Ordigni nucleari

Chiudiamo ora il nostro racconto dell'avventura di Enrico Fermi. Il 16 luglio 1945, nel poligono di Alamogordo (nel deserto del Nuovo Messico), fu fatto brillare il primo ordigno nucleare della storia in quello che è passato alla storia come Trinity Test: si trattava di una bomba al plutonio della potenza di 20 chilotoni (cioè 20.000 tonnellate di tritolo). I ricercatori del Progetto Manhattan misero a punto altri due ordigni, uno all'uranio arricchito ed uno al plutonio. Ma intanto le cause stesse per cui la bomba era stata fabbricata erano venute meno: il 30 aprile 1945 Adolf Hitler si era suicidato con la sua amante Eva Braun nel bunker sotto la Cancelleria di Berlino, e l'8 maggio la Germania si era arresa (in Italia la guerra si era conclusa il 25 aprile precedente). Il gruppo di Werner Heisenberg, incaricato di fabbricare la bomba per conto del Terzo Reich, non era approdato a nulla, e forse lo stesso Heisenberg aveva volutamente sabotato il progetto, menando il can per l'aia fino all'arrivo degli Alleati (per questo, nel dopoguerra non fu perseguito). Tuttavia la guerra infuriava ancora sul fronte del Pacifico, dove il Giappone rifiutava di arrendersi. Fermi, Szilard e Oppenheimer proposero di far saltare per aria uno degli ordigni su un isolotto disabitato di fronte al Giappone, così da mostrare a tutti i terribili effetti di quell'arma. Tuttavia il 12 aprile 1945 Franklin Delano Roosevelt, colpito da ictus cerebrale, era morto improvvisamente, e gli era successo il suo Vice, Harry Truman, il quale intendeva dare una dimostrazione non al Giappone, bensì all'Unione Sovietica, scomodo alleato nella guerra contro i tedeschi. E così il 6 agosto il bombardiere statunitense "Enola Gay" al comando del Colonnello Paul Tibbets sganciò su Hiroshima la prima bomba atomica, un ordigno all'uranio battezzato "Little Boy", causando circa 150.000 vittime. Il 9 agosto un secondo ordigno battezzato "Fat Man", stavolta al plutonio, esplose su Nagasaki, città d'arte dove si erano concentrate miglia di cittadini nipponici, convinti che gli americani non la avrebbero mai bombardata; le vittime furono 200.000. Il vecchio Einstein, saputa la notizia, commentò: « La Fisica ha conosciuto il peccato originale ». Aveva ragione: il fronte dei fisici si spaccò tra quanti erano favorevoli all'uso di ordigni nucleari e quanti propugnavano solo l'uso pacifico dell'energia nucleare. Oppenheimer, colto da un'improvvisa crisi di coscienza, rifiutò di lavorare per la costruzione della bomba all'idrogeno, e si dedicò invece alle ricerche sui raggi cosmici. Il 29 agosto 1949 anche l'Unione Sovietica fece esplodere il suo primo ordigno atomico, messo a punto da Igor Vasil'evič Kurčatov (1903-1960); il 1 novembre 1952 gli Stati Uniti rispondevano facendo esplodere sull'atollo di Eniwetok la bomba all'idrogeno, costruita da Edward Teller (1908-2003), uno tra i più fieri oppositori di Oppenheimer. Cominciava l'equilibrio del terrore, dominato dall'incubo dell'apocalisse nucleare (alcuni però sostengono che il deterrente nucleare impedì lo scoppio di una Terza Guerra Mondiale, trattandosi di un'arma che tutti avevano paura di usare, potendo portare il genere umano all'estinzione).

Ed Enrico Fermi? Egli abbandonò ogni ricerca di tipo bellico e proseguì i propri studi di fisica nucleare all'Università di Chicago, presso quello che oggi si chiama Fermilab in suo onore. Nell'estate del 1949 tornò brevemente in Italia per partecipare ad una conferenza sui raggi cosmici che si tenne a Como ove ebbe modo di rivedere alcuni colleghi ed amici, tra i quali Amaldi, Pontecorvo e Segrè. Precursore dei tempi in ogni campo della Fisica, intuì immediatamente le potenzialità dei calcolatori elettronici e fu il primo ad ideare le simulazioni numeriche (il cosiddetto Metodo Montecarlo). Tornò nuovamente in Italia, per l'ultima volta, nel 1954 per tenere una lezione sui mesoni a Varenna presso Villa Monastero, sul lago di Como. La stessa Villa è ora sede della Scuola Internazionale di Fisica, intitolata allo scienziato italiano. Poco dopo, purtroppo, fu colpito da cancro allo stomaco, a causa dei neutroni che aveva maneggiato con troppa disinvoltura. Un amico che era andato a trovarlo all'ospedale di Chicago in cui era ricoverato, raccontò che era nutrito con un sondino, e che con un cronometro contava quante gocce cadevano nel sondino, come se quello fosse un esperimento scientifico, e non qualcosa che lo riguardava direttamente. Enrico Fermi, grande tanto come teorico quanto come sperimentatore, iniziatore dell'era atomica, si spense il 29 novembre 1954. L'elemento con Z = 100, scoperto da Albert Ghiorso (1915-2010) investigando la natura dei residui lasciati dall'esplosione della prima bomba all'idrogeno, fu chiamato Fermio in suo onore. Una lapide commemorativa lo ricorda nella Basilica di Santa Croce a Firenze, nota per le numerose sepolture di artisti, scienziati e personaggi fondamentali della storia italiana.

Il cartello che indica via Enrico Fermi a Lonate Pozzolo, comune natale dell'autore di questo sito

Il cartello che indica via Enrico Fermi a Lonate
Pozzolo, comune natale dell'autore di questo sito

Parliamo ora brevemente di questi ordigni nucleari che costituirono un vero e proprio spartiacque nella storia dell'umanità. A differenza dei reattori nucleari, una bomba libera la sua energia in modo estremamente rapido, generando una intensa concentrazione di calore: anche una piccola massa di fissile può distruggere un'intera città. Una tale liberazione immediata di energia richiede una sofisticata tecnologia, altrimenti il calore liberato immediatamente nella reazione a catena della fissione farebbe esplodere anzitempo il materiale e bloccherebbe il processo. È importante sottolineare che un reattore nucleare non può mai esplodere come una bomba: al massimo il suo combustibile può surriscaldarsi e fondere, come accadde a Černobyl' nel 1986 e a Fukushima nel 2011, dove l'edificio di contenimento esplose come una pentola a pressione surriscaldata, diffondendo dovunque materiale radioattivo. Inoltre, il processo usato nei reattori commerciali non è adatto per costruire bombe. Ogni neutrone liberato dalla fissione di un nucleo deve rimbalzare sul moderatore e rallentare, prima che possa iniziare una nuova fissione. Il moderatore interferisce con il processo esplosivo, e il rallentamento diluisce la liberazione di energia. Affermare dunque che i reattori difettosi possano esplodere come delle bombe atomiche è un esempio di disinformazione diffusa da certa propaganda ecoterrorista, che la scienza deve combattere con decisione. Invece, è vero che molti reattori sono plutonigeni, cioè la cattura di neutroni veloci da parte dell'uranio-239 può generare nettunio-239 e poi plutonio-239; la possibilità che vengano costruite bombe atomiche con il plutonio estratto dagli impianti commerciali è stato il principale motivo dello sforzo internazionale per controllare la proliferazione della tecnologia nucleare.

Anche con il combustibile arricchito o con il plutonio a disposizione, non è tuttavia facile costruire una bomba atomica. È necessaria una massa critica di combustibile (circa 50 kg per l'uranio), compressa in un volume molto ridotto, per consentire a una sufficiente quantità di materiale fissile di reagire prima che il calore generato frantumi tutto in modo esplosivo. La prima bomba atomica sganciata sul Giappone era una canna di cannone modificata, in cui una massa di uranio-235 veniva "sparata" contro un'altra massa. Le bombe al plutonio devono essere assemblate ancora più rapidamente e compresse ancora di più, in modo che una carica sferica di esplosivo "imploda" su una sfera di combustibile posta nel mezzo. Naturalmente deve essere presente una sorgente di neutroni per innescare la reazione a catena durante il critico microsecondo in cui avviene la massima compressione.

Il mondo ha tutte le ragioni per temere l'uso delle armi nucleari e per fare il proprio meglio per prevenirlo. L'istantanea liberazione di energia produce una tremenda concentrazione di calore, che irradia energia come un lampo di luce enormemente intenso. Una frazione di secondo dopo si forma una "palla di fuoco", una sfera di aria infuocata che assorbe il calore e immediatamente lo riemette, espandendosi violentemente. Questo ha due effetti: una potente onda d'urto, che provoca terribili distruzioni, e una enorme bolla di aria calda che, essendo molto leggera, sale rapidamente come una mongolfierafino a 20 o  25.000 metri. Questa bolla trascina dietro a sé una colonna di polvere, fumo e detriti, formando la famosa nube a forma di fungo, nota come fungo atomico. Gli esseri viventi vicini al punto dell'esplosione vengono vaporizzate dall'onda di calore, e quelle che sono riuscite a trovare riparo dal calore e dalla detonazione possono poi essere uccise o gravemente menomate dalle radiazioni che persistono per decenni, se non per secoli. Inoltre i materiali radioattivi provenienti dalla bomba, risucchiati dalla nube a fungo atomico, dopo un certo tempo ricadono al suolo contaminandolo ulteriormente: è il cosiddetto fallout radioattivo. Negli anni '60 del XX secolo, quando Stati Uniti e Unione Sovietica costruivano tali bombe e ne prevedevano l'uso in una resa dei conti nucleare, vennero identificati o costruiti negli Stati Uniti e in tutto l'Occidente dei rifugi antiatomici, riparati da pareti abbastanza spesse (30 cm di cemento) da bloccare le radiazioni mortali della ricaduta radioattiva. In questi rifugi venivano immagazzinati viveri e acqua per varie settimane, il tempo necessario perché decadesse il materiale radioattivo più pericoloso.

Finora l'unico paese che ha subito un bombardamento atomico in tempo di guerra, e ha provato sulla sua pelle le terribili conseguenze di un bombardamento nucleare testé descritte, è stato il Giappone, e questo ha avuto un'importantissima conseguenza anche sulla società italiana. Infatti alle ore 18.45 di martedì 4 aprile 1978, nel corso dello spettacolo "Buonasera con..." condotto quel mese dal Quartetto Cetra, venne trasmessa la primissima puntata di "Atlas Ufo Robot", meglio conosciuto con il nome di Goldrake. Era la prima serie animata giapponese a sbarcare in Italia, ed il successo fu strepitoso: dopo le disavventure tragicomiche di Paperino, le sciocche marachelle dell'orso Yoghi e gli inseguimenti senza fine di Tom ai danni di Jerry, i bambini italiani si entusiasmarono per le gesta di robot alti trenta metri, costruiti in leghe dieci volte più dure dell'acciaio, armati fino ai denti con armi da fantascienza (che azionavano gridandone il nome) e capaci di movimenti agili e rapidissimi per sconfiggere feroci nemici provenienti dal lontano passato o da galassie remote; il tutto, sottolineato da tormentoni musicali e riproposto in decine e decine di episodi a scadenza giornaliera. Queste creature inossidabili, come ha scritto un sociologo, erano proprio l'ipostasi della fiducia nipponica di sapersi ricostruire un futuro dopo la batosta atomica della Seconda Guerra Mondiale, grazie alla loro inventiva ed alla potenza della loro tecnologia. Dilagò così in Italia la "Goldrakemania" e Duke Fleed venne presto seguito da altri eroi made in Japan i cui nomi sono diventati celeberrimi: Mazinga Zeta, Jeeg Robot, Capitan Harlock, Lupin III, Lady Oscar. Molti sociologi ed educatori accusarono i nuovi cartoni di essere violenti e diseducativi, e si ebbero persino interrogazioni parlamentari per cercare di vietarli. Essi però restano un cult per i quarantenni di oggi, e i loro figli continuano ad appassionarsi per le avventure di nuovi eroi originari del Sol Levante come Sailor Moon, Dragon Ball, Pokemon e così via. Nello spezzone qui sotto tratto dal mio canale Youtube potete come il celeberrimo "Jeeg, Robot d'Acciaio" ha esorcizzato, con tanto di fungo atomico, le tragedie di Hiroshima e Nagasaki.

Proprio perchè le bombe atomiche sono pericolosissime armi di distruzione di massa, la comunità internazionale ha tentato di limitare e sanzionare la produzione di tali armi con il Trattato di Non Proliferazione Nucleare, entrato in vigore il 5 marzo 1970. A tutt'oggi hanno ufficialmente testate nucleari gli Stati Uniti d'America (primo test nucleare nel 1945), la Russia (1949), il Regno Unito (1952), la Francia (1960), la Repubblica Popolare Cinese (1964), l'India (1974), Israele (1979), il Pakistan (1998) e la Corea del Nord (2006), mentre il Sudafrica ha smantellato nel 1989 tutte le testate che aveva costruito a partire dal 1977. Tra l'altro, nel secondo dopoguerra i coniugi Joliot-Curie, autori della scoperta della radioattività artificiale, e militanti antifascisti durante il secondo conflitto mondiale, si separarono proprio perchè Frédéric Joliot accettò di fabbricare la bomba atomica per conto del governo francese, contro il parere della moglie. La cosiddetta proliferazione nucleare fu uno degli aspetti più tragici della Guerra Fredda, e segnò gli incubi di due intere generazioni di uomini: i film di fantascienza cominciarono a popolarsi di mostri alieni e di extraterrestri malvagi, ben decisi ad invadere la Terra, ipostasi del terrore della distruzione della crosta terrestre da parte di migliaia di ordigni atomici. Basta pensare al film « Invaders from Mars » (1953) diretto da William Cameron Menzies, in cui un supercervello marziano guida sulla Terra un'astronave che si infossa nella sabbia, comincia a catturare terrestri e a "condizionarli" per renderli suoi schiavi: tipici effetti da psicosi di invasione sovietica, tale da "condizionare" tutti gli americani trasformandoli in comunisti. E difatti anche questo film si conclude con una megabomba che disintegra l'astronave aliena, come se gli sceneggiatori del film contassero sulla bomba atomica per tenere alla larga gli odiati leninisti! Ed idem dicasi per « La cosa da un altro mondo » (1951) di Christian Nyby, che termina con il terribile monito: « Guardate il cielo! », come per avvertire gli spettatori di scrutare il firmamento onde non farsi prendere alla sprovvista dai bombardieri sovietici stracarichi di ordigni atomici!

Proprio sotto l'effetto di tale psicosi, nel 1947 fu istituito il cosiddetto Orologio dell'apocalisse ("Doomsday Clock"), che misura il pericolo di una ipotetica fine del mondo a cui l'umanità è sottoposta, quantificato tramite la metafora di un orologio simbolico la cui mezzanotte simboleggia la fine del mondo, mentre i minuti precedenti rappresentano la distanza ipotetica da tale evento. Al momento della sua creazione, durante la guerra fredda, l'orologio fu impostato a sette minuti dalla mezzanotte; da allora, le lancette sono state spostate 21 volte. La massima vicinanza alla mezzanotte (due minuti) è stata raggiunta nel 1953, dopo i test di armi termonucleari da parte di USA e URSS, e mantenuta fino al 1960; la massima lontananza è stata di 17 minuti, tra il 1991 (trattati START di riduzione degli armamenti nucleari) e il 1995. In particolare il mondo rischiò più che in ogni altro momento di sprofondare nell'abisso dell'apocalisse nucleare in seguito alla Crisi dei Missili di Cuba, nel 1962, quando Fidel Castro accettò di dispiegare sulla sua isola testate nucleari puntate verso il suolo americano, e Kennedy minacciò di bombardare le navi sovietiche in navigazione verso Cuba; Papa Giovanni XXIII lanciò un disperato appello alla pace, e il leader sovietico Nikita Chruščëv cedette, ritirando le navi. In seguito i trattati firmati da USA e URSS per ridurre le testate atomiche e il crollo dell'Unione Sovietica allentarono la tensione, che però è tornata a crescere con le politiche di Vladimir Putin da un lato e di Donald Trump dall'altro, cui si è aggiunta la guerra al terrorismo islamista dopo gli attentati dell'11 settembre 2001. Oggi l'Orologio dell'Apocalisse si trova a soli due minuti e mezzo dalla fine del mondo; è di questi giorni il braccio di ferro tra l'Occidente e la Corea del Nord, ritiratasi nel 2001 dal Trattato di Non Proliferazione, la cui paranoica dirigenza continua ad illudersi che un paese sia tanto più grande quante più potenti sono le armi di distruzione che possiede.

Un nuovo pericolo inoltre è apparso recentemente: quello di una "bomba sporca" fatta esplodere da terroristi. Non si tratterebbe di una vera bomba nucleare, ma un dispositivo con esplosivo convenzionale, riempito con scorie radioattive come quelle che si trovano nel combustibile ormai consumato di un reattore nucleare. Una tale radioattività potrebbe contaminare la località dove viene fatta esplodere la bomba, per una estensione di un centinaio di metri. Stare vicini al luogo di questa esplosione non comporterebbe la morte o il grave danneggiamento della salute; molto più dannoso sarebbe ingerire le sostanze con il cibo o con l'aria, fissandosi soprattutto nelle ossa (il polonio fa parte dello stesso gruppo chimico del calcio) e generando mali incurabili. Naturalmente questa eventualità scatenerebbe il panico nella popolazione, perché la gente comune ha poca familiarità con la fisica nucleare, si lascia imbibire dai mass media faziosi ed ha il terrore di tutto ciò che riguarda il nucleo atomico; e diffondere il panico è proprio ciò che vogliono i terroristi. Le scorie nucleari in genere sono ben custodite, poiché è interesse di ogni governo non esporre i propri cittadini al pericolo radioattivo, tuttavia il materiale radioattivo prodotto da paesi che non hanno risorse sufficienti per prevenire eventuali azioni di terroristi potrebbe finire nelle mani di questi ultimi; e ai tempi della guerra scatenata dall'Isis contro l'Occidente, questo un altro pericolo non da poco che dobbiamo imparare ad affrontare. John Fitzgerald Kennedy disse che noi dobbiamo distruggere le armi nucleari, prima che le armi nucleari distruggano noi; purtroppo, però, non è stato ascoltato.

A proposito dell'invenzione della bomba atomica, voglio farvi leggere questa intervista fatta dal grande Enzo Biagi (1920-2007) all'altrettanto grande fisico Emilio Segrè (1905-1989), e contenuta nel suo saggio « Noi c'eravamo », edito da Rizzoli nel 1990 (pagg. 308-313): ne vale decisamente la pena.

Emilio Segrè (Tivoli, 1 febbraio 1905 – Lafayette, 22 aprile 1989)

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Emilio Segrè: come fabbricammo la bomba

Il 7 agosto 1945, la radio trasmette 1'annuncio del nuovo presidente Truman: la prima atomica, equivalente a ventimila tonnellate di trinitrotoluene, e stata sganciata su Hiroshima. E all'uranio. Poi tocca a Nagasaki: e al plutonio.
Cominciano le crisi personali e le polemiche; barbarie, assassinio di massa, delitto, o si sono risparmiate innumerevoli vite e accorciata la durata del conflitto?
Ne ho parlato con Emilio Segrè, a cui si deve la scoperta dell'antiprotone, premio Nobel, uno di Los Alamos, un conversatore che ha il fascino della chiarezza e della sincerità.

« Professor Segrè, lei come altri scienziati arrivò in America nel 1938. Molti fuggirono per le persecuzioni razziali. Perché si orientò verso gli Stati Uniti? »

« Noi, e con noi intendo il nostro gruppo di fisici, avevamo una visione abbastanza chiara della situazione politica europea, perché eravamo stati tutti all'estero a studiare, e ci aspettavamo, più o meno, quello che poi è successo. In conseguenza da molti anni, praticamente dal 1930, si veniva spesso oltre Atlantico per fare conoscenze, amicizie, per capire se c'era possibilità, in caso di tempesta, di trovare un posto. Io ero quaggiù nel 1938, e anche prima. Nel 1936 mi ero fatto dare del materiale radioattivo in California, dal Radiation Laboratory, e vi avevo scoperto un elemento artificiale, il primo, a Palermo, insieme al professor Perrier, che era un mio caro amico e collega.
Volevo studiare gli isotopi a vita corta di questa sostanza e naturalmente a quell'epoca, per arrivare dalla costa del Pacifico all'Italia, ci si metteva qualche settimana, quindi arrivavano che erano già decaduti. Allora decisi di andare a far ricerche sul posto e avevo il biglietto di andata e ritorno. »

« Chi c'era quaggiù tra i fuggiaschi dall'Europa? »

« Un buon numero di tedeschi, ungheresi, svizzeri, sparsi un po' dappertutto. Molti di questi io già li conoscevo perché erano stati a Roma, quando Mussolini non era antisemita e, anzi, aiutava quelli che scappavano dalla Germania. Ma di italiani allora non mi pare che ci fosse nessuno. »

« Era conosciuta la scuola di Roma? »

« Sì, perché avevamo lavorato specialmente alla Columbia University di New York, poi anche in altre Università, e Fermi era venuto molte volte negli USA, dove aveva tenuto anche dei corsi estivi. »

« Era difficile per voi ambientarvi? »

« Una cosa relativa. Si era quasi alla fine della depressione, quindi c'erano ancora parecchi disoccupati, specialmente fra gli scienziati. Ma uno come Fermi sbarcava, e c'erano lì i presidenti delle accademie con il cappello in mano ad offrirgli incarichi. Uno invece, giovane e sconosciuto, aveva notevoli difficoltà, però se era bravo ce la faceva. Una situazione di questo genere: è come se lei facesse una corsa ai cavalli con un handicap. L'essere straniero era uno svantaggio, però se correva davvero più svelto degli altri vinceva la gara ugualmente. »

« Come siete stati arruolati per Los Alamos? »

« Non siamo stati arruolati. Tutto il progetto della pila atomica, e poi della bomba, inizialmente, è stato fatto partire, se non del tutto ma in larga parte, da immigrati. Quindi uno c'era dentro fin dal principio. Per esempio, nel mio caso, insieme ad altri avevo scoperto il plutonio, mi ero reso conto che poteva servire. »

« E allora che cosa e accaduto praticamente? Tutti gli scienziati sono stati chiamati... »

« Quando si è creato il laboratorio di Los Alamos, Oppenheimer è stato scelto come direttore, ma lui già prima si era occupato di queste cose, e quindi sapeva chi erano le persone importanti che avevano le mani in pasta. »

« Lei è stato chiamato, e con lei, Fermi; chi c'era ancora? »

« Tra i fondatori di Los Alamos, di italiani c'ero solo io, credo. Però poi ci fu una specie di conferenza di una ventina, o forse trenta esperti, per discutere cosa si sarebbe potuto e dovuto fare, quali mezzi occorrevano, qual era il tempo per fare un programma. C'ero io, c'era Fermi, e c'era Bruno Rossi. »

« Tutto questo in segreto, naturalmente. E laggiù, nel deserto, come vi siete trovati? Come vivevate? »

« Non eravamo nel deserto. Ma a duemila metri, in un altipiano con una specie di foresta, molto bello, dove c'era stata una scuola per ragazzi ricchi e un po' tubercolosi, poi requisita. Si abitava in case di legno militari, tutte uguali. »

« Con le mogli o da soli? »

« Con la moglie e i bambini. Il laboratorio era chiuso, aveva una cinta attorno, da cui però si poteva entrare e uscire, ma bisognava avvertire. Il posto di per sé era splendido, tra i più belli che abbia mai visto, montagne e boschi. Ma chi stava a Los Alamos non aveva molto tempo per goderli: c'era da lavorare da mattina a sera, e tutti i giorni. »

« Com'era la vostra giornata? »

« Si sgobbava come bestie, e alla fine della settimana non se ne poteva più. E allora al sabato o alla domenica uno andava a pescare. Si passeggiava per queste pianure con dei fiumi che serpeggiavano in meandri, dove c'era un mucchio di trote. Mi piaceva restare in silenzio, era proprio un ricaricare le batterie perché non se ne poteva più. »

« Fermi che parte aveva nel progetto? »

« Dunque, Fermi in principio venne a Los Alamos solo in visita, qualche volta, come una specie di consulente, perchè ancora era impegnato a Chicago al progetto della pila.
Quando cominciò a funzionare, cioè nel dicembre del 1942, qualche mese dopo arrivò ed ebbe la sua casa, e il compito che gli fu affidato era, soprattutto, quello di una specie di consigliere generale. Quando c'era qualche pasticcio grosso che nessuno sapeva sbrigare, allora si andava da Fermi. Poi aveva anche un piccolo gruppo operativo, con cui costruire un "reattore". »

« Si avvertivano gia i primi contrasti ideologici? Per esempio, tra un uomo come Teller e uno come Oppenheimer, erano due mondi, due visioni... »

« C'erano controversie, ma non per motivi filosofici: quella era una società chiusa, in cui la gente si trovava tutti i giorni e così nascevano, anche nelle persone intelligenti, delle forme mentali curiose. Insomma, diventava un affare di Stato se uno aveva l'alloggio un pochino più bello, se stava in una strada o in un'altra, se uno era division leader o era group leader. Qualcuno diventava sensibile a faccende trascurabili. Teller scoppiava, ce l'aveva con tutti; ognuno soffriva di questa malattia, ma lui più degli altri, di non essere considerato abbastanza. »

« E Oppenheimer? »

« Oppenheimer faceva il direttore cercando di bilanciare la barca, di non fare inferocire troppo le mogli che non trovavano quello che desideravano, e quando mancava l'acqua, e quando il mangiare non era proprio come si doveva, e le abitazioni parevano insoddisfacenti. Aveva tutti questi problemi. Poi gli scienziati; ognuno voleva essere una primadonna. »

« Ma non c'era anche il problema di pensare: stiamo facendo una cosa che può cambiare il destino del mondo? »

« Nessuno si preoccupava di quello. Le parrà strano, ma lei deve pensare che nel 1943 si era in piena guerra, con cose terribili che succedevano nel Pacifico. Non c'era discussione, perché questa bomba andava fatta, al più presto possibile. »

« Voi immaginavate che i tedeschi e i giapponesi sapessero qualcosa di quello che stavate preparando? Era possibile che si rendessero conto di questi studi, di questa minaccia? »

« Tutti dovevano sapere che c'era la possibilità di fare un'atomica. Insomma, è chiaro che sia i fisici giapponesi che i tedeschi, i francesi, i russi, gli italiani, tutti ne erano al corrente. Ma tra il dire e il fare... Ignoravano a che punto eravamo arrivati. »

« Come ricorda il giorno in cui è avvenuto il grande fatto? C'è stato una specie di messaggio cifrato: "Il navigatore italiano è arrivato..." »

« Questo significava che il primo reattore nucleare aveva funzionato, cioè aveva provocato una reazione a catena. Ma la reazione con la bomba è molto più complicata ed è un'impresa colossale, difficilissima, spaventosa, che nessuno credeva possibile. Tuttavia è riuscita.
La reazione si può ottenere sia per separazione degli isotopi, sia per un'altra via, scoperta da Kennedy, Seaborg, Wahl e da me, e cioè ottenendo prima un elemento nuovo, il plutonio, e, separandolo dalla ganga, cosa che è molto incomparabilmente più semplice che per gli isotopi, per usare poi questo plutonio purificato. Però le ho detto che è un elemento artificiale. Per fare questo elemento artificiale bisogna avere un reattore che lo possa produrre. L'arrivo del telegramma cui si riferiva lei, l'arrivo del navigatore, voleva dire che il reattore di Fermi a Chicago, per la prima volta, aveva funzionato. E quindi apriva la possibilità di produrre il plutonio, oltre a quella molto dubbiosa e veramente complicatissima di ottenere l'uranio 235. Questa e una storia lunga. »

Il Trinity Test ad Alamogordo il 16 luglio 1945:
la prima esplosione di una bomba atomica

« Era una piccola bomba quella che e esplosa nel deserto? »

« Mica tanto. »

« E poi cosa accadde? »

« Aspetti. Il punto centrale era di avere questi materiali, la polvere, per cosi dire. Poi bisognava costruire l'ordigno, che non è come uno shrapnel di artiglieria. Ha i suoi machiavelli dentro, i suoi meccanismi, c'è tutta una tecnica per farlo esplodere. Lo scopo di Los Alamos era, trovato il materiale, escogitare contemporaneamente il modo di utilizzarlo. »

« E come l'avete provato? »

« Hanno messo in cima a una torre di acciaio nel deserto una bomba fatta con tecniche completamente nuove agli artificieri, ed e stata fatta esplodere. »

« E voi eravate lì a vedere? »

« Noi eravamo lì a vedere, insomma, non sotto, perché siamo ancora qua; a una certa distanza. »

« L'atomica e figlia di un padre o di molti genitori? »

 « Storie di padri, madri, eccetera: sono balle. Naturalmente ci sono tanti passi, per poter fare una bomba atomica lei deve avere la scoperta del neutrone, di Chadwick, la scoperta della radioattività artificiale di Curie e di Joliot, la scoperta dei neutroni lenti, fatta da noi a Roma, la scoperta della fissione fatta da Hahn e Meitner, la scoperta del plutonio fatta a Berkeley o la separazione degli isotopi. Poi il modo di metterli insieme, trovato da varie persone. »

« Come spiega la crisi di qualcuno di questi genitori, ' dopo, il tormento di alcuni, come Oppenheimer, che se ne sono fatti una colpa? »

« Non lo so, esistono tanti tipi umani. Per esempio, Truman se la prese molto male quando Oppenheimer gli disse drammaticamente: "Sento sangue sulle mie mani". Truman, almeno cosi raccontano le sue memorie, rispose: "Portatelo via, non lo voglio più vedere, non lo voglio più sentire!" »