8. Il diluvio nel Mar Nero

8.1  Quando il Mar Nero venne allagato dal Mediterraneo

Grazie per avermi seguito fin qui nella mia inchiesta: ma non è ancora finita. Infatti negli anni Duemila, che pure si vorrebbero dominati unicamente dal razionalismo scientifico, sono saltate fuori nuove ipotesi sulla collocazione del Continente Perduto; in quest'ultimo capitolo del mio ipertesto vorrei presentarvene qualcuna delle più convincenti. Partiamo dalla migliore, che rispetto a tutte le altre da noi trattate ha il merito di essere documentata scientificamente, basandosi su eventi geologici che il mondo scientifico ha ormai largamente accettato come veri. Si tratta di una scoperta così sensazionale che, se venisse confermata, ci costringerebbe a riscrivere tutto quanto abbiamo fin qui elucubrato circa la fine della misteriosa Atlantide e la vicenda del diluvio universale. Una storia che, come scriveva il giornalista Matteo Merzagora in un articolo comparso nella primavera 2005 sul "Corriere della Sera", rappresenta « la storia di un fenomeno naturale su cui popolazioni anche lontanissime fra loro (dalla Mesopotamia all'America centrale) hanno costruito leggende, miti di fondazione, testi sacri, e che di recente è stata restituita all'altra grande lente con cui l'uomo ama leggere il mondo: la scienza. Fra le tante grandi inondazioni che hanno costellato la storia della Terra, una è diventata universale. Ma ci fu davvero un diluvio che possa essere messo in relazione al racconto biblico? Quando? In quali regioni? »

Tutto si deve alle scoperte di Walter Pitman, geofisico del Lamont-Doherty Earth Observatory, a Pasadena. "In quel periodo io e Bill Ryan stavamo collaborando con un gruppo di ricercatori: John Dewey, Maria Cita, Ken Shu, e altri" racconta Pitman in un'intervista. "Alcuni di loro avevano da poco scoperto che cinque milioni di anni fa il Mediterraneo si era completamente seccato, e si inondò successivamente in modo catastrofico. Durante una conversazione, Dewey ci domandò se questo evento potesse essere all'origine della leggenda sul diluvio universale. Naturalmente ci mettemmo a ridere, perché cinque milioni di anni fa non c'erano uomini che avrebbero potuto raccontarlo! Ma cominciammo ha discutere se un evento simile, cioè l'allagamento di un bacino prosciugato a causa di un incremento del livello del mare, fosse potuto accadere alla fine dell'ultima glaciazione, fra 20.000 e 4.000 anni fa. In questo periodo il livello del mare crebbe di circa 120 metri, ed è possibile che ci fosse qualche bacino marginale che si era prosciugato, e che il mare avesse potuto superare qualche passaggio e inondarlo".

Ed ecco l'ipotesi avanzata da Pitman e collaboratori. Proprio all'inizio di quest'epoca sarebbe avvenuta infatti una catastrofe epocale: il sommergimento delle coste del Mar Nero. Pare che, attorno al 5000 a.C., il mar Nero fosse isolato dal resto del Mediterraneo, che fosse riempito di acqua dolce e che il suo livello fosse anche 100 metri al di sotto di quello dei mari salati del pianeta. Logico pensare che sulle sponde di un lago d'acqua dolce così vasto siano fiorite diverse comunità protostoriche. Ma, appunto circa 7000 anni fa, sarebbe ceduta la diga naturale in corrispondenza dell'attuale Bosforo, che isolava il Mar Nero dal Mediterraneo salato: un'immensa cascata durata un anno si sarebbe riversata nel lago, il cui livello si sarebbe sollevato con estrema rapidità, sommergendo tutti gli abitati umani. Pitman ha calcolato addirittura un flusso di 50 chilometri cubici d'acqua al giorno, capaci di innalzare la superficie del Mar Nero di 15 centimetri al giorno. I loro occupanti sarebbero fuggiti disperatamente di fronte al ruggire delle acque, per disperdersi poi nella valle del Danubio ed in quella del Tigri e dell'Eufrate, portando con sé il ricordo delle acque distruttrici, da loro interpretate tramite una tremenda punizione divina, che poi andò a confluire nel poema di Gilgamesh e nella Bibbia.

Come si vede da questa cartina, realizzata dall'autore di questo ipertesto, effettivamente fino a circa 66 metri di profondità il Mar Nero appare come un "lago" chiuso di dimensioni più piccole, e solo da lì in poi sprofonda improvvisamente fino alle profondità di un normale bacino marino:

Il fondale del Mar Nero, disegno dell'autore

"Innanzitutto abbiamo trovato che la struttura rocciosa del fondale del Bosforo, oggi coperta da sedimenti fino a 20 metri sotto il livello del mare, ha proprio una profondità di circa 100 metri, e risulta tagliata da profonde gole che sembrano prodotte da un rapido scorrimento d'acqua" spiega lo stesso Pitman; inoltre, "abbiamo individuato una superficie alluvionale a una profondità di circa 150 metri, ne abbiamo raccolto alcuni campioni sedimentari ed abbiamo potuto dimostrare che i sedimenti al di sotto della superficie erano tipicamente d'acqua dolce, e quelli al di sopra erano di acqua salata. Tutto sembrava portare alla conclusione che a quell'epoca il Mar Nero fosse stato inondato dal Mediterraneo. Abbiamo analizzato anche conchiglie e fossili per datare l'inondazione: 5.600 anni prima di Cristo".

 

8.2  Tutto può essere partito da lì

Nonostante queste evidenze geologiche, l'ipotesi di Pitman apparirebbe stravagante quanto le altre che abbiamo analizzato in precedenza, se non fosse per la scoperta sotto le acque del Mar Nero, avvenuta nel settembre 2000, dei resti di un edificio che sembrerebbe essere stato sommerso proprio 70 secoli fa dall'innalzamento repentino delle acque. L'eccezionale scoperta è stata effettuata da un team di ricercatori statunitensi del National Geographic, tra cui quel Robert Ballard che nel 1985 individuò i resti del Titanic, impiegando la sonda Argo munita di telecamera. Essa ha ripreso a 90 metri di profondità e a circa 12 km dalla coste turche una serie di manufatti in pietra ed un edificio rettangolare di quattro metri per quindici, con mura costruite mediante un impasto di fango e canne, e grandi tavole lavorate che forse coprivano l'edificio, perfettamente conservato date le particolari condizioni prive d'ossigeno di tale mare. Se venisse confermata, si tratterebbe davvero di una scoperta di rilevanza eccezionale!!

"Prima della nostra", conclude Pitman, "la spiegazione più razionale per la leggenda del diluvio universale era quella di un'inondazione dovuta allo straripamento del Tigri e dell'Eufrate. Ma le inondazioni di fiumi non avvisano, arrivano improvvisamente. Il Mar Nero invece avrebbe mandato alcuni segnali: prima che il Mediterraneo coprisse completamente il Bosforo e le popolazioni avrebbero avuto uno o due mesi buoni per prepararsi a partire, esattamente come fece Noè che ebbe tutto il tempo per preparare l'arca. Inoltre nei miti il patriarca parte per sempre e non fa ritorno mai più nella sua terra: invece, nel caso di un'inondazione fluviale le popolazioni avrebbero potuto tornare una volta che l'acqua si fosse ritirata. Lo scenario del Mar Nero corrisponde meglio di ogni altro alle leggende che ci sono state tramandate."

A ciò si devono aggiungere le testimonianze archeologiche, le quali indicano l'insediamento di nuove popolazioni in Anatolia, in Egitto, in Mesopotamia, in Ucraina e negli Urali proprio attorno a 7.400 anni fa, come se fossero precipitosamente fuggite da un'altra regione. Che l'origine di tutte le civiltà monumentali e di tutte le tradizioni leggendarie di cui oggi si sostanzia la nostra civiltà fosse proprio sulle rive di quello che i Greci e i Romani chiamavano Ponto Eusino? Per ora è solo un'ipotesi, ma ulteriore acqua al suo mulino è stata certamente portata dalla rivoluzionaria scoperta, di cui ha dato notizia il 10 giugno 2005 il quotidiano inglese "The Independent", delle vestigia della più antica civiltà europea, sviluppatasi circa 7000 anni fa nell'Europa centrale. Le tracce di oltre 150 templi, edificati tra il 4800 e il 4600 avanti Cristo, sono state localizzate lungo una fascia lunga oltre 640 chilometri, attraverso le attuali Germania, Repubblica Ceca, Slovacchia ed Austria. E' possibile che tale scoperta ci costringa letteralmente a riscrivere la preistoria dell'Europa Neolitica, dal momento che finora si riteneva che l'architettura monumentale si fosse sviluppata più tardi e solo nella fascia temperata: Egitto, Mesopotamia, India, Cina. I primi rilievi parlano di una serie di complessi templi in legno e in terra; la scoperta più notevole è stata compiuta nel sottosuolo della città di Dresda, dove gli archeologi hanno portato alla luce i resti di un tempio di 150 metri di diametro, circondato da ben quattro fossati. Sono stati anche trovati utensili in legno, oltre a statuine rappresentanti personaggi o animali, che ci parlano di un popolo profondamente religioso e dedito all'agricoltura e all'allevamento del bestiame. E' possibile che il « tempio di Dresda » e le altre costruzioni monumentali appena scoperte siano state realizzate dai discendenti dei nomadi giunti proprio dalle rive del Mar Nero, e che, dopo essere state utilizzate per due o tre secoli, siano state abbandonate improvvisamente insieme ai loro costruttori. Il perchè è ancora un mistero tutto da risolvere.

Nessuno oggi, e tantomeno il sottoscritto, si spinge ad affermare che la mitica Atlantide di Platone si trovasse proprio sulle rive del mar Nero, e che Noè o Ut-Napyshti che sia abbia iniziato da lì la sua avventura navale della preistoria. Tuttavia la straordinaria coincidenza fra l'archeologia e la leggenda, fra le narrazioni mitologiche e le rilevazioni geofisiche, sembra proprio dare ragione a Pitman e colleghi. Per chi vuol saperne di più consiglio vivamente di leggere il suo volume "Diluvio", scritto insieme al collega William Ryan (Edizioni Piemme, 1999).

Il Nuraghe di Serbissi, nel territorio del comune di Osini, in provincia dell'Ogliastra

Il Nuraghe di Serbissi, nel territorio del comune di Osini, in provincia dell'Ogliastra

 

8.3  E se l'Atlantide fosse stata la... Sardegna?

Dato che stiamo parlando di teorie recentissime riguardo la possibile localizzazione dell'Atlantide di Platone, non possiamo fare a meno di nominare anche l'ipotesi proposta nel 2000 da Robert Paul Ishoy, storico formatosi alla California State University di Fresno, sulla base di ricerche archeologiche e geografiche da lui stesso condotte.

Robert Paul Ishoy ipotizza che Atlantide fosse localizzata nientemeno che in Sardegna. Quest'isola era infatti sede di una civiltà fiorente nella prima età del Bronzo, tra il 2000 e il 1400 a.C. In realtà, la prima ipotesi di un'Atlantide in Sardegna era stata avanzata da Paolo Valente Poddighe nel 1982, ma Ishoy ha portato nuove prove a favore di questa tesi. Platone ci dice che Atlantide era un'isola situata nell'Oceano Atlantico, al di là delle Colonne d'Ercole, e che questa isola era più grande della Libia e dell'Asia messe assieme. Egli ci dice anche che c'era una catena di isole in Occidente, e che oltre queste isole c'era un grande continente che circondava l'isola di Atlantide in tutte le direzioni.

Ora, se è evidente che la Sardegna NON si trova al di là delle Colonne d'Ercole, Ishoy propone di tener conto della differenza di prospettiva tra la Grecia classica di Platone del 450 a.C. e la Grecia micenea del 1500 a.C. Nell'età classica greca, la maggior parte del mondo mediterraneo era ben nota ai Greci, e le Colonne d'Ercole separavano il mondo conosciuto, cioè il Mediterraneo, da quello sconosciuto, cioè le coste dell'Oceano Atlantico. Mille anni prima del tempo di Platone, i Micenei avevano una visione molto diversa del loro mondo, e conoscevano bene solo il Mediterraneo Orientale con le sue monumentali civiltà (ittita, egiziana e mesopotamica). Ishoy avanza così l'ipotesi, non suffragata però da alcuna testimonianza documentale o archeologica, che per i Micenei le Colonne d'Ercole coincidessero con lo Stretto di Messina, dal momento che esse separavano i mari noti ad oriente dal Mediteraneo Occidentale, a quel tempo assolutamente sconosciuto ai primi Greci. Inoltre lo storico greco Erodoto di Alicarnasso (484-425 a.C.) era a conoscenza della Sardegna, ma si riferisce ad essa come alla « più grande isola del mondo. » Eppure noi sappiamo bene che la Sardegna è più piccola persino della Sicilia!

Tutto questo secondo Ishoy farebbe sì che la Sardegna si adatti alla descrizione di Platone: la Sardegna è una grande isola al di là delle "Colonne d'Ercole traslate"; ad ovest della Sardegna vi sono le Baleari, una catena di isole; e un grande continente circonda la Sardegna, composto da Spagna, Francia, Italia e Nordafrica. Inoltre non dobbiamo dimenticare che la Sardegna fu sede della cultura nuragica, che ebbe origine intorno al 2000 a.C. a partire da preesistenti culture megalitiche del Neolitico. Più di 7000 nuraghi, in media uno ogni 4 chilometri quadrati, centinaia di villaggi e tombe megalitiche sono la muta testimonianza di quel popolo di guerrieri e di naviganti, di pastori e di contadini, suddivisi in piccoli nuclei tribali, che commerciavano coi Micenei, i Fenici e gli Etruschi. Il nuraghe (parola di origine preindoeuropea) era il centro della vita sociale delle comunità, classificato dall'UNESCO a partire dal 1997 come Patrimonio dell'Umanità, ma gli antichi sardi eressero anche altre eccezionali strutture megalitiche, come le Tombe dei Giganti, grandi stele centrali molte delle quali superano i 4 metri di altezza, che caratterizzano i luoghi di sepoltura. La precisione edilizia dei nuraghi e dei pozzi sacri dimostra la complessità e la raffinatezza raggiunte da questa singolare civiltà, che si è distinta anche per la produzione di bronzetti. Purtroppo la civiltà nuragica non sembra invece aver fatto uso della scrittura, e quanto sappiamo di essa ci viene dalle citazioni degli storici antichi, da Diodoro Siculo a Strabone. Della cultura nuragica ci parlano anche le testimonianze egiziane di un popolo che nella valle del Nilo era chiamato Shardana, una potenza insulare proveniente dal lontano Occidente, che alla fine del Nuovo Regno rischiò seriamente di portare al tracollo l'impero faraonico (la cosiddetta Invasione dei Popoli del Mare). Lo Pseudo-Aristotele racconta invece:

« Si dice che nell'isola di Sardegna si trovano edifici modellati secondo l'antica tradizione ellenica, e molti altri splendidi edifici, e delle costruzioni con volta a cupola con straordinario rapporto delle proporzioni. »

Ishoy procede a questo punto confrontando i dettagli specifici del racconto di Platone con la Sardegna del 1500 a.C. Quanto alla descrizione geografica, Platone dice: « Per la maggior parte era alta e scoscesa, fatta eccezione per una pianura immediatamente intorno alla capitale. Questa pianura era di forma oblunga e rivolta a sud. La pianura, a sua volta, era circondata da montagne. » Ora, la Sardegna è montuosa per nove decimi del suo territorio, e la pianura del Campidano è di forma oblunga e aperta verso il sud sino al Golfo di Cagliari. Platone parla poi di fonti fredde e calde, usate dagli abitanti di Atlantide in inverno come bagni caldi, e - guarda caso! - la Sardegna è ricca di sorgenti calde e fredde. In più gli archeologi hanno riportato alla luce parecchi "pozzi sacri", costruiti in tempi antichi attorno alle sorgenti d'acqua. Platone dice anche che l'isola aveva in abbondanza legno di vario tipo, e la Sardegna era ricca di foreste prima del diboscamento sistematico dell'isola da parte dei Cartaginesi. Un altro dettaglio fornito da Platone riguarda il fatto che l'Atlantide aveva molti animali, selvatici e domestici, tra cui molti elefanti; ebbene, la Sardegna, nei tempi antichi, era abitata da varie specie di fauna selvatica, inclusi gli elefanti nani.

Platone afferma che l'attività mineraria era parte dell'industria di Atlantide, e veniva forgiato un materiale chiamato "oricalco", scavato nella terra, che sembra essere stato un materiale molto prezioso per le civiltà dell'età del bronzo. Ora, l'ossidiana o vetro vulcanico era un materiale comunemente utilizzato nella Sardegna antica, ed era considerata preziosa da molti popoli, anche se indubbiamente non somiglia molto né all'oro nè al rame. Un'altra questione cui Ishoy fa riferimento è il culto del toro che secondo Platone aveva grande importanza ad Atlantide, un culto è legato a quello di Poseidone. Ora, in Sardegna vi sono molte tombe scavate nella roccia (le cosiddette Domus de Janas, le "case delle fate"), decorate con teste di toro scolpite in rilievo. Infine, Platone descrive i tre colori principali usati per decorare gli edifici di Atlantide: bianco, nero e rosso. Ancor oggi le ceramiche di Ozieri, tipiche della Sardegna, sono spesso colorate con ocra bianca, rossa e nera; e persino alcuni nuraghi sono risultati essere stati dipinti a strisce rosse e nere.

Robert Paul Ishoy pensa insomma che la cultura dei Nuraghi, gli "Shardana" citati nei testi egizi e l'Atlantide di Platone coincidano, e che i resti archeologici oggi visibili in Sardegna siano in realtà i resti della civiltà di Atlantide. Ma noi sappiamo che, secondo il mito, Atlantide è sprofondata in fondo del mare: forse la stessa cosa è accaduta alla Sardegna? Il giornalista Sergio Frau ha risposto affermativamente, mostrando le prove che, intorno al 1200 a.C., cioè giusto quando i Popoli del Mare (Shardana compresi) si misero in azione, esplose un vulcano sottomarino posto nel Mar Tirreno meridionale, generando un'onda di tsunami che investì in pieno la Sardegna, spazzò il Campidano e distrusse ogni cosa, mettendo in ginocchio la superba civiltà nuragica. Chi visita la Sardegna trova infatti tutti i nuraghi abbattuti in direzione sud, e rimasti parzialmente in piedi solo sul lato nord. Una parte dei nuraghi è tuttora semisepolto sotto uno spesso strato di detriti alluvionali; ed ancor oggi, a grande distanza dal mare. è possibile ritrovare piccole conchiglie incastrate tra le pietre nelle parti basse dei nuraghi: a portarle lì sarebbe stata proprio quella micidiale onda anomala. Essa trasformò la Sardegna in una palude, lasciando solo acquitrini al posto dei terreni coltivati, e costrinse la sua popolazione ad emigrare, portandosi verso oriente, dove lasciò traccia nei testi egizi ed ittiti. Sergio Frau riconobbe proprio uno dei tanti attacchi dei Popoli del Mare nella descrizione fatta dal sacerdote egizio a Crizia nell'omonimo dialogo, quando afferma: « Ci fu un tempo antico in cui gli eserciti di una grande civiltà, venuta dal Mare Occidentale, invasero il nostro mondo distruggendo tutto, e solo Atene si salvò »!

Che dire? Un'ipotesi affascinante ma, come quella del diluvio del Mar Nero, indubbiamente assai difficile da dimostrare: se proprio Platone si è ispirato per il suo racconto a una catastrofe antica realmente avvenuta, sembra più probabile che si sia rifatto alla vicina Santorini, che non alla lontana Sardegna. Ma ovviamente Ishoy e Frau non sono d'accordo, e proseguono il proprio lavoro per portare acqua al mulino della propria tesi.

 

8.4  Il Mediterraneo spaccato in due

Vorrei chiudere questa lunga carrellata di Atlantidi "alternative" presentando la proposta del mio amico Alberto Arecchi, rinomato architetto, storico dell'arte e presidente dell'Associazione culturale Liutprand (per andare al suo sito, cliccate qui). Nel suo libro "Atlantide: un mondo scomparso, un'ipotesi per ritrovarlo", pubblicato nel 2001 dalle edizioni Liutprand, egli ha ripreso alcune ipotesi avanzate negli anni Venti del secolo scorso dagli archeologi francesi, suggerendo una sua collocazione nel Mediterraneo Centrale, a differenza dell'ipotesi descritta nel capitolo precedente circa l'ipotesi dell'Atlantide nel Sahara. I suoi abitanti, originari della regione dell'Ahaggar, nel cuore dell'attuale deserto del Sahara, si sarebbero stabiliti in una pianura oggi sommersa sotto le acque del canale di Sicilia, e la loro capitale si sarebbe trovata a circa 500 km a nord di Tripoli, ovvero 150 km a sud-est dell'isola di Malta.

I due Mediterranei e l'Oceano Atlantico secondo Arecchi

Le ricerche di Arecchi ci portano in un mondo completamente diverso dall'attuale, in cui il Mediterraneo sarebbe stato diviso in due mari, posti a quote diverse e privi di comunicazioni reciproche, essendo l'Italia unita alla Sicilia e alla Tunisia. Come si vede nella mappa qui sopra, ad ovest il bacino costituito dal Mediterraneo occidentale e dal Tirreno sarebbe stato in comunicazione diretta con le acque dell'Oceano attraverso lo stretto di Gibilterra, e le sue acque avrebbero avuto un livello simile a quello odierno, grazie all'apporto costante garantito dall'apertura di quella bocca di comunicazione con le acque oceaniche. Un secondo mare, ad est, sarebbe andato dalla Piccola Sirte alla costa siro-palestinese, comprendendo lo Ionio, il basso Adriatico e il Mare Cretese, mentre il Mar Egeo sarebbe stato quasi interamente emerso, costituendo una vasta pianura costellata di vulcani. Al posto dello stretto di Messina sarebbe esistito un istmo roccioso, e quello che oggi è il Canale di Sicilia sarebbe stata allora una fertile pianura, irrigata da fiumi e protetta da alte montagne. Le acque del Mediterraneo Orientale si sarebbero trovate circa 300 m al di sotto del livello odierno. Le montagne più elevate di quella terra perduta emergerebbero ancora dal Canale di Sicilia, formando Pantelleria, le isole Pelagie, l'arcipelago maltese. Chi fosse venuto da oriente, da Creta o dall'Egitto, avrebbe visto una costa rocciosa, piuttosto scoscesa, nella quale si sarebbero aperti due stretti, ai lati di un'ampia isola, con un'estensione compresa tra 11.000 e 17.000 km quadrati. I due stretti a nord e ad ovest dell'isola avrebbero misurato tra i 15 e i 30 km di ampiezza. Secondo l'architetto Arecchi, questo sistema di stretti sarebbero da identificare con le "colonne d'Ercole"; e una delle due "colonne" sarebbe da identificare con il massiccio roccioso dell'attuale isola di Malta. A nordovest questa terra, la costa sarebbe salita fino ad un'altezza di almeno 300 metri; al di là si sarebbe aperto l'altro mare, e da lì, per dirla con Platone, « era possibile raggiungere le altre isole per coloro che allora compivano le traversate e dalle isole a tutto il continente opposto, che si trovava intorno a quel vero mare... ».

Dalla costa, la pianura sarebbe salita dolcemente verso ovest, in direzione di una cresta di colli di origine vulcanica, ricchi di giacimenti metalliferi. Al di là della cresta, a circa 450 km di distanza dalle acque del Mediterraneo, si sarebbe esteso un vero e proprio mare interno, la cui superficie era posta ad una quota di circa 650 metri superiore a quella del Mediterraneo. Quel mare raccoglieva le acque di un vasto bacino pluviale, che andava dall'attuale massiccio degli Aurès, a nord, sino ai massicci del Tassili e dell'Ahaggar a sud. Quel mare fossile avrebbe avuto una forma quasi circolare, con una superficie di oltre 280.000 km quadrati, quasi pari a quella dell'intera italia. Nel suo bacino oggi si troverebbe il Grand Erg orientale, uno dei deserti sabbiosi più estesi al mondo. L'architetto Arecchi suppone che a quel grande mare fosse attribuito in epoca antica il nome Oceano Atlantico, in seguito attribuito a ben altro specchio d'acqua. Ancor oggi il suo fondo disseccato si chiama "Chott el Djerid" (palude disseccata del palmeto), e quindi Arecchi lo identifica con il mitologico Giardino delle Esperidi. A sud-ovest del mare interno, a una distanza di altri 500 km, si ergeva il grande massiccio roccioso dell'Atlante. Alle pendici di quella montagna, come racconta Erodoto, sarebbe vissuto un tempo il popolo degli Atlanti:

« Da questo monte gli abitanti del paese hanno tratto il nome, si chiamano infatti Atlanti. Si dice che essi non si nutrano di alcun essere animato e che non abbiano sogni. »

Due vie carovaniere ancor oggi conducono dalle sponde del Mediterraneo verso le montagne dell'Ahaggar, e secondo Arecchi corrono l'uno lungo la sponda ovest dell'antico Mare dei Giardini (è la strada che conduce alle oasi di El Goléa e di Ghardaia, i cui uadi punterebbero ancora in direzione del grande mare disseccato), l'altro lungo la sua sponda orientale: è la grande "strada dei carri", cosparsa di dipinti e graffiti rupestri, descritta già da Erodoto.

Nel golfo descritto da Arecchi sarebbe sorta una civiltà fiorente, fondata da una stirpe libica di grandi costruttori e grandi navigatori, chiamati Tjehenu nei geroglifici egizi e Atlantói nei testi greci. Almeno sin dal 3000 a.C. gli Atlantidei sarebbero stati in grado di erigere con grandi blocchi di pietra delle città fortificate, e sarebbero vissuti in costante confronto con l'impero dei Faraoni, proprio come narra Platone. Essi avrebbero conosciuto la scrittura e detenuto il monopolio dell'ossidiana, di cui ancor oggi Pantelleria e le isole Eolie sono molto ricche. Sulle colline alle spalle della pianura atlantide si sarebbero trovate miniere di rame nativo (il famoso oricalco); grazie alle armi forgiate con esso, gli Atlantidei avrebbero condotto una politica espansionistica fino alla Sardegna e alla Tirrenia (la Toscana). Platone narra poi che gli abitanti di Atlantide coltivavano datteri e banane, in mezzo ad una fauna in cui spiccava la presenza di elefanti.

 

8.5  La mancata nave di Atlantide

Ma perchè tanto splendore finì? Lasciamo la parola allo stesso Arecchi:

« Secondo Platone, i sacerdoti di Sais avevano raccontato a Solone che grandi siccità, mai viste prima, avevano calcinato la terra intera, immensi incendi avevano imperversato sulle contrade e distrutto le foreste, fulmini erano caduti dal cielo, terremoti avevano scosso il pianeta, provocando grandi e considerevoli distruzioni, disseccando sorgenti e fiumi. Alle siccità sarebbero sopravvenute le inondazioni ed enormi trombe d'acqua si sarebbero riversate sulla terra, inghiottendo - tra l'altro - l'isola degli Atlanti. Quei cataclismi sembravano segnare una fase di transizione, il passaggio da un periodo con un clima più caldo ad un'altra fase, con condizioni di vita più dure. Corrispondono tali descrizioni a mutamenti climatici che potrebbero essere realmente avvenuti nel XIII secolo a.C.? »

Tanto per cominciare, l'anno 1300 a.C. ci porta novemila mesi (750 anni) prima di Solone, dalla cui narrazione il filosofo Platone avrebbe tratto le proprie informazioni su Atlantide, esagerando poi l'antichità di quella civiltà da 9000 mesi a 9000 anni. Inoltre, secondo i documenti di quell'epoca, come le iscrizioni egizie di Medinet Habu, ma anche secondo il libro dell'Esodo biblico), in quel secolo il Nordafrica conobbe il culmine di una grande fase di desertificazione. Un'iscrizione di Karnak precisa: « I Libici vengono in Egitto per cercare di sopravvivere. »

Secondo Arecchi, quella fiorente civiltà avrebbe davvero avuto fine nel giro di ventiquattr'ore, in un anno compreso tra il 1235 e il 1220 a.C. Una serie di violenti terremoti avrebbe compromesso la consistenza degli sbarramenti di tufo che ben presto sarebbero ceduti di fronte alla pressione delle acque dei due grandi bacini posti alle quote superiori, il mare sahariano e il Mediterraneo occidentale. Le acque si sarebbero aperte la strada con immani ondate di piena, e l'onda d'urto si sarebbe rovesciata sulla pianura sottostante, spazzando via completamente l'Atlantide ed ogni suo ricordo. L'architetto sostiene che le prove di quell'antica catastrofe sarebbero ancora sotto gli occhi di tutti, osservando una foto satellitare della regione del Grande Erg orientale, del Golfo di Gabès e della Piccola Sirte: il Golfo di Gabès appare come un vero e proprio "imbuto" che ci lascia intuire l'enorme massa d'acqua che vi si sarebbe scaricata. La stessa serie di terremoti avrebbe rotto i diaframmi rocciosi che delimitavano a nord le acque del Mediterraneo Occidentale; esse si sarebbero riversate sulla pianura di Atlantide, e quella gloriosa civiltà sarebbe stata definitivamente sommersa sotto centinaia di metri di acqua salata. I due Mediterranei si sarebbero fusi in un solo mare, l'Italia si sarebbe separata dalla Sicilia con l'apertura dello stretto di Messina, e la pianura dell'Egeo sarebbe stata definitivamente sommersa, generando il mito del diluvio di Deucalione e Pirra, di cui abbiamo parlato nel capitolo 3. I fanghi, le correnti e i bassi fondali della Piccola Sirte e del Canale di Sicilia avrebbero reso a lungo difficile la navigazione in quei mari, come riferiscono parecchi autori classici. Sempre secondo il nostro architetto, il bisogno di conquistare le poche terre rimaste disponibili avrebbe spinto gli Achei ad assediare e conquistare Troia (il racconto omerico), mentre altre spedizioni marinare di quei popoli si sarebbero spinte fino al Nordafrica, alla ricerca delle rovine sommerse dell'antica Atlantide, generando i racconti leggendari degli Argonauti spintisi fin dentro il deserto africano, e di Eracle partito alla conquista dei pomi delle Esperidi. Le ripercussioni sulla Valle del Nilo sarebbero invece state tramandate dall'autore del libro biblico dell'Esodo, sotto forma delle dieci Piaghe d'Egitto. Arecchi aggiunge:

« Lo svuotamento completo del grande mare africano, avviato dall'improvvisa catastrofe, fu il colpo di grazia per la desertificazione del Nord Africa. Il fenomeno proseguì con l'inaridirsi del clima e col disseccarsi dei corsi d'acqua che alimentavano il bacino dell'Igharghar, e durò più d'un millennio: il livello scese per l'accresciuta evaporazione e gli uomini dell'antichità classica conobbero un grande lago Tritonide, con un fiume Tritone, che scendeva dalle pendici dell'Ahaggar nel letto dell'attuale Wed Igharghar, la cui lunghezza complessiva raggiunse i 2000 km, secondo i calcoli effettuati da Butavand. »

Alberto Arecchi propone che la distruzione del centro economico-culturale di Atlantide sia collegata anche all'improvvisa e misteriosa interruzione delle attività di costruzione di complessi megalitici, che intorno a quell'epoca interessò in tutta l'area del Mediterraneo Occidentale, dalla penisola iberica alla Sardegna, e da Malta sino alle isole britanniche. Infatti, nel caso in cui l'ipotesi fosse vera, sarebbe scomparso un paese di grandi navigatori, che commerciavano con i paesi più occidentali esportandovi i propri prodotti, e i popolo megalitici avrebbero subito un grave impoverimento ed un ritardo culturale. Altri popoli, cui era venuto a mancare il principale partner economico, avrebbero deciso di cercarsi da soli i propri mezzi di sussistenza, e si sarebbero dati alla pirateria. Sarebbe così iniziata quell'ondata di invasioni da parte di genti bellicose che sarebbe passati alla storia con il nome di "Popoli del Mare", già nominati sopra: essi tra l'altro abbatterono l'impero degli Ittiti, posero fine al Nuovo Regno Egiziano, ed alcuni gruppi di essi si stanziarono sulle coste meridionali della Palestina, originando il bellicoso popolo dei Filistei, contro cui gli Ebrei lottarono a lungo, prima guidati dai Giudici e poi dai Re. La coincidenza cronologica è in effetti convincente.

Il nostro autore aggiunge: « Un piccolo gruppo di sopravvissuti del popolo Tjehenu conservò forse il ricordo di una parte degli antichi miti. La mitica regina Tin Hinan, sepolta nel massiccio dell'Ahaggar, nel cuore del Sahara, ne può costituire una traccia, almeno nella permanenza del nome, così come l'alfabeto tifinagh, usato nelle più antiche lingue libico-berbere. »

Indubbiamente si tratta di uno scenario affascinante, ma a questo punto si pone il solito problema: appurate le coincidenze fra la ricostruzione storico-geografica e il racconto platonico, coincidenze che però si ritrovano in tutte le "Atlantidi" disseminate nel mondo e snidate dai loro cacciatori, come verificarle sulla base di rilievi scientifici ed archeologici? Arecchi propone di individuare i diversi livelli costieri sommersi, corrispondenti alla progressione delle acque dal momento della catastrofe di Atlantide sino al completo riempimento del mare Mediterraneo alla quota attuale, e di sondarli alla ricerca di tracce delle antiche città, o perlomeno degli antichi porti minoici, micenei ed egiziani che sarebbero stati sommersi dalla salita delle acque. Sino ad oggi, però, nessun riscontro è stato ottenuto.

Scoperta un'antica nave di Atlantide?

Le speranze dei sostenitori di questo scenario furono accese, il 20 gennaio 2005, da una foto satellitare ripresa in un punto del Grand Erg orientale, nel profondo sud dell'Algeria, in coordinate 31°01'25" N e 7°58'32" E, che vedete riprodotta qui sopra. Vi si vedeva un oggetto semisepolto dalla sabbia, di forma affusolata, molto simile ad una chiglia di nave rovesciata. L'oggetto appariva in rilievo, in una leggera depressione scavata dal vento lungo i lati della punta, e la sua lunghezza stimata era di circa 100 metri. Trovandosi inscritto dentro una sorta di rettangolo, il manufatto fu considerato artificiale, tanto che alcuni lo dissero addirittura di origine extraterrestre. Arecchi suppose  che si trattasse proprio del relitto della carena di una nave dell'antico popolo dei Tjehenu, rimasta adagiata sul fondo di quello che, come abbiamo detto sopra, sino al 1200 a. C. sarebbe stato un vastissimo lago d'acqua dolce. Molti giornali titolarono perciò con enfasi: « Scoperta un'antica nave di Atlantide? »

Macchè... è un pozzo petrolifero

Le speranze però andarono deluse: nel suo sito, il 13 aprile 2011, lo stesso Arecchi annunciò che Google Earth ora mostrava la presenza di un pozzo petrolifero, il cui recinto era proprio quel "rettangolo" che si vedeva nelle foto precedenti. Tutt'intorno, a breve distanza, sorgevano molti altri pozzi: come commentò lo stesso Arecchi, « ciò fa naturalmente supporre che la gran traccia affusolata che si vedeva scavata nella sabbia non fosse altro che il tunnel di avvio alla perforazione, scavato nella sabbia ». La scoperta archeologica del secolo dovette purtroppo essere rimandata.

 

8.6  Conclusioni: o nell'Atlantico o niente!

Vorrei aggiungere però una considerazione di ordine generale. Secondo me, alla fin fine tutte le versioni di Atlantide nel golfo di Guinea, nel Baltico, nel mar Nero, nel Sahara, nell'entroterra anatolico, sotto la calotta glaciale meridionale o addirittura nello spazio che noi abbiamo esaminato, sono poco realistiche per definizione, poiché per essere adattate al testo del « Timeo » implicano tutte un tale grado di reinterpretazione delle reali parole di Platone da rendere irrealistico il risultato finale. James Guy Bramwell nel suo "Last Atlantis" (1938) scrive chiaro e tondo: "O è un'isola dell'oceano Atlantico, o non è Atlantide!" E possiamo aggiungere che non si tratterebbe di Atlantide neppure nel caso in cui la terra perduta non assomigliasse all'elaborata descrizione che ne fa Platone, non essendo altro che la scomparsa per inondazione di una comunità primitiva di cacciatori-raccoglitori o agricoltori della tarda età della Pietra.

A questo proposito, diamo la parola al mio amico Guido Borghi dell'Università di Genova: « La Maledizione di Atlantide consiste almeno in parte nel fatto che chiunque se ne occupi è destinato a non essere ascoltato, perché ormai la Storia della Questione prevale sulla Questione stessa. Prima di arrivare a esporre una teoria nel merito, la stratificazione di ipotesi falsificate nel corso del tempo esaurisce l'attenzione di pressoché qualsiasi Lettore. Qualunque nuova proposta possa essere avanzata, finisce per apparire come una stupida e presuntuosa aggiunta a un disgustoso cumulo di idiozie.
In tutto ciò, il testo di Platone continua a essere trascurato. Elenco alcuni punti fondamentali.
    1) La parola tradotta con 'isola' significa, in greco, anche 'terreno alluvionabile'; non c'è un'altra espressione per quest'ultimo significato, quindi ogni volta che la parola ricorre bisogna valutare quale dei due dobbiamo intendere.
    2) L''isola' o 'terreno alluvionabile' si trova al di fuori delle Colonne d'Ercole; non 'di fronte', semplicemente 'fuori' (l'equivoco nasce dal fatto che viene usata la metafora 'bocca', per cui davanti significa 'fuori' e dentro significa 'nel Mediterraneo').
    3) 'Fuori' non vuol dire 'in mare aperto', perché i termini marinareschi greci si riferiscono alla navigazione sotto costa, quindi vuol dire semplicemente 'raggiungibile per mare dopo aver oltrepassato le Colonne d'Ercole'.
    4) 'Colonne d'Ercole', in Platone, è sempre il nome dello Stretto di Gibilterra; che in passato avessero altri referenti non ha alcuna rilevanza per l'interpretazione di Platone, che usava la propria lingua senza conoscerne tutta la storia. Questo esclude – come giustamente rilevato in questo Iperetesto – ogni localizzazione entro il Mediterraneo o il Mar Nero, che sarebbe altrettanto scorretta di chi – per assurdo – sostenesse che Cristoforo Colombo avesse scoperto l'Africa.
    5) Allo stesso modo, 'anni' in Platone significa sempre 'anni', quindi il racconto è ambientato nel 9600 a.C. (novemila anni prima di Solone); ogni collocazione più recente sarebbe perfino (e di molto) più erronea che le prime datazioni proposte per Ötzi (l'Uomo dei Ghiacci del Similaun), che lo avevano identificato come una persona scomparsa nel XX. secolo.
    6) D'altra parte, però, Platone scrive chiaramente che il terremoto che ha distrutto Atene (anch'essa dunque scomparsa!) e il maremoto che ha sommerso l'Atlantide sono avvenuti «in un'epoca successiva», quindi non in quella cui si riferisce la narrazione della guerra fra Atlantide e Atene.
    7) Di nuovo come giustamente sottolineato in questo Ipertesto, «come l'Asia e la Libia» va riferito all'Asia e all'Africa comunemente note all'epoca (del resto, lo stesso Platone fornisce le misure in stadî della Piana di Atlantide, che si collocano nell'ordine di grandezza della Gran Bretagna).
    8) Il dominio di Atlantide arrivava, all'interno del Mediterraneo, fino alla Tirrenia e all'Egitto (quindi, per esempio, la Liguria ne faceva parte).
Tutto ciò elimina come non pertinenti la quasi totalità delle ipotesi avanzate, che quindi possono costituire bensì un'interessante disciplina all'interno della Storia della Ricezione della Cultura Classica, ma con Platone hanno a che vedere ancor meno che Stalin con Ötzi (perché almeno questi ultimi due condividono l'aplogruppo G del Cromosoma Y e sono separati da 'soltanto' cinque millenni anziché otto).
Purtroppo per molti, gran parte degli altri particolari elencati da Platone (nel solo Crizia) – i metalli, le navi, a maggior ragione gli Dèi – sono essi pure inconciliabili con quanto precede e dunque da scorporare dalla questione, tanto più che così si fa anche con ogni altro Autore antico (nessuno sostiene che la Guerra di Troia non sia mai avvenuta perché... Era, Atena e Afrodite non sono persone reali!).
Accade però che i punti 1-4 e 6-8 coincidano con situazioni e fatti realmente avvenuti e dimostrabili in modo del tutto indipendente da Platone (li conosceremmo anche se Platone non avesse scritto niente). L'unico che rimane dipendente dalla sola narrazione platonica è il quinto (la narrazione della più antica guerra su suolo europeo), che dunque va trattato come, per esempio, Romolo e Remo: potrebbero essere esistiti oppure no, non sono in contraddizione con ciò che sappiamo, ma neppure possiamo dimostrare che siano vissuti in quella precisa epoca e con quegli specifici nomi. Una prima guerra – comunque la vogliamo definire – su suolo europeo deve per forza aver avuto luogo, presto o tardi: che fosse proprio quella, resta materia leggendaria e – al momento – inverificabile. »

Infine, prima di chiudere questo ipertesto, voglio farvi notare che esiste una spiegazione alternativa per giustificare reperti apparentemente "inspiegabili" come la carta di Piri Reis: può darsi che qualche sapientone extraterrestre sia venuto dagli spazi profondi ad insegnarci come tracciarla, seminando per il nostro pianeta altri inequivocabili segni del suo passaggio, in un passato ormai senza ricordo. La stessa Atlantide cesserebbe allora di avere qualunque funzione storica, e si ridurrebbe al più ad una colonia di questi extraterrestri (come nel celebre film "Cocoon"). Ad esempio, gli alfieri dell'ipotesi extraterrestre sostengono che l'originale della mappa di Piri Reis é stato tracciato da un veicolo volante con l'esplicito intento di fornire ad eventuali alieni precise informazioni sulla distribuzione degli insediamenti umani del nostro pianeta. Per quanto risibile possa apparire questa teoria, sono nate due vere e proprie scuole di pensiero contrapposte, due "partiti" in continua polemica tra di loro (come quelli politici, del resto!) a suon di libri ed articoli spesso uno più delirante dell'altro. L'una vede nel passato remoto della razza umana una grande civiltà avanzata, fondata comunque da esseri umani,, poi cancellata da un cataclisma, civiltà che ha "educato" tutti gli altri uomini, dando vita a tutti gli antichi imperi del mondo; l'altra, invece, ritiene che a portarci la civiltà siano stati visitatori di altri pianeti, in vena di generosità (io penso però che, se da queste parti fossero passati degli alieni, avrebbero fatto a noi ciò che noi abbiamo fatto agli Aztechi, cioè conquistarci e ridurci in schiavitù, come era desiderio del perfido imperatore Vega di Goldrake). Si tratta di due posizioni assolutamente inconciliabili, eppur suffragate dalle medesime "prove": scegliere l'una o l'altra, con buona pace di Pascal, richiede sempre un atto di fede... Una fede comunque diversa dalla mia!!!

 

Bene, credo di avervi dipinto un affresco abbastanza completo delle leggende che gli uomini hanno conservato circa una catarsi subita dall'orbe terracqueo prima dell'inizio della storia propriamente detta. Potrei continuare, ma é meglio finirla qui, perché i discorsi portati avanti troppo a lungo finiscono per scocciare chi scrive e chi ascolta. Se tuttavia avete voglia di far lavorare la fantasia, dopo aver fatto funzionare il cervello tanto a lungo, cliccate qui e leggete alcuni racconti che io ho ambientato nell'universo fantasy di Atlantide, tanto per dimostrare come, anche agli occhi di uno scettico come me, la leggenda dell'isola perduta resti comunque un ottimo spunto per racconti ameni che divertono chi li scrive e chi li legge. O almeno spero... Buon divertimento. FMB