situazione analoga a questa si verificò quando, durante la grande opposizione di Marte del 1877, l'astronomo italiano Giovanni Schiaparelli (1835-1910) credette di osservare sulla superficie del Pianeta Rosso una fitta rete di strutture lineari che chiamò "canali". La maggior parte delle speculazioni sull'esistenza di una civiltà aliena su Marte fu favorita da un'errata traduzione in inglese del lavoro di Schiaparelli: la parola italiana "canali" fu infatti tradotta con il termine "canals", che indica canali artificiali scavati dall'uomo, anziché con "channels", che indica conformazioni naturali del terreno. Del resto, nel maggio 1895 sulla rivista "Natura ed Arte" lo stesso Schiaparelli scriveva: « mancando sopra Marte le piogge, questi canali probabilmente costituiscono il meccanismo principale con cui l'acqua, e con essa la vita organica, può diffondersi sulla superficie asciutta del pianeta ». Nacque così la leggenda che Marte fosse un pianeta molto più vecchio della Terra, e che i Marziani potessero sopravvivere solo dragando attraverso giganteschi canali l'acqua dai poli su tutta la superficie del loro mondo. L'astronomo statunitense Percival Lowell (1855-1916) fu uno dei più ferventi sostenitori della natura artificiale dei canali marziani e condusse una dettagliata serie di osservazioni a sostegno dell'ipotesi che i canali fossero delle imponenti opere di ingegneria idraulica progettate da esseri senzienti, e molti altri astronomi caddero nello stesso abbaglio, convinti di vedere con i loro occhi l'opera delle abili mani dei marziani, nonostante nel 1907 il naturalista inglese Alfred Russel Wallace (1823-1913) avesse avvertito tutti che la temperatura e la pressione atmosferica del pianeta erano troppo basse perché potesse esistere acqua in forma liquida, e che tutte le analisi spettroscopiche effettuate fino a quel momento avevano escluso la presenza di vapore acqueo nell'atmosfera marziana. Il celeberrimo romanzo "La guerra dei mondi" ("The War of the Worlds") pubblicato nel 1898 da Herbert George Wells (1866-1946) riflette proprio il clima di euforia seguito alla "scoperta" dei canali di Schiaparelli, e da qui nacque il mito dei marziani che dilagò a macchia d'olio nella letteratura fantascientifica. Ma già nel 1900 l'italiano Vincenzo Cerulli (1859-1927) avanzò l'ipotesi che le strutture viste da Schiaparelli fossero in realtà illusioni ottiche, e l'astronomo greco Eugenios Michael Antoniadis (1870-1944), che in un primo tempo aveva sostenuto la natura artificiale dei canali, durante la grande opposizione del 1909 utilizzò il potente telescopio da 830 millimetri dell'osservatorio di Meudon, alla periferia di Parigi (il terzo maggior telescopio rifrattore del mondo), per dimostrare che le linee chiamate canali erano un effetto ottico che derivava dall'unione di più punti operata dall'occhio umano, effetto peggiorato dal fatto che Schiaparelli soffriva di astigmatismo. I canali rimasero, in ogni caso, un'ossessione dell'immaginario popolare, grazie soprattutto ai numerosi romanzi e film di fantascienza ambientati sul Pianeta Rosso, fino a che le prime foto scattate dalla sonda spaziale Mariner 4 della NASA nel 1965 e la prima mappatura realizzata da Mariner 9 nel 1971 mostrarono a tutti la vera natura della superficie di Marte, arida e desertica, butterata da crateri da impatto e da formazioni di origine vulcanica, ma senza alcun canale. Eppure tanti astronomi di fama avevano giurato di vederli sulla superficie del Pianeta Rosso!
Gli ipotetici canali di Schiaparelli
Come detto, quelli dei canali marziani e dei raggi N sono esempi lampanti di ciò che oggi viene definito "scienza patologica". Con questo termine Langmuir definì un processo psicologico con il quale uno scienziato, che per tutta la vita ha seguito il metodo scientifico, a un certo punto inconsciamente si distacca da esso ed avvia un processo patologico di interpretazione dei dati, in modo da farli coincidere con i risultati che egli si attende. In tal modo crede di aver dimostrato una teoria in modo oggettivo ed irrefutabile, ma in realtà ha solo proiettato nei suoi calcoli ed esperimenti quelli che sono i propri ottativi. Di solito la scienza patologica è caratterizzata dallo studio di fenomeni i cui effetti sono ai limiti della percettibilità umana, così da poter affermare che chi non riesce a vedere tali effetti, lo fa perchè non ha i sensi abbastanza sviluppati; inoltre, in questo tipo di patologia chi ne è colpito risponde alle critiche con artifici "ad hoc", che ben poco hanno di scientifico. Vengono in mente gli aristotelici che si rifiutarono di appoggiare l'occhio al cannocchiale di Galileo, perchè vedere con i propri occhi i satelliti di Giove li avrebbe costretto a mettere in dubbio le teorie di Aristotele, nelle quali invece avevano creduto ciecamente per una vita. Ma anche Robert Williams Wood fu testimone di tale condotta irrazionale nel laboratorio di Blondlot. Infatti Blondlot ripeté davanti a lui l'esperimento che consisteva nel far passare i raggi attraverso una fessura di 2 millimetri di larghezza, poi attraverso un prisma di alluminio, per misurarne l'indice di rifrazione con la precisione del centesimo di millimetro. Wood gli chiese come fosse possibile misurare qualcosa con precisione di 0,01 mm a partire da una sorgente di 2 mm, il che è fisicamente impossibile nella propagazione di qualsiasi tipo di onda. Blondlot gli avrebbe risposto: « Questo è uno degli aspetti più affascinanti dei raggi N: essi non seguono le ordinarie leggi della fisica. » Naturalmente chi (per motivi più nazionalistici che scientifici) credeva ciecamente nell'esistenza dei raggi N, accettava questa spiegazione con religioso silenzio. Invece Wood sapeva che "non seguire le ordinarie leggi della fisica" significa "mettersi al di fuori del metodo scientifico medesimo". Ed ecco perchè fece di tutto per smantellare la bufala dei raggi N.
Teniamo bene a mente questo concetto, quando incontreremo particelle ipotetiche come i partner supersimmetrici o i fotoni oscuri che sembrano comportarsi in maniera diametralmente opposta a quella delle particelle osservate sperimentalmente. Se lo fanno, probabilmente ciò significa che (come i raggi N) appartengono non al mondo della scienza, ma a quello della fantascienza!