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Giunti a questo punto, sorge spontanea una domanda: se un buco nero è rinchiuso nel più totale isolamento, come un vero e proprio eremita cosmico, come facciamo ad osservarlo? Il problema non sta solo nel fatto (ben presente a chi è appassionato di fantascienza) che un ipotetico e futuribile viaggiatore interplanetario potrebbe capitarci sopra senza vederlo, metterci un piede dentro e rimanervi intrappolato senza poterne più uscire; la vera diffi-coltà, per i fisici attuali, è quella di dimostrarne l'esistenza!

Come si intuisce, osservare dalla terra oggetti che possano in qualche modo essere indiziati di appartenere alla razza dei buchi neri è un'impresa tutt'altro che facile, al punto che a tutt'oggi non si hanno ancora prove sicure al cento per cento che tali mostruosità stellari esistano anche al di fuori delle speculazioni matematiche di Einstein, Schwarzschild e soci. Come Albert Einstein ha sardonicamente affermato, "non c'è niente di peggio che cercare un gatto nero in una stanza buia, specialmente... se non c'è alcun gatto"!

È evidente che, di oggetti "riservati" come i buchi neri che non lasciano trapelare nulla di sé, è possibile solo un'osservazione INDIRETTA, cioè si possono al massimo riscontrare alcuni effetti della loro presenza accanto ad altri corpi celesti. Uno dei fenomeni scientificamente accertati, la cui spiegazione è possibile se  si ipotizza l'esistenza di un buco nero, è costituito dalle cosiddette stelle a raggi X. Si tratta di astri dall'apparenza normale, ma che al radiotelescopio rivelano un'intensissima emissione di radiazione X, senza che le teorie astrofisiche sul normale funzionamento delle stelle riescano a renderne ragione. La più famosa sorgente astronomica di raggi Roentgen è Cygnus X-1, scoperta nel 1964 e così chiamata perchè si trova nella costellazione del Cigno, distante dalla Terra circa 8000 anni luce. È opinione di molti astrofisici che le X-stelle siano in realtà stelle DOPPIE, formate cioè da una coppia di astri in rotazione relativa attorno ad un baricentro comune, e che uno dei due sia costituito per l'appunto da un buco nero. Con la sua fortissima gravità, infatti, esso "succhierebbe" materia dall'atmosfera del compagno, e questa, precipitando sull'astro vicino, creerebbe un vortice di plasma ad altissima temperatura, detto disco di accrescimento. Ora, in  base alle equazioni di Maxwell, quando una carica è  accelerata  emette onde elettromagnetiche; ciò vale anche se l'accelerazione è  negativa, cioè se la carica è frenata. Gli elettroni arrestati bruscamente irraggiano tutta la propria energia sotto forma di radiazioni ad alta frequenza e piccolissima lunghezza d'onda (dell'ordine dell'Ångstrom, cioè 10-10 m), detti appunto raggi X: si parla di effetto Brehmsstrahlung (dal tedesco "frenamento"). E' lo stesso fenomeno ancor oggi sfruttato per generare raggi Roëntgen ad uso medico o industriale.

Fig. 8    Secondo molti astrofisici, le stelle a raggi X  del tipo di
Cygnus X-1 "funzionano" grazie ad un partner ridotto a buco nero.

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Questo meccanismo dovrebbe essere anche alla base dell'emissione X di Cygnus X-1. Essa è costituita da una supergigante di magnitudine 8,9 (visibile quindi con un normale binocolo), con una temperatura superficiale di oltre 30.000° C ed una massa approssimativamente pari a 20-30 masse solari, e da un oggetto invisibile nell'ottico con una massa pari a 7-13 masse solari. Il flusso di gas caldi proveniente  dalla  stella maggiore urterebbe violentemente contro il disco d'accrescimento intorno  alla minore in una zona detta hot spot ("macchia calda"), dove l'effetto Brehmsstrahlung farebbe sì che il frenamento  delle cariche in moto generi l'emissione elettromagnetica ad alta  energia da noi osservata tramite rivelatori montati su palloni sonda o su satelliti (perchè, grazie a Dio, l'atmosfera terrestre è opaca alle radiazioni ultraviolette, X e gamma). Tutto questo farebbe di Cygnus X-1 la più intensa fonte persistente di raggi X duri, cioè molto energetici (non a caso, Cygnus X-1 è anche il titolo di un brano del gruppo rock canadese Rush).

Recentemente, poi, il satellite italiano Agile dell’ASI ha scoperto che anche un'altra potente sorgente di radiazioni X della costellazione del Cigno, nota come Cygnus X-3, lontana 37.000 anni luce e scoperta alla fine degli anni Sessanta, dovrebbe funzionare allo stesso modo, grazie stavolta ad un micro-quasar, cioè « di un minibuco nero », come ha spiegato il ricercatore Ronaldo Bellazzini, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, « del quale abbiamo misurato il periodo orbitale nel suo viaggio attorno alla stella madre di grandi dimensioni. Cygnus X-3 è il primo esempio di quasar galattico misurato con grande attendibilità ». Dei Quasar riparleremo nel penultimo capitolo. Fa effetto, pensare che nella stupenda costellazione del cigno, la cui luminosa croce di stelle rischiara le nostre notti estive, si annidino degli spaventevoli mostri divoratori di mondi, pronti ad inghiottire qualunque atomo capiti loro a tiro senza lasciarlo uscire mai più, come il mitico Cerbero a guardia delle porte degli Inferi! Eppure, a volte le scoperte della scienza superano anche le più immaginose fantasie dei poeti...

Nel XXI secolo finalmente un evento di distruzione stellare da parte di un buco nero è stato osservato per la prima volta in modo diretto, grazie a una combinazione di analisi nello spettro elettromagnetico radio e infrarosso: una stella con una massa doppia di quella del Sole è stata disintegrata dall’enorme gravità di un buco nero con una massa pari a 20 milioni di volte quella solare, e questo processo ha generato un getto di materia che ha emesso un caratteristico segnale elettromagnetico. Come spesso accade in astronomia, lo studio è stato possibile grazie alla collaborazione di diversi osservatori del mondo, allertati a partire da un evento inatteso. A gennaio 2005, gli strumenti del telescopio William Herschel, nelle Isole Canarie, erano puntati verso Arp 299, una coppia di galassie in fase di collisione distanti 150 milioni di anni luce da noi, per studiare una serie di supernovae. Il primo segnale dell’evento inatteso è stato un lampo di emissioni nell’infrarosso. Circa sei mesi dopo, il Very Long Baseline Array (VLBA), sulle Isole Hawaii, ha rilevato una nuova sorgente di emissione radio dallo stesso punto dello spazio. All’osservazione dell’evento si sono poi aggiunti il Nordic Optical Telescope, sulle Isole Canarie, e il telescopio spaziale Spitzer della NASA, per rilevare l’emissione infrarossa. Inizialmente il segnale era stato considerato un’esplosione di supernova; solo nel 2011, sei anni dopo la scoperta, la porzione di emissione radio ha iniziato ad avere una sorgente molto più estesa, indice della presenza di un getto di materia, poi confermata con le osservazioni ottiche. Il successivo monitoraggio ne ha mostrato la crescita e l’espansione, confermando che i ricercatori stavano osservando in realtà un getto di materia conseguente alla distruzione di una stella. Le osservazioni sono continuate per altri anni, documentando che le emissioni radio si stavano espandendo in una direzione, proprio come previsto per un getto. Le misurazioni hanno poi indicato che si muoveva a una velocità circa un quarto quella della luce nel vuoto. « Via via che il tempo passava, il nuovo oggetto rimaneva brillante nell’infrarosso e nello spettro radio, ma non nello spettro visibile né nello spettro dei raggi X, come ci si attendeva », ha spiegato Seppo Mattila, dell’Università di Turku, in Finlandia, coautore dello studio. « La spiegazione più probabile è che la presenza di una spessa nube di polveri e gas assorbisse i raggi X e la luce visibile, irradiandoli sotto forma di radiazione infrarossa ».

Nel video soprastante viene immaginato un buco nero che "cannibalizza" una stella gigante

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Una scoperta davvero entusiasmante è stata compiuta nell'ottobre 2010 dal telescopio orbitante CHANDRA, specializzato nel captare i raggi X provenienti dallo spazio, coadiuvato dal telescopio XMM-Newton dell'Agenzia Spaziale Europea e dal tedesco ROSAT: essi potrebbero aver raccolto le prove dell'esistenza del buco nero più giovane e più vicino finora mai osservato. Esso si trova nella galassia M100, che dista da noi solo 50 milioni di anni luce, e si è formato nell'esplosione della Supernova chiamata SN 1979C, 20 volte più massiccia del nostro Sole,, che fu osservata nell'aprile del 1979. Da allora viene seguita da tutti i telescopi spaziali e anche da parecchi a Terra. Si sospetta che nel "cuore" della stella  che ha generato la gigantesca esplosione si sia formato un buco nero. Se così fosse sarebbe la prima volta che possiamo osservare l'evoluzione di un buco nero fin dalla sua formazione. Anche in questo caso noi  non "vediamo" direttamente il buco nero stesso, che non emette alcuna radiazione e quindi non è visibile, ma gli effetti della sua presenza nei dintorni di esso: la radiazione X, emessa dal gas che formava la stella e che si sta espandendo in tutte le direzioni, rimane costante nel tempo ormai da 30 anni e più. Ma in genere la radiazione X in questi fenomeni decresce nel tempo: affinché accada il contrario, occorre che ci sia una "sorgente" che fornisce raggi X costantemente, e l'ipotesi più probabile è proprio la presenza di un buco nero. Se così è, abbiamo tra le mani il buco nero più giovane conosciuto. Il buco nero più massiccio è invece rappresentato da M33 X-7, così denominato perché ospitato all’interno della galassia M33, posto ad una distanza di circa 3 milioni di anni luce da noi.

Non è meno degna di interesse la scoperta avvenuta nel gennaio 2010 da un gruppo di astronomi dell'ESO (European Southern Observatory): essi hanno osservato il più lontano buco nero di massa stellare mai scoperto, posto nella galassia a spirale NGC 300 ad oltre sei milioni di anni luce dalla Terra, grazie alla registrazione di un'emissione periodica estremamente intensa. Grazie alle successive osservazioni eseguite con lo strumento FORS2 montato sul Very Large Telescope dell'ESO, gli astrofisici hanno potuto appurare che il buco nero ruota intorno ad un'altra stella (o meglio, entrambi ruotano attorno adi un baricentro comune) con un periodo di 32 ore, e che il buco nero sta continuando a "strappare" materia dalla stella compagna. I ricercatori prevedono che entro un milione di anni, la stella compagna diventerà anch'essa un buco nero. Se il sistema sopravvivrà a questa esplosione, i due buchi neri successivamente si fonderanno, emettendo una quantità enorme di energia sotto forma di onde gravitazionali. Ma questo secondo processo richiederà un arco temporale dell'ordine del miliardo di anni.

Ancora più strabiliante, a questo proposito, è stata la scoperta compiuta nel 2010 dagli astronomi dell’Università John Hopkins di Baltimora, coordinati da Suvi Gezari, i quali hanno osservato davanti ai loro occhi un evento cosmico estremamente raro: un buco nero che divora e assorbe una stella! Quest’ultima, probabilmente una gigante rossa, si è avvicinata troppo a un buco nero osservato in una galassia a circa 3 miliardi di anni luce di distanza da noi, ed è stata letteralmente fatta a pezzi dalle forze mareali: in ogni galassia un evento del genere si verifica in media ogni 10 mila anni. Se nella maggior parte dei casi gli scienziati riescono a captare soltanto le fasi conclusive di questi eventi, cioè il bagliore della stella, qui è stato invece documentato il processo sin dalle fasi iniziali. L'astro malcapitato percorreva un’orbita molto stretta attorno al buco nero; ha girato vorticosamente e si è notevolmente riscaldato, poi ha brillato un’ultima volta e infine è scomparso. Il tutto, nell'arco di due giorni. L'analisi di questo dramma siderale ci ha permesso di ottenere informazioni sulla stella in balia del buco nero: quest’ultimo risulta essere di circa tre milioni di masse solari, dunque con una massa pari al buco nero al centro della Via Lattea, come diremo più avanti. Il nucleo della stella, invece, era composto principalmente da elio, e ciò significa che essa aveva già perso in precedenza lo strato esterno di idrogeno, evidentemente per effetto dello stesso buco nero che ora la ha fagocitata, sopravvivendo però a quel primo incontro. Il secondo rendez-vous è stato invece fatale.

E non basta. Un gruppo di ricerca coordinato dall'italiano Ciro Pinto, dell'Università di Cambridge, ha scoperto nel 2016 che i buchi neri più voraci mai visti divorano le loro stelle così rapidamente da scagliare nello spazio la materia in eccesso a una velocità di 70.000 chilometri al secondo, pari a un quarto rispetto a quella della velocità della luce! I ricercatori li hanno individuati mentre analizzavano le sorgenti di raggi X osservate dal telescopio spaziale Xmm-Newton, dell'Agenzia Spaziale Europea. In due di queste sorgenti, chiamate NGC 1313 X-1 e NGC 5408 X-1 e situate in galassie lontane 22 milioni di anni luce dalla Via Lattea, sono stati individuati i flussi di gas scagliati ad altissima velocità. « Pensiamo che queste sorgenti siano sistemi binari speciali, che succhiano il gas dalle loro stelle a un tasso molto più alto di un normale sistema binario », ha dichiarato Pinto. « L'altissima velocità di questi venti dice qualcosa sulla natura dei corpi celesti che li emettono: potrebbero essere buchi neri intermedi, dalla massa pari a mille volte quella del Sole, che stanno divorando velocemente le loro stelle compagne. » La materia che alimenta i buchi neri formerebbe un disco intorno al corpo celeste fino a "gonfiarsi" tanto da riuscire in parte a sfuggire alla forza gravitazionale del buco nero; allontanandosi scaglia nello spazio flussi di gas velocissimi come quelli osservati dagli astrofisici di Cambridge.

Ma c'è un altro modo per scoprire possibili oggetti estremamente massicci e superdensi annidati nelle profondità oscure del cosmo: sfruttare le cosiddette lenti gravitazionali. In condizioni normali, la radiazione percorre una traiettoria rettilinea; se invece essa passa abbastanza vicina ad un intenso campo gravitazionale, percorre una traiettoria curva, come un meteorite la cui traiettoria è incurvata a causa della gravità. Nel 1937 Einstein ipotizzò che, in condizioni molto particolari di allineamento, i raggi di luce provenienti da una sorgente lontana possono venire deviati in modo tale da provocare un'amplificazione del segnale luminoso, simile a quella causata da una lente. In particolare la luce della sorgente potrebbe subire una scissione in più parti, dando origine ad immagini multiple. Il risultato è un « miraggio cosmico » in cui vediamo più versioni della stessa sorgente luminosa, o addirittura un anello luminoso centrato sulla posizione in cielo dell'oggetto. Nel primo caso attorno alla "vera" immagine della sorgente se ne vedono quattro repliche disposte a croce, da cui il nome di « Croce di Einstein »; nel secondo caso la lente gravitazionale dà origine a uno spettacolare « Anello di Einstein ». Lo stesso Einstein però riteneva che un fenomeno del genere sarebbe troppo raro nell'universo per poter essere osservato. Invece, il 29 marzo 1980 la Croce di Einstein venne osservata per la prima volta: furono infatti scoperti due Quasar identici per luminosità e spettro. Inizialmente si pensò ad un sistema binario, ma lo spettro delle due immagini era talmente simile da far concludere agli astronomi che in realtà si trattava di una singola immagine sdoppiata del medesimo oggetto, a causa di una grande massa interposta tra noi ed esso proprio lungo la linea di vista. Da allora le osservazioni di Croci e di Anelli di Einstein si moltiplicarono come funghi. L'oggetto che provoca la distorsione della luce e la sua focalizzazione a mo' di lente può essere visibile (una galassia, un quasar), ma può essere anche del tutto invisibile: in questo caso, è possibile che l'oggetto responsabile della distorsione della luce sia proprio un buco nero di grande massa. Se ne conclude che il fenomeno della lente gravitazionale, che a prima vista potrebbe sembrare una mera curiosità deducibile dalle equazioni gravitazionali di Einstein, si rivela in realtà un formidabile strumento per studiare oggetti esotici posti nelle plaghe più lontane del nostro universo.


Un esempio di "Croce di Einstein" 

Fig. 9    Il quasar G2237 +0305 sembra farsi in... quattro. L'unica possibilità per spiegare questa bizzarra configurazione astronomica è che un oggetto molto massiccio posto sulla linea di vista distorca la luce del quasar lontano, generando una "Croce di Einstein"!

 

Questi filoni di ricerca dimostrano che oggetti estremamente massicci ed ancor più densi possono esistere davvero, e che possono essercene alcuni che si sono già evoluti in un singolo buco nero o addirittura in un sistema binario di buchi neri, i quali in un prossimo futuro potranno essere osservati con strumenti di rilevazione delle onde gravitazionali, come VIRGO. C'è un Premio Nobel che aspetta dietro l'angolo chi li osserverà...