Mentre Alessandro costruisce il suo colossale impero, in grado di conglobare tutte le principali civiltà del mondo antico, e mentre i Diadochi si danno da fare per amministrarne le singole porzioni in accordo con le tradizioni etniche locali, all'esterno di esso anche gli eterni nemici di queste civiltà si vanno organizzando per spartirsi ampie fette di questa monumentale torta, esattamente come i ladri si fanno sempre più agguerriti ed organizzati, man mano che il bottino cresce di valore. E questi nemici storici sono le fortissime compagini nomadiche nelle steppe.
La steppa erbosa che si stende dall'Europa Orientale sino al Mar Giallo è la patria di popoli nomadi la cui economia è basta sull'allevamento in comune del bestiame. Le famiglie, di tipo patriarcale, sono riunite in clan non da vincoli di sangue o territoriali, ma da interessi comuni (protezione contro le forze della natura, difesa dalle tribù nemiche...); i clan sono riuniti in tribù e queste in orde. Caratteristiche di questi popoli nomadi sono l'assolutismo dispotico dei loro governanti, il talento organizzativo, gli ambiziosi piani di conquista e la formazione di imperi su basi federative: il nemico vinto si trasforma in alleato se si assoggetta e sposa gli interessi dell'orda, e questo grazie alla totale assenza, in questi barbari, di pregiudizi razziali.
Alla testa dell'orda, guidata da guerrieri liberi e di pari diritti, sta il Principe o Khan; spesso, per questi principi il mestiere dell'armaiolo costituisce il primo gradino della loro ascesa. Perché? Perché il fabbro è considerato tramite tra gli uomini e gli dei, che gli insegnano i misteri della sua arte, tanto che il fabbro diventa l'eletto dei numi (anche Vulcano, secondo i Greci, è il fabbro degli dei). L'ampio orizzonte della steppa orienta infatti verso il cielo lo sguardo dei popoli "che tendono l'arco" (come essi stessi si definiscono): il cielo da cui proviene la pioggia che dà la vita ai pascoli ed agli armenti. Il rapporto degli uomini della steppa con la divinità è incarnato dagli sciamani, eremiti dotati di poteri taumaturgici, che nell'estasi indotta da sostanze stupefacenti riescono a comunicare con l'Aldilà e con le anime degli antenati. Questa religione sciamanica finisce sempre con il prevalere sulle religioni superiori (ebraismo, buddismo, zoroastrismo, ecc...) che penetrano nella steppa, o perlomeno coesiste con esse (sincretismo).
L'unico mezzo di orientamento nella sconfinata vastità della steppa sono le stelle, che appaiono ruotare intorno alla stella polare, chiamata dai nomadi "l'ombelico del mondo". Sotto di essa il khan pone idealmente il suo trono, e tutti i suoi domini ruotano attorno a lui come le stelle del cielo. Da questa concezione deriva la missione di cui il capotribù nomade si sente investito: assoggettare e pacificare "i quattro angoli del mondo". A differenza di Alessandro il Grande, tuttavia, tutti i khan falliscono in questa missione non appena conducono i loro popoli fuori dalle steppe ed urtano contro le culture cittadine dell'Europa e delle valli dei fiumi Nilo, Eufrate, Tigri, Indo, Gange, Mekong, Yangtze Kiang e Hwang Ho.
Questo sarà anche il destino degli Unni, stirpe mongolica inizialmente stanziata nella regione del lago Bajkal. Dopo la batosta subita dai cinesi sotto la guida di Alessandro Magno, per qualche anno essi restano buoni buoni nelle loro tane in mezzo alla steppa, ma presto riprendono le loro scorrerie e tormentano le valli cinesi, fino al punto di assalire e bruciare Han-Tan, capitale dell'ex regno ed ora satrapia di Chao, una delle più settentrionali (296 a.C.). Alessandro II, che proprio in quell'epoca sta visitando l'estremo oriente dell'impero paterno, affida al leggendario generale Cheng Ch'in il compito di debellarli; questi li scaccia dalla Cina settentrionale in sei anni di dure guerre. Onde prevenire futuri attacchi in quella direzione, Alessandro il Grande da Babilonia decide la costruzione di una Grande Muraglia in muratura per arginare le scorrerie dei Mongoli; egli non vedrà mai il completamento di tale opera straordinaria, perché verrà ultimata solo nel 221 a.C., per un totale di 5000 Km ed un numero incalcolabile di perdite umane tra gli operai.
Scacciati dalla Cina, gli Hsiung-nu capiscono che da quella parte la porta ha un catenaccio non facilmente forzabile, e così, alla ricerca di nuovi pascoli, anche a causa dell'inaridimento progressivo del clima dovuto ad un periodo interglaciale caratterizzato da temperature particolarmente elevate tra il 300 a.C. ed il 1000 d.C., si riversano verso occidente, fondando im vasto Impero nomadico dalla catena dell'Asia centro-settentrionale a quella sud-occidentale. Essi dilagano nel Turkestan, praticamente privo di difese naturali verso nord, e radono al suolo la splendida città di Samarcanda (286 a.C.) Stavolta contro di loro si para Antioco I, figlio di Seleuco Nicanore, che se l'è associato al trono nel governo dei suoi immensi domini indiani: per prevenire l'invasione della Battriana (Afghanistan) e quindi delle pianure dell'Indo e del Gange, egli varca l'Oxo ed infligge loro una grave sconfitta presso Bukhara, annettendo tra l'altro la Zungaria; è per questo che riceve l'appellativo di "salvatore".
Battuto per
due volte in modo così grave, chiunque di noi si sarebbe dato per vinto ed
avrebbe rinunciato, ma non gli Unni, che riescono a trovare in Rua
un grande capo carismatico in grado di promettere loro di fare man bassa delle
ricchezze del mondo civile arroccato sulle sponde del Mediterraneo e del Golfo
Persico. Dopotutto, l'unico confine tra il mondo civilizzato dai Greci (e dai
Romani loro alleati) ed il turbinoso oceano delle steppe sconfinate sono i due
fiumi Reno e Danubio, ed anzi la Dacia si trova al di qua di quest'ultimo;
così, Rua punta a sfondare questo labile confine dell'Impero di Alessandro per
riversarsi (come poi è avvenuto nel "nostro" ergocronotopo) su Roma
sulle penisole greca ed anatolica.
Peraltro, proprio in quegli anni a nord del Danubio si va formando un Impero Germanico egemonizzato dai Goti, popolazione con cui già Nearco e Siracide hanno avuto a che fare, inizialmente stanziato in Scandinavia (ancor oggi esiste in Svezia la città di Göteborg). Proprio in corrispondenza con la sconfitta e la sedentarizzazione dei Celti, loro nemici storici, da parte di Demetrio ed Alessandro, essi varcano il Mar Baltico e conquistano lo Jutland, lo Schleswig e poi le coste del mar Baltico, per poi dilagare in tutta la regione cui essi danno il nome di Gotia o Germania. Il capo goto Ermanrico fonda il loro regno esteso dai Paesi Bassi fino ai monti Tatra, ma esso viene annientato dall'arrivo delle orde del Khan Rua. Allora essi premono contro le frontiere dell'Impero di Alessandro, ma il conole romano e vicerè d'Italia, Appio Claudio Cieco, già costruttore della via Appia, invia contro di loro il generale Cornelio Cinna ed il mercenario spartano Santippo, i quali con l'aiuto di truppe galliche ed elvetiche sconfiggono i Goti presso Magonza, ricacciandoli al di là del Reno (283 a.C.). Allora Ermanrico cambia tattica e si propone come alleato ed ausiliario dell'Impero se questo lascerà stanziare il proprio popolo all'interno dei suoi confini. Appio Claudio fornisce parere positivo e l'ormai anziano Alessandro da Babilonia accetta, cosicché i Goti possono stanziarsi nella Gallia orientale, nel Belgio e nella Rezia, purchè difendano i confini della Rezia. Ma Rua non si accontenta e, approfittando della morte di Santippo in uno scontro con gli Elvezi, poco favorevoli a dividere il loro territorio con i brutali Germani che tanto a lungo li hanno vessati, varca il Reno e penetra in Gallia come un coltello nel burro. E' la primavera del 282 a.C.
Ma Rua ancora una volta ha fatto male i suoi conti, perchè Cornelio Cinna, Ermanrico, il capo gallico Vercingetorige figlio di Orige ed Antigono Gonata, il valoroso figlio di Demetrio Poliorcete che ha ereditato dal padre il vicereame balcanico, si coalizzano tutti contro di lui. Schiacciati dall'unione delle falangi greche, romane, celtiche e germaniche, Rua subisce una disastrosa sconfitta ai Campi Catalaunici, presso Troyes. Il khan cade in battaglia, ed i resti della sua orda sono costretti ad una fuga precipitosa verso oriente. Solo due popoli si fermano per strada: gli Avari, che occupano l'attuale Slovacchia, e i Bulgari, che con gli Uighuri fondano un loro regno nella Russia meridionale. Ermanrico è lui pure caduto in battaglia ed il suo popolo è stato decimato, tanto che potrebbe essere alla mercé dei celti e dei grecoromani, ma Alessandro si mostra un'altra volta magnanimo: suo figlio Arderico ha la possibilità di varcare di nuovo il Reno e di rioccupare la Germania, governandola a nome del Macedone. L'Impero si estende così ulteriormente, inglobando la Gotia come regno federato; il nuovo confine è stabilito sulla linea dell'Oder; la regione più ad est è occupata dai Venedi, gli antenati degli Slavi. Parte dei Germani resta però al di qua del Reno: sono i Franchi, che fondano una loro satrapia nel Belgio e nella Gallia settentrionale, ed i Gepidi, che si stanziano in Pannonia e in Dacia.
Questa è l'ultima delle grandi battaglie combattute sotto il regno di Alessandro I Magno: nel 282, infatti, egli ha 74 anni. I principali protagonisti delle sue campagne se ne sono già andati tutti o stanno per andarsene. Seleuco I Nicanore è morto l'anno prima, nel 283 a.C., e nello stesso anno si è spento l'intrepido Demetrio Poliorcete, a cui è succeduto il già citato figlio Antigono Gonata, fondatore della dinastia degli Antigonidi. Nel 280 a.C. si spegne ad Alessandria Tolomeo I, lasciando il vicereame al figlio, Tolomeo II Filadelfo, cosiddetto per aver ordinato l'uccisione del fratello. Nonostante il nomignolo poco invitante, è lui ad ordinare l'istituzione della celeberrima Biblioteca di Alessandria. Callistene rientra ad Atene per trascorrervi gli ultimi anni, lasciando il titolo di ammiraglio dell'Atlantico e del Mediterraneo al figlio Aristodemo; Onesicrito invece è perito in un naufragio nel corso di una tempesta tropicale, nel 285 a.C., mentre sta costeggiando l'isola di Sumatra. Fin dal 290 a.C. Siracide ha chiesto ad Alessandro il permesso di lasciare la corte e si è ritirato a Gerusalemme, la città santa, dove secondo la tradizione morirà centenario (proprio durante il suo eremitaggio gerosolimitano egli scrive in ebraico quello che oggi è conosciuto come libro del Siracide, poi tradotto in greco da un suo pronipote e diventato canonico per i Cristiani). Appio Claudio Cieco invece si ritira a vita privata nella sua villa di campagna nel 279 a.C.; la leggenda asserisce che verrà accecato dagli dei, irati per le sue innovazioni in campo religioso (vorrebbe unificare il pantheon grecoromano con quello celtico e quello germanico).
Ma anche Alessandro II si spegne prima del padre, nel 278 a.C., a 49 anni (c'è chi ha parlato di avvelenamento, ma non se ne sono mai trovate le prove). Malato di gotta e di pleurite cronica, ormai costretto a spostarsi su quella che è un'antesignana della moderna sedia a rotelle, a colui che ha fulminato il globo con le sue conquiste non resta che associarsi al trono Alessandro III, il suo ventitreenne nipote, figlio del secondo Alessandro e della figlia minore di Chandragupta, mandata in ostaggio a Babilonia (sposando entrambi due figlie di questo grande maragià indiano, si era creata l'imbarazzante situazione per cui padre e figlio erano divenuti cognati!) Tormentato dai malanni, dalla fine di tutti i suoi amici e compagni e dalla nostalgia per le irripetibili imprese portate a termine, Alessandro il Grande si spegne a Babilonia il 20 maggio del 276 a.C., all'età di ottant'anni. Per sua stessa richiesta, viene sepolto in un luogo sconosciuto e per secoli invano ricercato dagli archeologi.
Secondo i detrattori, nell'ora della morte gli appare lo spettro dell'amico Clito, da lui ucciso cinquant'anni prima durante uno scatto d'ira, ma si tratta di una leggenda messa in giro da chi, invidioso della sua potenza se amico, ribelle al suo incontrastato dominio se nemico, gioisce nel vedere la decadenza di colui che mise in ginocchio il pianeta con le sue falangi. Certamente è un merito e non una colpa, quella di aver unificato tutto il Continente Antico in un'unica entità statale, veicolo di cultura e di civiltà, e sicuro baluardo contro le scorrerie dei popoli delle steppe. Non dimentichiamo comunque che, se Alessandro il Grande fu così grande, ciò avvenne anche perché, oltre ad essere egli stesso un insuperabile capo militare, dotato di indubbio genio e capacità di adattarsi ad ogni situazione e ad ogni nemico che si trovava di fronte, si poté giovare dell'appoggio di un consigliere intelligente come il figlio di Sirac, capace di trasformare in amici ed alleati quelli che erano stati i suoi nemici giurati, e di altri notevolissimi generali e conquistatori, da Tolomeo a Seleuco Nicanore a Demetrio Poliorcete.
Ad ogni modo, con le sue conquiste e le sue esplorazioni egli ha inaugurato una nuova era nella storia dell'uomo: quella dell'ellenismo. La cultura ellenica, sull'onda delle armate Macedoni e dei coloni che si sono stabiliti nelle città da lui fondate, si diffonde fino agli angoli più remoti del mondo conosciuto, sovrapponendosi (pur senza cancellarla) a quella persiana, a quella cinese, a quella etiope, a quella celtica e a quella germanica. A trarne vantaggio saranno soprattutto i due eredi naturali delle imprese del figlio di Filippo II: gli Indiani a est, i Romani ad ovest.
Alessandro non prevede nulla degli sviluppi a cui avrebbero portato le sue imprese, né tanto meno delle polemiche che le sue azioni avrebbero scatenato nei contemporanei e nei posteri. Per alcuni è un eroe, governante saggio, geniale condottiero, scopritore di nuovi mondi, propugnatore dell'integrazione dei popoli. Per altri è un sognatore pazzo, imbevuto di idee di eroismo, prese dall'Iliade, il suo libro prediletto, che lo avrebbero spinto a inseguire la gloria per se stessa, in un sogno senza risvegli per tutta la sua vita. Altri ancora lo considerano poco più che un criminale saccheggiatore, estremamente fortunato nelle azioni militari, spesso crudele verso i vinti, spietato con i suoi stessi amici e compagni d'arme a cui doveva il suo successo, intemperante nei confronti del vino e dei piaceri. Le controversie sulla sua reale "grandezza" non finiranno probabilmente mai, anche se nessuno può negare che, nel bene e nel male, occupa un posto nella storia che nessuno gli potrà sottrarre.