Der rote Totenkopf
I
Neuhamburg Stadt, Vereinigten Reiche Amerikas, 2023
Il vento ghiacciato di
gennaio investì in pieno Winston Smith, che si chiuse ancor di più nel cappotto.
Finalmente giunse alla sua meta, Zeitens Quadrat. Camminò fino al centro della
piazza, dove il simbolo dell’Hydra, la piovra con la testa di teschio rossa era
stata dipinta sull’asfalto.
Si guardò intorno. Gli schermi luminosi sui grattacieli intorno alla piazza
riflettevano gigantografie del Führer Zola, che, dallo schermo che replicava
la sua faccia sul suo corpo da androide, salutava i suoi cittadini ripetendo in
continuazione lo slogan dell’Hydra, ovvero: “Heil Hydra! L’Hydra è immortale!
Tagli una testa, ne crescono due al suo posto!”, aggiungendo “Così come i Reiche
d’America, uniti sotto il loro Führer!”
Su un altro schermo, il Barone Von Strucker, capo della Wehrmacht, della
Kriegsmarine e della Luftwaffe, si complimentava con i Rächer, i supereroi
ufficiali del Führer, per essere riusciti nella cattura del ribelle Nick Fury,
definito “un pericoloso terrorista comunista”. Alla fine del messaggio
pre-registrato, Kapitän Amerika, il leader del gruppo, facendo risplendere al
Sole il suo scudo bianco, nero e rosso con al centro la svastica, invitava i
cittadini a seguire in televisione, sul canale ufficiale dei Reiche, la Caccia al
Comunista, la trasmissione in cui i cacciatori dei Reiche stanavano in diretta
dei ribelli al Führer e, al termine di ogni puntata, mostravano al pubblico le
loro teste, dicendo: “E questo, concittadini, è ciò che succede a chi si oppone
al Führer e quindi a noi tutti. Heil Hydra!”
Winston passò oltre e si diresse verso la stazione del treno che l’avrebbe
portato a casa sua, a Brooklyn. Fortunatamente riusciva ad avere un’abitazione
decente, essendo l’assistente di uno scienziato che lavorava al Progetto
Rinascita, talmente segreto che nemmeno Winston poteva sapere di cosa si
trattava, e non era costretto a vivere nelle baraccopoli del Queens e del Bronx.
Si sedette ad un tavolo e lesse il giornale che il Führer regalava gratis a
tutti i cittadini, purché leggessero solo le notizie che lui dava.
Ad essere in prima pagina era ovviamente la cattura di Fury. Sull’immagine in
copertina il leader dello S.H.I.E.L.D., l’organizzazione fuorilegge che si
ribellava al Führer con svariati atti sovversivi, appariva in ginocchio, senza
la sua tipica benda, con di fianco due cacciatori in uniforme, con la scritta
“Gott mit uns” sulla cintura e la svastica affiancata all’idra sulla fascia
rossa sul braccio del cappotto.
“Ti sembra inerme il direttore, vero, Winston Smith? Peccato che se ti tirasse
uno schiaffo non smetteresti più di girare. E parlo per esperienza” chiese una
voce alle spalle di Winston. Questi, spaventato, si voltò e vide un uomo alto,
vestito in un completo blu navy, con i capelli castano chiari tagliati corti e
due occhi azzurri. L’uomo, mostrando il distintivo, disse: Agente Philip J.
Coulson dello Strategic Homeland Intervention, Enforcement and Logistics
Division, o S.H.I.E.L.D. E, prima che tu possa chiamare le autorità, farò
questo.” E, così dicendo, tirò fuori una pistola e sparò un colpo sonnifero, che
fece perdere coscienza a Winston.
.
II
Winston si svegliò dopo
un’ora. Era legato ad una sedia, che gli sembrava però alquanto comoda, in una
sala circondata da schermi.
Si dimenò per liberarsi. “Dove sono?” urlò.
“Calmati, Winston, ci penso io.” gli disse la voce calma dell’agente Coulson,
che iniziò a slegarlo.
Una volta slegato, Winston chiese di nuovo: “Dove sono?”
“In un posto sicuro” rispose, enigmatico, il suo interlocutore.
“Lo spero bene.” ribatté il prigioniero, freddo.
“Seguimi” gli ordinò l’altro, quasi ignorando la sua affermazione.
“Dove?”
“Lo scoprirai ben presto.”
Tutta quella segretezza dava sui nervi a Winston, che, tuttavia, non si oppose
più e seguì l’agente.
I due uscirono dalla stanza e si diresso lungo una serie di corridori di stile
moderno, finché non giunsero in quella che sembrava una sala comune di
un’astronave di Star Wars, la trilogia fantascientifica in cui un abile
politico, Sheev Palpatine, ribaltava il corrotto e debole governo democratico di
una galassia lontana lontana per stabilirne un forte Impero. Nella stanza, oltre
a Winston e a Coulson, c’erano altre quattro persone.
“Questa è la mia squadra e,” disse l’agente, “visto che volevi tanto saperlo, ti
trovi sul Bus, l’aereo affidatoci da Fury. È invisibile a vista e ai radar,
grazie ad una tecnologia sofisticata, tale e quale a quella dell’Elivelivolo.”
Una donna dai tratti asiatici chiese a Coulson: “Phil, perché stai dicendo tanto
a questo sconosciuto? Sei sicuro che ci possiamo fidare di lui?”
“Non preoccuparti, Melinda. Possiamo fidarci.” replicò l’agente, poi riprese,
rivolgendosi nuovamente a Winston: “Dove eravamo rimasti? Ah, sì. Benvenuto sul
Bus. Come ti stavo dicendo, prima di essere interrotto” e, dicendo questo,
lanciò un’occhiataccia alla donna, “questo è il mio team.”
Poi prese ad indicare e presentare tutti i presenti, partendo dalla donna
asiatica, quella che aveva chiamato Melinda: “Hai già avuto il piacere di
conoscere l’agente Melinda May, la nostra pilota.”
Proseguì puntando il suo dito verso due ragazzi in camice nell’angolo: “Quelli
sono gli agenti Leo Fitz e Jemma Simmons, i nostri scienziati, due delle menti
più brillanti di tutto lo S.H.I.E.L.D.”
“Non esagerare, Phil” disse quello che doveva essere l’agente Fitz, arrossendo
un pochettino.
Coulson concluse indicando una ragazza dai capelli scuri, seduta davanti ad un
computer: “E, ultima, ma non per importanza, la nostra recluta più recente:
l’agente Daisy Johnson. Era una hacker, ma siamo riusciti a convincerla a stare
dalla nostra parte. Hai presente il blocco degli SNW dell’Hydra dell’Hydra di qualche
settimana fa? Tutto merito suo.”
Winston la guardò, stupito: “Quindi è lei…?”
La ragazza annuì: “Skye. Sì, sono io.”
Winston si riprese dalla sorpresa e tornò scettico: “Perché mi avete portato
qui?”
“Questa è una storia molto lunga, Winston,” gli disse Coulson. “Che merita di
essere raccontata per bene.”
L’agente Johnson aggiunse, scherzosa: “Siediti pure su quel divanetto, che è
molto morbido. Fidati, ti servirà essere comodo: Coulson, quando inizia a
raccontare, non finisce più.”
Winston rise per la battuta e seguì il consiglio dell’hacker.
Dopodiché, il capo di quel team iniziò a raccontare.
.
III
“La nostra storia inizia nel
1936”, esordì l’agente. “Ma non il 1936 che piace raccontare all’Hydra, no; non
l’anno della vittoriosa e rapida vittoria della Repubblica Sociale Italiana in
Etiopia, o quello in cui la Francia elesse come suo Presidente il maresciallo
Philippe Pétain, che concesse ad Hitler di militarizzare nuovamente la Renania;
nemmeno l’anno in cui il Generalissimo Franco iniziò a combattere contro i suoi
oppositori in Spagna, no; sarà il vero 1936, non quello riscritto da Zola e
compagni.”
“Scusami”, intervenne Winston, “ma come faccio ad essere sicuro che sia la tua
la vera versione dei fatti?”
“Questo è un’ottima osservazione, Winston. Tuttavia, alcuni dei nostri agenti
(noi li chiamiamo History Savers), sono riusciti a conservare e conservare
alcuni documenti e libri antecedenti all’ascesa dell’Hydra che raccontano come
sono andate davvero le cose. Sono molti libri, ma concordano tutti sugli
avvenimenti: quindi siamo sicuri che sia quella la vera Storia. So che sembra
strano, ma ti prego di fidarti di me.”
L’assistente del Progetto Rinascita annuì e decise di continuare a sentire la
storia che Coulson voleva raccontargli. Anche perché non aveva scelta.
L’agente riprese: “Allora, riprendiamo da capo: nel 1936, anno in cui Hitler
mandò effettivamente 2000 soldati in Renania, ma di certo non su invito
francese, il Führer decise di potenziare scientificamente il suo esercito
affidandosi all’Hydra, una loggia massonica che esisteva già dall’Ottocento. In
quel momento, il capo della loggia era Johann Schmidt, un membro del NSDAP, che
aveva deciso di investire la maggior parte delle risorse dell’Hydra sulla
creazione di un supersoldato, in modo da potenziare gli uomini che combattevano
per il Führer e assicurargli la vittoria. Nel 1939, Abraham Erskine, lo
scienziato che lavorava al progetto, riuscì a realizzare un siero sperimentale,
che Schmidt volle provare su sé stesso. Tuttavia, il siero non funzionò e il
volto di Schmidt divenne rosso e divenne simile ad un teschio: da quel giorno,
Johann Schmidt smise di esistere e nacque il Teschio Rosso.
“Erskine allora fuggì negli Stati Uniti d’America dove, nel 1940, produsse un
siero funzionante, grazie anche all’imprenditore Howard Stark, e lo fece
iniettare ad un ragazzo di Brooklyn, Steve Rogers: l’esperimento funzionò e
Rogers divenne quello che doveva essere, il primo di molti supersoldati
americani. Dopo la fuga di Erskine, però, il Teschio Rosso era andato su tutte
le furie e aveva mandato un sicario ad uccidere lo scienziato, prima che potesse
far funzionare il siero per gli americani. Alla fine, l’assassino riuscì nel suo
compito e sparò ad Erskine il giorno stesso in cui a Rogers fu iniettato il
siero.
“Il Presidente statunitense, Franklin Delano-Roosevelt, decise che Rogers era
troppo importante per fargli rischiare la vita in battaglia, quindi lo usò solo
come strumento di propaganda e di sostegno alle truppe, organizzando per lui un
tour dei vari accampamenti. Rogers divenne Capitan America, decisamente
un’icona. Su di lui vennero realizzati fumetti, documentari e album fotografici.
Infine, Roosevelt si decise a lasciar partire Rogers per il fronte. Lui e gli
Howling Commandos, un gruppo di soldati che lo seguivano nelle sue imprese,
compirono molte avventure e, in una di esse, sulle Alpi, Capitan America perse
il suo più grande amico, James ‘Bucky’ Barnes. Nel 1945, l’anno in cui finì la
Seconda Guerra Mondiale, Rogers si ritrovò ad affrontare il Teschio Rosso da
solo su un aereo, alimentato dal Tesseract, il Cubo Cosmico, una fonte di
energia aliena che l’Hydra si era riuscita a procurare; Schmidt, durante questo
scontro, impugnò il Tesseract e sparì alla vista di Rogers (e delle telecamere
impiantate sull’aereo). Capitan America, a questo punto, si sacrificò, impedendo
all’aereo di schiantarsi su New York, dirottandolo e facendolo precipitare in
Groenlandia.
“La guerra finì, Hitler si suicidò (e non fu ucciso da dei terroristi comunisti
nel suo momento di massima gloria, come piace raccontarla a Von Strucker) e
l’Hydra fu apparentemente sciolta. Molti dei suoi membri emigrarono negli USA ed
iniziarono a lavorare per il governo americano, mentre continuavano a tramare
per riportare ai fasti la loro organizzazione; il leader di questi fu uno
scienziato di origine svizzera, tale Arnim Zola.
“Nel 1960 divenne Presidente degli Stati Uniti d’America John Fitzgerald
Kennedy, del Partito Democratico. JFK, come lo chiamavano prima che la sua
figura fosse sottoposta alla damnatio memoriae, venne a sapere di queste
inflitrazioni naziste all’interno della Cia e del governo americano. Zola allora
decise che Kennedy sapeva troppo e andava eliminato. Pagò un sicario, che, il 22
novembre 1963, uccise il Presidente.
“Kennedy fu rimpiazzato da Zola stesso, che il giorno stesso, con la Marcia sul
Campidoglio, occupò Washington e si proclamò, dal balcone della Casa Bianca,
Führer dei Vereinigten Reiche Amerikas. Washington D.C. cambiò nome e divenne
Hitler Distrikt Kolumbien, così come New York City Neuhamburg Stadt.
“Furono molte le ribellioni, ma i soldati dell’Hydra (che si erano infiltrati
negli organi governativi dopo la Seconda Guerra Mondiale) riuscirono a
schiacciarle tutte. Solo lo S.H.I.E.L.D. sopravvisse clandestinamente, grazie
all’allora direttrice, la veterana Peggy Carter.
“Anche il resto del mondo fu scioccato. In Italia, il Movimento Sociale Italiano
truccò le elezioni per vincere; Arturo Michelini divvene il nuovo Duce d’Italia.
Le truppe dei VRA occuparono la Germania Ovest e stabilirono un Governo
collaborazionista, dichiarando Rudolf Hess Führer del Quarto Reich (poi
rinominato Terzo in seguito alla riscrittura della Storia). Il Reich, la rinata
RSI, la Spagna franchista e il Portogallo di Salazar si allearono con Zola a
fine anno nell’Asse Hitler-Bonn-Roma-Madrid-Lisbona; uno dei primi obiettivi che
l’Asse si prefisse fu l’eliminazione del comunismo dal mondo.”
“Phil”, lo interruppe la voce dell’Agente May.
“Dimmi, Melinda”, replicò Coulson.
“È arrivato il rapporto di Ward”, spiegò Johnson.
“Oh, significa che questa storia la continueremo un’altra volta”, disse lui,
alzandosi dalla sua sedia ed andando verso Skye e il suo computer, seguito da
Fitz, Simmons e May.
Winston li interruppe: “Scusatemi, chi è Ward?”
“L’agente Grant Ward è la nostra spia all’interno dell’Hydra”, gli spiegò
Simmons. “Ci manda rapporti giornalieri.”
“Già” annuì Coulson. “Chissà cosa ci ha scritto oggi.” Poi, si chiarì la voce
con un colpo di tosse ed iniziò a leggere.
Zeitens Platz
.
IV
“Colleghi dell’Egida”, esordì
Coulson, leggendo il messaggio.
L’agente Johnson sussurrò a Winston, per spiegargli: “Egida è il nome in codice
che Ward usa per indicare lo S.H.I.E.L.D.”
Il capo del team proseguì: “Oggi non ho scoperto niente di che. Il Progetto
Rinascita è sempre più chiacchierato, ma ancora non sono riuscito a capire di
cosa si tratta. Ah, a proposito: giusto oggi è scomparso l’assistente di uno
degli scienziati che sta lavorando al progetto… immagino sia opera vostra.”
Tutti guardarono Winston con il sorriso sulle labbra e anche lui rise insieme a
loro.
“Comunque”, terminava il messaggio della spia, “ho un piano, ma ho bisogno del
vostro aiuto per realizzarlo. Incontriamoci a Schiekago domani mattina, sul
presto. Vi trasmetto le coordinate del posto.”
Sullo schermo del computer seguiva una serie di lettere e numeri. Winston
immaginò che fossero le coordinate.
Coulson ordinò: “May, vai in cabina e portaci a Schiekago. Fitzsimmons, andate
in laboratorio ad occuparvi della copertura. Skye e Winston, restate qui. Non ho
finito con la storia.”
Tutti annuirono e si recarono dove il capo aveva loro ordinato.
Winston e l’agente Johnson si sedettero sugli stessi divanetti di prima.
“Bene”, riprese Coulson. “Dove eravamo rimasti? Ah sì, alla nascita del nuovo
Asse. Nel Patto di Neuhamburg, che segna la nascita di questa alleanza, Zola
definì per la prima volta il concetto di ‘DemoComunismo’, secondo il quale
chiunque non sia nazista o fascista è comunista.
“Un’altra delle prime mosse di Zola fu quella di ritirare le truppe dei VRA dal
Vietnam. Sapeva che era una guerra inutile in cui stava sprecando solo uomini…
cha sarebbero stati utili più avanti per un suo altro piano.
“Tuttavia, nel 1965, Zola morì. I suoi oppositori non fecero in tempo ad
esultare che l’Hydra rivelò il suo piano segreto dal fallimento del siero del
supersoldato a quel punto: trasferire le coscienze dei propri capi in computer e
poi in androidi, come accadde per Zola. Solo allora il mondo capì la vera
potenza tecnologica dell’Hydra.
“In molti paesi ci furono golpe fascisti, come in Cile, che cadde sotto la
dittatura di Augusto Pinochet, in Brasile, in cui prese il potere il maresciallo
Humberto de Alencar Castelo Branco, in Bolivia, in Grecia e in Argentina. Anche
in Giappone tornarono al potere i fascisti, promettendo una rivincita. Tutti
questi Paesi aderirono all’Asse, che, per motivi di brevità, cambiò nome in Asse
Contro il Comunismo, ACC in breve. A fine 1965 si unì all’Asse anche la
Repubblica Nazionalista di Cina. Dovete sapere che, all’epoca, dopo una
sanguinosa guerra civile, la Cina era divisa tra la Repubblica Popolare Cinese,
che controllava il continente, e, per l’appunto, quella Nazionalista, che
controllava solo l’isola di Taiwan.
“La reazione del mondo comunista a quell’affronto non si fece attendere: Cina e
URSS riallacciarono i rapporti e, insieme alla Mongolia, alla Corea del Nord, al
Vietnam e ai Paesi membri del Patto di Varsavia si unirono nell’alleanza che
venne denominata Internazionale Comunista.
“Allo scoppio della guerra mancava poco. L’Internazionale, convinta di poter
vincere, cercava costantemente un casus belli. L’Hydra no. Il 1° marzo 1966 i
VRA dichiararono guerra all’Internazionale, attaccando su molteplici fronti:
mandarono di nuovo dei soldati in Vietnam; sbarcarono in Cina da Taiwan, mentre
le truppe giapponesi e sudcoreane attaccavano la Corea del Nord e,
successivamente, la Manciuria. La RSI entrò in Istria, mentre il Quarto Reich
attraversava i confini con la Repubblica Democratica Tedesca, sacrificando
momentaneamente Berlino Ovest.
“Quella che però doveva essere una guerra sanguinosa fu un Blitzkrieg: infatti,
terminò con il lancio di bombe atomiche su Mosca, Pechino, Stalingrado e
Leningrado. Dopidiché, la Cina e l’URSS si arresero e, uno ad uno, anche gli
altri staterelli minori dell’Internazionale capitolarono. Il mondo fu
riorganizzato nel seguente modo: la Germania fu riunificata e si annesse anche
tutta la Polonia; Jugoslavia, Bulgaria e Romania tornarono regni, a patto che i
Re sostenessero dei regimi nazifascisti; anche l’Ungheria fu data ad Ottone
d’Asburgo-Lorena con le stesse condizioni; l’Unione delle Repubbliche Socialiste
Sovietiche fu disciolta e al suo posto nacquero vari stati clienti dei Reiche,
come la Repubblica Sociale Ucraina, lo Stato Nazionale Bielorusso e molti altri.
Il più grande di questi Stati, con capitale Mosca, divenne il Reichsprotektorat
Ostland, retto dal Barone Zemo, a cui fu intitolata la città che nacque dalle
ceneri di Leningrado, cioè Zemoburg, così come Stalingrado divenne Hitlerburg.
“Inoltre, la Repubblica Sociale Italiana riottenne Trieste ed Istria, oltre alla
Dalmazia. La Corea fu riunificata e divenne un protettorato giapponese, così
come la Manciuria. Il resto della Cina tornò in mano ai Nazionalisti; lo stesso
accadde in Vietnam. Cuba divenne un Reich parte dei VRA. “
Winston era dubbioso su ciò che Coulson raccontava, ma questi lo faceva così
bene che si trovò ad essere assorto. Nel frattempo, l’agente May uscì dalla
cabina di pilotaggio e annunciò: “Phil, mi dispiace interormperti, ma siamo
arrivati a Schiekago.”
.
V
Il Bus atterrò a Schiekago,
sul tetto di un palazzo popolare probabilmente disabitato. Solo quando scese,
chiudendo la fila composta da Coulson, May e Johnson, si rese conto che l’aereo
era effettivamente invisibile.
Davanti a loro c’era un uomo dai capelli neri, la barba incolta (probabilmente
per il tempo passato in missione) e due profondi occhi castani. Indossava dei
jeans blu scuro, una maglia bordeaux e una giacca di pelle nera.
“Ti aspettavamo domattina” osservò la pilota dell’aereo.
“Sorpresa! Sono qui” fece l’altro.
“Wilson, questo è Grant Ward. Ward, questo è Wilson Smith.” li presentò Coulson.
I due si strinsero la mano. La presa di Ward era forte e decisa.
“Come il protagonista di 1984”, fece notare l’agente.
Winston annuì. Ormai ci era abituato. Quasi tutti conoscevano quel romanzo, che
le scuole consigliavano come ‘dimostrazione della brutalità di un regime
comunista’, il cui personaggio principale aveva il suo stesso nome.
“Comunque” riprese Ward. “Ho un piano per scoprire di più sul Progetto
Rinascita. Uno degli scienziati che ci lavora, tale Timothy Wells, darà una
festa domani sera, per festeggiare i suoi quindici anni al servizio dell’Hydra.
Ci saranno molti invitati, troppi per i buttafuori. Io, te e Melinda ci
entreremo, debitamente camuffati. Faremo ubriacare il buon dottor Wells
(operazione che non sarà difficile, dato che è noto per presentarsi
frequentemente sbronzo al lavoro) e gli faremo sputare il rospo. Sarà facile
come bere un bicchiere d’acqua.”
“E io?” chiese Skye.
“Starai sul Bus con Fitzsimmons e Winston a supervisionare tecnologicamente la
missione.”
“Ma…”
“Perfetto”, la zittì Coulson. “A quando l’appuntamento?”
“Domani sera, alle 9. Davanti all’ingresso del club ‘Heil Zola’.”
“A domani, allora. Agente Ward” si congedò Coulson.
“Agenti Coulson, May e Johnson… Winston” replicò Ward, prima di prendere una
porta ed entrare nel palazzo.
Quando fu sparito dalla loro vista, anche gli altri quattro rientrarono nel Bus.
“Non è possibile!” si lamentò l’agente Johnson. “Non posso mai partecipare ad
una missione!”
“Skye, è una missione pericolosa, che richiede molta competenza. Ti prometto
che, non appena sarai pronta e il tuo addestramento completo, parteciperai ad
una missione di importantissimo livello.”
Lei sbuffò mentre si sdraiava sul divanetto. “Dici sempre così. Invece di
parlare a vanvera, continua la tua storia.”
Sebbene contrariato, Couslon riprese: “Dunque, l’Asse aveva appena vinto la sua
guerra contro l’Internazionale. Tuttavia, i suoi nemici non erano finiti.
Restavano Francia ed Inghilterra, ovvero quello che rimaneva della NATO, 'gli
ultimi baluardi della democrazia’ li definì Charles de Gaulle nel suo ‘La
svastica sul sole. Come i Nazisti hanno perso e poi vinto’, il libro che scrisse
durante il suo esilio, ovviamente censurato dal Führer.
“Questa volta, i VRA trovarono non uno, ma ben tre casus belli: le
rivendicazioni argentine sulle isole Falkland, quelle tedesche
sull’Alsazia-Lorena e, dato che anche in Irlanda c’era stato un colpo di Stato
fascista, pure le richieste irlandesi di annettersi l’Ulster.
“Così l’Argentina, la Germania e l’Irlanda dichiararono guerra a Francia ed
Inghilterra che, per sopravvivere, diedero vita all’Unione Franco-britannica già
proposta durante la Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, la Francia fu occupata
abbastanza rapidamente, essendo circondata da Spagna, Germania e Italia. Non fu
necessario neanche l’uso dell’atomica, che invece fu lanciata su Londra. L’Hydra
finanziò anche dei movimenti nazionalisti e indipendentisti in Galles e Scozia.
Così, anche gli Alleati caddero. L’Alsazia-Lorena tornò tedesca, la RSI si
annesse Nizza, Savoia e Corsica e l’Irlanda ottenne l’Ulster, così come
l’Argentina le Malvinas. La Francia divenne un regime sotto i vecchi
collaborazionisti del regime di Vichy. In Inghilterra, Galles, Scozia e
Cornovaglia furono create delle Repubbliche Nazionali, tutte vassalle dei
Reiche.
“I paesi del Commonwealth divennero tutti Reichsprotektorate, tranne il Canada,
che venne diviso in Reiche membri dei VRA e la Nuova Zelanda, dove la Regina
Elisabetta fuggì e che fu omessa dalle cartine geografiche e dalla Storia. A
proposito di Storia, dopo questa ennesima vittoria, avvenuta nel 1969,
specialisti di tutto il mondo iniziarono a scrivere, o meglio, a riscrivere,
l’unico manuale di Storia contemporanea autorizzato dall’Hydra, il ‘Geschichte
Der Welt, von 1914 bis heute’.
“E così, alla fine, siamo giunti alla situazione politica che continua fino ai
giorni nostri.” commentò l’agente.
“Ma qualcosa nel tuo tono di voce mi dice che non è finita qui, vero Phil?”
intervenne Johnson.
“Hai ragione. Ricordate Peggy Carter, vero?”
Sia Winston che Skye annuirono.
“Bene, per non essere trovata dall’Hydra, aveva cambiato nome, abbandonato la
direzione dello S.H.IE.L.D. e sposato un tale Paul Smith. I due avevano avuto un
figlio e, siccome erano entrambi contro il governo di Zola, l’avevano voluto
chiamare come il protagonista di un romanzo dispotico di successo, quindi…”
“Winston Smith, io.” mentre lo diceva, tremò. La sua cara madre non si chiamava
Joyce Dugan, ma era una delle più grandi nemiche del Governo, la Peggy Carter
che i libri di scuola gli avevano insegnato ad odiare, anche se lui non aveva
mai ceduto al sentimento che invece pervadeva molti dei suoi compagni.
“Potete…” chiese, con un filo di voce. “… lasciarmi da solo per un po’?”
“Sì, Winston, ti posso capire…” disse Skye. “Ho avuto anch’io delle rivelazioni
scioccanti sui miei genitori, se vuoi stare da solo ti posso lasciare la mia
stanza.”
“Grazie, agente Johnson” replicò lui.
“Chiamami Daisy”. Poi, la ragazza lo condusse fino ad una stanza, gli aprì la
porta e gli lasciò le chiavi. “Torna quando ti sentirai pronto.”
“Grazie, ag… Daisy” ripetè Winston, poi chiuse la porta e si sedette a pensare
sulla prima sedia che trovò.
Il mondo nell'universo di « Der Rote Totenkopf » (vedi legenda a destra)
.
VI
Quando Winston uscì dalla
stanza di Daisy sul Bus, il sole stava per tramontare. “È stata una giornata
intensa, gente…”, commentò Coulson. “Penso che sia il momento per ognuno di noi
di ritirarsi nella propria stanza. Winston, tu potresti prendere quella di Ward,
che è di fronte a quella di Daisy…”
“Va bene, agente”, rispose lui.
“Chiamami Phil”, replicò l’altro.
Dopodiché, si ritirarono. Poco prima che entrasse nella sua stanza, Skye lo
fermò: “Ehi, Winston… se hai bisogno di parlare di quello che hai scoperto oggi,
io sono qui. Come ti ho detto, ho avuto anch’io un’esperienza simile.”
“Grazie, Daisy… solo che non me la sento ancora…”
“Posso immaginare… Buonanotte…”
“Buonanotte” rispose lui, prima di entrare nella camera.
Quella notte dormì poco. Pensò a lungo alle rivelazioni di quel giorno: non solo
quelle su sua madre, che gli tolsero buona parte del sonno, ma anche quella sul
mondo e sulla sua vera Storia. La versione di Coulson poteva benissimo essere
falsa, ma, dentro di lui, Winston sapeva fosse quella giusta. Aveva sempre
sentito qualcosa di sbagliato nella Storia che veniva insegnata a scuola. Si
ricordò che, una volta, un suo compagno aveva detto, davanti all’insegnante, che
suo padre e suo nonno sostenevano che Hitler non poteva vincere la guerra e
soprattutto lanciare un’invasione navale degli Stati Uniti così in vasta scala.
Il giorno dopo il ragazzo non era andato a scuola e non si era mai più visto.
Gli insegnanti non commentarono mai la notizia e anche la madre di Winston gli
aveva consigliato di fare altrettanto.
Il giorno dopo si alzò, dopo essere finalmente riuscito a chiudere occhio, con
il sole già alto nel cielo. Non fece colazione, si lavò nel bagno annesso alla
stanza e si vestì rapidamente, poi uscì e andò nella sala comune dove il giorno
prima Coulson gli aveva raccontato quella che ormai era convinto fosse la
verità.
“Buongiorno a tutti”, disse.
“Buongiorno, Winston! Alla buon’ora”, gli rispose Daisy, scherzando. Solo allora
notò che lei, Fitz e Simmons erano gli unici nella stanza.
“Dove sono Coulson e May?” chiese allora.
“Sono scesi a terra ad organizzarsi con Ward per la missione”, gli spiegò
Simmons, sorseggiando la sua tazza di caffè.
“Tra poco dovrebbero mettersi in contatto con noi”, aggiunse Fitz.
“Grazie, agenti Simmons e Fitz”
“Figurati, Winston. E puoi chiamarmi Leo”
“Anche a me puoi chiamare Jemma”
Winston sbadigliò. “C’è qualcosa che posso fare, in attesa che Coulson e May ci
contattino?”
“Non saprei…” confessò l’agente Johnson. “Però su quel tavolo lì ci sono alcuni
libri, tra cui "La svastica sul sole", le memorie di De Gaulle, sostanzialmente
la versione estesa di quello che Coulson ci ha raccontato ieri…”
Lui si avvicinò al tavolo di cui l’ex-hacker aveva parlato e, dopo aver spostato
un paio di libri, trovò quello che cercava: aveva una copertina nera, su cui era
disegnata una piovra mentre inghiottiva un’aquila, che sapeva essere lo stemma
degli Stati Uniti d’America, ma anche dello S.H.IE.L.D., e falce e martello, i
simboli che l’Hydra insegnava a odiare a tutti i bambini dei VRA e del mondo.
Sopra c’era scritto in piccolo il nome dell’autore, Charles de Gaulle, sotto al
quale c’era il titolo e, in fondo, il sottotitolo "Come i Nazisti hanno perso e
poi vinto". Lo prese e iniziò a leggerlo. Dopo una lunga introduzione scritta da
uno storico italiano, Alessandro Barbero, fuggito in gioventù dalla RSI verso la
Nuova Zelanda, dove si era specializzato in Storia Medievale, iniziava il primo
capitolo, intitolato "1933. L’inizio della fine", dove venivano comparate la
storia della salita al potere di Hitler secondo l’Hydra e quella vera.
Winston aveva quasi finito il capitolo 4, ovvero "1936. L’errore in Renania",
quando il computer sul quale il giorno prima avevano ricevuto il messaggio di
Ward cominciò a suonare. Gli agenti rimasti sul Bus più Winston andarono a
sedersi sulle sedie lì davanti. Invece di vedere Coulson e May chiacchierare
tutto sommato serenamente con Ward, videro i due agenti legati in una cella
dell’Hydra, con davanti il loro carceriere: Ward!
Di fronte alla facce stupite di Daisy, Jemma e Leo, il traditore scoppiò a
ridere. “Davvero non ve lo aspettavate? Loro sono prigionieri in un carcere di
cui non vi rivelerò neanche sotto tortura il nome… e voi farete presto loro
compagnia.” Rise ancora. Dopo che ebbe fatto il saluto romano dicendo “Heil
Hydra!”, il messaggio terminò.
“Per gli occhiali di Zola…” disse Daisy, prima che sentissero un colpo provenire
dal fondo dell’aereo.
.
VII
“Quelli erano i motori!”
esclamarono in coro Fitz e Simmons.
Winston guardò fuori da un finestrino: dei caccia aerei dell’Hydra stavano
attaccando il Bus.
Daisy prese in mano la situazione: “Allora, facciamo così: Leo, Jemma: andate a
controllare i danni ai motori; Winston, vieni con me: cercheremo di pilotare
quest’aereo.”
“Ma io…” tentò di protestare lui.
Mentre i due scienziati si dirigevano verso la sala motori, Skye lo esortò: “Tua
madre pilotava anche aerei durante la guerra. Dovresti avercelo un po’ nel DNA,
no?”
Winston storse il naso, non completamente convinto, ma, forse spinto
dall’istinto di sopravvivenza, accettò e seguì Daisy nella cabina di pilotaggio.
“In realtà” confessò lei, mentre prendeva il posto del pilota e lui quello del
copilota, “anch’io so poco: May mi ha insegnato qualcosa di teorico, ma non ha
potuto rischiare col pratico.” Poi aggiunse, scherzando: “Sai com’è, con le
pattuglie costanti dell’Hydra… rischiavo di schiantarmi contro un caccia del
Führer”. Risero entrambi in contemporanea, poi però sentirono un altro tonfo
provenire dal fondo dell’aereo. “Ok, forse è il caso di muoverci” commentò
Daisy, prima di disattivare il pilota automatico, che per il momento li teneva
fermi nei cieli sopra a Schiekago, e di prendere il controllo dell’aereo,
tentando di evitare i razzi scagliati dagli aerei nemici.
Winston, totalmente in preda al panico, non poté fare a meno di notare che la
fronte dell’ex-hacker era imperlata di sudore. “Cosa posso fare?” le chiese.
Skye era talmente concentrata sul tentare di pilotare il Bus che non sentì, o
forse ignorò, la domanda e rispose al suo copilota solo dopo che egli l’ebbe
ripetuta: “Ah sì, scusami! Attiva gli scudi. Il pulsante è alla tua destra.”
“Ho una dozzina di pulsanti alla mia destra” replicò lui, preoccupato.
“È blu” ribatté la pilota, tenendo gli occhi fissi sul radar.
“Ci sono quattro pulsanti blu!”
Daisy sbuffò, spazientita. “Non lo so! Cliccane uno a caso! Tanto
l’autodistruzione è rossa, ne sono sicura!”
“Se lo dici tu…” disse Winston, timoroso, prima di tentare la sorte cliccando
uno dei pulsanti. Una voce metallica allora esclamò: “Scudi attivati” e poterono
entrambi tirare un sospiro di sollievo.
Tuttavia, non poterono distrarsi a lungo, siccome gli aerei dell’Hydra li
incalzavano.
Ad un certo punto, nonostante Skye si districasse tra i vari ostacoli come
un’aviatrice professionista, si ritrovarono circondati.“Sono da tutti i lati!”
si lamentò, prima di imprecare. L’agente respirò profondamente, poi disse al suo
copilota: “Winston… premi il pulsante arancione. Sono sicura che sia solo uno.”
“Sì, è uno” confermò lui, prima di schiacciarlo, fidandosi ciecamente. La stessa
voce robotica di prima dichiarò: “Cannoni pronti all’uso.”
“Winston” Daisy si voltò verso di lui. “Vedi quei due grilletti dietro al tuo
volante?”
“Sì.”
“Bene. Ora è il momento della controffensiva. Devi schiacciarli.”
“Cosa succederà?” chiese, incerto.
“Tu fidati di me. Quando ti dirò ‘Via!’, tu dovrai premerli ininterrottamente.
Chiaro?”
“Ma…”
“Chiaro?”
“Sì.” disse lui, mettendo mano al volante e posando le dita sui grilletti.
“Bene.” commentò lei, prima di fare una manovra che chiunque avrebbe giudicato
pazza. Iniziò a far roteare il Bus su se stesso, poi urlò: “Via!”
Allora Winston iniziò a sparare in continuazione e, nonostante credette più
volte di star per vomitare, vide i caccia che li circondavano salire in aria e i
loro piloti mettersi in salvo usando il seggiolino eiettabile.
Daisy li evitò, prima di fuggire rapidamente dallo spazio aereo della città e
riattivare il pilota automatico solo sopra a spazi semidisabitati.
Lei e il suo copilota, con la testa che ancora girava per la manovra, uscirono
dalla cabina di pilotaggio e si sedettero sui divanetti della sala comune, dove
furono raggiunti da Fitz e Simmons, lievemente sporchi di carbone, poco dopo.
Leo annunciò: “I motori sono salvi… per ora.”
“Però abbiamo bisogno di fermarci un attimo per sistemarli e, Daisy: non fare
più manovre come quella di prima.” puntualizzò Jemma.
“Sì, scusatemi” replicò lei. “Non sapevo che altro fare. Eravamo circondati e…”
“Non hai bisogno di giustificarti, Daisy. Lo sappiamo.” la confortò Simmons.
“Quindi” disse Winston, riprendendo il discorso “abbiamo bisogno di un posto
dove fermarci per riparare il Bus e anche riposare, giusto?”
“Giusto” risposero in coro i due scienziati.
“Penso di sapere dove potrebbe essere…”
“E dove?”
Lui sorrise e scherzò: “È il mio turno di essere enigmatico ora. Daisy, partiamo
per Stafford, Kansas.”
Il Bus che parte dalla casa degli Smith-Carter in Kansas
.
VIII
Il Bus atterrò in un campo di
mais, poco distante da una casa di campagna. Ciò che rimaneva del team di
Coulson scese dalla rampa dell’aereo e seguì Winston che, con fare deciso,
andava verso il portichetto davanti alla casa. Una volta che furono tutti e
quattro arrivati, bussò alla porta.
Una voce maschile e giovane chiese da dietro alla porta: “Chi è?”
"Sono Winston, ho portato degli amici.”
La porta si aprì.
Dietro c’era un ragazzo sui venticinque, con i capelli castani e gli occhi
azzurri, che indossava una camicia azzurra e dei jeans scuri. Tendendo la mano a
Winston, disse: “Lei è il Signorino Smith, giusto? Io sono Edwin, Edwin Jarvis.
Sostituisco papà Edward da quando è andato in pensione.”
“Edward è andato in pensione?” chiese Winston, mentre stringeva la mano ad Edwin
ed entrava in casa, seguito a ruota dagli altri tre.
“Eh, già… papà era troppo anziano ormai… anche se nonno ha lavorato fino alla
vecchiaia, devo dire…”
“Purtroppo non l’ho conosciuto, ma pare che il caro vecchio Edwin fosse una
roccia… vero?”
“Già…” replicò il ragazzo. “Neanch’io ho fatto in tempo a conoscerlo…”
Intanto, Winston non si era accorto degli sguardi confusi di Leo, Jemma e Daisy,
che gli chiese: “Winston, chi è lui? Ma soprattutto, dove siamo?”
“Ok, penso di dovervi un po’ di spiegazioni. Sedetevi pure sul divano.” Una
volta che i tre agenti si furono seduti sul divano, iniziò a parlare: “Lui è
Edwin Jarvis, maggiordomo di questa casa e badante di mia madre… perché sì, vi
ho portato nella casa dove sono cresciuto e dove ho vissuto prima di trasferirmi
a Neuhamburg per studiare e poi lavorare.”
“Ora capisco” commentò Leo.
“A proposito di sua madre, Winston…” lo interruppe Edwin.
“Dimmi.” replicò lui, voltandosi a guardare il maggiordomo con un volto
preoccupato.
“… vede, sta molto male e volevo chiamarla, ma non mi rispondeva… per fortuna
che ora è arrivato….”
Winston si fece scuro in volto. “Potevi dirmelo prima, Edwin… portami da lei. E
dammi pure del tu. Daisy, Leo, Jemma: accomodatevi pure.”
“Va bene, Winston” replicò il ragazzo. “Seguimi”
Mentre percorrevano il corridoio in direzione della camera di Peggy Carter, o
Joyce Dugan, come si faceva chiamare, i due furono raggiunti da Johnson.
“Daisy? Cosa ci fai qui?” le chiese Winston, stupito e anche un po’ contrariato.
“Vengo con voi.” rispose lei, prontamente. Quando vide che l’altro era sul punto
di controbattere, gli mise un dito sulle labbra, dicendogli: “Non ho finito. Sei
mio amico: in questo momento tua madre sta male e io voglio esserti vicina. Poi,
vuoi mica che mi perda l’occasione di incontrare Peggy Carter?” Rimosse il dito
dalle sue labbra. “Ora puoi parlare” commentò, sorridendo.
Lui sospirò. “E sia. Ma non combinare casini e lascia fare a me.”
Lei annuì, poco prima che Edwin bussasse alla porta. “Signora Smith… è sveglia?”
chiese.
“Sì, Edwin, entra pure. Cosa c’è?”
“Ho una sorpresa per voi.”
“Sono vecchia, Edwin: non mi fai più sorprese.” replicò la voce di un anziana
che proveniva da oltre la porta.
“Invece, signora, credo che stavolta la sorprenderò…”
“Va bene, allora mostrami questa sorpresa…”
Edwin fece cenno a Winston di entrare e lui, sorridendo, mise piede nella stanza
che era stata di entrambi i suoi genitori, ma dove ora sua madre stava sola nel
letto.
“Winston…” disse lei, sorpresa, gli occhi lucidi. “… pensavo che ti avrei
rivisto solo attraverso uno schermo…”
Lui prese una sedia e la mise di fianco al letto, in modo da poter stare vicino
a sua madre e stringerle le mani. “E invece no, mamma… eccomi qui.”
“Fatti abbracciare…”
“Va bene, mamma…”
Lei si alzò a fatica dal materasso e strinse il figlio in un abbraccio sincero,
che durò per qualche minuto.
Alla sua fine, Winston confessò: “Mamma… devo dirti una cosa.”
“Riguarda la ragazza che ci sta guardando dalla porta?” chiese lei, in tono
giocoso. “A proposito, dille pure di entrare.”
“No, mamma, Daisy è solo un amica…”
“Ne sei sicuro?” replicò la signora Smith, sorridendo giocosamente.
“Sì, mamma.”
Joyce rise. “Su, falla entrare, cosa aspetti? Non è mica galante lasciare una
signorina ad aspettare…”
“Ma mamma…” tentò di ribattere Winston.
“Falla entrare”
“Dovevo dirti una cosa…”
“Me la dirai quando lei sarà qui con noi.”
“Sei davvero cocciuta, eh, mamma?” si lamentò il figlio, prima di fare cenno a
Daisy di entrare.
L’agente, visibilmente emozionata, si avvicinò all’anziana e disse: “Signora
Carter, è un onore per me conoscerla…”
La signora Smith fece finta di non capire: “Come mi hai chiamata?”
“Mamma” intervenne allora il figlio. “È quello che volevo dirti. So tutto. Di
te, dell’Hydra, dello S.H.I.E.L.D.”
“Oh…” fece lei. “Allora penso di doverti un po’ di spiegazioni…”
“So già tutto, mamma. Ci ha già pensato l’agente Coulson.”
Peggy strinse ancora più forte le mani di Winston: “Mi dispiace, Win… Avrei
voluto che, se mai fosse avvenuto, tu lo venissi a sapere da me…”
“Tranquilla, mamma…” rispose lui, prima di abbracciarla.
Terminato l’abbraccio, i tre continuarono a conversare a lungo e Winston notò
che Daisy rideva sempre alle sue battute e viceversa; inoltre, si scambiarono
degli sguardi abbastanza imbarazzati, ma carichi di elettricità, così come lui
aveva percepito l’aria quando le loro mani si erano sfiorate.
La loro conversazione fu interrotta dall’arrivo di Edwin: “Signora Smith, mi
sono permesso di preparare del tè per gli altri due visitatori ora accomodati
nel soggiorno. Non è che anche lei e i suoi due ospiti lo desiderate?”
“Io no, grazie, Edwin. Voi due? Volete andare a berlo con i vostri due amici?”
“Se posso…” mormorò Daisy.
“Tranquilla, Daisy. Vai pure.” la rassicurò Peggy.
L’altra la ringraziò e si alzò, dirigendosi verso la porta. Sull’uscio, si fermò
a guardare Winston. “Vieni?” gli chiese.
Lui guardò sua madre, che annuì, sorridendo. Gli sussurrò all’orecchio:
“Tienitela stretta questa ragazza. Non lasciarla scappare.”
Il figlio non reagì a quest’osservazione della madre, perché, pur volendo
contraddirla, una parte di lui sapeva che l’anziano agente Carter aveva ragione.
Il triste paesaggio di Mosca dopo i bombardamenti nucleari da parte dell'Hydra
.
IX
Dalla
conversazione che Winston e Daisy ebbero con Fitz e Simmons emerse che i due
scienziati avevano bisogno di fermarsi una settimana circa per riparare il Bus
e, dopo aver chiesto informazioni ad Edwin, Winston constatò che avrebbe potuto
ospitarli in casa, dato che aveva una camera degli ospiti (dove avrebbero
dormito Fitz e Simmons) e lui cedette la sua vecchia camera a Daisy, decidendo
di dormire sul divano-letto che c’era in soggiorno.
Il tempo volò e in breve giunse l’ora di cena. Edwin preparò una cena molto
magra, siccome doveva seguire la dieta imposta dai medici all’anziana signora
Smith: riso bollito come primo e, come secondo, un po’ di formaggio e spinaci
bolliti. A rendere un po’ più godibile il pasto furono le fragole che i Jarvis
coltivavano nel giardino della villetta di Stafford da almeno quarant’anni, se
non di più.
Poco prima di andare a dormire, Winston andò a salutare sua madre. Rispetto a
quel pomeriggio, le sue condizioni di salute sembravano essere peggiorate, ma
lei sorrideva serena.
“Mamma…” disse Winston, dopo averla sentita tossire molte volte e averle
misurato la febbre, che era molto alta. “Sei sicura che non mi devo preoccupare?
Devo dire ad Edwin di chiamare il dottore?”
“Tranquillo, Winston. È un dolorino da nulla” disse lei.
“Mamma, mi spiace dirtelo, ma sei troppo anziana per percepire una febbre, o
forse una bronchite, come ‘un dolorino da nulla’. Chiamo il dottore”
“No, Winston”
Lui la ignorò e fece per prendere il cellulare.
“Winston Paul Steven Smith…” Peggy lo stava guardando minacciosa. E il figlio
sapeva che era abbastanza arrabbiata quando usava il suo nome completo.
“Va bene, mamma” si arrese lui. “Perché devi essere sempre così testarda, anche
quando stai male?”
“Sai che lo sei anche tu quando vuoi, vero Winston? E restalo sempre”
“Non cambiare discorso, mamma. Sei davvero sicura che non debba chiamare il
dottore?”
“Vai a dormire, Winston. Tranquillo.”
Lui la guardò storto, prima di avvicinarsi e baciarla sulla guancia.
“Buonanotte, mamma.”
“Buonanotte, Win” replicò lei.
Uscito dalla porta, Winston si trovò davanti Daisy, che gli chiese: “Come va?”
Lui scosse la testa. “Male. È molto malata e, nella sua cocciutaggine, mi
costringe a non chiamare alcun medico.”
“Ti posso capire, Winston” disse Johnson. “Sei sicuro di voler dormire sul
divano?”
“Sì, Daisy, tranquilla.”
“Buonanotte, Winston”
“Buonanotte, Daisy” rispose lui, facendo per dirigersi verso il soggiorno.
I due si scambiarono un ultimo sguardo e Winston sentì l’aria farsi pesante,
perché piena di elettricità. Poi si voltarono, lei andò verso la sua stanza e
Winston verso il soggiorno, dove Edwin aveva già preparato il divano-letto.
Si mise sotto le coperte e, prima di dormire, lesse ancora alcuni capitoli de
"La svastica sul sole", poi si addormentò.
La mattina dopo fu svegliato da un preoccupato Edwin. “Winston, svelto, vestiti!
Stanno bussando violentemente alla porta.”
Lui obbedì, si sfilo il pigiama e indossò i vestiti del giorno prima. Poco dopo,
anche Daisy, Jemma e Leo arrivarono in salotto.
Fuori continuavano a bussare. Edwin guardò dallo spioncino. Da come sobbalzò,
Winston capì che la situazione era grave. Infatti il maggiordomo disse: “È SS
Agent con due compagni! Io mi nasconderei, fossi in voi. Prendete l’uscita sul
retro e avviatevi verso il vostro aereo.”
“Cos’è tutto questo trambusto?” chiese allora Peggy, che incredibilmente era
riuscita ad alzarsi dal letto ed era ora in soggiorno.
“Mamma, torna a letto.” le disse prontamente Winston.
“Signora Carter, suo figlio ha ragione.” intervenne Daisy. “È una situazione
delicata.”
“Questa è ancora casa mia, quindi qui decido io!” sbottò lei. “Edwin, cosa
succede?”
Lui balbettò qualcosa di incomprensibile, essendo in mezzo tra due fuochi.
“Edwin!” lo rimproverò la signora Smith.
“E va bene.” cedette lui. “Qui fuori ci sono SS Agent e due soldati Hydra. È un
miracolo che non abbiano ancora sfondato la porta. La mia idea è che voi
scappiate usando la porta sul retro e saliate sull’aereo invisibile. Io li
intratterrò e mostrerò loro che non c’è nulla di sospetto.”
“No”, si oppose l’agente Carter. “Edwin, tu scapperai con loro. Del resto,
stanno cercando Peggy Carter dagli anni Sessanta: sono vecchia, e andrò incontro
ad una morte da eroina, che ho sempre desiderato.”
Winston sentì le lacrime uscirgli dagli occhi automaticamente: “Mamma…”
“Winston, lo so che non è il modo migliore per salutarci. Ma, ora come ora, è
l’unico. Fidati.”
Lui l’abbracciò. “Non voglio perderti… ti ho appena riavuta…”
Anche sua madre stava piangendo durante quell’abbraccio, che fu interrotto da
un’imprecazione che proveniva fuori dalla porta:
“Aprite quella porta, herrführer nochmal! “ esclamò la voce di Jonathan Walker,
che tante volte Winston aveva sentito nei documentari propagandistici sui
Rächer.
Peggy interruppe l’abbraccio e baciò suo figlio sulla fronte. Gli diede in mano
un fascicolo e un libretto rosso. “Tieni questi, ti saranno utili più avanti.
Ora andate” disse.
Winston non riusciva ad andarsene e fu trascinato via in lacrime da Daisy, che
aveva anche lei gli occhi lucidi. Seppe solo in seguito, leggendo un rapporto
Hydra rubato, quello che accadde.
Sua madre aveva aperto la porta e detto a SS Agent, con un tono di sfida: “Chi
stava cercando, bel giovanotto corrotto dal nazismo?”
Al che, lui aveva risposto: “Cercavo dei rinnegati S.H.I.E.L.D., che avevamo
tracciato fin qui. Li avete per caso visti?”
“Penso ne abbiate una qui davanti”, lo aveva provocato, aggiungendo poi: “Sapete
chi hanno baciato queste labbra?”
“No” aveva ribattuto lui, secco.
“Capitan America!” aveva urlato lei. “E non il vostro finto Kapitän Amerika…
quello vero. Steve Rogers!”
“È impazzita, capo.” aveva comunicato uno dei due soldati Hydra a Walker.
“Sì.” aveva confermato lui, voltandosi verso l’uscita. “Terminatela. Io riferirò
al Führer che Margaret Carter non è più una minaccia.”
I due avevano sparato e l’anziana non si era mossa. Era caduta a terra,
sanguinante, e aveva pronunciato solo due parole, prima di spegnersi: “Paul…
arrivo…”
.
X
Daisy, Leo, Jemma e Edwin
dovettero trascinare Winston a forza per portarlo sul Bus. Le sue lacrime, già
molte, aumentarono dopo che sentì i colpi di pistola provenire dall’interno
della casa.
Una volta sull’aereo, lui si sedette su uno dei divanetti della sala comune,
appoggio il fascicolo e il libro rosso sul tavolino di fronte a lui e continuò a
piangere, consolato da tutti tranne Daisy, che si era invece diretta nella
cabina di pilotaggio per scappare da quel posto.
Winston si maledì. Come gli era venuto in mente di coinvolgere sua madre in
quella vicenda? Se solo non li avesse portati lì, lei sarebbe stata ancora viva.
Scacciò quei pensieri. Troppo dolorosi. Pensò a cosa gli avrebbe detto lei:
“Smettila di piangerti addosso, Winston; ciò che è stato è stato e non può
tornare indietro. Piuttosto di pensare a cosa hai sbagliato, pensa al tuo futuro
e a cosa potresti fare per migliorarlo.” Gliel’aveva detto una volta, dopo che,
da bambino, aveva schiaffeggiato un suo compagno durante un litigio, ma tornava
utile ancora in quel momento.
Perciò si asciugò le lacrime con la felpa e guardò quello che sua madre le aveva
lasciato prima di morire.
Vide che il libretto rosso aveva sulla copertina una scritta in quello che
sembrava il dimenticato alfabeto sovietico, che lui non conosceva, quindi lo
ignorò e prese piuttosto il fascicolo. Su di esso era timbrato un simbolo con un
rapace e la scritta “SSR” sopra esso.
Simmons gli spiegò: “La SSR, o Strategic Scientific Reserve, era il
corrispondente Alleato dell’Hydra Nazista, che portò alla nascita di Capitan
America e di cui tua madre fu uno degli esponenti più noti. Dopo la fondazione
dello S.H.I.E.L.D., venne assorbita in quest’ultimo.”
“Grazie, Jemma” rispose Winston, prima di notare il nome del fascicolo, datato
1955: “Capitan America: possibile locazione”.
Anche quando gli altri lo videro, rimasero stupiti. Incuriosito e senza indugio,
Winston aprì il fascicolo ed iniziò a leggere la lettera che conteneva:
“CONFIDENZIALE.
Da: Agente Bradley Lloyd
A: Direttore Chester Phillips
Io, Bradley Lloyd, agente della SSR, sono stato mandato ad assistere una
missione in Antartide e a riportare cosa si sarebbe scoperto al Direttore
Phillips, che a sua volta avrebbe riferito al Presidente Eisenhower le scoperte.
Tuttavia, mentre gli scienziati provvedevano al carotaggio del ghiaccio in una
grotta, io mi sono momentaneamente allontanato e quello che ho visto mi ha
lasciato stupito. In lontananza, brillava quello che sembrava uno scudo a stelle
e strisce, simile a quello di Capitan America. Tuttavia, ho allontanato quel
pensiero come sogno infantile. Ho pensato che il freddo mi stesse dando alla
testa. Per curiosità, il giorno dopo sono tornato nello stesso luogo e ho visto
nuovamente lo scudo, ma non mi sono avvicinato ulteriormente.
Con la presente chiedo quindi al Direttore di autorizzare una spedizione in
Antartide per verificare se quello che ho visto potrebbe essere effettivamente
lo scudo di Capitan America e se di fianco ad esso si trova il corpo a lungo
perduto dell’eroe.
Allego anche le coordinate del punto esatto in cui ho visto lo scudo.
Cordialmente,
Bradley Lloyd.”
Sotto, quella che il figlio riconobbe come la fine grafia di sua madre Peggy
annotava: “Lloyd si ammalò per il freddo qualche giorno dopo e morì. Nello
stesso anno, la SSR confluì nello S.H.I.E.L.D. e questo documento andò quasi
perso, fino a quando non lo ritrovai cercando di salvare il salvabile degli
archivi dall’Hydra.”
Quando finì di leggerla, Winston rimase a bocca aperta, così come anche Fitz,
Simmons ed Edwin dopo che l’ebbe passata loro.
“Questo significa…” iniziò a dire Jemma.
“…che abbiamo le coordinate per trovare, forse ancora vivo seppur congelato,
Capitan America!” completò la frase Leo.
Lo comunicarono a Daisy, che riuscì a lasciare la cabina di pilotaggio solo dopo
aver impostato il pilota automatico, e rimase anche lei sbalordita. “Dobbiamo
dirlo alla Direttrice Hill! Dovremmo chiederle l’autorizzazione per una
missione! Se trovassimo Capitan America…”
“Sì, Daisy” confermò Jemma. “Ma la Direttrice ora è al CDR e siamo sicuri che il
Bus regga un volo fino alla Nuova Zelanda?”
“Fermi tutti!” le interruppe Edwin. “Cosa diamine è la Nuova Zelanda?”
“E soprattutto, cos’è il CDR?” aggiunse Winston.
“In breve: Edwin, la Nuova Zelanda è la nostra unica via di salvezza, l’unico
pezzo di mondo che l’Hydra non ha conquistato e quindi ha fatto dimenticare;
Winston, CDR sta per Congresso Delle Resistenze, ed è una riunione annuale che
si tiene a Wellington, la capitale neozelandese, in cui i capi di tutte le
Resistenze globali fanno il punto della situazione e decidono il da farsi. Oltre
allo S.H.I.E.L.D. ci sono il KGB, l’MI6 e molti altri…”
Dopo che Edwin sembrò aver capito, Skye riprese il discorso: “Sì, il Bus ce la
può fare. Però dobbiamo partire subito. Siete tutti sicuri di voler andare a
Wellington?”
Tutti annuirono, anche perché non avevano altra scelta.
“Bene” disse lei. “Winston, seguimi in cabina. Si va in Nuova Zelanda, gente!”
.
XI
Winston e Daisy impostarono
la rotta per Wellington, la capitale del Regno Unito di Nuova Zelanda. Ci
sarebbero volute 16 ore. Appena lo seppe, Winston si stupì: sarebbero arrivati
alle due di notte del giorno dopo.
Quindi, non appena il pilota automatico fu programmato, andò nella sua camera e
impostò la sveglia per l’una e mezza: temeva si sarebbe dimenticato. Dopodiché,
andò nella sala comune e continuò a leggere La svastica sul sole. Quella lettura
si stava rivelando più interessante di quanto avrebbe mai potuto immaginare, ma
gli serviva anche a fuggire da Daisy.
Mentre erano in cabina, i loro sguardi si erano incrociati più volte e Winston
aveva faticato a sostenere il contatto visivo, così come aveva sentito una
carica elettrica percorrergli il corpo quando le loro mani si erano toccate
quando entrambi avevano premuto lo stesso pulsante.
Se non fosse stato per Fitz e Simmons, anche il pranzo e la cena sarebbero stati
silenziosi in modo imbarazzante.
Infine, intorno alle nove e mezza di sera decisero di ritirarsi nelle loro
camere e fu lì che avvenne.
Winston stava per entrare nella sua camera quando Daisy lo raggiunse e, prima di
entrare nella stanza di fronte, gli disse: “Buonanotte, Winston”
Al che, lui rispose: “Buonanotte anche a te, Daisy.” Poi, decise di sciogliere
l’imbarazzo facendo una battuta: “Ci vediamo tra qualche ora”
Risero insieme e, alla fine della risata, i loro sguardi si incrociarono
nuovamente e una sorta di magia prese possesso dei loro corpi. Lei si avvicinò a
lui e lui a lei, poi entrambi misero le loro mani sulle guance dell’altro e si
baciarono appassionatamente.
La sveglia per Winston suonò all’una e mezza.
Di fianco a lui, anche Daisy si alzò ed entrambi si rivestirono. Non parlarono
di quello che era successo tra loro quella notte, anche perché lui sarebbe stato
molto imbarazzato a farlo.
Una volta pronti, si recarono in cabina di pilotaggio e fecero atterrare l’aereo
sopra una pista con il simbolo dello S.H.I.E.L.D. disegnato sopra il cemento.
Non appena anche Leo, Jemma e Edwin furono svegli, scesero dal Bus. Venne loro
incontro una donna abbastanza giovane, con due occhi azzurri e i capelli castani
legati in una coda di cavallo. Indossava un’uniforme blu dello S.H.I.E.L.D.
Daisy le tese la mano. “Direttrice Hill”
“Agente Johnson” rispose l’altra, stringendogliela. Poi, sorridendo, aggiunse:
“Solo tu potevi farmi svegliare a questa tarda ora.”
Dopo aver salutato Leo e Jemma, tese la mano a Winston.
“Tu dovresti essere…”
“Winston Smith, direttrice.” rispose. “Lieto di conoscerti.”
“Il piacere è tutto mio. Ho sentito di tua madre e ti faccio le mie più vive
condoglianze. Non l’ho mai conosciuta, se non come eroina del passato. È morta
da eroina, come è vissuta.”
“Grazie” disse lui, con gli occhi lucidi, come diventavano ogni volta che
pensava a sua madre.
“E tu saresti?” chiese la direttrice, spostando la sua attenzione verso Edwin.
“L’agente Johnson non ti cita nel suo rapporto”
“Sono Edwin Jarvis” si presentò lui.
“Era il maggiordomo dell’agente Carter” spiegò Daisy. “È fuggito con noi da SS
Agent, ma non ho fatto in tempo a citarlo nel rapporto…”
“Non fa niente” rispose Maria Hill e Winston vide chiaramente Johnson tirare un
sospiro di sollievo. “Su, muoviamoci e guardiamo quello che avete scoperto.”
aggiunse dopo, iniziando a camminare dalla pista verso un edificio lì vicino.
Incerto, Winston guardò Daisy che gli sorrise e gli fece cenno di precederla.
Lui obbedì e seguì la direttrice nell’edificio, che poi scoprì essere la
principale base dello S.H.I.E.L.D. in Nuova Zelanda.
Andarono in una sala con un tavolo al centro; una volta lì, Hill ordinò:
“Mostratemi questi famigerati documenti”.
Winston prese il fascicolo e il libro e li mise sul tavolo.
La Direttrice quasi ignorò il secondo, mentre prese in mano il primo,
incuriosita, ed iniziò a leggerlo. Quando arrivò alla fine, i suoi occhi erano
spalancati dallo stupore. “Se questi dati si rivelassero fondati, potremmo
ritrovare Capitan America e avere un alleato, anzi un simbolo, nella lotta
contro l’Hydra!”
“Inoltre” disse una voce dallo spicciato accento dell’Ostland, che apparteneva
ad una donna decisamente attraente dai lunghi ricci rossi appena entrata nella
stanza, “dimostrerebbe che la Storia così come raccontata da Zola è falsa.”
“Hai ragione, Natalia” convenne Maria Hill.
“Scusatemi per la scortesia” rispose l’altra donna, che Daisy guardava con
evidente invidia. “Non mi sono nemmeno presentata: sono Natalia Romanova,
seconda in comando, insieme alla mia sorellina Yelena Belova, di Vladimir Putin,
capo del KGB”
Romanova strinse le mani ad ognuno di loro e Winston vide Daisy ingelosirsi
mentre si presentava alla donna. Terminate le presentazioni, Hill chiese a
Natalia, porgendole il libro rosso: “Nat, già che sei qui, ci potresti dare una
mano con questo?”
“Certamente” rispose l’altra, prima di leggere: “Zimniy Soldat: kody zapuska i
vyklyucheniya, che vuol dire qualcosa come Soldato d’Inverno: codici di
avviamento e spegnimento”
“Se impariamo ad usarlo…” intervenne Fitz.
“…potremmo togliere il povero Bucky Barnes dal limbo in cui l’Hydra lo tiene!”
terminò Simmons.
“Molto bene…” commentò Hill. “Anche questo verrà portato in Congresso. Ora
torniamo a dormire: domani sarà una giornata intensa.”
.
XII
Il Palazzo del Congresso si ergeva, in tutta la sua bellezza, davanti a loro. Un grattacielo la cui facciata era fatta di solo specchi che riflettevano lo skyline della città. Da come rimasero a bocca aperta, Winston capì che lo vedevano per la prima volta anche Daisy, Leo e Jemma. Edwin non era voluto venire perché sosteneva che le grandi assemblee non facevano per lui.
Il loro stupore fu interrotto
dalla disillusione della Direttrice, che di sicuro l’aveva già visto molte
volte. “Su, non fate i turisti e sbrigatevi; del resto, avete già visto qualcosa
di simile a Neuhamburg, no?”
Tutti la guardarono perplessi.
“Il Palazzo dell’Asse.” spiegò lei. “Questo palazzo è un’esatta replica del
grattacielo del Segretariato delle Nazioni Unite, il quale è stato poi ridipinto
di nero e i suoi specchi sostituito con vetri scuri.”
Allora tutto tornò nella testa di Winston e anche in quella di Daisy, come
confermò la sua prolungata A di stupore.
Dopodiché, entrarono nell’edificio. Dopo aver consegnato in reception tutte le
armi, arrivarono in una sala comune molto affollata.
Maria Hill venne raggiunta da un’altra donna alta con i capelli verdi: indossava
degli occhiali da sole e, sulla giacca, portava un distintivo con una spada
raffigurata sopra e poco sotto la scritta “S.W.O.R.D.”.
“Hill, questi sono i rampolli di Coulson? Non mi meraviglio che lui e May siano
stati catturati!” disse la donna, ridendo sadicamente, prima di allontanarsi.
Daisy stava per replicarle, ma la Direttrice la bloccò con una mano. “Ferma,
agente Johnson: non fare caso a lei. Abigail Brand adora infastidirci.”
“Chi era quella donna?” chiese allora Skye.
“Abigail Brand è la Direttrice dello S.W.O.R.D., una parte dello S.H.I.E.L.D.
che si è distaccata con il tempo perché sostenevano troppo ‘morbida’ la linea di
Fury” spiegò Hill.
Proprio in quel momento si avvicinò un gruppo di tre uomini: uno calvo, uno
robusto e un prete abbastanza anziano. Il primo salutò amichevolmente Maria Hill
dicendole, con uno spiccato accento siciliano che Winston aveva sentito in bocca
ai molti criminali nei film sui mafiosi: “Sempre i soliti problemi con Brand?”
Lei rispose al suo saluto e confermò: “Già…”
“Questi i protetti di Coulson sono?” chiese poi, indicando Winston, Daisy e
Fitzsimmons.
“Sì, sono loro.”
L’uomo strinse le mani a ciascuno di loro. “Il Commissario Salvo Montalbano
sono, capo del Comitato di Liberazione Nazionale, la Resistenza italiana.” si
presentò. Poi aggiunse: “Con me sono i miei vice, il Commissario Rizzo” e indicò
l’uomo massiccio, che salutò con un cenno della mano, “e Don Matteo
Bondini-Minelli” aggiunse, facendo cenno al prete.
Dopo questo giro di presentazioni, conversarono per un po’ e Winston trovò molto
simpatici tutti e tre gli italiani. Alla fine, si allontanarono, ma il
Commissario Montalbano assicurò che avrebbe votato a loro favore.
Dopo un po’ di tempo, le porte su cui la sala comune dava si aprirono e tutti
entrarono. La Direttrice disse: “Seguitemi.”
La Sala del Congresso, come veniva chiamata, era meravigliosa e lasciò tutti a
bocca aperta. Tuttavia, non ebbero il tempo di ammirarla: si sedettero sulle
sedie loro destinate. Subito dopo, un uomo anziano entrò nella stanza e tutti,
al suo cospetto, si alzarono in piedi. Una telecamera iniziò a riprenderlo e la
banda al suo seguito iniziò a suonare un inno. Winston vide i rappresentanti
dell’MI6 mettersi la mano sul cuore e riuscì a riconoscere qualche parola dal
labiale del loro leader, James Bond.
“Quell’uomo è Re Carlo III del Regno Unito, figlio di Elisabetta II, la regina
fuggita a causa dell’Hydra. Apre solennemente le riunioni del CDR più importanti
con un suo discorso.” spiegò Hill.
Il monarca disse qualche parola sull’importanza della democrazia e della lotta
all’Hydra, ma quasi subito concluse dicendo: “Ma ora lascio il posto a Maria
Hill, neoDirettrice dello Strategic Homeland Intervention, Enforcement and
Logistics Division, altresì noto come S.H.I.E.L.D.”
La Direttrice si alzò e fece cenno a Winston, Daisy, Leo e Jemma di seguirla,
poi li guidò lungo il corridoio che dalle loro sedie portava fino al palco dove
il sovrano aveva letto il suo discorso.
Una volta lì, ringraziò il sovrano, che lasciò il palco e si andò a sedere in
prima fila con la sua scorta. Dopodiché, iniziò a parlare: “Concittadini di
questo mondo, colleghi del CDR, amici: da lunghi anni ormai combattiamo contro
l’Hydra e molte volte i nostri sforzi, i nostri sacrifici, le morti di molti
nostri compagni e amici ci hanno fatto credere che la Libertà che ognuno di noi
vuole ridare al proprio Paese sia una chimera irraggiungibile. Quando ho saputo
che anche Nick Fury, il mio predecessore, era stato catturato, l’ho pensato
anch’io e ho quasi pensato di rinunciare; poi, pochi giorni fa, la qui presente
Daisy Johnson, una delle più recenti reclute dello S.H.I.E.L.D., mi ha inviato
un rapporto con notizie stravolgenti. Da un lato, l’agente Grant Ward, uno dei
nostri migliori sul campo, ci aveva traditi, consegnando all’Hydra Philip
Coulson e Melinda May; dall’altro, però, Peggy Carter, sacrificandosi
eroicamente contro SS Agent, aveva consegnato al figlio, il qui presente Winston
Smith, un vecchio fascicolo SSR in cui l’agente Bradley Lloyd segnalava
all’allora Direttore Chester Phillips una possibile posizione del corpo
congelato di Capitan America. Dei miei assistenti vi stanno distribuendo una
fotocopia di quel fascicolo proprio in questo momento, cosicché possiate
consultarlo. Io chiedo, con effetto immediato, l’autorizzazione del Congresso
per una missione in Antartide per recuperare Capitan America. Mi sono consultata
con due nostri scienziati, Jane Foster ed Erik Selvig, che mi hanno riferito che
Rogers potrebbe essere ancora vivo e mi hanno assicurato che abbiamo le
tecnologie adatte per, passatemi il termine, scongelarlo. Se c’è anche solo una
minima possibilità, dobbiamo provarci.”
Molti dei presenti bisbigliarono, perplessi.
Uno di loro si alzò. Era un uomo massiccio, alto, con i capelli scuri quasi
rasati e due profondi occhi neri che incutevano timore. Era vestito da
motociclista e non nascondeva le fondine che pendevano ai lati dei suoi jeans.
Winston scorse Montalbano guardarlo con sorpresa e scuotere la testa in segno di
disapprovazione.
Winston lo fece notare a Leo, di fianco a lui, che gli spiegò: “L’uomo che si è
appena alzato è il camorrista Gennaro Savastano. Dopo che il Bestrafer ha
sterminato quasi tutto il suo clan, ha giurato eterna vendetta contro l’Hydra,
anche se fa il doppio gioco e finge di laborare per Kingpin. La sua cellula è in
competizione con il CLN di Montalbano, che disapprova i suoi modi violenti e
pragmatici.”
Savastano disse, con il suo spiccato accento napoletano: “Non abbiamo bisogno di
supereroi. La loro era è finita e i pochi rimasti sono al soldo dell’Hydra. Uno
di loro ha sterminato la mia famiglia. E dov’era Capitan America quando’è
successo? Non abbiamo bisogno di lui!”
Il suo entourage scoppiò in un applauso, interrotto da un colpo di tosse.
Ad emetterlo era stato Vladimir Putin, capo del KGB. O almeno così intuì
Winston, dato che era seduto tra Natalia e un’altra donna bionda, probabilmente
Yelena Belova. Putin disse: “Compagno Savastano, anch’io ho pensato la tua
stessa cosa ieri quando Natalia Romanova, la mia seconda in comando, me ne ha
parlato per la prima volta: la Grande Madre Russia non ha bisogno di eroi!
Abbiamo già scacciato dalla nostra patria i Nazisti durante la Seconda Guerra
Mondiale, lo faremo ancora una volta! Ci ho riflettuto e poi ho anche ascoltato
le parole della Direttrice Hill: non so se anche tu hai avuto l’occasione, ma io
ho conosciuto Peggy Carter. Era una delle donne migliori che questo mondo abbia
mai avuto e, se lei si è sacrificata, significa che ne valeva la pena. Fidati.”
Quelle parole quasi commossero Winston, che, da lontano, ringraziò il capo del
KGB con lo sguardo mentre quello si sedeva. Anche Savastano si sedette.
Altri leader delle varie resistenze espressero le loro opinioni, principalmente
a favore della missione in Antartide: i principi T’Challa e Shuri del Wakanda
ricordarono che Re Azzuri, loro nonno, aveva combattuto a fianco di Rogers
contro l’Hydra durante il Secondo Conflitto Mondiale; anche James Bond ricordò
affettuosamente Peggy Carter, mentre Abigail Brand continuò ad opporsi alla
proposta.
Alla fine, Re Carlo III chiuse il dibattito e ordinò che ogni leader esprimesse
il suo voto.
Al termine dello scrutinio, il monarca annunciò: “Vince questa votazione il sì!”
Tutti i membri della squadra si guardarono, increduli. Si batterono il cinque e,
non riuscendo a trattenere la gioia, Winston e Daisy si baciarono.
.
XIII
Antartide, tre mesi dopo
Winston chiuse il diario di
bordo. Non ne poteva più del clima e di molti altri fattori: come gli era venuto
in mente di andare da solo su quel pezzo di ghiaccio? Poi si ricordò che non
l’avevo scelto lui: c’era bisogno di qualcuno del team a cui Peggy Carter aveva
affidato il fascicolo con su scritte le informazioni nella missione che era
stata chiamata “Operazione Ghiacciolo”. Fitz e Simmons, nonostante fossero più
adatti per l’aspetto ricercativo, non avevano esperienza sul campo in caso la
stazione fosse stata scoperta e attaccata dall’Hydra, mentre Daisy aveva dovuto
sostituire Ward come infiltrata nell’Hydra per il Progetto Rinascita. Winston
cercava il più possibile di non pensare a lei: gli mancava troppo.
In realtà solo non era: c’erano molti ricercatori provenienti da quasi tutte le
Resistenze, comandati da Erik Selvig e Jane Foster (capitani della spedizione),
e Putin aveva anche voluto inviare anche Yelena Belova, mentre Natalia aveva
affiancato Daisy come infiltrata nell’Hydra. Sebbene all’inizio sembrasse un po’
timida e scontrosa, la seconda in comando del KGB si era rivelata la cosa più
simile ad un amica che Winston avesse avuto in quei tre mesi; peccato che ora
fosse presa da un altro progetto, che la teneva impegnata per quasi tutto il
giorno.
Andò nella sala comune della stazione di ricerca e lì trovò un gruppo di
scienziati –dalla lingua che parlavano parevano italiani. Fingendo di ignorarli,
Winston si sedette sul divano e prese il telefono.
Aprì l’applicazione che usava per i messaggi per scrivere a Daisy, ma subito il
telefono gli vibrò: era Yelena che lo chiamava. Rispose e se lo avvicinò
all’orecchio: “Dimmi tutto, Yelena.”
“Tu hai letto « La svastica sul sole », giusto?” gli chiese la russa.
“Certo… l’ho finito un paio di mesi fa…” rispose lui.
“Puoi venire qui? Penso che il nostro ospite abbia bisogno di una lezioncina di
Storia.”
“Ovviamente.” Winston riattaccò, si alzò dal divano e si diresse, attraverso i
corridoi della stazione, alla palestra, dove l’agente del KGB passava la maggior
parte del suo tempo. Spinse la porta ed entrò.
Davanti a sé, oltre a Yelena, si trovò anche un uomo che sembrava fuori dal
tempo, uscito da un film di fantascienza come Zurück in die Zukunft. Nella sua
tuta a stelle strisce e in una forma smagliante pur avendo più di cent’anni, di
fronte a Winston c’era Steve Rogers, alias Capitan America.
.
XIV
Passò ancora un mese prima
che Rogers fosse giudicato pronto per scendere in campo dalla Direttrice Hill.
Lui, Winston e Yelena furono i primi ad andarsene prima che la stazione fosse
smantellata.
“Che la fortuna vi assista” disse Selvig, salutandoli.
Lo stesso fece Jane Foster, aggiungendo: “So che può sembrare un ulteriore peso,
ma… il mondo conta su di voi. Salvatelo”
“Ho già avuto il peso di una nazione sulle mie spalle, signorina Foster” le
rispose Rogers, facendo il saluto militare. Finiti i saluti, il trio salì
sull’aereo. Quasi subito, Rogers prese La svastica sul sole (Winston gliel’aveva
prestato dopo averlo finito) dal suo zaino e si sedette isolato dagli altri.
Dopo circa un’ora di viaggio, Winston sussurrò a Yelena, che aveva più intimità
con Capitan America per via delle ore che avevano passato insieme in palestra,
molte di più di quelle che il supersoldato aveva trascorso studiando la Storia
con Winston: “Cos’ha Cap?”
“Non saprei. È da un po’ di giorni che è così… forse teme il mondo esterno?”
“Bé, in effetti… anch’io avrei paura di confrontarmi con un mondo di ottant’anni
più giovane di me e in cui dominano i nemici che ho combattuto per una vita
intera…”
“… e in cui, soprattutto, il tuo migliore amico è diventato una marionetta nelle
mani dei già citati nemici.” intervenne Rogers, sorprendendo sia Yelena che
Winston. “Nonostante voi abbiate provato a nascondermelo, mi sono documentato
sui Rächer, o come si chiamano… e ho riconosciuto il nome, seppur storpiato, di
Bucky nella scheda su Kapitän Amerika.”
Il sangue nelle vene del figlio di Peggy Carter si gelò e, come intuì dallo
sguardo che si erano scambiati, lo stesso era accaduto alla seconda in comando
del KGB.
“Steve…” provò a dire lei, ma Rogers la interruppe subito, con tono pacato: “Non
dovete giustificarvi: non ve ne sto facendo una colpa e probabilmente anch’io
avrei fatto lo stesso. Però vi chiedo solo un po’ di comprensione se starò solo
per un po’.”
“Va benissimo, Cap. Se hai bisogno, noi siamo qui” rispose Winston, sfoggiando
il suo migliore sorriso empatico. Mentre l’inviato dello S.H.I.E.L.D. osservava
il Capitano tornare al suo posto a leggere, pensò che lui e quella leggenda
vivente avevano qualcosa in comune: in poco tempo, la loro vita era stata
stravolta. E forse solo in quel momento si accorse di quanto la sua esistenza
fosse cambiata da quel freddo giorno di gennaio in cui era stato rapito da
Coulson. Povero Coulson, pensò: chissà dov’era finito, se era ancora vivo.
Winston scartò quest’eventualità dalla sua mente: Coulson non poteva essere
morto, doveva essere ancora in vita.
Per distrarsi da questi pensieri, prese il libro che aveva iniziato in
Antartide: The Triumphant Eagle, di Lorenzo Anteri (noto internazionalmente come
Lorentz Anthärie). Nonostante l’autore, originario della Repubblica Sociale
Italiana, fosse stato marchiato come criminale dal RAfUch (ReichsAmt für
Uchronie, ovvero il Ministero del Terzo Reich che controllava la diffusione di
storie alternative), il romanzo era diventato un bestseller in Nuova Zelanda,
dove l’autore si era rifugiato scortato dagli agenti della cellula S.H.I.E.L.D.
Das Waldlein, comandata dall’intrepido William Riker (chiamato Wilhelm Rayker
sui manifesti da ricercato). Il romanzo raccontava di un mondo dove l’Hydra non
dominava il mondo (proprio per questo era stato indicizzato come “libro
proibito”) e in cui un gruppo di agenti dello S.H.I.E.L.D., insieme ad alcuni
dei supereroi chiamati Avengers, sventavano un tentativo da parte dell’Hydra di
prendere il potere. Per certi versi, era molto simile ad un altro romanzo ben
più famoso, cioè La locusta si trascinerà a stento di Philipp K. Dick:
quest’ultimo non era bandito dal Führer, ma solamente sconsigliato perché il suo
punto di divergenza era inserito nella Storia come raccontata dalla Geschichte
Der Welt.
Tra queste riflessioni e letture, il tempo volò e in breve arrivarono in Nuova
Zelanda. Ad attenderli sulla pista di atterraggio c’erano non solo Hill, Putin,
Montalbano e Bond (le loro Resistenze erano state quelle a contribuire di più
alla missione), ma anche Re Carlo stesso. Il monarca fu il primo ad essere
salutato da Capitan America quando questi scese dall’aereo. Rogers fece per
inchinarsi, ma Carlo lo fermò: “Non serve, Capitano. Dovrei essere io –se non
fosse per la mia età avanzata– ad inchinarmi al Tuo cospetto. Sarai la scintilla
che scatenerà il fuoco della libertà. Sarai colui che riporterà il mondo com’era
prima che uccidessero Kennedy. Avevo solo 15 anni quando Zola si proclamo Führer
dei Vereinigten Reiche e ventuno quando mio padre morì per il bombardamento
nucleare di Londra, permettendo a me, alla mia cara madre e ai miei fratelli di
fuggire qui in nuova Zelanda. Da allora sogno che qualcuno vendichi mio padre, e
con lui tutte le persone uccise dall’Hydra.”
“Ti capisco, Maestà.” rispose Rogers. “Anche se non conta quanto un padre o un
intero popolo, l’Hydra ha preso Bucky, il mio migliore amico, quasi un fratello
per me, l’ha torturato, gli ha fatto il lavaggio del cervello e l’ha trasformato
in un suo scagnozzo. Ti prometto che farò il possibile affinché Zola e compagni
paghino amaramente quello che hanno fatto a tutti i popoli della terra,
soprattutto quello russo, privato della sua lingua, della sua cultura e della
sua identità e ridotto in una quasi totale schiavitù” aggiunse poi, rivolgendosi
con lo sguardo a Putin, che lo ringraziò con un cenno della testa.
Dopo la stretta di mani con i capi del KGB, del CLN e dell’MI6, Capitan America
salutò la Direttrice Hill.
“Vorrei stare qui a scambiare chiacchiere, Capitano” disse lei. “Ma ci sono
giunte importanti notizie dalle nostre infiltrate: in questo momento si trovano
nella non distante Treffpunktstadt, una volta chiamata Canberra, capitale del
Reichsprotektorat Südland. Seguitemi, le informazioni sono abbastanza
confidenziali.”
“Direttore Bond, lascio a voi il diritto di rappresentarmi.” disse Carlo III.
“Ma non dovrebbe essere il Generale Hamilton a rappresentarvi nelle riunioni
ufficiali?” si oppose l’ex-agente 007.
“Il Generale Hamilton mi rappresenta per la Nuova Zelanda” replicò Carlo. “Ma da
oggi, io torno ad essere Re d’Inghilterra – e voi sarete il mio Primo Ministro.”
Detto questo, il monarca si congedò, lasciando tutti a bocca aperta. O meglio,
quasi tutti. Hill infatti disse: “Su, muoviamoci – delle informazioni di
importanza non indifferente ci attendono.”
.
XV
Maria Hill guidò il gruppo
dentro la sede dello S.H.I.E.L.D. a Wellington, finché non giunsero nella stessa
sala dove si erano riuniti appena arrivati in Nuova Zelanda.
Lì, la Direttrice dello S.H.I.E.L.D. disse: “Natalia Romanova e Daisy Johnson,
le nostre infiltrate all’interno dell’Hydra, ci hanno riferito che il Progetto
Rinascita –su cui tutti stiamo indagando da fin troppo tempo– sta per essere
ultimato. Non sanno ancora di cosa si tratti, ma sanno dove l’esperimento finale
avrà termine, cioè in un laboratorio a Treffpunktstadt. Organizzeremo al più
presto una squadra per raggiungerle e che le supporterà nel sventare il
Progetto, di qualsiasi cosa si tratti. Abbiamo quarantotto ore per organizzare
il tutto.”
“Ovviamente mi considero già compreso nella squadra.” soggiunse Rogers.
“Esatto, capitano” confermò Hill. “Tu, Yelena e Winston sarete nella squadra.
Proporrei di affiancarvi gli agenti Harry ‘Galahad' Hart e Gary ‘Lancelot’ Unwin
dell’MI6, oltre al Commissario Rizzo e Don Bondini-Minelli per il CLN…”
Mentre Winston era spezzato tra l’andare in panico per essere in una squadra con
una così grande responsabilità e l’impazzire di gioia perché avrebbe finalmente
rivisto Daisy, Montalbano scosse la testa: “Mi spiace, Direttrice Hill… Rizzo e
Don Matteo sono impegnati in un’altra missione… tuttavia, sarò lieto di
affiancare agli uomini già citati gli agenti Giuseppe Fazio, mio vice a Vigata,
e il giovane Sandro Bottazzi”
“Perfetto. Non dubito della loro competenza, nonostante non li conosca di
persona, dato che sei tu a mandarli.” rispose Hill. Poi riprese: “Bene. Yelena,
Winston: state qui. James, Salvo: mandate a chiamare i vostri agenti, così
potremo definire il piano d’attacco.”
“Sarà fatto” rispose Bond.
“Minchia, Maria… neanche il tempo di due spaghetti?” scherzò invece il capo del
CLN.
La Direttrice rise, mentre Montalbano e il capo dell’MI6 uscivano a chiamare i
loro agenti.
Nel frattempo, Winston prese dallo zaino The Triumphant Eagle e iniziò a
leggere, mentre ascoltava nei suoi LuftSchoten Riecht Nach Zehnergeist dei
Nirvana, la sua canzone preferita:
“Erika si sedette, disperata, la testa fra le mani. Avevano fallito. Non solo il
Presidente Fury era sopravvissuto all’attentato, ma il sicario era anche stato
anche catturato e fatto parlare senza neanche troppe difficoltà. Proprio com’era
successo con Lee Harvey Oswald anni prima: Von Strucker avrebbe dovuto imparare
la lezione della cattura di Zola in Texas e la sua successiva morte sulla sedia
elettrica, invece il Barone si era fidato di un Americano per quel compito così
delicato, contravvenendo a tutte le regole non scritte dell’Hydra. La parola
d’ordine dell’Hydra era infatti, da sessant’anni a quella parte, proprio “Mai
fidarsi degli Americani”. Gli Zemo avevano sempre seguito la regola (anche
perché le loro operazioni si concentravano principalmente in Europa e
nell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovrane), mentre l’ingenuo Von Strucker
aveva addirittura fatto di un Americano, Alexander Pierce, il suo vice e
probabile successore. “Ah, se solo quel comunista di Kennedy si fosse preso la
sua pallottola in testa!” sospirò Erika. Dalla morte di Zola, tutto era andato a
rotoli per l’Hydra: espulsa dallo S.H.I.E.L.D., aveva visto i suoi nemici
trionfare ed allearsi: Kennedy, nei suoi cinque mandati, aveva portato gli USA
prima sulla Luna, poi su Marte e infine aveva lanciato una serie di stazioni
spaziali ad orbitare intorno ai pianeti, tutto grazie ai geni (anche l’Hydra li
riconosceva come tali) di Howard Stark, di suo figlio Tony e del di lui amico
Reed Richards. Inoltre, JFK si era riappacificato con l’Unione Sovietica,
portando alla riunificazione delle due Germanie e delle due Italie, oltre alla
nascita di quella che in inglese si chiamava NAEETO (North Atlantic-Eastern
European Treaty Organisation, la fusione tra NATO e Patto di Varsavia) e alla
democraticizzazione dell’Unione Sovietica e dei suoi vassalli in Est Europa.”
La lettura di Winston fu interrotta da Bond e Montalbano, che rientrarono nella
stanza dopo qualche minuto, il primo insieme a due uomini, di cui uno sulla
cinquantina e uno più giovane, quasi coetaneo di Winston: entrambi erano vestiti
molto elegantemente e portavano lo stesso paio di occhiali; il secondo invece
entrò accompagnato da altri due membri del CLN, uno smilzo, alto, dai capelli e
dagli occhi scuri, l’altro pareva il suo opposto, siccome era abbastanza basso e
in carne.
Winston si tolse i LuftSchoten proprio mentre questi iniziavano a riprodurre Wir
Sind die Gewinner dei Kaiserin.
“Siamo tutti?” chiese Maria Hill quando si furono accomodati.
I presenti annuirono.
“Bene” riprese la direttrice dello S.H.I.E.L.D., poi ripeté quello che aveva già
detto prima a Winston, Yelena e ai direttori sulle scoperte di Daisy e Natalia.
“Il piano è semplice: giungerete a Treffpunktstadt segretamente grazie ad un
nostro sottomarino invisibile ai radar, da lì raggiungerete Natalia e Daisy
nella piazza davanti alla sede del Reichsprotektor Donald Trompete. Loro vi
condurranno al laboratorio, dove farete irruzione e tenterete di fermare il
Progetto, qualsiasi cosa esso sia. Sarà ben sorvegliato, ma la copertura di
Daisy e Natalia dovrebbe risparmiarvi molta fatica. Tutto chiaro?”
Tutti, da Winston a Putin, da Yelena a Montalbano, annuirono decisi. Potevano
finalmente mettere seriamente i bastoni fra le ruote all’Hydra. E l’avrebbero
fatto eccome. Si disposero tutti a cerchio intorno al tavolo, poi Hill disse:
“Per la Libertà” e mise la sua mano.
“Per la Democrazia” dissero in coro Montalbano, Fazio e Bottazzi.
“Per la Vittoria” aggiunsero Bond, Hart e Unwin.
Fu poi la volta di Putin: “Per la Patria”.
“Per noi” disse Yelena.
Infine fu la volta di Winston. Per un attimo andò in panico, poi pensò a sua
madre e gli uscì in automatico dalla bocca: “Per la Vita.”
.
XVI
Il sottomarino era
“parcheggiato” nel porto di Wellington e, come il Bus, a Winston sembrava anche
quello uscito da Sternkriege per via dei suoi comandi ipertecnologici.
Una volta all’interno, Hill li presentò al pilota, Tyler Ramsay, un giovane
biondo e dal sorriso solare, poi disse: “Non mi resta che augurarvi – dal
profondo del mio cuore – buona fortuna. Gli occhi di tutti sono su di voi;
vedete di non deluderli. E, Cap, guarda nella tua cabina.. c’è una sorpresa per
te. Magari non è il massimo per le missioni furtive, ma fa di sicuro il suo
effetto.”
Detto questo, salì sulla scala a pioli da cui si accedeva al sottomarino e uscì.
Ognuno si sistemò al proprio posto tranne Rogers, che andò nella sua cabina.
Dopo un po’, mentre Winston, Yelena, Harry, Eggsy (come voleva essere chiamato
Unwin), Giuseppe e Sandro (che era parente di uno dei fondatori del CLN, tale
Giuseppe Bottazzi, che tutti chiamavano Peppone) stavano socializzando tra di
loro e con Tyler (scoprirono che il pilota era una vera e propria “macchina da
barzellette”), Steve Rogers tornò con loro dicendo: “Bé? Che ne pensate?”
Si girarono tutti verso di lui: indossava la sua leggendaria uniforme a stelle e
strisce, non quella logora e vecchia che indossava quando l’avevano trovato in
Antartide, ma una moderna. Legato al braccio destro aveva il suo scudo di
vibranio che Winston gli aveva visto usare solo negli allenamenti con Yelena.
“Che dire?” disse proprio l’agente del KGB. “Capitan America è ufficialmente
tornato!”
Arrivarono a Treffpunktstadt qualche ora dopo. Lasciarono il sottomarino,
invisibile ai radar, e con esso anche Tyler nella folla del porto. Stranamente
non erano presenti agenti delle Forze dell’Ordine, se non qualche agente di
polizia svogliato e più concentrato sul proprio caffè che sul trambusto causato
dai marinai. “Saranno tutti a sorvegliare il laboratorio del Progetto
Rinascita”, dedusse ad alta voce Eggsy.
Proseguirono, mimetizzandosi con la massa (anche Rogers aveva indossato degli
abiti civili sopra al costume), verso la Führersplatz, il punto di rendez-vous
deciso con Natalia e Daisy. Daisy… il solo pensiero di rivederla scaldò il cuore
a Galebek. Erano passati quattro mesi dall’ultima volta che l’aveva vista,
all’aeroporto di Wellington, quando era partito per l’Antartide.
“Vedi di tornare intatto e con una leggenda vivente, altrimenti non so se
riuscirò ancora a parlarti…” aveva scherzato lei. Avevano riso insieme, poi
aveva aggiunto: “Seriamente, torna vivo… non voglio perderti…”
“Anche tu, sta’ attenta là fuori… anche se so che con Natalia avrai sempre
qualcuno a guardarti le spalle…”
Si erano dati un bacio breve, ma in cui erano espressi tutti i loro sentimenti.
“Mi mancherai…” aveva detto Daisy.
“Anche tu…” aveva fatto in tempo a rispondere Winston, prima di essere
richiamato da Yelena e gli altri membri della spedizione.
Si costrinse a tornare con la mente alla missione. Dopo circa un quarto d’ora di
camminata, giunsero alla Fühersplatz. Tutti furono subito colpiti dall’imponenza
del Palazzo del Reichsprotektor: era praticamente una riproduzione in scala
quattro a uno della Weißes Haus di Hitler D.K.: ai lati dell’ampio viale
d’ingresso sorgevano due colossi di marmo, uno raffigurante Adolf Hitler con il
braccio alzato nel saluto romano, l’altro Donald Trompete, il milionario
amerikano – noto, tra le altre, per i suoi capelli color carota – amico di Zola,
che l’aveva insignito della carica di Reichsprotektor nel 2016. Era risaputo che
Trompete per realizzare quell’imponente monumento, ultimato tre anni prima, nel
2020, avesse impiegato centinaia di schiavi di origine aborigena.
Yelena trasmise la loro posizione a Natalia tramite il suo orologio digitale.
Presto videro l’agente del KGB avvicinarsi a loro. Per mimetizzarsi con la
folla, indossava un capello da sole di paglia e un lungo vestito da spiaggia
rosa.
Si salutarono tutti calorosamente e la spia si presentò a Capitan America.
Winston, quasi senza pensarci, le chiese: “Dov’è Daisy?”
“Stai tranquillo” gli rispose lei. “Daisy sta bene. Ci sta aspettando già fuori
dal laboratorio.”
Natalia lì guidò attraverso le vie della città, piena di cantieri da quando il
Reichsprotektor aveva deciso di trasformarla a propria immagine e somiglianza,
riempiendola di statue che lo raffiguravano e grattacieli con il suo nome. Il
tutto costruito, come il Palazzo, per mezzo di schiavi aborigeni senza toccare
minimamente le casse dello Stato o di Trompete.
Winston pensò a questi orrori e si chiese come tutte le persone che incrociava
potevano restare indifferenti alle sofferenze di quelle povere persone: aveva
visto un bambino svenire per la stanchezza e il poco cibo in braccio alla madre,
che poi era stata frustata da un sorvegliante perché aveva smesso di lavorare
per soccorrere il figlio. A quella visione, anche Rogers si scompose e
faticarono a trattenerlo dall’intervenire, mandando all’aria la copertura.
Finalmente giunsero al laboratorio, davanti al quale, dall’altro lato della
strada, li aspettava Daisy, anche lei vestita, come Natalia, con un vestito da
spiaggia. Appena la vide, il cuore di Winston sobbalzò: non riuscì a resistere e
le corse incontro, abbracciandola e baciandola.
“Winston!” rispose lei, ridendo. “Ti sono mancata, a quanto vedo…”
“Già” rispose lui, felice come un bambino, prima di baciarla di nuovo.
“Anche tu…” ammise lei, infine.
Furono interrotti da una fredda, ma divertita, Natalia: “Ehi, piccioncini…
scusate se vi interrompo, ma abbiamo una missione da portare a termine…”
“Hai ragione, Nat, scusaci…” disse Daisy, staccandosi dall’abbraccio di Winston.
“Vi capisco, ragazzi” intervenne Steve. “Anch’io avrei fatto lo stesso con la
mia amata, alla vostra età… però ora andiamo. Come si entra in questo
laboratorio?”
“Penso che uno scudo in faccia basti a stendere quelle due guardie” rispose
Yelena, facendo l’occhiolino a Capitan America.
“Al diavolo la copertura, allora…” disse lui, estraendo lo scudo dallo zaino in
cui l’aveva ritirato, correndo dall’altro lato della strada e stendendo in men
che non si dica i due agenti dell’Hydra in uniforme giallo-verde prima che
potessero dare l’allarme.
Il resto del gruppo poi lo raggiunse: Eggsy allora prese da una delle due
guardie svenute il tesserino d’identificazione per entrare, lo mise davanti allo
scanner e le porte del laboratorio si aprirono per la missione del CDR.
.
XVII
Da tutt’altra parte, su
un’autostrada tra la Calabria e la Basilicata, un camion stava trasportando un
carico di mobili ad un negozio parte di una catena. Il camionista, tale Piero
Morini, alzò il volume della radio quando Jungfrau-Radio smise di trasmettere
Die Nacht Eines Harten Tages dei Käfer e iniziò a trasmettere il radiogiornale
orario. La voce meccanica del giornalista riportava alcune parole del discorso
del Cesare per l’Africa Settentrionale Italiana Matteo Salvini all’inaugurazione
del nuovo Ponte “Benito Mussolini” sullo Stretto di Messina, ricostruito dopo il
crollo del precedente. L’Augusta Ducissa Giorgia Meloni non era riuscita ad
essere presente all’inaugurazione perché era a Parigi, a colloquio con la
Presidente Marine Le Pen per chiarire la soppressione delle rivolte dei
francofoni nel Nord-Est italiano.
Piero ritornò col pensiero al Ponte Benito Mussolini. Era il terzo ponte che
veniva costruito sullo Stretto di Messina. Il primo, voluto fortemente dal primo
Duce, era stato completato dal suo successore, Arturo Michelini, e portava il
nome di Giuseppe Garibaldi, il visionario nazionalista che aveva conquistato il
Regno delle Due Sicilie e che, umilmente, aveva rinunciato alla dittatura su di
esso per unirlo al resto del Regno d’Italia controllato dal Re. Il secondo, dopo
il crollo del primo avvenuto successivamente alla morte di Michelini, era stato
edificato dall’Augusto Duce Giorgio Almirante e dedicato al suo predecessore ed
era crollato nuovamente sotto Pino Rauti. La questione non era stat più discussa
da allora, ma era stata una delle promesse elettorali che avevano portato la
Lega per l’Unità Italiana (partito del Cesare Salvini) a diventare il secondo
partito dopo il PNF alle ultime elezioni (elezioi si fa per dire).
Il radiogiornale proseguiva narrando di un’impresa eroica della Polizia Politica
che era riuscita a catturare il ciclista Vincenzo Nibali, che si era scoperto
essere un fedele collaboratore di Isaia Panduri, il comandante del CLN. Alla
notizia, Piero rimase un po’ deluso: Nibali era stato uno dei suoi campioni
preferiti e sapere che adesso trasportava documenti falsi nella canna della
bicicletta ai nemici del Partito lo aveva un po’ turbato.
Comunque, continuò a guidare, anche perché Jungfrau-Radio trasmise alcuni pezzi
degli WS/GS, tra cui le celebri Autobahn zur Hölle e Wieder in Schwarz, e dei
Waffen und Rosen (come, per esempio, Mein Liebes Kind e November Regen), i suoi
due gruppi preferiti.
Dopo qualche ora di viaggio, si fermò in un’Autogrill per un caffè. Non gli ci
volle più di un quarto d’ora, ma fece in tempo, durante la lunga coda per il
bancone, a sentire dietro di lui un prete biondo e dagli occhi azzurri
chiacchierare con un robusto commissario della polizia, dai capelli e dalla
barba scuri, di Nibali e di cosa gli sarebbe successo ora. Il poliziotto aveva
accennato ad un carcere di massima sicurezza sul Gran Sasso, ma Piero non aveva
capito bene per la troppa confusione. Tuttavia, riuscì a vederli uscire dopo di
lui, con in mano due cornetti alla marmellata in mano, e salire sul loro mezzo
di trasporto, che era, evidentemente, un buggy.
“Bah” pensò Piero “Certo che il mondo è proprio pieno zeppo di gente strana”.
Detto questo, riavviò il motore del camion e proseguì sulla sua strada.
[continua]
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Lasciamo ora spazio al racconto di Sandro Degiani, scritto nel marzo 2004:
Ritorno al passato
Supponete di trovare
parcheggiata sotto casa la DeLorean
con cui nel 1985 Marty McFly tornò indietro di 30 anni in "Ritorno al
Futuro". Nella vostra buca delle lettere un mazzo di chiavi ed un
bigliettino: “E’ tua per un giorno - BUON DIVERTIMENTO!”
Qui c’è un po’ di “copiatura” e di presa in prestito di un mezzo da un film… ma è solo una scusa per rendere possibile un confronto tra un futuro desiderato nel passato ed un presente che non è il futuro sognato.
È chiaro.. ? No? Allora leggetevi il racconto!
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DESTINAZIONE.... Marzo 1973. Qui non incontrate vostra madre e vostro padre, non c'è da cambiare la vostra vita secondo la legge del successo e del sogno americano. Supponiamo invece che incontriate una persona vostra coetanea, che so, una ragazza, a cui siete ansiosi di raccontare come cambierà la sua vita nei futuri 30 anni: il suo futuro, il vostro passato.
Prima le domande storiche, le più importanti: niente guerra mondiale nucleare, la fine della guerra in Vietnam, l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’URSS con il conseguente boicottaggio delle Olimpiadi , un nuovo Vietnam per la Russia e il conseguente crollo del sistema socialista, i paesi ex-comunisti entrati nella NATO, l’Europa dei 22 dalla Spagna alla Turchia, L’Euro e la scomparsa del Franco, del Marco, della Peseta della Dracma, la ex-Jugoslavia, il Kossovo e dintorni, il Kuwait nel 1992 e la futura annuciata guerra, forzata e inutile, in Iraq. E ancora Bin Laden, le twin towers. e l’11 Settembre, In Italia, il sequestro Moro, le Brigate Rosse, il PSI di Craxi, Tangentopoli, l’esilo di Craxi ad Hammamed e l'ascesa di Berlusconi politico.
Ma la vostra amica è ansiosa di conoscere, e voi friggete dalla voglia di raccontarglielo, i meravigliosi progressi della tecnologia da allora a oggi.
Ragazza: - Si può andare in gita sulla Luna?-
Voi: -Beh, no... veramente dopo il programma Apollo non ci siamo più andati…!
R.: - Ma su Marte ci siamo andati vero?
V.: - Beh, ogni tanto si fa’ un progetto ma poi tutto finisce li. ci vuole troppo tempo, troppi soldi…
R.: - Ma c’è una Stazione Spaziale in orbita?
V.: - Beh, c’era quella Russa degli anni ’70 ma era vecchia ed venuta giù, adesso ne stiamo facendo una nuova ma due Shuttle sono esplosi e ne restano solo due e non riusciamo più a rifarne altri, non ce la facciamo a mandare su tutti i pezzi che servono ma forse tra dieci anni riusciamo a finirla senza la parte Europea.
R.: -Abbiamo trovato un combustibile alternativo al petrolio?-
V.: -No, credo di no…
R.: - Fusione nucleare?
V.: -Non ne parla più nessuno...
R: - Ma almeno non muore più nessuno di fame... vero?
V.: - Solo qualche milione di bambini all'anno... e quasi solo in Africa! In India sono riusciti ad essere autosufficienti come cibo e muoiono solo più per i monsoni, i terremoti, le malattie, l’AIDS e le guerra strisciante con il Pakistan.
R.: - Possiamo volare, spostarci velocemente?
V.: - Beh non proprio, usiamo ancora i Jumbo Jet.... e il Concorde non vola più! Ma il prossimo Airbus porterà 800 passeggeri e costa di meno andare a Londra in aereo che in treno.
R.: - E i trasporti pubblici? Quanto ci vuole per attraversare il centro di Milano? Torino ha la Metropolitana?
Anche qui, nessuna buona notizia....
R.: - Ma le auto vanno ad idrogeno vero? Sono sicure, guidate elettronicamente, hanno il radar e non ci sono più incidenti per la nebbia…
V.: - Veramente solo Sabato scorso per la nebbia si sono tamponati in 200 e ne sono morti 18 sulla Milano Venezia... però le auto sono tutte catalizzate!
R.: -Beh, allora sarà calato l'inquinamento nelle città?-
V.: -No...
R.: -...nel mondo?-
V.: -No, ma il buco nell'ozono dicono che si sta richiudendo, per il 2050 forse tutto tornera come prima e potremo prendere il sole senza paura di prenderci un cancro alla pelle!
R.: -Dimmi tu, allora, cosa è cambiato in meglio?
V.: -I telefonini...-
R.: -Cosa c'entrano? Quelli ci sono anche adesso.-
V.: -No, da noi sono... portatili, e più piccoli, e poi ce l'hanno tutti, anche i bambini-
R.: -Che necessità c'è che tutti (anche i bambini?) abbiano un telefono portatile?-
V.: -La comodità, la reperibilità...-
R.: -Senti, per noi la reperibilità è un problema, ci sono aziende che pagano cospicui extra per averla temporaneamente dai propri dipendenti, e voi la considerate un vantaggio?-
V.: -... ma poi ci sono gli SMS, i GSM, gli UMTS, puoi fare delle fotografie digitali e trasmetterle via IRSA o anche via MMS, poi c'è anche il WCDMA, il GPRS -
Dal suo sguardo un po' schifato capite che butta male, e cambiate discorso:
V.: -I computer! Ce ne sono di potentissimi!-
R.: -Alludi alle macchine per fare i calcoli, che usano i militari, o che alcune aziende usano per fare contabilità e paghe a altre aziende?-
V.: -Sì, quelli. Ma da noi sono molto più potenti. E costano poco! Pensa, ce n'è praticamente uno in ogni casa!-
R.: -Interessante, ma a che cosa vi servono?-
V.: -Per giocare a solitario! ... ma anche per scrivere, mandare messaggi-
R.: -Anche noi facciamo queste cose, senza le vostre macchine "potentissime"-
Un'improvvisa illuminazione:
V.: -Ci colleghiamo a Internet!-
R.: -Che cos'è?-
V.: -Una rete che collega i computer: università, biblioteche, centri di ricerca...-
R.: -Beh, una cosa del genere credo che esista anche ora.-
V.: -Ma fra trent'anni tutti i computer del mondo saranno connessi tra loro.-
R.: -Tutti?-
V. (barando un po'): -Tutti!-
R.: -Ma cosa potremmo farci io, mio fratello e, soprattutto, mia mamma con una connessione di calcolatori in rete?-
V.: -Potreste scaricare le suonerie ed i loghi per il cellulare, gli aggiornamenti agli antivirus, sai, per la sicurezza. E poi inoltrare le catene di S. Antonio via mail... quello che fanno tutti.-
R.: -No, calma. Ora mi spieghi tutto quello che hai detto, antivirus, sicurezza-.
V.: -Lascia perdere...
In preda ad una cocente umiliazione riprendete posto sulla DeLorean, digitate marzo 2003 e partite scomparendo nel nulla, lasciando solo due scie di fuoco, sperando che almeno quelle facciano colpo.
Solo a viaggio ormai irreversibile, vi viene in mente che avreste potuto citare i progressi della medicina, il fatto che che oggi dal cancro si può guarire. Ma lei, con quello sguardo strafottente, avrebbe sicuramente trovato di che ridire anche su questo. Già, lei. Dove l'abbiamo lasciata?
Non l'avevate notata, parcheggiata nella viuzza laterale, una DeLorean simile alla vostra.
Lei sale, impugna un microfono, dice: -Operazione "un altro mondo è possibile": forse ne ho convinto un altro. Torno alla base.
La ragazza digita "Marzo 2033" e scompare tra due scie di fuoco.
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Dopo 5
anni l’ho riletto e non riesco ad aggiungere molto alla lista delle conquiste
della nostra Civiltà rispetto al 2002… c’è stata la Seconda Guerra del
Golfo, il prezzo del petrolio è aumentato, l’Effetto Serra anche, da Messina
a Reggio Calabria si va ancora in vaporetto… la nuova Alfa Romeo che stiamo
progettando per il 2009 avrà un nuovo motore FIAT… un turbo a benzina di 1400
cc.
Ragazza mia, ritorna indietro che ne hai ancora da convincere!
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Illustrazione della brillante disegnatrice Virna Raimondi
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La palla passa a Spartaco Mencaroni:
Prezzo di Mercato
Vi do volentieri in pasto questo breve racconto distopico sulla Guerra di ndipendenza Americana, che nasce da un concetto forse interessante per il gruppo: l'intera campagna è stata segnata, per i coloni, da un'impressionante numero di sconfitte sul campo e da una quasi costante inferiorità strategica e tattica. Alla fine, si può dire che più che i cannoni, a vincere la guerra per gli USA furono la presenza di alleati ingombranti, in primis la Francia, e le ripercussioni della guerra sulla scena politica internazionale (oltre che i costi e la crisi economica dell'Inghilterra pre-industriale).
Ma cosa accade se uno soltanto di questi fattori viene meno, lasciando un equilibrio sospeso? Se la Francia non scende in campo a fianco delle Colonie e la situazione si cristallizza, con le Colonie battute e formalmente legate alla madrepatria, ma percosse da una inesauribile fibrillazione di rivolta e malcontento?
Qui, l'esito di un possibile scenario in cui questo stato di cose si protrae per 300 anni. Nella Timeline propedeutica a questo racconto, la Dichiarazione di Indipendenza non è mai stata firmata e i signori Washington, Jefferson e Adams non sono nati nel XVIII secolo...
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- Un’altra pinta, ragazza!
In risposta al suo sguardo eloquente, faccio comparire sul tavolo un mucchietto di talleri. Diavolo, me la posso permettere: gli inglesi sono dei gran bastardi, ma pagano bene.
Sono entrato nella bettola poco prima del tramonto, seguendo una rotta confusa fra le baracche lungo il fiume. La luce metallica del cielo sopra l’Atlantico punteggiava di riflessi inquieti la distesa di tetti bassi, che digradano verso il basso corso del Charles River, tingendosi di toni ad ogni istante più cupi. Ho scelto questo tavolo, vicino alla finestra, e attraverso i vetri bisunti osservo morire il giorno: mi fa compagnia un boccale pieno di piscio chiaro e schiumoso che qui nelle Colonie si ostinano a chiamare birra. Un uomo potrebbe affogare in un barile di questa roba, prima di riuscire ad ubriacarsi come si deve.
I seni della cameriera si allontanano ballonzolando. La ragazza si gira e io rimango a fissare i suoi fianchi generosi che ondeggiano fra i tavoli, fino a scomparire nei meandri fumosi del locale, come uno vecchio veliero fra le nebbie della baia. In un istante, l’assalto dei ricordi mi piega lo stomaco in una morsa crudele: mentre cerco di non crollare dalla sedia, penso per l’ennesima volta che tornare a Boston sia stato un errore.
Nel buio galleggiano gli occhi di Elize; il ricordo di quelle gemme di cobalto, scure come l’oceano furioso di burrasca, mi ha dannato. Mi inseguono da dentro, spingendomi verso un destino di cui non conosco l’esito e che non posso evitare. È successo tre notti fa, mentre gli uomini della guarnigione sfondavano le paratie del Perroquet, verso poppa, sorprendendo tutti gli altri nei loro letti; in quell'attimo la mia anima era dentro di lei, più di quanto lo fosse il mio corpo; al culmine della passione inestricabile, che ci aggrovigliava sulle lenzuola sudate, quegli occhi li avevo visti brillare, selvaggi di vita, scintillanti di un’estasi che – lo capii solo in un istante – non avrei mai più ritrovato.
Distolsi lo sguardo dal suo corpo candido, che si dibatteva come una farfalla fra le mani ruvide dei soldati, mentre la trascinavano fuori. La vidi poco dopo, tremante sul molo, avvolta in un telo lacero che le avevano gettato addosso. Era incatenata con gli altri ragazzi. Tom e John stavano in piedi con l’aria intontita, strappati al sonno della vigilia di quel giorno fatto per una gloriosa battaglia, a lungo preparata. Sul mare aleggiava già l’alba che li avrebbe visti invece penzolare della forca. Quando passai davanti a loro, scortato da due gendarmi, tutti loro mi fissarono una sola volta, per poi distogliere gli occhi con disprezzo. Tutti tranne lei: Liz mi tenne lo sguardo addosso per tutto il tempo nel quale percorsi la banchina, aprii le mani per ricevere il prezzo del mio tradimento, e infine mi inoltrai nell’ultima ora della notte. Sentivo le sue pupille grigie che mi trapassavano l’anima, sapendo già che non era rimorso, quel che provavo, ma rimpianto per averla perduta.
- Ehi! Sveglia!
Lame di luce si conficcano nel cervello; sono le urla e il tocco della mano rude del locandiere. Ondeggio, mi alzo. Metto a fuoco un volto tozzo e ottuso, chiazzato di grasso.
- Se vuoi dormire, affitta una stanza.
Con un miracoloso palpito di lucidità, indovino la direzione del suo sguardo avido e allungo la mano sul portamonete, che giace invitante sopra al tavolo.
- Un’altra volta, amico.
Stento a riconoscere la mia stessa voce, impastata di alcool e rammarico. Pochi istanti dopo l’aria della notte mi schiude nuovamente le braccia. Dio, perché sono rimasto qui? A cosa può servire? Qualunque cosa faccia non la riporterà in vita, e nemmeno i ragazzi. Ma una parte di me finge di credere che non sia inutile, che le loro vite ne risparmieranno molte altre.
Scivolo per le strade di periferia, affondando nella foschia e nella penombra, lontano i viali illuminati e le sontuose passerelle in stile europeo della nuova Boston. Ben presto riconosco i luoghi; sento con l’anima l’atmosfera dei miei giorni più folli; nel naso, l’odore di coperte bruciate e salsedine dei dock. Quaggiù l’umida fragranza del legno si mescola al sapore metallico della libertà, sempre più intrisa di sangue. Per un attimo sento riaffiorare l’antico palpito, che mi fece imbracciare le armi e correre dietro a tutte quelle panzane, buone per gli idealisti con conversano al caldo dei salotti scintillanti di Philadelphia, o fra i fruscii di gonnelle a Parigi.
Fuochi sui bidoni e cumuli di immondizia punteggiano il familiare orizzonte; due file di vecchie facciate, corrose dal mare e dal fumo, che scendono verso il mare come i bordi infetti di una tortuosa ferita. In mezzo alle case, stravaccata sulle rovine fangose del marciapiede, brulica un’accozzaglia di corpi senza speranza, che ipocritamente, dopo una lercia carneficina, definiamo “liberi”.
Ed eccoli qui, i figli della libertà! Donne lacerate nei bordelli, uomini stroncati nei campi di battaglia, bambini cenciosi, ridotti a contendersi il cibo con i topi. Ecco un popolo piegato dall’umiliazione e spinto con la faccia a terra; i suoi soldati, perennemente sconfitti, non sanno più guardare in faccia i loro figli e giacciono accanto ai commercianti falliti, strangolati dalle tasse dell’impero. Sono i rifiuti dell’indipendenza, l’aborto di un Paese che è rimasto seduto troppo a lungo al tavolo verde della Storia, consapevole di non avere buone carte da giocare.
Questa irrimediabile agonia è l’unico risultato di una guerra schifosa che si trascina inutilmente da tre secoli. Un cicalio sommesso e una vibrazione dietro al collo mi avvertono di essere giunto a destinazione. Un anonimo portone scrostato maschera perfettamente una lastra di vetrocemento e titanio, dalla quale spuntano i tasti di una pulsantiera a sensore biometrico. Fisso negli occhi il meccanismo che mi schiude l’accesso alla caserma della Polizia Imperiale.
Un volto ottuso di mercenario tedesco si schiude in un sorriso sbilenco mentre lo scanner retinico gli comunica chi sono.
- Herr Washington… - sussurra, con il sordo disprezzo che anche i vincitori riservano ai voltagabbana.
Mentre scivolo dentro, il microdisco della Dichiarazione di Indipendenza mi pesa contro il fianco: non riesco a tenere fuori dalla mente il pensiero della cifra che mi daranno in cambio… Gli occhi di Liz mi costringono a pensare a Jefferson e Adams: rivedo i loro volti, mentre il boia li preparava per l’iniezione letale. Sembravano più perplessi che spaventati, incapaci di comprendere cosa fosse andato storto, quella mattina del 4 luglio 2076, e perché mai la Rivolta di Boston fosse fallita.
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Così commenta Enrico Pellerito:
Complimenti. Ti dirò che se non ci fosse stata la tua spiegazione iniziale sul contesto temporale, ho percepito all'inizio come se la storia avvenisse nel 18° secolo, mentre siamo ben dentro il 21°, e questa impressione è magistralmente esposta.
Un solo appunto, trattasi non già di una mancata guerra di secessione, altrimenti conosciuta come guerra civile, bensì di una mancata guerra d'indipendenza, che negli USA è conosciuta anche come rivoluzione americana.
Ma su quali basi far si che ancora esista un impero britannico dopo tutti i sommovimenti che hanno "sconvolto" il mondo, compresi la corona e il governo di Sua Maestà, durante l'800 e dopo due conflitti mondiali?
Tutto ciò che ha scosso il panorama globale in termini di lotte sociali, presa di coscienza popolare, ottenimento di diritti civili, potrebbe mantenere ancora un controllo sulle "colonie" a meno che non venga applicata una politica dittatoriale?
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Gli risponde l'autore:
Il bello della narrativa fantastica è che non si deve spiegare tutto ;-) Scherzi a parte, l'idea alla base di questa distopia è che gli Inglesi abbiano mantenuto appunto un controllo dittatoriale sulle loro colonie. Senza la presenza degli USA sulla scena mondiale, e con la Corona britannica che mantiene i propri domini d'oltreoceano, anche gli imperi sovranazionali europei potrebbero superare lo sconvolgimento del Risorgimento. Magari non avverrebbe nemmeno la Rivoluzione Francese, scoraggiata dal destino dei patrioti Americani. E in realtà nel racconto l'accenno ai salotti parigini vuole suggerire proprio questo. Nnon venendo mai messo in crisi il "sistema", poiché non si verificano eventi che comportano il definitivo successo di coloro che subiscono un dominio, la situazione mondiale si cristallizza senza che si concretizzi alcun Illuminismo in campo sociale e politico. Senza la rivoluzione americana, però, il timore è che la democratizzazione dei poteri assoluti possa non avvenire affatto, e che i governi rimangano di stampo settecentesco.
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Novelle di Sandro Degiani Il Console – Pharaon – Ulysses – Kursk 1943 – Capoverde 1944 – New York 1946 – Jevah – Ritorno al Passato – La minaccia del Krang – Il Bianco muove e dà matto in tre mosse – Gatto di Bordo – Pilota – Anche gli Dei devono morire – Il Valore di un giorno – Viaggio di un secondo – Briciole – Breve Storia del primo McDonald su Marte – Volpiano Sud |
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