Il reattore a fusione nucleare  

Come si è detto nella lezione precedente, se si riuscisse a realizzare una reazione di fusione nucleare controllata, avremmo a disposizione una fonte di energia praticamente illimitata. Naturalmente bisogna scegliere una reazione a bassa energia di soglia, cioè che si innesca alla minima temperatura possibile, ma al contempo in grado di generare più energia di quanta è necessaria per portare il plasma a tale temperatura. La reazione che si è scelta di utilizzare è la seguente:

In altre parole, un nucleo di deuterio e uno di tritio danno vita ad un nucleo di elio-4 e ad un neutrone. Questa reazione può avvenire solo se i due nuclei di isotopi dell'idrogeno si avvicinano fino a distanze dell'ordine del Fermi (1 fm = 10–15 m); ma la repulsione coulombiana, dato che entrambi i nuclei sono positivi, rende difficilissima quest'operazione. L'unica possibilità è quella di portare entrambi i nuclei ad altissima temperatura, in modo che l'agitazione termica vinca la barriera di potenziale. Quando la reazione nucleare si innesca e si autosostiene, si dice che il plasma ha raggiunto l'ignizione. La temperatura necessaria per ottenere tale risultato è come minimo 108 K. A questa temperatura la materia si trova allo stato di plasma (i nuclei sono separati dagli elettroni).

Una tale temperatura non è sopportabile da alcun materiale: il tungsteno, uno dei metalli più altofondenti, fonde a 3422°C ed evapora a 5555°C: infinitamente meno dei 100 milioni di gradi necessari. Confinare, cioè contenere un tale plasma in uno spazio circoscritto, è praticamente impossibile con metodi puramente meccanici. Tale dilemma ricorda il vecchio problema del "solvente universale" ricercato dagli alchimisti del Medioevo, capace di sciogliere ogni sostanza con cui entra a contatto: se e così, in che recipiente lo tengo?

L'unica possibilità è quella di tenere in equilibrio il plasma dentro un opportuno campo magnetico, approfittando del fatto che esso è elettricamente carico: si parla in questo caso di bottiglia magnetica. La scienza che studia l'equilibrio dei plasmi in campo magnetico si chiama magnetofluidodinamica. Purtroppo, tenere in equilibrio un plasma a temperatura astronomica (è il caso di dirlo) dentro una bottiglia magnetica è difficilissimo: sarebbe stato più semplice, per gli architetti egiziani del III millennio a.C., costruire la piramide di Cheope in equilibrio sulla punta, piuttosto che tenere in equilibrio una colonna di plasma dentro una complicata configurazione magnetica! A rendere instabile il plasma sono anche le cosiddette isole magnetiche, turbolenze che rischiano di crescere indefinitamente fino a distruggere il confinamento; proprio allo studio dell'"autoalimentazione" delle isole magnetiche io ho dedicato la mia Tesi di Laurea.

Diverse sono le soluzioni proposte dagli ingegneri per realizzare un reattore nucleare a confinamento magnetico. Il primo tentativo di confinare un plasma con potenti campi magnetici fu lo Stellarator, ideato nel 1951 da Lyman Spitzer (1914-1997) dell'Università di Princeton. Il concetto fondamentale è quello di disporre i campi magnetici in modo che le particelle circolanti intorno all'asse lungo della macchina seguano percorsi tortuosi, evitando le instabilità e mantenendo il combustibile stabile abbastanza a lungo per permettere che venga riscaldato al punto di ignizione. Negli anni sessanta invece si puntò sul cosiddetto specchio magnetico, una configurazione lineare costituita da due grandi bobine allineate con l'asse in comune. Esse generano un campo magnetico come quello visibile qui sotto. Un particella carica iniettata in questo campo magnetico avverte la cosiddette Forza di Lorentz, che la fa muovere lungo traiettorie elicoidali, con un raggio (detto raggio di girazione) tanto più piccolo quanto maggiore è il campo magnetico. Quando si avvicina alle bobine, lo ione carico precede con un raggio di girazione sempre più piccolo; alla fine esso inverte il suo moto e torna indietro, precedendo in direzione opposta, come se si fosse "riflesso": da qui il nome di specchio magnetico. Le particelle continuano a "riflettersi" tra le due bobine, e quelle che escono a causa degli urti vengono reimmesse all'interno da un opportuno campo magnetico detto divertore.

Siccome la maggior parte delle perdite in uno specchio magnetico avviene alle estremità, si pensò di richiudere ad anello la configurazione magnetica, a forma di toro: si dice toro il solido ottenuto facendo ruotare un cerchio attorno a una retta che non lo attraversa. E così, la soluzione oggi più gettonata è quella del Tokamak (dall'acronimo russo TOroidal'naya KAmera v MAgnitnykh Katushkakh, "Camera toroidale con bobine magnetiche") ideato nel 1950 dagli scienziati sovietici Andrej Sakharov (1921-1989) e Igor Tamm (1895-1971). Per tenere confinato (cioè in equilibrio) il plasma dentro un simile anello occorrono due campi magnetici, detti rispettivamente toroidale, parallelo all'asse del Tokamak, e poloidale, che giace in piani perpendicolari all'asse del Tokamak, prodotti da enormi magneti posti attorno al reattore, che si sommano dando vita ad un campo magnetico elicoidale (in realtà la sezione del Tokamak non è circolare ma a forma di D). Le bobine che generano i campi magnetici sono superconduttrici, altrimenti le correnti necessarie per generare gli enormi campi magnetici da almeno 10 Tesla fonderebbero anch'esse per effetto Joule: e siccome un materiale diventa superconduttore a temperature prossime allo zero assoluto, occorrono magneti freddissimi per ottenere un plasma caldissimo! Nonostante questo, alcune particelle si urtano tra di loro ed escono comunque dal confinamento; per evitare lo svuotamento del Tokamak, anche in questo caso esiste tutt'attorno un altro campo magnetico detto divertore, che le prende e le reimmette nel Tokamak.

C'è comunque un problema. La reazione di fusione sopra scritta produce pericolosissimi neutroni. Come eliminarli? L'idea è quella di circondare il tokamak con una spessa camicia di litio che li assorbe mediante la reazione nucleare:

producendo innocuo elio e utile tritio, che può essere reimmesso come combustibile nel reattore!

Purtroppo il litio è una delle sostanze più cancerogene che esistano, però si pensa di farlo movimentare da operai robot, fatto che potrebbe innescare una quarta rivoluzione industriale. La prima rivoluzione industriale, nel XVIII secolo, fu quella della macchina a vapore; la seconda rivoluzione industriale, nel XIX secolo, fu quella dell'elettricità e dei motori a combustione interna; la terza rivoluzione industriale, nel XX secolo, fu quella informatica; secondo molti esperti, la quarta rivoluzione industriale, nel XXI secolo, potrebbe essere proprio quella robotica, e potrebbe essere innescata dalle ricerche sulla fusione nucleare cntrollata.

L'ignizione, cioè l'innesco della reazione di fusione, fu ottenuta per la prima volta per poche frazioni di secondo il 9 novembre 1991, in Gran Bretagna nel reattore a fusione sperimentale europeo JET (Joint European Torus), il più grande reattore sperimentale a fusione nucleare finora costruito, in un vecchio aeroporto della Royal Navy vicino a Culham, nell'Oxfordshire (Regno Unito). Nel 2013 è iniziata a Cadarache, nel Sud della Francia,  la costruzione di ITER ("International Thermonuclear Experimental Reactor"), ad opera di un consorzio internazionale composto da Unione europea, Stati Uniti d'America, Russia, India, Cina, Giappone e Corea del Sud. Inizialmente il progetto prevedeva l'accensione del Tokamak nel 2019, a un costo complessivo di costruzione stimato di 10 miliardi di Euro. Tuttavia il 16 giugno 2016 il Consiglio Direttivo di ITER ha annunciato ufficialmente che la previsione iniziale per la data della prima ignizione è stata spostata al dicembre 2025, e che purtroppo gli esperimenti di fusione deuterio-trizio veri e propri inizieranno solo a partire dal 2035. Anche l'Italia aveva messo in cantiere l'IGNITOR, un progetto per la realizzazione di un reattore sperimentale a fusione nucleare proposto per la prima volta nel 1977 dal professor Bruno Coppi (1935-) del Massachusetts Institute of Technology e patrocinato dall'ENEA, con la collaborazione di diverse università italiane, ma se ne è fatto poco o nulla. Nel 2010 però il progetto ha acquistato nuovo slancio grazie ad un accordo stilato tra Italia e Russia per la sua realizzazione; anche in questo caso, chi vivrà vedrà.

Spaccato di un Tokamak. Si confrontino le sue dimensioni con quelle di un essere umano (visibile in basso a sinistra)

Spaccato di un Tokamak. Si confrontino le sue dimensioni
con quelle di un essere umano (visibile in basso a sinistra)

Un'altra soluzione possibile è quella del confinamento inerziale: una pallina di idrogeno liquido (precisamente si tratta degli isotopi deuterio e tritio) viene tenuta in equilibrio da campi magnetici in una camera apposita e bombardata da laser potentissimi, essa letteralmente implode, e al suo centro avviene la reazione di fusione con la liberazione di una grande quantità di energia. Poi viene fatta cadere un'altra goccia, è bombardata e il procedimento si ripete, con sostituzione della sferetta di combustibile decine di volte al secondo. Questa configurazione è portata avanti soprattutto dagli Stati Uniti d'America.

Nel 2004 alcuni scienziati russi guidati da Vladimir Krainov (1938-) dell'Istituto di fisica e tecnologia di Mosca riuscirono a produrre una reazione di fusione nucleare controllata innescata dal confinamento laser, tra nuclei di idrogeno e di boro, alla temperatura di un miliardo di Kelvin, senza emissione di neutroni o qualsiasi altra particella radioattiva, ma purtroppo l'energia richiesta dal laser superava di molto quella prodotta dalla reazione. Verso la fine del 2014 gli scienziati dei Lawrence Livermore Laboratory in California, durante un diverso esperimento, hanno colpito il contenitore degli isotopi con potenti laser, inducendo l'emissione di raggi X, l'energia dei quali è stata superata da quella liberata dagli isotopi stessi, ma ancora non sono riusciti a raggiungere l'ignizione. Aggiungiamo poi che il miglior laboratorio naturale per lo studio del plasma resta ancor oggi il Sole, e così nel 2019 Eoin P. Carley e i suoi colleghi del Trinity College di Dublino si sono impegnati a tracciare ad alta risoluzione l'enigmatico comportamento del plasma solare, che è all'origine dei periodici brillamenti del Sole, analizzando i dati raccolti dalla sonda Solar Dynamics Observatory della NASA. In particolare, quei ricercatori sono stati in grado di monitorare con un'alta risoluzione temporale e spaziale le pulsazioni delle emissioni luminose e radio prodotte dal plasma; questi dati sono essenziali per comprendere i fenomeni di instabilità del plasma contro cui combattono gli ingeneri alle prese con la creazione di reattori a fusione nucleare. Studiando come i plasmi diventano instabili sul Sole, potremo imparare a controllarli anche sulla Terra.

Nell'agosto 2021 poi la National Ignition Facility (NIF) statunitense ha annunciato che per la prima volta un esperimento di fusione con confinamento inerziale ha rilasciato il 70 % dell'energia spesa per innescare il processo (1,9 megajoule usati per il laser sono stati compensati da 1,3 megajoule di energia rilasciata), quando fino ad allora gli sperimentatori erano riusciti a produrre solo il 3 % dell'energia immessa. Alla NIF, gestita dal Lawrence Livermore National Laboratory a Livermore, in California, il calore e la pressione necessari per la fusione nucleare sono generati da un impulso laser ultrabreve ad alta energia. Il combustibile, una miscela di deuterio e trizio, è al centro del dispositivo, chiuso all’interno di una capsula di circa due millimetri, che a sua volta si trova in un cilindro d'oro di un centimetro; 192 raggi laser concentrano la loro luce per 20 miliardesimi di secondo sull'oro, che evapora ed emette raggi X verso il centro della capsula, che comprime e riscalda a tal punto il proprio contenuto da far fondere i nuclei atomici dell'idrogeno al suo interno. Tuttavia, anche se raggiungesse o addirittura superasse il punto di pareggio la fusione inerziale non sarebbe ancora pronta per un uso pratico: per convertire l'energia rilasciata sotto forma di neutroni veloci in una forma utilizzabile dovrebbero essere sparate dieci di queste capsule al secondo, tecnicamente una sfida enorme. Nonostante questo, il 13 marzo 2022 il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti d'America ha annunciato "una svolta storica" nello sviluppo di questa tecnologia, perché per la prima volta nel suddetto esperimento presso il Lawrence Livermore National Laboratory l’energia prodotta è stata maggiore di quella necessaria per innescare la reazione di fusione: per la precisione, sono stati usati laser da 2,1 MegaJoule di energia per produrre 3,15 MegaJoule, generando oltre il 50% in più di energia rispetto a quella immessa. Quindi è la prima volta che un esperimento ha prodotto un guadagno significativo di energia. In realtà è stato prodotto poco più di un KWh: per ora, dunque, un laboratorio enorme per mantenere accese le lampadine di una abitazione. E questo ci dice che il successo commerciale della fusione inerziale è tanto incerto quanto quello del progetto europeo ITER.

Certamente lo Stellarator e il confinamento inerziale no, ma il Tokamak ha travalicato i confini del ristretto mondo accademico, diventando sinonimo presso il grande pubblico di « macchina di cui nessuno capisce il funzionamento, ma che potrebbe risolvere tutti i problemi dell'umanità ». Lo testimonia l'avventura a fumetti « Topolino e il fantastico Tokamak », pubblicata su "Topolino" numero 1459 del 13 novembre 1983, scritta e disegnata dal grande Romano Scarpa (1927-2005), in cui Topolino e il suo amico Gancetto devono investigare su una piramide extraterrestre avvicinatasi al pianeta Terra, ed in essa trovano delle mirabolanti invenzioni che essi portano sulla Terra. Una in particolare desta l'interesse e l'ammirazione degli scienziati: proprio un Tokamak!

Nelle strisce a fumetti troviamo una descrizione corretta del funzionamento del Tokamak, ma purtroppo altrettanto non si può dire per la sua interpretazione grafica. Romano Scarpa infatti lo rappresenta come un cilindro metallico grande come un bidone dell'immondizia, troppo piccolo persino per somigliare ad uno Stellarator. Evidentemente il grande disegnatore ignorava che la "to" di "Tokamak" sta per "toroidale". La storia comunque è un vero capolavoro, e potete leggerla integralmente online cliccando qui!

Purtroppo però, come l'accensione della pila atomica da parte di Enrico Fermi fu solo il primo passo verso la realizzazione della Bomba A o bomba atomica, così la scoperta del processo di fusione nucleare da parte di Hans Bethe fu solo il gradino verso la costruzione di un ordigno ancora più terribile: la Bomba H o bomba all'idrogeno. Si tratta di un ordigno in cui una normale bomba atomica, che serve da innesco, viene posta all'interno di un contenitore di materiale fissile insieme a degli atomi leggeri. Quando la bomba atomica esplode, innesca la fusione termonucleare dei nuclei degli atomi leggeri; questo processo provoca a sua volta la fissione nucleare del materiale che la circonda. In questo tipo di bomba dunque l'energia liberata deriva oltre che dalla fissione nucleare, anche dalla fusione nucleare fra nuclei di isotopi diversi dell'idrogeno: il deuterio ed il tritio. Il tritio non è di per sé presente nella composizione iniziale della bomba, ma viene prodotto dall'urto di neutroni veloci contro nuclei di litio secondo la reazione nucleare scritta sopra. A differenza della bomba atomica, la bomba H non ha alcuna limitazione teorica di potenza e non necessita di una massa critica, a parte quella dell'uranio della bomba atomica. Poiché la bomba H usa come detonatore una normale bomba atomica, la compressione del suo combustibile nucleare è molto più rapida, superando completamente il problema di una frantumazione prima che la reazione sia andata molto oltre. Come risultato, può essere usato più combustibile, provocando una esplosione molto più distruttiva. Il lampo di una tale bomba può incendiare città e foreste a una distanza di oltre 40 chilometri, mentre il letale fallout radioattivo che successivamente ricade al suolo, può ricoprire aree a molte centinaia di chilometri dal luogo dell'esplosione. La prima bomba H fu messa a punto da Edward Teller (1908-2003) e venne fatta esplodere dagli Stati Uniti d'America il 1 novembre 1952 sull'atollo di Eniwetok, nelle Isole Marshall: battezzata "Ivy Mike", aveva una potenza di 10,4 megatoni, cioè 450 volte più potente della bomba esplosa su Nagasaki. A sua volta l'Unione Sovietica sperimentò il suo primo ordigno nell'agosto 1953: esso fu messo a punto da Andrej Sacharov (1921-1989) e Vitalij Ginzburg (1916-2009). Seguirono a ruota il Regno Unito, la Repubblica Popolare Cinese e la Francia, rispettivamente nel 1957, 1967 e 1968. A differenza della bomba atomica, la bomba H non è mai stata impiegata in operazioni belliche, ma nel 1961, in una serie di test nucleari, l'URSS fece esplodere la più potente bomba H mai realizzata detta "bomba Zar", che liberò energia pari a 57 megatoni, ovvero oltre 4.500 volte più potente della bomba all'uranio lanciata su Hiroshima!

Ma non basta: siccome la malvagità umana non ha limiti, è riuscita a concepire anche la cosiddetta bomba a neutroni, o bomba N. Sostanzialmente si tratta di una variante della bomba ad idrogeno; in essa vengono diminuiti gli effetti esplosivi a mezzo di un accurato studio della diffusione neutronica al fine di evitare la partecipazione alla reazione di una gran parte di neutroni. Fissando una massa critica minima di uranio-235 e una minima di idrogeno e litio è possibile, contenendo gli effetti della deflagrazione, fare in modo che un numero molto consistente di neutroni sfugga alla massa coinvolta nella reazione investendo l'area circostante. La bomba a neutroni è spesso chiamata anche "bomba pulita" in quanto, già a distanza di poche ore dalla sua esplosione, non lascia tracce di radioattività. Questo mostruoso ordigno distrugge la vita umana nel raggio di circa 1500 metri, lasciando, però intatti gli oggetti inanimati, che vengono semplicemente attraversate dai neutroni, ad esclusione di un'area piuttosto limitata con un diametro di circa 350 metri. Il territorio colpito è quasi interamente praticabile a distanza di sole poche ore dal lancio, e le strutture possono così essere utilizzate. I militari pensano di utilizzarla per attaccare il nemico che ha invaso un territorio alleato impossibile da distruggere, ma a me appare veramente inumano immaginare un ordigno in grado di uccidere ogni forma di vita e lasciare intatte le infrastrutture. Aveva ragione chi affermava che il diavolo è un illuso, se spera di far diventare gli uomini peggiori di quanto sono già!

Andrej Sacharov sulla copertina di "Time"

Andrej Sacharov sulla copertina di "Time"

Eppure, c'è chi riesce a scrivere diritto anche su righe estremamente storte. Stiamo parlando di Andrej Sakharov, il padre della bomba H sovietica, nonché scopritore dell'asimmetria tra materia ed antimateria nella composizione dell'universo. Più che per questi successi, egli divenne famoso in tutto il mondo perché negli anni sessanta si mostrò critico riguardo agli aspetti repressivi del regime sovietico, tanto da fondare nel 1970 il comitato per i diritti civili e prendere le difese dei dissidenti e dei perseguitati. Per questo nel 1975 ricevette il premio Nobel per la pace, ma non poté ritirarlo perchè gli fu impedito di uscire dall'Unione Sovietica. Avendo sponsorizzato una manifestazione contro l'invasione sovietica dell'Afghanistan, fu arrestato nel 1980 e confinato a Gor'kij (nome sovietico della città di Nižnij Novgorod), da dove la moglie Elena Bonnér (1923-2011) costituì il suo unico contatto con il mondo esterno. Dopo una lunga mobilitazione a suo favore da parte del mondo intero, venne riabilitato da Michail Gorbačëv nel 1986, rientrò trionfalmente a Mosca e fu eletto deputato nel 1989. Morì nella capitale russa il 14 dicembre dello stesso anno, a causa di una grave cardiomiopatia dilatativa. In suo onore è stato istituito nel 1988 il Premio Sacharov per la libertà di pensiero, assegnato a persone che abbiano contribuito in modo eccezionale alla lotta per i diritti umani in tutto il mondo.