È bello questo Dio che lascia tutto per venirmi
a cercare, che lascia tutto per caricarmi sulle sue spalle
come un padre quando gioca con il suo bimbo piccolo
Ho spesso provato ad immaginare la gioia, la contentezza, l'allegria che inondano quei versetti del vangelo di Luca in cui l'evangelista ci propone le tre parabole della misericordia: la pecora smarrita, la moneta perduta, il padre misericordioso. Immaginare il pastore che, con gioia, si carica la pecora appena ritrovata sulle spalle, va a casa e chiama gli amici ed i vicini per far festa; immaginare la donna che, trovata la moneta che aveva perduta, invita le amiche e le vicine per rallegrarsi insieme e condividere la felicità del ritrovamento; raffigurarmi quel padre che si getta al collo del figlio appena tornato a casa, quel padre che non sta più nella pelle e non sa cosa inventare per far festa: ordina di tirar fuori il vestito di lusso, l'anello di famiglia, di uccidere il vitello grasso e dice a tutti, servi compresi, « mangiamo e facciamo festa perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato ». Di certo è una gioia che non si riesce facilmente a concretizzare, che non si riesce facilmente ad afferrare perché è la gioia indicibile di Dio, un Dio che ci ama veramente, che non è lasciato indifferente da tutto quello che ci riguarda e ci succede, un Dio per il quale ogni nostra cosa ha un'eco nel suo cuore fino a provocare in Lui angoscia, speranza, dolore, gioia! Smarrendosi, perdendosi quella pecora così come la moneta, come pure il figlio minore, hanno fatto tremare il cuore di Dio. Dio ha temuto di perderli per sempre, di doversene privare in eterno. Questa paura ha fatto sbocciare la speranza in Dio e la speranza, una volta realizzatasi, ha provocato la gioia e la festa. È bello questo Dio che lascia tutto per venirmi a cercare, che lascia tutto per caricarmi sulle sue spalle come un padre quando gioca con il suo bimbo piccolo, che mi riconduce a casa; questo Dio che spazza ogni angolo della mia vita spostando mobili, tavoli, sedie e tirando via polvere, ragnatele e qualsiasi altra cosa pur di ritrovarmi e pur di permettere che io possa ritrovarmi; questo Dio che, ogni giorno, ogni istante, guarda fisso fino all'orizzonte per non perdersi il momento del mio ritorno sulla strada di casa, che mi corre incontro, mi abbraccia forte quasi a soffocarmi, che smuove le montagne per farmi festa ogni volta che riconosco il Suo essermi Padre e il mio essere figlio. È significativo, a questo proposito, il movimento, l'andare e il venire, il darsi da fare del pastore, della donna, del padre. La donna che ha perduto la moneta non esita un istante: accende la lampada, spazza la casa, cerca accuratamente, trova la moneta... ma non si ferma qui: chiama vicine ed amiche affinché possano rallegrarsi e far festa insieme a lei. È quel Dio che allontana da noi l'ombra di qualsiasi notte, che ci mostra, ogni volta, la luce del nuovo giorno che mai tarda ad arrivare, ce la fa assaporare, la fa risplendere come faro che ci riconduce in strada, nel cammino verso casa, che illumina il nostro cuore, la nostra anima, il nostro intelletto perché, come la moneta d'argento, alla luce, scintilla e si fa trovare, così anche noi possiamo afferrarla, sentirla, goderne e lasciarci afferrare da lei. Ma non basta! Non basta a Dio che vediamo la sua luce! Ci aiuta ad incamminarci verso di essa, verso di Lui. Egli comincia a spazzare la casa, comincia a far spazio nella nostra vita, a raccogliere e buttar via il nostro non credere, non sperare, non amare, la nostra capacità (sì! È proprio capacità!) quotidiana di dire no alla fede, alla speranza, all'amore, a Lui, le nostre povertà, la nostra tristezza, le nostre debolezze, la ragione di chi non è e non si fa piccolo di cuore, di chi vorrebbe conoscere tutto e subito, di chi non è capace di dare confidenza, di affidarsi, di credere a chi è più grande di lui e lo precede, la ragione di chi ragiona troppo o per niente, di chi non sa accettare il proprio limite, di chi non sa riconoscere l'amore accanto a lui, dentro di lui, di chi non è mai soddisfatto, di chi non dona ma tutto vuole e pretende per sé. E una volta che ci ha trovati? Non tiene la moneta tutta per sé, non la nasconde in un luogo ben sicuro per paura di perderla nuovamente, non la chiude nel fondo di un cassetto, non la spolvera o la tira a lucido ogni giorno per rimetterla, poi, sottochiave! No! Addirittura neanche aspetta che la notizia del ritrovamento si diffonda casualmente ma chiama, grida, urla di gioia affinché tutta la creazione, tutti gli uomini possano rallegrarsi con Lui! È un Dio pazzo di gioia ogni volta che torniamo a Lui, ogni volta che può riabbracciarci, stringerci a sé, guardarci negli occhi, scaldarci l'anima! Sì! Il cuore di Dio è totalmente ed irreversibilmente paterno! Posso sbagliare, posso smarrirmi, posso peccare, ma mi è concesso di contare sulla solidità di questa roccia: Dio resta Padre e continua a volermi bene! Ed è un bene talmente grande che gli provoca dentro una gioia incontenibile, contagiosa, impetuosa, che gli fa compiere pazzie per me, per ogni Suo figlio. Una gioia che fa brillare i Suoi occhi al solo vedermi, che lo fa correre, che lo fa saltare per abbracciarmi, baciarmi, che lo fa danzare e cantare, che lo fa preparare banchetti ricchi di vivande perché, insieme, possiamo gustare la pienezza di Lui, del Padre essenzialmente amore, fedelmente amore, inesauribilmente amore!
Rembrandt van Rijn, "Il ritorno del figliuol prodigo", Museo dell'Hermitage, San Pietroburgo, 1668