(da "La Nona Campana", novembre-dicembre 1983)
Nel 2007 ricorre il sessantesimo anno di vita dell'oratorio Sacro Cuore della parrocchia di Castellanza: sono ormai sessant'anni da quando il lonatese don Giovanni Tacchi e un manipolo di ragazzi gettò le fondamenta di quello che attualmente è una bellissima area verde, con campi di pallone e da pallavolo, palestra, bar e quant'altro serve a far trascorrere serenamente il tempo ai ragazzi castellanzesi. Anzi, sabato 10 febbraio 2007 il comune di Castellanza ha ufficialmente intitolato a don Giovanni Tacchi il nuovo Asilo Nido Ma chi era don Giovanni?
Don Giovanni Tacchi è nato il 4 agosto 1924. Celebra la sua prima messa nella chiesa di Lonate Pozzolo nella festa della SS. Trinità del 1947. Destinato all'oratorio di Castellanza, vi è accolto dal parroco don Luigi Testori, e vi rimane fino al 1977, quando viene trasferito come parroco a Pontevecchio di Magenta. A Lonate, a Castellanza, a Pontevecchio ha lasciato un'idea felicissima di prete: don Giovanni ha sempre dimostrato entusiasmo per il sacerdozio, bastava vederlo celebrare messa! E questo lo portava ad essere amico di tutti. Don Giovanni si spegne improvvisamente il 22 settembre 1983, ma ancor oggi chi lo ha conosciuto lo ricorda così: un prete autentico, amico di tutti.
UL PRED DI PULIRÖ
Il nostro caro « don Giuanin » era più conosciuto come « ul pred di Pulirö », e scopriremo qualcosa di lui attraverso la testimonianza di quanti lo hanno avuto vicino negli anni di sacerdozio, così da scoprire il suo vero volto, perché nel ricordo della maggior parte dei lonatesi don Giovanni è presente soltanto come il simpaticissimo quantoa vivace « pretino biondo che all'età di 11 anni già indossava la tonaca nera », oppure come il « taumaturgico chierichetto » che sapeva attirare a sé ed intrattenere con i giochi più svariati e divertenti frotte di ragazzi e di giovani.
Ancora c'è chi ricorda don Giovanni come un chierico dotato di una singolare intelligenza (primo assoluto alla maturità liceale al « Cairoli » di Varese), nonché di un candido pudore che gli faceva istintivamente abbassare gli occhi e gli dipingeva di rosso il viso alla sola presenza di una donna.
Alla luce di questo ed altro, don Giovanni era fatto per fare il prete. Lui stesso quando, finita la teologia, lo si voleva mandare a Roma per continuare gli studi, ebbe a dire che aveva studiato per diventare prete e non professore di latino e greco. Forse la suo vera personalità e sintetizzata in queste poche righe scritte dai suoi parrocchiani ed apparse fra gli « annunci funebri »:
« Il sorriso, la gioia spontanea, la premurosa attenzione alle persone lo hanno accompagnato fino agli ultimi istanti della sua vita. Così la comunità cristiana dei Santi Luigi e Carlo in Pontevecchio di Magenta, con incontenibile pianto consolato soltanto dalla speranza pasquale, ricorda il suo pastore don Giovanni Tacchi che improvvisamente l'ha lasciata nel mezzo di un'esistenza vissuta nella costante testimonianza di fede profonda e di dono generoso ai fratelli. »
Abbiamo intervistato la sua genie per sapere qualcosa di più su di lui. Una sua parrocchiana così ha detto all'indomani della sua morte:
« Di don Giovanni non si può parlare, perché lui era sempre nuovo, diverso, imprevedibile. A lui invece potevi parlare perché conosceva l'arte di ascoltare, e allora la suo voce, le sue mani, il suo volto si animavano delle tue gioie, delle tue angosce. Era una persona vera. Innamorato del suo Cristo, lo cercava in ognuno di noi. Per questo, dopo la sua morte, nello scambiarci i vari stati d'animo ci siamo ritrovati, sia pure con sfumature diverse, tutti egualmente amati. Oggi più che mai noi a Ponte Vecchio ci sentiamo uniti, lui sta ancora vivendo nel saluto di nonna Teresa, nello sguardo di Claudina, nel sorriso di Francesco, nel canto un po' stonato ma tenero di Ugo. Tante persone che vogliono sinceramente continuare con chi prenderà il suo posto questo cammino fatto di luminosa speranza. »
Per dire chi era e cosa ha rappresentato questa persona non basta di certo un articolo, redatto per di più do chi non ha mai avuto l'occasione di conoscerlo di persona. Le testimonianze raccolte tra la sua gente, tra chi ha vissuto con lui questi anni intensi di fede, ne fanno emergere un uomo vitale:
"Era l'immagine dell'unità, era un uomo libero."
"La sua fede era tutta nelle Sacre Scritture."
"Ci ha dato la testimonianza che esiste Cristo, ci ha fatto credere nella Resurrezione."
"Don Giovanni non ha fatto niente (inteso come strutture nuove o simili), ma alto stesso tempo ha dato tutto di lui alla comunità."
Frasi così se ne sono sentite tante, non forzate ma espressamente dette dal cuore. Sempre attivo, mai uno volta visto a riposare, ha contattato tutta la gente della frazione. Non c'è famiglia che non abbia, un giorno, ricevuto lo sua visita, non abbia avuto da lui dei consigli. Come lui incontrava tutti, era incontrato da tutti.
Non si negava mai ai bisogni delle singole persone e famiglie, "non era un uomo di mezze misure, per tutti aveva pronto una risposta, una soluzione ai quesiti anche più disparati."
Era un validissimo conoscitore della psicologia infantile: con lui l'Oratorio ha cambialo volto, ha saputo far ritrovare ai giovani tanti stimoli sopiti.
"L'Oratorio - soleva dire - non è il luogo dove si va in fila per tre."
Sono note raccolte tra i giovani che gli sono stati vicini in questi anni. Note. I sentimenti, il vero insegnamento di don Giovanni, queste persone, e tutto la comunità di Pontevecchio, non possono certo raccontarli davanti ad una penna e ad un foglio di carta.
PRETE A CASTELLANZA
Ed ora, alcune testimonianze della gente di Castellanza dove don Giovanni e rimasto per ben trent'anni come coadiutore ed assistente dell'Oratorio maschile prima e di quello femminile dopo.
Proprio all'apertura delle SS. Quarantore è giunta una notizia inverosimile, come un fulmine a ciel sereno. La gente s'era radunata in chiesa per l'inizio del triduo di preparazione ed il Vescovo Monsignor Bosadonna, nell'omelia, aveva accennato a un Don Giovanni che non aveva più bisogno di celebrare l'Eucaristia, perché ormai la viveva. Alla fine tutti si sono convinti: era morto don Giovanni, così, all'improvviso. Qualcuno ha detto, a buon ragione, che la sua morte, avvenuta proprio alle SS. Quarantore, era un « segno », un segno da interpretare con gli occhi della fede. E non poteva essere diversamente per chi ha conosciuto don Giovanni.
Ci vuol poco per conoscere un prete, basta vedere come prega, ma per chi ha avuto la fortuna di vivergli accanto per un po' di tempo, questa conoscenza diventa la fonte di tanti ricordi, per cui il significato di quel segno si fa più evidente. Le SS. Quarantore sono dedicate all'adorazione dell'Eucaristia, essa è il Sacramento del sacrificio supremo di Cristo per gli uomini. Ebbene, la morte di don Giovanni si innesta in questi significati: Dio adorato, amato al di sopra di tutto, con una passione ed un sentimento estremi; gli uomini, soprattutto i giovani, amati per Dio e in Dio, amati per loro stessi, per l'immortalità della loro anima. E tanto più erano poveri ed ultimi e lontani, tonto più a lui vicini, primi e privilegiati. Questo e il significato della sua morte che si impone con prepotenza, così come era il sua temperamento do vivo, focoso e vivace.
Don Giovanni ha tirato su diverse generazioni di giovani; ha fatto del bene ad una infinità di persone; è sempre andato a cercare le anime, non si è rassegnato ad aspettarle. Tutta questa gente era presente alle sue esequie, e sua vita speso per gli altri. Egli ormai si è consumato come l'Eucaristia che noi adoriamo e che riceviamo dentro di noi, ed è diventato intercessore di grazie per chi ancora lo ricorda con affetto e riconoscenza.
Allorché nel 1965 don Giovanni dovette lasciare l'Oratorio maschile per diventare assistente di quello femminile, i ragazzi ed i giovani di Castellanza che per diciotto anni avevano condiviso con lui gioie e fatiche credettero buona cosa perpetuarne il ricordo in una piccola raccolta di aneddoti. La intitolarono: « ZIBALDINO ».
Nella sua presentazione leggiamo tra l'altro:
« ...don Giovanni quest'anno lascia l'oratorio. S'e pensato di fare un giornalino che ne riassuma i diciotto anni di attività, cercando di dare un volto a questo Oratorio, a questo nostro reverendo come sacerdote generico e come assistente dell'oratorio in particolare. »
Il titolo, Zibaldino, fa riferimento ad un quaderno in cui sono notate alla rinfusa molte cose diverse, secondo che capitano. Ed ecco un florilegio di quegli aneddoti.
MELANCONICO ARRIVO
Un giorno come tanti. In piazza della Chiesa arriva un giovane prete in bicicletta accompagnato dal padre. Nessuno lo aspetta. Gli si rompe il pedalino della vecchia bici e non c'e nessuno a cui farlo riparare. È arrivato Don Giovanni Tacchi.
ANNI RUGGENTI
È stato costruito il teatro, una novità assoluta a Castellanza, e la notizia si diffonde velocemente. Non e
però l'abilità degli attori a darle fama immortale, bensì... ma andiamo con ordine.
Si sta girando sul set la scena di un temporale con lampi e tuoni; occorre dunque fabbricare un fulmine. Una
lastra di zinco con contatto strisciante, ed ecco il fulmine. Diabolico! Mai visti fulmini
più belli! Peccato che siano saltati tutti i contatori della zona...
UN CUORE, UNA ZUCCA E UNA CAPANNA
L'oratorio non e un oratorio, è un bosco.
Occorre una capanna che sia cappella, bar, ripostiglio.
Per fare una capanna ci vogliono i pilastri. I « gh'è chi ul Don Giüan » (è la parola d'ordine dei
contadini e degli abitanti dei dintorni per indicare i responsabili di qualsiasi anonimo misfatto) si mettono
all'opera. Ci sono delle solide piante di pesco nella compagna vicina.
Niente di più facile. Tre sono state già portate via e si lavora alacremente intorno
alla quarta che, dopo eroica resistenza, sta per capitolare. Ad un tratto un urlo: «
Ul padrom »!
Fuggono tutti, ma ad un ragazzo non sembra onesto abbandonare la preda cos! vilmente, e
resta attardato. Il contadino lo prende di mira con una grossa zucca e... lo centra.
Così, oltre ai quattro tronchi di pesco, ci rimette anche una zucca.
DON GIOVANNI EVASORE FISCALE
Durante le feste dell'oratorio, vengono sempre suonati parecchi dischi e quindi dovrebbero essere pagati i diritti d'autore. Ma nessuno diceva di saperlo, quella
volta che gli impiegati del fisco fecero chiamare don Giovanni. I rapporti erano
già parecchio tesi per via di alcune « dimenticanze », e don Giovanni fiutava aria di batosta.
La signora incaricata attendeva al varco col cipiglio atteggiato a burrasca imminente: « Dunque, questa volta che storiella mi racconta? ».
« La solita: non lo sapevo » rispose il reverendo arciprete, evidentemente a disagio.
« Questa volta proprio non ci credo; non è possibile che lei non sappia mai niente.
È ora di finirla! Si prenderà la sua multa di mezzo milione e basta. »
« Mezzo milione? » balbettò l'infelice.
« Sì, mezzo milione! centomila più, centomila meno. »
Fu allora che il diabolico reverendo giocò la sua ultima carta: « Chissà cosa
dirà il mio signor curato - piagnucolò - mi hanno allontanato dal precedente incarico perché giudicato incapace. Mi hanno
sballottato qua e là ed alla fine, affidandomi l'oratorio, il parroco ha allargato le braccia dicendo: "Se non riesci neanche in questo..." ».
Due grossi lucciconi comparvero sugli occhi dello spassoso commediante. Lacerava il cuore, il furfante.
La buona signora si commosse (fu un errore?), poi si sentì in colpa e cercò di rimediare: «Via, non faccia
così... vedremo... se possibile... ».
Fu così che il fisco fraternizzò con don Giovanni.
DON GIOVANNI FA IL MORTO
I soldi mancano sempre. Sono ancora tempi duri, anzi, durissimi.
S'e fatta una squadra di calcio e bisogna fare spogliatoi e docce. Viene incaricata una ditta di fare
l'impianto.
Gli spogliatoi sono finiti e... arriva la fattura.
Don Giovanni, fingendo di non averla ricevuta, va dal titolare della ditta: « Grazie signor B.; ho visto che i lavori sono finiti e che non mi
è arrivata nessuna fattura. La ringrazio di cuore perché non avrei proprio saputo come pagare...
»
Colto alla sprovvista, il buon signor B. capitola: « Niente niente, don Giovanni.
È un piacere... anzi, senta, se arriva qualche fattura la stracci, come se niente fosse ».
LADRO FRA I LADRI
Se parlaste della via Filippo Corridoni all'oratorio, difficilmente trovereste qualcuno che vi capisca. Per loro
è la via delle « due cinte » e basta. Una delle due cinte ha il difetto di dare su un frutteto notoriamente ben fornito.
Una sera don Giovanni, tornando dalle funzioni serali, vede uno dei suoi ragazzi che gira preoccupato sotto la famosa cinta.
« Cosa fai qui? ».
Il ragazzo si guarda attorno circospetto, poi, indicando con il pollice il frutteto: «
Il C. è dentro e non riesce più ad uscire ». La veste nera è subito sulla cinta, tende la mano e solleva il prigioniero e
così, cavalcioni al muro, gli fa un predicozzo:
« Prima di entrare a rubare le mele si guarda sempre di avere libera la ritirata, capito?
»
Poi, per giustizia, rivolto all'altro che attende fuori: « E tu, ricordati che
è ladro chi ruba, ma e ladro anche chi tiene il sacco! »
IL COMPAGNO DON GIOVANNI
Ogni città che si rispetti ha i suoi ubriachi, schiamazzatori notturni, agit-prop, eccetera; niente di strano dunque che anche a
Castellanza...
La notte del decimo anniversario di sacerdozio di don Giovanni, c'e un gran baccano in via Roma:
l'indiavolato arciprete si dimena e schiamazza, mentre i suoi giovani lo portano in trionfo su un triciclo
scalcagnato.
Nella via assonnata, qualche finestra si illumina, qualche naso spunta dalle imposte, qualche chioma arruffata fa capolino per scomparire subito in un rantolo di protesta.
La masnada delirante passa presso la caserma dei carabinieri e (figuratevi che chiasso!) riesce a rovinare il sonno
dei vigili tutori dell'ordine. Il maresciallo li insegue, inveisce contro la retroguardia, cerca di tacitare gli scalmanati.
Don Giovanni vede e interviene: la discussione degenera in alterco (al quale partecipano vivacemente dalle finestre le comari della contrada, svegliate
dall'improvviso silenzio).
Ed ecco il fattaccio: il maresciallo ingiunge al furente arciprete di seguirlo in caserma!
Un attimo di silenzio teso e ostile, poi il S. grida: « Se portano dentro don Giovanni, entriamo tutti. Avanti!
»
E il maresciallo s'incammina verso la caserma... solo.
DON GIOVANNI STAKHANOVISTA
È caduta la neve e l'oratorio si e diviso in due schiere di battaglianti. Palle di neve volano
da tutte le parti e chi ci rimette sono i vetri del bar; ma lasciamo perdere.
Don Giovanni non si tira indietro e ne prende tante e tante che il giorno seguente ha un febbrone
da cavallo.
Però come sempre non manca all'appuntamento: con secchi e badili è ancora al lavoro, con tanto di febbre.
È imprudenza? Forse. Però c'e anche un cuore grosso così...
Per finire, ecco una breve rassegna stampa su di lui. Anzitutto una testimonianza tratta dal numero di marzo 2007 del periodico dell'amministrazione comunale « Castellanza Viva »:
Chi l’ha conosciuto ricorda la sua capacità di cogliere le attitudini e le potenzialità di ogni giovane: indirizzava anche i ragazzi con qualche difficoltà a scuola verso l'occupazione più giusta, tanto che molti di questi hanno raggiunto grandi successi sul lavoro. Don Giovanni Tacchi insegna a chi ricopre il ruolo di educatore ad amare i giovani con le loro diversità, scovare e apprezzare le loro potenzialità, considerarli una ricchezza da custodire e valorizzare. Agli insegnanti ripeteva di essere severi, ma di non mortificare mai un bambino: sarebbe stato come ucciderlo!
Ed ecco un estratto di breve articolo del numero di ottobre 2007 del "Corriere dell'Alto Milanese":
Non è retorica affermare che Don Giovanni è sempre presente a Castellanza. Quando, giovanissimo, giunse in quella parrocchia deve essere successo una specie di "tsunami" nella coscienza dei parrocchiani e dei sacerdoti già presenti. A Don Giovanni non si poteva essere indifferenti. Sia che lo si vedesse immerso nella preghiera inginocchiato sul pavimento della chiesa in un modo che solo lui aveva, tale da essere tutt'uno con 1'ambiente, sia che ti guardasse attraverso le sue grosse lenti che mal nascondevano il sorriso buono dei suoi occhi azzurri. Che dire delle sue prediche? Dal pulpito tuonava parole di fuoco che colpivano l'ipocrisia farisaica dei castellanzesi e che ammutolivano di stupore i più giovani. Impossibile essere indifferenti a lui. Tutti lo amavano, anche chi organizzava dal Cral vicino alla chiesa le feste dell'Unità; anzi, i suoi amici più sinceri erano loro, i comunisti. A Don Giovanni nessuno poteva dire di no: il suo sorriso dolce di ragazzo cresciuto troppo in fretta, la sua zazzera di capelli biondocenere che non stava mai a posto e soprattutto il suo sguardo che ti entrava nel cuore e non ti lasciava più. Quando è morto ancora giovane, a soli 59 anni, certamente don Giovanni ha portato con sé un pezzo del cuore di Castellanza, di quella Castellanza strana che viene fuori di rado e solo quando viene a contatto con qualcosa di magico, quale era il mondo di questo sacerdote. Ciao, don Giovanni, anche per averci dimostrato nel tuo breve, intenso contatto terreno, che si può essere sacerdoti in un altro modo.
La lapide in ricordo di don Giovanni Tacchi e padre Vincenzo Soldavini nel cimitero di Lonate Pozzolo
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Ed ora, un ricordo di altri due coadiutori lonatesi.
(da "La Nona Campana", gennaio 2014)
Angelo Mario Maffioli è nato il 18 novembre 1933 a Busto Arsizio, nella zona Sant'Edoardo, da familiari di origine lombarda. Raccontava lui stesso il primo momento in cui avverti la vocazione: « da ragazzino, in prima elementare. Non sapevo ancora né leggere né scrivere, ma dicevo di voler "fare il don Ambrogio" » (don Ambrogio Gianotti, da Garbagnate Milanese, gli aveva insegnato con pazienza le parti della Messa con le risposte, allora in latino). Non lo stupiva questa chiamata così precoce, perché c'era un evento in cui aveva riconosciuto la mano della Provvidenza: « io sono un miracolato. Avevo tre anni, ero in fin di vita, un pediatra allargò le braccia e costatò che non avrei superato la notte. Mia madre, con atto di fede, pose la statuetta del Gesù Bambino di Arenzano sotto il mio cuscino. All'alba il pediatra tornò per stilare quello di cui era certo, ossia l'atto di morte; ed invece ero risanato da ogni malanno. Anni più tardi, dopo un'operazione al cuore, fui convalescente ad Arenzano; mi venne consentito di accedere alla biblioteca e lì, in un bollettino del Santuario, trovai il racconto della mia guarigione ».
Fu ordinato sacerdote il 21 giugno 1958 in Milano dal cardinal Giovanni Battisti Montini, futuro Papa Paolo VI, insieme ai suoi 37 compagni e ad alcuni missionari, e, dopo un primo incarico come vicerettore al collegio Sant'Ambrogio in Porlezza (1958-1962), trascorse quattro anni come coadiutore a Biassono, ove si dedicava all'oratorio femminile, favorendo lo sviluppo di molte attività, tra cui il teatro e la pallacanestro, con risultati lusinghieri.
Don Angelo nel marzo del 1966 venne destinato alla nostra parrocchia di Sant'Ambrogio: qui gli vennero affidati in particolare due compiti, quello di coadiuvare l'allora parroco don Eraldo Colombini nella conduzione dell'oratorio femminile e quello di assistere gli uomini di Azione Cattolica, settore nel quale seppe introdurre alcune novità, quali i ritiri spirituali in località appropriate.
Nel contempo don Angelo insegnò religione cattolica presso la Scuola Media locale, nella quale, stanti le sue qualità personali e la sua disponibilità, ricoprì per diversi anni la carica di vicepreside, ed organizzò anche un laboratorio di fotografia per i ragazzi. Dal 1972 subentrò a don Antonio Bosisio nel gravoso compito di sovrintendere al nuovo Oratorio maschile, che era stato inaugurato tre anni prima e che, a differenza del vecchio e piccolo oratorio di via Roma, disponeva di ampi spazi e di molte strutture.
Anche se tanti erano i collaboratori, giovani e adulti, le attività oratoriane assorbivano ogni sua energia, in quanto erano aperte a tutti (proprio a tutti!) i lonatesi: bambini, ragazzi, giovani e adulti, maschi e femmine, che là trovavano un ambiente sereno e un lungo di aggregazione. Agli incontri di preghiera e alla catechesi si affiancavano varie attività sportive e ludiche, che avevano l'obiettivo di "creare gruppo" e di educare a spendere il tempo libero in modo proficuo. In tale cammino si inseriscono anche le iniziative a livello caritativo, che hanno sempre avuto come scopo primario la sensibilizzazione ai problemi degli altri, nella convinzione che "donarsi" è non solo cosa buona, ma anche bella, perché fa sentire più ricchi e dà senso all'esistenza.
In appendice al lungo oratorio feriale, che era frequentato da moltissimi ragazzi, don Angelo attivò ogni anno due campeggi estivi in Valgrisanche, uno per i ragazzi delle Scuole elementari, un altro per i ragazzi delle Medie e per i giovani (qualcuno è potuto arrivare così sulla cima del Rutor...). Anche queste esperienze restano nell'animo di chi le ha vissute come i ricordi più belli di un'adolescenza che ha preparato alla vita nel contesto di una fede "giocosa" e di una maturità aperta al servizio delle esigenze dei giovani. Grande impegno richiedeva, poi, la festa di apertura dell'oratorio a settembre, con la fiaccolata votiva, parecchi giochi di squadra, l'irrinunciabile salita del palo della cuccagna, la caccia al tesoro automobilistica e la pubblicazione di "numeri unici" sulle attività, i problemi e le prospettive del "grande" Oratorio maschile.
Don Angelo incoraggiò e sostenne anche la tradizione del teatro dell'Oratorio, dando spazio anche ad alcune commedie e spettacoli in dialetto e allestendo, con animatori e giovani, spettacoli pieni di conforto e di speranza per i detenuti del vicino carcere "Bellaria". In ambito cittadino si occupò anche della programmazione cinematografica presso il Cinema Italia, nella cui sala promosse stagioni di cineforum e manifestazioni indimenticabili. Appassionato di fotografia, seppe trasfondere in altri l'arte fotografica, a quei tempi ancora poco praticata in paese a livello amatoriale, dando anche contributi personali per le pubblicazioni locali (come la maggior parte delle illustrazioni inserite nella "Storia di Lonate Pozzolo" di Gian Domenico OItrona Visconti, pubblicata net 1969). A lui, inoltre, si devono le prime foto di angoli poco conosciuti di Lonate, come l'interno del monastero di San Michele, dell'oratorio di San Pietro in via Oberdan, delle are romane conservate nel chiostrino della chiesa parrocchiale di Sant'Ambrogio, via via pubblicate sul notiziario parrocchiale "La Nona Campana", di cui egli per i primi anni curò la grafica, e quindi su questo sito.
L'elenco delle attività da lui promosse potrebbe essere ancora molto lungo ma, ora che ci ha lasciato, mi piace sottolineare soprattutto lo spirito con cui affrontava ogni iniziativa. Era lo spirito di una persona entusiasta, che sapeva promuovere valori umani dimostrando che la fede nulla toglie, ma anzi aggiunge pienezza alle esperienze quotidiane. La sua era una fede contenta che dimostrava l'inutilità di ricercare la felicità altrove e che accresceva la carica umana, già propria della sua natura, per farlo amico di tutti, senza pregiudizi. Chi lo ha ben conosciuto non si e sentito giudicato, ma soprattutto accolto e valorizzato nella sua persona, perché insieme si guardava avanti per raggiungere nuove tappe, per scoprire nuovi interessi, per superare difficoltà. Negli anni Settanta don Angelo risultò elemento determinante nella costituzione della sezione lonatese dell'AVIS, i cui componenti facevano prima riferimento alla sezione di Gallarate. Si può dunque ben dire che don Angelo abbia concretamente contribuito all'affinamento sia della cultura che della solidarietà dei Lonatesi.
Quando decise che era pronto per fare il parroco, l'indimenticabile monsignor Bernardo Citterio lo destinò alla parrocchia della Purificazione di Maria Vergine di Cocquio Trevisago. Così don Angelo scrisse nel 1999 per il libro celebrativo dei trent'anni dell'Oratorio maschile: « Per me ricordare gli anni belli, gioiosi, vissuti (non solo passati) fra le mura fresche di costruzione dell'Oratorio di Lonate, vuol dire sentirmi immerso in un mare di piacevoli sensazioni. Oggi che vivo una realtà diversa, ancora ritrovo la stessa forza di allora, lo stesso entusiasmo di allora... anche nel ricordo delle esperienze fatte nell'oratorio di Lonate, che sono rimaste parte integrante della mia attività di oggi ». Don Angelo festeggiò nel 2008 il cinquantesimo di sacerdozio, e il 18 novembre 2013 avrebbe compiuto 80 anni, ma il Signore lo chiamò a Sé il 12 novembre di quell'anno. Nel ricordo degli undici anni da lui trascorsi tra di noi a Lonate, dal 1966 al 1977, rivolgiamogli il nostro affettuoso grazie.
Ed ora, una notizia che riguarda un altro sacerdote lonatese. Ad Alassio, con una delibera della Giunta Comunale del 18 ottobre 2011, è stata decisa l'intitolazione di una piazza a don Ermanno Piantanida, a quasi 30 anni dalla morte. Nato a Lonate nel 1930, don Ermanno ha lasciato un ricordo grato e riconoscente nella città ligure, come testimoniano anche le parole della delibera comunale: « Era una figura molto amata non solo dalla Comunità a lui affidata, ma da tutta la popolazione alassina per la sua umanita e per il suo costante impegno... » Giunto ad Alassio nel 1965, proveniente dalla parrocchia di Giustenice (SV), don Ermanno venne destinato alla parrocchia di San Vincenzo dove restò per 19 anni, sino alla morte nel 1984. Una Comunità parrocchiale, questa, che era appena stata costituita e che necessitava di molte attenzioni ed energie, nella quale don Ermanno spese la sua vita di sacerdote. E di questo suo spendersi, evidentemente, è rimasto un ricordo profondo. La decisione di un'associazione locale di chiedere (ed ottenere) l'intitolazione di una piazza a questo sacerdote è un segno tangibile dell'affetto che ancora circonda la sua figura, a distanza di anni. È significativo, inoltre, che la piazza a lui dedicata non sia una piazza qualunque, ma quella antistante la chiesa San Giovanni Battista, costruzione voluta ed iniziata da don Ermanno negli anni '80 per meglio rispondere alle nuove esigenze dovute alla rapida espansione urbanistica della parrocchia.
(da "La Nona Campana", agosto-settembre 2011)
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Don Antonio Bosisio, foto di Cesare Barzaghi
Sabato 16 luglio 2011 è mancato al nostro affetto don Antonio Bosisio, 79 anni, coadiutore della Parrocchia di Lonate per vent'anni, dal 1958 al 1978, poi parroco a Bardello e quindi confessore presso il Santuario di Saronno. Subito dopo aver ricevuto questa triste notizia, mi sono tornati alla mente tanti ricordi legati alla sua persona e alla sua vita di sacerdote della chiesa ambrosiana, donata sempre senza risparmiarsi fino all'ultimo.
« Dopo nove anni di preghiere e di suppliche ,ecco che l'Arcivescovo ci ha concesso un secondo coadiutore nella persona del sacerdote don Antonio Bosisio di Fabbrica Durini, levita novello. L'abbiamo destinato all'oratorio maschile, mentre don Luigi Della Rossa sarà addetto alla chiesa e all'oratorio femminile. Mentre ringraziamo il Signore di averci dato don Antonio (che è davvero un buon prete e la popolazione già ammira per il suo zelo) porgiamo a lui gli auguri più belli perchè possa trovarsi bene in mezzo a noi e far tanto e tanto bene, soprattutto ai ragazzi ed ai giovani. »
È con queste parole, riprese dal bollettino parrocchiale dell'agosto 1958, che don Antonio diventò uno di noi. All'oratorio maschile don Antonio rimase dal 1958 al 1972, prima nella vecchia sede oratoriana di via Roma 8, e dal 1969 nella nuova struttura di viale Giovanni XXIlI, abitando sempre nei locali oratoriani. Nel 1972 passò all'oratorio femminile, andando ad abitare in un edificio di proprietà parrocchiale in via San Fortunato.
All'oratorio maschile si susseguivano secondo tradizione le attività catechistiche, formative, sportive. Attenzione particolare veniva dedicata all'Azione Cattolica in tutte le sue ramificazioni (Aspiranti, Juniores, Seniores). Seguiva personalmente gli incontri che si sviluppavano sulla traccia dei testi programmatici nazionali.
L'attività oratoriana più significativa era concentrata alla domenica pomeriggio, sviluppandosi in forma di lezioni di catechismo per classi sia nell'attigua chiesa di Santa Maria sia nei pochi locali oratoriani; seguiva a classi riunite, nella chiesa, il canto dei Vesperi della Madonna in latino e la benedizione. Don Antonio abituò i ragazzi alla confessione settimanale. Il sabato pomeriggio, dalle 15 alle 17, il suo confessionale era affollato da ragazzi e adolescenti. Seppe sensibilizzarne alcuni all'attività dei missionari e formò il Gruppo Missionario. Uno dei suoi motti era: "Sálva l'anima, ul rèst l'e tóla".
Con ogni probabilità don Antonio contribuì alla chiarificazione della vocazione sacerdotale di mons. Mario Spezzibottiani. Si ricordano le sue frequenti conversazioni appartate con Mario ragazzetto su una panchina del vecchio oratorio. Impegno particolare, e quindi collaborazione di molti giovani, richiedevano l'oratorio feriale, i tornei serali di calcio, la festa inaugurale dell'anno oratoriano detta "Festa di San Luigi": quest'ultima con cuccagna, pignatte, corsa nei sacchi, corse a piedi e in bici, eccetera. Da ricordare le gite in pullman ai Sacri Monti o in montagna. Per tenere agganciati e informati delle attività oratoriane i giovani che andavano in servizio militare, promosse l'idea di fare, come si fece, un giornalino ("La Ramazza") che venne spedito periodicamente a loro.
Essendo innamorato della montagna, organizzava per i ragazzi almeno due gite all'anno: una invernale sulla neve, una estiva. A titolo personale, poi, nelle poche giornate libere, con pochi affezionati, faceva gite decisamente più impegnative (camminate fino a 8 ore al giorno), soprattutto in Val d'Aosta.
Per il suo attaccamento alla Bibbia amava partecipare annualmente a settimane di studio e di approfondimento, organizzate dall'Associazione Biblica Italiana (ABI) in varie regioni d'Italia. Tale sua sensibilità riversava talora anche nelle conferenze e nelle omelie.
Su impulso diocesano don Antonio attivò a Lonate il Circolo Giovanile. "Una soluzione per te, giovane di buona volontà, il Circolo Giovanile" è il titolo di uno dei rarissimi articoli cui don Antonio appose la sua firma. L'articolo apparve nel gennaio 1966 nel notiziario parrocchiale "La Nona Campana". Scriveva: « Ormai non sei più un bambino... Senti che in te e intorno a te qualcosa e cambiato... In questa corsa o fuga pazzesca dal tuo ambiente naturale, che cosa potresti trovare? Il bar, la sala del cinema o della televisione, le strade larghe e facili... È cosi! Non dirmi esagerato. Non dirmi che questo vale per altri ma non per te. Se così fosse, incomincerei a dubitare della tua sincerità o, per lo meno, della tua normalità. Tutti noi siamo fatti per vivere in società e portare, ciascuno secondo le sue doti, il proprio contributo alla costruzione di un mondo migliore, pena l'impoverimento fallimentare della propria personalità e il tradimento della comunità umana. E allora... eccoti il Circolo Giovanile, associazione di giovani generosi ed entusiasti che sotto la forma di democratica collaborazione e attraverso attività religiose, culturali e sportive, cercano di perfezionare la propria personalità umana e cristiana. Coraggio dunque! Medita bene quanto ti ho detto e, se ti senti di entrare come membro attivo e dinamico in questa associazione, vieni subito in via Roma 8. » L'invito riscosse circa un centinaio di adesioni ,e il Circolo sviluppò le sue attività per diversi anni.
Negli anni 1966-67, grazie al suo dinamismo, don Antonio inventò la grande compagnia degli Issimi, denominazione derivata dalla coda degli aggettivi superlativi positivi. Il gruppo, formato come si legge nel bollettino parrocchiale da "ragazzi e ragazze in gamba, dai 7 ai 13 anni, sempre pronti ad aderire ad ogni manifestazione oratoriana ideata e promossa dal nostro missilistico don Antonio", raccolse quasi 500 adesioni. Il gruppo proponeva e attuava manifestazioni di vario carattere: ricreative, sportive, culturali, eccetera.
Il vecchio parroco don Antonio Tagliabue aveva richiesto alle autorità diocesane per Lonate Pozzolo un sacerdote che sapesse di musica. Durante i vent'anni di permanenza a Lonate, don Antonio motto si adoperò, essendo un fine estimatore della musica soprattutto sacra, per dar vita da subito a un gruppo di cantori per l'accompagnamento delle funzioni liturgiche. Nei primi anni formò un coro di voci bianche, "I Piccoli Cantori", ragazzi tutti maschi, per la cui bravura i1parroco don Eraldo Colombini (altro estimatore della musica) avrebbe voluto presenziassero a una rassegna di cori in programma a Roma. Don Antonio per la sua innata ritrosia non accolse l'invito: sicuramente avrebbe fatto bella figura come formatore del gruppo. Successivamente don Antonio radunò adulti, sia maschi che femmine, in una Schola Cantorum, coro a quattro voci miste, che egli segui fino alla sua partenza da Lonate. La precedente Schola Cantorum era formata solo da maschi. Diffondeva anche nei giovani la passione per la musica. Si ricorda che ne portò un bel gruppo al Palazzetto dello Sport di Varese per l'ascolto della Passione secondo Matteo di Bach, interpretata da una formazione canoro-strumentale transalpina.
Stante il suo carattere, presentava, sempre delineate in modo molto netto, le sue proposte ed aveva difficoltà ad accettare le obiezioni sollevate dai giovani dell'oratorio, obiezioni che egli considerava quasi un rifiuto. Tanto che una volta usci con l'espressione "Cumpagniä da fréc!" e abbandonò l'incontro.
Il suo carattere si esprimeva anche in forme particolari di dinamismo. Una vignetta che raffigura un prece con il secchiello dell'acqua santa e un chierichetto che non gli sta al passo, ha la seguente didascalia: "Pista!... Piè veloce e solo un sinonimo per chi dinamico e velocissimo corre di casa in casa a portare la benedizione del Signore. Chi sarà mai?". Ogni lonatese non poteva non capire che il riferimento era a don Antonio. Per i suoi spostamenti, in paese e fuori, usava inizialmente un vespino e successivamente una Seicento.
E questa "concentrazione" nell'operare si esprimeva anche nella celebrazione delle messe festive che mai superavano la mezz'ora, predica compresa. Le prediche, sostanziose e sintetiche, senza lungaggini e ripetizioni, erano da lui preparate in tale ottica, e quindi particolarmente gradite da molti fedeli.
Nel 1969 si trovò ad affrontare la complessa gestione del nuovo oratorio maschile. Era una struttura molto più ampia della precedente, dotata di diversi impianti sportivi (campi di calcio, di tennis, di bocce, ecc.), frequentato da persone eterogenee, dato l'avvenuto inserimento nella struttura anche del Circolo San Giuseppe con funzione anche di bar oratoriano, aperto tutte le sere fino a tarda ora. Per questo preferì, nel 1972, essere incaricato di seguire la gioventù dell'oratorio femminile, trasferita nella sede lasciata libera dall'oratorio maschile, opportunamente ristrutturato. Lì operò fino al 1978, seguendo in particolare i gruppi femminili di Azione Cattolica. Le giovani di Azione Cattolica avevano imparato ad apprezzarlo fin dagli anni precedenti, quando, appena giunto a Lonate, don Antonio si era messo a loro disposizione per la distribuzione dell'Eucaristia all'alba. Essendo impegnate nel lavoro a squadre presso le tessiture locali a partire dalle ore 6 antimeridiane, non potevano presenziare alle messe che allora si facevano solo al mattino. Don Antonio era ogni giorno presente in chiesa, puntualissimo alle ore 5.45, per distribuire loro la comunione.
Dopo vent'anni di zelante servizio nella nostra parrocchia, don Antonio chiese di essere promosso parroco, richiesta che venne esaudita, come risulta dal messaggio del cancelliere arcivescovile don Giuseppe Ponzini. « Mi faccio dovere comunicarLe che il sacerdote don Antonio Bosisio, Suo coadiutore, in data 7 giugno 1978, e stato nominato da Sua Eminenza, il Cardinale Arcivescovo, parroco di Santo Stefano in Bardello." »
E ora, veniamo a me. Don Antonio, accanto a don Eraldo, è stata una persona determinante per il mio cammino vocazionale. Quando arrivai a Lonate all'età di 14 anni, fu lui che mi inserì nella vita dell'oratorio, affidandomi piccole attività e rendendomi responsabile. Agli inizi del mese di maggio era ancora lui che mi invitava a far parte di quelli che introducevano il canto delle Litanie dopo la recita del Rosario. Grazie al suo incoraggiamento sono entrato anche nel gruppo della Corale, e poi dell'azione Cattolica.
Ma certamente prima di tutto Don Antonio mi indirizzava lentamente a fare una scelta religiosa che mi avrebbe segnato completamente la mia vita. Questa scelta maturava con la preghiera,con una vita liturgica attiva, con la partecipazione agli esercizi spirituali a Triuggio, con una partecipazione attiva alla vita dell'oratorio, con gli incontri personali e poi con altri giovani e con le visite ai Missionari Comboniani di Venegono.
Lo rivedo sgattaiolare qua e là nel campo dell'oratorio, giocatore di pallone. E poi in chiesetta per guidare i vesperi della domenica, e in Chiesa Parrocchiale a suonare l'organo alle diverse messe, alle prove di canto in occasione delle diverse Solennità. Me lo vedo davanti con la vespa, sua amica inseparabile nei primi anni del ministero come coadiutore, che avrebbe poi sostituita con la macchina. Lo vedevi sgattaiolare per le strade di Lonate durante il periodo della Benedizione delle case in Avvento. Un piccolo fulmine.
Certamente il ricordo più bello è legato alla sua presenza a Londra quando venne con don Eraldo per la mia ordinazione a Diacono. Gli sprizzava gioia dagli occhi. Quel quattordicenne un po' sperduto che aveva accolto con simpatia un giorno d'inverno e che poi aveva seguito, era diventato diacono e di lì ad un anno sacerdote missionario. E non mancò di essere presente alla mia prima Messa a Lonate, il 25 giugno 1989.
Ora certamente incontrerà quel Signore Gesù che Lui ha tanto amato e servito con generosità, e sarà in buona compagnia con Monsignor Spezzibottiani e Monsignor Eraldo Colombini, un trio che sono sicuro pregheranno per la nostra Parrocchia di San Fortunato.
Padre Angelo Anzioli
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