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Come già detto, è la massa di questi colossi cosmici  a  determinarne il fato. Se essa è compresa tra 4 e 7 masse solari si arriva fino alla combustione di carbonio e ossigeno, se arriva fino alle 10 masse solari la fucina astrale riesce a produrre anche elementi più pesanti; in entrambi i casi, comunque, le reazioni nucleari in gioco sono talmente esoergoniche ed incontrollabili che le ultime fasi della vita delle stelle supermassive risultano del tutto instabili. La pressione radiativa proveniente dal nucleo della stella in agonia è cioè tanto forte da far sì che i suoi strati più esterni vengano esplosi nello spazio. La stella emette in pochi attimi tanta energia quanta ne emette il Sole durante tutta la durata della propria esistenza, e di conseguenza subisce un  repentino aumento della luminosità, trasformandosi in una "SUPERNOVA" (altro termine reso oggi notissimo dalla fantascienza). Il 4 luglio 1054, poco prima dell'alba, l'astronomo cinese Yang Wei-te, astronomo di corte della dinastia Song, notò una stella mai vista prima che illuminava il cielo a est. « È luminosa quanto Venere, con raggi acuti in tutte e quattro le direzioni, e il suo colore è bianco-rossastro », scrisse nelle note trasmesse all’imperatore Ying Zong. Il suo bagliore, che restò visibile a occhio nudo anche in pieno giorno per quasi un mese, proveniva proprio da un'esplosione in supernova di una stella distante 6500 anni luce dalla Terra. Al giorno d'oggi noi possiamo ammirare il residuo di quella catastrofe, sotto forma della nebulosa del Granchio, cosiddetta per la sua forma, uno degli oggetti più belli e meglio studiati del cielo; essa è posta tra le corna della costellazione del Toro, ed agli astronomi è nota anche con la sigla M1. Infatti, quello che era stato il mantello esterno della stella, espulso nello spazio ma rimasto in orbita attorno a ciò che rimane di essa, dà vita ad una nebulosa di gas e di  polveri, illuminata dall'ultimo nucleo dell'astro suicidatosi. Nel corso di una simile esplosione: la luminosità dell'astro può crescere fino a superare in splendore l'intera galassia cui appartiene, e - come accadde alla  supernova che diede vita alla nebulosa del Granchio - può addirittura  divenire  visibile  per breve tempo anche in pieno giorno (certuni sostengono che la famosa "stella di Gesù Bambino"  era  proprio  una supernova!) Inoltre, in essa la temperatura e la pressione possono crescere tanto da innescare reazioni nucleari episodiche, che portano alla formazione di elementi più pesanti del ferro, come l' oro. Si parla in tal caso di "nucleosintesi esplosiva"! Fa pensare il fatto che l'oro di cui è composto un anello che portiamo al dito possa provenire da una delle più impressionanti deflagrazioni che l'universo possa conoscere, eppure è proprio così. E ancora più istruttivo risulta riflettere sul fatto che tutti gli elementi di cui il nostro corpo umano è composto sono stati fucinati dentro una stella supergigante, e poi scaraventati nello spazio in seguito alla sua esplosione in supernova. Tutti  noi, per  questo, possiamo a buon diritto definirci... figli delle stelle!!

 

Fig. 13    Questa fotografia testimonia l'esplosione di una  supernova  nella galassia della Grande Nube di Magellano, la più vicina alla Terra che sia mai stata osservata al telescopio. I due anelli sono nubi di materia espulsi dalla deflagrazione.

 

Contemporaneamente, tuttavia, le supernovae potrebbero anche rappresentare l'Armageddon della nostra civiltà. Infatti, all'esplosione di un simile "petardo cosmico" si accompagna l'emissione di tante e tali radiazioni che, se ne scoppiasse una a meno di 50 anni luce da noi, ciò basterebbe per far estinguere dalla Terra qualunque forma di vita superiore. Svariati paleontologi sostengono che fu proprio l'esplosione di una supernova a causare, alla fine dell'era Mesozoica, l'estinzione dei dinosauri! Ad ogni modo, siccome quasi tutte le stelle prossime al Sole (Alfa Centauri, Sirio, Barnard...) hanno pressappoco la sua stessa massa, questo pericolo per noi non dovrebbe più sussistere. L'ultima supernova interna alla Via Lattea esplose nel 1604, sfortunatamente pochi anni prima dell'invenzione del telescopio, ed ebbe l'onore di venire studiata da Keplero; tutte le supernovae posteriori sono saltate per aria nei bracci di altre galassie. Siccome più dei tre quarti  delle  stelle dei cieli sono grosso modo simili al Sole della Terra, è ovvio che l'esplosione di una supernova non è un fenomeno troppo frequente: nel corso dell'intera Era Cristiana, si ha notizia di sole sette supernovae  esplose  nella nostra via Lattea (negli anni 185, 393, 1006, 1054, 1181, 1572, 1604);  per fortuna, le galassie sono tante, e ciò ci ha consentito di osservarne un numero tale da poterle studiare senza dubbi di sorta.

C'è da aggiungere che l'astrofisico israeliano Avishay Gal-Yam, senior scientist al Weizmann Institute di Rehovot, 20 km a sud di Tel Aviv, ha scoperto un nuovo tipo di esplosioni stellari, da lui battezzate "IPERNOVAE". Si tratterebbe di stelle veramente supergiganti, con una massa superiore a 100-150 masse solari, autentici ciclopi dello spazio. Quando una stella di questo genere raggiunge lo stadio in cui la parte più interna è costituita da ossigeno, il nucleo è così grosso che si contrae per effetto della gravità e si riscalda senza giungere alla densità sufficiente per innescare la fusione dell'ossigeno in silicio. Entra allora in gioco un fenomeno tutto nuovo. I nuclei emettono radiazione elettromagnetica nello spettro gamma sotto forma di fotoni; in base alla celebre equazione di Einstein E = m c2, due fotoni assai energetici in caso di collisione possono "materializzarsi" spontaneamente, dando vita a una coppia particella-antiparticella: l'energia insomma si cambia totalmente in massa. Ad esempio, nascono delle coppie elettroni-positroni. In tal modo, la maggior parte dell'energia dei fotoni sparisce, trasformandosi in materia. Ma elettroni e positroni esercitano una pressione assai inferiore a quella dei fotoni da cui hanno avuto origine. Se dunque il nucleo di una stella supermassiccia raggiunge questa condizione, la pressione nel suo cuore crolla improvvisamente, come se l'astro avesse una "valvola di sfiato", tanto per usare l'efficace metafora di Gal-Yam. E siccome era tale pressione ad impedire alla stella di collassare per effetto del proprio stesso peso, il nucleo diventa instabile e comincia rapidamente a contrarsi. L'aumento della densità innesca la fusione dell'ossigeno; e dato che la soglia oltre la quale si verifica questa fusione è superata in un nucleo non più stabile, il processo diventa esplosivo, e si ha una violentissima deflagrazione, centinaia di volte più potente di una supernova ordinaria. Gal-Yam ha battezzato questo fenomeno anche "Supernova ad instabilità di coppia", perchè destabilizza la stella attraverso la formazione di coppie particella-antiparticella. Il primo esempio di queste superdeflagrazioni è rappresentato dall'Ipernova battezzata SN 2006gy, lo studio della quale ha portato Gal-Yam a questa scoperta. L'aspetto più affascinante di queste Ipernovae è rappresentato dal fatto che aprono uno spiraglio sulla vita dell'universo primordiale. Infatti le primissime stelle, che cominciarono a splendere "appena" 100 milioni di anni dopo il Big Bang (cioè quando l'età dell'universo era pari al 7 % di quella attiale), dovevano avere una massa superiore a 100, e forse addirittura a 1000 masse solari! Esse dunque potrebbero essere esplose a causa di fenomeni di instabilità di coppia, liberando nell'universo bambino gli elementi pesanti che poi hanno dato vita alle successive generazioni stellari ed ai loro pianeti. Cioè a noi. Forse tra pochi anni gli astronomi saranno in grado di osservare la fine violenta delle primissime stelle dell'universo.

Sorge però naturale una nuova domanda. Mentre gli strati esterni dell'astro si disperdono nello spazio, disegnando magnifiche nebulose nei nostri cieli, che accade al suo nucleo? Siccome non vi sono più reazioni in grado di irradiare energia che controbilanci il peso della materia che lo compone, esso COLLASSA irrimediabilmente su se' medesimo, la densità cresce a dismisura man mano che il raggio si riduce, e gli elettroni sono costretti a schiacciarsi contro i propri nuclei atomici, al punto da implodere sui protoni. Ora, sussiste una reazione nucleare in base alla quale un protone, collidendo con un elettrone, da' vita ad un neutrone, con emissione di un neutrino (una particella priva di carica e leggerissima, che interagisce assai poco con la materia). Tale reazione  assume il nome di NEUTRONIZZAZIONE:

 p + e à n + n

Il "cadavere stellare" che rimane nel cielo dopo il suicidio del nostro colosso è cioè interamente composto da neutroni. Nasce così quella che in gergo si chiama una stella a neutroni: essa  è  caldissima, ma anche densissima, perchè priva dei "vuoti" tra nuclei atomici ed orbite elettroniche, che caratterizzano la materia ordinaria. Praticamente, queste stelle hanno la stessa densità dei nuclei atomici: si calcola che un centimetro cubo di stella a neutroni (più o meno, mezzo cucchiaino della sua materia) ha una massa pari a qualcosa come un miliardo di tonnellate! Tale densità sulla terra si potrebbe ottenere solo concentrando la massa del monte Everest dentro una comune... zolletta di zucchero. Un simile astro può così venir riguardato alla stregua di uno  smisurato nucleo atomico, di dimensioni macroscopiche. Il diametro della stella, che prima dell'esplosione era maggiore di quello dell'orbita del pianeta Giove, si riduce ora a pochi chilometri,  come  quello di un misero asteroide. È come se la massa di una portaerei fosse concentrata in un granello di sabbia!

Giustamente ci chiederemo come si sia potuto individuare in cielo un astro di dimensioni così striminzite. Se è vero che nelle stelle a neutroni le reazioni di fusione che fanno brillare gli astri fatti di atomi non sono più attive, sta di fatto però che esse possiedono un fortissimo campo magnetico, il quale cattura gli elettroni vaganti nel cosmo, accelerandoli fin quasi alla velocità della luce (la forza di Lorentz è proporzionale  all'intensità del campo magnetico che la genera). L'intensissima  accelerazione fa sì che tali elettroni irraggino parte della propria energia cinetica sotto forma di radiazione elettromagnetica (detta anche radiazione di sincrotrone). Siccome tale emissione è concentrata in una "macchia calda" sulla superficie, la stella collassata emette in continuazione un fascio di radiazioni estremamente collimato. La stella si è contratta a dismisura e quindi, per il principio di conservazione del momento della quantità di moto, essa deve aver aumentato in ugual misura la propria velocità di rotazione. Conclusione: l'astro morente gira rapidissimamente sul proprio asse, come una ballerina che piroetta su  sé stessa  gira più veloce, se avvicina le braccia al corpo. Il periodo di rotazione risulta appena dell'ordine di qualche decina o centinaio di millisecondi! Perciò la stella di neutroni si comporta come un incredibile radiofaro cosmico, sventagliando un fascio di radiazioni nello spazio lungo un arco di trecentosessanta gradi; e, se questo impulso investe la Terra, noi percepiamo un segnale ritmico, perfettamente regolare, come una trasmissione radio. Non a caso, quando nel 1967 l'astronoma Jocelyn Bell  (1943-vivente), che presso l'università di Cambridge auscultava il cielo con un radiotelescopio per conto del suo professore, il premio Nobel Anthony Hewish, scoperse  per la prima volta un'emissione regolare di questo tipo, più precisa di un orologio svizzero, pensò subito ad un tentativo di mettersi in comunicazione con noi da parte di qualche civiltà extraterrestre; battezzò infatti quella sorgente con il divertente nome di LGM 1, dall'inglese "Little Green Men", ovverossia "piccoli uomini verdi"!  Chiarito l'equivoco, questo faro celeste venne denominato PULSAR, acronimo di "pulsing star", cioè "stella pulsante". Immediata fu anche l'identificazione di queste radiosorgenti con i residui delle supernovae, perchè per ruotare così velocemente su se' stessa la stella deve trovarsi in una condizione di equilibrio tra la forza centrifuga e quella gravitazionale; se l'astro ruotasse troppo velocemente sul proprio asse, finirebbe per disgregarsi, e la forza newtoniana in grado di bilanciare l'azione centrifuga che consegue ad una rotazione rapida come quella delle pulsar può derivare solo da una densità elevata come quella che si riscontra solo in una stella di neutroni. La pulsar più famosa è quella nota come PSR 0531+21, che si trova al centro della nebulosa del  Granchio, da noi già nominata in precedenza, ultimo residuo della stella progenitrice della nebulosa stessa.

Fig. 14   La nebulosa del granchio ripresa dal Very Large Telescope dell'ESO (European Southern Observatory, Osservatorio europeo del Sud), situato sul monte Cerro Paranal, nel Cile del nord. È costituito da quattro telescopi del diametro di 8,20 m, che possono operare singolarmente o in combinazione: in questo modo esso equivale a un singolo telescopio di 16,40 m di diametro, e rappresenta il più grande telescopio ottico esistente!

 

Vorrei segnalare a questo punto che nel maggio 2013, per la prima volta nella storia della cosmologia, un gruppo di giovani ricercatori dell’International Centre for Relativistic Astrophysics (Icra) presso l’Università La Sapienza di Roma, di cui fanno parte tra gli altri Marco Muccino, Anna Penacchioni e Giovanni Pisani, e guidato dal professor Remo Ruffini, è riuscito a prevedere l’esplosione di una supernova. Non si tratta certo di un'impresa da poco, dal momento che la supernova è tanto spettacolare quanto imprevedibile! Il fatto è che il 27 aprile 2013 è stato rilevato un « lampo gamma », cioè un'emissione violentissima di radiazione gamma proveniente dalla costellazione del Leone. In pratica, in una stella binaria una delle due ha iniziato la sua fase di scoppio in supernova liberando materiale che in parte si accumulava sulla stella a neutroni che la accompagnava, aumentandone la massa. E quando quest’ultima ha raggiunto il raggio di Schwarzschild, si è innescato un processo di collasso che la ha trasformata in un buco nero, emettendo il lampo gamma registrato. Tutto è accaduto nell'arco di appena 200 secondi a quattro miliardi di anni luce dalla Terra, e quindi quattro miliardi di anni fa, quando il nostro pianeta era ancora incandescente. « Una vera carambola cosmica », ha spiegato Ruffini, « che ci ha portati a prevedere, secondo il nostro modello teorico, che nell’arco di una dozzina di giorni avremmo potuto vedere nell'ottico il fenomeno della supernova nel suo massimo splendore nel frattempo raggiunto. Perciò il 2 maggio, tra lo scetticismo generale, abbiamo diffuso un avviso a tutti i grandi osservatori nei vari continenti per puntare i telescopi e trovare conferma. Il Gran Telescopio Canarias il 14 maggio 2013 ha fotografato lo straordinario evento e confermato la previsione ».