Un altro racconto sul Bene ed il Male a confronto… nella realtà scritto prima di
Capoverde 1944, anche se collocato temporalmente dopo. Nei miei racconti di guerra c’è sempre una deriva tecnica presa dal mio trascorso modellistica ed ingegneristico, cerco di contenerla ma viene sempre fuori.
Inutile dire che dà un po’ fastidio ai tanti non tecnici e manda in sollucchero i pochi ingegneri e
modellisti...
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La battaglia infuriava attorno a loro.
Il carro Tigre zigzagava sul campo di battaglia come un enorme scarafaggio impazzito mentre il terreno sconvolto dai cingoli e dai crateri eruttava in continuazione alte colonne di terriccio e fiamme.
Nella torretta un fitta nebbia azzurrina avvolgeva l’equipaggio coperto di sudore incrostato dalla polvere nera della cordite. Il calore dell’Agosto russo arroventava l’aria esterna e le ventole non riuscivano a smaltirne ne’ il fumo delle cannonate ne’ il caldo umido tropicale del vano di combattimento. Di aprire i portelli non se ne parlava nemmeno, non era sicuro durante i trasferimenti, figuriamoci in battaglia.
Tutti urlavano.... urlava il pilota che cantava a squarciagola l’inno dei carristi tedeschi mentre azionava freneticamente il volante ed i pedali a casaccio, cercando di rendere il bersaglio più difficile ai T34 russi. Urlava nel microfono il radiotelegrafista che cercava di collegarsi con gli altri carri del battaglione e capire che cosa fare, dove andare, se le stiamo prendendo o le stiamo dando. Urlava il puntatore con l’occhio incollato al periscopio del pezzo mentre descriveva la sua frenetica azione come un radiocronista sportivo: “un T34 a 300 metri.... ci sfila sul fianco destro, girare la torretta di 30 gradi, alzo 12 gradi.... proiettile perforante... ecco l’ho inquadrato..” e urlava il comandante che non smetteva di ripetere:
“Feuer!!! Schnell Nachladen die Gewehr!”
Urlava grugnedo anche Helmut mentre apriva l’otturatore, sfilava le pesanti munizioni dalla riservetta e le infilava nella culatta dell’88.
Ogni 30 secondi un colpo cadeva così vicino che le schegge ed i sassi tintinnavano come grandine sulla corazza butterata del mostro da 50 tonnellate. La Krupp aveva fatto le cose per bene e nemmeno la vernice ne pativa ma questo non rassicurava certo chi in quella bara d’acciaio con i cingoli ci stava chiuso dentro.
“Non rivedrò più i miei cari... moriremo tutti.... Helga, Franz, Brigitte... vorrei vedervi ancora una volta... vorrei stringervi a me e dirvi che vi amo....”
Il pensiero girava ininterrottamente nella testa di Helmut, ed intanto lui bestemmiava e infilava uno dietro l’altro i lunghi proiettili nella culatta rovente.
Improvvisamente una voce alle sue spalle vinse il fragore della battaglia e gli arrivò direttamente nella testa.
“Davvero li vuoi rivedere? Sei disposto a fare un patto con me?”
“Chi sei...?’”
Si girò di scatto e la spoletta del proiettile urtò contro il tubo che proteggeva la culla del cannone.
“Stai attento con quel proiettile, idiota, stai dalla parte dei comunisti?” gli urlò il comandante girandosi di scatto.
“Chi sei...?” ripetè Helmut solamente pensandolo.
“Qualcuno che può esaudire il tuo desiderio...”
“Puoi tirarmi fuori di qui e riportarmi dai miei cari?”
“Si, se tu lo vuoi.”
“In cambio di cosa?”
“Nulla... non hai nulla che io desideri, nulla di materiale mi interessa... ma la tua anima si... quella potrebbe interessarmi!”
”Sei il Diavolo....! Ma non esisti, sei una invenzione dei Giudei e della loro ridicola religione inventata per tenere le masse assoggettate!”
“Bene... allora io non esisto, tu non hai l’anima e se esaudisco il tuo desiderio resta tutto tra di noi...!
“E come pensi di fare... far finire la battaglia e mettermi una licenza premio in mano?”
“No, la battaglia mi piace, vuol dire tanta gente che viene ad ingrossare le mie file.... vorrei non finisse mai...”
“Ed allora come ritorno a casa mia dalla mia famiglia? A piedi?”
“No, ti porto io.... “
“...e qui come fanno a caricare il cannone... prendi tu il mio posto? E se sparisco al mio ritorno ci sarà un plotone di esecuzione che mi aspetta... sarò un disertore sotto al fuoco nemico, un vigliacco!”
“...non se ne accorgerà nessuno perchè...“ e qui udì un lento e melodico flusso di arcane parole salmodiate “...ecco ....ho fermato il tempo!”
“Cosa..?????”
“Adesso abbiamo tutto il tempo che desideri... ho fermato il tempo ti ho detto.... guarda..! Puoi uscire dal carro e vedere con i tuoi occhi...!”
Era piombato su tutto un silenzio era assordante, I suoi compagni dell’equipaggio erano immobili. Una goccia di sudore luccicava immobile sulla punta del naso affilato del comandate che aveva gli occhi sbarrati e la bocca aperta.
Helmut posò il proiettile sul letto di bossoli vuoti che erano accatasti sul pavimento del carro, aprì lo sportello laterale per espellere i bossoli e guardò fuori... tutto era immobile. un paio di alte colonne di terriccio era congelate nella loro forma e le pietre sembravano sospese in aria.
Aprì con circospezione il portello sul cielo della torretta e sporse la testa, poi mise fuori l’intero busto e guardò avanti in direzione del lungo cannone da 88 puntato verso l’orizzonte.
Avevano appena sparato un colpo e la fiammata che usciva dalla volata era immobile, leggermente luminosa, mentre gli sbuffi di fumo che uscivano dai fori del compensatore erano immobili. A tre metri dalla volata del cannone il proiettile era chiaramente visibile, immobile a mezz’aria, riusciva persino a vedere la punta bianca del cappuccio del perforante.
“.. non è possibile.... non si muove nulla....”
“Te l’ho detto, ho fermato il tempo... posso farlo restare così finche voglio!”
“.. e puoi riportarmi a casa... farmi rivedere mia moglie e i miei figli?”
“Certo... attento.. potresti provare un po’ di nausea....”
Appena dette queste parole Helmut si senti sollevare e poi iniziò un folle volo a bassa quota, sul campo di battaglia cosparso di carcasse fiammeggianti, di cadaveri e di esplosioni congelate.. sempre più veloce verso Ovest e verso Sud... sfrecciando sul Don, la boscosa Romania, la montuosa Austria verso le pianure della Germania.
Scesero in una picchiata verso una verde radura ai margini di un paesino vicino ad Heidelberg dove c’era una casetta in legno con gerani fioriti alla balconata del primo piano.
Helmut si ritrovò in piedi accanto alla vecchia quercia che stava al margine del prato davanti alla casa.
Sua moglie era seduta sul dondolo sotto la veranda, indossava un leggero vestito estivo bianco con una gonna a pieghette e stava ricamando un tovagliolo, mentre, immobile, guardava verso due biondi bambini che inseguivano ridendo un'oca.
Tutto era immobile e silenzioso... l’oca aveva le ali spiegate ed il collo proteso, il giallo becco spalancato ma non si udiva il suo disperato grido. I bambini avevano gli occhi ridenti e le bocche aperte, la posizione squilibrata di chi sta’ correndo a perdifiato, ma erano immobili come statue.
Hemut si girò indietro... da dove gli arriva quella misteriosa voce...
“ ...Sì, sono la mia famiglia... sono tornato da loro... ma sono immobili... non mi vedono!”
“Certo! Il tempo è fermo per tutti meno che per te...”
“E puoi farlo ripartire?”
“Quando voglio... basta che tu me lo chieda...”
Helmut si girò verso i bambini, si pettinò il ciuffo biondo indietro ed allargò le braccia in un abbraccio, poi sorridendo beato disse solamente:
“.. allora voglio che il tempo riparta... adesso!”
Sorrideva ancora beato quando un secondo dopo il proiettile del T34 russo sfondò la torretta del Tigre facendo esplodere tutte assieme le munizioni stivate a bordo.
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E ora, una segnalazione del nostro webmaster William Riker:
Quella che vi propongo di acquistare e di leggere è "Alex Complete", una raccolta di racconti ucronici scritti dall'amico Alessandro Falciola e pubblicati dalla Passerino Editore. Sono racconti che partono da un PoD tutto sommato semplice (la vittoria dell'Asse nella Seconda Guerra Mondiale, perchè gli scienziati del Reich hanno preceduto i colleghi del Progetto Manhattan) ma dall'esito tutt'altro che scontato, anzi radicalmente diverso dalle congetture di "Occidente" e di "The Man in the High Castle", a tratti quasi misticheggiante nella sua lucida visionarietà. La forma spesso dialogica fa sì che tali novelle somiglino a una graphic novel che non è stata ancora disegnata, e che, come i pirandelliani personaggi in cerca di autore, attendano solo un bravo fumettista per essere trasformate in vignette e baloon. Acquistate e leggete la raccolta di "Alex Complete", ne vale davvero la pena!
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Passiamo ad un altro racconto sempre di Sandro Degiani:
Fronte del Don, inverno 1943
Brevissimo, telegrafico, essenziale. Scritto alle tre di notte ma meditato a lungo. Mi girava in testa da almeno due anni, e la lunga esitazione l'ha asciugato fino a diventare mezza paginetta, spero abbastanza intensa da far piacere a chi la legge. Sicuramente non vi annoierà, e questo è già un gran bel risultato!
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Pavlov guardò nel cannocchiale del suo Nagant senza avvicinarsi troppo per non appannare le lenti gelate... davanti a lui, nella valletta innevata, c'era un bivacco. Probabilmente si consideravano abbastanza lontani dal fronte per accendere un fuoco all'aperto.
Facendo ruotare il fucile cercò gli ufficiali di quello sparuto gruppetto di miseri straccioni: era facile, erano quelli meglio vestiti, più dignitosi, con più lucenti stellette sulle spalline.
Erano in due e gli davano quasi le spalle. Le sagome spiccavano bene in controluce, era un tiro facile! Uno solo,p erchè lo sparo avrebbe dato l'allarme e il bersaglio non ci sarebbe stato più, ma bastava: un ufficiale in meno, un fascista in meno,un altro piccolo passo verso la vittoria finale del Popolo Sovietico.
Nel reticolo di mira c'era la testa di un ufficiale italiano, un berretto con un piuma in testa e il viso avvolto in una sciarpa, la luce del bivacco permetteva una buona visione, erano circa trecento metri... aggiustò l'alzo del cannocchiale per il tiro e poi guardò di nuovo... Adesso la testa si era chinata leggermente, una mano avvicinava al volto un rettangolino di carta debolmente illuminato dal fuoco: intravide la figura di una giovane donna bruna con un bambino in mano. Il soldato italiano la guardò un attimo e poi, con la mano che tremava, la baciò.
Il cecchino russo per un attimo rivide la moglie con in braccio il loro figlio, sulla soglia di un'isba tanto lontana nel tempo e nello spazio, rilassò il dito sul grilletto, poi spostò leggermente il fucile a sinistra.
Il tenente guardò ancora una volta con tenerezza lo sgualcito santino della Beata Vergine Madre che portava sempre con sé, poi lo ripose nella tasca della giubba.
Alla sua sinistra il Feldwebel Klaus Weiser storse la bocca in un ghigno di cinico disprezzo e disse:
"Ach... voi italiani siete sempre i soliti sentimentali baciapile, che cosa può fare per te quel pezzo di carta? Salvarti la vita?"
Furono le sue ultime parole, prima che la sua testa esplodesse in una nuvola di sangue.
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Diamo spazio all'invenzione di Generalissimus:
Acciaio a Oriente
Ormai erano gli ultimi
momenti della battaglia.
Le truppe russe stavano resistendo più che potevano, ma non c’era più niente da
fare, il loro destino era stato scritto.
Da quel giorno in poi, il nome Mukden sarebbe stato associato ad una disfatta
per l’Impero Russo, almeno per quel poco tempo che gli rimaneva.
A combattere tra le ultime linee organizzate russe c’era il giovane Tenente Oleg
Vladimirovič Vaganov, che stava disperatamente cercando di tenere unito il suo
reparto, falcidiato dall’artiglieria e dalle cariche giapponesi.
“Forza! Ricompattiamoci di nuovo! Si stanno preparando per una nuova carica!”,
urlò il Tenente.
Nonostante il fragore della battaglia, riusciva a distinguere quasi con
chiarezza le esultanze e le invocazioni all’Imperatore provenienti dalle linee
giapponesi.
L’assalto nipponico non si fece attendere.
Nonostante fossero esausti, gli uomini di Vaganov combatterono come delle furie
dai loro trinceramenti per provare a far demordere i soldati del Sol Levante.
Nel bel mezzo dello scontro però, dalle retrovie si palesò un Sottufficiale:
“Chi comanda qui? Chi è il comandante di questa unità?”, chiese.
“Credo di essere io, Sottufficiale”, rispose il Tenente Vaganov, “il Maggiore
Školnik è irreperibile dalla scorsa notte, un tiratore scelto nemico ha centrato
ha centrato in piena fronte il Capitano Telepnev e così via.
Mi sa tanto che dovrà riferire a me”.
“Tenente, è appena arrivato l’ordine di ritirata! Tutte le unità impegnate
nell’area di combattimento devono sganciarsi e ritirarsi verso il confine
russo”.
“E come dovrei ritirarmi? Lo vedete in che situazione mi trovo? Sono sotto
pesante pressione! Non posso mollare tutto così e andarmene, la mia ritirata
rischierebbe di trasformarsi in una rotta!” Il Sottufficiale che stava fungendo
da messaggero, però, scrollò le spalle e disse: “Con tutto il rispetto, Signor
Tenente, ma ambasciator non porta pena.
Il mio lavoro l’ho fatto, gli ordini li ho trasmessi, come li eseguirete non mi
riguarda, adesso se permettete corro ad avvertire le altre unità… Ammesso che ce
ne siano rimaste altre”.
Il Sottufficiale si dileguò come era comparso, e il Tenente, con un senso di
rabbia che gli cresceva dentro, tornò a rivolgere la sua attenzione alla
battaglia in corso.
“Avete sentito, uomini? Dobbiamo ritirarci! Proveremo ad approfittare della
prossima pausa nell’attacco dei Giapponesi per andare via da qui! Continuate a
sparare e tenetevi pronti a evacuare le trincee!” Ma qualcuno non era d’accordo
con il piano dell’ufficiale: “No, Tenente! Dobbiamo fuggire adesso!” Vaganov non
poté che rispondere interdetto: “Cosa?! Non se ne parla! Per quale motivo
dovremmo scappare adesso? Sarebbe un disastro! Qui stiamo rasentando
l’insubordinazione!” “Ma i Giapponesi hanno già sfondato le retrovie! Ci hanno
accerchiati! Presto ci travolgeranno da tutti i lati! Non possiamo rimanere
qui!” Vaganov provò a controbattere, ma venne nuovamente interrotto da un altro
soldato: “Tenente guardi! Alla nostra destra!” Vaganov sfoderò il binocolo dalla
sua custodia e osservò la situazione nella direzione lui indicatagli.
Una grossa nuvola di polvere rivelò la ritirata di un grosso contingente russo.
Il Tenente trasse da sé le proprie conclusioni: “Ma quella è la cavalleria del
Generale von Rennenkampf! Sta abbandonando il campo di battaglia! Così rimarremo
senza copertura!” Dopo un altro sguardo a quella zona Vaganov capì che anche le
altre unità di fanteria stavano gettando la spugna.
“Dannazione! Il fronte sta cedendo! Ormai è il panico! Va bene, uomini! Ce ne
andiamo di qui!” I soldati rimasti non se lo fecero ripetere due volte.
Il fuggi fuggi generale dei Russi venne facilitato da un improvviso e insperato
arresto dell’attacco nipponico.
“Correte! Correte! Non fermatevi per nessun motivo! Accidenti, ma perché quei
maledetti non ci inseguono?” La risposta arrivò subito sotto forma di boati ed
esplosioni.
“Ci attaccano con l’artiglieria! Continuate a muovervi verso nord, ma cercate
dei ripari!” Fu l’ultima cosa che disse il Tenente Vaganov.
Un sasso fatto schizzare via dall’esplosione di un proietto dell’artiglieria
nipponica lo colpì alla testa e gli fece perdere conoscenza.
Vaganov non seppe per quanto tempo rimase in questo stato, steso a pancia a
terra circondato dai cadaveri di quelli che un tempo erano i suoi commilitoni e
sottoposti.
Fu la presenza di qualcuno vicino a lui a farlo rinvenire.
La battaglia era terminata verso sera, e adesso si intravedevano le prime luci
dell’alba.
Vaganov rimase in silenzio sperando che colui che gli stava accanto lo
scambiasse per morto, ma dato che non sentiva altri rumori se non il frugare nel
tascapane che portava a tracolla, capì che si trattava di una sola persona.
Quando lo sconosciuto passò a frugare le tasche dei pantaloni del Tenente,
questi, con uno scatto che gli costò parecchi sforzi, gli sferrò una gomitata in
pieno volto, facendolo prorompere in un urlo di dolore misto a stupore: “Aaaah,
maledetto bastardo, ma tu sei ancora vivo!” “Sei russo!”, disse uno stupito e al
tempo stesso sollevato Vaganov.
Lo sconosciuto, massaggiandosi la mascella offesa, esclamò, con un pesante
accento che il Tenente non riuscì ad identificare: “Ebbene sì, sono russo”.
“Che cosa ci fai qui?” “E che cosa ci dovrei fare, secondo te? Nella confusione
mi sono perso e mi sono trovato separato dalla mia unità.
E adesso cerco di scappare a nord, come credo che dovresti fare anche tu
adesso”.
“Ah, sì? Ed è così che si “scappa”? Prendendosi tutto il tempo per fare
sciacallaggio a discapito dei tuoi poveri camerati defunti?” “Beh? Niente mi
impedisce di raccattare un po’ di cosine interessanti strada facendo.
Dove alcuni perdono altri vincono, guarda un po’ cosa ho arraffato, infatti!” Il
soldato misterioso, ridendo sotto i folti baffi che portava, tirò fuori dalla
sua giacca tre orologi da tasca d’argento marcati Pavel Buhre, ma appena li vide
Vaganov glieli strappò di mano indispettito.
“Ehi, quelli sono miei!”, provò a protestare il milite, ma il Tenente Vaganov
rispose adirato: “Col cav9lo che sono tuoi! Guarda qua, dietro ci sono le
incisioni dei loro legittimi proprietari… Štabs-kapitan Alekseev, questo qui lo
conoscevo anche…” Il soldato però era visibilmente furioso: “Ascoltami bene,
amico, faresti meglio a restituirmi quegli orologi, mi ci vuole un attimo per
farti secco”.
“Rischiando di attirare i Giapponesi? Non credo proprio! E poi potrei benissimo
restituirti la cortesia, anche io sono armato”.
Il Tenente disse queste ultime parole estraendo il suo revolver d’ordinanza
dalla fondina.
“E va bene amico, mi arrendo, hai scoperto le mie carte, tieniti pure quei
cipolloni, tanto erano pure rotti.
Ma adesso che si fa?”, chiese il soldato.
“Semplice”, disse Vaganov alzandosi lentamente, “continuiamo ad andare verso
nord, sperando di non incontrare pattuglie giapponesi.
Suggerirei di attraversare le colline e stare lontani da strade, ferrovie e
centri abitati.
Ah, a proposito, giusto per mettere i puntini sulle i, non pensarci nemmeno di
riavere indietro il maltolto, perché lo restituiremo alle famiglie degli
sventurati legittimi proprietari”.
“Ah, sì? In base a quale autorità?” “La mia”.
“In che senso, amico?” “Cos’è, non ti sei ancora accorto che sono un ufficiale?
Sono il Tenente Oleg Vladimirovič Vaganov, 148° Reggimento, 37a Divisione di
Fanteria, 1a Armata della Manciuria.
Di conseguenza ti pregherei di smetterla di chiamarmi “amico” e di rivolgerti a
me col dovuto rispetto”.
Il soldato emise versi di disappunto, subito interrotti dalle parole del giovane
ufficiale: “Forza, mettiamoci in cammino, abbiamo già perso troppo tempo”.
Vaganov fece seguire subito i fatti alle parole, e il soldato non poté fare
altro che accodarsi a lui: “Tenente! Ehi, Tenente! Non se la sarà mica presa per
tutto quello che è successo prima! Sa com’è, lei era mezzo ricoperto di terra, e
il fango sulle spalline non mi ha aiutato a capire che lei era un ufficiale.
Vaganov però lo liquidò freddamente: “Sì, sì, certo, come no, però adesso
muoviamoci, d’accordo?” “Sì, sicuro, andiamo, ma almeno, Tenente, ha un’idea di
dove dovremmo andare?” “Beh, la città più vicina dove potrebbero rifugiarsi le
forze russe è Tieling, ma ho sentito che in caso di sconfitta c’erano piani per
creare una nuova linea difensiva a Ssupingkai.
Credo proprio che troveremo lì i nostri compatrioti”.
“Sa come arrivarci, Tenente?” “Certo, ho delle mappe nel mio tascapane, sempre
ammesso che qualche mano troppo lunga non se ne sia impossessata…” “Eh, eh, no
Signor Tenente, quelle non mi interessavano e le ho lasciate lì dove erano”.
Vaganov, si fermò un attimo, verificò che fosse così, estrasse le mappe e le
esaminò per farsi un’idea di dove si trovasse e tracciare un itinerario.
Dopo un po’ disse: “Bene, possiamo procedere, si va a Tieling”.
“Sempre che il Generale Kuropatkin non abbia fatto un macello e a quest’ora non
siano tutti a Chabarovsk o peggio ancora.
Che sia maledetto quell’incompetente e chi lo ha messo al suo posto”.
“Anche se si trattasse dello Zar in persona?”, disse Vaganov con un sorriso
beffardo.
“Soprattutto se si è trattato dello Zar in persona.
La sconfitta è quello che si merita, il modo in cui si è conclusa ed è stata
condotta questa guerra del cavolo è un altro chiodo nel coperchio della sua bara
che sta ormai per chiudersi.
Il giorno in cui lo appenderemo per i piedi e noi proletari ci divertiremo a
prenderlo a bastonate a turno nella Piazza del Palazzo è sempre più vicino”.
“Basta, ma che razza di discorsi sono questi? Dovrei consegnarti alle autorità
per lesa maestà appena arrivati.
Non sarai mica un Marxista?” “Eh, eh, colpevole come da accusa, vostro onore!”
“Ma che diavolo ci fa uno come te in questo carnaio?” “Semplice, Signor Tenente,
sono qui contro la mia volontà.
Ne ho fatta una di troppo, e così, visto che c’era in corso questa bella guerra,
il giudice ha pensato bene di offrirmi, in alternativa ai lavori forzati, la
possibilità di redimermi arruolandomi”.
“Ah, stupendo, adesso accettiamo anche i rivoluzionari nell’esercito? Forse non
dovrei stupirmi più di tanto se abbiamo perso.
E poi come fai a dire che sei qui contro la tua volontà? Potevi benissimo
scegliere i lavori forzati”.
“Sa com’è, Tenente, mi ritengo un uomo d’azione.
Spaccare pietre per dieci anni con una palla al piede non mi si addiceva per
niente”.
“Bah, ci rinuncio.
Forza, andiamo, la strada è lunga”.
I due si avviarono continuando verso nord, seguendo le tracce dell’esercito
russo, la cui ritirata si era davvero trasformata in una rotta disordinata.
Arrivarono su un’altura nei pressi di Tieling, scampando per due volte ad uno
spiacevole incontro con i soldati giapponesi, impegnati a ripulire le retrovie e
ad inseguire i Russi.
Con loro gran disappunto, scoprirono che la città era stata data alle fiamme.
“Dannati Giapponesi!”, esclamò il soldato, ma Vaganov lo contraddisse di nuovo:
“No, non sono stati loro.
Credo che Kuropatkin abbia ordinato di darla alle fiamme per paura che i
Giapponesi avanzassero ancora.
Guarda tu stesso”.
Il Tenente porse il suo binocolo al soldato.
“Che cosa dovrei guardare?”, chiese questi.
“Le truppe giapponesi nei dintorni di Tieling, e quel polverone in lontananza
verso nord sono i nostri soldati che stanno andando verso Ssupingkai”.
Il soldato constatò che quello che diceva Vaganov era vero.
“Quanto è lontana da qui Ssupingkai, Tenente?” “Dieci giorni di marcia”.
“Ma riusciremo a raggiungere il grosso delle forze russe?” “Solo se non ci
fermiamo mai e se la fortuna continuerà ad assisterci impedendoci di fare brutti
incontri”.
“Allora dobbiamo prima di tutto superare Tieling senza che ci vedano, Tenente”.
“Per una volta da quella bocca esce qualcosa di sensato, mio baffuto amico.
Per fortuna ho visto una piccola foresta che potrebbe fare al caso nostro.
Forza, rimettiamoci in cammino”.
E infatti la fortuna li assistette.
I due attraversarono la foresta e superarono quello che rimaneva di Tieling
senza essere infastiditi.
Dopo un po’ il soldato si rivolse di nuovo a Vaganov: “Tenente, riguardo a poco
fa, la avviso che se io non posso chiamarla “amico”, neanche lei può usare quel
termine nei miei confronti.
Soprattutto perché io non sono certo amico dei borghesi come lei”.
“Suvvia, non essere così fiscale.
E poi scommetto che se mi conoscessi meglio scopriresti che non sono affatto
così malvagio come mi dipinge la tua propaganda.
Ah, e per tua informazione, gli operai delle fabbriche che possiede mio padre
vengono trattati con i guanti”.
“E questo che c’entra?” “E poi scusa, ma da quando ci siamo incontrati non mi
hai ancora neanche detto come ti chiami, come dovrei… Fermo! Arriva qualcuno
alle nostre spalle! A cavallo!” I due si fermarono e si girarono, mentre Vaganov
utilizzava di nuovo il suo binocolo per capire chi fossero i cavalieri che si
stavano avvicinando dalle posizioni giapponesi.
“Honghuzi”, sentenziò Vaganov.
“Come? Tungusi?” “No, Honghuzi, banditi cinesi al soldo dei Giapponesi.
Non fare niente di avventato, mi raccomando”.
“Quanti sono?” “Cinque”.
I razziatori cinesi raggiunsero in poco tempo i due dispersi russi e iniziarono
a minacciarli: “ 你,你停在哪裡!” “現在您將與我們一起!” “Ma andate tutti al diavolo!” Il soldato
estrasse una rivoltella e una semiautomatica giapponesi dalla sua giacca e aprì
il fuoco contro gli Honghuzi, colpendone due.
Il Tenente Vaganov, colto di sorpresa, non poté fare altro che sfoderare il suo
revolver Nagant e colpire un terzo predone.
Gli altri due, colti dal panico, iniziarono a tornare al galoppo verso le linee
nipponiche, ma con un altro colpo di semiautomatica Nambu il soldato riuscì a
colpire un quarto malvivente.
Vaganov sparò un altro colpo contro il quinto, ma ormai era troppo lontano.
Il Tenente si rivolse furioso al soldato, che intanto stava afferrando al volo
per le briglie due dei cavalli dei Cinesi prima che potessero allontanarsi
troppo: “Che diavolo ti è saltato in mente?! Avevo detto niente azioni
avventate!” “Appunto, mi sono accorto che solo uno di loro era armato di fucile,
ho calcolato il rischio e adesso abbiamo due cavalli.
Con questi potremo raggiungere i nostri compagni in men che non si dica”.
Il soldato porse a Vaganov le briglie di uno dei cavalli, e questi commentò:
“Spero per te che siano freschissimi, perché dovremo correre come se avessimo il
diavolo alle calcagna.
Se quell’Honghuzi che è scappato riesce ad avvisare i suoi compari giapponesi
siamo spacciati”.
“E allora che stiamo aspettando, Tenente?”, disse il soldato, che era già
saltato in sella, “Andiamo via di qui!” Il soldato partì al galoppo in direzione
dei Russi in ritirata, e il Tenente Vaganov si affrettò a seguire il suo
esempio.
Grazie al fatto di non essere più appiedati, le linee amiche si stavano facendo
sempre più vicine, e presto i due sarebbero arrivati in vista della retroguardia
russa.
Per stemperare la tensione, Vaganov si avvicinò al soldato e si complimentò con
lui: “Te la sei cavata bene con quelle pistole”.
“Grazie, Tenente, non è la prima volta che sventolo pistole in faccia qualcuno…”
La conversazione venne interrotta dal sibilare di un proiettile.
“E quello da dove diavolo veniva!?” “Lassù, Tenente! Quella collinetta alla
nostra destra!” Vaganov si voltò, e vide con orrore una squadra della cavalleria
giapponese che scendeva di gran carriera lungo il pendio dell’altura indicata
dal soldato.
“Come diavolo abbiamo fatto a non accorgercene? Eppure dovevamo aspettarcelo!”
“Inutile recriminare, Tenente! Se vogliamo scamparla dobbiamo combattere, e
sperare al contempo che i nostri non siano troppo lontani.
Quanti colpi le sono rimasti?” “Pochi, quando è arrivato l’ordine di ritirarsi
da Mukden ero già quasi a secco, oltre ai quattro che ho nel tamburo me ne sono
rimasti solo altri sei”.
“Allora dovremo arrangiarci, ho preso un bel po’ di munizioni dai Giapponesi a
Mukden, per un po’ posso rispondere al fuoco ma sarebbe meglio non perdere tempo
a farlo”.
“Già, pensiamo a correre piuttosto e affidiamoci al buon Dio”.
“Non esiste nessun Dio, Tenente”.
“Riparliamone quando saremo in salvo!” I due galopparono a testa bassa verso le
linee russe, mentre i cavalieri nipponici continuavano a sparare contro di loro
con tutto quello che avevano, infastiditi da sporadici colpi di pistola del
soldato.
Ormai però la distanza tra di loro si stava riducendo sempre di più, ma alla
fine il miracolo avvenne: una squadra di Cosacchi russi a cavallo impegnata in
azioni di retroguardia, attirata dal trambusto, arrivò in soccorso di Vaganov e
del suo compagno, mettendo in fuga la cavalleria giapponese dopo un breve
scontro a fuoco.
Dopo aver constatato di essere finalmente al sicuro, il Tenente si voltò verso
il soldato: “Hai visto? Ce l’abbiamo fatta! Adesso… Oh”.
Vaganov si accorse che il soldato si era accasciato sul cavallo.
Una delle ultime pallottole sparate dai militari del Sol Levante lo aveva
colpito al petto e si era rivelata fatale per lui.
I Cosacchi fecero scendere da cavallo il corpo esanime del povero soldato,
mentre il comandante del drappello di soccorritori si presentò a Vaganov: “Mi
dispiace per il suo amico, Tenente.
Comunque sia mi presento: sono il Wachtmeister Makovskij dei Cosacchi dell’Ussuri.
Non si preoccupi, gli altri soldati sono più avanti, diretti verso Ssupingkai,
dove il Generale Kuropatkin sta organizzando una nuova linea difensiva contro
l’avanzata giapponese, la farò scortare da due dei miei uomini.
Se posso chiedere, chi era l’uomo che l’accompagnava?” “Se devo essere sincero,
non lo so.
Mi ha trovato mentre ero privo di conoscenza sul campo di battaglia di Mukden, e
mi ha seguito fino a qui”.
“Beh, le ha salvato la vita, Tenente, una promozione postuma a Efrejtor non
gliela toglie nessuno”.
“Sì, concordo, in fondo senza di lui non sarei mai riuscito a ricongiungermi al
resto dell’esercito”.
Uno dei Cosacchi del plotone si avvicinò ai due superiori: “Signore, abbiamo
trovato i suoi documenti… Oltre a parecchia roba che sembra abbia trafugato ai
cadaveri di amici e nemici… Sembra che quel soldato fosse georgiano.
Non riesco a pronunciare bene il suo nome, ma credo che fosse Iosif
Vissarionovič Džugašvili.”
.
E ora, un altro suggestivo racconto scritto a quattro mani da Tommaso Mazzoni e Paolo Maltagliati:
Il Generale Inverno
Russia, presso un antico santuario pagano negli Urali centrali, la notte del 30 Novembre 1941
I due uomini in uniforme stavano aspettando, nel cuore della notte, davanti ad una ciotola di vodka su un altare improvvisato; uno dei due, sguardo intenso, spalle larghe, folti baffi bianchi, sbuffò con impazienza:
"Compagno, spero vivamente che questa non sia una perdita di tempo! Abbiamo una guerra da vincere!"
Il suo compagno, capelli neri, occhiali e baffi sottili stava per rispondergli, quando un brusco calo di temperatura lo interruppe. Un uomo alto, vecchio come può esserlo una montagna o un ghiacciaio, con un mantello dai molti colori, i cui passi sembravano lasciare impronte di ghiaccio, era arrivato. Bevve la vodka dall'altare, e guardò i due uomini.
"Era un po' di tempo che nessuno mi invocava secondo le antiche usanze."
La sua voce aveva il suono delle tormente, ma allo stesso tempo era calma e placida come un fiocco di neve.
"Cosa desiderate da me, Josef figlio di Vissarion, e Vyacheslav, figlio di Mikhail?"
L'uomo più anziano, per nulla intimidito, parlò con la voce ferma di chi è abituato ad essere obbedito:
"La Madre Russia è invasa! In nome degli antichi patti, tu devi difenderla!"
La temperatura calò di nuovo, mentre l'antico essere guardava l'uomo; occhi di ghiaccio contro occhi di ghiaccio.
"Io devo? Così tu, uomo d'acciaio, vieni da me a ricordarmi i miei doveri..."
Con uno scatto impossibile per un uomo della sua età apparente, l'antico essere afferrò per la gola quel mortale impudente, e con calma glaciale lo sollevò come se non avesse peso: il suo tocco sembrava privarlo di ogni calore corporeo.
"Antichi patti furono forgiati, e rispettati, fino al giorno in cui voi avete preso il potere; avete fatto la guerra a noi, e alla fede del nostro signore, Colui che è infinitamente a noi superiore, molto più di quanto la mia razza lo sia della tua; ora dimmi, mortale perché dovrei fare altro che non ridurti a frammenti di ghiaccio?"
Mentre Stalin penzolava inerme dalla mano dell'entità, Molotov soggiunse:
"Sommo Morizov, Generale Inverno, guardiano della Madre Russia; abbiamo mancato, siamo stati stolti ed ignoranti, ma se siamo qui, oggi, è perché sappiamo che gli Immortali non dimenticano e non mancano alla loro parola."
La divinità pagana, nota anche come Stribog, signore dei turbini e delle tempeste, ristette a lungo, pensoso. Le gelide pupille saettavano a destra e a sinistra, come se la loro attenzione andasse da un lato all'altro di un immaginario uditorio. Poi lasciò andare Stalin, che annaspò, affamato d'aria, battendo i denti dal freddo e dalla paura.
"E sia! Gli antichi patti vanno rispettati. Io e i miei fratelli abbiamo raggiunto un consenso", soggiunse infine, con voce profonda e solenne il dio, mentre ancora Stalin cercava faticosamente di riprendersi.
Ma, mentre un sospiro di sollievo già esalava dalle bocche dei mortali presenti, un oscuro e nero turbine apparve improvvisamente dinnanzi a loro. Da esso si levò una voce. Non era affatto solenne o profonda... Piuttosto, sembrava lo sgraziato verso di una cornacchia, rauco e fastidioso. Eppure, alle orecchie dell'alto comando sovietico, aveva in pari tempo un che di terribile e inquietante.
"UN MOMENTO! Questo non è più un patto, o grande Stribog, ma un dono. Li lascerai forse andare senza chiedere nulla in cambio?"
Dalla nera voragine comparve una vecchia, gobba e smunta. I capelli argentati le scendevano disordinatamente sul volto, solcato da profonde rughe. Niente in quella figura, in tutto simile a quella di mille altre vecchie contadine russe, poteva incutere timore. Ma allora com'era possibile che persino il potente e antico dio del freddo aveva abbassato il capo in segno di saluto e rispetto?
Poi Molotov soffermò per un istante il suo sguardo sugli occhi della nuova arrivata. Fu un istante, ma bastò per farlo sobbalzare, tremebondo.
Per quel decimo di secondo aveva sentito come la sua anima risucchiata, da quelle due fessure più nere di una notte senza stelle.
"Baba Yaga..." mormorò Stribog l'immortale.
All'udire quel nome tutti sgranarono gli occhi. Ognuno di loro aveva sentito, durante l'infanzia, racconti che avevano al centro una terribile strega. Era il personaggio preferito da ogni madre per indurre i bambini a non fare i capricci e andare a letto presto... E ora era lì, di fronte a loro.
"O déi, se elargite a questi umani con troppa larghezza il vostro aiuto, essi si faranno altezzosi, quanto e peggio di oggi. Un patto esige SEMPRE un sacrificio... In più - aggiunse con un raggelante ghigno malefico rivolto all'uomo d'acciaio - Vodianoy ultimamente ha sempre fame..."
"Hai ragione."
Quelle due semplici parole del dio pietrificarono il cuore degli uomini. Cosa sarebbe accaduto ora?
"Che prezzo fisseresti, strega?" chiese Stribog, rivolto a Baba Yaga. Al che, lei prontamente rispose:
"Il Dio dei cristiani è troppo misericordioso, potrebbe perdonarlo, alla fine. Poreniec grida e a Vodianoy brontola lo stomaco... l'anima di colui che chiamano 'uomo d'acciaio' da dar loro in pasto... Per l'eternità."
Stalin avrebbe voluto gridare, inginocchiarsi, supplicare, come molti di lui avevano fatto al suo cospetto. Ma non gli fu dato né il tempo, né il modo. La sua bocca si fece a un tratto arida come il deserto e se anche si sforzava, non ne usciva alcun suono. I suoi compagni e sottoposti sapevano che la strega intendeva ciò che diceva; eppure, come lui, tacevano.
"Dannazione, perché nessuno si vuole sacrificare al posto mio?!? Mi vendicherò!" Pensò, senza riuscire a esternarlo.
Dopo un momento che parve un'eternità. Striborg fece un altro cenno di assenso alla strega e ripeté nuovamente il giuramento:
'E sia! Pagando questo prezzo gli antichi patti saranno onorati."
Ed ecco, i venti iniziarono a soffiare verso ovest. Morizov e Baba Yaga scomparvero, come se non fossero neppure mai esistiti se non nella fantasia degli antichi pagani che abitavano sotto tende di pelli e bevevano latte fermentato intorno al focolare nelle gelide notti invernali.
"Ancora una volta, il Generale Inverno marcia alla testa dei Soldati Russi!" commentò Molotov, aiutando il suo leader ad alzarsi in piedi. E sotto i baffi era possibile intravedere un sorriso vendicativo, ripensando al prezzo che era stato necessario pagare per ottenere il decisivo aiuto degli antichi signori del mondo.
Tommaso Mazzoni e Paolo Maltagliati
.
A questo punto, non possiamo non riportare un'altra cronologia fantasy di Tommaso Mazzoni:
La mummia come non te la aspetti
1922
Howard Carter, invece di portare alla luce la tomba di Tutankhamon,
ritrova quella di Imhotep, Architetto, Medico e Astronomo, Consigliere del
Faraone Zoser; Insieme alla mummia di Imhotep, Carter ritrova anche una copia in
perfetto stato di conservazione del Libro dei Morti; l finanziatore di Carter,
Lord Carnarvon, ha la malsana idea di leggere il libro ad alta voce; come
risultato; Imhotep si risveglia dalla morte; Imhotep era un uomo di grandissima
cultura ed ingegno, e ed era esperto sia di scienze naturali che di scienze
arcane; con il suo grande intelletto non ha difficoltà a colmare il vuoto di 47
secoli di conoscenza, anche aiutato dai suoi grandi poteri magici e dal suo
stato di non morto;
1925
Dopo un paio d'anni di studi, Imhotep ha colmato il gap in conoscenze, ed
inizia ad agire; per prima cosa individua tutte le tombe di tutti i Faraoni, ed
utilizza il loro immenso tesoro collettivo per finanziare i suoi progetti; con
la sua magia, placa le anime dei Faraoni ed evita di scatenare la loro collera,
con una eccezione; il giovane Faraone Tuthankamon, il quale viene prescelto da
Dio, che egli chiama Amon-Ra per fermare i piani di Imhotep, pericolosi per
l'equilibrio mondiale.
1926
Harry Houdini, maestro delle arti mistiche Statunitense, di origini
Ungheresi, che dissimula le sue attività smascherando i ciarlatani, si finge
morto per iniziare una campagna segreta contro Imhotep.
1927
Imhotep si avvicina a Re Fuad I, e riesce a conquistarne la fiducia.
1930
La classe dirigente egiziana è convertita all'Ogdoadismo, e approva la
nomina a Gran Vizir di Imhotep con il nome di Malik al-Mawtaa (Re dei Morti);
Inizia la costruzione della Piramide Nera, un immensa struttura pensata per
amplificare il potere di Imhotep.
1931
Londra si sente minacciata dalla politica neo-faraonica di Imhotep e
minaccia l'intervento, ma si scatena la Peste Bianca, una malattia che colpisce
solo gli occidentali e che decima l'esercito britannico; I sacerdoti della nuova
religione adducono agli Dei il merito di questa vittoria contro gli occidentali.
1932
Iniziano persecuzioni contro i Cristiani e i Musulmani d'Egitto che
vengono costretti in massa a convertirsi all'Ogdoadismo; Tutankhamon crea il
culto clandestino dell'Enneade per opporsi ai piani di Imhotep. Al-Mawtaa è
identificato come il Dajjāl dai Musulmani, e come l'Anticristo dai Cristiani.
1933
Imhotep incontra Erwin Torre, il Ministro per le Scienze Sovrannaturali
del governo Hitler, e i due stringono un accordo di collaborazione.
1936
Alla morte di Fuad I, Imhotep decide che non ha più bisogno della
famiglia Reale, e la fa sterminare; si salva solo la principessa Fawzia, salvata
da Tutakhamon.
Imhotep si incorona Faraone Eterno del Regno di Kemet.
L'Alleanza fra la Germania e l'Egitto preoccupa immensamente il Vaticano, che
non puo permettere l'alleanza fra l'Italia e gli Anticristi; Pio XI incarica
l'Ente, il proprio servizio segreto, l'Ordine di San Giacomo, da sempre la prima
linea di difesa della Chiesa contro i non Morti, e il Pugnus Dei, l'ordine
monastico di combattenti al servizio della Chiesa di attivarsi al fine di
prevenire l'empia alleanza.
1937
Pio XI incontra il capo della Società dei Tre Re, l'organizzazione che
ufficiosamente assiste la Chiesa sulle questioni riguardanti l'arcano;
ufficialmente sciolta da Gregorio XV, con la proibizione dell'Astrologia, la
Società è sempre rimasta attiva; Pio XI decide di riconoscere ufficialmente la
società, al fine di contrastare la Bestia che viene dal Mare. Fratello
Baldassarre, nome in codice con cui è da sempre conosciuto il Triumviro capo
della società, accetta l'incarico, e diventa Prefetto della Pontificia
Congregazione per la Difesa dalle Minacce Esoteriche.
1938
Mussolini muore in un incidente d'auto, dal quale non sembra estranea la
mano dell'Ente, insieme al MinRicArc, il Ministro delle Ricerche Arcane,
Girolamo Comi, a Farinacci e a Pavolini, esponenti dell'ala filo-tedesca.
Galeazzo Ciano è incaricato di formare un nuovo governo; nominato MinRicArc il
Professor Ernesto Bozzano, critico verso le pratiche negromantiche del suo
predecessore.
Completata la Piramide Nera.
1939
L'Egitto entra in guerra a fianco della Germania, e gli eserciti
Franco-Britannici in Africa sono sconvolti dal potere del Faraone, che oltre
alla Peste Bianca, alla quale stata però trovata una cura, ricorre a tempeste di
sabbia, sciami di scarabei in grado di divorare perfino i mezzi corazzati e
altri incredibili poteri; ma Francia ed Inghilterra non sono rimasti con le mani
in mano, e hanno schierato rispettivamente il Lord Taumaturgo della Corte Reale
Britannica, Lord Geoeffrey Hodson, primo Barone Hodson, sotto le cui mentite
spoglie si nasconde niente popò di meno che Myriddin ap Gwidyon, Mago Merlino in
persona e il Ministro delle Ricerche sul Paranormale francese, Pierre François
Xavier Vincenti, anche lui, sotto mentite spoglie, sotto cui si nasconde Michel
de Nostredame, ovvero Nostradamus.
L'occupazione della Cecoslovacchia da parte dei Nazisti obbliga il Rabbino Šimon
Adler a costruire il Golem a protezione della comunità.
Ciano riforma il Partito Fascista in Partito Nazional-Democratico Italiano; le
elezioni, con la Legge Acerbo, sono aperte ai ricostituiti Partiti Politici, e
sono vinte dai Nazional-Democratici.
1940
Mentre Merlino riesce a soccorrere le truppe alleate a Dunkirk e a
teletrasportarle in salvo in Inghilterra, Nostradamus non è altrettanto
fortunato sulla Mosella, dove Torre riuscirà a prenderlo prigioniero. Morirà
prigioniero nel 1942.
1941
Attacco giapponese a Pearl Harbour. Gran parte della Flotta Americana si
salva, perché hanno seguito le informazioni del Segretario di Stato agli Affari
Arcani, Harry Salem, in realtà, Harry Houdini.
L'attacco all'Unione Sovietica viene sventato dalle azioni del Commissario del
Popolo agli Affari Soprannaturali, Grigorij Efimovič Rasputin, sopravvissuto
all'attentato del 1916 e schieratosi con il Partito Comunista in odio alla
nobiltà che aveva tentato di ammazzarlo, perché aveva proposto allo Zar la pace;
Rasputin era riuscito a mettere in salvo lo Zar e la sua famiglia, ma aveva
cancellato loro la memoria al fine di impedire che diventassero la bandiera
della contro-rivoluzione. Con i suoi poteri, Rasputin era l'uomo più rispettato
e temuto dell'URSS, perfino più di Stalin. Durante la battaglia di
Minsk-Białystok dovette cedere a Torre, perché un sicario Russo al soldo di
Stalin cercò di assassinarlo. Si confrontò duramente con Stalin ad Ekaterinburg
e minacciò di abbandonare L'URSS alle armate di Zombie di Torre; Stalin accettò
di dare a Rasputin i pieni poteri; Una volta diventato Segretario del PCUS,
Presidente del CCP e capo supremo delle forze armate Sovietiche, Rasputin
trasformò Stalin in un topo, e organizzò la resistenza, facendo appello alla
fede ortodossa.
1942
Tuthankhamon, con l'aiuto di Merlino e Houdinì, riesce a distruggere la
Piramide Nera; Imhotep è distrutto, ma ha messo al sicuro il vaso canopo con i
propri organi imbalsamati in Germania, e si ricostituisce a Berlino in pochi
mesi.
Tuthankamon è nominato Faraone, fino alla fine della Guerra. L'Egitto dichiara
guerra alla Germania.
1943
Imhotep uccide Hitler e trasforma Torre in una mummia al suo servizio,
dopodichè si proclama Faraone di Germania; L'Italia dichiara guerra alla
Germania e i Cavalieri di San Giacomo guidano le armate Italiane contro i
Nazisti.
1944
Sbarco in Normandia, l'Ordine di San Dionigi, il Ramo Francese dei
Cavalieri di San Giacomo scatena una violenta insurrezione. Nel frattempo,
l'esercito Sovietico marcia su Berlino.
1945
Merlino, Rasputin e Houdinì affrontano Imhotep nella Battaglia del Cielo
Infuocato e riescono ad avere la meglio su di lui grazie al sacrificio di
Tutankhamon.
Dio, o Amon-Ra, se chiedete a Tutankhamon, riportano in vita il Faraone come
essere umano; il giovane sposa Fawzia bin Saud e continuerà a regnare
sull'Egitto, fino alla morte.
Rasputin restaurerà la democrazia in URSS, tornando alle origini degli ideali
socialisti, ma abolendo l'ateismo; il Marxismo-Rasputinismo diventa l'ideologia
di riferimento della 5^ Internazionale. Rasputin si ritirerà nel 1953, ma
essendo immortale, è probabilmente ancora in vita, in un monastero in Siberia.
Houdinì resterà Segretario di Stato degli Affari Arcani per il resto della sua
vita, conclusasi nel 1974.
Merlino tornerà in Galles, dove fonderà una scuola di arti arcane aperta al
pubblico. La dirige tuttora, anche se fornisce spesso consulenze al governo di
Sua Maestà.
Che ne dite?
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Novelle di Sandro Degiani Il Console – Pharaon – Ulysses – Kursk 1943 – Capoverde 1944 – New York 1946 – Jevah – Ritorno al Passato – La minaccia del Krang – Il Bianco muove e dà matto in tre mosse – Gatto di Bordo – Pilota – Anche gli Dei devono morire – Il Valore di un giorno – Viaggio di un secondo – Briciole – Breve Storia del primo McDonald su Marte – Volpiano Sud |
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