Denominazione
del libro
Il libro di Giosuè apre tradizionalmente i Libri Storici dell'Antico
Testamento, seguendo immediatamente il Pentateuco. Il suo nome deriva da quello
del protagonista principale, appunto Giosuè, figlio di Nun della tribù di
Efraim, presentato già nell'Esodo come aiutante di Mosè (Esodo 24, 13 e 33,
11); Numeri 11, 28 dice che era al servizio di Mosè fin dalla giovinezza.
Numeri 13, 8 lo presenta come uno degli esploratori della Terra Promessa; in
quell'occasione Mosè gli cambiò nome da Osea in Giosuè. Essendo stato, con
Caleb, il solo tra il popolo a non rivoltarsi contro Mosè dopo il rientro degli
esploratori, ebbe il diritto di entrare nella Terra di Canaan dopo la morte
dell'intera generazione mosaica. In Numeri 27, 18-20 è scritto: « Il Signore
disse a Mosè: «Prenditi Giosuè, figlio di Nun, uomo in cui è lo spirito;
porrai la mano su di lui, lo farai comparire davanti al sacerdote Eleazaro e
davanti a tutta la comunità, gli darai i tuoi ordini in loro presenza e lo
farai partecipe della tua autorità, perché tutta la comunità degli Israeliti
gli obbedisca. » La Bibbia lo presenta dunque come il successore di Mosè
designato direttamente da Dio, e contemporaneamente come il capo ideale, perchè
conforma ogni suo atto al Volere di Dio. Mosè è il traghettatore che ha
fatto uscire gli israeliti dalla schiavitù dell'Egitto e dalla condizione di
peccato verso la libertà e la grazia (Pasqua deriva proprio da "pesach",
passaggio), conducendoli attraverso le difficoltà di un quarantennio nel
deserto; ma Giosuè è colui che ha salvato il suo popolo, guidandolo alla
conquista e alla spartizione della Terra Promessa. Non certo a caso il suo nome
(una variante di Gesù) significa "Dio salva".
Suddivisione
del testo
Il libro di Giosuè risulta chiaramente ripartito in tre sezioni:
La conquista della Terra Promessa è articolata a sua volta in due campagne: una nel centrosud (capitoli 6-10) ed una nel nord (capitoli 11-12). Il limite meridionale estremo della conquista è il Neghev, quello settentrionale è il monte Hermon, la montagna più alta del Libano, da cui ha origine il fiume Giordano.
Il
passaggio del Giordano
I capitoli 3-5 del libro raccontano il passaggio del Giordano e la
conquista di Canaan. Il racconto è scandito da quattro momenti
fondamentali:
La narrazione è vibrante ed emozionata, e
riproduce l'intero schema del passaggio del mar Rosso. Nell'Esodo è Dio in
persona a guidare Israele: "Dio guidò il popolo ... il Signore marciava
alla loro testa" (Es.13,18.21); qui è l'Arca dell'Alleanza che si pone
alla testa di Israele: "Portate l'arca dell'Alleanza e passate davanti al
popolo" (Gs 3,6). Nell'Esodo il mare si divide in due e gli Israeliti
passano all'asciutto, qui accade la stessa cosa con le acque del Giordano (forse
approfittando di un periodo di secca). Nell'Esodo gli Egiziani sono travolti
dalle acque, mentre nel libro di Giosuè sono i re cananei che, visto il
miracoloso passaggio, sono travolti dalla paura: "...si sentirono venir
meno il cuore e non ebbero più fiato davanti ad essi." (Gs 5,1) Il termine
ebraico "passare" è ripetuto 21 volte nel testo, numero che si
ottiene moltiplicando 3 e 7, due numeri perfetti.
Il racconto si chiude con la precisazione
che "la manna cessò il giorno seguente" (Gs 5,12), segno
inequivocabile della fine di un'epoca, quella delle peregrinazioni di Israele
attraverso il deserto. Ma se ne sta aprendo una nuova, la cui alba è
simboleggiata dalla circoncisione del nuovo popolo nato nel deserto e, quindi,
non compromesso dall'infedeltà, a differenza dei suoi padri ribellatisi al
Signore; e la nuova celebrazione della pasqua, la prima nella Terra Promessa.
Quindi, Dio sembra voler ricominciare tutto
da capo con un popolo che si qualifica per la sua fedeltà a lui, così come
avviene dopo il diluvio universale: Dio distrugge un'umanità infedele, ma si preoccupa
di dare origine ad una nuova umanità uscita dall'arca.
La
conquista di Gerico
La conquista di Gerico, narrata nel capitolo 6 del libro, più che
un'azione di guerra è descritta come una sorta di liturgia guerriera, in cui il
vero vincitore è JHWH. Il tutto si risolve in un rosario di giri processionali
intorno alla città, che viene conquistata più che dalle armi da una
celebrazione liturgica. Questo
racconto è nato, secondo il De Vaux, da un racconto preesistente, poi modificato con aggiunte sacerdotali
(che danno rilievo all'Arca dell'Alleanza) e
trasformato in un racconto cultuale.
Gerico ("città della luna") è probabilmente una delle più
antiche città del mondo, abitata fin dall'VIII millennio a.C. a causa della sua
favorevolissima posizione in un'oasi della valle del Giordano. Tuttavia, gli archeologi che
hanno trivellato i resti della città in lungo e in largo inclinano a ritenere
che essa fosse già stata distrutta da un pezzo al momento dell'arrivo degli
Ebrei, forse durante le campagne dei Faraoni della XVIII dinastia (quella di
Tutmosi III il Conquistatore). Come poteva esserci allora la famiglia di Raab,
che abitava nelle sue possenti mura, o anche solo un re? Questo è un problema
che ha assillato a lungo gli esegeti.
In effetti, è possibile che Gerico fosse
ancora abitata all'epoca di Giosuè, anche se ormai ridotta a un piccolo centro
di scarsa importanza; l'autore avrebbe piuttosto in mente la possente
piazzaforte esistente ai suoi tempi, e a quella farebbe riferimento. A quel
tempo probabilmente gli abitanti utilizzavano edifici parzialmente agibili
dell'antica città, e costituivano ancora una comunità con un proprio
autogoverno, anche se Gerico non rappresentava certo più la gloriosa e temuta
metropoli del passato. L'episodio del "rito" necessario per abbattere
le possenti mura di Gerico ha quindi un significato più rituale che storico, ed
è probabile che la delazione di Raab sia stata sufficiente per catturare la
città.
Gli scavi di Gerico, foto dell'autore di questo sito (cliccare per ingrandire)
Quanto al "filo scarlatto"
menzionato in Gs 2, 18, alcuni vi hanno visto il segno distintivo
dell'abitazione di una prostituta (Raab), altri il segno distintivo degli
abitanti di Gerico disposti a collaborare con gli israeliti invasori. Ma è
probabile che esso abbia attinenza con la striscia di sangue con cui erano state
segnate le case degli Ebrei nell'Esodo, nella notte della prima Pasqua, onde
evitare di condividere la sorte dei primogeniti degli egiziani. In ogni caso
Raab verrà aggregata con il suo clan al popolo d'Israele (Gs 6, 25), tanto da
venire menzionata da Matteo nella lista degli antenati di Gesù Cristo. Lungi
dal rimproverarla come prostituta, il Nuovo Testamento la presenta anzi come
esempio di fede e di ospitalità (Ebrei 11, 31 e Giacomo 2, 25).
Infine, è destituita di qualsiasi
fondamento l'ipotesi, avanzata da ufologi e parapsicologi, secondo cui i nostri
antenati avrebbero posseduta una misteriosa "arma sonica" in grado di
comandare la materia, e quindi di spostare da soli i colossali blocchi di pietra
per edificare le piramidi o le mura megalitiche di Tiahuanaco, ma anche di far
crollare le mura di Gerico con il semplice suono delle trombe. Non esistendo
alcuna prova scientifica dell'esistenza non solo di un simile dispositivo, ma
anche della tecnologia necessaria a realizzarlo, tutto ciò va considerato una
fantasia al pari di quella di Atlantide e dell'El Dorado.
Acan
Acan commette un peccato "prendendo ciò che era votato allo
sterminio", cioè impossessandosi del bottino che doveva essere votato
interamente al Signore, l'unico responsabile della vittoria (come mostra
l'episodio del "capo dell'esercito del Signore", secondo alcuni San
Michele Arcangelo, comparso a Giosuè in Gs 5, 13). Per questo, spiega l'autore,
Giosuè fallisce nella conquista della piazzaforte di Ai, oggi identificata con
el-Tell. Il colpevole è scoperto mediante estrazione a sorte, un metodo che
farebbe inorridire Sherlock Holmes, ma che rappresenta l'unico sistema per
interrogare l'insondabile volere divino, essendo interdetto l'uso di divinazioni
condotte attraverso lo studio delle interiora di animali o le parole di
sacerdoti in stato di trance indotto da sostanze allucinogene. Acan è punito
con la lapidazione; in Gs 7, 25 vi è un gioco di parole tra il nome di Acan e
l'ebraico 'akar, che significa "portare sfortuna":
« Come hai portato sfortuna a noi, così Iddio ne porti a te! »
La lapidazione avviene nella valle di Acor, al confine settentrionale della tribù di Giuda; probabilmente l'autore rimanda ad un tumulo di pietre, forse un complesso megalitico, ancora visibile all'epoca della composizione del libro.
Gabaon
Un significato tutto particolare è assunto, nel libro, dalla città di
Gabaon, oggi El Jib, il cui nome significa "altura" per ovvi motivi
geografici. Gli scavi archeologici hanno confermato l'importanza delle città,
definita "grande come una capitale" in Gs 10, 2. Gli abitanti di
Gabaon, detti Evei, riescono a scampare allo sterminio cui gli Ebrei votavano
tutte le popolazioni cananee. spacciandosi per stranieri venuti da lontano;
Giosuè li nomina taglialegna e portatori d'acqua (Gs 9, 27), fornendo così la
spiegazione di una tradizione molto antica, attestata dalle anfore ritrovate con
inciso il nome di Gabaon, ed anche dall'acquedotto sotterraneo che alimentava la
rete idrica della città.
Tuttavia il re di Gerusalemme, Adoni-Zedek
("il mio Signore è giustizia", ricorda il nome di Melkisedek citato
nella Genesi), spaventato dall'alleanza tra Ebrei e Gabaoniti, con altri quattro
re amorrei del sud muove guerra contro di loro per schiacciarli, prevenendo le
loro mosse. E qui si inserisce uno dei brani più famosi della Bibbia, nel bene
e nel male: per prolungare la giornata ed assicurare la vittoria agli Israeliti,
Giosuè grida:
« Fermati, o sole, su Gabaon, e tu, luna, sulla valle di Aialon! » (Gs 10, 12)
Giosuè ferma il sole e la luna (Venezia, Biblioteca Marciana, miniatura del XV secolo)
Questo argomento fu utilizzato nel Rinascimento per confutare il modello copernicano e per perseguitare i suoi assertori, in primis Galileo. Inutile dire che questa affermazione invece non ha nulla di astronomico o di scientifico. Lo stesso termine ebraico damam ("stare fermo") sembra riferirsi non già all'arresto del corso del sole, ma piuttosto della sua luminosità per oscuramento atmosferico o per via di un'eclisse. Alla luce di questa traduzione, ogni polemica di tipo antiscientifico crolla di schianto. Questo evento è stato registrato nel "Libro del Giusto" (Gs 10, 13), citato anche in 2 Sam 1, 18: probabilmente si tratta di una raccolta di detti e di racconti popolari dedicata alla storia d'Israele, andata perduta ma servita come fonte per tutti i libri del canone deuteronomistico.
L'assemblea
di Sichem
Chi è entrato in Canaan è un popolo nuovo, circonciso di recente e che
celebra la pasqua per la prima volta. Tale è l'ansia di completo rinnovamento,
che a Sichem il popolo ripete l'Alleanza con Dio, affinché si senta impegnato
in prima persona alla fedeltà alla Legge.
Ecco, dunque, l'assemblea di Sichem voluta da
un anziano Giosuè (Gs 24),
in cui Dio sciorina davanti al popolo tutta la storia e le sue imprese a
favore del popolo (Gs.24,2-13). È una sorta di memoriale, che costituisce per il
nuovo Israele un punto di partenza; in esso il popolo di Dio affonda le proprie
radici. A fronte di tuttii i prodigi che lo hanno portato a diventare un popolo
libero, Israele è chiamato
ad operare una scelta: o con Dio o contro di Lui. Qui, pertanto, si costituisce
il nuovo Israele che rinnova i patto del Sinai: « In quel giorno Giosuè
concluse un'alleanza per il popolo e gli diede una legge e uno statuto in Sichem
» (Gs.24,25)
Storicità
L'insediamento
in Canaan
La conquista della
Palestina, così come ce la racconta il libro di Giosuè, appare come una
marcia trionfale, una guerra combattuta da Dio accanto al suo popolo, davanti al
quale tutti i popoli devono piegare la fronte. Questa,
però, è una rilettura posteriore della storia, alla luce della realizzazione della Promessa di Dio ad
Abramo.
Ma come sono andate veramente le cose? La
questione dell'insediamento delle tribù nel territorio di Canaan è un problema
di
difficile soluzione, vista l'assenza di documenti storici al di fuori della
Bibbia. Lo stesso testo del libro, in filigrana, evidenzia le tracce di una
conquista assai più lenta e complessa, variamente ricostruita da storici ed
esegeti. Essa comprende non solo campagne vittoriose, ma anche sconfitte (non
c'è modo di espugnare la fortezza di Gerico senza l'aiuto divino) ed alleanze
strategiche con i popoli cananei, come i Gabaoniti. Inoltre, il fatto stesso che
Gerusalemme verrà conquistata ai Gebusei solo da Davide (2 Sam 5, 5-9) dimostra
che, ancora nell'epoca dei re, vi erano sacche di resistenza interna e non solo
nemici esterni da sconfiggere (Filistei, Ammoniti, ecc.)
Sebbene alcuni esegeti sostengano ancora
che la conquista della Palestina sarebbe stata rapida
e condotta da tutte le tribù alleate tra loro sotto un'unica guida, in
base a scavi archeologici che hanno segnalato rovine di città distrutte risalenti al 1250-1200 a.C. e che
possono coincidere con luoghi ricordati dal libro di Giosuè, la maggior parte
degli studiosi pensano ad una infiltrazione pacifica in territori poco abitati,
attraverso alleanze con le città-stato e mediante qualche azione militare,
seguite da rapidi contraccolpi del nemico.
Le dodici tribù d'Israele (in realtà questa
distribuzione geografica risale all'epoca dei Re)
I
due esodi
Del resto è da tener presente che gli esodi dall'Egitto non
furono uno solo ma due. Infatti gli esegeti parlano di un « esodo-espulsione
», che
avvenne intorno al 1550 a.C. con la cacciata degli invasori Hyksos e dei nomadi
asiatici che si erano stabiliti in Egitto al loro seguito (racconto di Giuseppe). Fra questi vi erano
alcuni clan ebrei che si stabilirono in Palestina, conquistata dal faraone Tutmosis III
(1501-1447 a.C.) in 17 spietate campagne militari. Gli ebrei qui installati furono
impiegati in varie zone della Palestina al servizio dell'Egitto. Ne è rimasta
traccia anche in Esodo 6,1:
« Il Signore disse a Mosè: "Ora vedrai quello che sto per fare al faraone con mano potente, li lascerà andare, anzi con mano potente li caccerà dal suo paese!" »
Analoghi accenni si trovano in Es 11, 1, e soprattutto in 12, 39:
« Fecero cuocere la pasta che avevano portata dall'Egitto in forma di focacce azzime, perché non era lievitata: erano infatti stati scacciati dall'Egitto e non avevano potuto indugiare; neppure si erano procurati provviste per il viaggio »
Vi fu però un altro esodo,
detto comunemente « esodo-fuga », che ebbe luogo
attorno al 1250 a.C., al termine o subito dopo il regno di Ramses II (1301-1235
a.C.), e che ha assunto una risonanza enorme in tutta la Bibbia.
Che cosa avvenne esattamente? Si sa
per certo che, dopo la fallita riforma religiosa in senso monoteistico del
faraone "eretico" Amenothep IV o Echnaton (1424-1388 a.C.), si impose
una nuova dinastia, la diciannovesima, che proveniva non dall'alto Egitto ma dal delta del
Nilo; e così questi sovrani dettero impulso a tale zona con ampie opere di
bonifica e di edilizia. In tali opere, talora grandiose (Ramses II fece
costruire nel delta occidentale le città di Pitom e Ramses secondo Es 1, 11), vennero coinvolti alcuni clan di ebrei e
gruppi di popoli asiatici stabilitisi alle frontiere: un'imposizione di corvé
che non fu certo gradita da questi nomadi o seminomadi, i quali approfittarono
della prima occasione, e cioè del momento di debolezza dell'Egitto seguito alla
morte del grande Ramses II, riuscirono a ribellarsi e si sottrassero ai lavori
forzati rifugiandosi in Palestina, dove da tempo erano installate altre tribù
di loro consanguinei. Secondo alcuni fuggirono dall'Egitto solo le tribù appartenenti alla "casa
di Giuseppe", cioè Efraim e Manasse, e quella di Levi, rappresentata
appunto da Mosè ed Aronne. Giosuè apparteneva, non a caso, alla tribù di
Efraim, che poi divenne dominante nel regno del nord dopo lo scisma
politico-religioso seguito alla morte di Salomone.
Secondo alcuni storici, un Mosé e un Giosuè non sarebbero mai esistiti, ma
sarebbero solo personaggi di antiche mitologie dell'Età del Bronzo (la figura di
Giosuè, ad esempio, sarebbe modellata su quella di Ciro il Grande). Secondo
altri, sono personaggi storici trasfigurati dalla leggenda e dalle tradizioni
popolari. Ma io penso piuttosto che si tratti di una sorta di "eroi culturali",
nel senso che è probabile che ci sia stato un capo di nome Mosé o uno di nome
Giosué, ma all'interno di una schiera numerosa di capi simili vissuti in un
periodo di tempo estremamente più lungo di quanto riportato dalla cronologia
biblica. Quindi, nel periodo tra il 1400 e il 1000 a.C. circa sarebbero esistiti
DIVERSI Mosé e Giosué, le cui caratteristiche si sono poi coagulate in un'unica
figura singola, esattamente come Omero sintetizzò in un'unica, grandiosa
battaglia decennale quelli che erano stati duecento anni e più di scontri tra i
Micenei e la Confederazione Assuwa, di cui Wilusa (Ilio, cioè Troia) faceva
parte.
Significato
Al di là di questa discussione, il libro di Giosuè
va letto attraverso gli occhi del redattore deuteronomistico vissuto al tempo dell'esilio (597-538
a.C.) e del postesilio (538-450 a.C.), dal quale la figura di Giosuè è
certamente idealizzata come quella di Mosè; la Terra è vista come un dono di Dio che compie
fedelmente le sue promesse, e il permanere in essa è legato all'osservanza
della Legge. Quindi, la conquista di Canaan è avvenuta per un gratuito dono di Dio e non
per la bravura di Israele e dei suoi baldi guerrieri. Il tema teologico di fondo di tutto il
Libro può riassumersi in quest'epilogo (Gs 21, 43-45):
« Il Signore diede dunque a Israele tutto il paese che aveva giurato ai padri di dar loro, e gli Israeliti ne presero possesso e vi si stabilirono. Il Signore diede loro tranquillità intorno, come aveva giurato ai loro padri; nessuno di tutti i loro nemici potè resistere loro; il Signore mise in loro potere tutti quei nemici. Di tutte le belle promesse che il Signore aveva fatte alla casa d'Israele, non una andò a vuoto: tutto giunse a compimento. »