6.1 Come si dice "papà" in quechua?
Una delle principali prove a favore dell'esistenza di Atlantide é sempre venuta dalla cosiddetta Mitografia Comparata, cioè dall'analisi delle leggende che sono state tramandate (oralmente o mediante documenti) dai vari popoli della terra. Per esempio, in tutte le tradizioni, dalla Bibbia alle Metamorfosi di Ovidio, dai poemi mesopotamici alle mitologie azteca ed inca, é presente il ricordo di un'immane catastrofe, legata all'acqua ed al fuoco, che coinvolse l'umanità intera: ho dedicato gli ultimi tre capitoli di questo modulo a presentare diverse versioni di questo ricordo, entrato ormai a far parte della memoria collettiva
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Il dio azteco Quetzalcoatl |
dell'umanità. A volte si parla della distruzione di una terra posta in mezzo al mare, sommersa dalle acque con tutta la sua popolazione; a volte si tratta di una tragedia cosmica, che sommerge tutto il globo terracqueo o quasi, ma dalla quale una o più coppie umane ed animali riescono comunque a scampare. A volte dunque é la vendetta di un dio contro un solo paese, a volte contro l'intera razza umana, ma l'iniziativa parte sempre dagli dei, a causa del chiasso, dell'eccessivo numero o dalla nequizia degli uomini. Da subito, insomma, le tradizioni della fine di Atlantide e del diluvio universale sembrano essere scaturite da un'unica radice.
Ma non basta: altre concrete prove sono venute infatti dalla glottologia e dallo studio delle lingue parlate oggi sulla Terra. Come spiega uno dei più famosi atlantidologi contemporanei, Charles Berlitz, morto a novant'anni il 30 dicembre 2003, nel suo bestseller "Il mistero dell'Atlantide", la parola "Atl" vuol dire "acqua" sia nella lingua dei berberi sahariani che in lingua nahuatl (azteca); ed é da questo termine che si fanno derivare i nomi di Atlante e del dio messicano Quetzalcoatl (figura accanto). Tra i due personaggi esiste poi uno strano parallelismo: il padre di Atlante, lo abbiamo visto, era Poseidone, dio del mare, mentre il padre di Quetzalcoatl era Gucumatz, signore dell'oceano e dei terremoti, ed entrambi avevano il compito di reggere il cielo. Altre strane coincidenze sono quelle della consonanza del nome che gli indiani d'America danno al loro Grande Spirito, Manitu, con quello degli indù Manu, e del nome dato a Dio in nahuatl, théulh, con il nome greco theós per "dio". Il guarani, una lingua indiana del Paraguay e del Brasile del Sud, ha delle coincidenze linguistiche con molti linguaggi che tra loro, invece, non ne hanno nessuna: oka vuol dire "casa" in guarani, e oikia è la parola greca per "casa"; ama, "acqua", assomiglia alla parola giapponese ame, "pioggia". La lingua di una piccola tribù degli indiani Mandan, che viveva nel Missouri ma è stata sterminata dal vaiolo nel 1833, ha poi delle strane somiglianze con la lingua gallese. Ecco alcuni esempi:
Gallese | Mandan | |
barca | corwyg | koorig |
pagaia | rhwyf | ree |
vecchio | hen | her |
blu | glas | glas |
pernice | chugjar | chuga |
testa | pen | pan |
grande | mawr | mah |
Lo stesso Berlitz tuttavia è costretto ad ammettere che le affinità tra il linguaggio Mandan e quello gallese potrebbero avere una spiegazione più semplice se si accetta la teoria secondo la quale i Mandan sarebbero i discendenti dei seguaci del principe gallese Madoc, che partì nel 1170 dal Galles verso ovest per andare a colonizzare l'isola di San Brendano e non fece più ritorno. Peccato che i Mandan non ci sono più per dirci la loro versione...
Coincidenze a parte, noi dovremmo trovare un indizio, anche una parola sola, che possa servire da legame non soltanto tra due popolazioni, ma tra molti popoli, tribù o nazioni separati e diversi, e sia in grado di indicarci dei contatti molto antichi e diffusi. Berlitz crede di identificare questa parola in "padre", definendola « molto antica e molto diffusa in paesi tra di loro distanti e in isole oceaniche ». E fa un elenco di alcune lingue diversissime tra loro:
basco | aita | quechua | taita |
turco | ata | dakota | atey |
nahuatl | tahtli | seminole | intàti |
zuni | tat'chu | maltese | tata |
tagalog | tatay | gallese | tàd |
singalese | thàthà | samoano | tata |
Così continua a commentare il nostro autore:
"Si è colpiti dall'aspetto primitivo e antico di alcuni di questi linguaggi e dalla vastità dell'area compresa in questo elenco. Forse ci sono anche altre parole, tracce sbiadite di una lingua antidiluviana, che potremmo ritrovare e riconoscere, continuando a salire per i rami di quel tronco d'albero dalle cui radici potrebbe essersi originata una prima unica lingua umana, che poi si sarebbe diramata nei linguaggi romanici, germanici, slavi, semitici e del ceppo cinese..."
Colpisce il fatto che Berlitz sembri ignorare una constatazione semplicissima: subito dopo ma-ma, pa-pa o ta-ta sono le prime sillabe che ogni bambino di qualsivoglia latitudine impara a pronunciare, per cui è logico che questa parola si assomigli nella sua traduzione in ogni lingua! E comunque, per quanto possa parere strano, in georgiano padre si dice "maina": l'eccezione che conferma la regola. Persino oggi, nonostante tutto, gli atlantidologi come Berlitz continuano a evidenziare somiglianze (secondo me fortuite) tra parole del Vecchio e del Nuovo Mondo, senza ammettere la grande differenza che esiste nella struttura delle lingue da cui tali parole derivano. Ma Berlitz condanna sé stesso allorché asserisce che anche il nome Mu dato dai Maya ad Atlantide ricorda molto la voce semitica Mem, cioè acqua, da cui s'é originata negli alfabeti fenicio e greco la lettera M. Non sapeva dunque il nostro "scienziato", inventore tra l'altro del mito della maledizione del Triangolo delle Bermude, che la parola Mu è una mera invenzione di Brasseur de Bombourg, dovuta ad un errore di traduzione?
Rendendosi conto lui stesso dell'impossibilità di battere questa strada, Berlitz prova ad esplorare quella del linguaggio scritto, nella convinzione che « verba volant, scripta manent »; nell'impossibilità cioè di conoscere la lingua dei nostri antenati preistorici, egli spera di trovare le prove dell'irradiazione etnica e linguistica attraverso l'Oceano Atlantico attraverso il confronto di geroglifici originari di terre assai distanti tra di loro. Ecco come egli si esprime in proposito:
"Quasi tutte le tribù primitive disegnano delle figure, e talvolta le disegnano in modo quasi identico. Uno studioso di questo problema, Wirth, ha concentrato la sua ricerca in particolare sull'uso dei simboli pittorici più semplici, come la croce, la svastica, le rosette, i cerchi intrecciati, le forme di Y, eccetera, immaginando una relazione tra gli alfabeti scritti e questi simboli, che per lui costituiscono « la sacra scrittura primitiva dell'umanità ». Persuaso della teoria della diffusione culturale dall'Atlantide, egli la dimostrava con vari esempi, tra i quali una serie di antichi disegni o incisioni raffiguranti barche per cerimonie sacre. Alcuni di questi disegni, in effetti, si assomigliano in modo tanto incredibile da far pensare che gli artisti collocati in luoghi e tempi tra loro lontanissimi avessero avuto per modello la stessa barca."
Possibile che a Berlitz e a Wirth non sia venuto in mente che gli artisti, se devono disegnare una barca, la disegnano tutti nello stesso modo, perché per disegnare una barca c'è dopotutto un modo solo? Nel primo atto dell'Amleto" di Shakespeare, Orazio ingiunge al suo signore: "There needs no ghost, my lord, come from the grave to tell us this!" Anche noi allora potremmo ripetere con lui: non c'è bisogno di immaginare colossali migrazioni dalla Tasmania alla Groenlandia, per dirla con Umberto Eco, o ponti di terra emersi dall'Atlantico, per spiegare il perché una barca egiziana ed una californiana sono disegnate in maniera assai simile tra loro!
6.2 Gli elefanti di Montezuma
Ma Berlitz non si smonta di certo per così poco, nel suo tentativo di spiegare TUTTO l'inspiegabile attraverso il mito di Atlantide. Hegel non aveva forse cercato di spiegare tutto attraverso le sue triadi, Marx attraverso il materialismo dialettico e Freud attraverso l'inconscio? Ebbene, Berlitz si spinge addirittura a chiamare questa sua ostinazione "la spiegazione atlantide della preistoria", basata sul presupposto dell'esistenza di un antico continente atlantico messo a ponte tra le Americhe e l'Europa. Ed è attraverso la cocciuta affermazione dell'esistenza di questo collegamento terrestre, in opposizione ad ogni prova di natura geologica ed archeologica, che egli pensa di spiegare le ossa di mammut, di elefanti, di tigri, cammelli e di cavalli primitivi, scoperte in America a partire dall'ottocento, sebbene nessuno di questi animali fosse ancora vivente laggiù all'arrivo degli spagnoli. Egli raccoglie uno straordinario elenco di miti e di ritrovamenti archeologici a favore di questa sua ipotesi. Ad esempio Bochica, il "maestro" della civiltà colombiana dei Chicha, secondo le leggende di quel popolo sarebbe giunto in Colombia con sua moglie a dorso di cammello! Inoltre l'elefante (o, perché no, il mammut!) sarebbe stato usato spesso come motivo ornamentale nell'arte e nell'architettura amerinde. "Gli indiani precolombiani li conoscevano per averli davvero visti, o dalla ricostruzione delle loro ossa?" si chiede Berlitz. Secondo lui, decorazioni a testa di elefante e maschere di elefanti in bassorilievo sarebbero stati scoperti a Palenque, nello Yucatan, luogo di altri reperti "misteriosi", e ci sarebbero anche delle pipe a forma di elefante, scoperte in un'altra montagna indiana dello Iowa. Nell'America Centrale precolombiana, poi, si sarebbero ritrovati dei ciondoli d'oro a forma di elefanti alati. A questo proposito io potrei far osservare che gli elefanti non hanno e non hanno mai avuto ali, ma Berlitz mi ribatterebbe subito: che dire allora dei cavalli alati come Pegaso o 1'ippogrifo, delle nostre leggende e della nostra arte?" Forse qualcuno di voi ha il coraggio di sostenere che il mito di Perseo e di Andromeda parla dell'ippogrifo perché il suo autore ne ha mai visto uno? Oppure che era necessario immaginare un elefante alato solo perché qui in Europa abbiamo trasformato il cavallo in un cavallo alato? Non mi risulta che i cartaginesi di Annibale, che gli elefanti li conoscevano e li usavano davvero, lo abbiano mai fatto! Di più: vi sembra davvero, come fa Berlitz, che la seguente raffigurazione messicana rappresenti davvero un uomo con una maschera di elefante?
Un messicano con una maschera da elefante? |
Evidentemente Berlitz non ha mai sentito parlare di figure stilizzate per motivi religiosi! A me quella, più che una proboscide, pare la stilizzazione del becco di un uccello...
È degna di menzione anche l'ipotesi, avanzata dall'archeologo azero Zecharia Sitchin (1920-vivente), secondo cui gli Olmechi, antica popolazione che abitò il Messico centromeridionale tra il 1500 e il 500 a.C., avrebbero raffigurato degli elefanti nelle loro statuette, come dimostra l'esempio qui a destra che viene da Xalapa, capitale dello stato messicano di Veracruz e nota per le grandi teste di pietra scolpita che risalgono proprio alla civiltà olmeca. Sitchin ne inferisce che gli Olmechi avevano stretti rapporti con l'Africa e l'India, patrie delle sole specie di elefanti oggi superstiti, senza nemmeno tener conto del fatto che, stando alle cronologie di Platone, quando gli Olmechi apparvero sulla faccia della Mesoamerica, Atlantide sarebbe già stata inghiottita dal mare da 8000 anni.
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Elefante o tapiro? |
In realtà, osservando bene il reperto qui raffigurato, si riconosce facilmente che si tratta sicuramente di un tapiro, un animale per nulla esotico nel continente americano. Quelle orecchie e quella proboscidina non sono certamente tipiche di un elefante, altrimenti Sitchin potrebbe anche sostenere che gli Olmechi possedevano già la Televisione, e seguivano le avventure di Topo Gigio!!
Ma Berlitz ed i suoi seguaci insistono ulteriormente su questo tema. Alexandre Braghine, nel suo libro "L'ombra dell'Atlantide", suggerisce un ulteriore legame tra gli elefanti, i mammut e i mutamenti avvenuti sulla terra contemporaneamente alla sommersione dell'Atlantide secondo il solito racconto platonico preso alla lettera. Egli infatti traccia un parallelo tra i numerosi mammut ritrovati congelati in Siberia e collocati in un'epoca risalente a circa 12.000 anni fa, ed i grandi campi di ossa mastodontiche ritrovate in Colombia, nei pressi di Bogotà. Nei due casi, egli pensa che si sia trattato di una morte dovuta a mutamenti climatici subitanei, ed ecco il romanzo che egli costruisce. Alcuni dei mammut siberiani si sono ritrovati intatti nel ghiaccio, in piedi e con del cibo ancora non digerito nello stomaco; ebbene, questi animali sarebbero stati travolti in un mare di fango, che si sarebbe poi congelato, mentre la morte dei mastodonti colombiani, secondo Braghine, sarebbe stata provocata dall'improvviso elevarsi del terreno su cui essi stavano pascolando, elevazione che però non trova nessuna spiegazione nella nostra scienza geologica. Tutte e due queste vicende sarebbero avvenute quasi allo stesso tempo, e dovute ovviamente al cataclisma che cancellò Atlantide dalla faccia della Terra. Ma, tanto per cominciare, non c'è bisogno di ipotizzare un ponte continentale tra Eurasia e Colombia per spiegarvi la presenza contemporanea di mammut, che peraltro appartenevano a specie diverse, dal momento che, in quell'epoca glaciale, i mari erano più bassi, e quindi lo stretto di Bering era sostituito da una lingua di terra che congiungeva l'Alaska e la Siberia. Inoltre, perché cercare una spiegazione comune per eventi avvenuti in luoghi tanto diversi tra di loro? Se un italiano emigrato in California ed un suo parente rimasto in Italia si ammalano (di mali diversi) nello stesso giorno, è necessario ammettere un "collegamento a distanza" fra i due eventi per spiegare questo fatto, o la statistica da sola è sufficiente a darcene una spiegazione ragionevole?
6.3 Coloni di Atlantide
Dopo aver detto tutto ciò, non ci stupiremo più nell'apprendere che esiste un'ipotesi sul possibile collegamento tra l'Atlantide ed alcune delle culture preistoriche che si sono succedute in Europa. Queste culture non si studiano normalmente a scuola, anche perché non ci hanno lasciato piramidi o tombe regali cariche d'oro: esse fiorirono quando la scrittura non era ancora stata inventata, per cui non possiamo sapere nulla della loro storia, o dei nomi dei loro sovrani; possiamo però studiare i loro usi e costumi, attraverso i reperti archeologici che esse ci hanno lasciato. Ad esempio, una di queste culture europee é stata definita "della ceramica decorata a nastro", perché é individuata proprio da questo curioso modo di dipingere il vasellame. Più spesso, però, le culture prendono il loro nome dai siti principali in cui sono stati ritrovati i loro reperti.
Ora Lewis Spence, un archeologo scozzese appassionato di mitologia, che tra l'altro tra il 1924 e il 1942 dedicò ben cinque libri all'Atlantide, fece notare come le più fiorenti tra queste culture preistoriche si svilupparono in Europa ad intervalli regolari di tempo, e a partire dall'occidente. La prima di queste é quella Aurignaziana (dal sito di Aurignac, nella Francia meridionale), fiorita in pieno Paleolitico Superiore, circa 25.000 anni fa. Essa é caratterizzata da utensili d'osso e da reperti a forma di lama (cuspidi, bulini, raschiatoi...) Si ritiene che questa cultura abbia dato vita alle prime manifestazioni artistiche della storia: le pratiche propiziatrici per la caccia avrebbero cioè dato vita alle prime rappresentazioni degli animali da cacciare sulle pareti delle grotte, nel desiderio di possedere lo "spirito vitale" di queste bestie, e quindi di favorirne la cattura da parte dei cacciatori. Non si tratta certo di un passo avanti da poco, anche perché la rappresentazione di animali trascinò presto con sé quella degli uomini, ed ebbero così vita i primi idoletti femminili, legati forse a culti della fertilità (tra questi c'é la cosiddetta "Venere di Willendorf"). Questa cultura si irradiò in tutti i paesi dell'Europa sud-occidentale sgombri dai ghiacci della glaciazione, nel Mediterraneo orientale e nel Nordafrica. I crani umani trovati nelle tombe rivelano uno sviluppo cerebrale superiore a quello dei predecessori, come se fosse avvenuto un vero "salto di qualità" nella storia umana.
Una successiva pietra miliare é segnata dalla cultura Magdaleniana (dal sito di Abri la Madeleine), fiorita circa 16.000 anni fa. Essa rappresenta l'apice dell'arte delle caverne, iniziata dagli aurignaziani, segnata da ritrovamenti in oltre 120 località. I siti principali sono Altamira (scoperta nel 1879) e Lascaux (nel 1940). Questa civiltà ci ha lasciato oggetti artistici di piccole dimensioni forgiati in osso, corno, avorio e pietra. In questo periodo si ritiene che gli uomini vivano associati in tribù di cacciatori, con una già evoluta organizzazioni sociali e con manifestazioni magico-religiose simili a quelle dei moderni aborigeni. L'attività principale é ancora la caccia.
La terza delle culture prese in considerazione da Spence é quella Aziliana-Tardenosiana (dai siti di Mas d'Azil e di Tardenois, in Francia), sviluppatasi 11.500 anni fa. La coincidenza con la data platonica della fine di Atlantide é impressionante: siamo ormai nel Mesolitico. Le glaciazioni sono finite, la pesca e la pastorizia si affiancano alla caccia come attività principali, e i reperti sono costituiti da microliti (piccole cuspidi e lame) di selce. Compaiono le innovazioni tecniche della scure, del trasporto mediante stanghe del materiale da costruzione e degli ornamenti di foggia astratta. Dall'Europa occidentale questa cultura si espande verso l'Africa settentrionale (cultura Capsiana) e verso l'Asia minore, dove dà vita alle prime città, tra cui Gerico. È da osservare che gli Aziliani-Tadenosiani seppellivano i loro morti con corredo funebre e... col volto rivolto ad occidente, come ad indicare la meta verso cui l'anima doveva viaggiare. Erano dunque anch'essi convinti che il Paradiso fosse nell'Oceano Atlantico, come i Greci? E perché proprio là? Forse credevano di essere nati in questo Paradiso, come Adamo ed Eva, e di essere stati poi costretti a sloggiare? Sono domande destinate a rimanere senza risposta, perché essi ignoravano la scrittura, e non ci hanno lasciato perciò né una Genesi, né un'Odissea, né un Crizia.
Orbene, Spence identifica queste tre culture con tre ondate di immigrazione dall'Atlantide. Infatti il rapido diffondersi di nuove tecniche di caccia, nuove forme di espressione artistica e nuove credenze magico-religiose può far pensare ad un improvviso movimento di popoli, spinti forse dalla sovrappopolazione o dall'esaurirsi delle risorse di caccia e di raccolta. Il fatto che queste culture si siano diffuse a partire dall'occidente, come potete constatare su un qualunque atlante storico, non potrebbe non deporre a favore dell'ipotesi Atlantide, che si configurerebbe come l'ispiratrice di tutta la culture umane sia sul continente Antico che sul continente Nuovo, sia delle civiltà monumentali che di quelle nomadiche. Tuttavia, contribuisce a frenare gli entusiasmi la considerazione che non vi é nessuna prova archeologica dell'esistenza di un legame tra la diffusione delle culture preistoriche sul nostro continente e l'esistenza di una loro madrepatria in mezzo all'Oceano, come accadeva agli Aztechi: dopo quelle tre culture, l'Europa fu invasa successivamente da Preindoeuropei, Indoeuropei, Celti, Germani e Slavi, senza bisogno di ritenere che tutti costoro discendessero da un unico super-impero nel cuore dell'Asia.
Vedete, in tutto questo Spence commette un errore fondamentale: gli aurignaziani e più tardi i magdaleniani dell'età della Pietra dell'Europa occidentale sarebbero comparsi come dal nulla, improvvisamente spuntati come funghi in un mattino di pioggia. Le culture americane sarebbero ugualmente sorte all'onore del mondo civile in un lampo e chissà da dove; esattamente come la civiltà egizia, sbocciata dal nulla nella meraviglia di tutta la sua gloria. Ed invece gli studi odierni ci dipingono un quadro completo e coerente degli sviluppi evolutivi delle grandi civiltà: per esempio sappiamo come, a partire da tribù di cacciatori-raccoglitori del Paleolitico, gli antenati degli egizi passarono attraverso la fase neolitica, la creazione di un regno del delta (la corona bianca) e di uno del sud (la corona rossa), poi unificate verso il 2900 a.C. dal semileggendario Menes, il primo faraone. Eppure, nonostante tutte queste chiare scoperte, molti bestseller dedicati a quest'argomento continuano a ripetere che gli Olmechi dell'America centrale piuttosto che le prime dinastie dell'antico Egitto si presentarono sul palcoscenico del mondo arrivando come dal nulla, senza poggiare su precedenti nuclei di civiltà.
Ma andiamo avanti, la nostra ricerca deve riservarci ancora parecchie sorprese.
6.4 E se gli uccelli se ne ricordassero?
Le argomentazioni finora addotte riguardano, come parrebbe logico pensare, unicamente gli usi ed i costumi della razza umana. Tuttavia, persino nel mondo animale si trovano prove concrete dell'esistenza in mezzo all'oceano Atlantico di un'isola scomparsa! Al proposito, vogliamo citare almeno due casi molto significativi.
Si é osservato, già da lungo tempo, che gli stormi di uccelli migratori che ogni anno si spostano dall'Europa al Sudamerica, quando arrivano in prossimità delle Azzorre, si mettono a volare in giri concentrici, come se cercassero... una terra dove posarsi. Poiché logicamente non la trovano, proseguono la loro rotta, ma ripetono le stesse manovre nello stesso punto, durante il viaggio di ritorno. Veramente essi si aspettano di trovare in quel punto la perduta Atlantide? Una cosa é certa: gli uccelli seguono quelle rotte migratorie da molti milioni di anni e, se l'Atlantide é esistita, doveva sempre essere lì, dove gli uccelli la cercano ancor oggi. Anche se la biologia non li ha ancora completamente chiariti, é certo che esistono dei meccanismi genetici che consentono di "memorizzare" nel DNA gli istinti della specie, ed é logico che, quando un comportamento viene ripetuto da tutti gli individui per migliaia di secoli, finisce per diventare istintuale e quindi patrimonio comune di tutta la razza. L'isola sommersa ha dunque lasciato traccia di sé nella memoria collettiva degli uccelli migratori? L'ipotesi é quanto meno affascinante.
Ma i testi di etologia registrano il caso di un altro comportamento animale, forse ancora più sorprendente: quello delle anguille europee. Esse abbandonano ogni due anni i loro habitat normali, e cioé stagni, ruscelli e fiumi e, discendendo i corsi d' acqua, giungono al mare. In base ad accurati studi, si é potuto appurare che esse raggiungono tutte il mar dei Sargassi, una zona di mare dell'Atlantico situata a nord delle Antille, così chiamata perché rigurgita di questo tipo di alghe. Qui, si riproducono; dopo aver deposto le uova, le anguille femmina muoiono, e gli avannotti (detti "leptocefali") iniziano il viaggio di ritorno verso l'Europa, dove due anni dopo riprenderanno il loro ciclo migratorio. Il viaggio dura quattro-cinque mesi.
Nessuno sa spiegarsi il perché di questo comportamento. E' un dato di fatto che anche le anguille si spostino in branchi, come gli uccelli migratori di cui si é parlato poc'anzi, e che questi branchi convergano tutti in quel mare, intorno alle isole Bermude. Ciò non può allora non far pensare che un istinto di razza riconduca le anguille là dove si riproducevano e vivevano i loro antenati: forse il delta di un fiume che attraversava l'Atlantide, o un suo lago costiero, simile alle attuali valli di Comacchio. Ciò avvalorerebbe l'ipotesi che quello che oggi é il mar dei Sargassi costituisse un tempo il mare ad occidente della perduta Atlantide.
La cosa fa riflettere, poiché tra i racconti che in epoca precolombiana circolavano sull'Atlantico, vi erano anche leggende che parlavano dell'impossibilità di navigarvi per via delle alghe eccessivamente fitte. Così infatti il poeta didattico latino Rufo Festo Avieno di Bolsena, contemporaneo di Costantino il Grande, nella sua "Descriptio Orbis Terrae" descrive la spedizione nell' Oceano Atlantico dell'ammiraglio cartaginese Imilcone, avvenuta nel V secolo a.C.:
"Non vi é brezza che spiri guidando la nave, tanto fermo é il pigro vento dell'ozioso mare. Le alghe, sparse dovunque fra le onde, impediscono la rotta come se fossero rami. Il mare ha poco fondo, poca acqua ricopre il fondale. Spaventosi mostri marini si aggirano nuotando tra le navi, che lentamente avanzano a fatica."
A parte i classici mostri marini, che fanno parte di qualunque antica descrizione di luoghi sconosciuti, pare una fotografia del mare dei Sargassi. Se i cartaginesi hanno veramente navigato fino alle Bermude (ma la prudenza qui é d'obbligo), bisognerebbe ricredersi circa le conoscenze che i nostri antenati avevano del loro pianeta e circa l'impossibilità di varcare l'oceano nei tempi antichi. Ma come mai i navigatori cartaginesi, di solito abituati alla navigazione di piccolo cabotaggio, avrebbero avuto il coraggio non solo di varcare le proibite Colonne d'Ercole, ma pure di affrontare i mostri dell'Oceano? Chi aveva dato loro informazioni sulle rotte da seguire?
6.5 Un oceano irrequieto
Prima di passare alle controprove, voglio sintetizzarvi un altro argomento usato spesso da chi crede nell'esistenza di quella nostra patria ancestrale. Da sempre l'oceano Atlantico é squassato da fenomeni tettonici di grandi proporzioni. Basti pensare all'Islanda, che é tuttora in uno stato di furiosa attività vulcanica. Nel 1783 un quinto della popolazione perì in uno spaventoso terremoto e, nel 1845, l'eruzione del vulcano Hecla durò ben sette mesi. La più spettacolare eruzione sottomarina che si conosca ebbe luogo proprio al largo dell'Islanda, e durò due anni e mezzo, dal novembre 1963 al giugno 1966. Essa portò all'emersione dell'isola di Surtsey, oggi stabilmente abitata. L'Islanda, come l'Atlantide nel racconto di Platone, é dotata di geyser, soffioni boraciferi e di sorgenti d'acqua calda, tuttora usate per produrre energia geotermica e per riscaldare le città dell'isola. L'Atlantide dobbiamo dunque immaginarcela così: una terra continuamente sconvolta da terremoti ed eruzioni, perché dal mare era nata proprio come l'Islanda e l'isola di Surtsey.
Lo stesso discorso vale per altre isole emerse dall'Atlantico. Le Azzorre, dette talvolta le "reliquie dell'Atlantide", sono caratterizzate da ben cinque vulcani attivi, che le scuotono in continuazione. Le due isole di Corvo e di Flores cambiano continuamente di forma, e la prima é in parte scomparsa in mare. Nel 1811 emerse addirittura dal mare una nuova isola, ma tornò ad inabissarsi così velocemente com'era apparsa. Dunque, é vero che intere isole possono scomparire nel mare che le aveva partorite!
E non basta. Nel 1692 un terrificante terremoto colpì le isole Canarie e fece scomparire in mare la città di Port Royal, insieme a tutti i pirati che usavano la città come covo sicuro, ai loro vascelli adusi a dar la caccia a galeoni carichi d'oro, ed alle donne di piacere che sicuramente facevano passare piacevolmente il tempo ai bucanieri (per averne un'idea, pensate al covo di Capitan Uncino nel celebre film "Hook" del 1992). Si ha la sensazione che si sia ripetuta la "punizione dei malvagi" che tante volte ricorre nella letteratura antica, dalla Genesi alle "Metamorfosi" di Ovidio. Anche Atlantide, secondo il Crizia, era stata fatta inabissare dagli dei perché si era corrotta...
Anche nel gruppo delle Fernando de Noronha comparvero, nel 1931, due nuove isole. La Gran Bretagna si affrettò a rivendicarle, benché altri paesi del Sudamerica avessero affermato la loro sovranità su di esse. Ai governi del tempo fu risparmiata però una difficile contesa, perché le isole scomparvero di nuovo. Sembra che qualcuno lassù abbia sogghignato: "Ah sì? Non volete mettervi d'accordo? E allora non le avrà nessuno di voi!"
Potremmo portare molti altri esempi dell'irrequietezza dell'oceano Atlantico, dal terremoto che devastò Lisbona nel 1775, citato anche da Voltaire nel "Candido", il quale sterminò migliaia di persone e provocò l'abbassamento del livello dei bacini del porto di 180 metri sotto il livello del mare, all'eruzione (non meno tragica né famosa) del vulcano Pelee nella Martinica, che nel 1902 esplose con tale violenza che si dice abbia ucciso tutti gli abitanti della vicina città di Saint Pierre, tranne uno: é una moderna versione della vicenda di Noé?
Il vulcano Pelée, sull'isola di Martinica |
Detto tutto questo, sembra normale che un'attività vulcanica distruttiva possa aver avuto luogo nell'Atlantico migliaia di anni fa, perché questi disastri non sono certo un vizio che l'Oceano ha preso di recente. Tutti sono concordi nel ritenere che la superficie terrestre ha subito molti mutamenti nel corso delle ere geologiche: là dove oggi si stendono le pianure russe, un tempo si adagiava il grande mare Aralo-caspiano, di cui il mar Caspio é oggi l'ultimo relitto, mentre nel Pliocene, circa 5 milioni di anni fa, il fondo del mar Mediterraneo era emerso. Sul fondale del mar Baltico sono stati ritrovati reperti di mammuth ed utensili dell'età della Pietra, segno che quei fondali erano ancora emersi quando già era incominciata l'età dell'uomo. Più difficile, com'é ovvio, é stabilire se davvero erano emerse quelle terre dell'Atlantico centrale che gli appassionati del genere definiscono come la "patria degli atlantidi". Ma, come sempre succede, quando le prove scientifiche non sono sufficienti, entra in gioco una buona dose di fede. Ed anche i sogni più impossibili di questi ufologi e parapsicologi sembrano ai loro occhi trasformarsi in realtà.
6.6 Niente continenti tra America ed Europa
Fino a qui ci siamo messi nei panni di coloro che credono ciecamente che Atlantide sia esistita, e siamo giunti a risultati davvero stupefacenti; le prove contro l'esistenza di Atlantide non sono però meno convincenti di quelle a favore. E' evidente fin da subito che quella che noi stiamo esaminando si configura come una bella storia, adatta a presentare agli uomini il modello di un "impero ideale" (proprio come fa Platone), che però, quando decade e si corrompe, viene punito dagli dei con lo sterminio e l'inabissamento. È il destino che capita alla Numenor di Tolkien, come ai Titani della mitologia greca, ed é certo che né Numenor né i Titani siano mai esistiti. Proprio quest'aspetto di racconto sapienziale ci porta a catalogare Atlantide come il parto della fantasia di spiriti romantici, o più semplicemente come "favola parascientifica": così hanno fatto sia Aristotele che Ceram, i quali di certo non erano gli ultimi venuti.
Naturalmente qualcuno di voi potrebbe ribattere: é normale che l'uomo voglia leggere nei fatti della propria storia l'intervento soprannaturale di un Giudice a cui nessun briccone può sfuggire. Così, molto probabilmente Sodoma e Gomorra furono rase al suolo da una eruzione vulcanica, ma gli antichi conclusero logicamente che era stato Dio a punirle, perché le consideravano corrotte (Bela, il nome di un re di Sodoma, significa "depravazione"!); e, dopotutto, lo concludo anch'io, perché credo in un grande Piano che domina la Storia. Anche i cristiani delle origini lessero nella ingloriosa fine degli imperatori romani che li avevano perseguitati (Nerone in prima fila) e nella caduta dell'Impero d'Occidente la punizione per aver combattuto la Chiesa di Dio: così fa anche Firmiano Lattanzio nel suo "De Mortibus Persecutorum". Allo stesso modo, Atlantide potrebbe essere esistita ed essere stata distrutta per cause assolutamente naturali, ma in seguito i posteri potrebbero aver costruito tutta una leggenda intorno alla depravazione dei suoi abitanti, considerando la sua fine una "giusta" punizione del Padreterno.
Tutto vero; purtroppo, però, contro l'esistenza di Atlantide sono state raccolte prove ben più serie e di ben altra natura. Oltre all'estrema povertà dei documenti storici al riguardo, c'é il cosiddetto problema geologico: non ci sono infatti tracce, sul fondo dell'oceano Atlantico, del continente perduto. Ora, voi potrete facilmente contraddire questa mia affermazione perché, osservando una cartina oceanografica su un qualunque atlante di buona qualità, potrete osservare la presenza di monti ed altopiani sul fondo dell'oceano. Non sono per caso i monti dell'Atlantide? Così voi mi chiederete subito, ansiosi. Devo però deludervi: sui fondali di TUTTI gli oceani, non solo di quello Atlantico, si nono formazioni montuose simili a quelle della terraferma, anche se - é ovvio - non tutti i fondali oceanici erano un tempo emersi! E allora? Come si spiegano quei rilievi?
La risposta giusta l'ha data il geologo Harry Hess, autore della teoria della cosiddetta "tettonica delle placche", oggi universalmente accettata. Secondo tale teoria, la crosta terrestre é formata da grossi spezzoni o "placche" (o anche "zolle") che "galleggiano" sopra il mantello terrestre, che si trova in uno stata pressoché fluido. I moti reciproci di queste placche (talvolta più piccole dell'Italia, talvolta grandi come continenti) producono la deriva dei continenti postulata da Alfred Wegener. Cliccate qui per aprire un altro mio ipertesto, contenente maggiori informazioni relative a questa teoria.
Naturalmente, per rendere la teoria credibile occorre spiegare quali immani forze producono il moto reciproco dei continenti. La spiegazione sta nei moti convettivi del magma all'interno del mantello terrestre, simili a quelli prodotti in una pentola d'acqua dal calore del fornello acceso su cui essa é posta (il riso buttato in acqua per preparare il risotto li evidenzia bene). Ecco come vanno le cose per sommi capi. Dal mantello si innalzano, per motivi vari, delle colonne di magma che frantumano la crosta terrestre. Quando la rigida litosfera si é rotta, essa viene sospinta lateralmente dal magma in emersione, e grossi blocchi di roccia sprofondano, causando la formazione di fosse tettoniche note come rift valley. Man mano che il magma risale, la rift valley si allarga sempre più, dando vita ad un braccio di mare. La lava che emerge sotto il mare dà vita a basalti che continuano a spingere lateralmente i graniti della crosta continentale. Man mano che il magma emerge, i moti convettivi che sono stati alla base di quest'affioramento contribuiscono ad allontanare i due pezzi di zolla, che ormai hanno dato vita a due zolle separate. Così, il mare si allarga e dà vita ad un vero oceano. I vulcani della rift valley continuano ad eruttare, e costituiscono quella che viene chiamata una dorsale oceanica: é questo il vero motore dell'apertura del mare e della deriva dei continenti.
È esattamente quello che é successo all'Oceano Atlantico. Cento milioni di anni fa, tale oceano non esisteva: l'attuale Nordamerica era allora saldato all'Eurasia a formare la cosiddetta Laurasia. Poi, la risalita di magma dal mantello provocò la frammentazione di questo continente, ed il progressivo allontanamento della parte orientale da quella occidentale. Le montagne e gli altopiani osservati sul suo fondo non sono altro che parti della dorsale atlantica, che non fu mai emersa alla superficie, se non quando si stava formando la rift valley. Perciò, le rocce che costituiscono il fondo dell'oceano che ha preso nome da Atlantide sono tutti basalti molto giovani, formati in continuazione dai vulcani di questa dorsale, e non sembrano dunque essere state in grado di sostenere un intero continente.
Era così l'Atlantide? |
6.7 Nemmeno un'isoletta??
Ed ecco la contro-argomentazione dei fautori dell'Atlantide: é possibile che Atlantide sorgesse non su di un vero e proprio continente, ma su di un'isola grande al massimo quanto la Sicilia. Effettivamente, un fotogramma del film "Ercole alla conquista di Atlantide", la cui trama vi ho raccontato nel capitolo precedente, mostra l'eroe forzuto che contempla dal mare un'isola costituita da decine di vulcani, simile all'Islanda attuale. Di vulcano, però, ne bastava anche uno solo, bello grosso: tutti infatti sanno che, se l'acqua del mar Ionio dovesse penetrare nel camino vulcanico dell'Etna, l'intera Sicilia salterebbe per aria come un barilotto di polvere in cui é caduto un mozzicone di sigaretta. È stato questo, infatti, il destino dell'isola Lincoln nel bel romanzo "L'isola misteriosa" di J.Verne. Questo potrebbe suggerire che l'Atlantide non era altro che una parte della dorsale medio-atlantica emersa dal mare, come le Azzorre e l'Islanda; in seguito ad un'esplosione del suo vulcano principale, essa si é inabissata, e quindi non ce n'é più traccia, né sopra né sotto il livello dell'Oceano. Permane però un'obiezione: se le cose stavano così, Platone ha fatto il gradasso scrivendo che il suo mondo perduto era grande "quanto l'Asia e la Libia messe assieme"...
Obiezione all'obiezione: se davvero Atlantide aveva creato un impero esteso dalle Ande all'Egitto, questo immenso dominio sarebbe stato effettivamente più vasto di tutte le terre allora conosciute! Come si vede, tutti gli ostacoli possono essere aggirati, facendo ricorso ad un po' di fantasia, ma una cosa è affermare che qualcosa PUÒ essere esistito, un'altra è provare che é esistito VERAMENTE. Così come i Testimoni di Geova non si sono arresi all'evidenza neppure dopo che tutte le date della "fine del mondo" previste dal loro fondatore erano sbagliate, così i più convinti partigiani della tradizione platonica non si arrendono neppure davanti alle ricerche scientifiche che demoliscono le loro credenze, ed anzi asseriscono che proprio il voler ragionare scientificamente, senza un pizzico di poesia, spiega lo scetticismo generale degli scienziati "seri", così come impediscono loro di credere negli UFO o nelle sedute spiritiche. In questo modo, si rischia di far la fine di quegli aristotelici del '500 che, recatisi in casa di Galileo per discutere del geocentrismo e dell'eliocentrismo, si rifiutarono decisamente di appoggiare l'occhio al cannocchiale, perché se avessero visto i monti della Luna, le fasi di Venere oppure i satelliti di Giove, avrebbero visto crollare tutte le loro dogmatiche certezze; e nulla c'é di peggio di avere delle certezze e di non volerle mai mettere in discussione. È il principio basilare di ogni forma di ignoranza, e anche di tutte le dittature della storia.