Spinto da un impulso improvviso, Pipino cercò tastoni un sasso e lo lasciò cadere nel pozzo... SdA, libro II, capitolo IV |
Tradizionalmente il primo capitolo della Fisica dopo la metrologia e l'analisi statistica dei dati sperimentali è rappresentato dalla Meccanica, fondata da Galilei e Newton agli albori della scienza moderna. E la Meccanica è quella parte della Fisica che studia il movimento dei corpi. Lo studio del movimento indipendentemente dalle cause che lo generano rientra nella Cinematica, mentre lo studio del moto in relazione alle cause che lo hanno provocato prende il nome di Dinamica, dal greco dynamis, "forza", in quanto le cause del movimento sono proprio le forze. Studiare il moto di un corpo significa conoscerne la posizione in ogni istante; obiettivo della Cinematica è dunque individuare la relazione di natura matematica fra lo spazio e il tempo. Tale relazione prende il nome di legge oraria del moto, e protagonista principale di tale legge è la velocità. Si dice velocità lo spazio percorso da un corpo nell'unità di tempo. Detta xi la posizione iniziale del corpo all'istante t = 0 ed xf la sua posizione all'istante t, la velocità viene così definita:
Nel Sistema Internazionale, essa si misura in metri al secondo. Dove troviamo, nelle opere di J.R.R. Tolkien, un problema la cui soluzione è tra i compiti della Cinematica? Sicuramente alla fine del capitolo terzo del "Signore degli Anelli", allorché Gandalf ha cercato inutilmente di convincere Saruman a tornare dalla parte del bene nella lotta contro Sauron. Vermilinguo tira contro Gandalf un palantir, una delle pietre veggenti di Númenor con cui Saruman dialogava segretamente con Mordor, e Pipino non può fare a meno di rubarlo per sbirciarvi dentro, restandone come folgorato. Gandalf intuisce che l'Oscuro Signore ha preso un granchio: crede che il Portatore dell'Anello sia prigioniero ad Isengard, e manderà il fior fiore delle sue truppe per prelevarlo e portarlo a Barad-dûr. Non resta che batterlo sul tempo, correndo a Minas Tirith, la capitale del Regno di di Gondor, per avvertire il Sovrintendente Denethor della guerra imminente che sta per rovesciarsi fuori dai Cancelli del Morannon. E così, ha inizio un'epica cavalcata che resterà leggendaria nella Terra di Mezzo: Ombromanto (in originale Shadowfax), il cavallo prodigioso che re Theoden ha donato a Gandalf, porterà quest'ultimo e lo hobbit Pipino, in soli tre giorni, fino alla città-fortezza sulle pendici del monte Mindolluin. Ecco come il nostro Professore descrive quell'impresa, che non è certo la minore tra quelle compiute dai suoi leggendari eroi:
« Ombromanto volava
attraverso pianure e praterie, senza bisogno d'incoraggiamenti né
d'indicazioni. Era trascorsa meno di un'ora, ed erano già arrivati ai Guadi
dell'Isen. Li avevano passati, e il Tumulo dei Cavalieri con le fredde lance
grigie era ormai lontano alle loro spalle. [...]
"Credevo che avessi intenzione di fermarti al Fosso di Helm,
Gandalf!" disse Pipino. "Dove stiamo andando, allora?"
"A Minis Tirith, prima che turbini di guerra la travolgano."
"Oh! E quanto dista?"
"Leghe interminabili", rispose Gandalf. "È tre volte più
lontana della dimora di Re Théoden, la quale a sua volta si trova a più di
cento miglia a est dal punto ove ci troviamo; cento miglia in linea d'aria,
per il volo dei messaggeri di Mordor, ma Ombromanto deve percorrere una via
più lunga. Chi sarà il più veloce? Continueremo a cavalcare sino all'alba,
ossia per qualche ora ancora. Poi anche Ombromanto avrà bisogno di riposo, in
qualche piccola valle tra i colli: a Edoras, spero. Dormi, se ci riesci! Può
darsi che vedrai il primo barlume dell'alba sul dorato tetto della casa di
Eorl. E due giorni dopo mirerai l'ombra viola del Monte Mindolluin, e le mura
della torre di Denethor, bianche nel mattino. Coraggio, Ombromanto! Corri,
cuor di leone, come non hai mai corso sinora! Siamo giunti nelle terre della
tua infanzia, ove tu conosci ogni pietrA. Corri, adesso! La nostra speranza è
la tua velocità!"
Ombromanto scrollò il capo e mandò un possente nitrito, come spinto al
combattimento dallo squillo di una tromba. Poi balzò avanti. Il fuoco si
sprigionava dai suoi piedi, la notte volava intorno a lui. »
(SdA, libro terzo, capitolo XI)
Ombromanto, protagonista assoluto di questo splendido racconto, appartiene alla razza dei Mearas, la più eccelsa stirpe di cavalli della Terra di Mezzo, ivi portata dal Vala Oromë: i Mearas sono incredibilmente intelligenti, longevi (possono vivere quanto un essere umano) e soprattutto velocissimi. La figura di questo animale è quasi certamente modellata su quella di due famosi cavalli della mitologia norrena, Skinfaxi e Hrímfaxi: il primo apparteneva a Dagr (il Giorno) e aveva il compito di trascinare il carro del Sole nel suo cammino diurno da est a ovest, il secondo invece era proprietà di Nott (la Notte) e doveva riportare il Sole ad oriente affinché potesse riprendere il suo cammino all'alba. In particolare Skinfaxi in antico germanico significa "criniera splendente", mentre Hrímfaxi significa "criniera brinata" e "Shadofwfax" significa "criniera color dell'ombra". Nel SdA, Shadowfax è descritto come il più veloce di tutti i cavalli della Terra di Mezzo. È possibile dedurre la sua velocità dal tempo che ha impiegato per coprire la distanza tra Meduseld e Minas Tirith?
Gandalf e Ombromanto nella Trilogia diretta da Peter Jackson
Secondo l'Appendice B del SdA ("Il calcolo degli anni"), Pipino e Gandalf partono da Dol Baran, dove si sono accampati con i Rohirrim poco dopo aver lasciato Isengard, nella notte del 5 marzo, e arrivano a Minis Tirith all'alba del giorno 9. La prima volta che si incontrano, Gandalf dice a Denethor che si tratta di un viaggio di 150 leghe, pari a 517 miglia, cioè a 833 km (una lega equivale a un ventesimo di grado di meridiano, cioè a 5,556 km). Dal momento che Gandalf e Pipino viaggiano solo di notte, la cavalcata dura 4 notti; Ombromanto dunque percorre in media circa 129 miglia a notte, ossia 208 chilometri. La velocità si ottiene dividendo lo spazio per il tempo; se cavalcavano per 12 ore ogni notte, la velocità di Ombromanto è di 10,7 miglia all'ora, cioè di 17,3 km/h. Trasformiamo questa velocità in metri al secondo: 17,3 km equivalgono a 17.300 metri, e un'ora a 3600 secondi. Il rapporto fra 17.300 e 3600 ci dà 4,8 m/s.
Dopotutto, Ombromanto non sembra poi così veloce. Un moderno cavallo di razza può raggiungere i 70 km/h, equivalenti a 19,4 m/s: non sembra necessario essere un Mearas, per raggiungere quella velocità. E molti animali sono ancora più veloci. Un levriere tocca i 72 km/h, pari a 20 m/s; una Gazzella di Thomson (Eudorcas thomson) arriva ai 76 km/h, cioè a 21 m/s. Un'antilope springbok (Antidorcas marsupialis) arriva ad 89 km/h, cioè a 24,7 m/s. Il ghepardo (Acinonyx jubatus) poi è il recordman di tutti i velocisti, potendo correre a 101 km/h, pari a 28 m/s, anche se si pensa che possa arrivare fino a 120 km/h (la bellezza di 33,3 m/s!), velocità di gran lunga la più elevata in assoluto fra tutti gli animali terrestri. In confronto a questi missili viventi, Ombromanto ci fa una ben meschina figura. Persino un essere umano, il giamaicano Usain Bolt (1986-), primatista del mondo sui 100 e 200 metri piani, può fargli mangiare la polvere: il 16 agosto 2009 a Berlino ha corso i 100 metri in 9,58 secondi, a una media di 37,578 km/h, pari a 10,438 m/s.
E allora? In cosa consiste l'eccezionale impresa di Ombromanto? Non nella velocità, bensì nella... resistenza. Il ghepardo può sicuramente toccare allo sprint una velocità doppia del nostro Ombromanto, ma è in grado di mantenere tale prodigiosa velocità solo per brevi distanze; tale felino si avvicina di soppiatto ad antilopi e zebre, nascosto nell'erba alta, quindi si getta a capofitto in una corsa a rotta di collo, puntando un cucciolo o un animale anziano. Se non riesce ad atterrarlo, però, è costretto a fermarsi a riprendere fiato, e poi deve ricominciare tutto daccapo, perchè gli erbivori hanno una resistenza assai maggiore, e diventano ben presto irraggiungibili. Un cavallo da corsa (anche uno di quelli reali, che vivono nel nostro universo) è molto più resistente, e può facilmente distanziare un ghepardo, se riesce a sfuggire al suo scatto bruciante; ma nemmeno lui può rivaleggiare con il nostro Ombromanto Uno dei nostri cavalli infatti non può percorrere più di 20 o 30 miglia al giorno, e ciò rende Ombromanto cinque o sei volte più resistente di qualunque cavallo del nostro mondo. In questo sta dunque l'eccezionalità dell'eroe equino creato da J.R.R. Tolkien.
Si definisce moto rettilineo uniforme il moto di un corpo che si muove su una traiettoria rettilinea con velocità costante in ogni istante di tempo. Ovviamente il moto di Ombromanto attraverso le pianure di Gondor non è né rettilineo, né uniforme. Non è rettilineo perchè un cavallo, a differenza di un Nazgûl, deve seguire i sentieri e le asperità del terreno. Come dice infatti Gandalf nel brano che abbiamo letto sopra, la distanza fra Dol Baran e Edoras è di « cento miglia in linea d'aria, per il volo dei messaggeri di Mordor, ma Ombromanto deve percorrere una via più lunga ». E non è neanche uniforme: di giorno sta fermo, di notte accelera lungo tratti agevoli e rettilinei, e rallenta in curva e su sentieri scoscesi o sassosi. Per questo occorre introdurre il concetto di accelerazione. Si definisce accelerazione la variazione di velocità nell'unità di tempo; per ottenerla, occorrerà cioè dividere la differenza tra velocità finale vf e velocità iniziale vi per il tempo necessario a quella variazione. In linguaggio matematico:
L'accelerazione si misura in metri al secondo fratto secondo, cioè in metri al secondo quadrato. Un moto rettilineo la cui accelerazione è costante si dice moto rettilineo uniformemente accelerato. Detta v0 la velocità all'istante t = 0 e v la velocità all'istante t generico, se a = costante la precedente relazione ci dà:
Questa relazione tra velocità e tempo prende il nome di legge tachimetrica. Se a è costante, tale relazione è di tipo lineare; cioè, se raddoppia l'intervallo di tempo considerato, raddoppia la variazione di velocità (attenzione: la variazione di velocità, non la velocità). Rappresentando la legge tachimetrica del moto rettilineo uniformemente accelerato in un piano che ha i tempi in ascisse e le velocità in ordinate, si ottiene il seguente grafico:
Come ricavare la legge oraria del moto rettilineo uniformemente accelerato? Grazie al seguente ragionamento. Consideriamo un moto rettilineo uniforme. Il diagramma tachimetrico è rappresentato da una retta orizzontale, essendo la velocità costante. Moltiplicando la velocità per il tempo si ottiene lo spazio percorso nel corso di quell'intervallo di tempo, e dunque la figura sottostante ci dimostra che lo spazio percorso è pari all'area sottesa dal diagramma tra gli istanti 0 e t, qui colorata in giallo:
Naturalmente questo vale se la velocità è costante. E se non lo è? Consideriamo per l'appunto un moto rettilineo uniformemente accelerato. Dividiamo l'intervallo tra 0 e t in cinque intervalli di tempo di ugual durata, e tracciamo le parallele all'asse della velocità sino al diagramma. Approssimiamo il moto a velocità variabile con cinque tratti in cui il corpo si muove a velocità costante, immaginando che la variazione di velocità tra ognuno di essi e il successivo avvenga in modo brusco. In questo caso ogni area sottesa dai cinque intervalli rappresenta lo spazio percorso durante ciascuno di essi, e la loro somma fornisce lo spazio percorso tra 0 e t:
L'obiezione è ovvia: la somma delle aree dei cinque rettangoli colorati in figura (una figura geometrica chiamata scaloide) NON coincide con lo spazio effettivamente percorso durante il moto rettilineo uniformemente accelerato, poiché "mancano" le aree di cinque triangolini. Immaginiamo però di dividere l'intervallo tra 0 e t non in cinque, ma in cinquanta parti. I cinquanta rettangolini che ne risultano (ognuno rappresenta lo spazio percorso in un cinquantesimo del tempo considerato) "riempiono" l'area sottesa dal diagramma in modo molto più completo, e la differenza fra l'area sottesa e lo scaloide così ottenuto è assai minore di quella che si vede nell'immagine soprastante. Se considerassimo cinquemila, cinquantamila, cinque milioni di rettangolini, la differenza diverrebbe sempre più piccola; al limite, quando le suddivisioni tendono all'infinito, la differenza tende a zero. Si può così concludere che l'area sottesa dal diagramma velocità-tempo fra 0 e t rappresenta lo spazio effettivamente percorso in quell'intervallo di tempo. Il procedimento con cui siamo giunti a questa conclusione prende il nome di integrazione grafica.
L'integrazione grafica del nostro diagramma tachimetrico ci consente di affermare che l'area sottesa dalla retta del moto rettilineo uniforme coincide con lo spazio percorso durante tale moto. Ma l'area in questione, come si è visto, è quella di un trapezio, le cui basi misurano v0 e v (velocità iniziale e finale), e la cui altezza misura t. L'area di un trapezio, com'è noto, è pari alla somma delle sue basi per l'altezza diviso due. Lo spazio percorso dal punto materiale nel punto t sarà dunque pari a:
Si giunge così alla legge oraria del moto rettilineo uniformemente accelerato:
Il più classico esempio di moto uniformemente accelerato è, come venne dimostrato da Galileo Galilei, il moto dei gravi, cioè la caduta libera dei corpi dotati di massa (dal latino gravis, "pesante") soggetti alla sola forza di gravità. Se un punto materiale è lasciato cadere verso il basso, conviene assumere come verso positivo proprio questo, contrariamente a quanto si fa di solito. L'accelerazione di gravità terrestre (solitamente indicata con la lettera g) dipende da molti fattori, tra cui la latitudine: siccome la Terra è una sfera schiacciata ai poli a causa del moto di rotazione, alle alte latitudini l'accelerazione di gravità è maggiore di quella nei pressi dell'equatore, essendo quelle regioni più vicine al centro della Terra. Anche la forza centrifuga dovuta al moto di rotazione della Terra sul suo asse influisce sulla gravità locale. Così, al Polo Nord arriva a 9,832 m/s2; ad Anchorage (Alaska), a 61° 13' di latitudine Nord, g = 9,826 m/s2. A Copenhagen (55° 40' N) g vale 9,821 m/s2; a Chicago (41° 52' N) vale 9,804 m/s2; a Città del Capo (33° 55' S) arriva a 9,796 m/s2; a Hong Kong (22° 11' N) ammonta a 9,785 m/s2; a Manila (14° 36' N) vale 9,780 m/s2; a Singapore (1° 18' N, a soli 150 km dall'equatore) giunge a 9.776 m/s2.
Supponiamo dunque di lasciar cadere un corpo da fermo, vale a dire senza gettarlo, né verso l'alto né verso il basso, ma semplicemente aprendo la mano che lo regge, e lasciando che la forza di gravità faccia il resto. Allora, nella legge oraria (1) sopra scritta, v0 = 0, ed ad a dobbiamo sostituire l'accelerazione di gravità g:
Perché abbiamo discusso di tutto questo? Naturalmente, per poter applicare quanto abbiamo ricavato ad un episodio del "Legendarium" di Tolkien. Mi sto riferendo al capitolo IV del secondo libro, uno di quelli che più hanno acceso gli entusiasmi degli appassionati del genere fantasy: dopo aver tentato inutilmente di attraversare le Montagne Nebbiose attraverso il Passo Cornorosso, ostruito dalla neve, la Compagnia dell'Anello decide di passare attraverso le tenebrose Miniere di Moria. Dopo una lunga marcia nell'oscurità, i nostri eroi decidono di accamparsi in una garitta delle guardie per riposare un po'. Ed ecco che cosa accade:
« Si erano inoltrati nelle
miniere a notte già calata, e stavano camminando da parecchie ore, interrotti
solo da brevi soste. [...] A sinistra del grande arco trovarono una porta di
pietra: era socchiusa, e bastò una leggera spinta per aprirla del tutto. Al di
là pareva estendersi un'ampia stanza scavata nella roccia.
"Fermi! Fermi!" gridò Gandalf a Merry e Pipino che si spingevano
avanti, lieti di trovare un luogo dove riposare con la sensazione di essere
almeno più al riparo che non in mezzo al corridoio. "Fermi! Non sapete
ancora cosa vi sia all'interno. Entrerò io per primo."
Avanzò cautamente, e gli altri lo seguirono in fila. "Ecco!" disse,
indicando col bastone il centro del pavimento. Innanzi ai suoi piedi videro un
grande foro circolare, simile alla bocca di un pozzo. Delle catene rotte ed
arrugginite giacevano sull'orlo e pendevano giù nel buio. Accanto vi erano
frammenti di pietra.
"Uno di voi avrebbe potuto cadervi, e ora potrebbe ancora domandarsi
fra quanto tempo arriverebbe in fondo", disse Aragorn a Merry.
"Lasciate andare per prima la guida, quando ne avete una."
"Si direbbe che questa fosse una sala delle guardie, per la difesa dei tre
corridoi", disse Gimli. "Quel foro era chiaramente un pozzo adoperato
dalle guardie, chiuso da un coperchio di pietra. Ma il coperchio è rotto, e noi
dobbiamo essere più che cauti nell'oscurità."
Pipino si sentiva stranamente attirato dal pozzo. Mentre gli altri srotolavano
le coperte e preparavano dei letti contro le pareti della stanza, il più
lontano possibile dal foro centrale, egli strisciò sino all'orlo e guardò
giù. Un'aria gelida parve soffiargli in faccia, giungendo da abissi invisibili.
Spinto da un impulso improvviso, cercò tastoni un sasso e lo lasciò cadere nel
pozzo. Udì il proprio cuore battere parecchie volte prima che risuonasse alcun
rumore. Poi, da luoghi molto profondi, come se il sasso fosse piombato nelle
acque abissali di qualche posto cavernoso, giunse un "plunk",
estremamente distante, ma amplificato e ripetuto nella vuota gola.
"Cos'è?" gridò Gandalf. Fu sollevato quando Pipino confessò quel
che aveva fatto; ma era molto in collera, e l'Hobbit vedeva i suoi occhi
fiammeggiare. "Idiota di un Tuc!" ruggì, "Questo è un viaggio
serio, e non una passeggiata hobbit. Gèttati tu dentro la prossima volta, così
in futuro non ci seccherai più. Ed ora stai fermo e zitto!"
Non si udì più nulla per alcuni minuti, ma poi sorsero dalle profondità dei
deboli colpi: tom-tap, tap-tom. Cessarono, ed allorché gli echi si furono
spenti, ripresero nuovamente: tap-tom, tom-tap, tap-tap, tom. Parevano
inquietanti come se fossero segnali di qualche genere; ma dopo un po' i colpi
morirono in lontananza, e non furono più uditi.
"Se quello non era il rumore di un martello, io non ho mai udito
martellare", disse Gimli.
"Sì", rispose Gandalf, "e non mi piace. Potrebbe non avere alcun
nesso con la sciocca pietra di Peregrino; ma è probabile che abbiamo disturbato
qualcosa che sarebbe stato meglio lasciare in pace. Vi prego, non fate più
nulla del genere! Speriamo di poter riposare senza ulteriori incidenti... »
(SdA, libro II, capitolo IV)
Purtroppo Gandalf si sbaglia: lasciando cadere il suo sasso, Pipino ha ridestato un Balrog annidato nel cuore delle Montagne Nebbiose sotto la città dei Nani, rimasto là sotto fin dai tempi della Guerra d'Ira, due ere del mondo prima, e detto "il Flagello di Durin" perché aveva ucciso il re dei Nani Durin VI. Come andranno le cose lo sappiamo: sia il Balrog che Gandalf precipiteranno giù dal Ponte di Khazad-dûm, una scena che mille illustratori hanno rappresentato nelle maniere più epiche. Qui però noi vogliamo concentrarci proprio su quel sasso galeotto, lasciato cascare da Peregrino Tuc nel pozzo che tanto lo impauriva, così da poterne stimare la profondità.
Gandalf e il Balrog di Moria nella Trilogia diretta da Peter Jackson
Purtroppo Tolkien non specifica quanto tempo passa esattamente fra l'istante in cui lo Hobbit molla il sasso, e quello in cui esso giunge in fondo al pozzo di Khazad-dûm. Una cosa però è certa: Pipino Tuc misura il tempo usando i battiti del proprio cuore (« Udì il proprio cuore battere parecchie volte prima che risuonasse alcun rumore »). Potrà sembrare incredibile, ma ha fatto lo stesso Galileo Galilei quando, vedendo un candelabro oscillare nel Duomo di Pisa, ne misurò il periodo di oscillazione contando i battiti cardiaci, deducendo la legge dell'isocronismo del pendolo! Una volta di più, vediamo come il Professore di Oxford fu lungimirante anche in un campo nel quale non era specialista, quello della Fisica.
Ora, la frequenza cardiaca in un essere umano adulto è di 70-75 battiti al minuto. Possiamo aspettarci che in quel momento il battito dell'Hobbit fosse accelerato per la tensione (e inoltre un individuo giovane è più tachicardico di uno più maturo); supponiamo quindi che in quella terribile notte passata sotto chilometri di roccia, il cuore di Peregrino battesse 90 volte al minuto. Questo dato equivale a una frequenza di 90 battiti ogni 60 secondi, ovvero di 1,5 battiti al secondo. Il periodo di un fenomeno che si ripete con regolarità è l'inverso della frequenza, quindi il tempo che intercorre fra un battito e l'altro è di 1/1,5 = 0.67 secondi. Detto questo, possiamo applicare la legge oraria (2) per determinare quanto è profondo il pozzo da cui Pipino è stato irresistibilmente attratto. Occorre naturalmente conoscere il valore esatto dell'accelerazione di gravità che, come abbiamo visto in quel che precede, dipende dalla latitudine. Di solito si ritiene che i Cancelli di Moria si trovassero pressappoco alla latitudine della Germania, dove l'accelerazione di gravità vale circa g = 9,815 m/s2 (qualcuno li pone invece in Scandinavia, dove g vale circa 9,820 m/s2). Adoperando tale valore, è possibile determinare la profondità h del pozzo in funzione del numero di battiti del cuore di Pipino intercorsi tra l'istante in cui lascia cadere il sasso, e quello in cui esso tocca l'acqua. Il tempo t infatti si otterrà moltiplicando il numero N di battiti cardiaci per 0,67 secondi; in accordo con la (2), si dovrà poi elevare tale prodotto al quadrato, moltiplicarlo per 9,815 m/s2 e dividere il risultato per 2. Si perviene in tal modo alla seguente formula:
Il numero esatto dei battiti cardiaci non ci è fornito, però possiamo provare a costruire una tabella, nella quale ad N assegniamo valori progressivi. Ecco il risultato:
N |
h (m) |
N |
h (m) |
N |
h (m) |
1 |
2,181 |
11 |
263,914 |
21 |
961,870 |
2 |
8,724 |
12 |
314,080 |
22 |
1055,658 |
3 |
19,630 |
13 |
368,608 |
23 |
1153,808 |
4 |
34,898 |
14 |
427,498 |
24 |
1256,320 |
5 |
54,528 |
15 |
490,750 |
25 |
1363,194 |
6 |
78,520 |
16 |
558,364 |
26 |
1474,431 |
7 |
106,874 |
17 |
630,341 |
27 |
1590,030 |
8 |
139,591 |
18 |
706,680 |
28 |
1709,991 |
9 |
176,670 |
19 |
787,381 |
29 |
1834,314 |
10 |
218,111 |
20 |
872,444 |
30 |
1963,000 |
Come si vede, 30 battiti (equivalenti a soli 20 secondi) forniscono una profondità incredibile: quasi due chilometri! Costruiamo un diagramma che riporta in ascisse il numero di battiti e in ordinate la profondità raggiunta (sullo sfondo ho messo la celeberrima raffigurazione dei Cancelli di Moria):
Come si vede, il grafico ha il tipico andamento parabolico della proporzionalità quadratica; in altre parole, al raddoppiare del numero di battiti, la profondità raggiunta quadruplica.
A questo punto, però, è impossibile trascurare due importanti obiezioni che potreste muovere al mio calcolo. La prima riguarda la resistenza dell'aria. La (2) e la (3) valgono infatti se si trascura l'attrito di tipo viscoso esercitato dall'aria sul corpo che cade e, per brevi dislivelli, indubbiamente è possibile farlo senza commettere un errore troppo vistoso. Ma, se il sasso di Pipino cade per 30 secondi e arriva due chilometri più in basso, siamo sicuri che la resistenza dell'aria è trascurabile? Certamente no. Purtroppo qualunque trattazione dell'attrito, specie se viscoso (cioè tipico del moto all'interno di un fluido), appare così difficile da sembrare al di fuori della portata di chi non ha compiuto studi superiori; tuttavia, proverò ad impostarvi il problema in termini elementari. Tanto per cominciare, siccome occorre prendere in considerazione una forza, questo problema ci porta fuori dalla cinematica, per inoltrarci piuttosto nella dinamica. Quest'ultima si basa sul fondamentale principio enunciato da Isaac Newton nel 1687: la forza che agisce su un corpo è pari alla sua massa per la sua accelerazione. Tale principio a prima vista appare semplice, ma in realtà nella maggior parte dei casi conduce ad equazioni del moto di assai difficile soluzione.
L'entità della forza di attrito viscoso FV avvertita da una sfera può essere stimata in modo soddisfacente mediante la seguente formula:
In essa, dF è la densità del fluido (per l'aria porremo dF = 1,23 kg/m3); S è l'area della sezione frontale, cioè quella della "scia" lasciata dalla sfera nel fluido, misurata in direzione perpendicolare alla sua velocità v (per una sfera di raggio R, S = π R2); e K è il coefficiente di resistenza aerodinamica, che dipende da vari fattori, ma soprattutto dalla velocità. La forza FV ha la stessa direzione della velocità e verso opposto. Se m è la massa della sfera ed a la sua accelerazione, la forza a cui essa è soggetta è pari al peso della sferetta, dato da m g, meno la forza di attrito viscoso, e quindi, in base al principio di Newton, l'equazione del moto del corpo diventa:
La resistenza dell'aria può essere trascurata impunemente se l'attrito viscoso FV è molto piccolo rispetto al peso della sferetta, cioè se:
Se ne ricava che la resistenza del mezzo è trascurabile se la sua velocità soddisfa la condizione:
Se ciò avviene, è lecito trascurare la presenza dell'aria, altrimenti bisogna aspettarsi correzioni più o meno grandi a seconda del valore della radice a secondo membro. Inizialmente, per v = 0, la (4) ci dice che anche FV = 0, e dalla (5) si inferisce che l'accelerazione del sasso è pari a g. All'aumentare della velocità, tuttavia, aumenta progressivamente la resistenza dell'aria, e ciò fa diminuire l'accelerazione, che si ridurrà fino ad annullarsi. Ciò avviene quando il primo membro della (5) è pari a zero, cioè quando la velocità v ha il valore fornito dalla radice a secondo membro della (6). Da questo punto in poi l'accelerazione si annulla e la velocità rimane costante. Il valore a secondo membro della (6) prende perciò il nome di velocità limite, e si indica con la scrittura vL. È facile convincersi del fatto che la velocità tende ad assumere il valore vL indipendentemente dall'entità della velocità iniziale, perciò ogni corpo, libero di muoversi in aria, raggiunge una velocità limite se ne ha il tempo, cioè se cade da un'altezza sufficiente. La velocità limite dipende dalla geometria e dalla massa del corpo; noi useremo l'espressione a secondo membro della (6). Come si è detto, il coefficiente di resistenza aerodinamica dipende in modo più o meno complicato dalla velocità v, ma per semplificare i conti spesso lo si sostituisce con una costante. Per un cubo, tale costante vale circa 1; per un cilindro, circa 0,8; per un cono dalla parte della base, K = 0,5, e dalla parte della punta, K = 0,05. Nel caso dei proiettili delle moderne armi da fuoco, essi in generale sono supersonici, e il coefficiente K è soggetto a rapide variazioni intorno alla velocità del suono, per cui i calcoli sono spesso difficoltosi; il K di un proiettile di artiglieria calibro 155 mm, pesante 44 kg e con velocità di 800 m/s, varia fra 0,13 e 0,34. Ipotizzando che il sasso lasciato cadere da Pipino abbia una forma approssimativamente sferica e non raggiunga velocità supersoniche, noi assumeremo K = 0,47. Occorre stimare anche dimensioni e massa del sasso. Ipotizziamo che esso sia di granito (come la maggior parte della roccia delle montagne) con una densità di 3.000 Kg/m3, e che abbia un diametro di 10 cm. Il volume del sasso sferico è allora dato dalla formula:
Nota la densità, che è pari al rapporto fra massa e volume, si perviene a una massa approssimativa di 1,57 Kg. Dalla (6) allora si ricava una stima della velocità limite:
Tale velocità, nel vuoto, si raggiunge dopo 82,3/9,8 = 8,4 secondi, e quindi con una caduta da un'altezza di 346 metri, come è facile ricavare sostituendo tale intervallo di tempo nella (2). Se ne conclude che, fino ad 8,4 secondi, i quali corrispondono a 13 battiti del cuore di Pipino, le deviazioni dalla legge oraria (1) del moto rettilineo uniformemente accelerato sono trascurabili; oltre questo limite, trascurare la resistenza dell'aria conduce a risultati assolutamente poco realistici.
Gandalf davanti ai Cancelli di Moria nella Trilogia diretta da Peter Jackson
Risolvendo l'equazione (5) con i metodi dell'analisi matematica, è possibile misurare le deviazioni del moto del sasso in aria dal moto del sasso nel vuoto. Per chi ha conoscenze di analisi matematica, l'espressione analitica della soluzione della suddetta equazione è:
dove ln indica il logaritmo naturale, e Ch rappresenta il coseno iperbolico. Quest'ultima è una funzione molto importante, così definita:
e è la base dei logaritmi naturali. La funzione y = Ch x viene chiamata anche "catenaria", perchè descrive il profilo assunto da una catena appesa per i due estremi e soggetta soltanto al suo peso. Senza addentrarci in particolari matematici più complessi, ci basterà applicare la (7) ed usare una semplice calcolatrice tascabile, in grado di eseguire sia l'operazione logaritmo che quella coseno iperbolico, per determinare le profondità raggiunte dal sasso di Pipino tenendo conto della resistenza dell'aria. Ricordiamo che, come nella (3), per ottenere il tempo t occorrerà moltiplicare il numero N di battiti cardiaci per 0,67 secondi; come velocità limite useremo gli 82,3 m/s sopra stimati. Si ha così la formula:
Inserendo in essa successivi valori di N, otteniamo la seguente tabella:
N |
h nel vuoto |
h in aria |
N |
h nel vuoto |
h in aria |
1 |
2,181 |
2,199 |
16 |
558,364 |
455,222 |
2 |
8,724 |
8,767 |
17 |
630,341 |
502,980 |
3 |
19,630 |
19,622 |
18 |
706,680 |
551,766 |
4 |
34,898 |
34,633 |
19 |
787,381 |
601,446 |
5 |
54,528 |
53,622 |
20 |
872,444 |
651,898 |
6 |
78,520 |
76,379 |
21 |
961,870 |
703,020 |
7 |
106,874 |
102,663 |
22 |
1055,658 |
754,717 |
8 |
139,591 |
132,217 |
23 |
1153,808 |
806,911 |
9 |
176,670 |
164,773 |
24 |
1256,320 |
859,532 |
10 |
218,111 |
200,061 |
25 |
1363,194 |
912,520 |
11 |
263,914 |
237,818 |
26 |
1474,431 |
965,822 |
12 |
314,080 |
277,788 |
27 |
1590,030 |
1019,393 |
13 |
368,608 |
319,729 |
28 |
1709,991 |
1073,196 |
14 |
427,498 |
363,417 |
29 |
1834,314 |
1127,195 |
15 |
490,750 |
408,644 |
30 |
1963,000 |
1181,364 |
La tabella mette a confronto gli spazi percorsi dal sasso nel vuoto e ricavati dalla (3), e quelli percorsi nell'aria e ricavati dalla (7). Anche in questo caso riportiamo i dati ottenuti in un diagramma cartesiano; la linea rossa rappresenta la caduta del sasso di Pipino nel vuoto, la linea blu la caduta del sasso in aria. La differenza è evidente:
L'analisi del grafico conferma la nostra previsione iniziale: fino ad 8 secondi, i due grafici sono sostanzialmente sovrapponibili, e la resistenza dell'aria è ampiamente trascurabile. Da lì di in poi, però, le differenze si fanno imponenti. In 30 secondi, ad esempio, lo spazio percorso non è di poco meno di 2000 metri, bensì "solo" di nemmeno 1200 metri, con una differenza del 66 %! La curva rossa rappresenta in effetti un arco di parabola, mentre quella blu è un arco di "catenaria", la cui forma ricorda solo vagamente quella più nota della curva parabolica di secondo grado.
La seconda obiezione al calcolo eseguito mediante la (3) è invece di natura puramente cinematica, e riguarda invece la velocità del suono. Infatti, per usare le esatte parole di Tolkien, Mastro Peregrino Tuc « udì il proprio cuore battere parecchie volte prima che risuonasse alcun rumore ». In altri termini, i battiti del cuore contati dallo Hobbit non separano l'istante in cui lui lascia andare il sasso dall'istante in cui questo piomba nell'acqua, ma dall'istante in cui lui sente arrivargli il « "plunk" estremamente distante, amplificato e ripetuto nella vuota gola ». Il tempo t misurato da Pipino in termini di pulsazioni cardiache è in realtà la somma di due tempi: t1, impiegato dal sasso a cadere giù lungo l'abissale profondità di quel pozzo, e t2, impiegato dal suono a risalire. Mentre però il moto di caduta del sasso è uniformemente accelerato, quello del suono che risale è rettilineo uniforme. Il suono viaggia nell'aria ad una velocità che dipende dalla pressione, dall'umidità e da molti altri fattori, ma di solito si assume che la sua velocità sia pari a circa 340 m/s. Se il dislivello è piccolo, diciamo 34 metri, il suono impiega solo t2 = 0,1 secondi a percorrerlo, e dunque possiamo sicuramente trascurarlo rispetto a t1, ma se parliamo di parecchie centinaia o addirittura di migliaia di metri, immaginare una propagazione istantanea dell'onda sonora conduce a grossolani errori. Come impostare allora il problema, volendo tenere conto anche della velocità del suono?
Sia h la profondità del pozzo. Detta vS la velocità del suono nell'aria, evidentemente h = t2 * vS. In base alla (2), avremo che il tempo t1 intercorso tra l'inizio della caduta del sasso galeotto e l'arrivo del "plunk" sarà pari a:
Occorre risolvere rispetto ad h questa equazione irrazionale. Si isola la radice:
Quindi si elevano entrambi i membri al quadrato, si esegue il denominatore comune e si perviene all'equazione seguente:
Risolviamo l'equazione rispetto ad h. Il discriminante di quest'equazione vale:
E utilizzando la formula risolutiva dell'equazione di secondo grado si ottiene:
Il doppio segno ± è tipico delle soluzione delle equazioni di secondo grado, ma uno solo dei due segni è accettabile. Infatti, essendo l'origine posta nel punto da cui il sasso viene lasciato cadere, all'istante t = 0 si deve avere h = 0. Sostituendo nella precedente t = 0, si ottiene come risultato lo zero solo considerando il segno meno; con il segno +, all'istante zero il sasso si trova nella posizione 2 vS2 / g, e va allontanandosi progressivamente verso il basso. Tale formula dunque descrive un tipo di moto molto diverso da quello del sasso di Pipino. Eliminando la soluzione con il segno +, e sostituendo a g e a vS i loro valori numerici, otteniamo la formula:
t è misurato in secondi; Peregrino Tuc invece usa i battiti cardiaci per stimare il tempo. Abbiamo visto che in un minuto ci sono 60 secondi e 90 battiti del cuore di Pipino, per cui dalla proporzione t : N = 60 : 90 si ricava che t = N x 60 / 90 = N / 1,5. Sostituiamo tale relazione nella formula testé trovata, ed otteniamo h in funzione di N:
Inserendo in essa i valori di N, come fatto nei casi precedenti, otteniamo:
N |
vS = 0 |
vS > 0 |
N |
vS = 0 |
vS > 0 |
1 |
2,181 |
2,099 |
16 |
558,364 |
432,416 |
2 |
8,724 |
8,352 |
17 |
630,341 |
481,763 |
3 |
19,630 |
18,505 |
18 |
706,680 |
533,159 |
4 |
34,898 |
32,356 |
19 |
787,381 |
586,535 |
5 |
54,528 |
49,724 |
20 |
872,444 |
641,826 |
6 |
78,520 |
70,439 |
21 |
961,870 |
698,968 |
7 |
106,874 |
94,346 |
22 |
1055,658 |
757,903 |
8 |
139,591 |
121,300 |
23 |
1153,808 |
818,576 |
9 |
176,670 |
151,168 |
24 |
1256,320 |
880,934 |
10 |
218,111 |
183,827 |
25 |
1363,194 |
944,926 |
11 |
263,914 |
219,161 |
26 |
1474,431 |
1010,505 |
12 |
314,080 |
257,061 |
27 |
1590,030 |
1077,624 |
13 |
368,608 |
297,429 |
28 |
1709,991 |
1146,241 |
14 |
427,498 |
340,168 |
29 |
1834,314 |
1216,315 |
15 |
490,750 |
385,192 |
30 |
1963,000 |
1287,805 |
La colonna dei valori calcolati con la formula (8) è quella contrassegnata da vS > 0, mentre nella colonna contrassegnata da vS = 0, in cui si trascura la propagazione sonora, abbiamo inserito per confronto i valori restituiti dalla (3). Rappresentiamo ora le due colonne di valori su di un grafico, in rosso quella ricavata dalla (3) e in verde quella ricavata dalla (8):
Paradossalmente, le stelle istoriate sui Cancelli di Moria che ho messo come sfondo del grafico sembrano davvero allineate secondo la legge oraria che tiene conto della velocità del suono! In ogni caso, la differenza tra i due grafici, rosso e verde, cresce rapidamente al crescere dei battiti contati da Pipino. Se poi tenessimo conto contemporaneamente della velocità del suono e dell'attrito dell'aria, la riduzione rispetto al grafico di colore rosso sarebbe ancora più rilevante. Conclusione: il pozzo di Moria in cui Pipino ha lasciato cadere il suo sasso è sì profondo, ma non un abisso insondabile come potrebbe parere a prima vista, leggendo le pagine di Tolkien.
Il Balrog di Moria come appare nel film di animazione del 1978 di Ralph Bakshi
Per concludere questa lezione, la citazione tratta dal capitolo XI del SdA circa l'inizio della corsa di Ombromanto verso Minas Tirith ci permette di richiamare un'altra delle caratteristiche del moto: la sua relatività. Ecco infatti come Pipino, già protagonista del risveglio del Balrog nelle viscere di Moria, percepisce la folle cavalcata notturna:
« Mentre il sonno lo
intorpidiva lentamente, Pipino ebbe una strana sensazione: Gandalf e lui erano
immobili come pietre, seduti sulla statua di un cavallo al galoppo, e sotto di
loro il mondo fuggiva via in mezzo a un gran fragore di vento »
(SdA, libro III, capitolo XI)
Un osservatore solidale con il terreno vede Ombromanto, Gandalf e Pipino correre a rotta di collo da Dol Baran a Minis Tirith; al contrario, un osservatore solidale con Ombromanto, qual è appunto Peregrino, il cavallo è fermo, ed è tutto il mondo circostante a traslare, di moto rettilineo uniforme, nella direzione che da Minas Tirith conduce a Dol Baran. Questa situazione dimostra che, come intuito da Galileo Galilei nel suo "Dialogo sui Massimi Sistemi del Mondo" (1632), ogni moto può venire descritto solo rispetto a un osservatore solidale con il sistema di riferimento che usa per le sue misure. Di conseguenza ogni osservatore, nell'ambito del proprio sistema di riferimento, non può sapere se è in moto o è fermo. Questo è passato alla storia con il nome di Principio di Relatività Galileiana: le leggi della fisica sono invarianti per osservatori in moto relativo uniforme, detti sistemi di riferimento inerziali. I sistemi di riferimento inerziali sono insomma indistinguibili tra di loro, e dai sistemi in quiete. Per questo, a Pipino pare di essere immobile come una statua, mentre la Terra di Mezzo scappa a tutta velocità sotto di lui!
Eppure, che ci crediate o no, nel Legendarium di Tolkien c'è persino un accenno alla Relatività Ristretta, formulata nel 1905 da Albert Einstein (1879-1955)! Ma dove? Dobbiamo prendere in considerazione gli Istari, i cinque Stregoni che i Valar inviarono nella Terra di Mezzo durante la Terza Era affinché guidassero la lotta contro Sauron. Ecco cosa si dice di loro nei "Racconti Incompiuti di Númenor e della Terra di Mezzo":
«
Gli Uomini si resero conto che gli Istari non morivano, ma che rimanevano
sempre uguali a se stessi (sembravano solo invecchiare
lentamente), mentre i loro
padri e i loro figli morivano, e per questo gli Uomini cominciarono a temerli,
pur amandoli, e li ritennero appartenenti alla razza degli Elfi, con i quali
in effetti molto spesso fraternizzavano.
Ma così non era. Gli Istari infatti erano giunti da Oltremare, provenienti
dall'estremo Ovest [...] Erano emissari dei Signori dell'Ovest, i Valar, pur
sempre pensosi delle sorti della Terra di Mezzo, i quali, quando l'ombra di
Sauron ricominciò ad agitarsi, presero misure per opporlesi. E così con il
consenso di Eru inviarono membri del loro stesso alto ordine, però sotto
specie di Uomini in carne e ossa, soggetti alle paure, ai dolori e alle
stanchezze della terra, suscettibili di provare fame, sete e di essere uccisi;
sebbene, a causa dei loro nobili spiriti, gli emissari non morissero, e se
invecchiavano era solo per le cure e le fatiche di molti lunghi anni. »
(Racconti Incompiuti, parte IV, cap. II)
In pratica, gli Istari ("i Saggi" in lingua Quenya) erano dei Maiar, cioè dei semidei, che si incarnarono in corpi di fattezze umane per guidare meglio alla riscossa i popoli della Terra di Mezzo. I loro nomi Curunír ("Uomo di Destrezza"), il Bianco, che gli Uomini chiamarono Saruman; Olórin ("Sognatore"), il Grigio, meglio conosciuto come Gandalf ; Aiwendil ("Boscoso"), il Bruno, detto anche Radagast; Morinethar ("Coraggioso"), noto come Alatar, e Romestamo ("Illusionista"), chiamato pure Pallando; gli ultimi due furono detti anche gli Stregoni Blu, e di loro si sa molto poco. Gli Istari apparivano come uomini anziani, ma vigorosi ed energici, e siccome sembravano immortali, come abbiamo letto sopra gli Uomini li scambiarono per Elfi. Tale equivoco è particolarmente evidente nel nome di Gandalf, che significa "Elfo col bastone". In realtà gli Elfi non invecchiano, mentre gli Istari invecchiavano molto lentamente, come se vivessero... in un tempo diverso da quello degli Uomini! Ciò ci ricorda il fenomeno della dilatazione dei tempi, tipico della Relatività Ristretta: se un sistema di riferimento (ad esempio un'astronave) si muove a velocità v, prossima a quella della luce c, il tempo Δt da esso misurato risulta notevolmente dilatato, e un sistema di riferimento solidale alla Terra misura invece un tempo Δt' dato dalla formula:
Per chi vuole approfondire l'argomento, consiglio di consultare quest'altro mio ipertesto. Per restare al Legendarium, invece, Tolkien stesso ci dice che gli Istari giunsero sulla Terra di Mezzo attorno all'anno 1050 della Terza Era, quando Sauron formò un nuovo esercito e cominciò a ricostruire il suo potere da Dol Guldur, nel sud del Bosco Atro; il corpo di Saruman fu ucciso da Grima Vermilinguo il 3 novembre dell'anno 3019 della Terza Era, mentre il 29 settembre del 3021 Gandalf, in quanto portatore dell'anello Narya, salpò dai Porti Grigi insieme agli altri portatori (inclusi Bilbo e Frodo) per tornare definitivamente nelle Terre Immortali. Ciò significa che i due suddetti Stregoni vissero nella Terra di Mezzo per circa 1970 anni. Dei normali corpi umani avrebbero potuto vivere diciamo per 100 anni; ne segue che, nel nostro caso, Δt = 100 anni e Δt' = 1970 anni. Sostituendo nella (9) e risolvendo rispetto a v, tenendo conto che c = 300.000 Km/s, si ottiene che, per ottenere una tale dilatazione dei tempi secondo i dettami della Relatività Ristretta, i due Maiar diventati stregoni avrebbero dovuto spostarsi perpetuamente a una velocità tale che v/c = 0,9987, e quindi a una velocità di 299.613 Km/s! In altre parole, più che i personaggi di una saga fantasy, avrebbero dovuto essere gli arditi esploratori spaziali di qualche avvincente romanzo di fantascienza!
Detto questo, per analizzare con me altri argomenti di cinematica e dinamica desunti dal Legendarium di Tolkien, cliccate qui e buttatevi a capofitto nella lezione seguente.