ALBERT EINSTEIN forma con Marx e Freud la famosa triade di intellettuali ebraici che traghettarono il pensiero moderno dalle sue posizioni illusorie e un po' farraginose del secolo XIX fino a quelle che hanno segnato, nel bene e nel male, la storia del secolo XX. Le sue scoperte diedero infatti l'avvio alla Fisica Moderna, nonché un contributo ineguagliabile alla civiltà d'oggi, perché le conquiste dell'elettronica e della microbiologia non sarebbero mai state possibili senza la formulazione della meccanica quantistica, di cui Einstein fu uno dei fondatori, anche se poi si rifiutò di accettarne fino in fondo i risultati; e la comprensione del funzionamento delle stelle e della struttura delle galassie e dell'intero universo non sarebbe mai decollata, senza la sua teoria della Relatività. Vale la pena di conoscere nei dettagli la sua vita, prima di entrare nel merito delle sue rivoluzionarie teorie.
Einstein nacque ad Ulm (nel Württemberg), da famiglia di origine ebraica, il 14 Marzo 1879. Da bambino a scuola non andava affatto bene. Preferiva stare ad ascoltare lo zio, ingegnere, che gli raccontava i rudimenti della Matematica e delle Scienze, come fossero favole. Nel 1894, quando Albert aveva solo 15 anni, la sua famiglia fu costretta dalle ristrettezze economiche a lasciare l'Impero Tedesco per trasferirsi a Milano, dove il padre lavorava in qualità di elettrotecnico, e poi a Pavia. Dopo essere rimasto per circa un anno in Italia, emigrò in Svizzera, dove si iscrisse al famoso Politecnico di Zurigo. Qui, nel 1905, compì studi ormai celebri sull'effetto fotoelettrico, una delle pietre angolari nella costruzione della Teoria dei Quanti, nonché sulla determinazione sperimentale del numero di Avogadro eseguita tramite l'osservazione del moto browniano e della velocità di sedimentazione delle soluzioni. Eppure, nonostante tutta questa sua intensissima elaborazione teorica, non trovò lavoro che all'ufficio brevetti di Berna. Solo nel 1910 conseguì l'abilitazione all'insegnamento di Matematica e Fisica; l'anno successivo, ottenne la cittadinanza svizzera, che conservò poi fino alla morte. Nel 1912, finalmente, gli accademici svizzeri si resero conto di trovarsi di fronte ad un genio, e gli assegnarono la cattedra di professore ordinario di Matematiche Superiori nello stesso ateneo in cui si era laureato. Nel novembre 1913 gli fu offerto di insegnare Fisica nella prestigiosa Accademia prussiana delle Scienze di Berlino. L'anno dopo fu chiamato a dirigere la Kaiser Wilhelm Gesellschaft nella stessa città, carica che accettò di buon grado. La moglie però rifiutò di seguirlo nella Germania precipitata nella spirale bellica, e lo abbandonò. Egli non ne soffrì più di tanto, perché pare avesse già in corso una relazione con la cugina Elsa, che poi avrebbe sposato; inoltre, era tutto preso dallo studio delle geometrie non euclidee, che presto gli avrebbero permesso la formulazione definitiva della Relatività.
Nel 1916, infatti, pubblicò finalmente la memoria « Die Grundlagen der allgemeinen Relativitätstheorie » (I fondamenti della teoria della Relatività Generale), frutto di oltre dieci anni di studi, che completava un precedente lavoro del 1905 con il quale aveva gettato le basi dell'elettrodinamica relativistica (in pratica, quella che noi chiameremo la Teoria Speciale della Relatività), lavoro del quale parleremo nell'unità 2. Questi articoli lo fecero conoscere negli ambienti scientifici, e la sua fama crebbe fino al punto di meritargli nel 1919 il Premio Nobel per la fisica, che però, come vedremo, gli fu assegnato per l'ipotesi fotonica con cui aveva spiegato l'effetto fotoelettrico, confermando le teorie di Planck, e non per il suo colossale studio sulla relatività, l'unico per cui oggi invece è famoso.
Tra il 1915 e il 1930 si stava sviluppando la teoria quantistica, che presentava come concetti fondamentali il dualismo onda-particella, postulato proprio da Einstein nel 1905, nonché il principio di indeterminazione di Heisenberg, che fornisce un limite intrinseco alla precisione con cui si può misurare una grandezza fisica. Einstein mosse diverse e significative critiche alla nuova teoria e partecipò attivamente al lungo e tuttora aperto dibattito sulla sua completezza; in particolare, mosso dalle sue convinzioni filosofiche e religiose, si rifiutò di accettare fino in fondo le conseguenze dell'impostazione intrinsecamente probabilistica della Meccanica Quantistica, sulla base della celeberrima affermazione: "Dio non gioca a dadi con il mondo".
In Germania rimase fino al 1933 quando, intuendo il pericolo insito nell'ascesa al potere di Adolf Hitler, decise di emigrare negli Stati Uniti, dove divenne professore all'Institute for Advanced Studies di Princeton. Qui prese anche la cittadinanza americana, nel 1940, ed insegnò fino al 1945, anno in cui si ritirò dall'attività accademica. Qui però diede anche l'avvio al famoso progetto Manhattan, con Enrico Fermi (1901-1954), Leo Szilard (1898-1964), John Von Neumann (1903-1957) e Robert Oppenheimer (1904-1967), progetto che portò allo sganciamento di due ordigni atomici sulle città nipponiche di Hiroshima e Nagasaki. Convinto pacifista, si rifiutò di partecipare ad esso in prima persona, ma fu proprio in seguito alla lettera di Einstein del 2 Agosto 1933 che il presidente americano Franklin Delano Roosevelt si convinse della possibilità di realizzazione della bomba termonucleare. Probabilmente è questa la ragione per cui, divorato dai rimorsi, nel dopoguerra Einstein si impegnò col matematico inglese Bertrand Russell (1872-1970) in una campagna pacifista, contraria a qualunque uso bellico della scienza e a qualunque discriminazione razziale. Proprio una settimana prima della sua morte, firmò insieme ad altri sette premi Nobel un documento contro la proliferazione delle armi nucleari, che (come giustamente è stato detto) costituisce il suo testamento spirituale, una sorta di messaggio postumo all'umanità. In esso, tra l'altro, si legge:
« Noi rivolgiamo un appello come esseri umani ad esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto. Se sarete capaci di farlo è aperta la via di un nuovo Paradiso, altrimenti si spalanca davanti a voi il rischio della morte universale »
Giustamente uno scrittore ha definito Einstein "uomo dal volto di artista e di profeta che disprezzava la violenza e la guerra"; lui, membro di una razza disprezzata e perseguitata, piccolo uomo della provincia tedesca, catapultato a capofitto nei più luttuosi eventi del nostro secolo, quando avrebbe sicuramente preferito rimanere nell'ombra ed insegnare Fisica per tutta la vita; proprio lui ha tracciato all'umanità le due vie lungo le quali potrà perdersi o salvarsi. Nella storia del pensiero umano egli rappresenta certamente un simbolo, tanto da colpire la fantasia della gente, che da allora, quando deve raffigurarsi uno scienziato geniale, se lo raffigura con i capelli ed i baffi incolti del genio di Ulm. Al di là però dell'iconografia popolare, ecco il giudizio dato dell'opera di Einstein dal grande fisico francese Louis Victor de Broglie (1892-1987), uno dei padri della Meccanica Quantistica:
« Per tutti gli uomini colti, il nome di Albert Einstein evoca lo sforzo intellettuale geniale che, capovolgendo i dati più tradizionali della fisica, è riuscito a stabilire la relatività delle nozioni di SPAZIO e TEMPO... È questa un'opera ammirevole, paragonabile alle più grandi opere che s'incontrano nelle scienze (per esempio quella di Newton); di per sé stessa, basterebbe ad assicurare al suo autore una gloria imperitura! »
Ma egli non fu ricercatore arido e misantropo, come a volte lo si è voluto dipingere; si sforzò anzi in tutti i modi di rendere accessibile la Scienza al grande pubblico, proprio per impedire che fossero solo poche lobby assetate di potere a gestirla contro gli interessi dell'umanità. Nella prefazione alla sua monografia divulgativa "Relatività: la teoria speciale e generale", egli afferma testualmente che « nessuno pensa con le formule » e che « secondo il precetto di Boltzmann, i problemi dell'eleganza vanno lasciati al sarto ed al calzolaio ». Ma soprattutto egli sostenne quanto segue:
« ...Senza la convinzione che con le nostre costruzioni teoriche è possibile raggiungere la realtà, senza la convinzione dell'intima armonia del nostro mondo, non potrebbe esserci scienza. »
Sul piano politico, Einstein previde la fondazione di un'« Internazionale della scienza », al di là dei blocchi e dei nazionalismi esasperati dei suoi tempi; anzi, ricordò che Emilio Fischer diceva: « Voi non potete farci nulla, signori, la scienza è e rimane internazionale... » Combatté i pregiudizi dei benpensanti, sostenendo che « le dichiarazioni ufficiali sono ovunque peggiori dell'opinione dell'individuo » (per dirla con Cicerone, "Senatores boni viri, Senatus mala bestia"). Appoggiò perciò i congressi internazionali e previde la creazione dell'Europa Unita, affermando che:
« Il nostro continente potrà raggiungere una nuova prosperità soltanto se la lotta latente fra le forme tradizionali di Stato viene a cessare. L'organizzazione politica dell'Europa deve essere decisamente orientata verso l'eliminazione delle incomode barriere doganali. Questo scopo superiore non potrebbe essere raggiunto esclusivamente attraverso convenzioni tra stati; la preliminare preparazione degli spiriti è, anzitutto, indispensabile... »
Uomo schivo e riservato, tuttavia, nel 1948 rifiutò l'offerta fattagli dai sionisti di assumere la presidenza del neonato Stato d'Israele, affermando che « la politica dura un attimo, mentre un'equazione dura in eterno ». E così, fino all'ultimo, si dedicò unicamente alla ricerca teorica, prevedendo tra l'altro anche gli sviluppi futuri della Fisica, perché la sua Teoria della Relatività (nel frattempo applicata con successo da P.A.M. Dirac alla Fisica Atomica) portava diritta al sogno dell'Unificazione delle Forze; Einstein tentò così, negli ultimi anni della propria vita, di trovare una possibile unificazione tra campo elettromagnetico e campo gravitazionale in un’unica formulazione, più semplice e completa che mai; ma questo tentativo, purtroppo, non fu coronato da successo, e non lo è tuttora. Il perché va ricercato nell'assenza di una Matematica in grado di descrivere adeguatamente questa « Teoria del Tutto ». Lo stesso Einstein lo riconobbe, scrivendo in una sua lettera:
« A causa di difficoltà matematiche, non ho ancora trovato il modo pratico di controllare i risultati della mia teoria tramite una dimostrazione sperimentale. »
È questa l'eredità da lui lasciata ai propri colleghi. Einstein si spense a Princeton subito dopo la mezzanotte del 16 Aprile del 1955, per un aneurisma. Aveva cambiato per sempre la concezione che abbiamo di spazio, tempo e struttura dell'universo, partendo da una pretesa forse arrogante ed ambiziosa, ma certamente degna di un genio:
« Voglio capire come Dio ha creato il mondo. Non mi interessa questo o quel fenomeno in particolare: voglio penetrare a fondo il Suo pensiero. Il resto sono solo minuzie... L'esperienza più bella che possiamo provare è il senso del mistero. E' l'emozione fondamentale che accompagna la nascita dell'arte autentica e della vera scienza. Colui che non la conosce, colui che non può più provare stupore e meraviglia è come morto, ed i suoi occhi sono incapaci di vedere. »
Albert Einstein disegnato da Luca Salvagno sul N° 45 del "Giornalino" del 15 novembre 2015