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Per capire cosa sono veramente i buchi neri occorre fare un passo indietro di un paio di secoli, perché il primo che ne predisse l'esistenza fu il matematico e fisico francese Pierre Simon de Laplace (1749-1827), più noto per i contributi da lui dati allo sviluppo dell'analisi matematica. Il suo ragionamento per inferire l' esistenza di corpi celesti da cui nulla può sfuggire fu in sostanza il seguente. Se un razzo non possiede una velocità sufficiente, non ce la farà mai a sottrarsi all'attrazione gravitazionale della madre Terra per viaggiare nello spazio, e ricadrà al suolo. La minima velocità necessaria per lasciare il campo di attrazione gravitazionale di un pianeta è detta  VELOCITA' DI FUGA. Tale velocità deve attribuire al razzo un'energia cinetica tale da controbilanciare l'energia potenziale del campo gravitazionale nel quale esso si trova, ragion per cui il suo valore è facilmente ricavabile dalla semplice equazione:

G M m / R = m vf2 / 2

In essa  M è la massa del pianeta, R il suo raggio, m la massa del veicolo spaziale e vf la velocità di fuga. Da qui ricavo:

vf = (2 G M / R)½            (1)

Proviamo per esempio a sostituire i dati della Terra:

vf = (2 * 6,67 * 10-11 Nm2Kg-2 * 6 * 1024 Kg / 6,36 * 106 m)½ = 11,2 Km s-1

Per abbandonare il nostro pianeta bisogna quindi superare gli undici chilometri al secondo. E' una velocità piuttosto alta, che ci spiega perché la conquista degli spazi non è avvenuta  ne' tramite un pallone aerostatico, come suggeriva Edgar Allan Poe ne "L'incomparabile avventura di un certo Hans Pfaal" (1835),  ne' tramite un proiettile sparato da un formidabile cannone, come proponeva Jules Verne in "Dalla Terra alla Luna" (1865), ma tramite razzi a combustibile liquido, come intuirono per primi i fisici Kostantin Ziolkovski ed Hermann Oberth.

Tornando a noi, proviamo a rifare lo stesso calcolo di prima per il Sole, la cui massa è 333.000 volte quella terrestre, ed il cui raggio è 101 volte maggiore di quello del nostro pianeta:

vf = (2 * 6,67 * 10-11 Nm2Kg-2 * 1,9 * 1030 Kg / 6,0 * 108 m)½ = 638,2 Km s-1

Come si vede, al crescere della massa la velocità di fuga cresce rapidamente; però cresce anche, a massa costante, al diminuire del raggio. Ciò vuol dire che, più un corpo celeste è DENSO, più veloci bisogna andare per sfuggire al suo campo di gravità.

Allora, se io immagino un astro di raggio piccolissimo e di massa grandissima, la velocità di fuga può raggiungere quella della luce (circa 300.000 Km s-1). In questo caso, neppure  la  radiazione elettromagnetica riesce a sfuggire alla gravità di quel corpo celeste! Esso si "chiude", per così dire, in sé stesso, come una stella autistica, diventando completamente invisibile, cosicché noi possiamo immaginarcelo solo come un grande BUCO NEL CIELO. Un buco che, per l'appunto, risulterà completamente NERO.

A questa ipotesi, arditamente avanzata da Laplace, molti contemporanei obiettarono il fatto che la luce non ha massa, e quindi non è soggetta all'azione dei campi gravitazionali. Tuttavia la teoria  della  relatività ristretta, formulata nel 1905  da Albert Einstein (1879-1955), sostenne per la prima volta l'equivalenza tra la MASSA e l'ENERGIA (secondo la ben nota equazione E = m c2); perciò, se la luce è priva di massa inerziale, possiede comunque una "massa dinamica" dovuta all'energia da essa trasportata. Negli stessi anni, inoltre, lo sviluppo della meccanica quantistica portò i fisici a ritenere che la luce, fino ad allora pensata solo come un'onda elettromagnetica, in certe circostanze si può comportare anche come una particella materiale. Nulla più vietava di postulare il fatto che la luce può "cadere" in campo gravitazionale come i corpi materiali. Nella sua teoria della  relatività generale, pubblicata nel 1916, lo stesso Einstein arrivò a calcolare  di quale angolo viene deflessa la luce delle stelle in prossimità del disco solare. Tutto ciò confermava le straordinarie intuizioni di Laplace, anche se gli scienziati continuarono a lungo a sostenere che in natura non possono esistere stelle nere, per motivi che discuteremo più innanzi.

Si faccia però bene attenzione a non confondere  il  concetto  di buco nero con quello di corpo nero. Come ci dice la termodinamica, quest'ultimo è un oggetto che assorbe tutta la radiazione che riceve, ma che ne emette a sua volta di propria, secondo uno spettro caratteristico. Un buco nero (se esiste) si comporta assai peggio, perché non emette energia radiante, ne' può riflettere quella ricevuta, ed anche ogni corpo materiale che cade su di esso viene irrimediabilmente risucchiato, senza alcuna speranza di potergli sfuggire, perché per farlo dovrebbe andare più veloce della luce, mentre il principio di relatività ristretta ci assicura che nulla nell'universo può farlo; nemmeno Superman, a dispetto di quanto egli stesso asserisce in continuazione!

Fig.1  Centaurus A, una delle realtà più misteriose del nostro universo, candidata secondo molti scienziati ad ospitare al suo interno un buco nero. Credits: SSRO-South (Steve Mazlin, Jack Harvey, Daniel Verschatse, Rick Gilbert) e Kevin Ivarsen (PROMPT / CTIO / UNC)

 

Sebbene facciano capolino, come visto, già nell'ambito della fisica classica, i buchi neri emergono in modo naturale dalle equazioni della citata relatività generale. Questa teoria afferma infatti che la struttura dello spazio è determinata dai campi gravitazionali e, quindi, dalla distribuzione delle masse in esso presenti. Rendersene conto non e' difficile. Come accennato prima, potendo "cadere" verso di essi, la luce viene deviata nel suo cammino dalla gravità dei corpi celesti, esattamente come accade alle traiettorie di  oggetti  materiali (per esempio, le comete). Allora, in prossimità delle masse il più breve cammino tra due punti dello spazio (la cosiddetta "geodetica") NON è la RETTA, ma una traiettoria CURVA! Ivi lo spazio è perciò DISTORTO o, come si dice di solito, è curvato. Una metafora efficace per capire tale concetto è la seguente: se si appoggia una palla da baseball su di una superficie soffice, come la coperta stesa di un letto, questa si incurva leggermente verso il basso. Se su di essa appoggio invece una palla da bowling, questa affonda maggiormente nelle coperte, ed esse risultano incurvate verso il basso assai di più che non nel caso precedente. Analogamente, più la massa di un corpo è grande rispetto alle sue dimensioni, maggiore è il campo gravitazionale da esso ingenerato nello spazio limitrofo, e più marcata risulta la curvatura in esso riscontrabile.

Ora, per continuare con la nostra metafora, se sulla coperta appoggiamo un corpo pesantissimo, esso affonda talmente in essa da ...sparire alla nostra vista, venendo totalmente avvolto. Al limite, supponendo di appoggiare sul lenzuolo (supposto infinitamente elastico ed infinitamente esteso) una massa infinita concentrata in un punto di dimensioni infinitesime, anche la curvatura del nostro telo ideale risulterà INFINITA. Il punto dove si trova la massa SPARIRÀ quindi dall'universo "normale", precipitando in una sorta di "pozzo senza fondo". I matematici definiscono un tale punto una "SINGOLARITÀ", per ribadire il fatto che in esso tutte le leggi della fisica come noi le conosciamo capitolano, perdendo ogni valore. Le condizioni fisiche al centro di un buco nero sono talmente diverse da ogni realtà riproducibile sperimentalmente, da rendere impossibile qualunque tipo di previsione sulla natura dei fenomeni che accadono in esso.

Questo fatto, che dipende dalla stessa  natura  della  relatività generale, e non dall'inadeguatezza delle nostre capacità speculative, ha contribuito a far proliferare strane teorie fisico-matematiche circa le caratteristiche dei buchi neri, che è difficile confermare o smentire. Secondo alcuni, ad esempio, in corrispondenza della singolarità lo spazio sarebbe talmente distorto da creare una sorta di "tunnel spaziale" tra due punti diversi dell' universo, molto lontani tra loro, e forse collocati anche in tempi diversi (come i famosi tunnel che compaiono qua e là nei  telefilm della serie "Star Trek"!). Taluni sono perciò convinti che, penetrando in un buco nero, un'astronave potrebbe attraversare quello che chiamano un "wormhole" (cioè una galleria simile a quella scavata da un lombrico), e fuoriuscire dall'altra parte a molti anni- luce di distanza, superando d'un colpo le enormi distanze tra le stelle, alla faccia dei limiti posti dalla relatività di Einstein. A questo livello, chiaramente, è difficoltoso stabilire un confine tra la ricerca scientifica e la pura fantasia; anche perchè, a partire da una tale ipotesi, sono presto fiorite numerose "leggende metropolitane", tra cui quella secondo cui i buchi neri sarebbero addirittura una... porta verso l'Aldilà. Per quanto ciò appaia risibile, è proprio questo il presupposto del lungometraggio "The Black Hole" (1979) della Walt Disney, forse il più famoso tra i film nei quali compare uno di questi mostri dei cieli. Quando, nelle sue battute finali, i protagonisti sono costretti ad infilarcisi dentro, finiscono per attraversare nientemeno che l'inferno e il paradiso. Anche la fantascienza ha il suo Dante Alighieri!

Fig. 2   La sconvolgente visione della macchina generatrice di buchi neri a bordo della "Event Horizon" (nomina sunt omina! Vedi capitolo seguente), l'astronave futuribile che scompare in un buco nero e ritorna dopo aver raggiunto l'Inferno nel film ad altissima tensione "Punto di non ritorno" (1997)