Una vigna da coltivare  

Debora è li a ricordare che il successo e solo opera di Dio
che non lascia distruggere Israele e non lo abbandona

La parabola dei vignaioli che ci viene presentata da tutti e tre i Vangeli Sinottici (Matteo, Marco e Luca) racconta la progressiva manifestazione all'uomo del mistero di Dio, un Dio che vuol vincere il nostro male prendendolo e portandolo su di sé, un Dio che prende il nostro male facendone la Sua mirabile opera di salvezza per tutti.

È la storia dell'infinita passione di Dio per l'uomo, il Suo amore senza misura tanto da offrire per noi il Suo unico Figlio, la Sua fedeltà nonostante le nostre continue infedeltà, il Suo eterno venirci incontro di fronte e nonostante i nostri rifiuti. Quanta cura ha Dio per noi suo popolo!

"...Piantò una vigna, la circondò con una siepe, scavò una buca per il torchio e costruì una torre." (Mc 12, 1) Non e una cosa da poco piantare una vigna: si tratta di un lavoro paziente ed intelligente che chiede tanto impegno, tanta fatica e soprattutto tanta cura. Ma è, allo stesso tempo, un lavoro fatto con gioia, pensando alla gioia dei frutti futuri! La vigna è protetta, c'è una siepe che la circonda e che impedisce ad animali e bestie di qualsiasi genere o ladri e malintenzionati di danneggiarla, rovinarla, di portar via i vitigni

Una torre vigila sulla sicurezza del terreno dove è piantata la vigna, la custodisce attentamente e un torchio, scavato nella roccia, assicura la spremitura dell'uva giunta a maturazione. Il nostro Dio lavora personalmente, a Sue spese, alla Sua vigna, con il pensiero di un'unica ricompensa ed un unico risultato: la felicità dell'uomo.

È' un Dio, il nostro Dio, che lavora personalmente, a Sue spese, alla Sua vigna, con il pensiero di un'unica ricompensa ed un unico risultato: la felicità dell'uomo. Non c'è nulla che Dio fa mancare al suo popolo, al popolo che egli si e scelto tra ogni altro popolo, al popolo che si è scelto come sua proprietà: addirittura non fa mancare all'uomo la libertà di godere della sua vigna, di coltivarla, di custodirla autonomamente.

Il padrone si allontana dalla vigna: gli evangelisti scrivono che se ne andò lontano, dando la vigna in affitto a dei contadini. Il Signore parte per un viaggio, lascia il frutto del Suo lavoro e del Suo amore agli uomini, se ne rimane in disparte quasi fosse un estraneo o uno straniero. Egli si fida dell'uomo, non rimane dietro le quinte a muovere i fili che ci legano a Lui come fossimo burattini, facendoci solo apparentemente dono di una libertà che, in realtà, non esiste. Egli ci fa dono di tutto quello che ha costruito, piantato, lavorato e, soprattutto, della libertà di agire come Lui. Ma quando, finalmente, al tempo opportuno manda i suoi servi a "ritirare la sua parte del raccolto della vigna" (Mc 12, 2), essi, ad uno ad uno ed uno dopo l'altro, sono insultati, picchiati, bastonati, addirittura uccisi.

Il Signore ha fame del frutto della sua vigna, Egli desidera che l'uomo, suo figlio, si realizzi nell'amore e nella libertà di servire, come Lui. Più Egli fa dono al suo popolo di incontrare profeti, martiri, testimoni del Suo amore e del nostro male, uomini che, più di altri, ci possono accompagnare nel cammino di maturazione, di crescita nella fede e nella conoscenza di Lui, più il Signore ci chiama con il loro esempio, più ci allontaniamo da Lui. Chiamati a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo, nessuno vuole sollevare lo sguardo, uno sguardo sempre più interessato a sottrarre, rubare, a tenere per sé piuttosto che a condividere, a nascondere piuttosto che a rendere partecipi.

Ma la fedeltà di Dio non conosce confini. Egli non si scoraggia e non lascia mai mancare la Sua Parola e il Suo annuncio di misericordia. Come risposta alla Sua bontà c'è sempre, ogni volta, da parte dei vignaioli, un aumento di malvagità, nella cupa speranza di spegnere ogni voce di bene, ogni singola voce che è annuncio di conversione, di nuova vita, di rinnovata speranza. Sordi alla Parola che salva, uccidiamo chi ce la annuncia.

A Dio non rimane che inviare nella vigna il Suo unico Figlio: non lo fa di controvoglia e neanche tentennando. D'altro canto non conosce altra "vendetta" che mostrare maggior amore, addirittura il massimo amore che è possibile a Lui che è amore. Per questo invia suo Figlio, l'Amato, il suo Tesoro, dopo il quale non ha più nulla da darci perché ci ha donato ogni cosa, tutto se stesso. La vigna ed il padrone, la salvezza e il Salvatore non cesseranno mai di essere a disposizione dell'uomo, sia che egli li accetti sia che li rigetti. Ma l'uomo vuole l'eredità, la vuole tutta e tutta esclusivamente per sé. Vuole possedere in proprio ciò che gli è donato: l'eredita del Figlio, il tesoro del Padre. Ed è questa l'opera meravigliosa di Dio: proprio attraverso la morte, per mano nostra, del Figlio, noi otteniamo l'eredita. A noi che gli togliamo la vita, egli dona la Sua Vita. Così diviene pietra angolare del nuovo Tempio, ponte tra cielo e terra, tra infinito e finito, divinità e umanità, giudei e pagani, formando di tutti un solo popolo, annullando ogni inimicizia e condanna tra gli uomini. Questa è l'opera del Signore, meraviglia ai nostri occhi: con l'uccisione del Figlio, noi abbiamo usato la nostra libertà per compiere il massimo male e Lui ne fa il sommo bene per tutti, il dono grande ed unico di Sé.

Marten van Valckenborch, "La Parabola dei vignaioli omicidi"

Marten van Valckenborch, "La Parabola dei vignaioli omicidi"