Questo seme è più forte di ogni difficoltà, di ogni superficialità,
di ogni tradimento, e porta frutti di speranza dentro la nostra vita
Il seminatore uscì a seminare... Proviamo ad aprire nuovamente le nostre orecchie e soprattutto il nostro cuore per scoprire come questo seminatore semina ancora oggi il campo del mondo e della nostra vita. Apriamo allora il Vangelo di Matteo al capitolo 13. La prima cosa che notiamo al versetto 3 è l'utilizzo dell'articolo "il" per definire colui che semina perché per la Sacra Scrittura il seminatore per eccellenza è Dio. È Dio che semina già dalla Creazione del mondo e il seme è la vita: Dio è colui che genera vita, che la offre, che la dona. E dalla Creazione in avanti non si è più arrestata la sua semina, basti pensare a tutta la storia della Salvezza, fino ad arrivare all'ultima seminagione che è il Figlio unigenito venuto nel mondo per noi. L'idea che noi abbiamo, che di per sé sarebbe anche logica, è che il seminatore, uscendo, vada a cercare il terreno buono per spargere la semente, ma non è così, perché appena Dio esce di casa comincia a seminare. Noi, invece, non semineremmo mai sulla strada, o sul terreno sassoso, o sui rovi; questo non vuol dire che Dio è un seminatore sbadato o incosciente, ma che è un seminatore "folle", che intenzionalmente comincia a seminare proprio dalla strada. Dio conosce cosa c'è nel mondo, conosce la nostra storia, sa quali terreni sono presenti sulla Terra e nel nostro cuore, sa che siamo strada, sassi e spine ma che c'è anche del terreno buono in noi e attorno a noi, ed è per questo che semina; proprio perché ci sono questi terreni (questa storia, questa umanità, questo lavoro, questa famiglia...) Dio semina ugualmente! Gesù qui ci vuole parlare del Padre, non degli uomini; gli uomini conoscono già gli uomini, ma non sanno chi è Dio! Ecco allora chi è Dio: il "folle" seminatore che crede che il seme sia più forte dei diversi tipi di terreno che incontra e proprio perché il terreno ha bisogno di vita ed è tale solo se produce il raccolto vuole cambiare la strada, vincere le pietre, sopraffare le spine. Gesù ci dice che Dio è più potente del nostro peccato, e il Suo amore è più forte di tutte le nostre disperazioni e infedeltà, e da un Dio-seminatore così folle ci si può aspettare di tutto, anche che getti nel terreno il suo unico Figlio! Perché è Gesù stesso il seme che viene dato al mondo, il seme venuto per i peccatori. I Vangeli ci presentano il Figlio di Dio rivolto ai pubblicani, ai malati, perché sono proprio costoro che hanno bisogno di Lui: infatti Gesù stesso dirà che non è venuto per i sani, ma per i peccatori. Questo seme è più forte di ogni difficoltà, di ogni superficialità, di ogni tradimento, e porta frutti di speranza dentro la nostra vita e nel mondo intero. Solo Lui è il chicco che germoglia e continua a germogliare nella nostra storia anche lì dove umanamente non si attenderebbe alcun frutto. Nel momento in cui il seme tocca terra c'e la potenzialità di uno sviluppo, di una crescita, il seme è carico di vita ma nello stesso tempo delicato nel proporsi, perché Dio non si impone mai; e, infine, c'e il terreno buono che dà frutto. Non ci sono persone che sono soltanto spine o sassi, ma c'è un pezzetto di terra buona in ognuno e Dio la va a cercare, Egli cerca quella parte interna, nascosta nel nostro cuore che, forse, anche noi dubitiamo che esista! La novità della parabola è quella di un Dio che esce sempre a seminare dalla Creazione del mondo fino al Figlio e al dono dello Spirito Santo. Perché la Parola di Dio e Spirito possono vincere i nostri sassi e sono più forti delle nostre spine. La Parola inizia in noi il suo cammino di trasformazione del nostro terreno, e lo Spirito le infonde la forza. La nostra conversione ne è la risposta perché se guardiamo il pezzettino di terreno buono che è in noi e che viene per grazia fecondato, allora ci rendiamo conto della presenza dei sassi e delle spine e arriviamo a desiderare che la nostra vita sia completamente questo terreno nuovo. In questo modo diventiamo agricoltori che, per custodire la Parola e far sì che il seme porti frutto, cominciano a levare sassi e rovi; ma solo per una risposta d'amore si diventa capaci di fare questo!
Leggendo questa parabola comprendiamo che cosa siamo chiamati a fare come cristiani; perché spesso pensiamo che noi siamo coloro che devono seminare: i catechisti seminano, i sacerdoti seminano... ma la Parola di Dio ci invita a raccogliere, a mietere! Chi semina è Dio, non noi, e quando incontriamo qualcuno siamo chiamati a cogliere ciò che à stato in lui già seminato, noi andiamo a mietere ciò che Dio fa nella vita di ciascuno. E quando i nostri occhi iniziano a vedere il terreno buono che c'è in noi e negli altri stiamo guardando con gli occhi di Dio! Quando vediamo che il seme sta crescendo stiamo guardando con gli occhi di Dio! Il compito che ci è affidato è bellissimo: andare a mietere, cioè osservare i grandi prodigi che Lui opera nella storia. Ma non è finita qui, perché dopo la mietitura si ricomincia la semina, e che cosa seminiamo questa volta? Seminiamo noi stessi! Dio vuole seminare noi nel mondo, ci chiama ad essere come il Figlio suo: seme che dona vita! Quindi rimbocchiamoci la maniche perché c'è prima il terreno del nostro cuore dal quale togliere sassi e rovi, poi c'è una mietitura e dal raccolto una ulteriore seminagione in un circolo di amore che non finisce mai!
Vincent Van Gogh, "Seminatore al tramonto", olio su tela, Museo Kröller-Müller di Otterlo, 1888