« Si direbbe che l'universo stesso stia subendo gli effetti di una sorta di esplosione in cui ogni galassia sta allontanandosi da ogni altra galassia. [...]Questa interpretazione venne universalmente recepita dopo il 1929, quando Hubble annunciò di avere scoperto che lo spostamento verso il rosso delle righe spettrali delle galassie aumenta press'a poco in proporzione alla loro distanza da noi. [...]. Dovremmo attenderci, intuitivamente, che in un dato momento l'universo presenti lo stesso aspetto a tutti gli ipotetici osservatori che lo scrutino da tutte le galassie tipiche, qualunque sia la direzione verso cui si rivolge il loro sguardo. (Qui uso l'espressione "tipiche" per designare galassie che non abbiano alcun apprezzabile moto peculiare ma siano semplicemente trasportate nel generale flusso cosmico). È un'ipotesi così naturale (almeno dopo Copernico), che l'astrofisico inglese Edward Arthur Milne l'ha definita il Principio cosmologico.
Nella sua applicazione alle galassie, il Principio cosmologico presuppone che un osservatore situato in una galassia tipica veda tutte le altre galassie muoversi con la medesima distribuzione delle velocità, qualunque sia la galassia tipica su cui l'osservatore sta viaggiando. Una diretta conseguenza matematica di questo principio è che la velocità relativa di due galassie scelte a piacere dev'essere proporzionale alla distanza che le separa, proprio come riscontrò Hubble.
Consideriamo, ad esempio, tre galassie tipiche A, B e C, disposte su una linea retta. Supponiamo che la distanza fra A e B sia uguale alla distanza fra B e C. Quale che sia la velocità di B vista da A, il Principio cosmologico richiede che C abbia la stessa velocità rispetto a B. Ma si osservi allora che C, che dista da A il doppio della distanza fra A e B, sta anche muovendosi, rispetto ad A, con una velocità doppia di B. Possiamo aggiungere altre galassie alla nostra catena, e il risultato sarà sempre che la velocità di recessione di ogni galassia relativamente alle altre è proporzionale alla distanza che le separa.
Come spesso accade in ambito scientifico, quest'argomento può essere usato sia in avanti sia all'indietro. Accertando una proporzionalità fra le distanze delle galassie e le loro velocità di recessione, Hubble verificava indirettamente l'esattezza del Principio cosmologico. Questo fatto è, da un punto di vista filosofico, quanto mai soddisfacente: perché una parte o una direzione particolari dell'universo dovrebbero differire da qualsiasi altra? Ci assicura, inoltre, che gli astronomi stanno realmente osservando una considerevole porzione dell'universo, non un mero vortice locale compreso in un più vasto « Maëlstrom » cosmico. Inversamente, possiamo considerare il Principio cosmologico come garantito a priori e dedurne la relazione di proporzionalità tra distanza e velocità, come abbiamo fatto nel precedente capoverso. In tal modo, attraverso un procedimento relativamente semplice qual è quello della misurazione degli spostamenti Doppler, siamo in grado di valutare la distanza di oggetti lontanissimi sulla base della loro velocità.
A prescindere dalla misurazione degli spostamenti Doppler, il Principio cosmologico poggia su un altro supporto offerto dall'osservazione. Pur tenendo conto delle distorsioni dovute alla nostra galassia e al non lontano copioso ammasso di galassie appartenente alla costellazione della Vergine, l'universo appare notevolmente isotropo; presenta cioè lo stesso aspetto in tutte le direzioni. Ma da Copernico in poi abbiamo imparato a diffidare della supposizione che l'ubicazione dell'umanità nell'universo abbia un significato speciale. Se dunque l'universo è isotropo intorno a noi, dovrebbe essere isotropo anche intorno a ogni galassia tipica. Ma ogni punto dell'universo può essere trasportato in qualsiasi altro punto da una serie di rotazioni intorno a centri fissi; se l'universo è isotropo intorno a ogni punto, necessariamente è anche omogeneo.
Prima di procedere oltre, occorre aggiungere qualche precisazione a proposito del Principio cosmologico. Innanzitutto, non vale ovviamente su piccola scala: noi ci troviamo in una galassia che appartiene a un piccolo gruppo locale di altre galassie (comprendente la M31 e la M33), il quale a sua volta si trova in prossimità dell'enorme ammasso di galassie della Vergine. In effetti, delle 33 galassie elencate nel catalogo di Messier, quasi la metà sono concentrate in una piccola parte del cielo, la costellazione della Vergine! Ammesso che sia valido, il Principio cosmologico entra in gioco solo dal momento in cui consideriamo l'universo su una scala almeno pari alla distanza tra ammassi di galassie, equivalente a circa 100 milioni di anni-luce.
Veniamo a un'altra puntualizzazione. Usando il Principio cosmologico per derivarne il rapporto di proporzionalità tra velocità e distanze delle galassie, abbiamo supposto che se la velocità di C rispetto a B è uguale alla velocità di B rispetto ad A, allora la velocità di C rispetto ad A è doppia della prima. Questa è la regola consueta per una somma di velocità familiari a noi tutti, una regola che senza dubbio funziona benissimo per le velocità relativamente modeste della vita quotidiana. Ma che non vale più per velocità prossime alla velocità della luce (300 000 chilometri al secondo); se così non fosse, sommando un certo numero di velocità relative, potremmo ottenere una velocità totale maggiore di quella della luce, ciò che non è consentito dalla Teoria speciale della relatività di Einstein. Per esempio, la regola abituale per la somma delle velocità ci dice che se un passeggero, su un aereo che volasse a una velocità pari a tre quarti della velocità della luce, sparasse in avanti un proiettile la cui velocità fosse anch'essa pari a tre quarti della velocità della luce, la velocità del proiettile rispetto al suolo risulterebbe pari a una volta e mezzo la velocità della luce, il che è impossibile. La relatività speciale evita questo problema modificando la regola per la somma delle velocità: la velocità di C rispetto ad A è in realtà un po' minore della somma delle velocità di B relativamente ad A e di C relativamente a B, secondo una formula tale che, per quante velocità inferiori a quella della luce noi sommiamo, non otterremo mai una velocità superiore a quella della luce.
Nessuno di questi problemi esisteva per Hubble nel 1929; nessuna delle galassie da lui studiate allora aveva una velocità prossima a quella della luce. Oggi, invece, quando i cosmologi meditano sulle smisurate distanze caratteristiche dell'universo nel suo complesso, devono operare in una cornice teorica in grado di ammettere velocità che si approssimano a quella della luce, devono cioè tenere conto delle teorie della relatività di Einstein, speciale (o ristretta) e generale. Di fatto, quando ci occupiamo di distanze di tale grandezza, il concetto stesso di distanza diventa ambiguo, e noi dobbiamo specificare se intendiamo la distanza misurata dall'osservazione di luminosità o di diametri o di moti propri o di qualcos'altro.
Tornando al 1929: Hubble stimò la distanza di 18 galassie sulla base della luminosità apparente delle loro stelle più brillanti e confrontò queste distanze con le velocità rispettive delle galassie, determinate pettroscopicamente sulla base dei loro spostamenti Doppler. - In seguito a quest'esame concluse che esisteva « una relazione pressoché lineare » (cioè una proporzionalità semplice) fra velocità e distanze. In realtà, dopo una occhiata ai dati di Hubble, mi chiesi perplesso come avesse potuto raggiungere una simile conclusione: le velocità galattiche sembrano prive di qualsiasi rapporto con le distanze, se si prescinde da una lieve tendenza a un aumento della velocità con la distanza. In verità non dovremmo attenderci alcuna precisa relazione di proporzionalità fra velocità e distanza per queste galassie: sono tutte troppo vicine, nessuna di esse trovandosi oltre l'ammasso della Vergine. È difficile evitare di dedurre che, fondandosi o sui ragionamenti semplici esposti sopra o sugli sviluppi teorici a essi collegati che esamineremo più avanti, Hubble conoscesse già la risposta che si proponeva di ottenere.
In ogni caso, nel 1931 i materiali d'osservazione si erano accumulati in misura notevole e Hubble fu in grado di verificare la proporzionalità fra velocità e distanza per galassie le cui velocità raggiungevano i 20 000 chilometri al secondo. Con le stime di distanze allora disponibili, la conclusione fu che le velocità aumentano di 170 chilometri al secondo ogni milione di anni-luce di distanza; una velocità di 20 000 chilometri al secondo significa pertanto una distanza di 120 milioni di anni luce. Questa cifra, che indica un certo aumento di velocità in relazione alla distanza, è nota generalmente come « costante di Hubble ». (Si tratta di una costante nel senso che la proporzionalità fra velocità e distanza è la stessa per tutte le galassie in un dato tempo; ma, come vedremo, la costante di Hubble muta col tempo man mano che l'universo si evolve.)
Nel 1936 Hubble, in collaborazione con lo spettroscopista Milton Humason, riuscì a misurare la distanza e la velocità dell'ammasso di galassie Ursa Maior II. Trovò che tale ammasso stava allontanandosi a una velocità di 42 000 chilometri al secondo (il 14 per cento della velocità della luce). La distanza, stimata allora a 260 milioni di anni-luce, era al limite della potenza dello strumento di Monte Wilson, e il lavoro di Hubble dovette fermarsi qui. Dopo la guerra, con l'avvento di telescopi più potenti negli osservatori di Palomar e Monte Hamilton, il programma di Hubble fu ripreso da altri astronomi (segnatamente da Allan Sandage, degli osservatori di Palomar e di Monte Wilson) e continua tuttora.
La conclusione che viene generalmente tratta da questo mezzo secolo di osservazioni è che le galassie stanno allontanandosi da noi, con velocità proporzionali alla distanza (almeno finché si tratta di velocità non troppo vicine a quella della luce). Ovviamente, come abbiamo già sottolineato nella nostra discussione del Principio cosmologico, ciò non significa che noi ci troviamo in una posizione del cosmo particolarmente favorevole o sfavorevole; ogni galassia si sta allontanando da ogni altra galassia con una velocità relativa proporzionale alla reciproca distanza. La modifica più importante apportata alle conclusioni originali di Hubble è una revisione della scala delle.distanze extragalattiche: in parte per effetto di una correzione, operata da Walter Baade e altri, della relazione periodo-luminosità delle cefeidi determinata dalla Leavitt e da Shapley, le distanze delle galassie più lontane sono stimate oggi circa dieci volte maggiori di quanto non si pensasse al tempo di Hubble. Il valore della costante di Hubble oggi accettato è così sceso a soli 15 chilometri al secondo per ogni milione di anni-luce.
Che cosa ci dice tutto ciò a proposito dell'origine dell'universo? Se le galassie stanno allontanandosi l'una dall'altra, in passato devono essersi trovate molto più vicine. Per la precisione, se la loro velocità è stata costante, allora il tempo impiegato da due galassie scelte a piacere per venirsi a trovare separate dalla distanza attuale è esattamente uguale alla distanza attuale divisa per la loro velocità relativa. Ma con una velocità proporzionale alla distanza attuale, questo tempo risulta identico per ogni coppia di galassie scelte a piacere: in passato, esse devono essersi trovate tutte molto vicine nello stesso tempo. Fissando la costante di Hubble in 15 chilometri al secondo per milione di anni-luce, il tempo trascorso da quando le galassie hanno cominciato ad allontanarsi l'una dall'altra sarebbe un milione di anni-luce diviso per 15 chilometri al secondo, ossia 20 miliardi di anni. Ci riferiremo all'« età » calcolata in questo modo come al « tempo di espansione caratteristico »: semplicemente, l'inverso della costante di Hubble. La vera età dell'universo è di fatto minore del tempo di espansione caratteristico perché le galassie non si sono mosse con velocità costante ma con una velocità lentamente decrescente in conseguenza della reciproca gravitazione. Perciò, se la costante di Hubble è di 15 chilometri al secondo per ogni milione di anni-luce di distanza, l'età del l'universo dev'essere inferiore a 20 miliardi di anni.
A volte riassumiamo queste nozioni dicendo in sintesi che le dimensioni dell'universo stanno aumentando. Ciò non significa necessariamente che l'universo abbia dimensioni finite, anche se può essere così. Usiamo questo linguaggio perché in ogni intervallo di tempo dato la distanza fra due galassie tipiche scelte a piacere aumenta di una stessa quantità frazionaria. Durante ogni intervallo abbastanza breve perché le velocità delle galassie rimangano approssimativamente costanti, l'aumento della distanza fra due galassie tipiche scelte a piacere sarà dato dal prodotto della loro velocità relativa per il tempo trascorso; ovvero, applicando la legge di Hubble, dal prodotto della costante di Hubble per la distanza per il tempo. Ma allora il rapporto fra l'aumento della distanza e la distanza stessa sarà dato dal prodotto della costante di Hubble per il tempo trascorso, prodotto che è uguale per ogni coppia di galassie scelte a piacere. Per esempio, durante un intervallo di tempo pari all' 1 per cento del tempo di espansione caratteristico (che è, come abbiamo visto, l'inverso della costante di Hubble), la distanza fra due galassie qualsiasi aumenterà dell'1 per cento. Diremo allora, in termini non rigorosi, che le dimensioni dell'universo si sono accresciute dell'uno per cento. »