Linguaggio SETI (introduzione)

Gen 2, 2014

SETI, acronimo di Search for Extra-Terrestrial Intelligence (Ricerca di Intelligenza Extraterrestre), è un programma dedicato alla ricerca della vita intelligente extraterrestre, abbastanza evoluta da poter inviare segnali radio nel cosmo. Il programma si occupa anche di inviare segnali della nostra presenza ad eventuali altre civiltà in grado di captarli (SETI attivo). Il SETI Institute, proposto nel 1960 da Frank Drake (tuttora uno dei suoi direttori), è nato ufficialmente nel 1974. È un'organizzazione scientifica privata, senza scopi di lucro. La sede centrale è a Mountain View, inCalifornia. SETI è un progetto molto ambizioso ed estremamente complesso: la nostra galassia, la Via Lattea, è grande 100.000 anni luce e ha una massa compresa fra i cento e i duecento miliardi di masse solari. Considerando che la dimensione media delle stelle è di 0,5 masse solari, essa potrebbe contenere anche oltre trecento miliardi di stelle: per questo, scandagliare l'intero cielo alla ricerca di un segnale distante e debole è un compito arduo. Ci sono alcune strategie, o meglio alcune ipotesi plausibili, che possono aiutare a ridimensionare il problema, rendendolo abbastanza piccolo da essere affrontabile. Una semplificazione consiste nell'assumere che la maggioranza delle forme di vita della galassia siano basate sulla chimica del carbonio, come avviene per gli organismi viventi terrestri. È possibile basare la vita su altri elementi, ma il carbonio è noto per la sua peculiare capacità di legarsi a numerosi altri elementi (oltre che a sé stesso) per formare una gran varietà di molecole. Anche la presenza di acqua allo stato liquido è un'ipotesi plausibile, perché è una molecola molto comune nell'Universo e fornisce un ambiente eccellente per la formazione di molecole complesse basate sul carbonio, dalle quali poi può avere origine la vita. Una terza ipotesi è quella di concentrarsi su stelle simili al Sole: le stelle molto grandi hanno vita molto breve, e, secondo l'esempio che abbiamo a disposizione (la vita sulla Terra), non ci sarebbe il tempo materiale perché possa svilupparsi una vita intelligente sui loro pianeti. Le stelle molto piccole sono invece longeve, ma producono così poca luce e calore che i loro pianeti dovrebbero essere molto vicini per non congelare. Circa il 10% della nostra galassia è fatta di stelle simili al Sole e ci sono circa mille di queste stelle entro una distanza di 100 anni luce da noi che costituiscono le candidate principali per la ricerca.



Attualmente conosciamo però un solo pianeta su cui la vita si è sviluppata, il nostro e non abbiamo ancora modo di sapere se le ipotesi di semplificazione siano corrette oppure no. Scandagliare l'intero cielo è già un'operazione difficile in sé, ma si deve anche considerare la complicazione di dover sintonizzare il ricevitore sulla frequenza giusta, esattamente come si fa cercando una stazione radio. Anche in questo caso per restringere il campo d'indagine si può ragionevolmente presupporre che il segnale venga trasmesso su una banda stretta, perché sarebbe altrimenti molto oneroso in termini di energia utilizzata per chi lo trasmette. Questo significa però che per ogni punto del cielo occorre provare a captare tutte le possibili frequenze che arrivano ai nostri ricevitori. Inoltre c'è anche il problema che non sappiamo cosa cercare: non abbiamo idea di come un segnale alieno possa essere modulato, né di come i dati verranno codificati nel segnale, né che tipo di dati aspettarci. Segnali a banda stretta molto più forti del rumore di fondo e di intensità costante sono ovviamente buoni candidati, e se essi mostrano uno schema regolare e complesso di impulsi potrebbero essere di provenienza artificiale. Sono stati condotti degli studi su come potrebbe essere generato un segnale che potrebbe essere decifrato facilmente da un'altra civiltà, ma non c'è modo di conoscere l'effettiva validità di questi studi, e decifrare un segnale reale potrebbe essere molto difficile. C'è anche un altro problema nell'ascolto di segnali radio interstellari. I rumori di fondo del cosmo e degli strumenti di ricezione ci impediscono di rilevare segnali meno intensi di una soglia minima. Affinché noi possiamo riuscire a captare segnali di una civiltà aliena distante 100 anni luce che stia trasmettendo "omnidirezionalmente", ovvero simultaneamente in tutte le direzioni,



quella civiltà dovrebbe utilizzare una potenza di trasmissione pari a diverse migliaia di volte quella che siamo in grado oggi di produrre sulla Terra. Inoltre le comunicazioni interstellari potrebbero venire distorte producendo effetti di disturbo che vanno ad oscurare il segnale. I moderni progetti di SETI sono iniziati con un articolo scritto dai fisici Giuseppe Cocconi e Philip Morrison, pubblicato dalla stampa scientifica nel1959. Cocconi e Morrison vi sostenevano che le frequenze di trasmissione più adatte alle comunicazioni interstellari fossero quelle tra 1 e 10 gigahertz. Al di sotto di 1 gigahertz, la radiazione emessa dagli elettroni in movimento nei campi magnetici delle galassie tende a coprire le altre sorgenti radio. Sopra i 10 gigahertz invece esse subirebbero l'interferenza dovuta al rumore prodotto dalle molecole di acqua e dagli atomi di ossigeno della nostra atmosfera. Anche se mondi alieni avessero atmosfere molto diverse, effetti di rumore quantistico rendono comunque difficile costruire apparecchi riceventi capaci di operare a frequenze superiori ai 100 gigahertz. L'estremità inferiore di questa "finestra di microonde" è particolarmente adatta per le comunicazioni, dato che a frequenze inferiori è generalmente più semplice produrre e ricevere segnali. Cocconi e Morrison hanno segnalato come particolarmente interessante la frequenza di 1,420 gigahertz. È la frequenza emessa dall'idrogenoneutro. Spesso i radioastronomi cercano segnali di questa frequenza per poter mappare le nubi di idrogeno interstellare della nostra galassia; quindi la trasmissione di un segnale di frequenza simile a quella dell'idrogeno aumenta le probabilità che esso possa venire captato per caso.

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