Il Canale di Augusto

di Iacopo


La conquista delle Città Arabe sotto i Giulio-ClaudiL'impero romano come immaginato in questa ucronia, CLIC PER INGRANDIRE (grazie ad Iacopo)

30 a.C. le legioni romane ad Alessandria. Suicidio di Antonio e Cleopatra. Ottaviano soggiorna in Egitto e dà ordine di tagliare l’istmo di Suez. L’incarico è affidato all'architetto Lucio Cornelio Aucto.

27 a.C. il Senato assegna a Gaio Giulio Cesare Ottaviano il titolo di Augusto.

25 a.C. Agrippa, reduce da un periodo in cui ha riformato in maniera efficace la burocrazia e le infrastrutture in Gallia, viene nominato Prefetto per l’Egitto (*governatore della Siria), dove supervisiona il completamento del Canale Augusteo e riforma la flotta. Prima spedizione di perlustrazione nel Mar Rosso.

23 a.C. Augusto abbandona il consolato.

16 a.C./12 a.C. Augusto risiede a Lione, poi ad Aquileia. La romanizzazione delle province galliche e dalmatiche procede.

15 a.C./9 a.C. Druso è nominato legato in Illirico (*in Gallia) e Tiberio legato in Gallia Cisalpina (*Illirico). Numerose campagne contro le popolazioni germaniche meridionali e dalmatiche, che, pur alleggerendo di molto il peso di questi popoli sul confine imperiale, non portano ad una definitiva conquista della regione oltre il Danubio e oltre il Reno. Nel 9 a.C. Druso muore per una caduta da cavallo e viene seppellito a Vindobona (*Moguntiacum). A lui ed ai suoi discendenti è conferito il titolo di Illiricus.

12 a.C. Augusto nominato Pontefice Massimo. Muore Agrippa, durante un banale incidente nel cantiere del Canale Augusteo, pochi giorni prima dell’inaugurazione.

11 a.C. il Canale Augusteo è aperto alle navi romane. La sua amministrazione è affidata ad uno speciale Prefetto, creato per l’occasione. A Lucio Cornelio Aucto vengono accordati gli onori trionfali, come se fosse un generale vittorioso. In effetti, questa immensa opera architettonica ha visto la morte di tanti schiavi quanto una campagna militare...

10 a.C. Avendo la costruzione del Canale assorbito una buona fetta del tesoro dei Tolomei, Ottaviano non può ancora liquidare i veterani delle sue molte campagne, e decide quindi di sfruttare la nuova via d’acqua per impossessarsi dei mitici tesori dell’Ethiopia e dell’Arabia Felix. Si scatena una faida interna alla famiglia Giulio-Claudia per stabilire chi debba avere l’onore di condurre la spedizione, se Tiberio, Druso Illirico o qualcun altro. La spedizione viene rinviata, mentre una flotta d’esplorazione è spedita verso sud al comando appunto di Druso Illirico.

6 a.C. Druso Illirico torna dalla sua lunga spedizione che lo ha portato a toccare le coste del Corno d’Africa (fino alla nostra Mogadiscio) e della penisola araba, fino al Golfo Persico e alle regioni dell’India dove si stanno affrontando indo-parti, indo-greci e kushana.
Tiberio, disgustato dalla condotta immorale della moglie (figlia di Augusto!), si ritira a Rodi.

2 a.C. Druso Illirico è nominato Prefetto per l’Egitto, mentre Lucio Cesare e suo fratello Gaio, figlio di Agrippa, sono messi a capo della flotta incaricata di conquistare Arabia ed Ethiopia.

1 a.C. la flotta romana fonda la colonia di Castra Agrippae (*Gibuti) mentre le legioni si spingono verso l’interno, sottomettendo le tribù del deserto. Intanto una doppia spedizione commerciale (navale e terrestre) di incenso e spezie lascia l’Arabia Felix al comando di Lucio Cesare e raggiunge Damasco (questa spedizione dà origine al racconto dei Re Magi).

1 d.C. Gaio Cesare porta le sue truppe arruolate in Arabia, montate su dromedario, in aiuto di Tiberio in Armenia. Malgrado la sua influenza sulla campagna asiatica del fratellastro sia insignificante, il dromedario è introdotto fra le truppe romane.

2 d.C. le legioni di Lucio Cesare sono circondate dagli etiopi di Axum presso Adua e annientate fino all’ultimo uomo. All’arrivo della notizia a Roma Augusto piange per due giorni urlando “Lucio, ridammi le mie legioni!”. Questa sconfitta tuttavia fa maturare nell’imperatore la convinzione che non è possibile controllare le (potenzialmente) ricchissime province meridionali solo via mare. Da quindi ordine di iniziare i lavori per la costruzione di una strada che costeggi il Nilo e attraversi il deserto fino a Castra Agrippae.

4 d.C. Gaio Cesare, subentrato a Tiberio al comando della guerra armena, riporta una buona vittoria sui Parti di Fraate, che si deve umiliare di fronte al generale vincitore e riconsegnare le insegne perdute da Crasso cinquanta anni prima. Sulla via del ritorno però è colpito dal calcio di un dromedario riottoso e muore, ad appena ventiquattro anni.
Augusto adotta Tiberio come successore, al patto che questi scelga a sua volta Illirico come successore designato.

12 d.C. seconda spedizione navale e terrestre verso l’Arabia Felix. Tiberio si dimostra un buon generale ed un buon diplomatico durante le snervanti trattative con i beduini e i terribili assedi, sotto il sole cocente del deserto arabo del Neged. Insieme al figlio Druso Minore (detto l’Arabico) espugna Petra, Aqaba (Acaba Augusta, poi Tripoli), Yathrib (Iatrippus) e Makkah (Mocaraba Augusta), che formeranno le due province di Arabia Petrense e Arabia Egatia (Hijaz). 

14 d.C. Morte di Augusto, gli succede Tiberio. Immediatamente le legioni dei confini europei dell’impero manifestano il loro malcontento, e sono represse dal figlio di Tiberio, Druso, e dall’erede designato Illirico.

14 d.C./19 d.C. Campagne di Illirico (prefetto per l’Egitto) e Calpurnio Pisone (proconsole di Siria) verso l’Arabia. Cadono Ta’if (Tapsus) e Sana’ (Homerita Capitolina), che sono romanizzate. Le vie carovaniere sono ormai saldamente nelle mani dei romani. Durante questa campagna sono fondate le colonie di Castra Drusiana (Hadramaut), Aedes Arabici (Aden) e Odedia (al-Hudayda). Le nuove conquiste vanno ad aumentare la provincia di Arabia Egatia e in parte formano il nucleo della nuova provincia di Arabia Felix. 

19 d.C. Al suo rientro ad Alessandria, Illirico muore, probabilmente avvelenato da Pisone. 

23 d.C. Il prefetto del pretorio Seiano fa avvelenare Druso, figlio di Tiberio. L’imperatore, privato degli eredi e disgustato dagli intrighi della capitale, si ritirerà, qualche anno dopo, a Capri.

31 d.C. Traiano tende una trappola perfetta a Seiano, che è costretto al suicidio una volta che le sue macchinazioni sono scoperte. Da più parti arrivano richieste perché l’imperatore riprenda le campagne arabe, visto che alcune delle tribù sottomesse si stanno ribellando, ma egli preferisce non inviare le legioni. Tuttavia, da questa data in avanti, le spedizioni mercantili attraverso il mare arabico si faranno sempre più intense, e Castragrippae raddoppia di popolazione in meno di un decennio.

34 d.C. Tiberio adotta come successore Caligola, figlio di Illirico. La Via Etiopica è completata, per realizzarla ci sono voluti ingenti fondi, provenienti per lo più dal commercio delle spezie, anni di lavoro e molte vite umane. La via però è uno dei capolavori dell’architettura romana, comprendendo in diversi punti dei percorsi rialzati che corrono sopra le dune, e diversi acquedotti che portano l’acqua del Nilo, ben protetta dal calore, verso le colonie della costa del Mar Rosso. La regione compresa fra Cesarea Nilotica (Assuan) e Castragrippae diventa la provincia di Africa Rubra o Ethiopia Minor.

37 d.C. Morte di Tiberio, gli succede Caligola.

39 d.C. Caligola organizza un’immensa armata per conquistare Axum, ma giunto sulle rive del Mar Rosso ordina ai soldati di cercare conchiglie.

41 d.C. Caligola viene assassinato dalle sue guardie del corpo. Il Senato nomina successore suo zio Claudio, nipote di Tiberio. 

42 d.C. Claudio sventa una congiura ordita a suo danno da Scriboniano.

42 d.C./50 d.C. Campagne europee di Claudio, conquista della Britannia e definitivo consolidamento del Limes lungo il Reno e lungo il Danubio. Annessione della Tracia. In questi anni iniziano anche i lavori per la costruzione di acquedotti e per il consolidamento delle già esistente dighe e opere di irrigazione nell’Arabia Felix. La provincia prospera, a danno invece dell’Egazia, dove l’acqua è molto più difficile da reperire.

48 d.C. Claudio scopre e sventa una congiura ai suoi danni ordita dalla stessa moglie Messalina, che viene messa a morte. Claudio sposa Agrippina, sorella di Caligola, già madre del futuro imperatore Nerone.

50 d.C./ 53 d.C. Vespasiano, generale di Claudio, è mandato a sedare le rivolte nelle province arabe. Una dopo l’altra le città ribelli sono riconquistate, e le tribù più riottose sono sterminate. Da questa data l’intera penisola araba, ad eccezione della costa settentrionale, entra a far parte dell’Impero, anche se il controllo sulle tribù del deserto è solo nominale, e comunque legato ai patti tribali coi beduini.
Intensissimi rapporti coi Kushana indiani. Ad Alessandria viene introdotto il culto misterico di Siva.

53 d.C. Claudio muore, probabilmente avvelenato dalla moglie. Lo stesso anno muore il figlio naturale di Claudio, Britannico. Diviene Imperatore Nerone.

64 d.C. Grande incendio di Roma.

65 d.C. la famiglia dei Pisoni organizza una congiura ai danni dell’imperatore, che si fa sempre più eccentrico, ma viene scoperta. L’intera famiglia e molti simpatizzanti sono epurati.

67 d.C. Nerone si reca in viaggio nelle isole greche ed ad Alessandria, mentre i potere è amministrato, di fatto, dai suoi prefetti del pretorio.

68 d.C. Nerone, incontrando la disapprovazione del senato, è deposto e dichiarato nemico pubblico. Fuggito in casa di un liberto, si suicida. Gli succede il prefetto delle province ispaniche, uomo anziano e gradito al Senato, Galba. Tuttavia questi si rifiuta di pagare i pretoriani, che, ribellatisi insieme all’esercito, lo uccidono, acclamando al suo posto il governatore della Lusitania Otone. Questi deve affrontare immediatamente la rivolta delle legioni germaniche di Vitellio, ma non riesce a bloccare la calata del rivale ed è uccido in una battaglia lungo il Po. Vitellio è acclamato imperatore, ma essendo un vile, non riesce ad opporre una valida resistenza a Vespasiano l’Arabo, eroe delle campagne di Tapsus e Odedia, che entra in Italia con le sue legioni e viene acclamato imperatore. Si dice abbia avuto una visione del suo destino nel tempio alessandrino di Siva.

69 d.C. Vespasiano a Roma. La fazione giudaica degli Esseni, valutando che il caos militare a Roma rende l’Impero meno reattivo a livello militare, tenta di sollevare il popolo ebraico contro l’Impero. Gli Esseni fanno anche questa valutazione: la vicinanza del canale augusteo rende molto più sensibile la regione, e potenzialmente molto più ricca. Nel caso riuscissero ad impossessarsi di alcune delle infrastrutture chiave (le città di Cesarea e Tiberiade, ad esempio) potrebbero barattarne la restituzione con una maggiore indipendenza per la città di Gerusalemme. Infine il supporto dei contrabbandieri arabi-ebrei delle province meridionali dà loro maggiore sicurezza nei rifornimenti di armi.

70 d.C. Mentre Vespasiano si insedia stabilmente a Roma, suo figlio Tito occupa la Giudea. Grazie ad una tassa speciale riscossa fra gli ebrei della diaspora, Vespasiano può mandare al figlio ingenti quantità di contante che egli usa per corrompere i contrabbandieri beduini dell’Arabia Petrense. Le minoranze arabe diventano così la quinta colonna dei romani durante l’assedio di Gerusalemme, che capitola ed è rasa al suolo. Gli Esseni si ritirano a Masada.
Intanto Vespasiano soffoca due rivolte in Gallia ed in Dalmazia.

L'Arabia Romana (grazie ad Iacopo)

 

L’Arabia e l’Impero sotto i Flavi e gli Antonini

70 d.C./79 d.C. Regno di Vespasiano. Riforma amministrativa dello stato, che si fa più centralizzato. Le legioni romane, sedata la rivolta giudaica (76 capitola Masnada e gli Esseni scompaiono dalla storia), s spingono verso sud, completando l’opera di conquista e assoggettamento dell’Arabia. Grandi opere pubbliche, fra cui l’Anfiteatro Flavio a Roma e la Via Flavia Egatia da Tiberiade a Homerita. Latinizzazione dei popoli semiti, dalla Siria al Corno d’Africa. Le città del deserto vengono pesantemente fortificate e collegate l’una all’altra da strade ed acquedotti, pattugliati da legioni di liminares montati a dorso di dromedario per evitare che qualche tribù di beduini poco collaborativi interrompa le forniture d’acqua. 
Le navi romane raggiungono per due volte Ceylon.
Nel 75 nasce a Roma il primo tempio dedicato al culto misterico di Dioniso-Siva (detto Kyriossivos). Nel 78 il primo mitreo, fondato dai reduci della guerra giudaica e dagli scontri di confine coi parti.
A Vespasiano succede il figlio Tito, anch’egli detto l’Arabo per le sue vittorie contro i beduini.

79 d.C./82 d.C. Regno di Tito. Tito, raggiunto dalla notizia della morte del padre mentre assedia la città-accampamento di Odrameia nell’estremo meridione della penisola arabica, invece di tornare immediatamente a Roma aspetta il ritorno dell’ultima spedizione commerciale in India. Celebra a Roma il suo trionfo, la sua intonazione e l’apoteosi del padre, inaugurando l’Anfiteatro Flavio (molti animali feroci provenienti dall’India e oltre vengono impiegati per questi giochi, fa i quali anche una coppia di tigri siberiane di quasi mezza tonnellata di peso l’una, le cui pelli vanno ad adornare le aquile della guardia pretoriana).
Il breve regno di Tito è un periodo di pace e consolidamento dello stato. Le regioni di più recente conquista sono definitivamente latinizzate, l’opera di edificazione di strade si concentra soprattutto in Siria e Arabia. Il copto si diffonde verso est, facendo concorrenza all’aramaico come lingua franca dei semiti. Sincretismo fra le divinità arabe e quelle ellenistico-latine: Allah-Serapide-Zeus-Apollo, Allat-Atena-Bona Dea, al Manat-Iside-Afrodite, al ‘Uzza-Ecate-Pervatia (Pervatia è la sposa di Dioniso-Siva o Kyriossivos, divinità del vino, del mare e della danza introdotta dall’India nel mediterraneo dai marinai e dai mercanti egiziani). In generale i forti legami familiari e la società basta sull’onore e sul rispetto degli arabi aiutano questo popolo ad assorbire più rapidamente la cultura latina di quella greca. Tiro e Damasco sono i centri di questa espansione culturale.
Si crea in questo periodo una triplice urbanizzazione ai confini del deserto che influirà pesantemente sulla cultura e sulle dinamiche interne all’Arabia. Il primo tipo di insediamento è la classica civitas romana, di orgine coloniale oppure autoctona. La quasi totalità della popolazione romana abita questi centri. Il secondo tipo è detto “revada”, ed è una città-fortezza semiautonoma fondata lungo le strade o nel deserto per difendere le città propriamente dette dalle incursioni beduine o straniere. Quasi tutti gli arabi che desiderano romanizzarsi passano una parte cospicua della loro vita in una di queste fortezze. La guarnigione è formata per metà da legionari e per metà da ausiliari locali. Le revade estremamente comuni e fitte nella regione dei monti arabici, che segnano il confine fra Arabia Felix, Egatia e deserto profondo. Col tempo formeranno una sorta di limes. Il terzo tipo di insediamento è la madina araba, una città-accampamento semi permanente, abitata da diversi clan beduini, soggetta a periodici cicli di spopolamento e ripopolamento.

82 d.C./96 d.C. Regno di Domiziano, fratello di Tito. Sotto questo imperatore disastroso, l’economia recede e l’Impero si indebolisce. Nel 85 Domiziano tenta una fallimentare spedizione contro il re degli etiopi Garabuta, ma deve ritirarsi in ordine sparso a nord dell’altipiano. Castragrippae assediata per due anni resiste grazie all’intervento della flotta, al comando di Flavio Clemente. Al ritorno a Roma l’imperatore sventa una congiura a suo danno architettata dallo stesso ammiraglio. 
Fra l’85 e l’88 si susseguono diverse campagne militari volte ad arginare le invasioni etiopiche. Marco Cornelio Nigrino Curiazio Materno è nominato comandante in capo delle operazione, e ricopre, di volta in volta, il ruolo di governatore del Basso Nilo, dell’Alto Nilo o dell’Ethiopia Planitia (Somalia). Alla fine di tutte queste guerre è premiato con il governatorato in Siria.
Un’altra congiura è scoperta nel 90 ed una terza riesce nel 96, ponendo fine alla dinastia Flavia.

96 d.C./ 98 d.C. Regno di Nerva. Il Senato acclama Imperatore l’anziano Marco Cocceio Nerva. Riforma dell’impero con l’introduzione della successione per adozione. In un primo momento sembra propendere per l’adozione di Nigrino Materno, governatore di Siria e vincitore delle guerre Etiopiche, ma in seguito cambia idea scegliendo come successore Traiano, generale delle legioni galliche.

98 d.C./117 d.C. Regno di Traiano. Periodo di accordo e collaborazione fra Senato e Imperatore. Nel 102, stabilitosi ormai saldamente sul trono imperiale, Traiano decide di chiudere una volta per tutte la questione etiopica, ed invade il regno di Axum. Nigrino Materno è cooptato come comandante in seconda, e prende il comando delle legioni arabiche montate a dorso di dromedario che si muovono da Castragrippae verso nord, mentre le legioni imperiali muovono da Cesarea Nilotica (*Assuan) verso sud. La campagna si conclude nel 106 con lo spettacolare assedio della roccaforte di Adua, che aveva resistito più di un secolo prima alle legioni di Lucio Cesare. L’architetto Apollodoro di Damasco (ar. Wahbshamash al Dimashqi, lat. Vapsamasius Damascenus, gr. Vapsamasios Dimaskenos, rev. Vahvreu e-Dimasqe) inventa nuove macchine da guerra per abbattere le mura e permettere ai legionari di scalare la scarpata su cui sorge la roccaforte al riparo dalle frecce e dalle rocce scagliate dal nemico. Infine la città è conquistata e il re i Axum, Menele III si suicida. L’Ethiopia diventa provincia romana, con capitale Ulpia Traiana, ricostruita sulle rovine di Axum. Il controllo romano su tutto il corso del Nilo, dal delta alle foreste equatoriali diventa assoluto. Inizia a formarsi la lingua detta “revadi”, ossia “fortezza”, un ibrido copto-latino-aramaico parlato nelle guarnigioni e nelle roccaforti romane disseminate nel deserto africano e in quello arabo (anche l’onomastica araba subisce l’influenza di quella tripartita latina: un “latan”, ossia un nome latino, viene inserito dopo l’ism e prima del nasab, che a sua volta può presentare l’ism o il latan del padre, ovvero un nome di famiglia simile a quelli latini. E.g. il nome del primo proconsole arabo d’Egatia: Awu Drusi Mohasset-Longinus b.Talha Titianus Gadianus al Barafiq; letteralmente padre-di-Druso armato-di-hasta Longino figlio-di-Talha-Tiziano oriundo-di-Gadia il-Prefetto)
Gruppi di ebrei diasporici giungono nella nuova provincia e si mescolano coi Falasici Etiopi, ebrei africani di ceppo molto antico. 
Nel 107 il re Omero di Moscatia (*Musqat, in Oman) lascia il suo regno in eredità a Roma. Traiano consolida la conquista facendo di Moscatia una grande base per la flotta araba, al comando della quale mette Nigrino Materno. 
Nel 111 Nigrino doppia lo stretto di Ceylon e giunge nel golfo del Bengala, dover rimane a commerciare e disegnare mappe per sei anni. Farà ritorno solo dopo la morte del suo Imperatore.
Nel 113 riprende la guerra coi Parti sospesa da quasi settant’anni. Motivo ne è una disputa dinastica per il trono di Armenia. Traiano porta le sue truppe in questo regno, annettendoselo, quindi prosegue verso sud, sconfiggendo più volte i Parti in una campagna lampo che lo porta a Ctesifonte nell’inverno del 114. La rapidità delle sue truppe è dovuta senza dubbio all’impiego dei dromedari come mezzo per il trasporto dei rifornimenti: lunghe carovane partono dalla Siria e dalla Palestina romane per raggiungere le truppe che stanno combattendo in Mesopotamia, che quindi non hanno bisogno di saccheggiare i territori in cui si accampano o attendere vettovagliamenti chiusi nei loro campi. Intanto una flotta romana, al comando di Marciano Callisto, equestre di origine ellenica, incrocia oltre lo stretto di Hormuz e nel Golfo Persico. Le truppe da sbarco romane annientano i resti dell’armata Partica nella regione della Perside (battaglia di Istakhr, o Istagora, estate 115).
Contemporaneamente, grazie anche alla mediazione di Nigrino Materno, l’Impero Kushan invade i territori orientali degli Arsacidi, infliggendo loro una sonora sconfitta. L’Afghanistan entra, e rimane, per secoli, nell’orbita indiana (Statue Shivaitiche a Kandahar). 
Traiano rimane in Persia per tutto il 117, quando una riscossa guidata da Vologase di Corasmia e dai suoi temibili catafratti costringe i romani a ripiegare su un confine più sicuro, lungo il Tigri. Assiria, Babilonia e Perside divengono province romane (quest’ultima controllata grazie alla supremazia navale nel Golfo Persico).
“Sono troppo vecchio per seguire le orme di Alessandro” pare avesse commentato, senza troppi rimpianti, in realtà, Traiano (e comunque Vima Cambise, imperatore dei Kushan, non era certo simile all’imbelle Sandracotto-Chandragupta…)
Traiano si ritira in Cilicia, dove sverna. Durante questa sosta però si ammala e muore in breve tempo. Non è certo se avesse davvero adottato o quantomeno scelto Adriano come successore, vista anche la forte differenza di carattere fra i due. Pare che la consorte imperiale, Plotina, avesse avuto un ruolo nel far succedere l’amante al marito…

L'Arabia Traianea(grazie ad Iacopo)

117 d.C. /138 d.C. Il Regno di Adriano. Adriano si dimostra immediatamente meno orientato al successo militare del suo predecessore. Valutando attentamente la sicurezza dei confine, decide che la Mesopotamia non è realmente controllabile, specie con i parti che si stanno riorganizzando nella regione iranica. Ordina quindi una ritirata generale oltre il fiume Eufrate (117) sul quale stabilisce il nuovo limes. Le conquiste in Arabia ed Ethiopia invece sono consolidate con l’invio di coloni romani e con l’arruolamento di provinciali nelle legioni. Adriano riforma anche l’esercito, dandogli un impianto più marcatamente difensivo e regolarizzando la posizione di quelle unità che, pur non rientrando nel tradizionale schema della legione, erano comunque inserite nelle armate (ad esempio le truppe trasportate a dorso di cammello arruolate fra i beduini, o gli ascarii eritrei). 
Adriano passa il suo intero regno in viaggio per l’impero, ispezionando l’amministrazione pubblica e le armate. Supervisiona anche la costruzione di nuove colonie e il definitivo consolidamento di un immenso limes, ossia di un vallo, che dalla foce del Reno giunga a quella del Danubio. 
Nel 118 Nigrino Materno fa ritorno dal suo lungo viaggio in estremo oriente, e viene ricevuto dall’Imperatore con tutti gli onori. Il racconto della sua spedizione rimarrà per secoli la migliore fonte su quelle terre. Fra le città e i popoli che nomina vi sono anche gli Aniani o Cinindi, ossia i cinesi . Marciano Callisto, volendo coprirsi di gloria esplorando regioni remote del mondo come Nigrino, insiste perché Adriano gli affidi un flotta e parte per l’esplorazione dell’estremità più meridionale d’Africa. Non farà mai più ritorno, ma pare che la sua legione si sia stabilita nel Madagascar costituendo un impero locale.
Nel 130 l’amante di Adriano, Antinoo, muore cadendo in mare durante una crociera sul canale augusteo. Disperato per la sua perdita, Adriano rinomina il canale in onore del giovane, ma questa titolatura non avrà mai successo. Invece sarà più duratura la città fondata dall’imperatore sulla bocca settentrionale del canale, Antinopoli (*Port Said). Qui viene eretto anche un tempio a Kuriossivos, nel quale il dio è rappresentato con le fattezze del giovane. Pare infatti che Antinoo fosse seguace di questa setta, e che anche Adriano ne apprezzasse certi sviluppi.
Nel 132 si verifica l’unico vero evento militare del regno di Adriano: i giudei di Palestina, già sconfitti e sottomessi da Tito nel 70, si sollevano al comando di Simone Bar Kokhba. L’episodio che fa esplodere la polveriera giudaica è la proibizione, da parte dell’imperatore, di praticare la circoncisione. Questa tradizione era profondamente radicata, per motivi igienici, fra tutti i popoli semiti. Una generale insoddisfazione degli abitanti arabi dell’impero fa sì che questi si riconoscano nella rivolta giudaica e si convertano in massa alla religione di Abramo (i rabbini più radicali però non vedono di buon occhio questo riavvicinamento fra Israele e Ismaele, rendendo l’alleanza meno efficiente di quanto non avrebbe potuto essere). Viceversa, gli arabi latinizzati che abitano le città lungo le vie commerciali, accettano di buon grado di smettere di praticare la circoncisione, ritenuta un retaggio barbarico. 
La rivolta era stata preparata per quasi un decennio con molto attenzione. I ribelli avevano contatti con le comunità delle province arabe, specialmente con Iatrippus e Dordona. Gli ebrei conducono una guerriglia per bande lungo il confine fra Arabia Petrense e Iudaea. All’apice della loro potenza militare, anche grazie all’inettitudine del governatore Rufo e alla ribellione delle tribù beduine, si impossessano di alcune macchine da guerra romane e le usano per assediare e in parte distruggere le fortezze di Tripoli d’Arabia e Tabucca, facendo strage di coloni. 
Nel giro di tre anni i ribelli riescono a mettere in scacco l’esercito romano ed a spingere alla sollevazione alcune comunità diasporiche (Cirene, Aleppo e i Falasici), oltre ad occupare tre intere province (Iudae, Petrense ed Egatia). La città di Mocaraba e quella di Tapsus sono conquistate e diventano il centro della rivolta. I clan beduini hanno però la saggezza di non distruggere gli acquedotti e le strade.
A questo punto la risposta di Adriano è durissima. Ordina alcuni provvedimenti per sedare le rivolte nel mediterraneo (come la proibizione per gli ebrei di educare i propri figli, che vengono sottratti loro e portati nelle nuove colonie) e chiede al governatore dell’Ethiopia di occuparsi del Falasici, che sono deportati lungo il confine più meridionale dell’impero. Questo da origine alla diaspora africana degli ebrei. 
Nell’inverno del 135 giunge in Palestina e ordina la distruzione di Gerusalemme. Spera così di provocare i ribelli ad uscire allo scoperto. Intanto altre armate si muovono da sud espugnando quelle fortezze che sono cadute in mano arabo-ebraica. Nell’estate del 136 capitola Iatrippo, che è distrutta e rinominata Aelia Arabica. Poco più tardi Bar Kokhba ordina un’ultima, disperata offensiva verso il cuore di Israele, che però si infrange contro le legioni romane. Le perdite sono ingentissime da ambo i fronti, ma la rivolta è sedata. Gerusalemme, di cui non rimane pietra su pietra, è riedifica col nome di Aelia Capitolina.
Arruolate nuove legioni, l’imperatore ordina una manovra a tenaglia a partire dall’Ehtiopia, dall’Arabia Felix e dalla Palestina, che si conclude con l’assedio di Mocaraba. La città è riconquistata ed al pesto del tradizionale tempio cubico che ospitava ne viene creato uno a Helios. L’intera popolazione araba delle province romane è sterminata o scacciata o costretta alla romanizzazione. Bande di guerriglieri arabo-romani effettuano incursioni a lungo raggio nel deserto avvelenando i pozzi tanto necessari ai beduini
Dopo la fine della rivolta semitica Adriano ordina che le difese contro i nomadi del deserto siano potenziate. Il numero di revade raddoppia, ed in alcune zone dei monti arabici si edificano anche strutture di difesa permanenti.
Durante la rivolta i cristiani di Siria e Palestina si rifiutano di prendere parte alle battaglie come soldati, e la persecuzione antiebraica si abbatte anche su di loro.
Gli ultimi anni di Adriano sono angustiati da una malattia dolorosa e dalla morte di tre dei suoi successori adottivi. Così, quando le sofferenze dell’imperatore si concludono nel 138, la scelta cade su Antonino, un senatore enormemente ricco, al patto che questi adotti a sua volta due favoriti di Adriano: Lucio Vero e Marco Aurelio. 
Adriano si spegne nell’estate del 138.

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138 d.C./ 161 d.C. Il Regno di Antonino. La grande ricchezza e prosperità raggiunte dall’impero dipendevano dallo stato di pace in cui si trovava. Il regno di Antonino fu l’ultimo pacifico nella storia di Roma. Antonino fu un amministratore eccezionale, tanto da lasciare, malgrado le enormi spese dovute ai suoi progetti edili, molta liquidità nelle casse dello stato. Godette anche di un certo prestigio presso i popoli limitrofi ai confini romani, tanto che fu chiamato più volte a risolverne i conflitti, facendo da mediatore fra i vari popoli. Ad esempio nel 145 mediò una pace negoziale fra il re dei Daci Barzane e il re dei Taurosciti Remetalce, riguardo alla disputa sulla città di Olbia. 
Ebbe anche degli scambi di ambasciatori con i Kushan che in quel periodo stavano consolidando il loro potere sull’India settentrionale, scacciando verso sud i Parti di Taxila.
È anche ricordato per il suo grande rispetto per il Senato, verso il quale si comportò sempre con deferenza, senza neanche di tentare di risolvere i problemi con la forza come i suoi predecessori. 
Gli unici fatti d’arme del suo regno riguardano un certo numero di rivolte, specialmente in Africa, Egitto ed Etiopia. 
L’opera maggiore per la quale si ricorda il regno di Antonino è la costruzione di centinaia di miglia di strade e acquedotti nelle regioni del Mare Arabico. Homerita specialmente divenne un centro economico e religioso di grande prestigio, mentre le scarse acque dell’altipiano arabo meridionale venivano imbrigliate per permettere lo sviluppo di un’agricoltura moderna ed efficiente. In onore dell’imperatore e per il grande numero di templi dedicati alle più diverse divinità, la città prese il secondo nome di Pia. Opere simili furono anche realizzati nella provincia del Nilo, dove le città di Masava e Tiberiade (estremi della Via Augusta) divennero centri fiorenti. Dopo le devastazioni della Grande Rivolta, le regioni meridionali del Mar Rosso tornavano a fiorire. Per implementare tutte queste grandi opere infrastrutturali Antonino fece importare schiavi dalla parte meridionale del continente e dall’India.
L’uso estensivo del cammello permise infatti ai mercanti romani di attraversare il Sahara e spingersi fino alle regioni equatoriali via terra, mettendosi in contatto con i primitivi imperi del bacino del Niger. 
Antonino lasciò, alla sua morte, un regno ricco ma pronto per l’inevitabile discesa, ai suoi due eredi: Marco Aurelio e Lucio Vero.

161 d.C./ 180 d.C. Il Regno di Marco Aurelio. Da principio Marco Aurelio divise il potere con in fratello adottivo Lucio Vero, in un sistema collegiale di autorità. 
Poiché i Parti Arsacidi avevano ripreso vitalità e minacciavano il confine romano, Lucio vero fu mandato al fronte fin dal 162. Si dimostrò essere un buon comandante, capace di usare al meglio non solo le truppe ma anche i generali che aveva a disposizione. Tuttavia non fu tentata nessuna invasione della Mesopotamia, e la città di Nagaffa, saccheggiata dai Parti, non fu ricostruita. Da questa campagna in avanti i romani si affideranno, per la sicurezza del confine asiatico, alla loro familiarità con le tribù beduine del nord piuttosto che ad un limes troppo costoso da difendere nel deserto. Un altro smacco strategico fu il naufragio della flotta romana nel Golfo Persico. In realtà fu una tempesta, e non la superiorità delle navi nemiche, a indebolire la flotta, ma da questa campagna in poi le navi romane non supereranno più lo Stretto di Hormuz per almeno quattrocentocinquanta anni (fino cioè alla campagna di Eraclio il vecchio). 
Un altro segno di debolezza della flotta romana fu la sua incapacità di venire a capo del problema dei pirati Mauri, che dalla costa atlantica africana partivano per saccheggiare l’Hiberia e la Lusitania. I porti dei pirati infatti dovettero essere assediati da terra, dopo marce lunghissime ed estenuanti nel Sahara occidentale.
Nel 166 iniziarono una serie di guerre sul fronte reno-danubiano che durarono per quindici anni, e provarono duramente le capacità militari dei romani. Nei primi due anni gli invasori (una confederazione di undici tribù germaniche guidate da Quadi e Marcomanni) tentarono di saccheggiare la provincia di Pannonia, venendo sempre respinti a durissimo prezzo. Su questo fronte si impegnò anche l’imperatore Lucio Vero con i suoi veterani orientali, che oltre ad una notevole esperienza militare portarono nei campi di battaglia pannonici la peste.
Nel 168 la prima ondata di invasori è respinta e sconfitta da una spedizione punitiva. Marco e Lucio rientrano a Roma per svernare, ma prima di che siano giunti ad Aquileia Lucio muore, forse di infarto, lasciando Marco Aurelio unico imperatore.
Negli anni 169 e 170 la guerra riprese con grande intensità nella parte più orientale del limes. I Marcomanni e i loro alleati invasero la Dacia, i cui tre popoli si divisero tra filoromani e filogermanici. La guerra fu combattuta per lo più a nord del fiume Danubio, che segnava il confine dell’impero, ma ebbe ugualmente un costo immenso per le esauste forze militari romane. Infine in questa regione intervenne lo stesso imperatore accompagnato dal suo consigliere militare Pompeiano, riuscendo a respingere l’invasione e mettendo un fantoccio filoromano sul trono di Dacia. Fatto questo Marco Aurelio varcò il limes per rendere definitivamente sicura la frontiera, cercando di sottomettere l’intera Dacia e di strapparla agli Iazigi (un popolo sarmatico fortemente germanizzato).
Ballomar, re dei Marcomanni, scelse proprio questo momento per invadere il Norico e la Pannonia, sfondando il fronte romano e annientando un’armata di ventimila uomini, per poi assediare Aquileia, in suolo italico. Marco Aurelio interviene con una operazione lampo, accompagnato da Pompeiano e Pertinace, e respinge definitivamente i Marcomanni oltre il limes. 
L’anno seguente, anche usando in maniera innovativa la flotta fluviale danubiana, i romani respingo gli Iazigi nella pianura ungherese, e si mettono all’inseguimento dei popoli nemici. Nel 172, inoltratosi per decine di miglia in territorio germanico, Marco Aurelio sconfigge definitivamente i Quadi e manda il loro re Ariogeso in esilio a Nistus. 
Nel 174 l’imperatore-filosofo riprende la guerra contro gli Iazigi in Dacia. Migliaia di profughi daci infatti stanno attraversando il limes in cerca di protezione dai terribili cavalieri delle steppe, che, negli anni delle guerre marcomanniche, hanno avuto modo di consolidare il loro potere nella pianura ungherese e in Dacia. Marco Aurelio varca il limes e tenta più volte di spingere le sue legioni contro i barbari, ma questi usano sistematicamente la tattica della terra bruciata: l’esercito romano non può spingersi in profondità nel territorio nemico. Marco Aurelio non è soddisfatto, vorrebbe conquistare la capitale, ma sa che questo richiederebbe uno sforzo ed un sacrifico immensi. Inoltre il governatore di Siria Avidio Cassio si è appena ribellato, autoproclamandosi Imperatore di Sira ed Arabia, e molte province lo stanno seguendo. Questa ribellione viene stroncata sul nascere da un gruppo di legionari etiopi fedeli all’imperatore, che assassinano l’usurpatore, ma comunque rende meno stabile la situazione di Marco Aurelio. 
Nel 177 riprendono le ostilità a nord: Iazighi e Quadi, alleati, hanno trovato la forza necessaria ad invadere le province di Pannonia e Mesia. Marco Aurelio accorre dall’Oriente, dove stava sedando le ultime rivolte causate dalla secessione di Cassio, con un’armata di Etiopi e Arabi. La situazione è disperata, ma la pelle scura e le strane cavalcature dei soldati romani spaventano gli invasori. Per una strana coincidenza infatti i demoni dell’oltretomba germanico sono rappresentati con la pelle del volto nera come la pece, a cavallo di mostri dal lungo collo che emettono suoni terribili. Malgrado i cammelli non siano buone cavalcature da utilizzare in battaglia, Marco Aurelio li schiera sempre in prima fila in questa campagna, seminando il terrore nelle truppe nemiche. Così i romani possono invadere la pianure del Tisza ed espugnare la fortezza degli Iazigi. Diecimila dei loro cavalieri, presi prigionieri, sono inviati come ostaggi in Britannia. 
Questa brillante vittoria spinge Marco Aurelio a scrivere il più bel capitolo delle sue riflessioni, quello riguardante la superstizione, che diventa una pagina classica dello stoicismo romano. Purtroppo è anche l’ultima dei suoi “Soliloqui”, perché, infettato dalla peste che ormai è endemica nelle legioni, si spegne a Vindobona nel 180. Gli succede il figlio Comodo.

180 d.C./ 192 d.C. il regno di Commodo. Commodo non fu un buon imperatore. Nei suoi dodici anni di regno scese un centinaio di volte nell’arena coi gladiatori, offrendo uno spettacolo patetico alla plebe, ma pretendendo di essere pagato ogni volta un milione di sesterzi. Viceversa condusse una sola campagna militare contro i Marcomanni, ottenendo un sostanziale pareggio ma avanzando la pretesa di celebrare un trionfo. La gestione del confine e soprattutto del delicatissimo problema dei profughi Daci che si erano riversati in Mesia fu lasciata al generale Pertinace.
Commodo perì in una congiura: il suo allenatore (egli infatti praticava diversi metodi per essere sempre al meglio nei suoi spettacoli gladiatorii) lo trasse in inganno con degli esercizi spossanti,e quando non fu in grado di reagire, lo soffocò. 
La porpora imperiale, come tutte le faccende meno desiderabili di quel periodo, ricadde sulle spalle del generale Pertinace.

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Digressione: sviluppo del Cristianesimo

Qui di seguito è presentata una cronologia del cristianesimo nel primo e nel secondo secolo, fino a Filippo l’Arabo.

26/36: Pontio Pilato, un magistrato della nuova leva degli etiopi romanizzati (come mostra il suo nome: Pontio <-Punt, nome etiopico della Somalia) viene inviato in Palestina per tentare di romanizzare la popolazione, ma ha solo un successo molto limitato. In seguito la predicazione e la passione di Gesù saranno collocate sotto di lui. La figura di Ponzio Pilato sarà poi fortemente mitizzata, facendolo addirittura discendere da Cam o da Caino. Viceversa sarà elevata alla santità dalla Chiesa Etiope, che vedrà nel suo “lavarsi le mani” il primo battesimo di desiderio.
36: secondo la tradizione si organizza la prima comunità di discepoli diretti del Cristo.
36/38: prima timida diffusione dei cristiani in Siria-Palestina. Persecuzioni anticristiane.
38: Paolo di Tarso e Simone il Mago abbracciano il cristianesimo.
39: Simone cerca di comprare la capacità di fare miracoli da Pietro e viene allontanato.
42: Marco, seguace diretto di Pietro, fonda la chiesa di Alessandria.
44: Pietro fonda la sede apostolica di Antiochia, aperta ai gentili. Paolo la affida al levita diasporico Barnaba (Awunabi) di Cipro. Nello stesso anno Erode fa uccidere Giacomo Maggiore, uno dei fondatori della chiesa di Gerusalemme.
49: Concilio di Gerusalemme. Vi partecipano gli Apostolo più Paolo e Barnaba in rappresentanza della sede di Antiochia. All’inizio pare che il concilio debba dare ragione a Giacomo Minore, ma in seguito attraverso Simone giungono notizie sui preparativi bellici degli Esseni, e il partito di Paolo prevale. I Cristiani si separano dall’ebraismo, e i gentili convertiti non si dovranno circoncidere.
50: Paolo a Corinto, persecuzione dei giudei a Roma, inizio della compilazione delle vite di Gesù.
Prima divisione all’interno della comunità di Antiochia, dove Nivola afferma che Gesù non è Dio.
51: Paolo scrive la sua prima lettera ai Tessalonicesi, il primo testo cristiano.
58: Paolo viene catturato a Cesarea.
60: Andrea è martirizzato mentre predica in Grecia
62: grande ondata di persecuzioni neroniane contro la comunità di Gerusalemme. Giacomo il Minore è martirizzato e la comunità dispersa. I cristiani gerosolomitiani si rifugiano presso le chiese dell’Asia Minore fondate da Paolo. La persecuzione colpisce anche Alessandria, dalla quale un piccolo gruppo di cristiani fugge in Etiopia. Tommaso, uno degli apostoli capi della comunità di Gerusalemme, si reca prima ad Antiochia quindi in Persia.
64: Grande incendio di Roma: feroce repressione della comunità cristiana di quella città.
64/68: A Roma sono martirizzati Pietro e Paolo. Lino, un romano, diviene capo della chiesa di Roma.
55/70: stesura del vangelo secondo Marco, il vangelo più antico, che riporta la predicazione di Pietro a Gerusalemme e di Marco ad Alessandria.
67: Lazzaro fonda la chiesa di Calliena (Kalyan, nel territorio dei Satrapi Occidentali)
70: Tito annienta Gerusalemme. 
70/80: Stesura dei vangeli di Matteo e Luca
77: Martirio di Licio a Roma
80ca: Amazio (Hamza) porta il Vangelo di Marco alla comunità etiopica, che inizia un’intensa predicazione. Prima persecuzione specificamente mirata contro i Cristiani.
81/96: governo di Domiziano. Giovanni in esilio a Patmos scrive il suo Vangelo e la sua Apocalisse, redatti fra il 90 ed il 100
88/97: Clemente vescovo di Roma, scrive le sue Lettere ai Corinzi.
100: muore Giovanni, l’ultimo degli apostoli e l’unico a morire di vecchiaia. Finisce così l’epoca apostolica. 
111: Rescritto di Traiano
132/136: Grande Rivolta Semitica: persecuzioni contro i cristiani di Siria, distruzione di Gerusalemme. Molte comunità siriane si trasferiscono nel deserto arabo o in oriente. Conseguentemente l’episcopato alessandrino guadagna consensi.
150ca: prima disputa sull’accettabilità dell’Antico Testamento (eresia Marcionita, vedi sotto), la chiesa di Roma subisce uno scisma profondissimo, che mette duramente alla prova le sue possibilità di sopravvivenza: il cristianesimo è minacciato di assorbimento dallo gnosticismo.
156: Inizia la predicazione, in Frigia, di Montano, un santone e profeta che afferma la superiorità del carisma profetico su quello sacerdotale ed episcopale. Il vescovo di Roma non lo condannerà fino alla sua morte.
175: Panteno è il primo docente riconosciuto dalla scuola di catechismo e teologia ad Alessandria.
177: Martiri di Lione: il cristianesimo penetra nella parte occidentale dell’Impero.
190: Clemente inizia ad insegnare ad Alessandria. È considerato alternativamente un santo o il fondatore della gnosi cristiana.
202: Settimio Severo proibisce il proselitismo cristiano e perseguita la comunità di Alessandria. Clemente fugge e Roma, e gli succede Origene. 
215ca: opera missionaria dei Santi Dolicheni in Siria, Armenia e Media, sulle tracce dei vescovadi fondati dall’apostolo Tommaso un secolo prima. Il cristianesimo si afferma in medio oriente, e trova ospitalità presso i primi Sasanidi.
220ca: la comunità indiana di Calliena lascia in massa la sua sede e si trasferisce nell’estremo sud della penisola, forse per sfuggire a qualche persecuzione o all’instabilità politica della regione. Di qua si diffonderà i tutto il golfo del Bengala, soprattutto presso il delta del Gange
220/224: una guerra intestina di quattro anni divide le tribù arabe. I clan cristiani vengono perseguitati dai beduini pagani e scacciati nella città meridionale di Nigritia. 
230ca: Una spedizione missionaria guidata da S.Maurizio parte da Alessandria per mettersi in contatto con le comunità indiane, ma non riesce a mettersi in contatto con esse. La maggior parte dei missionari vengono martirizzati dai despoti del Gujarat.
Intanto i cristiani d’India mettono radici nel Bengala, sviluppando la tendenza eretica detta “calenismo”: Cristo sarebbe stato in origine l’Uomo perfetto che avrebbe “chiamato” in se e nel mondo la divinità. Interpretando in maniera allegorica il “vi ho chiamato amici”, i caleniani pensano di poter divenire “come” Gesù. Il termine “philè” entra nel lessico filosofico indiano. Intanto il vangelo a disposizione di questa comunità si altera fino a non essere più riconoscibile. 
243: Sant’Egadèo (Iyad) di Nigritia riconverte al cristianesimo i Bani Sadin dell’Arabia Settentrionale, permettendo al cristianesimo ed alle sue eresie di diffondersi fra le tribù arabe.
244: diviene imperatore Filippo l’Arabo, crisitiano. 
250: A questo punto si erano venuti a formare tre grandi “poli” attorno ai quali ruotava la diffusione del cristianesimo: Roma, Antiochia e Alessandria. Il cristianesimo era diffuso nella maggior parte delle città dell’Asia Minore e della Siria, e in molti altri centri dell’Impero. Le comunità asiatiche erano attratte dal polo Antiocheno, che quindi estendeva la sua influenza dall’Ellade (non cristiana, per lo più) alla Persia, dove c’erano più di venti vescovadi.
Le comunità africane, arabe e della seconda ondata indiana si riferivano invece alla chiesa di Alessandria, che nei primi secoli fu senza dubbio la più vivace. I missionari diffondevano la nuova religione sulle vie mercantili, sia di terra che di mare, portando la buona novella anche oltre i confini dell’impero. Prova ne è la conversione del re di Meroe, un sovrano dell’alto corso del Nilo, primo re cristiano della storia. In Etiopia specialmente prese piede la nuova religione: qui le persecuzioni arrivavano raramente e più smorzate. Inoltre le legioni africane erano quelle più fedeli e disciplinate, e molti erano in esse i conversi. Gli imperatori militari, quindi, preferirono non alienarsi questi ottimi soldati. Malgrado questo, il cristianesimo non ebbe, fino a Costantino, una grande diffusione nelle legioni. Anche in Etiopia la percentuale di cristiani era attorno al trenta percento del totale. L’adorazione di Sol Invictus era la vera religione dell’esercito, e il Mitraismo era la religione dei soldati. 
Entrambe queste branche della Chiesa usavano per lo più i vangeli di Marco e Matteo, che furono quindi i primi ad essere tradotti in copto, siriaco, persiano e revadico. Anzi, fu proprio la preminenza alessandrina piuttosto che antiochena sui cristiani arabi a permettere a questa lingua di assumere la sua struttura definitiva insediandosi su entrambe le sponde del Mar Rosso. L’adozione della lingua revadi in Arabia segna l’ingresso della penisola nella sfera d’influenza egiziana. 
La sede apostolica di Roma estendeva la sua influenza sulle chiese d’Italia, di Iberia, delle Gallie e d’Africa (benchè queste ultime fossero state probabilmente fondate da missionari egiziani). Adottava per lo più il vangelo di Luca, ma conosceva anche gli altri tre. Fu la comunità che dovette subire più persecuzioni e più a lungo, essendo ancora elevatissimo il numero di pagani in Occidente. Forse proprio a causa di questo, o forse perché si trovava piantata nel cuore dell’Impero, essa assunse lentamente un predominio se non altro morale sulle chiese orientali.
Esistevano anche altre due sedi apostoliche, entrambe piccole e povere di fedeli e di intelletti: quella di Patmos-Efeso, fondata dall’apostolo Andrea, che raggruppava le sparute comunità dell’Ellade e quella di Gerusalemme-Cesarea, fondata da Giacomo Minore, ormai in rovina dopo le devastazioni della Grande Rivolta.
Infine esistevano alcune comunità cristiane isolate. Esempio classico è quella indiano-lazarita (mentre quella indiano-tommasea faceva capo alla chiesa di Alessandria), così come la comunità cristiana delle isole britanniche, fondata da San Giuseppe di Arimatea.

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Digressione: la Mappa di Nigrino Materno

Al ritorno dalla sua missione di commercio ed esplorazione nell’estremo oriente Nigrino fece disegnare diverse copie delle sua personale mappa navale, una per ciascuno degli alti dignitari dell’impero. Ne ricevette una ogni governatore provinciale per l’anno 119, una ogni senatore, una per ciascuno dei due consoli, sempre per il 119 e una per ciascuno dei prefetti. Per l’imperatore Adriano furono prodotte cinque splendide copie, ciascuna resa unica dai disegni di un artista diverso (tre artisti provenivano dall’Impero, gli altri due erano calligrafi cinesi imbarcati da Nigrino). Ricordando l’amore per le biblioteche di Traiano, Adriano fece produrre a sue spese altre cinque mappe da destinare alle biblioteche sovrane di Roma, Pergamo, Alessandria, Tiro e Homerita. 
Di tutte queste mappe non rimangono che alcuni frammenti: Quella donata al governatore di Britannia ci è giunta in parte, perché fu seppellita, insieme ad altri libri e carte, da un gruppo di monaci per salvare la misera biblioteca di un convento sulla costa inglese, in un terreno torboso. Altri frammenti vengono dalla Biblioteca Traiana, e mostrano la titolazione ad Aureliano cancellata malamente e sostituita da una a Commodo. 
Malgrado gli originali siano andati sostanzialmente perduti, rimane una grandissima testimonianza epigrafica. Il governatore di Arabia Felix fece infatti incidere una copia della mappa su una lastra di marmo, usando il tipico sistema arabo di trasmissione delle testimonianze. In epoca successiva, Costantino fece tagliare l’incisione e la fece trasportare a Costantipoli, la sua nuova capitale sull’isola di Rodi. Poiché gli artigiani scalpellarono rozzamente lungo il alto inferiore della lastra, non sappiamo esattamente quando a sud si spinse Nigrino. C’è chi dice fino alle Mauritius.
Nell’angolo nord-ovest si trova indicata chiaramente la città di Damasco, in Syria, provincia della quale Nigrino fu governatore prima di imbarcarsi per la sua grande spedizione. Più a sud notiamo che Africa ed Arabia erano mappate molto grossolanamente, anche per l’epoca. La dimensione del Sinai è sovrastimata, il Mar Rosso scende lungo un asse perfettamente orientato nord-sud e il corso del Nilo, a sud di Cesarea Nilotica è sbagliato. La costa orientale araba invece è molto più precisa, salvo poi incorrere in un errore tipico dei geografi classici: il Golfo Persico è sovrastimato in latitudine, venendo così rappresentato come un mare interno quasi quadrato. 
La costa asiatica meridionale, fio al Gujarat, è pressoché fedele. Questi territori sono segnati come appartenenti al “Rex Kosianus” o “Magnus Kosianus Kambises”. È possibile che Nigrino ritenesse i Kushan essere una branca del popolo persiano. 
La penisola del Gujarat è rappresentata in modo totalmente errato: vi è una specie di mare interno (“Sinus Indicus”) con due isole (“India Minor” e “India Salina”) al suo interno. L’intera regione è segnata come “Ariaca” e una nota proveniente dalla Mappa Adriana, fortemente corrotta, sembra accennare al fatto che i sovrani di questa regione fossero Saci. In ogni caso nei secoli seguenti questa regione fu visitata talmente spesso dai romani che il suo regno e la sua cultura divennero abbastanza noti, quindi forse il riferimento ai Saka è successivo. 
La regione a sud, cioè l’India peninsulare, non presenta troppe distorsioni,a parte un’accentuata curvatura della linea di costa verso est. Lungo la costa sono segnate le foce dei fiumi ed alcune città (“Indiae Pars Partica”, probabilmente il regno dei Pallava dove Nigrino scoprì che la sua infarinatura di persiano era compresa), mentre l’interno ovviamente non è mappato e riporta la segnatura generica di “Indiae Pars Ignota sive Deciana”. 
L’estremità meridionale del subcontinente indiano è fortemente deformata. Presenta una lunga penisola che in realtà non esiste, ed una catena di isole che conducono dal continente allo Sri Lanka, che a sua volta è rappresentato pressappoco con le stesse proporzioni dell’Italia… L’intera regione è segnata “Regnum Kallokalos Ciaulae” con capitale “Orpetopolis”. Sono anche segnati i regnhi di “Pandae” e “Kerai” e la città di “Mandurae”. In una nota proveniente dalla Mappa Adriana leggiamo: “Hic locuta Camilla lingua ignota”. Forse è Nigrino si riferisce qui al Tamil.
Più a nord è segnata la “Indiae Satavi Pars” con capitale “Amor Vanus”. Forse qui Nigrino si è lasciato prendere la mano… Interessante comunque il frammento proveniente ancora dalla Mappa Adriana: “Pars originis Solis Invicti sive Polibrachicos Haelios qui indice Visianus Siva appellatur”. 
Tutta la regione a nord del regno Satavahana è talmente corrotta da far pensare che sia opera della fantasia, anche se alcuni particolari minori combaciano con la realtà.
Seguendo le rotte aperte da Nigrino Materno i romani poterono commerciare intensamente con l’india, impararono il Tamil, il Praktri e il Maharatthi, , conobbero il buddismo e il culto di Shiva. Aureliano, dopo la vittoria contro il regno di Palmira, si farà rappresentare nel tempio di Serapide, come un dio dalle sei braccia, ciascuna stringente un oggetto-simbolo di una regione dell’impero. 
Viceversa i regni indiani ricevettero dai romani alcune tecniche di fabbricazione che renderanno i loro templi più robusti nei secoli, il cristianesimo ed il culto di Mitra e Borea. 
Durante la crisi del terzo secolo alcuni emigranti romani si stabilirono addirittura sul suolo indiano, dando origine al breve regno indo-latino di Lumaha.
Le navi romane, malgrado fossero state migliorate ulteriormente dopo l’apertura del canale, non poterono mai spingersi oltre il Bengala, e soprattutto furono sempre soggette a disastrosi naufragi causati dai monsoni. 
Il commercio indiano iniziò a decadere verso il terzo secolo, per poi quasi esaurirsi. Ebbe una breve riforitura sotto Giustiniano in epoca rodiese, per poi cadere definitivamente in mano araba. Quando possibile fu preferita la via attraverso il Golfo Persico e ma Mesopotamia, ritenuta più rapida e sicura. In alcune epoche furono anche aperte le vie terrestri che passavano per la Persia o l’Asia centrale, aggirando il Caucaso a sud oppure a nord.

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Digressione: la fine dell’Impero Indo-Partico e l’Impero Indo-Kushano: la questione centroasiatica

Intorno al 135 a.C. una tribù di indoeuropei, forse Tocari, respinti dal bacino del Tarim dagli invasori Unni, aveva invaso la Battriana e ne aveva scacciato gli ultimi sovrani, creando una nazione che andava dal Punjab al Tajikistan al bacino dell’Oxus. 
Fiorirono a partire dal primo secolo, assimilando la cultura ellenistica dei loro predecessori. Quasi contemporaneamente i discendenti del satrapo Gondofare fondavano una nazione partica in India, con capitale Taxila. Poco alla volta i Kushani erosero il territorio dei Parti, portando nela propria area di influenza l’area delimitata a nord dal Tarim, ad est dal deserto del Thar e dal bacino del Gange e a ovest dai monti dell’Iran orientale.
Il primo dei grandi imperatori Kushan fu Heraios, che adottò un nome chiaramente greco e si convertì allo Shivaismo. Salì al trono nell’1 d.C. e regnò fino al 30 circa, passando la maggior parte del suo regno in guerra contro gli sciti o i parti. I suoi due successori continuarono la sua politica di opposizione ai popoli nomadi, e strinsero alleanza coi cinesi Han, portando loro aiuto contro i Sogdiani e gli Unni. Subirono tuttavia delle pesanti sconfitte sul suolo indiano da parte degli indo-parti, tanto che fra il 65 d.C. e il 75 d.C. dovettero abbandonare anche una delle loro capitali. Più tardi però, sotto il regno di Kujula Cambise, cambiarono il loro vecchio sistema militare, tipico dei popoli della steppa, in quello parto-ellenistico, basto sulla falange e sulla cavalleria pesante. Passarono così alla riscossa riprendendo i territori perduti e respingendo gli indo-parti nell’estremo meridione dell’India. 
Nel 105 salì al trono Vima Cambise, ultimo degli imperatori Kushan a praticare lo shivaismo. Egli ammirava molto l’impero dei Romaioi dei quali sentiva parlare dai mercanti che sempre più frequentemente approdavano ai porti del suo regno presso la foce dell’Indo. Inoltre pensava ad una eventuale alleanza con quella potenza straniera in funzione anti-persiana. Quando giunsero alla corte di Kapisa notizie riguardanti le strabilianti vittorie di Traiano in medio oriente, Cambise decise di attaccare i Parti alle spalle, sconfiggendo diversi satrapi e annettendosi Sakastan, Ariana e Margiana. Quando Traiano decise di non andare con le legioni oltre Istagora, Cambise, ammirato dal suo genio militare e dalla superiorità dei romani sui nemici tradizionali dei Kushan, gli scrisse una lettera, conservata a noi dagli storici romani e da quelli indiani. Era composta e recapitata in cinque lingue, tre delle quali note ai romani (aramaico, gandhari, greco, persiano, sanskrito) e descriveva la grandezza e la potenza del regno Kushan e dei suoi vassalli (includendo fra di essi popoli in realtà indipendenti, come i Satavahana, i Pandya o addirittura i Cinesi), nonché le loro ricchezze, offrendo ai Romani amicizia eterna. Il significato della lettera è dibattuto, è possibile che Cambise volesse spaventare Traiano descrivendo le ingenti risorse a sua disposizione, o attirare la sua attenzione sulla possibilità di aprire nuove vie commerciali. Sembra certo che l’imperatore Kushan ignorasse l’esistenza del Mar Rosso, visto che fa riferimento solo al porto romano-arabo di Moscatia. Traiano comprese immediatamente la grande opportunità offerta a Roma, ed aprì relazioni diplomatiche amichevoli inviando a Cambise gladii e loricae sufficienti ad armare un’intera legione. Il re orientale rispose donando all’imperatore mille cammelli, mille cavalli sceltissimi e trecento elefanti.Kushan, Parti e Han, CLIC PER INGRANDIRE (grazie ad Iacopo)
Nel 127 Cambise muore e gli succede al trono il figlio Kanishka. Egli controllava un impero esteso dai confini meridionali della Sogdiana fino al Sakastan ed al Mare Arabico, comprendendo anche tutta l’India settentrionale, dalla valle del Gange fino al regno dei Satavahana del Deccan. Le città lungo la via della seta centrale (Khotan, Kucha, Laodicea e Turfan) gli versavano tributo, così come i satrapi Saci del Gujarat.
Questo immenso territorio era amministrato da due capitali: Purushapura o Pushklavati (Peshawar), nel Punjab, e Mathura, nella valle del Gange. A queste si aggiungevano la residenze estiva dell’Imperatore, Kapisa o Bagram (Kabul) e la sede dell’esercito Bathinda (Aquae Indiae nella mappa di Nigrino Materno). Vi si parlavano molte lingue differenti: greco e aramaico erano in declino, mentre le lingue arie (persiano e prati-gandhari, principalmente) erano più diffuse. Gli atti ufficiali erano compilati in un greco modificato o in sanscrito. Nel territorio dell’impero si praticavano quasi tutte le religioni del mondo: vi erano alcune tribù zoroastriane, praticanti dell’antica religione vedica e dello shivaismo, moltissimi buddisti, cristiani fuggiti dalle persecuzioni in occidente, alcuni monasteri taoisti, i primi manichei e ovviamente gli adoratori delle divinità tradizionali greche, kushane e arie. Kanishka tenne sempre un atteggiamento non solo di tolleranza, ma anche di apertura verso tutte le religioni, pagando a volte di tasca propria la ristrutturazione di qualche monastero o la riproduzione-traduzione di qualche codice. Personalmente era buddista, ed ebbe sempre un interesse particolare per la dottrina di questa fede. Patrocinò anche un grande concilio tenutosi nel Gandarha, durante il quale avvenne la frattura storica fra buddismo di palazzo (Mahayana) e buddismo Theraveda. In conseguenza del grande prestigio raggiunto grazie all’alto patrocinio imperiale, il buddismo si diffuse ampiamente nell’Impero Kushan, diventando la religione di maggioranza.
L’unico episodio di intolleranza religiosa imputabile a Kanishka è talmente singolare che forse è necessario raccontarlo per intero. 
Nel 140 maturò il desiderio di impossessarsi delle città che controllavano la Via della Sete orientale (Dunhand, Anxi e Wuwei), all’epoca controllate dai cinesi Han. Sapeva però che per le sue armate, prive di macchine da guerra, sarebbe stato impossibile espugnare quelle fortezze pesantemente difese, oltretutto circondate da un territorio deserto dove i suoi uomini avrebbero trovato difficilmente approvvigionamento. Decise quindi di mandare un gruppo di saggi ad Alessandria d’Egitto per comprare dai Romani progetti e schemi di quegli strumenti bellici che avevano impiegato contro i Parti. La spedizione era composta da tre monaci buddisti, Sasa Devi, Dharmapakkha e Milinda, appartenenti rispettivamente alla scuola sarvastivada, alla scuola mahasanghaya e alla scuola vibhaijavada. Dharmapakka morì durante il viaggio, e gli altri due, entrambi shthaviravada, quindi di minoranza, giunsero ad Alessandria dopo un anno di viaggio. Qui presero la decisione di rispettare i propri voti di pacifismo e rifiutarono di occuparsi di arte bellica. Depositarono alcuni testi che avevano portato con se, tradotti in persiano, e ne copiarono altri dai bibliotecari (alcuni testi stoici, il Timeo ed Euripide). Tennero lezioni pubbliche e confronti con i grandi pensatori aristotelici, i cui testi circolarono a lungo, influenzando tra l’altro Ammonio Sacca e Plotino. Ma quando tornarono in patria, dopo tre anni di viaggio, non portavano con se quanto Kanishka desiderava. Egli, irato, li fece mettere entrambi a morte, ma Sasa Devi si salvò con una rocambolesca fuga e scappò in Cina. Subito dopo però nell’Impero Kushan si scatenò un’ondata di rigetto verso il buddismo theraveda, che fu marginalizzato ed espulso dai principali centri culturali. Il Canone Pali fu dichiarato eterodosso, e sopravvisse solo in Ceylon e nelle comunità ai limiti dell’impero. Forse la persecuzione avrebbe potuto inasprirsi, ma nel 147 Kanishka morì.
Il periodo successivo alla morte di Kanishka vide il consolidamento dello stato, che perdette alcuni territori di confine, come il Gujarat o le città della via della seta, ma si rafforzò al proprio interno. I tre “buoni imperatori” di questo periodo (Vanishka-Banixes, Huvishka-Oixes e Vasuveda-Bosudeo) continuarono a praticare il buddismo Mahayana, finendo per accettare le altre scuole purché non sollevassero dispute coi loro protetti. . I commerci con Roma raggiunsero il massimo nel secondo secolo, poi tutti e quattro gli imperi eurasiatici entrarono in crisi nel giro di pochi decenni, ed il traffico mercantile ne ebbe ovviamente a risentire. 
La parte occidentale dell’impero Kushan fu annesso dai Sasanidi dopo la Battaglia del Canale, presso Marv, mentre i popoli della pianura indiana si ribellarono ed ottennero l’indipendenza uno dopo l’altro. I Kushan continuarono una guerra di confine con i Persiani per alcuni decenni, poi caddero sotto l’invasione degli Eftaliti. Lo stato Kushano risorse poco dopo nella forma del regno indo-unno dei Kidara, ma non raggiunse il successo dei suoi predecessori.
Il maggiore retaggio Kushan fu la penetrazione del buddismo mahayana nell’impero sasanide e nel bacino del mediterraneo.

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I Severi: l’impero ellenizzato e semitizzato

Pertinace (192/193). Pertinace rimase per poco meno di due anni sul trono imperiale. Quando gli giunse la notizia della nomina era impegnato a sconfiggere i Daci che stavano saccheggiando Mesia e Tracia. Ben sapendo che la porpora imperiale sarebbe stata per lui come la camicia donata da Deianira ed Eracle, tirò la campagna per le lunghe, cercando di ritardare il più possibile la sua nomina a Roma. Infine, sconfitti i barbari e inquadratili in tre nuove legioni, tornò a Roma, dove lo attendevano i pugnali dei pretoriani.

Didio Giuliano (193). Assassinato il povero Pertinace, la guardia pretoriana mise letteralmente all’asta il titolo imperiale, che fu acquistato per venticinquemila sesterzi dal ricco senatore Didio Giuliano. Gli eserciti provinciali però rifiutarono questa nomina, e si ribellarono. I tre generali più rinomati, Clodio Albino di Britannia, Pescenio Nigro di Siria e Settimio Severo subentrato a Pertinace al comando delle legioni Illiriche, puntarono su Roma. Fu quest’ultimo a prevalere.

Settimio Severo (193/211). Il primo compito del nuovo imperatore fu l’eliminazione degli altri due pretendenti, che lo tenne impegnato per un paio di anni. In seguito riprese la guerra contro i Parti (197) cercando inutilmente il sostegno de decadente impero Kushan. Riuscì ad evitare che un esercito misto di parti e di beduini saccheggiasse Moscatia, ma non poté spingere il confine romano più a est di quanto già non fosse giunto. Più tardi si rivolte alla Britannia, dove morì, in battaglia, come era vissuto, nel 211. Il senato si affrettò a nominare suoi successori i figli, Caracalla e Geta, ratificando così una decisione maturata in ambito militare. I due bambini infatti erano cresciuti nei castra asiatici e britannici, ed erano graditi ai soldati.

Caracalla (211/217). I due fratelli non erano disposti a dividere il potere, quindi si generò una faida che si concluse con l’assassinio di Geta. Ad Alessandria fu prodotta una satira contro Caracalla, in particolare contro la ridicola scusa secondo cui l’imperatore avrebbe ucciso il fratello per legittima difesa. Per rappresaglia le legioni di Caracalla saccheggiano la città per gironi, incendiandone diversi quartieri. Lo storico Cassio Dione e Auro Bassiano mettono in salve una cospicua parte della biblioteca a Tiro e a Homerita Pia. 
Dopo questo esordio sanguinoso, il despotato di Caracalla si fa più illuminato. Egli promulga infatti un atto legislativo rivoluzionario (forse nel 212) detto Constitutio Antoniniana. Grazie ad esso, tutti gli uomini liberi che abitassero città sottoposte all’imperio di Roma venivano promossi al rango di cittadini. Così il cittadino romano non era più l’abitante di Roma o dell’Italia, ma l’abitante dell’Impero. In occidente questo provvedimento appianò alcune divergenze sociali, mentre in oriente, specialmente in Arabia, accentuò le differenze fra gli abitanti delle città e quelli del contado, e fra essi e i barbari che vivevano lungo il confine. Ad esempio la fiera mercantile di Tapsus del 214 fu chiusa ai mercanti forestieri, causando alcuni attacchi di rappresaglia dei soliti beduini. 
Caracalla organizzò anche delle spedizioni militari di dubbio successo. In una di esse si scontrò con un popolo del quale sentiremo riparlare: i Goti. 
Durante una di queste spedizioni incontrò la morte, assassinato in un tempio dalle sue stesse guardie, che elessero imperatore il loro capo.

Macrino (217/218). Macrino fu il primo imperatore a non essere stato prima membro del senato. Come Settimio Severo era un africano, provenendo dalla Numidia. Come Settimio era un militare, e passò il suo breve periodo di regno sui campi di battaglia orientali, combattendo contro i Parti. La guerra era al suo culmine, e il nuovo imperatore non poteva lasciare il fronte. Ciò gli sarebbe stato fatale, perché in sua assenza la corte romana divenne un covo di intrighi che miravano a riportare sul trono la dinastia del Severi. Per arginare questi complotti Macrino fece esiliare la zia di Caracalla, che si era guadagnata un ruolo di primo piano fra le donne della famiglia, in Siria, presso i parenti di sua figlia. 
La cugina di Caracalla e Geta Giulia Soemia Bassiana era infatti andata in sposa al maggior rappresentante del clero ereditario della città di Emesa, sacerdote del betilo El Gabal, Giulio Bassiano. Il giovane sacerdote prendeva il nome del dio, ed era noto, fra i romani come fra i moltissimi arabi che venivano ad inginocchiarsi davanti all’enorme pietra scura, come Eliogabalo.
Quando nel 218 i vaneggiamenti delle donne della corte ebbero successo, e le legioni si ribellarono a Macrino ponendo fine al suo regno ed alla sua vita, fu lui a prenderne il posto.

Eliogabalo (218/222). Eliogabalo prese il potere a soli quattordici anni, dopo una rapida guerra civile e senza l’approvazione del senato (che tuttavia non mancò di ratificare lo stato delle cose). Fra gli imperatori romani è ricordato come il più eccentrico e decadente, e questo è spiegabile con un fatto molto semplice: fra tutti gli imperatori della storia di Roma, Eliogabalo è l’unico a non essere stato di cultura romana. Era un semita del deserto, un siriano appena ellenizzato. E inoltre era anche il giovane sacerdote del dio-pietra della sua città, Emesa. 
Questa città-santuario al confine con il deserto arabo settentrionale aveva sviluppato, dall’epoca della conquista romana, una certa preminenza nella regione, in quanto centro di pellegrinaggi-carovane. I beduini, come anche in parte i siriani e gli arabi romanizzati, giungevano ad Emesa per prendere parte ai riti in onore del monolito sacro simbolo del dio El Gabal (La Montagna) ed alle fiere che ad essi erano legate. El Gabal era un dio solare, affine all’Aelios Arabicus di Aelia Iatrippa e all’Obalis di Mocaraba. Era un dio tribale assurto a patrono dei commerci grazie alla fortuna del clan dei Bani Basus. Infine, era un dio glorio patrono dei patti e degli accordi, simile all’iranico Mitra. 
L’imperatore Eliogabalo introdusse il suo dio a Roma, cercando di assimilarlo al Sol Invictus-Sol Indiges della tradizione latina. Fece costruire un meraviglioso tempio nel quale collocò l’aerolito di Emesa e impose al senato di sacrificare nei riti presieduti da lui stesso. 
Gli eccessi orgiastici e l’orientamento sessuale (dai moderni facilmente definibile come transgender) alienarono all’imperatore le simpatie del senato come quelle di alcune legioni, e varie ribellioni di piccola entità scoppiavano un po’ ovunque nell’impero. 
Per consolidare la popolarità del suo culto solare, Eliogabalo fece stringere un “matrimonio sacro” fra Sol Invictus e tre divinità femminili del mediterraneo (Astante/Ishtar, Minerva e Urania/Tanit), ma andò troppo oltre quando fece trasferire le reliquie romane nel nuovo tempio sul Palatino. 
La classica goccia che fece traboccare il vaso cadde quando l’imperatore si mise in testa di riconquistare il betile sacro di Mocaraba, sottratto dai beduini durante la Grande Rivolta guidata da Simone Bar Kochba sotto il regno di Adriano. Quella pietra nera, oggetto di grande venerazione in Arabia fin da prima della conquista romana era stata custodita dal clan semi-romanizzato dei Banu Jurhum (Zoromei) come proprio dio tribale. In seguito al successo mercantile di questo clan, la Pietra Nera era diventata un simbolo molto importante nelle fiere stagionali del deserto arabo, poiché rappresentava l’unità dei beduini che vi partecipavano. In seguito la tribù dei Banu Khuza’a sconfisse i Banu Jurhum impossessandosi della Pietra. I Banu Khuza’a scesero poi in guerra contro i Parti, invadendo la Mesopotamia e prendendo in ostaggio, insieme ad altre otto tribù unite in confederazione, lo stesso Re dei Re. Purtroppo, dopo la sconfitta subita dai beduini ad opera di Papak di Ishthakr, i Lakhmidi (forse Banu Al-Ahmed) tradirono la confederazione tribale e massacrarono i Khuza’a, impossessandosi della pietra e fondando un regno di cultura persiano-semita in Iraq. La perdita della Pietra Nera fu un duro colpo per l’orgoglio arabo, e riverberò anche sulle comunità semitiche siriane e palestinesi, nonché in Egitto.
Eliogabalo desiderava riprendere quella pietra per collocarla presso il suo idolo, e forse per celebrare nozze sacre fra El Gabal e la divinità originaria di Mocaraba Hubal. Il fatto che entrambe le divinità fossero maschili non ostacolava, anzi, rendeva agli occhi dell’imperatore ancora più importante questo progetto. Ne è la dimostrazione che egli cercò anche di convincere il senato a divinizzare uno dei suoi amanti, Ierocle, con il nome di Ovalianus… 
La guerra contro i Lakhmidi si rivelò disastrosa. Quel popolo abbandonò la propria capitale dandola alle fiamme, e si ritirò nel deserto, dove con una guerriglia continua dissanguò lentamente le legioni romane. Ben presto la guerra si estese ad altre tribù del deserto, ed a farne le spese maggiori furono le città dell’Egazia e della Felix, in particolare Iatrippus. Roma perse tre legioni in due anni, e la maggior parte dei caduti non persero la vita sotto le spade e gli archi dei beduini, ma falcidiati dalla peste e dalla sete. 
Le legioni interpretarono questa disastrosa sconfitta come un segno di disapprovazione del Sole Invitto (la peste era considerata un’arma di Apollo fin da Omero) e si ribellarono all’imperatore. Le armate etiopiche attraversarono il Mar Rosso e presero possesso dei valichi montani che difendevano l’Arabia Felix e delle città maggiori dell’Egazia, mentre i pretoriani assassinavano Eliogabalo acclamando imperatore suo cugino Alessandro Severo.
I Lakhmidi furono duramente sconfitti nel 224 dalla tribù Kinana, che riprese la Pietra Nera e si insediò in territorio romano, dividendosi in due branche: i Quraysh (Coresei) di Gadia e i Suqayr (Sucarei) di Mocaraba. La Pietra Nera si spostava, annualmente, dall’una all’altra delle due città.
Paradossalmente la ribellione delle truppe contro Eliogabalo rafforzò il culto solare e militare, poiché contribuì ad identificare il Sol Invictus con un concetto astratto di Impero, piuttosto che con l’imperatore o il suo dio personale. In compenso mostrò la fragilità del dominio romano sull’Arabia, che in parte tornava sotto il controllo beduino. I nomadi del deserto si imponevano come soggetti con cui trattare, piuttosto che come barbari da respingere.

Alessandro Severo (222/235). Antonino Alessandro era un ragazzo colto e aperto, ma pagava, come tutti i Severi escluso il patriarca Settimio, la sua dipendenza dalla donne della famiglia. Nella sua residenza aveva templi e statue dedicate alle maggiori divinità del suo tempo, Cristo, Mani, Orfeo, Apollonio, Abramo, Budda e Shiva. 
I primi dieci anni del suo regno furono pacifici, mentre Persiani e Arabi si massacravano in guerre civili e faide tribali, e furono quindi molto prosperi. Quando però nel 230 il nuovo Shainsha Artaserse (Ardashir) emerse dalla caduta dei Parti e marciò verso occidente, Alessandro dovette mettersi alla guida delle legioni, e la situazione dell’impero peggiorò. 
Le legioni orientali, che avevano subito molte perdite alla fine del regno di Eliogabalo, erano state rimpolpate inserendo nell’organico immigrati arabi, privi di addestramento e legati a fedeltà tribali oltre che alla devozione all’imperatore ed al comandante. L’esercito romano si dimostrò inaspettatamente indisciplinato, ma riuscì a tenere le posizioni o quanto meno a non andare in rotta. Questo però costò il sacco di Moscatia: la città fu saccheggiata per settimane dai persiani e il suo porto distrutto, assestando un duro colpo al commercio marittimo dell’Impero. 
Nel 234, pacificato il confine orientale, Alessandro dovette trasferirsi in Gallia, dove i Germani stavano varcando il limes. Qui però le truppe, esasperate da una politica fiscale molto stretta dell’imperatore e di sua madre, si ribellarono. Massimino Trace si mise al comando degli ammutinati e eliminò l’imperatore, dando inizio ad un periodo di disordini e decadenza.

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Digressione: la situazione religiosa di Siria, Arabia ed Ethiopia nel II, III e IV secolo

Divinità native: El Gabal (Hemesa, Syria) poi Sol Invictus, Almaqah (Saba, poi Homerita Pia, Arabiyya el Falakhiyya) poi Dionisus Arabus o Eracles Arabus, Ishtar-Iside-Anat-al Manat (Syria e Arabia), Abgal (Palmyra, Syria), Melkart e Eshnun (Tiro e Sidone, Fenicia) poi Dioscuri Fenici, Hubal (Mocaraba, Egatia, poi varie città del deserto arabo).

Divinità di origine straniera: Shiva, Mitra, Ormuzd

Divinità egizie e culti stranieri: Iside, divinità gnostiche (Pistis Sofia, Jaldabaoth, Abraxas, Bythos -> b-w-th, al Bāwāth, immagine di Būth -> Bodhi), cristianesimo, giudaismo

Quando i Romani entrarono per la prima volta in Arabia la religione popolare diffusa fra le tribù locali era quella betilica. I betili, dal semitico arcaico “bayth al”, cioè “casa di (dio)”, erano rocce sacre, per lo più aeroliti, che rappresentavano la presenza di un dio tribale. Il dio di una singola tribù poteva facilmente assurgere ad un livello superiore di notorietà quando i suoi seguaci si sviluppavano come potenza mercantile oppure quando si impossessavano di una medina. Al di sopra di tutti gli dei tribali era riconosciuto un deus otiusus panarabo, chiamato molto semplicemente Allah, cioè Il Dio.
La popolazione locale mantenne questo tipo di credenza per almeno due secoli. I beduini infatti continuavano ad adorare le rocce, quasi impermeabili alle novità provenienti da nord. Capitava piuttosto che il culto di una certa tribù o città si sviluppasse fino ad uscire dall’ambito strettamente semitico. Tipici esempi sono il dio della tribù d’Israele o il dio di Emesa in Siria. Ma entrambe queste città si trovano al confine del mondo del deserto arabo.
Nelle sole due regioni dove i romani penetrarono profondamente nel territorio oltre che nelle città, ovvero il regno dei nabatei e l’Arabia Felix, si sviluppò una vera religione sincretistica. Gli dei locali, privati della loro componente tribale, vennero assimilati a quelli latini e greci. Per sciogliere i legami tribali e clanici che limitavano la romanizzazione Nerone emanò un decreto che impediva ai figli degli arabi inurbati di vivere nella medesima città dei genitori. Questo creò una generazione di persone prive di legami sociali e tradizionali, che però si avvantaggiavano del rapidissimo sviluppo economico dei porti dell’Arabia meridionale. Fu pressappoco in questo ambito che penetrarono i culti misterici e il buddismo sthaviraveda, che però rimasero sempre delle religioni “cittadine”, legate a quella classe di artigiani o mercanti che parlavano latino o greco e si riconoscevano nell’Imperatore, una classe facoltosa ma molto fragile, come gli eventi dei secoli seguenti avrebbero drammaticamente mostrato.
La romanizzazione delle divinità arabe fu particolarmente profonda ed efficace nei santuari-mercato: quasi tutte le medine maggiori furono rifondate come civitates romane, ed i betili che vi si trovavano divennero simboli della divinità solare dell’Impero. Per i beduini che venivano periodicamente a commerciare fu come se il dio dei Latan, Hylws, si fosse sostituito a quelli locali. Col tempo alcune tribù arabe poterono rialzare la testa e riprendere possesso dei loro santuari, come accadde ai Coresei ed ai Sucarei nell’Egatia. 
La seconda ondata di religioni straniere si impose in Arabia e Siria dopo la predicazione degli apostoli del cristianesimo, quando i missionari alessandrini presero ad attraversare il deserto convertendo le tribù. Nello stesso periodo gli ebrei zeloti cercavano il supporto dei beduini in nome dell’antica fratellanza fra Israele ed Ismaele, ed alcuni sayyid e shaykh ritenevano vantaggioso convertirsi al culto di Jahvè per sfuggire all’assimilazione romana o persiana. 
Infine, sempre nello stesso tempo, alcune sette gnostiche lasciarono l’oriente romano per stabilirsi nelle città arabe, dove potevano trovare più seguaci, anche tra i beduini, e molti meno problemi con l’autorità. Alcune di esse svanirono nelle sabbie del tempo, altre invece attecchirono, contribuendo ad un certo sviluppo della coscienza religiosa araba. 
Discorso completamente diverso va fatto per l’Ethiopia. Se in Arabia le religione ed i culti stranieri facevano fatica ad attecchire, sui monti dell’Acrocoro trovarono un luogo dove insediarsi, anche se non dove prosperare. Il carattere schivo e risoluto degli etiopici faceva si che pochi di loro adottassero nuove religioni, ma che quelli che lo facevano mantenessero le decisioni prese molto a lungo, a differenza dei volatili fedeli dei culti mediterranei. Il cristianesimo si diffuse abbastanza rapidamente, sulle città disposte lungo la Via Augusta, e lasciò un segno duraturo. I semiti occidentali, forse perché stanziali, forse perché da secoli in contatto con la tribù ebraica dei Falasici, accettarono di buon grado il vangelo (nella versione di Marco prima e di Matteo poco più tardi). Ebbero anche uno straordinario successo i culti misterici, che venivano incontro all’indole riservata ma curiosa degli abitanti dei monti interni. Inoltre le grotte dell’Acrocoro Etiopico erano luoghi perfetti per le celebrazioni dei riti orfici, mithraici o shivaitici. A partire dall’inizio del terzo secolo si diffuse, specialmente fra le legioni, il culto del sole, propagandato poi da Eliodoro nelle sue Etiopiche. Così il culto solare perdeva la sua connotazione siriana, caduta in discredito con Elagabalo, e ne assumeva una africana. Notevole è la mancata penetrazione di culti più marcatamente etici, come il buddismo theravada o il manicheismo. Ciò si spiega con la connaturata sensibilità al sublime comune a tutti i semiti, anche agli etiopici. Le religioni che ebbero successo furono quelle dal più profondo impatto emotivo ed estetico, piuttosto che quelle che proponevano una liberazione. È infatti in Etiopia che appaiono le prime immagini cultuali di crocifissi. Viceversa, la totale indifferenza degli etiopici verso il buddismo è una delle cause per cui questa religione non potè diffondersi profondamente verso il bacino del mediterraneo: alcuni saggi e monaci, sempre più rari, giunsero ad Alessandria, ma, benché apprezzati e financo amati dai filosofi, non fecero proseliti oltre a qualche accademico. L’unica eccezione fu la regione dell’Arabia Felix intorno a Nistus, dove i barbelognostici furono profondamente influenzati da theraveda.

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Digressione: i Sasanidi in Persia, i Kidara in Afghanistan e i Gupta in India (grandi imperi e grandi religioni)

a) Dai Parti Arsacidi ai Persiani Sasanidi
Quando Traiano saccheggiò Ctesifonte nel 115, l’impero partico si trovava in una situazione di grande debolezza. Le regioni ad occidente del deserto del Lut erano governate da Osroe, mentre quelle orientali da Vologase. Traiano, occupando Mesopotamia e parte del Fars, non lasciò scampo ad Osroe, che si suicidò in un anonimo castello ai limiti del deserto. Il suo rivale, e a questo punto unico erede, calò in Iran con i suoi terribili cavalieri, e rioccupò le tre province lasciate dai romani. Il regno tornava ad essere almeno nominalmente unito, ma era in piena decadenza. Negli anni che seguirono, più che le occasionali incursioni di qualche incapace imperatore romano, i Parti dovettero occuparsi delle incursione, che in due casi divennero delle vere invasioni, dei beduini del deserto arabico, respinti verso oriente dalla penetrazione romana lungo il Mar Rosso. Dal 149 al 163 la città di Babilonia fu la capitale di un piccolo regno beduino che diede molto filo da torcere ai sovrani iranici. Successivamente si formarono, a sud del confine Partico, alcuni regni di sayyid locali, che cercarono più volte di approfittare della debolezza di entrambi gli imperi, senza particolare successo. 
A cavallo fra il secondo ed il terzo secolo, all’interno del regno meridionale di Ishtakhr, si sviluppò un movimento di riscossa persiano, contrario ai parti elleni ed ai semiti sempre più aggressivi. Un vassallo di Ishtakhr, tale Papuk, sconfisse una grande invasione araba che aveva sfondato le difese del Luristan e stava puntando, divisa in due ali, verso Ctesifonte e verso il Lut. 
Papuk non solo ottenne una schiacciante vittoria, ma anche l’appoggio di molti dei feudatari del Re dei Re, che, dal canto suo, non era stato in grado di respingere i beduini, ed era fuggito da Ctesifonte verso Nishapur, mentre i suoi uomini e la sua famiglia erano in pericolo. Papuk accorse allora in mesopotamia, ma con la vittoria trovò la morte, rimandando di una generazione l’avvento della nuova dinastia. 
Fu infatti il suo figlio adottivo, Ardashir, a completare l’opera. Fra il 208 e il 226 egli sconfisse i feudatari che si erano ribellati contro il regno di Ishtakhr, e poté così presentarsi alla comunità dei nobili iranici come il più grande sovrano dopo il Grande Re Artabano. Questi, sapendo che prima o poi questo feudatario gli si sarebbe ribellato, decise di anticipare i tempi e raccolti i suoi armati marciò sulla capitale di Ardashir, la città di Gur. Lo scontro fu violentissimo. Entrambi gli schieramenti basavano la propria forza sulle unità di cavalleria pesante armate di lunghe lance e asce (per i Parti) o mazze (per i Persiani). In più Artabano schierava anche i suoi micidiali arcieri a cavallo arruolati in Partia, la satrapia oltre il fiume Atak, e diverse unità di mercenari kushana armati di balestre pesanti importate dalla Cina. Dalla sua Ardashir aveva una milizia arruolata nella sua popolosa regione di origine, di scarsa capacità militare ma in grado di respingere una carica di cavalleria con l’uso dei pila importati dall’Arabia romana, diversi reparti di beduini montati sui loro velocissimi purosangue, e dei plotoni di mercenari indiani a dorso di elefante, arruolati tramite intermediari romani. Artabano tentò di mandare in rotta i quadrati di fanteria leggera del nemico tramite l’alternarsi di cariche di cavalleria pesante e piogge di frecce. , ma l’efficienza delle sue truppe fu limitata dagli assalti mordi-e-fuggi dei cavalieri arabi. Infine il centro di fanteria di Ardashir cedette, ma questo non causò la rotta del suo esercito. I suo cavalieri disprezzavano quegli schiavi radunati alla bell’e meglio e gettati in battaglia, non si aspettavano che resistessero a lungo. Caricarono attraverso le proprie truppe in fuga e si gettarono sulla cavalleria nemica, spossata da un giorno di intensa lotta. Dopo appena mezz’ora di scontro lo sha cadde, e i cavalieri parti si arresero giurando fedeltà ad Ardashir, nuvo Re dei Re di Persia.
Ma chi erano questi neo-persiani che avevano appena ereditato il trono degli Arsacidi?
Se il cuore della precedente dinastia era stato la regione fra Merv e Nishapur, quello dei Sasanidi era il Fars, ossia conosciuta anticamente come Perside. Traiano l’aveva ridotta a provincia per meno di un anno, ma il grosso dell’influenza romana sulla cultura di questo paese era venuto attraverso la Moscatia. Nel secondo secolo era stata fondata anche una colonia persiana in Arabia, Gartha, attraverso la quale giunsero molte innovazioni latine. Malgrado fosse la regione più a contatto con l’Impero Romano, il Fars era anche strettamente, quasi fanaticamente, legato alla tradizione iranica e alla religione di stato, lo Zoroastrismo.
Era una regione ricca di grandi città, la seconda più popolosa dopo la Mesopotamia. Dopo le estenuanti guerre romano-partiche e le conseguenti invasioni di beduini, però, moltissimi abitanti della terra dei due fiumi si trasferirono qui, andando a formare una classe di contadini-schiavi senza futuro ne diritti, che parlava solo aramaico, ed era disprezzata dall’aristocrazia militare e mercantile, fortemente iranizzata e bilingue. Con l’ascesa al trono di Ardashir iniziarono alcune riforme che spinsero i principi mercanti del Fars a trasformare le loro attività mercantili in attività produttive, impiantando varie manifatture attorno alle città di Ihtakhr, Bishapur e Shiraz. Questo ceto estremamente facoltoso di imprenditori-latifondisti costituiva anche la spina dorsale dell’esercito persiano: ciascuno di essi doveva fornire al Re de Re, secondo la sua possibilità, un gruppo di cavalieri pesanti armati, una compagnia di mercenari e/o un reggimento di coscritti. I contadini-lavoratori infatti non avevano modo di rifiuare la coscrizione, e, nella parte finale della parabola neopersiana, erano condotti in battaglia come schiavi, in catene. 
Lo stato Sasanide conobbe una rapida espansione, sia verso ovest (annettendo la teocrazia di Atropatene e le regioni del Caucaso) sia verso est, dove lo scontro coi Kidara buddisti sarebbe stato violento quanto quello contro i romani, ma più limitato nello spazio, e comunque meno pericoloso.
Da principio i Sasanidi tennero un atteggiamento di grande tolleranza religiosa, permettendo di installarsi entro i confini del loro regno sia ai cristiani perseguitati da Roma sia ai buddisti hinayana in fuga dalla valle dell’Indo. In seguito, parallelamente al rafforzarsi del clero zoroastriano, i persiani divennero più intolleranti con le minoranze religiose, arrivando persino a espellere i cristiani. Le uniche eccezioni erano quelle del culto misterico di Mitra (Mirshthra), diffuso in tutto il mondo allora conosciuto, e del Manicheismo, una religione di rinnovamento e rinascita in contrasto con il clero di palazzo. Nelle province più orientali, dove la presa della corte era meno potente, si formarono minoranze consistenti di buddisti, specie dopo che gli invasori Eftaliti furono integrati nell’esercito persiano. Sotto il regno degli ultimi Sasanidi, i satrapi di Merv, Balkh ed Herat erano ormai apertamente buddisti, ed una parte della loro popolazione elevava inni agli stessi dei della valle del Gange.

Sasanidi, Gupta e Kidaridi: i tre regni, CLIC PER INGRANDIRE (grazie ad Iacopo)Sasanidi, Gupta e Kidaridi: i tre regni, CLIC PER INGRANDIRE (grazie ad Iacopo)

b) Dai Kushan Occidentali al regno Kidara
Nel 226 Salì al trono Kanishaka II, ed iniziò la decadenza dei Kushan. Nel 360 L’impero si era ridotto al solo Afghanistan, e le capitali erano Bagram e Kandahar. L’ultimo imperatore, Kipunada, fu rovesciato da Kidara, un generale persiano buddista che assunse il controllo di quanto restava dei Kushan e rivitalizzò, per due secoli, la regione Afgana.
Kidara non era un kushan, ne un indiano, ma un persiano che aveva adottato la religione e la cultura dell’impero Kushan. Riformò principalmente l’esercito, portando a termine la transizione del regno da stato multiculturale a despotato militare.
Il principale risultato ottenuto da Kidara e dai suoi discendenti fu impedire sia ai Sasanidi che ai Gupta di estendere la propria influenza sull’area compresa fra le due capitali del regno. Ciò avvenne grazie ad una ferrea separazione fra esercito e popolazione civile: i militari, tutti montati a cavallo, passavano la propria esistenza a pattugliare i confini del regno kidarita ed eventualmente a respingere gli eserciti nemici –dalla loro c’era senza dubbio una conoscenza profonda del territorio ed il ritorno a tattiche tipiche dei nomadi, come l’impiego degli arcieri a cavallo. A partire da regno del successore di Kidara, Kianavira, il mitraismo si diffuse nell’esercito, fino a divenirne la religione ufficiale. Il popolo contadino invece rimase buddista, anche se, venendo meno il supporto politico dei governanti al clero, il buddismo Mahayana attraversò un periodo di stagnazione, che divenne vera e propria decadenza quando, fra quarto e quinto secolo iniziarono le invasioni degli Eftaliti. 
Questo popolo di dubbia origine giunse nella zona dapprima in piccoli gruppi, che furono facilmente integrati nell’esercito Kidarita. Questo causò un grave squilibrio sociale: troppi militari rispetto al numero di contadini spinsero i Kidara ad allontanarsi dai propri confini, razziando i territori persiani e indiani. Questo aumentò però l’attenzione dei vicini per questo regno guerriero, e tra il quarto e il quinto secolo i Kidariti dovettero affrontare diverse campagne militari estenuanti, tanto per l’esercito quanto per la popolazione. Infine il re Salanavira, nel quinto secolo, riuscì a ridare una certa coesione allo stato, ma dovette soccombere quando gli Eftaliti calarono in massa dal nord. Le sue truppe si ribellarono e si unirono agli invasori, e la famiglia reale fu massacrata (Vinayaditya, ultimo re della dinastia, fuggì in India, dove trovò qualche successo coem satrapo Sasanide).
I templi buddisti furono rasi al suolo ed i monaci impalati, mentre la popolazione veniva scacciata dalle proprie terre. I Sasanidi offrirono una dura resistenza agli invasori, che quindi si riversarono in India mettendo fine all’impero Gupta, anch’esso in piena decadenza.

c) Dai Kushan Orientali ai Gupta
A partire dal 260 i satrapi indiani dei Kushan cominciarono ad esercitare sempre più potere, fino a diventare dei veri e propri sovrani indipendenti. Seguì quindi un secolo di conflitti che danneggiarono gravemente l’economia della valle del Gange e dei territori circostanti, allontanando da essa il commercio straniero e precipitando molte regioni nel caos. Da più parti si sperava nel ritorno di un “Chackravartin” simile agli antichi egemoni Maurya. Questi sorse intorno al 320, a partire da un potentato periferico, schiacciato fra il Nepal ed il Bengala: Chandra Gupta. Egli instaurò un regno che spaziava dal basso corso del Gange fino alla capitale del Magadha, Prayanga, e lo espanse e consolidò con un’accorta politica matrimoniale. Suo figlio Semuda Gupta fu un conquistatore ancora più grande: in trent’anni di regno sottomise tutte le regioni che vanno dal delta del Brahamaputra all’Hindu-Kush, meritandosi il titolo di “Chacravartin” (timoniere del mondo, pantocrator) e quello di RajahdiRajah (Re dei Re). 
Gli eserciti indiani dell’epoca erano forse quelli più moderni al mondo. Avevano rinunciato alla cavalleria pesante importata dai Parti, e si basavano su plotoni di fanteria armata di arco composito difesi da fanti armati di larghi scudi e supportati da cavallerie miste armate di mazze ferrate e protette da maglia d’acciaio. Venivano usati anche gli elefanti, ed anzi fu proprio sotto Semuda Gupta che furono fabbricate le prime corazze complete da elefante. La tattica militare prevedeva che non fossero più impiegati come cavalleria pesante per sfondare le linee nemiche, ma come fortezze mobili irte di arcieri. Semuda varcò anche il passo di Khyber entrando nel regno dei Kidara, che per una generazione gli furono vassalli.
Figlio di Semuda fu Chandra Gupta II “Vikramaditya” (“Sole del Potere”). Egli prese il potere nel 380, alla morte del padre, e lo mantenne fino alla propria morte nel 413. Egli continuò la politica di espansione militare e matrimoniale del padre, annettendo definitivamente i regni dei satrapi occidentali ed estendendo la sua influenza dal Kashmir all’India centrale. Stabilì una seconda capitale ad Ujjan e portò l’Impero Gupta al suo apice. Sotto di lui fiorirono le arti, furono costruiti templi e strade e composti capolavori della letteratura e della filosofia (nonché della logica e della matematica).
Malgrado la maggior parte dei sovrani Gupta fossero buddisti, tollerarono l’induismo, che anzi raggiunse la dignità di religione classica. Furono codificati i dettami dello shivaismo tantrico, nacque il vedanta. Iniziò insomma quel lungo processo che avrebbe fatto del subcontinente indiano una regione induista dove i buddisti sarebbero stati una minoranza. Il futuro dei seguaci di Gautama non era nella sua terra d’origine, ma in Cina, in Indocina e in Asia Centrale. I popoli più fortemente buddisti non sarebbero stati quelli arii ma quelli mongoli e tibeto-burmensi.
A partire dal quinto secolo l’Impero Gupta entrò in una fase di lenta decadenza. Quando gli Eftaliti alleatisi con i Kidara varcarono il passo di Khyber ed entrarono in India, le armate imperiali furono in grado solo di contenere temporaneamente il loro impeto, non di respingerlo. Verso l’inizio del sesto secolo gli Unni Bianchi erano ormai penetrati nel Punjab, ed una dopo l’altra le città Gupta furono espugnate e date alle fiamme. Ne 550 l’impero non esisteva più, sostituito dalle tribù Unne che si dividevano il potere ed il territorio.

Sasanidi, Gupta e Kidaridi (grazie ad Iacopo)

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Digressione: le eresie dei primi secoli

a) Eresie dell’epoca apostolica

Apollonio di Tiana (m.97)
Noto come “Cristo Pagano”, fu un filosofo neopitagorico ed un santone attivo nel primo secolo in Asia Minore. La sua fama ed il suo prestigio arrivarono fino alla corte dei Severi. Malgrado non fosse un eretico cristiano ma un filosofo pagano, può essere considerato il modello dei successivi gnostici cristiani.

Giudeocristiani (I e II sec, Giudea e Diaspora)
La corrente giudaizzante di Giacomo Minore non svanì del tutto dopo il concilio di Gerusalemme, ma sopravvisse anche alla lapidazione di Giacomo stesso (62) ed ala distruzione del Tempio (70). Dopo la Grande Rivolta Semitica alcuni cristiani giudaizzanti si rifugiarono presso le tribù arabe convertite al cristianesimo o al giudaismo. Fino al settimo secolo le due religioni, praticate dagli arabi, erano quasi indistinguibili. Tuttavia la Chiesa non prese provvedimenti contro di essi, accorgendosi a stento della loro esistenza.
La frangia più lontana dal cristianesimo ortodosso, quella degli Ebioniti, prosperò nelle comunità diasporiche di Siria fino al settimo secolo.
Una comunità detta “Nazareni” che rifiutava gli insegnamenti paolini ma non faceva proselitismo si insediò presso il fiume Giordano, ma non ebbe mai grande successo.

Elkasaiti (fine del I sec/ III sec, Arabia)
Gli Elkasaiti furono fondati verso il 100 nell’Arabia Petrense da un nobile persiano di nome Elkasai (in realtà forse era un arabo di mesopotamia). Credevano che un angelo che si proclamava Figlio di Dio fosse apparso al loro fondatore accompagnato dallo Spirito Santo, donandogli un libro sacro. Avevano posizioni docetiste (Cristo non era completamente umano, secondo loro) e praticavano l’astrologia.
Durante l’epoca di Eliogabalo i sommovimenti nell’area semitica portarono gli Elkasaiti a lasciare la loro patria d’origine. Alciade di Apanamea portò la setta a Roma, mentre il grosso dei seguaci si trasferì presso le foci del Tigri, dove, in capo a due secoli, si erano trasformati in una tribù beduina gnostica, i Banu Al Qusai’. Nel quarto secolo non c’era più traccia di questi eretici.
Si crede che Mani fosse stato un elkasaita in gioventù.

Nicolaiti (I sec., Giudea e Asia Minore)
Nicola era uno dei sette diaconi prescelti dagli Apostoli per aiutarli. Egli manifestò immediatamente tendenza eretiche, negando la divinità del cristo e l’utilità delle pratiche di culto. Era per una fede completamente interiore, e quindi non aveva problemi a sacrificare agli idoli imperiali, ritenendo questo gesto privo di significato. Le sue dottrine si diffusero presso le chiese dell’Asia Minore e furono contrastate fra gli altri anche dall’apostolo evangelista Giovanni.

Docetismo (I/III sec. e secoli seguenti, ovunque)
Il docetismo è una dottrina cristologia eretica che prende il nome dal verbo greco dokein, sembrare. Infatti essa prevede che l’umanità di Cristo fosse in qualche modo o in qualche misura illusoria. Poteva riferirsi all’intera esistenza di Cristo, che quindi sarebbe stato umano solo in apparenza, ovvero avrebbe avuto un corpo illusorio, iconico, etereo, o ad un singolo evento, per lo più la morte sulla croce. Una leggenda araba voleva che a morire in croce non fosse stato Gesù ma Simone il Cireneo. 
Il docetismo si sviluppò per coprire lo scandalo della morte in croce, e fu estremamente diffuso, anche fra autori considerati cattolici. In particolare era popolare presso gli gnostici cristiani e i cristiani d’Arabia.
Valesii (I e II sec, Siria ed Asia Minore)
Interpretando in maniera letterale un passo di Matteo i Valesii usavano castrarsi. Forse su di loro influivano anche i culti di cibale, la cui area di diffusione coincideva con quella di questa eresia. Anche un importante filosofo cristiano, Origene, si castrò.

b) Gnostici Cristiani
I caratteri comuni a tutti gli gnostici cristiani erano: l’esistenza di un sistema gerarchico di Eoni (angeli-dei) emanati da un dio in conoscibile, da cui veniva a sua volta emanato l’ordine del mondo; l’esistenza al margine inferiore di questa gerarchia del Demiurgo che, malgrado fosse divino, non condivideva la natura beata degli Eoni ed era la fonte del male; l’esistenza di tre classi di esseri umani, quelli completamente materiali, quelli psichici e quelli spirituali, di origine divina; l’opera salvifica del Cristo e della Sofia (madre del Demiurgo) rivolta agli psichici ed a volte agli psichici, e praticata attraverso la gnosi, ossia la conoscenza; l’interpretazione allegorica o il rigetto dell’Antico Testamento, spesso con il capovolgimento dei valori di figure negative (Caino, il Serpente) o l’assunzione a modello di personaggi minori (Seth, Malqitzedek). Le correnti principali dello gnosticismo si differenziano solo per alcuni particolar minori, ecco perché ne faremo solo i nomi: Sethiani, Ofiti o Naasseni, Giudaiti, Cainiti, Fibioniti.
Ecco alcuni gnostici, fra quelli che si fanno notare per le particolarità della loro dottrina:

Simone il Mago (I sec., Giudea)
Simone praticava le arti occulte a Samaria quando venne a predicarvi l’apostolo Filippo. Affascinato dalla dottrina cristiana, si fece battezzare,ma quasi da quello stesso istante si trovò in contrasto con gli apostoli. Cercò perfino di comprare da Pietro la capacità di fare miracoli, e per questo fu allontanato. In seguito si aprì una faida fra i due, di cui fra l’altro pare sia stato vittima anche Marco l’evangelista.
Predicava il docetismo e sosteneva di essere dio, come un nuovo Cristo. Inoltre i suoi seguaci credevano che Elena, un’ex prostituta di Tiro compagna del loro profeta-dio, fosse la stessa Sophia-Ennoia.
Pare che Simone sia morto a Roma, in una gara di miracoli avvenuta durante il processo a Pietro e Paolo.
Suo seguace fu Menandro, che insegnò astrologia e magia ad Antiochia a cavallo dei due secoli. Come il maestro, anche egli morì in una gara di magia, contro due sacerdoti manichei.

Barbelognostici (I sec., Asia Minore, II sec e sg Illirico e Arabia Felix)
I Barbelognostici veneravano Barbelo-Sophia. Essa era l’emanazione della Monade, io “dio remoto” di questa setta. È possibile che questa dea fosse in realtà un’immagine della Trinità, essendo a volte nominata come “Trisophia” o “Barbelos Trimorpha”. Da essa è emanata l’Ennoia, che a sua volta emette Ialdabaoth, il Demiurgo. Ialdabaoth avrebbe rubato la Luce di Annoia ed essa sarebbe penetrata nella creazione, formando lo spirito degli gnostici pneumatici. 
I Barbelognostici praticavano la raccolta dello sperma, che ritenevano essere la Luce stessa.
Alla fine del primo secolo lasciarono i loro territori d’origine. Una parte della setta si insediò in Pannonia, dove rimase ben radicata per molti secoli. L’altra parte si stabilì nella città di Nissus, nell’estremo meridione d’Arabia, dove subì l’influsso del tantrismo filosofico buddista indiano. Verso il IV secolo questa setta era divenuta un culto tantrico dai tratti molto originali, che avrà una grande influenza sulla cultura del luogo.

Marcione e i Marcioniti ( dal 144 al 166, Roma)
Marcione era figlio del vescovo di Sinope e vescovo lui stesso. Rifiutava l’Antico Testamento e credeva nell’esistenza di due dei, uno buono predicato dal Cristo e uno malvagio creatore del mondo. Sosteneva che la materia fosse opera del male e sosteneva il docetismo. Nel 144 si recò a Roma e diede origine al primo scisma della storia cristiana, che rientrò dopo la sua morte.
Un suo seguace, tale Apelle, continuò l’opera del maestro ad Alessandria, dove scrisse 38 libri. Egli però rifiutò il docetismo radicale, sostenendo che il corpo di cristo non fosse ne divino ne umano, ma composto di “materia stellare”.

Basilide (II sec., Alessandria)
Basilide, che si diceva discepolo di Pietro, poneva al vertice della gerarchia celeste Abraxas, l’innominabile. Al di setto vi era la Sophia pneumatica con i suoi Eoni e gli arconti, protettori delle principali nazioni. Fra i suoi insegnamenti c’erano quelli riguardanti l’anima e il corpo: il corpo, in quanto materia inerte, non poteva peccare, ma nemmeno salvarsi, quindi ogni azione era permessa. L’anima poteva salvarsi con la “devozione interiore” elevandosi, se degna, dalla prigione ilica alla soglia psichica e quindi alla beatitudine pneumatica. Forse influenzato dagli insegnamenti del theraveda Milinda, Basilide ventilava, unico fra gli gnostici, di giungere alla dissoluzione nel “silenzio”, ossia l’immagine di Abraxas. Pare che alcune sue posizioni lo avvicinassero addirittura al buddismo zen: la logica, egli diceva, è ilica, e per liberarsene bisogna contemplare le contraddizioni. Una volta eliminato il pensiero per opposti si giunge allo stadio psichico della coincidentia oppositorum dalla quale si può giungere all’heistasis, ossia lo “stare nell’uno”, il “fermarsi”.
Basilide scriveva e predicava in greco, ma le sue opere furono quasi immediatamente tradotte in copto e revadi (dialetto del vangeli). Curiosamente fu tradotto anche il suo nome, in Tha-Mark (ar. Dhu’l-Maliki). Per questo alcuni hanno pensato che “Basilide” fosse più un titolo che un nome proprio. 
La scuola di Basilide, forse la più mistica e misterica fra quelle gnostiche, ebbe una grande diffusione nella metropoli di Alessandria ed altrove nell’impero, ma solo fra le classi più istruite e ricche. Nel 25 ca un basilidiano di nome Teodato visitò l’India e disputò a lungo con i Caleniti del Bengala, dei quali riporta la prima testimonianza in Europa.

Valentiniani (II sec e sec, Egitto, Arabia)
La dottrina gnostica che si diffuse con maggiore rapidità fu quella dell’africano Valentino, che univa in una complessa fusione sincretica tra neoplatonismo, religioni giudaica e cristiana, gnosi dei sethiani ed encratismo. La forma Valentiniana della Gnosi è considerata “Classica” e fu quella a diffondersi meglio in Arabia, tanto che nel 190 circa Filone Eudosso si trasferì da Alessandria per andare a predicare a Tabucca. Fu lapidato, ma le sue idee si diffusero in alcune tribù del nord.

Bardesane (154/212, Edessa)
Tipico esempio di come religione e politica andassero verso una sempre maggiore commistione è la figura di Bar Daysan o Bardesane. Egli era compagno e consigliere del regno parto-semita Edessa, in Siria. Dapprima convinse re Abgar ad adottare il cattolicesimo, quindi a cambiare quella religione con un ibrido di cristianesimo e magia babilonese vagamente gnostico, di sua invenzione. Quando i cattolici della città si ribellarono, Caracalla colse l’occasione ed intervenne, facendo uccidere Bardesane ed il suo re e annettendo Emesa a Roma.
Nei tre secoli seguenti esiste una tribù di arabi stanziati nell’estremo nord chiamata Banu Daysan, ma probabilmente è una coincidenza.

c) Montanisti (II sec. e seg)
Montano era un santone, un mano ed un predicatore della Frigia. Egli era adorato come un profeta dai suoi seguaci, insieme a due profetesse come profetesse aggiuntive. Fra i cattolici ed i montanisti non c’erano delle differenze dogmatiche, ma pratiche. I montansiti infatti ritenevano il carisma profetico di uomini eccezionali superiore al ruolo nella gerarchia ecclesiastica.
Erano anche millenaristi e preparavano se stessi alla cosiddetta parousia con penitenze e morigeratezza di costumi. 
La chiesa cattolica fu molto debole nel contrastare questa setta di fanatici, che infatti prosperò fino al quarto secolo, minando l’autorità del clero in Asia Minore. Nella sua ultima fase, molto dopo la morte del fondatore, la setta sviluppò delle aderenze con le classi più povere della popolazione e anche con alcune sette gnostiche.
Molto tardi una delle profetesse, ormai anziana, si recò a Tapsus dove sperava di sfuggire ai sicari del vescovo di Antiochia, ma questo le donò solo pochi anni di vita: stroncata dal clima rigido del deserto, fu sepolta presso la città dove si era rifugiata, dove la venerano ancora oggi.

d) Eresie dovute alla lontananza dalle Sedi Apostoliche
Calenismo (III sec –oggi, India Orientale e Indocina)
I cristiani d’India svilupparono ben presto, per la lontananza dal cuore della cristianità che impediva loro, fra l’altro, di accedere al testo dei quattro vangeli, e per la vicinanza, viceversa, di buddisti e giainisti, una particolarissima versione degli insegnamenti di Gesù. Essi credevano che Gesù fosse un intelletto santo che avesse deciso liberamente di incarnarsi per portare la salvezza al mondo. Egli avrebbe, fin dal grembo materno “chiamato” la presenza divina dentro di se, per cancellare tutti i peccati karmici, come per cancellare una macchia da uno specchio. Questo “richiamo” è ottenibile tramite un’ascesi sfibrante e la pratica costante della carità verso tutti gli uomini. Perché Dio si doni all’uomo l’uomo deve donare se stesso fino a non esistere più. Con la resurrezione avviene la parousia finale: Dio, il Se, è presente nell’uomo Gesù che a sua volta è indistinguibile da esso. Quindi l’aspetto di Gesù è l’aspetto del Se, il corpo di Gesù è il corpo del Se. 
I Caleniti credevano nella Passione, ma non nell’ascesa. Secondo al loro dottrina Gesù, istruiti i suoi Apostoli sul mare di Galilea, avrebbe vagato per le terre più remote convertendo persone sapienti in India e Cina, prima si svanire in un raggio di luce sul monte Kaylasa.

e) Monarchianismo (II/VII sec, Oriente)
Nell’ambito della Sede apostolica più attiva dal punto di vista filosofico e teologico, cioè Alessandria, si svilupparono inevitabilmente alcune correnti eterodosse e persino eretiche. Gli stessi maestri della scuola per catecumeni, come Clemente od Origene, furono più volte richiamati all’ordine dai patriarchi.
Una delle correnti più fortemente sentite era quella che si proponeva di salvaguardare, davanti all’evento cristiano, l’unità, l’unicità e l’assoluta sovranità di Dio. È interessante che le due correnti più importanti non nacquero ad Alessandria ma vi si insediarono e vi si svilupparono.
La prima, quella detta “patripassianesimo” o “modalismo”, prevedeva che il Figlio non fosse una persona divina, ma il “modo” scelto dal Padre, di incarnarsi. Questa dottrina fu elaborata per la prima volta a Smirne, e probabilmente fu influenzata dalla filosofia accademica e peripatetica, e fu adottata da alcuni teologi orientali in funzione anti-gnostica. La fazione più estrema dei moralisti era detta degli heinotheophantes, cioè di coloro che “dicono dio uno”. Erano arruolati fra gli arabi che avevano lasciato la loro terra per affollare le periferie urbane del medio oriente, poveri migranti senza arte ne parte. Col tempo, proprio grazie a questi diseredati, le forme modaliste penetrarono in Arabia: per tutto il IV ed il V secolo il metropolita di Mocaraba fu un modalista, e per un certo periodo anche quello di Homerita Pia. 
L’altra corrente, detta “adozionismo” era più gnosticheggiante, accettando infatti alcune posizioni docetiste. Infatti la dottrina di questa eresia prevedeva che Gesù fosse un semplice uomo “adottatati” o “divinizzato” dal Dio assolutamente trascendente, al momento del battesimo al Giordano oppure al momento della risurrezione. Questa dottrina si sviluppò in senso più ortodosso nel “subordinazionismo” che prevedeva un qualche tipo di inferiorità del Figlio rispetto al Padre. 
A cavallo fra III e IV secolo ad Alessandria predicò il presbitero Ario, che diventerà il più noto ed importante eresiarca dell’epoca. Egli sosteneva che il Figlio non fosse della stessa sostanza del Padre, e che ci fosse un tempo in cui il figlio non c’era. Vedremo nel prossimo capitolo gli sviluppi dell’Arianesimo, perora ci basti dire che Ario fu scomunicato dal patriarca di Alessandria, e fuggì prima a Subazia, dove sopravvisse a due tentativi di omicidio, quindi a Nicomedia, sotto la protezione del vescovo Eusebio, che accettò con entusiasmo la sua dottrina.

f) La Skolè Alessandrina di S. Origene (a partire dal III sec, Alessandria)
Nato in una famiglia cristiana, Origene dimostrò fin dalla gioventù una dedizione ed una fede ai limiti del fanatismo (la madre dovette letteralmente segregarlo in casa per evitare che si immolasse come martire durante le persecuzioni severiane nel 202), accompagnate però da una non comune profondità teologica e da un acume filosofico ormai rari anche nella popolazione greca. A soli diciotto anni, fuggito Clemente Alessandrino a Roma per non cadere vittima delle persecuzioni, fu chiamato da Demetrio Patriarca di Alessandira alla direzione del Didaskaion. 
Nonostante questo incarico così importante Origene si dedicò anche al completamento della sua formazione filosofica, studiando gli stoici ed il neoplatonismo con Ammonio Sacca (vent’anni dopo Plotino frequenterà la stessa scuola) e la speculazione teosofica con Deva Sartiano. Condusse vita ascetica, e, come già detto, si castrò. Questa scelta drammatica pare sia stata la causa del suo dissapore con Demetrio, che non volle mai ordinarlo prete. 
Tra il 215 ed il 230 Origene insegnò ad Alessandria, quindi, essendosi deteriorata la sua situazione anche a causa di alcune sue opere al limite dell’eresia, si trasferì nella più tollerante Subazia, dove il vescovo Teoctiso lo ordinò sacerdote. Le dispute attorno alla sua figura ed alla sua dottrina si moltiplicarono, e non vennero sopite neanche dalla sua opera missionaria in Arabia (nel 238 costrinse all’abiura il vescovo antitrinitario di Bostra). La riconciliazione con la chiesa ufficiale avvenne in pratica solo con il suo martirio nel 250.
Da quel momento la sua fortuna come mistico, teologo, filosofo e filologo non ebbe limiti. In particolare nelle chiese africane, arabe ed indiane, ma anche presso i patriarchi del mediterraneo. 
Nelle sue opere Origene propugnava un subordinazionismo moderato: il Logos o Figlio era consustanziale a Dio o Padre ma ne era anche un attributo (in particolare un attributo sotto la specie del Pensiero o della Volontà) così come lo Spirito Santo (sotto la specie dell’Amore o Provvidenza). La sua antropologia e la sua psicologia erano in buona parte mutuate da Ammonio Sacca e daDeva Sartiano: credeva nella preesistenza eterna delle anime, che nel ciclo delle incarnazioni e reincarnazioni trovavano un “luogo” adatto a sperimentare e riacquistare la misericordia divina. L’incarnazione-reincarnazione si configura in Origene come il passaggio dall’”innocenza” all’”esperienza” dell’Amore di Dio. In questo ambito Origene non poteva che affermare con radicalità il libero arbitrio dell’uomo. Accanto a questa assoluta libertà si poneva però il concetto di “apocatastasi”, mutuato forse dalla scuola stoica, ossia la certezza che il pellegrinaggio di tutte le anime debba avere un termine, ossia che tutti gli angeli, gli uomini ed i demoni, verranno, un giorno, salvati, anche coloro che non professano la religione cristiana. Infine Origene professava l’esistenza di infiniti mondi, proprio alla maniera stoica –in alcuni passi la sua mistica sembra addirittura preannunciare l’eterno ritorno dell’identico. Questo impianto teologico-antropologico era ovviamente basta su di un’interpretazione allegorica di alcuni passi dell’Antico Testamento.
La teologia origenista si radicò profondamente in medio oriente, specialmente presso il patriarcato di Subazia Augusta e presso quello di Antiochia. Il suo universalismo inclusivo rese popolare il cristianesimo anche presso popolazioni non cristiane, e non è un mistero che le conversioni più tarde in Arabia ed Etiopia siano state fatte da predicatori formati alla scuola di Origene. D’altro canto anche i ceti sociali benestanti di Alessandria e delle civitates romane in Siria subirono il fascino della sua teologia, e probabilmente la scomparsa dei culti misterici, del buddismo e dello shivaismo dal medio oriente si devono soprattutto a questa eccezionale popolarità. Insomma, Origene redasse una teologia innovativa, intercettando i bisogni profondi dell’uomo del suo tempo. La chiesa di Roma ebbe sempre grandi difficoltà nell’accettare alcune sue posizioni particolari (come la reincarnazioni) ma mai nessun papa mise in dubbio il ruolo ed il prestigio di questo teologo. Origene può ben dirsi dunque il “padre dei padri” della Chiesa d’Oriente, il “fondamento” su cui si basarono i pensatori cristiani d’Etiopia, Arabia, Asia ed Ellade (entrambe le espressioni sono si S. Agostino). Oppure potremmo dire, viceversa, che le chiese cristiane orientali sono quelle che affondano le loro radici nella teologia origenista.
Nonostante questa indubbia preminenza Origene fu malamente digerito nei primi secoli dopo la sua morte. Molti di coloro che di fatto partivano dai suoi testi, preferivano non citarlo, per via dell’aura di estremismo ed eresia che portava con se. Solo con la caduta di Alessandria sotto i colpi delle armate i’lamiche la sua figura fu riabilitata, mettendo fine ad una situazione francamente ipocrita che si protraeva da quattro secoli. Bisognerà aspettare tuttavia la fine della lotta iconoclasta per vederlo finalmente elevato agli onori degli altari a Rodi (in Etiopia e altrove era già santo coram populo comunque), ed addirittura le clausole conclusive del Concilio di Ravenna nel 1435 perché sia canonizzato in Occidente: coi suoi 1185 anni di distanza fra la morte e la canonizzazione, stabilisce un record imbattibile nella schiera dei santi.

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L’Anarchia Militare

Breve Cronologia 235/268: Gli Imperatori-Soldato

235: Alessandro Severo e sua madre sono assassinati dalle truppe del limes germanico, che si impossessano dell’oro con cui essi volevano pagare la pace coi barbari. Massimino Trace è acclamato imperatore.
236: Repulisti di Massimino Trace. L’imperatore si mantiene presso il limes danubiano.
237: Masismino Trace dimostra tutta la sua perizia come comandante conducendo un geniale contrattacco nelle paludi del Baden –gli Alemanni sono respinti.
238: Massimino sconfigge anche Sarmati Iazigi e Daci, quindi punta su Roma per farsi finalmente acclamare, ma giunto ad Aquileia è accolto dai pugnali dei sicari di parte senatoria.
239: Annus Terribilis. Sui succedono quattro imperatori: Pupieno (forse il mandante degli assassini di Massimino) e Balbino a Roma, Gordiano I e suo figlio Gordiano II in Africa. Tutti vengono assassinati, ed alla fine la spunta il tredicenne Gordiano III. Intanto Goti, Daci e Sarmati scorazzano per i Balcani.
240: Dopo la strage di imperatori dell’anno precedente, la porpora passa a Gordiano III, minorenne. 
241: i Persiani di Shapur I invadono i confini imperiali, e mentre le città si ribellano una dopo l’altra, occupano l’intera Siria. Intanto orde di africani assaltano le fortezze del limes etiopico.
242: Gordiano e il suo generale Timisiteo accorrono in oriente, ma devono ritardare l’intervento perché dalle frontiere sguarnite irrompono Daci, Geti, Carpi e, in Arabia, molte tribù beduine mettono a sacco le civitates romane.
243:Timisiteo sbaraglia i Persiani e si spinge fino in Mesopotamia, ma qui è stroncato da una malattia. Prende il suo posto Filippo, detto l’Arabo perché figlio di uno Shaykh dell’Egazia, che approfitta della sua posizione per incitare le truppe a ribellarsi contro Gordiano.
244: Filippo si fa acclamare imperatore a Roma. Plotino vi fonda la sua scuola.
247: Millennio dell’Impero. Filippo riesce a mettere un po’ d’ordine nella burocrazia e nella corruzione dell’impero, ma la città è prostrata psicologicamente. L’imperatore, tanto per dirne una, venera il dio crocifisso e non parla il latino…
248: Filippo, alla vista del popolo romano decaduto ed in miseria, chiede al Senato di potersi dimettere. Intanto oltre il limes i popoli germanici e daci si stanno muovendo sempre con maggiore impeto.
249: Invasione del Geti in Pannonia. Il senatore Decio, generale delle truppe in questa campagna, è acclamato imperatore una volta riportata la vittoria. Marcia sull’Italia e sconfigge Filippo a Verona. 
250: Grande persecuzione contro i cristiani da parte di Decio. Intanto i Goti, o i Geti (le fonti romane sembrano non distinguerli), invadono la Mesia sotto il comando di Kniva, e l’imperatore deve muovere le legioni per fronteggiarli. A Nicopoli i romani respingono gli invasori, ma non li sbaragliano del tutto, come avrebbero avuto bisogno di fare per assicurarsi la salvezza delle province balcaniche. Intanto la tribù alla quale apparteneva Filippo, i Banu Mussid, invadono l’Egazia e la Petrense, saccheggiando Tripoli e Gadia.
Castragrippae assediata dai barbari africani.
251: Kniva tende una trappola ai romani presso la stessa cittadina di Nicopoli: attira le legioni in un cul de sac e le spazza via una ad una con le sue armate, mentre, con un’ampia manovra a tenaglia, taglia tutte le vie di fuga dalla Mesia. Decio è ucciso dagli invasori insieme ad almeno cinquantamila soldati in tre settimane. L’armata romana nei Balcani è praticamente spazzata via. Gli ultimi due generali, Treboniano Gallo ed Emiliano Emilio, trattano la resa. I Goti intanto espugnano uno ad uno tutti i forti che difendevano il limes danubiano, ed arrivano ad assediare Tessalonica, prima di ritirarsi nel nord.
252: Treboniano imperatore. I Persiani devastano la Siria fino ad Antiochia, mentre i Goti saccheggiano la Mesia.
253: Emiliano viene acclamato imperatore. Si scontra con Treboniano, ma quest’ultimo è tradito sul campo di battaglia dai suoi uomini, che, assassinatolo, si uniscono al precedente nemico. Identica sorte capita, che ironia!, ad Emiliano stesso, mando le sue truppe si ammutinano piuttosto che battersi con le legioni germaniche di Valeriano, che è acclamato nuovo imperatore.
254: I barbari varcano il limes organizzati in eserciti e saccheggiano l’impero fino a Ravenna. Quadi, Sarmati, Goti e Daci (popoli quanto mai eterogenei riuniti sotto un unico “alto comando”) sfondando le difese e giungono fino a Bisanzio (in esplorazione addirittura oltre il Ponto). Contemporaneamente i Persiani di Sapore I occupano Nisibis ed i beduini devastano l’Arabia romana da Tripoli ad Homerita. Su quest’ultimo fornte però le cose vanno un po’ meglio perché gli arabi sono divisi al loro interno almeno quanto i romani, ed i governatori locali possono usare i propri denari non solo per comprare la pace dai barbari, ma anche per far cambiare bandiera a qualche tribù.
255: Gli Unni appaiono per la prima volta nelle cronache romane. La città di Gadia cade in mano ai beduini Dawa e ‘Uqayl (Devei e Ogalei), che subito si impossessano degli arsenali navali, dando origine alla piaga dei pirati beduini del Mar Rosso, che, al suo culmine, arriverà ad insidiare i porti dal Golfo Persico e Cipro e Creta. Anche i barbari scoprono le navi, e le usano per comunciare lungo il Danubio.
256: grande calate dei Goti: l’impressionante numero di trecentoventimila cavalieri invade la Macedonia, la Tracia, espugna Bisanzio, passa in Bitinia, spazza via ogni resistenza fino ad Efeso, quindi risale le coste dell’Egeo, distrugge Tessalonica, cala in Grecia, mette a ferro e fuoco Sparta, Atene, la Beotia, quindi torna verso nord, non mancando di fere stragi e saccheggi in macedonia ed Epiro. Lasciano dietro di se una regione spopolata, saccheggiata, coperta di cenere e cadaveri, dove la vita civile non è che un ricordo, dominata per chilometri e chilometri da un paesaggio lunare.
Le coste dell’Egeo, desolate e spopolate, non si riprenderanno mai più da questi saccheggi. 
Valeriano respinge Sapore da Nisibi, e lo insegue verso l’Eufrate, mentre suo figlio Gallieno contiene a stento i Franchi sul limes renano. Gli Alemanni, intanto, mettono a ferro e fuoco la pianura padana, mentre un’alleanza di tre tribù beduine, guidata dagli ‘Uqayl, passa in Africa, respinge gli etiopi sulle loro montagne e risale il Nilo fino a Cesarea Nilotica, che però non capitola.
257: Valeriano torna a Roma per celebrare un “trionfo” acclamato dalla popolazione affamata. Non trovando problemi più urgenti da risolvere, si accanisce contro i cristiani della capitale.
258: i Franchi, una coalizione di nove tribù germaniche, sfondano il limes renano e penetrano in territorio romano. Intanto in Pannonia i legionari, sconfitti e derisi dai barbari, si ribellano, ma sono riportati all’ordine da Aureolo, un generale di Gallieno.
259: Sapore I invade e si annette l’Armenia. Valeriano raduna le sue legioni per respingere l’invasore. Gli Arabi lasciano l’assedio di Cesarea e ritornano verso il Mar Rosso. 
260: Valeriano attacca Antiochia, ma il Persiano l’ha ingannato: circondato, l’esercito romano è perduto. I cavalieri iranici fanno strage di chi fugge, mentre i fanti catturano tutti i legionari. L’imperatore è tratto in catene e torturato a morte (il senato non vuole pagare il riscatto), mentre i suoi uomini sono messi ai lavori forzati alla costruzione di una diga nell’estremo oriente del regno. Lo smacco a Roma è totale. 
Latinio Postumo Cassiano, generale delle Gallie, si dichiara indipendente da Roma e trucida il figlioletto di Gallieno, Solonino. Contemporaneamente, altri quattro usurpatori prendono il potere in Grecia ed in Oriente. 
261: in quest’anno vengono assassinati undici usurpatori al trono imperiale. Gallieno rimane a galla a Roma. Per l’ultima volta una legione etiopica varca la Porta delle Lacrime e penetra in Arabia, respingendo la tribù gnostica dei Banu Khayyim da Homerita e ripristinando il controllo romano sulla Via Augusta.
262: Gallieno promulga un editto di tolleranza verso i cristiani. Affida anche al re della città mercantile di Palmyra, l’arabo Odenato (‘Udaynat).
Gobembe, ultimo grande sovrano del Punt, raduna le sue armate per strappare definitivamente l’Etiopia ai Romani.
263: Gallieno riceve Plotino a Roma e finanza i suoi studi. Odenato raduna attorno a se molti sayyid e shaykh del deserto, dando vita ad una labile alleanza nord-araba. I Banu Ghusn scacciano da Gadia i Dawa, che varcano il mare e si stabiliscono lungo il Nilo, ma vengono subito rovesciati dagli arabi di Odenato, che riconquista l’Egazia e la Siria per l’impero. I Banu Ghusn di dividono in due tribù, i Ghassan e i Ghussayn.
264: Gallieno consolida lo Stato, riformando l’esercito. Ampio spazio è dato ai comandanti dalmati e mauri. Odenato è associato al titolo imperiale, mentre la ribellione in Gallia continua, anche grazie all’ammutinamento di quasi metà della flotta romana. Le fortificazioni del limes sono riedificate.
265: Vittoriano è associato al trono da Postumo Cassiano. Ribellioni in Pannonia e Cilicia. Battaglia di Carre Etiopica, le tribù del Punt sommergono la metà delle valli dell’Acrocoro, inseguendo i romani sconfitti fin nelle loro fortezze sotterranee.
266: i Goti e gli altri brabrari tornano a sconfinare. Kniva conduce una vera invasione al comando dei suoi quarantamila uomini, mentre Franchi e Alemanni mettono sotto pressione il limes renano.L'Africa nel 300 d.C. (grazie ad Iacopo)
267: Goti ed Eruli devastano Atene. Fine della civiltà greca in Grecia.
268: altri Goti entrano in Italia. Gallieno muore, forse assassinato. Prende il suo posto Aureolo, poi eliminato da Claudio II, comandante della guardia a cavallo.
Postumo Cassiano è ucciso da Lolliano, che ne prende il posto finchè il co-imperatore di Gallia Vittorino non lo fa giustiziare. Ma anche Vittorino soccombe ad una congiura organizzata da Aurelio Mario, ne’arca della flotta d’occidente. Pio Esuvio, suo prefetto del pretorio, viene messo a morte quando è scoperta una congiura. 
Riscossa etiope, le armate di Gobembe, che assediavano Ulpia Traina (Axum), sono circondate da guerrieri etiopi ed ex legionari riuniti sotto i vessilli della Legio IX Leonum, e massacrate.

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Digressione: L’Impero delle Gallie e le ragioni del suo successo

Quando Latinio Postumo Cassiano guidò le truppe galliche in rivolta contro i luogotenenti di Gallieno probabilmente non credeva che il suo progetto avrebbe avuto il grande successo che effettivamente riscosse.
Cassiano dominò su tutta la Gallia, la Britannia e l’Iberia dal 259 al 268, avendo Colonia Augusta come capitale. La vicinanza della sua sede al limes renano si spiega facilmente: l’Impero delle Gallie era l’impero delle legioni delle Gallie (così come, in quell’epoca, l’impero romano era l’impero delle legioni romane). Distaccare le province d’Occidente dal resto dell’impero fu una scelta sia economica che politica: i funzionari di Gallieno infatti si opponevano alla distribuzione del bottino sottratto ai barbari alle legioni di Cassiano, che quindi si ribellò all’autorità imperiale. Sapeva bene però che al tempo non aveva nessun senso cercare di marciare su Roma e sostituire Gallieno: avrebbe significato solo mettere a rischio la propria vita, consegnandosi agli intrighi ed ai complotti dei senatori e dei notabili della capitale. Cassiano così fu acclamato imperatore di Gallia e battè moneta, nominò un senato e così via.
La posizione militare e strategica del nuovo impero secessionista era molto difficile. Innanzitutto la sua presa sulle province iberiche era labile, ed un attacco imperiale da quelle posizioni era molto probabile. Inoltre l’Italia rimaneva il cuore della potenza romana, e sarebbe stato semplice per le legioni della padania e del norico puntare verso ovest per riportare alla ragione le province ribelli. Infine rimanevano alcune sacche di resistenza nella provincia della Gallia Narbonense, che potevano trasformarsi in vere e proprie rivolte reazionarie. Cassiano poteva fare due cose per consolidare la propria posizione: invadere la pianura padana e prendere il centro nevralgico di Milano, minacciando il cuore stesso di Roma, oppure trovare qualche alleato nella flotta che pattugliasse le coste galliche ed ispaniche per impedire attacchi da quella direzione. Cassiano scelse la seconda opportunità, alleandosi con Gaio Ulpio Cornelio Leliano, comandante della flotta ispanica. Grazie a questa alleanza strategica, l’Impero delle Gallie strinse la sua presa sull’estremo occidente, assicurandosi anche la metà delle flotte romane.
Gallieno potè tentare di riconquistare le gallie solo nel 263, venendo respinto da Colonia quando Aureolo, suo generale, disertò, occupando Milano. Aureolo cercò l’appoggio di Cassiano, che però, forse sobillato da Leliano, preferì restare a guardare mentre Gallieno lo faceva a pezzi. 
Leliano fu, negli anni seguente, l’anima nera di Cassiano ed il vero artefice del successo dell’Impero delle Gallie. 
Sapendo bene che la Gallia stessa era indifendibile dal relativamente piccolo esercito di Cassiano, Leliano puntò tutto sulla flotta: fece costruire nuove navi, addestrare nuovi marinai e potenziare i porti della Manica. Fece anche preparare diverse navi dal fondo piatto adatte alla navigazione fluviale, per supportare efficacemente le legioni di stanza lungo il Reno. 
Nel 268 Leliano si ritenne pronto a prendere il potere, e si fece acclamare imperatore dalle truppe di Magonza. Scoppiò una breve guerra civile. Le flotte ovviante parteggiarono per Leliano, che si rinchiuse nella città di Lutetia (attuale Parigi), confidando nella superiorità offerta dalle sue chiatte da guerra che incrociavano lungo la Senna. Cassiano abboccò all’amo, assediando il ribelle per sei mesi. La città non cadde, ma i sicari di Cassiano trovarono Leliano nel suo letto e lo ridussero in fin di vita. Il ribelle tentò allora di riparare in Britannia, ma le disperate condizioni di salute nelle quali si trovava lo portarono alla tomba prima che alla salvezza. Le truppe di Cassiano tuttavia si ribellarono quando il loro generale diede l’ordine di non saccheggiare la città di Lutetia, forse per impossessarsi lui solo del tesoro di Leliano. Cassiano fu assassinato sulle mura cittadine, ed i militari acclamarono loro imperatore Marco Aurelio Mario. 
Questi spostò la capitale a Treviri e dedicò i due anni successivi al risanamento dello stato, sconvolto dalla breve guerra civile. In particolare dovette riguadagnarsi, a suon di donativi, la fedeltà della flotta britannica (e della provincia stessa di Britannia). Così facendo però dovette dipendere sempre di più dal portafoglio del ricchissimo Vittorino, che non tardò molto a farlo assassinare ed a prenderne il posto.
Vittorino fu l’ultimo imperatore della Gallia, ma anche quello che, con il suo operato, permise alla provincia di Britannia di rimanere relativamente indipendente da Roma. Puntò tutte le risorse dello stato sulla flotta, senza poter fare molto per le ribellioni filo-romane che si moltiplicavano nel sud del paese. Fu assassinato nel 273, ed al suo posto fu scelto Tetrico, che potè fare ben poco quando Aureliano travolse le armate galliche ai Campi Catalaunici. 
Le Gallie così tornarono sotto il controllo imperiale. Gli ultimi ribelli si ritirarono in Britannia, protetti dalla flotta. Aureliano non tentò di invadere l’isola, si limitò ad espugnare il porto di Bonomia Gallica (strategico per il controllo della Manica) e concluse un patto di non interferenza con Faustino, prefetto della flotta, succeduto a Tetrico al comando degli insorti. Faustino dovette accettare una sovranità limitata, ed inoltre a tutti i comandanti delle navi britanniche fu offerto da Aureliano un donativo speciale per tornare al servizio di Roma. Circa la metà delle navi della grande flotta britannica quindi defezionarono, e portarono la loro esperienza nel Mediterraneo, dove furono fondamentali per eliminare il pericolo dei pirati arabi. Furono talmente efficaci che uno dei loro comandanti, Posidonio (forse un celta d’Irlanda) divenne per un breve tempo imperatore prima di Diocleziano. (fino all’epoca rodiese inoltrata fu l’unico imperatore ad essere stato prima ammiraglio, con l’eccezione di Pertinace, che in effetti aveva fatto solo lavoro burocratico per la flotta misense). Poco tempo dopo anche Faustino fu tolto di mezzo, e la Britannia tornò, ma solo nominalmente, a far parte dell’Impero. Sotto il regno di Probo avvenne la definitiva scissione: un certo Vittorino, figlio di quello che era stato imperatore delle Gallie, si fece acclamare Dux Bellorum Britanniae (non imperator), ma fu assassinato, e Probo nominò Bonoso, un uomo di certo meno ambizioso, al suo posto. Il titolo di Dux Bellorum ricevette così conferma imperiale, e la Britannia divenne una provincia semi-indipendente. Di fatto l’isola cessò quasi di mandare tributi all’autorità centrale, ma in compenso dovette accettare di diventare la colonia penale dell’impero. Quello che era stato un uso abbastanza frequente, ma pur sempre estemporaneo, della Britannia come luogo dove deportare prigionieri di guerra ed indesiderati di vario tipo, venne sanzionato ufficialmente. Contemporaneamente però la Britannia fornì all’impero i suoi migliori marinai e capitani di mare, contendendo all’Egitto il primato per numero di braccia fornite alle trireme. La tradizione navale romana fece un vero e proprio balzo in avanti, e fino al definitivo ritiro delle legioni nel 410 le navi e gli ammiragli britannici dominarono le flotte di tutto l’Impero.
Questo rapporto privilegiato fra la provincia di Britannia e Roma fu la più grande eredità lasciata dall’Impero delle Gallie, e di certo fu vantaggiosa per entrambi gli attori. Tuttavia fu anche una fonte di problemi nei momenti in cui l’impero era più fragile: ne sarà un esempio la ribellione di Carausio (Dux Bellorum), nel IV secolo.

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Digressione: L’Oriente durante il regno di Palmyra

Laddove l’Impero di Gallia e quello di Falakhiyya rappresentano la secessione delle legioni stanziane in un dato territorio, la nascita del regno di Palmyra rappresenta più la secessione di un’aristocrazia provinciale che ormai riteneva di poter fare a meno dell’aiuto romano. 
Palmyra era una città mercantile al confine fra il deserto siriano e quello arabo, e non aveva mai fatto parte dell’Impero, malgrado i principi mercanti che la governavano avessero ricevuto la cittadinanza romana fin dall’epoca dei Severi. Palmyra e le sue rotte carovaniere costituirono un baluardo difensivo di emergenza durante la ritirata (o per meglio dire la rotta) dell’esercito di Valeriano dopo la sua sconfitta e cattura ad opera dei persiani nel 260. L’imperatore Gallieno, angustiano da tutt’altri problemi e ribellioni, non potendosi occupare anche dell’Oriente, nominò il dinasta di Palmyra, Settimio Odenato (aram. Xeth ‘Udaynath rev. Zethimo ‘Odainat) “Corrector Orienti”, affidandogli in pratica la gestione degli affari romani in Siria ed Asia.
Settimio fu per molti versi la salvezza dell’autorità imperiale in oriente. Radunò a sue spese (era ricchissimo) armate di beduini mercenari con le quali arginò gli sconfinamenti persiani, e riprese la città di Emessa oltre l’Eufrate. Si spinse fino in Armenia ed a sud ne cuore del deserto, mettendo fine ad un ciclo di inurbazione dei beduini iniziato cinquant’anni prima. Saccheggiò Mocaraba e strappò la Pietra Nera di Hubal ai Socarei, portandola quindi a Palmyra.
Le ricchezze affluirono in città da tutto l’Oriente, e ben presto Palmyra fu una delle metropoli dell’impero. Odenato arruolava le sue armate non più fra i beduini, mafra le masse inurbate prive di appartenenza clanica. 
Nel 267, radunato un nuovo esercito, si diresse verso la Cappadocia per dar amn forte alle legioni imperiali contro i Goti, ma fu assassinato presso Lattakia insieme al figlio Hairam ed al generale Microbio. 
È in questo momento che inizia la vera propria ribellione di Palmyra: la regina Zenobia (aram. Zaynab, rev. Zainabi), moglie di Odenato, si fece nominare reggente per conto del figlio Atenodoro Vaballato (ar. ‘Ubayd-Allat, rev. ‘Obait-Tealla). Fin da subito Zenobia comprese che l’affermazione d’indipendenza di Palmyra doveva avvenire quanto prima: occupò l’Egitto, l’Arabia e la Bitinia, costringendo Claudio II il Gotico ad un trattato. Palmyra sembrava essere diventate la vera capitale di un nuovo regno orientale, semitico, tenuto unito dalle vie carovaniere e dalle armate palmirene. Il sogno si infranse con l’elezione ad Imperatore di Aureliano. L’energico generale organizzò immediatamente la riscossa romana: mentre i suoi veterani il lirici ingaggiavano il nemico in Bitinia, egli stesso, accompagnato dai suoi migliori comandanti, sbarcava in Siria. Zenobia, accompagnata dal generale-amante Zabdas (ar. Dhu-‘abd, rev. Zubide)ingaggio i romani ad Immae, presso Antiochia, ma gli esperti cavalieri illirici comandati dallo stesso Aureliano ebbero la meglio dei veterani a cavallo di Palmyra. Nottetempo la città fu abbandonata, e Zenobia radunò un altro esercito per bloccare l’avanzata dei romani presso Emesa. Qui la battaglia fu molto più dura: le masse di soldati male armati ed appena addestrati di Palmyra sembravano poter bloccare, con il semplice peso del numero, i soldati romani. L’impeto dell’esercito di Zenobia arrivò fino alla guardia pretoriana di Aureliano, e pare che lo stesso imperatore sia stato ferito. Le sorti della battaglia però si ribaltarono con l’intervento dei sacerdoti del Sole Invitto di Emesa: le truppe romane ricevettero il loro supporto morale dall’alto delle mura, e la tribù dei Coresciti, che era in città per commerci, si armò ed uscita dalle porte attaccò l’armata di Zenobia alle spalle. I palmyreti ruppero le fila e si ritirarono in ordine sparso verso sud. In segno di gratitudine Aureliano adottò il Sole Invitto come suo dio personale, e la religione solare ottenne il suo definitivo avvallo imperiale: nel cinquantennio seguente sarebbe stata la religione quasi ufficiale dell’impero,e quella più diffusa fra le legioni. I Coresciti dal canto loro ottennero la restituzione della Pietra Nera di Hubal e la conferma del loro ruolo nella gestione della città di Mocaraba. 
Palmyra cadde poche settimane dopo, Zenobia fu catturata e trascinata in catene al trionfo di Aureliano, anche se poi potè continuare a condurre una vita relativamente tranquilla nella sua gabbia dorata di Tivoli.

Il Tempio di Bel a Palmyra stampato in 3-D!

Il Tempio di Bel a Palmyra stampato in 3-D!

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Digressione: il Regno di Falakhiyya

Amazio Filippo si rese indipendente da Roma nel 271, e già nel 274 il suo sogno di indipendenza era tramontato. Può sembrare poco più di una breve meteora nella storia, e probabilmente lo fu, ma nonostante questo la sua opera ha un profondo significato politico e sociale. 
Durante l’anarchia militare le province dell’estremo sud est, ossia quelle che si affacciavano sul Mar Rosso subirono più di qualunque altra zona dell’Impero la crisi d’autorità romana. Qui infatti la colonizzazione latina aveva preso la forma delle sporadiche fortezze disperse nel deserto, isole romane circondate da un oceano di beduini. Non essendoci un confine naturale lungo il quale potessero essere costruite fortificazioni, ciò che teneva lontani i predoni e i barbari era la sola autorità dell’imperatore, il prestigio dell’apparato romano e la fama di invincibilità e spietatezza delle truppe etiopiche ed egizie. Durante l’anarchia militare l’autorità svanì, il prestigio decadde e la fama d’invincibilità divenne più che altro una pretesa. In teoria questa situazione avrebbe dovuto evolversi con la devastazione da parte dei beduini delle civitates romane, ma questo non accadde: nell’ultimo secolo anche gli arabi erano cambiati, non erano più i feroci predoni che avevano fatto pagare un tremendo tributo di sangue a romani e persiani. Si erano aperti nuove influenze, specialmente alle religioni dell’oriente dell’Impero Romano ed alla civiltà Sasanide di Mesopotamia. Si stavano trasformando, con estrema lentezza e fra mille e mille contraddizioni, attraverso fasi continue di inurbazione e beduinizzazione, in una civiltà seminomade di mercanti cittadini, abitatori delle medine del deserto. Anticipando di quasi due secoli i Goti e i Franchi, questi nuovi beduini non penetravano nelle regioni imperiali per saccheggiare e distruggere lasciando dietro di se rovine fumanti, ma per stabilirsi nelle città spopolate dai coloni, sfruttando per qualche anno, a volte per decenni, la vie commerciali che l’attraversavano. 
Il primo esempio di questa nuova attitudine dei beduini fu la tribù Kinana, che nel 224 occupò pacificamente Gadia e Mocaraba, due snodi fondamentali (la prima città era il più grande porto del Mar Rosso dopo Subazia, la seconda era un santuario panarabo) delle carovane nord-sud. La popolazione romana non fu estromessa (come ad esempio successe a Tapsus trent’anni più tardi), ma lentamente allontanata dagli incarichi burocratici più importanti, mentre i capiclan compravano con moneta sonante o carichi di sale o spezie le nomine da parte del prefetto. Insomma, Roma si dimostro incapace di mantenere il controllo etnico sulla regione, dovendo accontentarsi di una vaga autorità politica e della sicurezza militare data dalla rete delle revade. 
Tutto questo, se era vero in Arabia Egatia e in parte nel Petrense, era profondamente fuori luogo in Arabia Felix. I Sabei, ossia gli abitanti originari della regione, erano una civiltà urbana altamente evoluta già alcuni secoli prima dell’occupazione romana, erano quindi molto più adatti a ricevere l’influsso dei nuovi dominatori. Il numero di porti della regione, inoltre, aveva permesso l’insediamento di grandi comunità egizie e greche, diffondendo per questa terra la koinè ed il revadi (e il cristianesimo), mentre l’unica minoranza etnica in Egatia era quella ebraica. Infine la città di Nipsus, un centro secondario della Felix, era però il cuore di un’intensa vita religiosa e filosofica guidata dalla comunità barbelognostica. Insomma, la Felix (o Falakhiyya, nella pronuncia locale) era una tipica provincia romana orientale, mentre l’Egatia era un labile dominion romano.
Fino a quando le comunicazioni e i contatti con Roma e l’Egitto furono costanti, scorrevoli, assicurati dall’ordine e dalla pace delle province, la Falakhiyya prosperò. Quando però l’unità imperiale venne meno e la protezione offerta dalle legioni etiopiche e dalla flotta egiziana fu impedita dalle orde africane e dai pirati arabi, la provincia rivelò la propria natura di enclave sotto assedio. La ricchezza di Homerita Pia e delle altre città della Falakhiyya attirò le tribù beduine come branchi di cani randagi su di un cammello ferito. I locali dovettero fare del loro meglio per difendersi, avendo a disposizione solo due legioni e nessun rifornimento, ne tanto meno capi militari degni di questo nome. Durante tutto il terzo secolo il limes sabeo fu rinforzato, le legioni divise in gruppi più piccoli di pronto intervento (divisione che sarà adottata poi in tuttol’impero) e il prefetto fu affiancato da un consiglio di potenti locali, che resero le sue decisioni più condivisibili dalla popolazione. Dal 251 in poi, il prefetto non fu più nominato da Roma, ma questa facoltà fu delegata direttamente al consiglio: la Falakhiyya veniva così ad avere un suo proprio senato, un relativo controllo sulle proprie legioni e un sacco di problemi. Nel 260 un popolo nilotico, gli Zambru, comprò un passaggio attraverso lo Stretto delle Lacrime e costituì un serio problema per la popolazione e l’esercito romano in Arabia Felix per più di dieci anni. Fu nelle campagne di contenimento di questi invasori che Amazio Filippo sviluppò la sua leadership presso le truppe e la popolazione. Amatissimo, ricchissimo, estremamente influente e capace, in un paio di occasioni, di intervenire anche oltre il limes sabeo, contro i beduini ed i persiani di Moscatia. Il sue prestigio e la sua influenza furono tali che, una volta liquidati gli invasori ed i nemici esterni, Amazio Filippo fu investito di un’autorità quasi assoluta sul popolo di Falakhiyya, in assoluto contrasto con il senato, che invece aveva ricevuto la sua autorità dai prefetti imperiali. Il senato stesso si rifiutò di dare la potestà proconsolare al condottiero, per limitarne la forza, e ciò condusse inevitabilmente alla guerra civile. In meno di sei mesi le scarse forze del senato erano state rovesciate e Amazio, non potendo uscire dai suoi confini con le sue scarse forze, si accontentò del titolo imperiale sulla sua provincia. Lo mantenne per tre anni con relativa saggezza e stabilità, fino a quanto Aureliano non pretese la sua sottomissione. Amazio era saggio, ma anche orgoglioso, e non si piegò. Quando le sue armate ruppero le file sotto la spinta degli eserciti imperiali, tentò la fuga, venendo assassinato poi dai marinai del naviglio che doveva portarlo in India.
Aureliano non punì l’Arabia Felix, m anzi ne restaurò i privilegi, confermando il senato nei suoi ruoli consultivi –con una formula identica a quella usata per sancire la quasi indipendenza della Britannia… ai due estremi dell’impero, i problemi di controllo dell’autorità imperiale erano dunque motlo simili. D’altra parte bisogna dire che il senato arabo fu abilissimo, come corpo, nel far passare la provincia d’Arabia Felix come vittima, alla pari dell’autorità imperiale. 
I barbelognostici stabilirono l’anno zero con la fine del dominato di Amazio Filippo, nel 274 (oggi quindi siamo nell’anno 1734 del loro calendario).
L’indipendenza del regno di Falakhiyya, a differenza di quella di Palmyra e di quella gallica, non fu indice di un indebolimento dell’autorità morale di Roma, ma anzi della straordinaria forza con la quale Roma introdusse in questo angolo estremo dell’impero la sua cultura e la sua civiltà. Il regno di Falakhiyya in quanto tale non ebbe una grande influenza sui secoli seguenti, ma la cultura arabo-latina sopravvisse alla caduta dell’impero ed al sorgere dell’I’lam, fino ai giorni nostri.

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Digressione: I Barbari d’Africa e Arabia

Malgrado la costruzione di strade ed acquedotti lungo il Nilo all’epoca dei Giulio-Claudi, la penetrazione della cultura romana in Africa fu debole e limitata alle città-fortezza che difendevano le vie fluviali o la Via Augusta. La superiorità navale romana e il commercio con l’India causarono ben presto una preferenza per il commercio lungo il Mar Rosso, e la conseguente decadenza delle carovaniere sud. Gli unici prodotti trasportati da sud a nord erano gli schiavi ed i diamanti. I primi erano però una merce comunemente disponibile nell’impero (ed inoltre gli schiavi neri erano considerati riottosi e pericolosi, e le schiave, se infibulate, non valevano nemmeno il loro sostentamento), mente non esisteva ancora una tecnologia adatta al taglio dei secondi. Erano invece apprezzate le legioni arruolate in questa regione, in particolare in Ethiopia, anche se i soldati africani rimanevano “sorvegliati speciali”. 
Col tempo gli imperatori preferirono demandare il governo delle province più interne ai re (Maloq, Faoluf o Mark, a seconda della lingua ) locali. All’epoca di Adriano ci fu un tentativo di unire i popoli nubiani alla Grande Rivolta, da parte di un gruppo di tre condottieri detto Tulut Uhd, cioè “Tre Uno”, probabilmente un qualche tipo di riferimento religioso. La repressione fu feroce, ma non penetrò profondamente in territorio semitico come fece in Arabia. I Nubiani furono espulsi dalle colonie della costa, ma molti coloni romani dovettero, negli anni seguenti, abbandonare le fortezze dell’interno. Nel periodo dei Severi le distese del medio corso del Nilo furono di fatto abbandonate alla gestione di tre regni rivali, fra i quali Roma interveniva solo quando uno di essi prendeva troppo il sopravvento. La Via Augusta, da Cesarea Nilotica a Castragrippae, divenne una specie di piccolo e leggero limes africano –forse il più efficiente fra i limina romani… 
Viceversa l’Etiopia rimase romana fino al regno di Diocleziano, ed assorbì con straordinaria ricettività la cultura latina, greca ed alessandrina. Il revadi Etiope era quello più desemitizzato, e si configurava come un vero e proprio patois linguistico. Questo fu dovuto sia alla grande attenzione del popolo etiope per le religioni mediterranee, sia al prestigio di cui godette in queste terre la carriera militare. Un numero grandissimo di giovani etiopi prestava servizio nelle legioni, e spesso si faceva notare per disciplina, resistenza fisica e ferocia in battaglia. Furono le legioni abissine a spazzare via ogni brandello di resistenza araba durante la Grande Rivolta, e a costituire la spina dorsale dell’esercito nelle guerre persiane. Ancora oggi possiamo vedere in Etiopia i segni della dominazione romana, i templi sulla cima dei monti, gli acquedotti. Notevole è una parte della cinta muraria della città di Karre (Caer Leon, *Addis Abeba), riporta alla luce solo di recente, sulla quale i soldati veterani, di ritorno in patria, usavano scrivere con un ciottolo il proprio nome seguito dalla frase “cives Romanus sum” o da una sua abbreviazione. Questo reperto ci ha permesso anche di conoscere i nomi più diffusi fra la popolazione romano-etiopica. Sopra tutti svetta Marco, per tre motivi: era un nome di antica tradizione romana (molti etiopi avevano combattuto in Illirico per Marco Aurelio), era il nome dell’apostolo fondatore della sede di Alessandria e suonava molto simile al revadi “marq”, ossia re. Al secondo posto, molto distanziati, vengono due nomi locali: Amra, cioè leone e Horius, cioè libero o liberto. Meno diffusi sono i teonimi tipici del mondo arabo, anche se abbiamo un Ovesemius o Ovesmius. Il cognomen più diffuso è di origine clanica: Ezana, il primo re di Aksum. Il prefetto della legione di Carre (Addis Abeba) ad esempio si chiamava M(arcus) Pt(olemaius) Ezana Leo(ninus? titolo mitraico?) Roma(nus) Pius. 
Il nemico classico degli etiopi erano naturalmente i barbari africani, che si affollavano sempre di più nel Corno d’Africa, attratti dalla prosperità delle province romane. Gli abitanti dell’Acrocoro condussero per conto loro tre campagne (221-226, 241-253 e 262-268) contro i Nubiani dei regni di Meroe ed i Somali del regno di Punt. Questi invasori provenivano dall’area swahili e premevano ai confine della provincia di Etiopia, arrivando nel 250 a circondarla completamente e ad assediare Castragrippae. Malgrado il loro numero, la loro crudeltà e la loro determinazione però furono respinti nel deserto dalla superiore organizzazione e tecnologia degli etiopi, e soprattutto dall’inespugnabilità della fortezza naturale dell’Acrocoro Etiopico. Queste guerre ebbero effetti capitali sia sull’Impero, sia sull’Ethiopia, sia sui barbari. Il primo perse molta della sua influenza sulla provincia più meridionale, oramai legata a Roma più da vincoli culturali che politici o militari. La seconda, viceversa, guadagnò sicurezza nelle proprie possibilità. È in questi secoli che inizia la produzione su larga scala del caffè. Infine i somali, venendo in contatto con una civiltà superiore, ne apprezzarono molte caratteristiche. Si stabilirono nel corno d’africa ed iniziarono la creazione di regni indipendenti. Alcuni di loro furono iniziati al culto di Mitra, che così si diffuse fino al Grande Zimbabwe ed all’area Zulu, dove sopravvive ancora oggi.

L'Impero Romano durante l'Anarchia Militare, CLIC PER INGRANDIRE (grazie ad Iacopo)

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Breve Cronologia 268/284

269: I Goti si preparano ad invadere di nuovo la Grecia. Sapendo che se un popolo barbarico dovesse dotarsi di navi sarebbe la fine per Roma, specie in questo periodo, nel quale metà della flotta è attraccata nei porti galli e l’altra metà cerca di impedire ai pirati arabi di forzare il canale di Augusto, si precipita al fronte e con un piano ben congegnato e l’ausilio di alcuni battelli per il trasporto truppe sbaraglia l’invasore all’ombra dell’Olimpo.
270: la peste, attraverso le legioni, si diffonde in occidente. Claudio II ne muore mentre tenta di respingere Goti e Alemanni dalla pianura padana. Gli succede per pochissimo tempo il fratello, Aurelio Quintilio, ma quando le truppe acclamano imperatore il comandante della cavalleria di Claudio, Aureliano, è costretto a suicidarsi. 
Altrove muore Odenato, e gli succede la ben più agguerrita moglie Zenobia (Zaynab), che occupa la Syria e cala in Egitto, espugnando Alessandria. Contemporaneamente l’intera Egazia si ribella a Roma e si unisce al suo regno.
271: La situazione, nel Mar Rosso e nel Mare Arabico degenera rapidamente. Le legioni della città di Nigrizia si ribellano all’impero, acclamando il loro comandante Amazio Filippo el-Marq Re d’Arabia. Le coste sono saccheggiate a più riprese da pirati di varia origine e specie, causando veri e propri esodi di cittadini romani da quelle regioni.
Nel cuore dell’impero però rinasce una certa sicurezza: Aureliano respinge ed umilia i Goti e da inizio a delle imponenti opere di fortificazione delle città italiane.
272: flotte di pirati arabi, con l’appoggio di Zenobia, varcano il canale di Augusto e saccheggiano Cipro e l’Asia. 
Aureliano raduna le sue truppe, varca l’Elllesponto e si spinge in Asia, per assediare Palmyra. Zenobia da battaglia sotto le mura della città, pare vincere, ma all’apice dello scontro i sacerdoti del Sole di Emesa giungono in aiuto delle truppe romane, e i palmyreti sono sbaragliati. Zenobia e suo figlio Vaballatus-Ubaytullat-Atenodoro sono fatti prigionieri. Il culto del Sole Invitto si diffonde fra le truppe, che vedono in Aureliano una specie di Messia.
273: Aureliano è in Gallia, per piegare la ribellione di questo impero secessionista. Pio Esuvio Tetrico è sbaragliato ai Campi Catalaunici e si umilia davanti all’Imperatore. Aureliano concede a Faustino di continuare ad esercitare potestà proconsolare in Britannia, perché sa bene che non potrà sconfiggere la classis britannica, essendo quasi tutte le sue flotte impegnate in oriente.
Aureliano perseguita i cristiani, volendo instaurare in tutto l’impero il culto del Sole.
274: Una buona metà della classis britannica defeziona dal comando di Faustino e si unisce alla flotta romana per ricacciare i pirati dal mediterraneo. Faustino riceve il ferro. Interregno in Britannia, che torna temporaneamente sotto l’influenza romana.
Aureliano percorre la Via Flavia fino a Nigrizia facendo strage degli arabi ribelli. Amazio Filippo è sconfitto e tenta di fuggire in India, ma viene assassinato dai pirati presso i quali si era rifugiato, quando questi vengono a sapere della taglia sulla sua testa. 
Aureliano celebra il suo trionfo a Roma, con Zenobia e Tetrico aggiogati al suo carro. 
275: Ultime riforme di Aureliano che ridà stabilità a Roma e condona i debiti dei poveri. In estate parte per la Bitinia, ma tradito dal suo segretario, è assassinato dai generali. Immediatamente vengono acclamati imperatori Tacito (che muore per mano dei Goti), Floriano e Probo.
276: Probo trionfa su Floriano e diviene unico Imperatore. Essendo stato il braccio destro di Aureliano, continua la sua opera di risanamento pubblico. Attalo Posidonio Marciano Postumo, ne’arca d’Asia, infigge un colpo durissimo alla pirateria del Mar Rosso quando intrappola una grande flotta che si era radunata all’Isola Negrina (Socotra) e la da alle fiamme. 
278: Probo varca le Alpi alla guida del suo esercito per ricacciare i Franchi e gli Alemanni penetrati in seguito alla dispersione delle legioni galliche. Sconfigge i barbari, crocefigge il loro capo e fa grande strage. Sedicimila barbari sono deportati in Britannia.
279: Probo continua la sua pulizia etnica con fanatica solerzia.
280: Procolo tenta di assassinare l’imperatore, ma è tradito dai suoi stessi congiurati e consegnato. In Britannia, Vittorino tenta di riprendere in mano la tradizione dell’Impero delle Gallie, ma è anch’egli tradito dai sedicimila deportati e assassinato. Probo nomina Corrector Britanniae Bonoso, con gli identici poteri che Vittorino avvocava a se…
282: Probo è assassinato dalle truppe, gli succede il comandante dell’esercito Aurelio Caro.
283: Aurelio assassinato, gli succedono Numeriano, Caro e Posidonio, che si contendono il trono in Oriente.
284: Numeriano, fatti assassinare gli altri pretendenti, si spinge verso il regno persiano, ma è assassinato a sua volta. Sale al trono Diocle, futuro Diocleziano.

L'Impero di Diocleziano, CLIC PER INGRANDIRE (grazie ad Iacopo)

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Digressione: Il ritiro della legioni dall’Etiopia

Uno dei primi provvedimenti presi da Diocleziano fu il ritiro definitivo delle truppe romane dalle province etiopiche. Si trattava di cinque legioni di veterani al completo, che ubbidirono all’ordine imperiale abbandonando per sempre le loro case, le loro famiglie e la loro terra. Traiano aveva espugnato Axum nel 106, Diocleziano diede l’ordine di ritirata nel 284. La dominazione romana era durata 178 anni. La popolazione aveva accettato con grandissimo interesse la cultura latina, e probabilmente, vista le relativa brevità dell’occupazione, la romanizzazione dell’Etiopia fu la più rapida e profonda. L’Etiopia fu quindi uno dei più grandi successi dell’Impero: la Chiesa d’Etiopia stabilità l’anno zero a partire proprio dal ritiro dei romani.
Nel 284 l’Ethiopia era una provincia tormentata da guerre ma in relativa ripresa economica, grazie soprattutto alle prime coltivazioni sistematiche del caffè, esportato lungo l’asse commerciale del Mar Rosso. Attraverso il porto di Castragrippae, i romani mantennero ancora per alcuni secoli il controllo sulle esportazioni etiopi, ma si disinteressarono completamente alla difesa dell’Acrocoro dalle popolazione barbare che lo assediavano da ogni lato. Non bisogna dimenticare che le legioni etiopi che entrarono al servizio di Diocleziano si distinsero come la creme de la creme dell’esercito imperiale (gli etiopi erano noti per il loro furore militare e per la loro disciplina fin dall’epoca della Grande Rivolta Semitica). 
Con il ritiro delle armate l’Ethiopia, ormai indipendente, perse quasi la totalità della sua forza militare (rimasero alcuni veterani in pensione e le truppe ausiliarie) e soprattutto la quasi totalità del suo elemento cristiano. L’evangelizzazione dell’Africa e la formazione della Chiesa Etiope furono ritardate di quasi un secolo, mentre riprendevano piede le sette gnostiche, l’adorazione di Mitra (reintrodotta dai somali convertiti dai missionari etiopici…) ed il manicheismo. Quando nel 333 i Tre Santi (Marco, Ezio e Sesonge, seguaci si Sant’Antonio il Grande) riportarono in auge il cristianesimo, dovettero affrontare la durissima opposizione di Araso Mago, il capo della chiesa manichea in Etiopia (forse una chiesa sincretistica manicheo-ariana). La disputa fu risolta solo dopo una durissima gara di ascesi: tutti e quattro si ritirarono in meditazione, ciascuno sulla cima di un picco nel cuore dell’Acrocoro, senza muoversi, cibarsi o distrarsi, finchè Dio non avesse dato un segno del suo favore. Il quarantesimo giorno del ritiro, così vuole la tradizione, i quattro picchi crollarono, distrutti dal potere dell’ascesi dei tre sant’uomini (motivo mitico di origine indiana), ma la mano del Signore tenne i suoi tre amici sospesi in aria, mentre Araso rovinò penosamente a terra morendo. I Tre Santi fluttuarono a mezz’aria avvolti nella luce divina ancora per un giorno completo, e durante la notte le loro aureole illuminarono l’Etiopia come un sole. Le visioni avute dai tre durante questa estasi furono immortalate, più tardi, nelle sculture e nei mosaici del santuario che sorse nel luogo del miracolo, detto Chiesa dei Quattro Picchi. San Marco d’Etiopia divenne in seguito un grande fondatore di eremi, mentre Sesonge fondò la basilica di San Marco e della Madonna Nera, centro della religiosità etiope. Il suo aiutante e compagno di viaggio, Frumenzio, divenne il primo Patriarca d’Etiopia (con il titolo di Abba Dawana, Padre Luminoso, in opposizione all’abate dei quattro picchi che era detto Abba ‘Alama, Padre Sapiente). Non si conosce il destino di Ezio, del quale parlano pochissimo anche le fonti agiografiche (pare però collegato alla misteriosa figura dell’Abba Sarra, il Padre Segreto)
L’Etiopia fu quindi cristianizzata e divenne un centro di ascesi fino a quando, nel VI secolo, il monachesimo cenobita non venne introdotto dai predicatori Rodesi. 
Anche i militari cristiani etiopi si riempirono di gloria religiosa. Giunti ad Alessandria, molti di loro si rifiutarono di sacrificare all’imperatore Diocleziano, e cento di loro furono crocefissi lungo le rive del Nilo. Fra i privilegi dei militari c’era quello di essere crocefissi, nel caso di gravi tradimenti, col volto puntato in direzione della propria terra d’origine. I Cento Martiri d’Alessandria però chiesero di patire il supplizio della croce con lo sguardo rivolto a Gerusalemme. Le croci furono così, per loro, come delle torri di guardia, dalla cime delle quali scorgere i luoghi della passione della resurrezione del loro Dio.
Il ritiro delle legioni dall’Ethiopia lasciò la regione completamente sguarnita dal punto di vista militare, alla mercè delle orde affamate di africani. La penetrazioni dei somali e dei nubiani nell’Acrocoro fu inevitabile, ma questo non comportò le distruzioni ed i saccheggi tipici delle invasioni barbariche in Europa. Le città fortificate etiopi erano in effetti imprendibili dalle scarse armate degli invasori, prive come erano di armi da guerra o di masse di uomini da sacrificare. Inoltre gli africani furono sempre più riottosi dei germani, e non seppero mai fare fronte comune. Il risultato fu che l’Ethiopia fu invasa e popolata da somali, nubiani swahili e altri, ma le cittadelle fortificate rimanessero quasi intatte, e gli invasori furono rapidamente etiopizzati. La regione rimase tuttavia divisa nei domini di diversi ‘Ogoz (Augusti, cioè capiclan, sayyid) e Qesr (Cesari, ossia capi militari). L’unità arriverà solo nel 535 con Miqa’yl Qesr, primo re di Oleph (Ulpia Traiana).

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Digressione: Oltre il fiume Danubio

Si può dire che il grande fenomeno delle invasioni barbariche passi dalla “preistoria” alla “storia” con l’arrivo dei Goti presso la foce del Danubio, nel ca. 230. I Goti erano con ogni probabilità una popolazione mista, nata dalla fusione di elementi puramente germanici, di elementi scitici e di elementi traco-daci. L’esistenza del popolo dei Geti, presente in Dacia fin dai tempi di Erodoto, sembra confermare l’antichità dello stanziamento dei Goti.
Con ogni probabilità i Goti nacquero quanto alcune tribù germaniche presero il comando di popoli daci, creando una nazione nuova. In seguito, i secoli passati in stretta alleanza con gli Iazigi, avrebbero fatto adottare ai Goti usanze sarmatiche. Un’altra teoria vorrebbe che i Geti avessero assorbito il popolo dei Borani durante il saccheggio del Bosforo Cimmerio (256) , per poi radunarsi sotto le bandiere dei capiguerra germani e darsi al saccheggio delle province romane. Per rendere ancora più confusa la situazione, non c’è che aggiungere anche la teoria secondo la quale la parola germanica “gautar” non designasse, almeno in principio, un popolo definito, ma semplicemente un “capo” o una “banda” di saccheggiatori, ovvero una “società di uomini” (dalla radice indoeuropea che designa chi “sparge lo sperma”). In effetti fra tutti i popoli germanici i Goti furono quelli che si unirono più facilmente in federazioni sotto le bandiere di altri sovrani, a volte anche sotto quelle degli imperatori romani. Inoltre bisogna dire che fra Geti e Daci non corse mai buon sangue, mentre invece, quando i Goti si separarono dei Sarmati Iazigi, i Daci fedeli all’impero cambiarono immediatamente bandiera ed accorsero sotto le bandiere dei barbari.
Se dunque volessimo mettere un po’ d’ordine ed addentrarci nella formazione del popolo gotico, avremmo uno schema simile a questo:

ELEMENTI ETNICI: 
• Daco-Traci, in particolare Geti (prima del 256) e Daci Roxolani e Imperiali (163-270)
• Sarmati Boriani (dopo il 256)
• Germani Orientali, Gautar? (a partire dal 230)

ELEMENTI CULTURALI
• Althing, Skjeldborg e simili strutture germaniche attestate dal 230
• Uso militare del cavallo e della staffa (Sarmatico) dal 265
• Lingua germanica con pesanti influssi traco-daci dal 230
• Uso dei cani da guerra, forse di origine asiatica ma solo dopo il 270
• Fibule in vetro e lavorazione a sbalzo del metallo, in stile scitico fin dalle origini.

ELEMENTI STORICI
• IMPERO ROMANO

In effetti si può ben dire che la nascita e lo sviluppo dei Goti sia avvenuto completamente nell’ambito delle invasioni barbariche e della lotta costante e sanguinaria contro il nemico romano. 
Dopo la prima attestazione del nome Goti, come variante di quello dei Geti, nel 233, abbiamo già la loro prima invasione nel 239, quando la pannonia è saccheggiata. Nel 250 compare il primo re dei Goti, Kniva, che darà filo da torcere ai romani fino alla definitiva sconfitta della sua alleanza ad opera di Aureliano. 
La cosa che più stupisce dell’alleanza radunata da Kniva è la varietà dei popoli che la componevano: Daci, Sarmati, Goti e Marcomanni si erano radunati presso di lui per poter avere la meglio dell’odiato nemico romano. Questo fatto era ben noto ai generali romani, che, orse per la prima votla sul limes occidentale, si trovarono a combattere contro una nazione unita, e non poterono usare la classica strategia del divide-et-impera che fino a Massimino Trace era stata vincente. Solo con l’ascesa al trono di Claudio II i romani ritroveranno la leadership necessaria a sconfiggere sul campo l’invasore, ed anche qui, l’arma decisiva sarà quella della cavalleria (al comando del futuro imperatore Aureliano), mutuata in tutto e per tutto dai nemici. 
La gestazione del popolo dei Goti proseguirà fino al disastro di Adrianopoli, al quale però manca ancora almeno un secolo. 
Ad ogni buon conto, durante questo lungo periodo passato a premere sul limes con alterni successi, i Goti svilupparono una civiltà peculiare, completamente differente da quella degli altri barbari germani.

Iacopo

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Qualche tempo dopo Iacopo, autore di quest'ucronia, ha aggiunto:

Vi confesso che non sono mai stato soddisfatto della qualità di questo mio lavoro, e quindi ho sempre covato, in tutti questi anni, il progetto di riscriverlo. Un altro progetto che mi ha fatto produrre tanti appunti ma nessun risultato condivisibile è stato quello di un'ucronia simmetrizzante nella quale i successori dei popoli iranici come egemoni delle steppe non sarebbero stati i Turchi ma i Germani orientali (con una coda nella quale gli Slavi avrebbero simmetrizzato i Mongoli).

Oggi mi sono ritrovato a pensare che le due ucronie avrebbero facilmente potuto convergere: mentre i Romani si espandono sulle rotte dell'Oceano Indiano e in tutta l'Africa, dominando i commerci a lungo raggio di schiavi e spezie, i loro alleati Germani non solo li riforniscono di legnami pregiati dalla Selva Ercina, ma invadono e assimilano le terre di quei popoli che sono stati impoveriti quando la Via della Seta è stata sostituita dalla Rotta della Seta. Ho disegnato una mappa, ma ora ho un problema: ipotizzano un POD durante il regno di Augusto, quanto tempo servirebbe per raggiungere la situazione delineata qui sotto (cliccare per ingrandire)?

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Gli replica Federico Sangalli:

Beh, ponendo che i romani passino attraverso tutte le loro guerre civili, persecuzioni religiose e colpi di stato(seppur in forma tale da poter permettere una simile espansione) esse potrebbero completare tali conquiste prima del 476, quando le popolazioni barbariche germaniche invaderanno il debole Oriente su pressione degli Unni e dei cinesi. Dando poi per scontato un certo periodo di consolidamento sia romano sia germanico e notando che nella mappa non si fanno accenni alla nascita dell'Impero Arabo o comunque dell'Islam e della conversione dei beduini oppure circa l'ascesa dei franchi, io porrei tale mappa intorno al VI° Secolo Dopo Cristo, più precisamente intorno al regno di Giustiniano vista la già avvenuta discesa dei Longobardi dalla Scandinavia. La mia unica perplessità è la presenza dei Normanni(che immagino che non si chiameranno neanche più tali).

Quasi dimenticavo: non ho mai pensato, neppure per un istante, che le tue ucronie fossero insoddisfacenti; anzi, le ho sempre trovate di ottima fattura! Tra l'altro ti confesso che la prima ucronia che lessi quando approdai su questo sito fu proprio il Canale di Augusto, e la trovai magnifica!

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Iacopo allora medita:

Dunque cinquecento anni... quindi i Romani avrebbero ancora una generazione o due prima che i Sui portino la Cina fuori dal suo medioevo...

In questa Timeline le guerre civili e l'anarchia militare sarebbero molto minori e la spinta verso l'esterno più continua. In tutto il mediterraneo e soprattutto in India ci sarebbero moltitudini di schiavi Bantu, e forse a Roma potrebbe regnare una dinastia di mamelucchi-pretoriani Bantu. Il cristianesimo non diventa religione di Stato, ma come il buddismo in India segna una lunga fase della storia culturale dell'impero. Forse avremmo un "tantrismo" romano, con una ripresa delle antiche divinità come nel nostro induismo (trimurti Giove-Ganimede-Caronte?)

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Federico riprende:

Sugli imperatori sono pienamente d'accordo: per un impero che ha avuto Massimino il Trace e Filippo l'Arabo non dovrebbe essere impossibile avere prima o poi un imperatore bantu, specie se la colonizzazione dell'Africa proseguirá e se, come fecero tutti gli imperi arruolando stranieri nelle guardie reali perché meno propensi a tradire( i variaghi a Costantinopoli per esempio), si formeranno i pretoriani bantu-mammelucchi. Ho un dubbio sul versante religioso cioé sulla possibilitá che si formi un gigantesco impero cosmopolita ove le varie fedi riescano a convivere pacificamente. Questo non accadeva neppure quando l'Impero era al suo apogeo o comunque in periodo di relativa stabilitá e splendore. Inoltre non credo che la guerra tra Roma e uno stato di un'altra religione si traduca automaticamente nella diffusione di tale religione all'interno dell'Impero. Per esempio le guerre dei parti, durare alternativamente circa sei secoli e mezzo non hanno portato alla diffusione dello Zoroastrismo, cosí come Manito e il Serpente Piumato non sono entrate nel Patheon spagnolo dopo l'invasione dei Conquistadores. Se pensiamo poi alle persecuzioni che il Cristianesimo, religione molto piú vicina, non solo geograficamente, ai romani, non credo che le religioni orientali abbiamo molte chanche di diffondersi abbondantemente a Roma. Inoltre direi che esse entrerebbero in contatto diretto(tipo colonie in India) solo nel III° Secolo, troppo tardi a mio parere per fermare l'avanzata del Cristianesimo. Teodosio avrebbe comunque proclamato il Cristianesimo religione di stato meno di un secolo dopo e per questo Buddhismo, Induismo, Zoroastrismo e affini avrebbero fatto probabilmente la fine del Culto di Mitra (ricordiamoci inoltre che accusarono i cristiani di cannibalismo a causa del fatto che Pane = Corpo di Cristo. Come reagirebbero davanti al Culto della Dea Kalí?). Esse potrebbero convivere con il Cristianesimo nelle colonie ma a Roma soltanto Buddhismo e Confucianesimo potrebbero essere tollerate in quanto "filosofie".

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E Iacopo ribatte:

Secondo me, senza una grave crisi dovuta all'arresto dell'espansione, non ci sarebbero le esigenze di politica interna che avrebbero condotto a Costantino e Teodosio. Certamente la Chiesa sarebbe potentissima,e costituirebbe la sintesi tra mondo greco e mondo semita che permetterebbe l'espansione dell'impero verso sud est. Proviamo a ipotizzare la successione delle diverse dinastie:

Giulio-Claudii
Cesare Ottaviano Augusto 27 a.C. – 14 d.C. Fece costruire il Canale. Mandò missioni di esplorazione in Etiopia e Arabia Felix. Concluse un trattato commerciale coi Germani.
Tiberio 14 – 37
Caligola 37 – 41
Claudio 41 – 54
Nerone 54 – 68. Fece costruire molti canali rendendo il Nilo navigabile fino all’Etiopia e conquistò la Nubia.

Guerra Civile
Galba 68 – 69
Otone 69
Vitellio 69

Flavii
Vespasiano 69 – 79
Tito 79 – 81. Conquistò la Giudea e l'Arabia Petrense
Domiziano 81 – 96

Antonini
Nerva 96 – 98
Traiano 98 – 117. Conquistò la Tracia, l’Etiopia, l’Arabia Egazia e l’Arabia Petrense.
Adriano 117 – 138. Combattè una durissima guerra contro gli Ebrei e gli Arabi e conquistò l’Arabia.
Antonino Pio 138 – 161. Ordinò che si fondassero colonie lungo le coste del Mare Eritreo.
Marco Aurelio 161 – 180. Con Lucio Vero 161 – 169. Passò tutta la sua vita a combattere contro i berberi africani e i bantu etiopici.
Commodo 180 – 192

Guerra Civile
Pertinace 193
Didio Giuliano 193

Severi
Settimio Severo 193 – 211. Sottomise molte nazioni di Berberi africani e condusse le sue Legioni fino al fiume Niger e al fiume Senegal.
Caracalla 211 – 217
Macrino con Diadumeniano 217 -218
Eliogabalo 218 – 222. Patrocinò una spedizione che circumnavigò l’Africa.
Alessandro Severo 222 -235. Ordinò la fondazione di colonie in Madagascar. Condusse di persona una spedizione esplorativa in India meridionale.

Imperatori Legionari
Massimino Trace 235 – 244. Con Massimino Vero 236-240. Insieme al figlio guidò diverse spedizioni in Europa per contenere i Germani.
Filippo l’Arabo 244 – 253. Con Filippo II 244 – 252. Insieme al figlio condusse una guerra navale contro la piccola e debole flotta persiana e concluse un trattato di alleanza con i Kushan. Fu il primo Imperatore Cristiano.
Gallieno 253 – 268. Con Settimio Odenato di Palmira 253 – 267. Su suggerimento di Plotino fondò i primi monasteri-fortezza lungo il corso del Niger, del Senegal, del Ghana e del Nilo. Fece fondare una colonia presso il Capo delle Tempeste.
Claudio il Gotico 268 – 270. Con Hairan I di Palmira 267-270. Sconfisse i Goti nel Caucaso e strinse alleanza con i Longobardi. Inviò una Legione a Taxila perché aiutasse i Kushan nella guerra contro i Persiani.
Aureliano 270 – 284. Con Maeonio di Palmira 270-271. Con Vaballato di Palmira 271 – 284 (de facto Zenobia). Sconfisse i Persiani sull’Eufrate. Conquistò molte nazioni in Africa e vendette i loro popoli come schiavi in India. Portò anche molti schiavi africani in Gallia e in Tracia. Durante il suo Regno, a causa dell’apertura della Rotta della Seta, la Cina entrò in crisi.

Riforma Esarchica
Diocleziano 285 – 305 (a Cesarea)
Con Severo II 285 – 305 (a Palmira)
Con Massimiano 285 – 305 (a Cartagine)
Con Galerio (a Tangeri)
Con Mauseo Carausio 285 – 305 (a Milano)
Con Costanzo Cloro (a Bisanzio)

Guerra Civile 306 - 313
Massenzio 306 – 312
Severo II 306 – 307
Licino 308 – 324
Massimino II 310 – 313
Costantino 310 - 313

Dinastia Costantiniana
Costantino 306 – 337 (a Cesarea). Concesse libertà di culto ai cristiani ed egli stesso si fece cristiano in punto di morte.
Costanzo II 337 – 361 (a Cesarea). Con Costantino II 337 – 340 (a Milano). Con Costante I 337 – 350 (a Cartagine). Sconfisse i Persiani e aiutò i Kushan a conquistarne l’impero sostituendosi ad essi. Durante il suo regno i Germani si convertirono all’Arianesimo, gli Africani e gli Arabi al Docetismo e i Kushan al Nestorianesimo.
Giuliano 361 – 363 (a Cesarea). In gioventù viaggiò in India e si convertì al culto del Buddha. Venerava anche gli dei greci, Serapide, Caronte e Allat.

Dinastia Valentiniano – Teodosiana
Valentiniano I 364 – 375 (a Cesarea). Con Valente 364 – 375 (a Milano). Ordinò campagne militari in tutta l’Africa e patrocinò la creazione di due fortezze romane in India.
Valente 375 -378 (a Milano). Con Graziano 375 – 378 (a Cartagine). Con Valentiniano II 375-392 (a Cesarea). Morì in guerra contro i Bantu che alla sua epoca invasero tutta l’africa romana.
Graziano 378 – 383 (a Cartagine). Con Teodosio I 379-395 (a Milano). Con Valentiniano II 375 – 392 (a Cesarea). Dovette affrontare le invasioni dei Bantu e subì molte sconfitte.
Valentiniano II 383 – 392 (a Cesarea). Con Teodosio I 379 – 392 (a Milano). Perse tutta l’Africa contro i Bantu.
Teodosio I 392 – 395 (a Milano). Iniziò la riconquista dell’Africa, arruolò molti Bantu e li vendette ai Kushan e in India. Diede inizio alla pratica di castrare i prigionieri.
Arcadio 395 – 408 (a Cesarea). Con Onorio 395 – 423 (a Milano). I suoi generali, specialmente Stilicone, riconquistarono tutta l’Africa romana.
Teodosio II 408 – 450 (a Cesarea). Con Valentiniano III 423 – 454 (a Milano). Con Aezio 425 – 463 (a Cartagine). Durante il suo regno si formò una guardia pretoriana composta unicamente da ostaggi Bantu.

Dinastia Fulani
Leone il Nero 457 – 474 (a Cesarea). Con Maggioriano 463 – 472 (a Cartagine). Con Avito 454 – 476 (a Milano). Prese il potere da capo dei Pretoriani Bantu. Monofisita e Docetista convinto, protesse tutti gli eretici dell’Impero.
Leone II 474 (a Cesarea)
Zenone 475 – 491 (a Cesarea). Con Giulio Nepote 476 – 480 (a Milano). Con Bonifacio 472 – 485 (a Cartagine). Con Sebastiano 485 – 497 (a Cartagine). Stabilì il principio per il quale i Pretoriani e l’Imperatore di una Capitale dovessero provenire dai territori di un’altra Capitale. Conquistò tutte le coste dell’India.
Anastasio I Dicoro 491 – 518 (a Cesarea). Con Vitaliano 480 – 515 (a Milano). Con Marino 497 – 514 (a Cartagine). Conquistò il Bengala e fece creare una grande colonia presso Malacca. Durante il suo regno gli Unni invasero il paese dei Kushan.

Tutto questo potrebbe inquadrarsi in una "America arturiana". Nello stesso periodo infatti il Re dei Sassoni Occidentali Cerdic stabilì la colonia di Cerdicburg in Vinland (hl: Terranova); Il Re dei Gallesi di Gloucester Ambrosio Aureliano quella di Camelendum in Markland (HL Halifax in New Brunswick); il Re dei Venedi Lot Lewddoc quella di Din Lewdocc (hl: Boston).

Nel 510 Cerdic aveva completato la conquista di tutta l’Irlanda, ed era stato acclamato Bretwalda dai suoi Sassoni. Ambrosio Aureliano, Vicario di Lutezia, sperava che il nuovo imperatore Giustino gli fornisse le truppe necessarie a riportare le Isole Britanniche sotto l’egida imperiale, ma ciò non accadde. Anzi, Giustino privò Ambrosio del suo titolo e dei suoi onori. Dovendo scegliere se essere un umile ciambellano a Milano o un signore della guerra in Britannia, Ambrosio non ebbe dubbi. Rivendette il suo titolo all’Imperatore, che, a corto di contante, lo pagò con una preziosa spasa d’acciaio damascato indiano, razziata dalle armerie di Pataliputra all’epoca di Anastasio (nel mondo celtico e comunque in Europa il prezzo con cui l’autorità centrale poteva ricomprare una carica politica era detto caliber, da cui poi sarebbe derivato il nome dell’arma). Ambrosio era sbarcato a Londra con il suo seguito e aveva riacceso le speranze di britanni e latini. Gli anni seguenti erano stati anni di guerra.

I preti celti, e con qualche ritardo i sassoni, avevano esplorato l’atlantico settentrionale, stabilito colonie in Islanda e Groenlandia e da pochi anni si erano resi conto dell’esistenza di una nuova terra (primo esploratore: Colomba ap Mewrig, da cui il nome del continente). I Sassoni avevano fondato colonie come base per l’esplorazione, mentre i celti avevano bisogno di basi per la caccia alle balene. Le cittadine erano comunque piuttosto floride, e cominciavano a commerciare con i popoli dell’interno. Fu pe questo che quando Ambrosio comprese di essere stato sconfitto radunò una grande flotta e, guidato dalla sua Regina Ombra Nimue, si recò a Camelendum come Re del Marklnad. A quel tempo (515) Dinlewdocc era governata dal Principe Gwalchafed, mentre Gawain Gwalltafwyn aveva appena spodestato il padre con l’aiuto di Cedric. Il vecchio e secondo molti malvagio Lot si era però recato da Aelle, Re dei sassoni meridionali, suplicando il suo aiuto per riprendere il trono. Nel 516 le armate di Cerdic e Gawain si scontrarono con quelle di Aelle e Lot presso la città di Aquae Sulis. I Sassoni del Sud riportarono una vittoria schiacciante. Le cronache raccontano di come al culmine dello scontro sia Cerdic che Gawain si accanissero con le loro armi contro il pesante scudo di quercia di Aelle, senza riuscire a scalfirlo.

Aelle fu un vincitore misericordioso. Rimise Lot sul trono del Gododdyn, pretendendo solo di esserne l’erede. Lasciò vivere Cerdic e Gawain, ma li condannò all’esilio oltreoceano. L’unico gesto crudele da parte del nuovo Bretwalda fu il separare Cerdic dal suo figlioletto, che crebbe in Britannia e divenne il secondo Re del Wessex.

Nel 517 dunque Cerdic e Gawain sbarcano a Cerdicburg con i loro magri averi, desiderosi solo di crearsi un nuovo regno. Cerdic rimase in Vinland per organizzare al meglio la colonia e mandò Gawain presso la foce del fiume Sant’Agostino (hl: San Lorenzo) perché trovasse una via verso l’interno che permettesse di prendere le colonie celtiche alle spalle. Infatti i pescatori di balene celti godevano di una grande esperienza sul mare, e i sassoni di Vinland non potevano permettersi di attaccare Camelot e Dinlloyd frontalmente.

Intanto tra Camelot e Dinlloyd si stava consumando una frattura gravida di conseguenze. Ambrosio infatti di religione pagana mentre Gwalchafed (scritto anche Galhaud o Galahad) era un cattolico praticamente. I preti al servizio di Galahad premevano per evangelizzare gli Algonchine delle nazioni Mi’kmaq e Maliseet, mentre i coloni di Camelot si stavano mantenendo contatti pacifici con le Sei Nazioni dei Massachusetts a nord, le Cinque Nazioni dei Naggarasset a sud e gli Abenaki ad ovest. I messi di Ambrosio aveva compreso che alterare troppo gli equilibri tra le varie nazioni avrebbe potuto scatenare un conflitto, al quale le colonie erano del tutto impreparate. Agostino e Galahad erano addivenuti a un accordo, secondo il quale l’evangelizzazione dei nativi avrebbe atteso dieci anni, per dare il tempo alle colonie di consolidarsi. Galahad però si rifiutava di punire i preti che contravvenivano al patto, sostenendo che ciò era compito del loro Vescovo (che risiedeva a Skone) e non del loro Re.

Chi si faceva molti meno problemi nel contattare i nativi era Cerdic, che dopo il suo arrivo aveva mandato Gawain presso gli Irochesi del Sant’Agostino perché li addestrasse e li trasformasse in un esercito in grado di sopraffare Camelot e Dinlloyd.

La situazione precipitò quando gli Irochesi di Gawain catturarono alcuni preti in missione segreta presso gli Abenaki e li rimandarono a Dinlloyd torturati e mutilati. Galahad non potè non credere ai sobillatori che sostenevano che la responsabilità del gesto bestiale fosse degli Abenaki alleati di Camelot, e dunque marciò contro di loro. Ambrosio non poteva lasciare i suoi alleati sguarniti, quindi marciò per difenderli, chiedendo ai Naggarasset e ai Massachusetts di seguirlo. I primi lo affiancarono immediatamente, mentre tra i secondi scoppiò una guerra civile. I Mi’kmaq si schierarono con Galahad mentre i Maliseet con Ambrosio.

La Guerra dei Preti (520-524) dimostrò quanto poco le colonie fossero pronte a combattersi. Quando gli Irochesi varcarono il Sant’Agostino sottomettendo gli Abenaki e invasero il Markland, Galahad e Ambrosio dovettero fare pace in fretta e furia. Le forze unite di Camelot e Dinlloyd furono appena sufficienti per espellere gli Irochesi dal Markland.

Per alcuni anni regnò una pace vigile, con gli irochesi e i sassoni che premevano ai confini rendendo insonni le notti dei due sovrani. La guerra civile delle Nazioni Massachusetts intanto era degenerata, e ciascuna delle due fazioni chiedeva di volta in volta soccorso agli Irochesi o a Ambrosio.

Nel 527 Cerdic fece la sua mossa: i Sassoni invasero il Markland. I monasteri dei Mi’kmaq e dei Maliseet furono dati alle fiamme e Dinlloyd si riempì di profughi. Ben presto scoppiò la pestilenza, e Galahad dovette lasciare la sua città con l’esercito, per preservare i suoi uomini dalla malattia e cercare Cerdic. Chi invece incontrò fu Gawain alla guida dei suoi Irochesi. I due fratelli, seppur nemici, decisero di non scontrarsi. Il loro incontro fu glaciale, ma non degenerò in battaglia. Gawain tornò oltre l’Agostino e decise di non aiutare Cerdic nell’assedio di Dinlloyd. Vista la mala parata, il sassone si ritirò a Vinland (prima Guerra del Markland 527-530).

Per dare comunque ai suoi uomini la possibilità di fare bottino e coprirsi di onore Gawain marciò verso meridione e intervenne nella Guerra Civile Massachusetts, dove sconfisse Ambrogio in battaglia e per poco non lo uccise. I Massachusetts divennero vassalli degli Irochesi, ma il gigantesco campione Hyawata, ammirando il coraggio di Ambrosio, defezionò per unirsi a lui.

Ripresosi dalle ferite Ambrosio decise che l’unico modo di sopravvivere a un secondo assalto sarebbe stato avere alleati potenti. Dando ascolto alle voci e ai canti di Hyawata che parlavano di un grande lago pescoso e ricco di popolazione nascosto oltre l’Agostino, Ambrosio decise di inviare una delegazione proprio in quella direzione (sperava di prendere così Gawain in una morsa. La delegazione era di tutto rispetto: Hyawata stesso, la sorella di Ambrosio Viviana, Nimue la Regina Ombra e la sacerdotessa Morgana, oltre che dodici cavalieri di scorta. Ambrosio non li avrebbe rivisti per anni.

Nel 536 Gawain e Galahad stavano attraversando un periodo di distensione, e decisero di formare un’alleanza contro Cerdic. Galahad sbarcò coi suoi pescatori nella parte settentrionale di Vinland, quindi si spinse verso sud cercando di portare i Beothuk dalla sua parte per colpire Cerdicburg. Gawain invece avanzò nel Markland attaccando gli insediamenti sassoni rimasti lì dopo la Prima Guerra. La guerra raggiunse uno stallo nel 538, quando Gawain si ritirò a svernare a Dinlloyd, rifiutandosi di mandare rinforzi al fratello che invece non riusciva a venire a capo della fortezza sassone. Disperato, e non potendo nemmeno tornare sulla terraferma per via della stagione dei ghiacci, Galahad riuscì comunque mandare un messaggio a Ambrosio tramite dei cacciatori di foche esquimesi. Ambrosio dunque si mise alla testa dei suoi e marciò verso nord affrontare Gawain. Quando però arrivò a Dinlloyd la primavera era già iniziata, gli irochesi si erano ritirati, lasciando dietro di se solo un cumulo di rovine. Cerdic sconfisse Galahad nella primavera del 539, sterminò i suoi uomini e lo mise in catene.

Nel 540 Ambrosio riuscì a prendere di sorpresa i figli di Cerdic e li scambiò con Galahad. Questi, tornato sul continente, si mise alla testa di una banda di briganti, sperando di poter finalmente arrivare alla resa dei conti con il fratello. L’occasione venne con la Terza Guerra del Markland, nel 543, quando Gawain varcò in armi l’Agostino e puntò su Camelot. Fin da subito Ambrosio fu in svantaggio numerico, e capì che la sua unica speranza veniva da Occidente. Mandò quindi Peredur figlio di Galahad, cresciuto alla sua corte come ostaggio, alla ricerca della missione perduta di Viviana e trovare aiuto. Gawain, Galahad e Ambrosio si scontrarono nel 544. Dal principio la battaglia sembrava arridere agli Irochesei, ma Cerdic, che sopraggiunse al tramonto, si unì ai coloni e li portò alla vittoria. Gawain e Galahad morirono nello scontro.

Dopo un breve idillio fra Cerdic e Ambrosio, il primo mise una taglia sulla testa del secondo. Ambrosio dovette fuggire da Camelot (che fu data alle fiamme) e rifugiarsi nei boschi, dove visse braccato per alcuni anni. Infine un uno scout Ottawa lo trovò insieme ai suoi ultimi compagni, e gli indicò la via per raggiungere Viviana nella grande città di legno che aveva fatto costruire. Ambrosio si apprestò ad attraversare l’Agostino, ma fu raggiunto all’ultimo da Cerdic. Nella battaglia sulla spiaggia che ne seguì, entrambi i capi militari trovarono la morte.

Excalibur fu portata da Peredur a Ottawa. Malgrado la rovina delle colonie, il seme era gettato: sempre più Sassoni e Celti giungevano da Oriente alcune tribù algonchine avevano già i loro sacerdoti cristiani e Ottawa era una grande città di palafiitte celto-algoonchina.

Domanda: che lingue si parlerebbero nelle diverse prefetture?

Ho preparato un elenco più lungo e dettagliato della storia dinastica del mio impero, chi è interessato lo può scaricare da qui.

Qui sotto potete vedere tre imperatori della Dinastia Fulani (immagini create con l'ausilio dell'Intelligenza Artificiale).

Per farmi sapere che ne pensate, scrivetemi a questo indirizzo.

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Federico Sangalli aggiunge:

E una Grande Palmira fondata da Zenobia Magna?

Un Aureliano sconfitto e prigioniero o ucciso non sarebbe in grado di schiacciare i secessionisti-usurpatori dell'Impero delle Gallie nel 274. Con Diocleziano si afferma la Tetrarchia e quindi la divisione dell'Impero in due tronconi: un Pars settentrionale con capitale Roma e comprendente tutti i territori europei esclusa la Spagna che ricade nella Pars meridionale con sede a Cartagine. Con Costantino l'Impero si riunifica ma viene fondata una nuova capitale a metà strada, Costantinopoli, in Sicilia (io propongo Catania che così facciamo contento Valerio ma potrebbero essere anche Siracusa, Messina, Palermo o Agrigento). Con Teodosio si ha la spartizione in Impero Settentrionale (ormai Milano poi Ravenna) e Meridionale (Costantinopoli o Cartagine). L'Impero delle Gallie (con la Britannia) finisce per barbarizzarsi ma anche per questo la distribuzione dei popoli barbarici sarà ben diversa: sotto l'Imperatore Flavio Ezio infatti si potrebbe cogliere due piccioni ( la richiesta di entrare da parte dei barbari e la necessità di abbandonare la Britannia) con una Fava, dando l'isola ai Franchi. In Gallia si stanzieranno sopratutto visigoti, germanici e Burgundi. I Vandali abiterebbero la Spagna almeno fino alla riconquista giustinianea. Vista la maggiore presenza imperiale in Italia e della conseguente minore pressione nei Balcani dato lo scambio di capitali,é anche possibile che i Longobardi s'insedino in Grecia ed in Mesia, rimescolando i vari popoli dell'area (Dove andrebbero i bulgari, i Chazari e i cumani? É possibile che, visto l'affollamento della penisola, i serbi non si dividano dai sorabi e s'insedino tutti in Sassonia? E gli anglosassoni migrerebbero in Scandinavia o in Scozia?)

Che ne dite?

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Gli risponde Iacopo:

Non credo che senza Aureliano potrebbe mai affermarsi Diocleziano. Inoltre, se vogliamo far crescere il più possibile Palmyra, dobbiamo postulare il fallimento di ogni possibile tentativo di restaurazione romano, ivi compresa una versione ucronica della spedizione di Numeriano contro i Sasanidi nella quale Diocleziano si mise tanto in mostra da essere acclamato imperatore dalle truppe.

Ciò che potrebbe accadere è una divisione dell'Impero in tre parti: Gallie e Spagna sotto la dinastia dei successori di Tetrico, Mesia, Illirico e Macedonia sotto Diocleziano e Oriente sotto Zenobia (che avrebbe un nome aramaico? Amirah?). Come nel bailamme tadoantico noto come."caduta dell'impero romano d'occidente", la vittoria strategica sarebbe andata a chi avesse mantenuto il controllo dell'Africa.

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E Bhrihskwobhloukstroy gli replica:

Come nome aramaico può forse bastare Baṯ Zabbay?

Sarei invece un po' più pessimista a riguardo dell'Impero Romano: se questa è un'ucronia a risultato e vogliamo un Impero che duri fino a oggi (ginecocratico – a costo di essere trasformato in cinciallegra – non saprei perché: quello di Zenobia non lo era, quanto non lo era la Francia sotto Maria de' Medici) dobbiamo non solo evitare qualsiasi Restaurazione Romana, ma anche ampliare di conseguenza il Regno di Palmira.

Motivo: l'Impero delle Gallie di Tetrico, come poi il simile tentativo (più contenuto e centrato sulle Britannie) di Carausio, non era certo una Grande Repubblica Bagaudica, antiromana e anti-imperiale, bensì un'espressione dei Latifondisti Gallici (o rispettivamente Britannici) con tentativo di estensione anzitutto alle Spagne. Il ruolo storico di Costanzo Cloro e poi Costantino dimostra che l'obiettivo sarebbe diventato una conquista integrale dell'Impero Romano e poi sarebbe venuto – come appunto con Costantino, addirittura con Capitale spostata nel baricentro del progettato Iperimpero – il momento di tentare la conquista della Persia, fino all'India (nella Propaganda Augustea l'obiettivo geopolitico riproposto in ogni occasione era di arrivare al Gange).

A maggior ragione – questo è dimostrato dalla Storia – Roma avrebbe in qualsiasi periodo tentato anzitutto la Riunificazione del Mediterraneo e poi l'espansione verso l'India. Di conseguenza, per far sopravvivere Palmira – in realtà con Capitale Antiochia, eventalmente prima o poi sdoppiata con Alessandria d'Egitto – bisogna eliminare Roma. Tuttavia, la priorità geopolitica e ideologica di Zenobia era la Restaurazione dei Seleucidi e quindi la conquista della pur potente Persia dei Sāsānidi. Quindi Roma deve essere eliminata da qualcun altro e perciò la successione dei fatti deve essere:

- l'Impero delle Gallie conquista Roma;
- Treviri e Palmira (Antiochia/Alessandria) si spartiscono l'ex-Impero Romano secondo il confine naturale più ovvio: l'Europa (fino a Bisanzio) alle Gallie, Asia e Africa – quindi sostanzialmente senza ulteriore espansione, se non in Africa – ai Wahb’allāṯidi (o Atenodoridi);
- questi ultimi si rivolgono contemporaneamente contro i Sāsānidi (altrimenti questi e i Gallici si coalizzerebbero contro di loro);
- alla fine tuttavia è inevitabile lo scontro per l'egemonia fra Treviri (o Milano) e Antiochia (/ Alessandria) e se vogliamo il risultato detto bisogna che lo vinca l'Impero Ellenosemitico (una sorta di Impero Seleucide che continua in quello Bizantino e nel Califfato fino agli Ottomani compresi).

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Vuole dire la sua anche feder:

Correggetemi se sbaglio, ma credo che una Persia conquistata da Roma non avrebbe potuto essere mantenuta se non tramite un controllo economico che spinga le élites locali a trovare profittevole il mantenimento dello status vigente senza tentare insurrezioni.
Senza di questo, il territorio montuoso e arido oggi occupato dall'Iran non sarebbe mai diventato parte integrante dell'impero, nemmeno con una disposizione capillare di truppe dagli Zagros all'Indo. Quindi, figuriamoci una campagna di conquista stabile nel subcontinente.
Oltre alla certezza di sollevazione sasanide (quando l'impero si indebolisce e non riesce più a mantenere la sicurezza delle rotte commerciali i locali capiscono che è meglio far da sé), sono da indagare le variabili rappresentate da attacchi portati dai nomadi della steppa e dai cinesi.
Roma era decisamente troppo lontana e inoltre, se posso permettermi, aveva una cultura troppo "rozza" per i raffinati persiani. Del resto, già storicamente, a partire dell'anarchia militare, se non addirittura da Domiziano, è stata Roma a seguire il modello orientale (quindi avvicinandosi alla cultura orientale), non il contrario.
La Persia è lontanissima dal modello di polis classica (in cui inserisco Roma repubblicana, come Atene, Sparta, ecc.) sotto tutti i punti di vista.
Concludo che secondo me la soluzione non potrebbe essere cooptare l'antica aristocrazia iranica/levare legioni etnicamente persiane nella difesa della zona, perché in tal caso, ad impero indebolito, la zona avrebbe avuto la strada spianata verso l'indipendenza, proprio come è successo con l'Impero delle Gallie.

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Gli risponde Iacopo:

Dal punto di vista politico e militare la Persia non ha mai potuto competere realmente con Roma, solo gestire una situazione di quasi parità. Se Roma avesse potuto godere di una situazione ottimale di vantaggio come quella goduta da Cosroe Parviz, per la Persia ci sarebbero state poche speranze. Con una conquista che prevedesse abbastanza la Crisi del III secolo le élites persiane avrebbero potuto essere integrate esattamente come i vari curiales del mondo mediterraneo... Al più tardi sarebbero stati comprati solidus su solidus da Costantino. Il territorio persiano avrebbe offerto molte opportunità di investimento per l'ingegno romano, che si sarebbero trasformate in un volano per l'integrazione dell'Altopiano. Mi immagino una situazione simile a quella che si ebbe poi con l'Islam (in un certo senso anche quello una forma di conquista "romana"). Tra l'altro i romani ebbero storicamente rapporti intensi e non banali con le tribù arabe, che in questo caso sarebbero state coinvolte nel nascente sistema mercantile perso-romano. Lo spostamento della Capitale sarebbe stato inevitabile, e tempo fa proposi Tiro, romana il giusto, al margine tra mare e deserto. Inevitabilmente l'Occidente sarebbe andato perduto, opportunamente spogliato di ogni possibilità di costituire una minaccia per il florido oriente. Immaginate l'Impero di Giustiniano unito a quello Abbaside, con in più un controllo assoluto sulle Steppe.
La conquista della Persia avrebbe aperto le vie dell'India, quindi il ciclo di conquista e saccheggio sarebbe continuato a lungo. Tutto questo, come nel Canale di Augusto, si tiene se e solo sé questa IperRoma nel 581 è in grado di impedire la riunificazione cinese.

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Ecco quanto ha aggiunto Iacopo il 13 agosto 2020:

Potrei fare tante cose nella vita.
Tra le altre potrei provare e mettere capo all'ucronia di Giovanna la Pazza, che attende da tre anni una degna conclusione.
Potrei chiudere l'Utopia di Rodolfo III che mi sta tanto a cuore... Oppure potrei iniziare a mettere mano a quel guazzabuglio di appunti intricati che è l'Impero Romano Feudale.
Ma per qualche ragione che forse non capirò mai mi ritrovo sempre a spendere il mio tempo nella prima ucronia che abbia mai scritto.
Avrebbe dovuto essere solo un'integrazione sui primi anni di esistenza del Canale, che nella precedente redazione avevo tralasciato, ma poi mi sono reso conto che non ero per nulla soddisfatto nemmeno del seguito. Non che ora mi soddisfi, ma devo pur tirare una linea e darmi un limite no? Ci saranno anche degli errori che non ho scovato ne sono certo. Ma ci sarà tempo per migliorare.
Quindi ecco a voi la terza, di sicuro non definitiva, incarnazione del Canale di Augusto. Qui vuole leggerla, la può scaricare cliccando qui.

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Subito Paolo Maltagliati gli tiene dietro:

Beh, Iacopo, a dispetto della mia usuale tirchieria nel concedere complimenti alle ucronie altrui, la tua ucronia sul Canale di Augusto è sempre stata la mia seconda preferita di UtopiaUcronia (dopo il grande amore della mia vita da ucronista, 'Pitea il bugiardo' di Perchè No?), nonché fonte di ispirazione diretta per la mia ucronia Yavana... Onde per cui qualsiasi aggiornamento è più che gradito! E poi trovo una consolante consonanza nel concetto di 'ucronia talmente vasta che va fuori controllo e poi mi blocco', visto che è la storia della mia vita su questo sito...

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Aggiungiamo la domanda postaci da Inuyasha Han'yō:

Osservate la cartina qui sopra, trovata in Internet. E se Roma avesse esteso il suo dominio fino all'Uganda?

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In seguito sempre Inuyasha Han'yō ha proposto:

Sembra che l'Impero Romano e quello Kushan, nei primi anni del II secolo d.C., progettassero di schiacciare la Persia su due fronti, in una campagna militare congiunta. Purtroppo l'imperatore Traiano, che stava per intraprendere tale campagna, e lo stesso Re dei Kushan (Vima Kadphises) morirono subito prima che partisse la campagna militare. E se tale campagna fosse effettivamente cominciata? La Persia, attaccata da due direzioni, crolla di schianto e viene spartita tra i vincitori. E poi? Forse a un certo punto Roma lancerà una offensiva contro i Kushan, assoggettandoli e poi penetrando in India?

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Gli ha replicato il solito Iacopo:

La confederazione partica non avrebbe resistito. La parte stanziale e persiana sarebbe finita ai Romani, mentre quella nomade ai kushan. La Capitale romane sarebbe spostata senza dubbio a Alessandria o Antiochia, e l'Italia ridotta a Provincia come immaginato da Adriano. Possiamo immaginare che la dinastia antoniana, attraverso Commodo, rimanga al potere più o meno fino al 250, quando sarà sostituita dagli stessi Sasanidi romanizzati. Il bisogno di controllare il Golfo Persico e il Mar Rosso spingerebbe Roma a non abbandonare gli investimenti navali, e dunque le flotte degli altri mari liminali (Mar Nero e Mare del Nord) sarebbero più munite. Inevitabilmente si arriverebbe a uno scontro tra Romani e Kushan, ma la linea di confine sarebbe spostata a est, e le risorse a disposizione dei Kushan sarebbero assai minori. Questo, unito alle maggiori risorse romane e alla migliore condizione strategica, tenderebbe meno devastanti le Invasioni Barbariche, o le eviterebbe del tutto. Già nella nostra timeline i Sasanidi godettero di una serie di vantaggi e colpi di fortuna che ne impedirono la conquista, qui il vantaggio romano sarebbe decisivo. I Kushan andrebbero in pezzi più o meno come nella nostra timeline, e l'egemonia romana si estenderebbe su tutte le coste del Mare Arabico. A questo punto però verrebbero a ricrearsi le condizioni che hanno reso complessa la sopravvivenza dell'Impero Romano nel III secolo (eccessiva confidenza nel controllo del acque, un nemico tatticamente inferiore ma strategicamente complesso, un Limes lunghissimo, enormi differenze interne all'Impero), solo tre secoli dopo e con un avversario più remoto ma più potente della Persia: la Cina.

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E Paolo Maltagliati ha suggerito:

By the way, Inuyasha, odio citarmi ma... Leggiti la mia ucronia Yavana. Il contesto è un po' diverso (nel senso che i Kushana si sono fusi agli indogreci), ma l'idea è quella.

Comunque, provo a riassumere le mie idee sulla questione innestandole sulle vostre (tutta la parte su Aksum mi riesce difficile, sono molto scettico sul regno axumita, ma anche qui, occhio all’India):

Crisi dell’impero: 270- 300 Circa
Considerazione a latere/corollario: credo che l’impero romano avesse ancora una vitalità socio-culturale notevole, quindi non crediate, i popoli descritti verranno rapidamente latinizzati, salvo rare eccezioni che poi analizzeremo.

Dal punto di vista politico avremo:

L’impero gallico di Tetrico
L’impero Palmireno di Odenato e Zenobia esteso anche all’Egitto
Italia nel caos
Goti in Mesia, Grecia e Asia minore occidentale
Africa in autogestione
Confine orientale anatolico completamente sguarnito

Dopo un decennio convulso abbiamo tre imperatori che rivendicano la legittimità imperiale.
A Roma un burattino della confederazione barbarica. A dire il vero ci sono ricchi possidenti latini ambiziosi e capi barbari in ogni dove quindi il suo controllo non si estende al di là di una zona approssimativamente compresa tra Rubicone a Nord e Ofanto a Sud.
L’imperatore Gallico Tetrico Junior, da Treviri, che, però, dopo aver accettato la sottomissione volontaria delle provincie iberiche, esita a marciare sull’Italia.
La morte di Tetrico Junior porterà a una breve guerra civile tra Carausio e Costanzo Cloro, vinta da quest’ultimo.

L’imperatore africano da Cartagine, giocando sul fatto che è l’unico con una flotta decente attiva nel Mediterraneo, assoggetta Sicilia, Sardegna, Corsica e Baleari. Per ora vige un trattato di non aggressione con Tetrico Junior e con Zenobia.

Poi abbiamo Zenobia, che da Palmira si fa chiamare ‘Augusta’, anche se non si capisce bene che intenzioni possa avere nei confronti dell’occidente. Alcuni capi goti che non riconoscono Cannabaude si sottomettono volontariamente alla regina, così come diverse città timorose per le incursioni dei goti stessi.
Alla morte di Zenobia (primi anni novanta), ascende al trono il figlio Vaballato, che però viene rapidamente assassinato dal vecchio generale Zabdas.

Cannabaude il goto, intanto, fa della vecchia colonia greca di Bisanzio la propria capitale operativa.

Shahpur per ora prende tempo, non ha ancora deciso se cercare di conquistare Palmyra o avere una politica di buon vicinato con l’ambiziosa Zenobia.

In tutt’altre faccende affaccendati tutti, i cristiani non vengono più perseguitati e possono uscire dalle catacombe. Il papa si trasferisce ad Alessandria, che, per quanto stracolma di ogni variante possibile di dottrine cristologiche diverse, è, assieme ad Antiochia, il principale centro propulsivo della religione cristiana.
Alla morte di Eutichiano, venne eletto nuovo pontefice Teona (283 d.C.); a Teona successe nel 300 san Pietro II. Molti giudicarono manchevole di rispetto il fatto che si chiamasse come il primo apostolo, ma la controversia sul nome pontificale venne ribaltata con acume dallo stesso prelato e morì lì.
Nel 300 inizia al controversia tra il papa e il noto vescovo Ario, il quale fugge prima a Cesarea (da Eusebio) e poi ad Antiochia. Ario si fa diffusore della dottrina detta del ‘Lucianesimo’ (e che poi prese il suo nome, arianesimo) anche presso i barbari goti e presso la corte palmirense, anche se lì dovette affrontare la crescente concorrenza manichea.
Nel mentre, a Cartagine iniziava la predicazione di Donato, che avrà poi molto seguito.

350: fine di Palmyra e apogeo dell’impero gallico
I rapporti tra Palmyra e i Sassanidi rimangono relativamente pacifici per il primo quarto del IV secolo, anche se il favore di Hairan III nei confronti dei manichei genera più di un grattacapo. Il manicheismo diventa la religione dominante nella parte più propriamente araa del regno. Espansione del regno palmirense lungo la costa del mar Rosso. Gli Himyariti oppongono resistenza alla sottomissione aiutati dal regno etiope di Axum. Primi contatti tra Axum e Palmyra. Il regno sabeo e il regno himyarita diventano una sorta di ‘stati cuscinetto’.
Le province occidentali del regno iniziano ad essere insofferenti, in particolare l’Egitto.
I re di Armenia, convertitisi ufficialmente al cristianesimo, pur rimanendo formalmente sottomessi a Palmyra, si comportano da padroni nelle provincie anatoliche del regno. Sulle coste asiatiche dell’Egeo i raids goti si fanno regolari e regolarmente fastidiosi.
Il regno di Axum, per tramite dell’Egitto e dei Nubiani si converte al cristianesimo.
L’imperatore Costantino conquista La penisola e si fa incoronare imperatore romano a Roma. Le isole mediterranee restano però appannaggio di Cartagine, che non riconosce l’incoronazione imperiale.

325: Campagne di Shapur contro gli arabi orientali. Gli Hadramauti migrano verso sud-ovest, incontrando la resistenza dei Sabei. Alleanza di questi ultimi con l’impero Palmirense (o meglio, i suoi governatori locali).

330: Shapur, prendendo a pretesto alcune dispute confinarie, decide di muovere alla conquista di Palmira. Contemporaneamente, sembra che Shapur abbia cercato di legare a sé Alani e Sarmati attraverso alleanze, per avere le spalle coperte a settentrione. Manovra non particolarmente necessaria in quanto gli Armeni sono ben felici di rendersi nuovamente formalmente indipendenti da Palmira. Di fatto iniziano qui le guerre tra i goti e gli armeni per il possesso dell’asia minore.
Shapur conquista Palmira e presto Antiochia segue a ruota. Arsace di Armenia accetta la sottomissione alla Persia (anche se si prodiga per espandersi quietamente a nord e a ovest).
Alleanza tra Costantino (che regna alternativamente da Treviri e Milano) e i goti contro franchi, alamanni e turingi. La capitale gota è di fatto ormai divenuta Tessalonica. La religione dei goti è ormai prevalentemente ariana. Diffusione del pelagianesimo nell’impero romano.
Shapur espugna Alessandria, ma la spinta propulsiva dell’esercito di Shapur si esaurisce. L’Egitto si rivelerà di difficile controllo per i persiani, tanto più che Shapur intende da subito convertire le provincie annesse allo zoroastrismo di stato.
Per avere ragione delle resistenze in occidente, Shapur rinuncia alle progettate campagne in Battriana, Sogdiana e Gandhara, contro sciti e kushano-iranici.
L’impero palmirense comunque, sopravvive, per dir così, ponendo la sua capitale nella rinata Petra. I palmirensi si appoggiano alla resistenza egiziana.

350: I popoli iranici Huar, o unni orientali, occupano molto rapidamente i vari potentati locali che hanno preso il posto dell’impero Kushana. Sono i primordi dell’impero unno. Battra e Taxila ne divengono i centri principali.

360: le tribù alane e sarmate si confederano sotto un sovrano (detto Saka, ma forse era il titolo regio), probabilmente grazie all’influenza persiana.
Guerra persiano-armena tra Arsace e Shapur e vittoria di Shapur. Anche le montagne del Caucaso, però, sono un incubo logistico e i persiani faticheranno a mantenere il controllo della provincia (anche qui, il tentativo di imporre la religione di stato zoroastriana si rivela fallimentare)

370: guerre goto-alaniche, ossia guerra per procura tra impero romano e impero persiano. Ascende al trono imperiale Teodosio. Il pelagianesimo diventa la confessione di stato dell’impero romano.

380: campagne fallimentari di conquista dell’Africa da parte di Teodosio. Nuovo trattato di pace tra i due ‘imperatori romani’, il donatista Bonifacio e il pelagiano Teodosio.

380-400: i sovrani sassanidi rinunciano progressivamente ad imporre lo zoroastrismo di stato nelle regioni occidentali del loro impero. Petra viene conquistata, ma il titolo di ‘Zabda’ (sì, il nome è diventato un titolo, nel frattempo) viene ereditato dal re himyarita, che si converte al manicheismo. Ribaltamento delle alleanze e i sabei si convertono al cristianesimo, come poco tempo prima aveva fatto Axum.
Campagne di conquista di Axum verso la quarta cateratta del Nilo. Frizioni tra Sabei alleati di Axum e Hadramauti protetti dai sassanidi.
Grande ribellione egiziana, domata a fatica. Di fatto il controllo sassanide è limitato al delta e ad Alessandria.
Penetrazione di Eftaliti e Kidariti nelle province orientali dell’impero persiano. Al loro servizio ci sono gli Unas, confederazione di popoli non solo iranici, ma anche uralo-altaici, probabilmente sospinti a ovest dalla nascita della confederazione Rouran.

390: Tentativo fallito di conquista di Alessandria da parte di una flotta cartaginese. E’ evidente però la debolezza della presa persiana sull’Egitto.
Nuova ribellione dell’Armenia.
Nel frattempo, i goti pongono la loro capitale a Nicomedia.

400: Il regno alano-sarmata allenta i suoi legami con i persiani, per stringerli maggiormente con gli armeni. Nestorio, vescovo di Nicomedia, viene perseguitato dalla chiesa greco-ariana e fugge presso Antiochia. Eutiche, altro vescovo che a lui si oppone ferocemente, verrà però successivamente condannato anch’esso. Fuggirà prima in Armenia e poi addirittura presso gli Alani.
Yazdgard I rende il cristianesimo religione lecita e si circonda di consiglieri anticheni.
Diffusione del nestorianesimo nell’impero persiano.

410: Disastro del Reno: una confederazione di germani occidentali, tra cui figurano principalmente Franchi e Burgundi, riesce a sconfiggere le legioni, attraversare il Reno e mettere a sacco Treviri. I franchi occupano il territorio tra Mosa e Reno, mentre i Burgundi si insediano nella valle del Rodano, di fatto interrompendo le vie di comunicazione tra Gallie e Italia. Vandali, Gepidi e Longobardi, approfittando dell’allentamento delle relazioni tra impero e goti, iniziano a stanziarsi nel Norico e in Pannonia, e da lì fanno incursioni in Dacia e Mesia.

410-420: decennio di crisi successoria e caos politico nell’impero sassanide. Si crea spaccatura tra le casate nobiliari tradizionali dell’altopiano iranico, zoroastriane e la nobiltà ‘recente’ delle terre basse, sempre più cristiane.
I kidariti iniziano a premere pericolosamente sui confini dell’impero.
L’Armenia è definitivamente indipendente. Il re degli Alani accetta la conversione al cristianesimo (monofisita). Gli Huna, sempre meno rispondenti agli ordini dei propri signori battriani, lanciano pericolose incursioni contro le città persiane. Sentitisi abbandonati dal governo centrale, diverse antiche famiglie sollevano il vessillo della rivolta da Ctesifonte, in particolare il casato di Suren.

430-440 - Nel frattempo c’è una guerra fratricida per il trono tra Peroz e Ormisda. Le casate nobili dell’altopiano appoggiano il primo, ma il secondo chiede aiuto ai kidariti e sconfigge il fratello.
Peroz chiama però in aiuto alani ed eftaliti contro i kidariti. Questi ultimi vengono pesantemente sconfitti e Peroz riesce ad ottenere il trono. Non che la cosa si riveli particolarmente proficua per l’impero persiano, visto che a un vicino pericoloso se ne sostituisce uno ancor più pericoloso (e al quale il sovrano deve un enorme favore).
Per giunta, pressato dall’aristocrazia persiana, tenta nuovamente di imporre lo zoroastrismo e pesecuzioni anticristiane, con il risultato di una ribellione in Siria.
La ribellione si estende fino alla valle di Tigri ed Eufrate e diventa indomabile.

447: simbolicamente si pone a questa data la presa di potere del pontefice su Alessandria.
L’espansione axumita sottomette il regno arabo-himyarita (ex impero palmireno), anche se fatica a imporre il cristianesimo. Lettera di aiuto del pontefice che acclama l’imperatore axumita ‘Ebanus’ come salvatore del cristianesimo.
I vandali penetrano in Italia e fondano un loro regno.

450-460: il tentativo di Peroz di liberarsi dalla tutela degli Eftaliti si risolve in disastro. Lo Shah viene ucciso in battaglia e il sovrano Eftalita dilaga negli altipiani, con, a dire il vero, il beneplacito di molti nobili locali. A Ctesifonte viene incoronata la principessa Sambice, che si converte al cristianesimo. A Marw, invece, viene incoronato come sovrano fantoccio Kavad I, di fatto sotto la tutela di Akshunwar, il re Eftalita.

Situazione a metà del V secolo:

Impero romano d’occidente:
credo prevalente Cristianesimo pelagiano con forti influenze celtiche
esteso su Spagna, Britannia, Gallia Occidentale
Capitale Burdigala

Regno dei Burgundi: paganesimo; cristianesimo pelagiano
Esteso sulla valle del Rodano
Capitale Arles

Regno dei Franchi: paganesimo; cristianesimo pelagiano
Esteso approssimativamente tra Senna e Reno
Capitale non stabile

Regno dei Vandali: paganesimo; cristianesimo ariano
Esteso su Gallia Cisalpina e Italia
Capitale teoricamente Milano, de facto Luni

Regno dei Gepidi: paganesimo; cristianesimo ariano
Esteso nell’Illiria centrosettentrionale, tecnicamente sottomesso al regno goto
Capitale non stabile

Regno dei Longobardi: esteso in Pannonia e Dacia, paganesimo; cristianesimo ariano
Tecnicamente tributario di goti, capitale non stabile

Regno goto: Anatolia; coste del Bosforo cimmerio e del Ponto, Grecia e Macedonia, cristianesimo ariano con minoranze cattoliche e nestoriane; capitali Tessalonica e Nicomedia

Armenia: Anatolia orientale e Caucaso; cristianesimo monofisita con minoranze nestoriane; capitale Vaspurakan

Impero sassanide assiro-cristiano: Mesopotamia, Siria, Palestina, formalmente Egitto
Religioni: cristianesimo nestoriano; minoranze monofisite e ariane; zoroastrismo

Egitto: de jure sotto il controllo dell’impero persiano; de facto autogovernato dal papa di Alessandria sotto la tutela dell’impero axumita, religione cattolica

Impero berbero-romano: capitale Cartagine, si estende su tutta l’Africa romana. Dinastia bonifaciana, ma di fatto sotto la ‘protezione’ della casta militare berbera
Religione cattolica, con residui donatisti.

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