Anticamente gli uomini ritenevano che gli esseri viventi non si modificassero nel tempo. A sostenere quest'ipotesi veniva l'autorità del Creazionismo biblico, ripreso dal naturalista svedese Carlo Linneo (1707 - 1778), il quale affermò solennemente che « Le specie sono tante, quante Iddio primariamente ne creò. » Si era infatti convinti che il Signore non avrebbe mai permesso l'estinzione di una sola delle specie da lui create. In seguito, una più scrupolosa osservazione dei fenomeni naturali portò a credere che questa concezione di Dio era errata, e che al contrario nel mondo tutto si evolve, come del resto afferma altrove la Bibbia stessa. Anzi, il principio di continua evoluzione ed involuzione delle realtà terrestri è oggi alla base di ogni branca della Scienza ed in particolar modo della geologia, che studia la costituzione e la struttura della Terra (in greco gea) e ricostruisce la successione cronologica delle vicende che hanno condizionato nel bene e nel male la sua storia. A seconda della struttura della crosta terrestre, tale storia può essere divisa in periodi di lunghezza diversa, le quali però non rappresentano una vera e propria divisione del tempo come quella in anni o in secoli, giacché tra l'una e l'altra sussistono dei periodi intermedi, come dei momenti di passaggio, per cui lo scivolamento da un periodo al successivo è lento e graduale. Solo raramente dei fenomeni catastrofici di varia natura hanno portato a grandi estinzioni di massa delle specie viventi e a radicali mutamenti della faccia della Terra, ed è in corrispondenza di questi eventi che si passa da un'era all'altra (un po' come le guerre tra gli dei e gli eroi segnano il passaggio da un'era all'altra nella mitologia del "Signore degli Anelli" di Tolkien).
Ciò che si può scavare
La lunga storia della vita, che in questo ipertesto noi esploreremo mediante un'ideale Macchina del Tempo, ha visto passare sul nostro pianeta un'interminabile sfilata di esseri viventi, ma solo pochissimi esemplari, testimoni di eventi lontanissimi, sono giunti fino a noi. Com'è stato possibile questo miracolo? Il fatto è che nelle rocce sono rimasti inclusi i resti di una vita antichissima, i fossili (dal latino: "ciò che si può scavare"), i quali a partire dal 1820 circa ci hanno insegnato come era popolata la Terra milioni e milioni di anni fa, come vivevano gli abitatori di quelle lontane ere del mondo, quali erano le loro abitudini, e così via. Di che natura possono essere questi fossili? Si può trattare di impronte fossili lasciate nel fango o sulla sabbia che, a seguito di diversi processi chimici, si sono solidificati, trasformandosi in rocce; si può trattare di scheletri fossili; le varie parti del corpo, in questi casi, si sono trasformate in rocce ("mineralizzazione") oppure si sono letteralmente sciolte nel terreno che poi col tempo è stato riempito da altre sostanze le quali, solidificandosi, hanno formato un calco dell'animale, fornendoci la preziosa testimonianza della sua struttura, proprio come è accaduto agli sfortunati abitanti di Pompei, sepolta dal Vesuvio nel 79 d.C. E' importante sottolineare il fatto che noi non riportiamo in luce le vere "ossa" dei dinosauri, ma pezzi di roccia che hanno preso fedelmente il posto dell'originale. Ma potremmo essere più fortunati e rinvenire addirittura interi organismi come mosche intrappolate nell'ambra (fu questo spunto che diede origine al ciclo di romanzi e di lungometraggi di Jurassic Park!).
Un fossile però può anche derivare dall'attività metabolica dell'organismo vivente fossilizzatosi. Per esempio, per milioni d'anni le primitive alghe verdazzurre sono vissute in un ambiente in cui non c'erano altri esseri viventi che potessero nutrirsi di esse, e così colonizzarono le acque salate dei mari producendo per prime, durante il periodo Proterozoico, l'ossigeno sulla Terra; esse espulsero grandi quantità di sali di calcio derivanti dai processi vitali, cui si deve la costruzione delle Stromatoliti, concrezioni calcaree simili a cuscini, le cui dimensioni vanno da pochi millimetri ad alcuni metri, e che si sono trovate in grandi quantità in nello Zimbawe (le più antiche di esse) e in Australia, presso la Shark Bay.
I fossili si trovano di solito dentro le rocce sedimentarie, diffusissime ovunque e derivate dai depositi trasportati dall'acqua. Dentro le rocce vulcaniche è difficilissimo rinvenirne, vista la loro origine dal magma; solo raramente si trovano fossili come conchiglie intrappolate dentro particolari magmi solidificati. Anche nelle rocce metamorfiche è raro trovare fossili, e quando si rinvengono sono stati fortemente deformati dalle ingenti forze tettoniche all'origine del metarmofismo.
Stratigrafia
Le rocce sedimentarie hanno una classica struttura a strati, ed i fossili in essi contenuti possono essere utilizzati per ricostruire la storia della Terra grazie agli organismi che si sono succeduti nel corso dei millenni. Questa branca della geologia prende il nome di stratigrafia, e fu fondata dall'ingegnere minerario inglese Wiliam Smith (1769-1839), il quale lavorava nelle miniere di carbone inglesi, e per primo fu in grado di riconoscerne le sequenze stratigrafiche nelle miniere, realizzando la prima mappa geologica dell'Inghilterra tra il 1790 e il 1800. Il principio fondamentale della stratigrafia afferma che lo strato più antico e sottostante si è formato per primo, ed il più recente e sovrastante per ultimo, mentre gli altri si sono formati nei periodi intermedi, anche se questa disposizione può essere modificata o addirittura rovesciata da successivi movimenti tellurici, come avviene nelle Alpi svizzere, dove non è difficile ritrovare fossili più antichi sopra fossili più recenti a causa del piegamento della crosta terrestre dovuto allo scontro tra la placca europea e quella africana.
Quando un geologo trova uno strato di roccia contenente dei fossili, può precisare non solo di che strato si tratta, ma anche quando, pressappoco, si è formato. I fossili sono dunque di grande aiuto ai geologi nella suddivisione della storia della Terra in periodi ed ere, e lo sono tanto meglio quanto più breve e definita è stata la durata della loro esistenza. Questi fossili sono detti fossili guida, perché aiutano a riconoscere l'era, il periodo o l'epoca a cui appartengono le rocce che li contengono. I fossili guida inoltre sono utili nella ricerca del petrolio, perché i geologi sanno che molti depositi di petrolio sono stati ritrovati in rocce di una particolare epoca.
Per studiare un'area geologica con questo metodo è necessario realizzare una colonna stratigrafica, ovverossia un grafico che illustra la successione degli strati rocciosi in una determinata zona. Nella provincia in cui abita l'autore di questo sito, la Provincia di Varese, è ad esempio possibile costruire la seguente colonna stratigrafica:
Le rocce che compaiono in questa colonna stratigrafica dal basso in alto, indicate dai numeri da 1 a 27, sono:
1) Basamento metamorfico; 2) Arenarie e conglomerati carboniferi; 3) Tufiti e cineriti; 4) Porfidi e porfiriti; 5) Granòfiro; 6) Arenarie dette "del Servino"; 7) Dolomie del San Salvatore; 8) Scisti di Besano; 9) Calcari di Mèride; 10) Dolomie di Cunardo; 11) Marne del Pizzella; 12) Dolomia principale; 13) Dolomia del Campo dei Fiori; 14) Dolomia a Conchodon; 15) Lacuna di non deposizione nelle Zone di Alto; 16) Calcareniti di Saltrio; 17) Calcari rossastri ammonitiferi ed Hard Grounds; 18) Calcari del Medolo; 19) Depositi residuali; 20) Radiolariti; 21) Rosso ad Optici; 22) Maiolica; 23) Scaglia variegata; 24) Flisch; 25) Gonfolite; 26) Argille plioceniche; 27) Alternanze di depositi morenici ed alluvionali prevalenti.
Come si vede, muoversi dal basso verso l'alto significa compiere un viaggio nel tempo a partire dalle ere più antiche sino al presente. Ad ogni successione geologica corrisponde un diverso periodo geologico, raggiungibile in questo ipertesto mediante un clic su di esso. Per questo ad esempio il Triassico è suddiviso in Inferiore, Medio e Superiore: il primo è individuato dai depositi sottostanti, il secondo da quelli intermedi e il terzo da quelli soprastanti. Perciò "Inferiore" è sempre la suddivisione più antica, e "Superiore" è sempre quella più recente. Ma dove sono localizzati alcuni dei siti stratigrafici sopra indicati? Per poterli individuare facilmente ne ho indicati alcuni sulla seguente cartina della parte settentrionale della provincia di Varese. Le foto, tutte scattate dall'autore di questo sito durante una passeggiata geologica con i suoi studenti, fanno riferimento per mezzo dei numeri ad altrettanti siti indicati sulla cartina:
Il sito indicato con 1 è Baveno, sul Lago Maggiore, in provincia di Verbania. Qui si trova il famoso granito rosa utilizzato per realizzare tante meraviglie architettoniche. Si tratta di una tipica roccia magmatica, il cui nome deriva dalla tipica struttura a grani. La sua origine è ancora controversa, perchè secondo alcuni deriva dal raffreddamento di un magma intruso allo stato parzialmente fuso in rocce preesistenti (ipotesi magmatistica), mentre secondo altri deriva dalla trasformazione di rocce preesistenti allo stato solido (ipotesi trasformistica). Questo granito di Baveno appartiene a un ciclo intrusivo verificatosi nell'era Terziaria. Le doto indicate con 1 mostrano una cava di granito rosa a Baveno e la tipica tessitura in grandi cristalli di questo tipo di roccia.
Il sito indicato con 2 è Brusimpiano, sul Lago di Lugano. Qui si trovano grandi formazioni di gneiss, una roccia metamorfica risalente al Precarbonifero, cioè ad oltre 360 milioni di anni fa: siamo alla base della nostra colonna stratigrafica. Nelle foto indicate con 2 si vedono i miei studenti scalpellare una parete di gneiss (in alto), alcuni frammenti staccati dalla parete (a sinistra) e l'ulteriore frantumazione di essi con martello e scalpello (a destra).
Il sito indicato con 3 è Porto Ceresio, sempre sul Lago di Lugano, dove abbiamo trovato ed osservato del granòfiro di Cuasso, un tipico porfido granitico dalla struttura microcristallina; il nome viene dal vicino comune di Cuasso al Monte. Nella foto indicata con 3 si vedono i cosiddetti "piani di immersione" delle rocce, incredibilmente piegati dalla pressione della zolla africana contro quella eurasiatica, fino a farli diventare quasi verticali! La formazione di questa roccia risale al Permiano, ed è stata datata a 269 ± 13 milioni di anni fa.
Il sito indicato con 4 è la Rasa di Varese, nel territorio dell'omonimo capoluogo: nella foto corrispondente a sinistra si vede una grande balconata calcarea. Questa roccia sedimentaria si formò sotto il livello del mare nel Triassico medio, circa 235 milioni di anni fa, e fu poi spinta ad alta quota dalle forze tettoniche. Nella foto a destra indicata con 4 invece si nota una formazione di breccia, una roccia sedimentaria a grani grossi che tende facilmente a sfaldarsi sotto forma di ciottoli.
Infine, il sito indicato con 5 è Santa Maria del Monte, dove fu edificato il famoso Sacro Monte di Varese: qui si possono trovare le cosiddette marne del Pizzella (una montagna vicina), composte da argilla e da carbonato di calcio (calcite). Questo tipo di roccia deriva da sedimenti fangosi di origine marina, accumulatisi in assenza di correnti d'acqua. Questi depositi a colori alternati, ben visibili nella figura, si sfaldano anch'essi facilmente, ed infatti furono spianati per realizzare il piazzale del Santuario varesino. Essi risalgono al Triassico inferiore, circa 220 milioni di anni fa.
La storia dei fossili
Nel passato i fossili venivano interpretati come resti pietrificati dei fulmini scagliati da Giove sulla Terra, ed ancora nel XVII secolo delle impronte di dinosauro tridattilo rinvenute in America vennero interpretate come le impronte lasciate dal corvo liberato da Noè al termine del diluvio universale!! Ma già Leonardo da Vinci (1452-1519) si era interrogato sull'origine organica dei fossili, ed anche Bernard Palissy (1510-1589), nei suoi "Discours admirables des eaux et des fontaines" (1580), aveva avanzato la medesima ipotesi. Gli studi in tal senso si intensificarono con le prime scoperte scientifiche nel campo della geologia. In un primo tempo si cercò di mettere d'accordo questi risultati con i racconti della Genesi, come fece per esempio Thomas Burnet (1635-1715) nella sua "Telluris Theoria Sacra" del 1681; poi ci si rese conto che i tempi biblici non erano sufficienti per contenere tutti i fossili scoperti. I primi a battere questa strada furono James Hutton (1726-1797), considerato il padre della geologia moderna ("Theory of the Earth with Proofs and Illustrations", 1785), William Smith (1769-1839) e soprattutto Georges Cuvier (1769-1832), il padre della paleontologia dedotta dai fossili, autore delle straordinarie "Recherches sur les ossements fossiles des quadrupèdes", anche se non credeva ancora alla teoria evoluzionistica sviluppatasi nell'800. Fu lui a smascherare il cosiddetto "Homo diluvii testis"; vale la pena di accennare a questo istruttivo episodio.
Nelle paludi del Miocene viveva la salamandra gigante Andrias Scheuchzeri, della quale fu poi ritrovata anche una forma sopravvissuta nell'Asia orientale ed assai più piccola, la Sieboldia maxima del Giappone. Il suo nome, "Andrias", significa "simile all'uomo", mentre non si capisce in cosa questa salamandra potesse essere simile all'uomo. Il fatto è che nel 1726 in una miniera di Öhningen (Germania) il naturalista svizzero Johann Jakob Scheuchzer (1672 - 1733) rinvenne lo strano fossile visibile qui sotto, che egli identificò nientemeno che come lo scheletro di uomo affogato nel diluvio universale; le sue dimensioni (circa 3 metri) lo facevano infatti passare per uno dei "famosi giganti dei tempi antichi" di cui parla il sesto capitolo del libro della Genesi. Per questo il fossile fu battezzato "Homo diluvii testis", cioè "uomo testimone del diluvio". Fu proprio Georges Cuvier a dimostrare che si tratta in realtà di una salamandra gigantesca: quello che era stato creduto il bacino, era in realtà il cranio, ed infatti, grattandolo, ne riportò alla luce i denti! Il nome ancor oggi rende ragione dell'equivoco colossale in cui caddero i naturalisti del '700.
La datazione dei fossili
Sorge però spontanea una domanda: com'è possibile datare questi resti fossili, cioè fornire per essi un'età assoluta in anni o in milioni di anni, e non una relativa del tipo "il fossile A è più antico del fossile B"? I metodi utilizzati nelle analisi risalgono tutti alla seconda metà del '900 e si basano fondamentalmente sul decadimento degli isotopi radioattivi di alcuni elementi pesanti: ogni isotopo radioattivo ha un tempo fisso di dimezzamento e quindi, misurandone la quantità contenuta nel fossile, è possibile risalire alla sua età. Gli isotopi utilizzati variano naturalmente a seconda che si debbano datare rocce più recenti o più antiche.
Il metodo del carbonio 14 è impiegato per la datazione di reperti di origine organica o contenenti sostanze organiche risalenti al Neozoico (era quaternaria). Esso dimezza esattamente in 5730 anni, ed è sempre associato all'isotopo stabile 12C . E' chiaro che, finché l'individuo è vivo, ingerisce carbonio ma, non appena muore, la quantità del 12C non varia più. Varia invece la quantità dell'isotopo 14C; misurando il rapporto isotopico tra i due è facile risalire all'età del campione. In nessun modo però questo metodo potrà essere usato per datare campioni più vecchi di 30.000 anni. Per sapere come si fa a datare i fossili con il metodo del 14C andate all'esercizio 2.
Per fossili più antichi come quelli di dinosauro si usa il 40K (potassio 40), che decade in 40Ar (argo), oppure il 147Sm (samario) che decade in 143Nd (neodimio) con emissione di particelle alfa. Quest'ultimo è stato recentemente impiegato per rocce del periodo Archeano, vecchie più di un miliardo d'anni.
Invece il metodo delle tracce di fissione si basa sul decadimento dell'isotopo 238U: esso avviene, oltre che per emissione di particelle alfa, a causa della fissione spontanea. In altre parole, esso si disintegra in due nuclidi di massa intermedia ad alta energia cinetica: sono le celebri "scorie" radioattive, tanto di attualità, dalla cui presenza è possibile risalire all'età di rocce vulcaniche. In pratica si usa una specie di "reattore nucleare naturale"...
Dal topo all'elefante
Diventare grandi non è mai facile. Evolutivamente parlando, ancora meno. È stato infatti calcolato che ci vogliono qualcosa come 24 milioni di generazioni per passare dalla taglia mignon di un topolino alla poderosa stazza del più grande mammifero terrestre vivente sulla terra, l'elefante. Rimpicciolirsi, invece, è un processo più rapido: per una riduzione di dimensioni anche estrema possono bastare centomila generazioni. Il calcolo è stato eseguito da un gruppo internazionale di biologi e paleontologi, che hanno misurato il tasso di crescita nei mammiferi su grande scala. Uno studio unico, visto che finora la maggior parte delle ricerche si è concentrata sulla microevoluzione, ossia sui mutamenti all'interno della stessa specie. Sotto la guida del dottor Alistair Evans della Monash University School of Biological Sciences, in Australia, il gruppo è arrivato alla conclusione che per il proverbiale salto da topo ad elefante, un cambiamento di grandezza enorme, ci vuole molto, molto tempo, , mentre per un balzo più contenuto, come passare dalle dimensioni di un coniglio a quelle di un elefante, occorrono 10 milioni di generazioni.
Sotto l'occhio attento di ricercatori e biologi evoluzionisti sono finiti 28 diversi gruppi di mammiferi, dagli elefanti ai primati alle balene, provenienti da continenti ed oceani diversi, lungo l'arco temporale degli ultimi 70 milioni di anni. Il loro studio si è concentrato sui mutamenti delle dimensioni corporee seguiti di generazione in generazione piuttosto che su base annua, per permettere un paragone adeguato fra specie con una durata di vita media molto diversa: dai due anni del topo agli 80 dell'elefante. Gli studiosi si sono accorti che in acqua l'aumento di massa è più veloce. Se sono occorsi dieci milioni di generazioni perché i mammiferi terrestri raggiungessero la loro crescita massima, fra i loro simili marini, le balene ad esempio, ne sono stati necessari solo la metà. Una spiegazione potrebbe consistere nel fatto che in acqua avere una taglia grande è utile, aiutando a sostenere il peso.
Ma la vera sorpresa è costituita dall'osservazione che le dimensioni diminuiscono molto più velocemente rispetto a quanto non aumentino, dieci volte più rapidamente: uno scarto che nessuno si era aspettato. Per trovare una spiegazione, gli scienziati hanno focalizzato la loro attenzione sugli animali le cui dimensioni sono fortemente diminuite nel tempo, come il mammut pigmeo, l'ippopotamo nano, e persino gli "hobbit" trovati in Indonesia nell'isola di Flores. Le dimensioni ridotte per loro erano indubbiamente un vantaggio, per adattarsi all'ambiente. Piccolo, quindi, può essere assai utile, perché più si è ridotti, di meno cibo si ha bisogno e ci si riproduce più velocemente.
Fossili viventi
Il termine "fossile vivente", apparentemente contraddittorio, fu coniato da Charles Darwin per indicare particolari tipi di organismi animali o vegetali ritenuti estinti in epoche geologiche lontane, ma dei quali sono stati poi scoperti esemplari tuttora in vita. Di solito si tratta di organismi con caratteristiche morfologiche primitive e soggetti ad un processo evolutivo molto lento. Ne sono esempi l'opossum, mammifero marsupiale che presenta caratteri molto simili ai suoi parenti del Cretacico; il limulo, un artropode praticamente identico alle forme fossili del Giurassico, e il cefalopode Nautilus, invariato dal Triassico ad oggi, ritenuto estinto fino al 1829, quando per la prima volta ne venne osservato uno in vita. Anche gli squali, comparsi nel Devoniano, circa 400 milioni di anni fa, si sono evoluti assai poco nel corso dell'Anno della Terra, ma le loro caratteristiche li hanno resi immuni ai mutamenti geologici, climatici, biologici che li circondavano. Ancora oggi ne esistono moltissime specie, a dimostrazione dell'efficienza del loro modello strutturale.
Non mancano degli organismi che sono gli unici rappresentanti viventi di gruppi estinti da lungo tempo. Questo è il caso del pesce Latimeria, pescato in Sudafrica nel 1938 e creduto estinto da 120 milioni di anni, del quale riparleremo a proposito dei Crossopterigi del Devoniano, e del genere Ginkgo, un albero comparso nel Giurassico e arrivato ai giorni nostri con l'unica specie Ginkgo biloba senza modifiche sostanziali. Altri esempi sono le Cicadine, le Felci, l'Araucaria e gli Equiseti: questi ultimi oggi sono alti un metro circa, ma milioni di anni fa avevano tronchi anche di 40 metri di altezza.
Ma vi è anche un altro genere di "fossili viventi". Il cosiddetto Polo Oceanico dell'Inaccessibilità, detto anche Punto Nemo in onore del Capitano Nemo creato da Jules Verne (1828-1905), è il punto dell'oceano più lontano da qualsiasi terra emersa. Esso è situato nell'Oceano Pacifico meridionale a 48°52.6′ S 123°23.6′ W, e si trova a 2688 km (1451 miglia nautiche) dall'Isola di Pasqua e dall'Antartide. Il polo oceanico dell'inaccessibilità è stato scelto come coordinata di rientro per i veicoli spaziali che si disintegrano nell'atmosfera, e secondo lo scrittore americano Howard P. Lovecraft (1890-1937) in prossimità di questo punto si trova la città sommersa di R'lyeh, sede dell'orribile mostro tentacolato Cthulhu. Proprio in tale remotissima località, dove nessuna nave passa mai, i ricercatori dell’International Ocean Discovery Program (IODP) nel 2010 hanno trivellato le rocce sedimentarie del fondale oceanico e i fanghi che le ricoprono, ricche di nanofossili. Quando i carotaggi sono stati riportati in superficie, essi contenevano fino a 100 milioni di anni di storia terrestre. Sembrava impossibile che i microrganismi in essi contenuti potessero tornare in vita; invece, sorprendentemente, i quando ricercatori hanno alimentato quelle cellule in laboratorio, esse si sono subito riattivate e riprodotte!! All’inizio degli anni duemila alcuni ricercatori erano già riusciti a far crescere in coltura batteri isolati in sedimenti marini la cui età arrivava a 35 milioni di anni, ma qui si parla di batteri rimasti intrappolati al buio e al freddo nei sedimenti sotto chilometri di oceano per cento milioni di anni! In pratica, cellule che si erano depositate in fondo agli oceani quando nell’acqua nuotavano ancora i plesiosauri, si sono risvegliate e moltiplicate. Sono passati tre ere geologiche, ma questi microrganismi, protetti dai raggi cosmici grazie a una spessa coltre di acqua e sedimenti, sono sopravvissuti, e quando qualcuno li ha tirati su e ha offerto loro da mangiare, hanno ripreso a vivere come se fosse trascorso solo qualche mesetto. Alcuni batteri, per lo più anaerobi, formano strutture chiamate endospore, fortificate e metabolicamente inattive, proprio per riuscire a sopravvivere in condizioni difficili, ma quando i ricercatori hanno analizzato il DNA delle cellule presenti nei sedimenti carotati, hanno scoperto che i batteri sporigeni erano quasi assenti e che la maggior parte dei microrganismi riportati in vita erano batteri aerobi. Addirittura sono state scoperte fiorenti colonie di batteri fotosintetici, cianobatteri del genere Chroococcidiopsis che, oltre a poter vivere sotto rocce traslucide in ambienti aridi, freddi, salati e altamente radioattivi, hanno l’insolita capacità di sfruttare la luce rossa. Essi hanno la fama di riuscire a sopravvivere così bene in luoghi estremi che se ne sta considerando l’uso per terraformare Marte! Gli scienziati dell'IODP pensano che singoli batteri possano sopravvivere senza riprodursi per molti milioni di anni, anche se sarà difficile dimostrarlo finché non metteremo a punto tecniche per datare direttamente i microrganismi e non solo i sedimenti che li contengono. Addirittura, in certe condizioni, i batteri potrebbero di fatto essere immortali. Certo, la longevità ha un costo: le cellule più antiche trovate nei sedimenti marini risalenti al Cretacico si moltiplicano a velocità dimezzata rispetto alle loro compagne rimaste lì "solo" per qualche milione di anni. Eppure, si moltiplicano sempre più le prove che il pianeta Terra sia zeppo di fossili viventi unicellulari. Gli studiosi di dinosauri hanno a disposizione musei pieni di ossa, uova e impronte; i paleobotanici hanno foreste pietrificate e fogòie fossilizzate; chi studia i microrganismi ha però un vantaggio, perchè i suoi "fossili" sono ancora vivi.
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L'amico Sergio Germàn Stinco accanto ad un colossale femore di Teropode riportato alla luce in Patagonia nell'ambito del Proyecto Dino |
Anche le lontre lasciano reperti archeologici!
Mi sembra giusto riportare in questa pagina una notizia che ha dell'incredibile. Forse molti di voi già sanno che le lontre di mare (Enhydra lutris) sono gli unici mammiferi marini che sfruttano strumenti di pietra per rompere le cozze: possono usare una pietra per staccarle dalla roccia, colpirle mentre le tengono appoggiate sul petto, o anche percuoterle direttamente sul substrato roccioso a cui sono ancorate.
Orbene, nel 2019 Jessica Fujii del Monterey Bay Aquarium, Natalie Uomini del Max-Planck-Institut für Menschheitsgeschichte e colleghi che per dieci anni hanno studiato questo comportamento fra le lontre della California centrale, hanno annunciato di aver scoperto che sui massi costieri usati come incudine dalle lontre ci sono tracce di queste operazioni che possono essere chiaramente distinte con tipiche tecniche archeologiche. Allo stato attuale, i ricercatori hanno identificato 77 rocce che mostrano questo particolare tipo di danno. Nelle stesse aree, gli scienziati hanno trovato anche un gran numero di conchiglie di cozze con diversi modelli di rottura, che permettono di distinguere quelle rotte dalle lontre con le rocce da quelle rotte dall’essere umano o da altri animali.
Secondo gli autori, insomma, le tracce lasciate sulle rocce e sulle conchiglie potranno essere usate per identificare le precedenti aree di foraggiamento delle lontre marine e anche per aiutarci a capire l’evoluzione dell’uso dell’incudine di pietra, che è raro nel regno animale ed è estremamente difficile da osservare negli animali marini. Se la notizia sarà confermata, dovremo riconoscere che anche le lontre, come noi uomini, sono in grado di lasciare dietro di sé veri e propri "reperti archeologici"!
Gli pseudofossili
Bisogna accuratamente distinguere i fossili veri e propri dai cosiddetti pseudofossili. Con questo termine si indicano segni o tracce nelle rocce di origine inorganica, come ad esempio particolari formazioni cristalline, che però possono essere interpretati come fossili biologici. Infatti alcuni tipi di depositi minerali possono imitare forme di vita, spesso formando quelle che sembrano essere strutture altamente dettagliate o organizzate. Un esempio comune è l'ossido di manganese, che cristallizza in formazioni dendritiche (cioè imitando strutture vegetali) lungo le fratture della roccia. Si tratta, fra l'altro, di un processo molto comune in natura: la formazione di brina dendritica su una finestra, proveniente da vapore acqueo, è un esempio di questa crescita dei cristalli. Alcuni tipi di concrezioni sono a volte riconosciute come fossili e, occasionalmente, contengono a loro volta fossili, benché in genere non si tratta di fossili veri e propri. Anche la selce in noduli di calcare può spesso assumere forme che assomigliano a fossili.
Il realismo di molti pseudofossili, spesso davvero notevole, può essere fuorviante o condurre a considerazioni errate. Alcuni dischi di pirite o marcasite possono essere scambiati per fossili di Dendraster excentricus. Anche crepe, fratture o bolle di gas, naturalmente presenti nelle rocce, possono essere difficili da distinguere dai veri fossili. I campioni ai quali non può essere attribuito con certezza il valore di fossile o pseudofossile sono trattati come fossile dubbio. Infatti i dibattiti sui singoli esemplari possono rivelarsi lunghi e difficili. Ciò accadde, per esempio, per l'Eozoon canadense, pseudofossile simulante le strutture di tipo stromatolitico proprie di alcune alghe, scoperto dal paleontologo John William Dawson (1820-1899) nel calcare metamorfico precambriano del Canada, a Côte St. Pierre vicino a Grenville (Québec) nel 1863. In seguito è stato trovato in diverse altre località. Ritenuto per quasi un secolo la più antica forma di vita in assoluto, una specie di foraminifero, si scoprì che si tratta invece di una complessa concrezione metamorfica di lamelle alternate di calcite bianca e di serpentino verde, attraversate da formazioni simili a canali ramificati. Strutture simili sono state successivamente trovate in blocchi di calcare espulso durante una eruzione del Vesuvio e, di conseguenza, si è potuta individuare l'origine dell'Eozoon nei processi fisici e chimici ad alta temperatura e pressione propri del metamorfismo, escludendo la provenienza organica. Il dibattito sull'interpretazione dell'Eozoon canadense è stato un episodio significativo nella storia della paleontologia e ancora oggi questo tipo di formazione viene presentata come classico esempio di pseudofossile.
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Lo pseudofossile Eozoon canadense, foto di William Logan |
I fossili "impossibili"
Dato che stiamo trattando dei fossili, cioè dei "messaggi in bottiglia" lanciati a noi dalle profondità del passato, non possiamo non fare cenno ai cosiddetti "fossili impossibili" o OOPART (dall'acronimo "Out Of Place Artifacts", cioè "artefatti fuori posto"): si tratta di oggetti che la paleontologia ufficiale non può classificare, in quanto all'epoca in cui essi sono datati non esistevano artigiani in grado di forgiarli (o non esisteva proprio alcun artigiano). Lasciamo da parte gli OOPART archeologici, cioè quelli che testimonierebbero una civiltà avanzata anche nel buio della Preistoria quando l'uomo già esisteva, o al tempo dei Greci, dei Romani o dei Maya, e concentriamoci sugli OOPART paleontologici, che secondo i loro scopritori risalirebbero ad un'epoca in cui l'uomo ancora non era comparso sulla Terra, stando alla paleontologia "ufficiale". Chi sostiene a spada tratta l'autenticità di questi enigmatici reperti, ritiene che sul nostro pianeta siano fiorite civiltà già avanzate quando l'uomo era ancora agli inizi della sua evoluzione, o addirittura quando gli ominidi non erano ancora apparsi. Le spiegazioni possibili da essi addotte sono due. La storia della vita sulla Terra non è stata lineare e progressiva ma ciclica, ed altri esseri intelligenti apparvero in ere lontane per poi estinguersi in seguito a qualche catastrofe naturale o addirittura a una guerra atomica (destino che attenderebbe in agguato anche la nostra superba civiltà tecnologica); oppure, tesi cara agli ufologi, il nostro mondo sarebbe stato visitato nella notte dei tempi da astronavi aliene, le quali avrebbero "dimenticato" alcuni loro accessori finiti poi negli strati geologici, e riportati oggi alla luce da moderni Indiana Jones.
Si tratta senza dubbio di ipotesi affascinanti, che però sono destituite di ogni fondamento e destinate a rimanere confinate per sempre nei romanzi di fantascienza. Infatti, una volta sottoposti ad esami più approfonditi, tutti o quasi gli OOPART si sono rivelati falsi abilmente confezionati o reperti sottoposti ad erronee datazioni da parte dei loro scopritori, in buona fede ma desiderosi di diventare celebri grazie a qualche scoperta strabiliante. Ecco una lista in ordine cronologico di alcuni di questi fossili fuori posto, ormai riconosciuti come mistificazioni o come esempi di errata classificazione stratigrafica.
1) Le sfere metalliche di Klerksdorp. Sono state ritrovate nell'omonima località in Sudafrica, ed alcuni le hanno ritenute vecchie di ben 2,8 miliardi di anni! Questi strani oggetti con alcune linee incise sono stati interpretati dal professor A. Bisschoff dell'Università di Potchefstroom presso Johannesburg come noduli di limonite. Non è chiaro se le linee siano dovute a una lavorazione successiva da parte degli scopritori, allo scopo di rendere unici gli oggetti, o a una insolita stratificazione interna del nodulo. L'età comunque è molto inferiore ai 2,8 miliardi di anni ad esse attribuiti, altrimenti le pressioni generate dagli eventi geologici avrebbero deformato sensibilmente la loro sagoma sferica.
2) Il vaso di Dorchester. Ritrovato nel Massachusetts e datato a 320 milioni di anni fa, è realizzato in metallo di squisita fattura, e secondo alcuni raffigurerebbe delle piante risalenti al Cambriano, ma per i più sarebbe una burla ad opera degli operai del cantiere dove è stato rinvenuto.
3) Il martello di London. Venuto alla luce nel Texas, secondo certuni dovrebbe essere datato a 115 milioni di anni fa o addirittura a 400 milioni di anni fa, come le rocce della zona in cui è stato rinvenuto. Senz'altro è uno dei casi più lampanti di falso paleontologico in grado di ingannare l'internauta medio, ma non gli esperti del settore. In esso infatti non sono presenti gli aloni di diffusione delle particelle metalliche che avrebbero dovuto prodursi nella roccia in milioni di anni, né si è verificata la pietrificazione del manico di legno del martello. Inoltre, dal momento che si tratta di una roccia metamorfica, sottoposta ad enormi pressioni e temperature, sia il manico che la testa del martello dovrebbero essere fortemente deformati, circostanza che invece non si è verificata.
4) Le pietre di Ica. Nel 1966 il medico peruviano Javier Cabrera Darquea (1924-2001) sostenne di aver ricevuto in regalo da un contadino locale una pietra di andesite, minerale comune sulle Ande, sulla quale era incisa la figura di un dinosauro. Aggiunse di averne successivamente acquistate molte altre dallo stesso contadino, un certo Basilio Uschuya, che sosteneva di averle raccolte nel letto di un fiume dopo un'alluvione, senza però precisarne il sito. Le loro incisioni mostravano uomini che combattevano con dinosauri, uomini con telescopi che osservavano le stelle oppure che eseguivano complesse operazioni chirurgiche. Cabrera abbandonò la sua carriera medica ed aprì un museo dove sono esposte migliaia di queste pietre. Tuttavia esse erano perfette come se fossero state appena realizzate mentre, se fossero davvero vecchie di milioni di anni, i disegni incisi su di esse avrebbero già dovuto essere cancellati da un pezzo dall'erosione. Analisi successive al microscopio hanno rilevato tracce di pittura moderna e carta vetrata nelle incisioni. Uschuya fu arrestato con l'accusa di vendere reperti archeologici appartenenti al governo peruviano e, messo alle strette, ammise di averle fabbricate lui stesso, incidendole con un trapano e facendole cuocere nello sterco di vacca per farle sembrare antiche; le immagini erano state da lui copiate da fumetti, libri di testo e riviste. Nel 1977, nel corso del documentario della BBC “Pathway to the Gods”, Uschuya fabbricò una Pietra di Ica “autentica” davanti alla telecamera e, interrogato sul perchè aveva prodotto quei falsi, confessò che Cabrera gliele pagava bene. e che « creare queste pietre era più facile che lavorare la terra ». Un falso intenzionale, insomma, e per giunta grossolanamente realizzato.
5) Le statuette di Acámbaro. Nel 1945 un archeologo dilettante, il commerciante tedesco Waldemar Julsrud (1875-1964), affermò di aver trovato ad Acámbaro, cittadina nello stato messicano di Guanajuato, addirittura 32.000 statuette di argilla, alcune delle quali raffigurano animali mostruosi che potevano ricordare dei dinosauri. Per i sostenitori del creazionismo esse sarebbero la prova della coesistenza di dinosauri ed uomini, oltre che della fallacia della scienza moderna. I primi tentativi di datare le statuine sembravano indicare un'età di circa 3500 anni; tuttavia pochi anni dopo l'archeologo americano Charles Di Peso dell'American Foundation ebbe modo di studiare le statuine e le dichiarò false, essendo perfettamente conservate: non presentavano neanche un graffio né una patina di invecchiamento, e nessuna frammentazione. In nessun luogo al mondo, poi, sono state ritrovate tante statuine in uno spazio così ristretto come quello di Acámbaro, sotto pochissima terra smossa e in condizioni pressoché perfette. Tentativi più recenti di datarle hanno infine dimostrato che essere erano state cotte negli anni '40 e '50 del secolo scorso. Julsrud pagava i contadini del luogo un peso per ogni statuina che essi gli portavano, ed evidentemente anch'essi, come Basilio Uschuya, avevano fiutato l'affare.
6) Il dito del Comanche Peak. Questo invece è un esempio di falso involontario dovuto ad errata classificazione nell'entusiasmo di aver scoperto qualcosa di unico. Si tratta di un presunto dito umano fossile, risalente a 100 milioni di anni fa e ritrovato nella Walnut Cretaceus Formation del Comanche Peak, in una riserva del New Mexico. I più lo ritengono un carapace fossile, o semplicemente una pietra con una forma singolare.
7) La Mappa del Creatore o pietra di Dashka. Nel 2002 il quotidiano russo "Pravda" diede la notizia che nella Baschiria, regione autonoma della Russia, il ricercatore Aleksandr Chuvirov avrebbe ritrovato una lastra di pietra, di 1,48 m di altezza per 1,06 m di larghezza e pesante circa una tonnellata, da lui datata ad almeno 20 milioni di anni fa e battezzata "pietra di Dashka" in onore della nipotina, nata il giorno prima; secondo l'autore della scoperta, essa raffigurerebbe il territorio degli attuali Urali come erano 120 milioni di anni fa, attraversati da enormi canalizzazioni di cui si è persino tentato di dimostrare l'esistenza attraverso prospezioni geologiche. Successive indagini hanno mostrato l'assoluta inconsistenza di questa ipotesi: come è possibile riconoscere nelle pieghe di una lastra di pietra l'orografia di una zona della Russia che 120 milioni di anni fa era completamente diversa da com'è oggi? Tra l'altro nell'articolo della Pravda si affermava che alcuni elementi della pietra di Dashka erano stati studiati dal "Centro di Cartografia Storica del Wisconsin", e che secondo questo istituto solo dei rilievi aerei avrebbero potuto permettere la stesura della mappa. Tuttavia non esiste nel Wisconsin nessun "Centro di Cartografia Storica"; l'unico istituto di cartografia esistente in Wisconsin è il "The History of Cartography Project", che ha categoricamente smentito di aver mai visionato la pietra di Dashka.
8) Le impronte di Paluxy. Ritrovate sulle rive del fiume Paluxy, in Texas, sono state interpretate da alcuni come impronte umane contemporanee a quelle dei dinosauri, e per questo sono state largamente sfruttate dagli antievoluzionisti, i quali sostengono che uomini e dinosauri sono stati creati insieme da Dio nel sesto giorno della Creazione. Analisi più approfondite hanno però accertato che si tratta solo di impronte di dinosauri di vario tipo: le presunte "tracce umane" (in realtà di dimensioni assai maggiori di quelle di un piede umano) sono orme di dinosauri bipedi che, almeno in certe occasioni, posavano al suolo le piante ed i calcagni durante la camminata. Il collasso del fango all'interno delle impronte delle dita avrebbe dato loro una forma vagamente umana, ma per molte di esse è possibile ancora riconoscere la traccia tridattile poco profonda che ne indica l'origine dinosauresca. Anche le affermazioni secondo cui alcune di queste impronte avrebbero tracce umane al loro interno si sono dimostrate senza fondamento.
9) L'omero di Kanapoi. Riportato alla luce nel 1965 in Kenya dagli antropologi Bryan Patterson del Field Museum of Natural History di Chicago e William W. Howells dell'Università di Harvard, è stato datato a 4,5 milioni di anni fa, ma gli scopritori sostennero che apparteneva ad un uomo di tipo moderno, apparso certamente in tempi molto più recenti. Anche in questo caso uno studio più attento del fossile ha categoricamente escluso questa ipotesi, attribuendo l'omero ad un ominide assai più antico, che nel 1995 fu battezzato Australopithecus anamensis (e rappresenta la più antica specie di Australopithecus oggi nota).
10) I tubi di Baigong. Si tratta di una serie di condotti metallici scoperti vicino al monte omonimo nella provincia di Qinghai (Cina) e associate a una piramide alta circa 60 metri costruita sulla stessa montagna, sui lati della quale si aprono delle caverne. Fra i due tubi individuati nella caverna più grande, uno ha un diametro di 40 cm ed è di colore marrone-rossiccio; inoltre sono stati individuati dozzine di tubi rettilinei, con diametri varianti tra i 10 e i 40 cm che fuoriescono dal Monte Baigon situato al di sopra della caverna più grande. L’avanzato stato di corrosione ne ha fatto stimare la datazione a 5000 anni fa. Tuttavia Joann Mossa e Brian Schumacher dell'Università della Florida hanno scoperto che si tratta solo di calchi fossili di radici di alberi, formati dalla pedogenesi (il processo attraverso il quale viene creato il suolo) e dalla diagenesi (la litificazione di terreno in roccia attraverso la compattazione e cementazione). Il risultato di questo processo è stato quello di creare strutture simili a tubi metallici, che però nulla hanno di artificiale.
11) Gli scheletri di Castenedolo. Anche quattro scheletri fossili riportati alla luce nel 1920 dal geologo Giuseppe Regazzoni presso Castenedolo, in provincia di Brescia, sono anatomicamente umani ma giacevano in una formazione del Pliocene Medio risalente a quattro milioni di anni fa. In seguito tuttavia gli scheletri sono stati datati con il suddetto metodo del carbonio 14, e si è visto che risalgono ad un'epoca molto più recente: evidentemente sono stati sepolti dai loro compagni dentro quella formazione rocciosa.
12) Il geode di Coso. Fu scoperto il 13 febbraio 1961 nei pressi del lago Owens, in California, da tre cercatori di pietre rare, Wallace Lane, Virginia Maxey e Mike Mikesell; datato a 500 mila anni fa, al suo interno è stato trovato un oggetto metallico. Oggi l'oggetto è andato perso, dopo essere rimasto per anni nella casa di Wallace Lane, senza poter essere sottoposto ad ulteriori analisi; Lane tentò di vendere l'oggetto per 25.000 dollari, una cifra considerevole, ma non trovò alcun acquirente. In realtà, a dispetto del nome, non si trattava di un vero geode ma di un grumo di roccia argillosa in cui si è trovato anche un pezzo di chiodo. La presenza dell'oggetto è stata strumentalizzata da vari gruppi ufologici, che ai pochi dati divulgati dagli scopritori hanno aggiunto numerose informazioni fasulle, subito circolate sulla stampa mondiale aumentando il mistero intorno all'oggetto. Nel 1999 tuttavia l'oggetto è stato identificato senza ombra di dubbio da un gruppo di collezionisti d'auto d'epoca come una candela per autocarro di marca Champion, di uso comune negli anni '20. Molto probabilmente quindi si tratta di uno scherzo.
13) Il teschio di Broken Hill. Si tratta di un cranio umano risalente a 150-300.000 anni fa e riesumato nello Zambia, che presenta sulla tempia sinistra un foro perfetto, privo di linee radiali, come se gli avessero sparato con una pistola od un fucile. Il foro può essere spiegato più semplicemente come una ferita dovuta al canino di un grosso predatore, o a una foratura artificiale del cranio, pratica rituale usata per scacciare gli spiriti maligni. Lo stesso dicasi per il cosiddetto teschio della Yakuzia, una regione della Russia, appartenuto ad un bisonte, che secondo alcuni presenterebbe sulla fronte il foro di una pallottola.
Ah, una precisazione prima di proseguire: il tanto preteso conflitto tra Creazionismo ed Evoluzionismo che ha turbato i sonni di tanti scienziati, filosofi e religiosi nell'ultimo secolo e mezzo, semplicemente non ha ragion d'essere, per cui non vi è alcun contrasto tra quello che io sto esponendo in questo ipertesto e la fede in un qualunque credo religioso. Perchè? Lo comprenderete molto facilmente se leggerete questa intervista all'astrofisico Piero Benvenuti, pubblicata sul Corriere della Sera l'8 novembre 2008, e questo articolo di Fiorenzo Facchini pubblicata sull'Osservatore Romano del 16 gennaio 2011. Semplice, no?
A questo punto però vi sento rimuginare un'altra domanda: se si riesce a datare con sufficiente precisione i fossili da noi ritrovati, è possibile realizzare una precisa cronologia della storia del pianeta Terra? Per rispondere a questa domanda, cliccate qui e proseguite nel vostro viaggio a bordo della nostra ideale macchina del tempo!