Introduzione

Prefazione
In questo ipertesto, la cui realizzazione ho meditato per alcuni anni, intendo illustrare per tutti gli utenti del World Wide Web i principali significati e simboli di quello che, probabilmente, è il libro più bello dell'intera Bibbia, oltre che l'ultimo: l'Apocalisse di Giovanni. Non ho naturalmente la pretesa di poterne svelare tutti i misteri riposti tra le sue righe, né di poter indicare la strada sicura per orientarsi nell'incredibile dedalo di allegorie, animali fantastici, suoni, luci e colori che si affollano nei suoi 22 capitoli. Piuttosto, sulla scia di quanto fatto da Vittorio Messori nelle sue "Ipotesi su Gesù" (1976) ed "Ipotesi su Maria" (2005), anch'io mi accontenterò di attingere alle varie fonti a mia disposizione per accumulare una serie di "ipotesi", ovviamente le più ragionevoli possibili, su come decriptare il messaggio in bottiglia lanciatoci da Giovanni in questa sua opera, che ha stupefatto milioni di lettori di ogni epoca. La principale e più importante delle mie ipotesi consisterà nel verificare che l'Apocalisse non descrive tanto il futuro, come credono i più, bensì il presente della Vita della Chiesa, e che da esso non vadano estratti messaggi cifrati stile "A beautiful mind" o previsioni medianiche sui millenni a venire, bensì un unico e chiaro messaggio di speranza, presentato in modo palese da Giovanni alla conclusione dell'opera con queste sue parole: « Ecco, io verrò presto e porterò con me il mio salario, per rendere a ciascuno secondo le sue opere » (Ap 22,12). A voi poi toccherà giudicare se le mie ipotesi siano o no convincenti, o meglio, per usare ancora espressioni care a Messori, le mie "ragioni della ragione" siano o meno di conforto alle vostre "ragioni del cuore".

Ed ora, andiamo a cominciare.

 

Il tempo dei martiri
Siamo nell'ultimo decennio del primo secolo della nostra Era. La "pax romana" è divenuta ormai fragile: l'Impero, diventato più vasto di ogni pur ragionevole speranza dei gloriosi condottieri quiriti, è minato da spinte centrifughe che tendono a staccarne le regioni periferiche (tra cui la Giudea). Per rinsaldarne l'unità si costringono le popolazioni a dare prova di lealtà allo Stato: tutti dovranno venerare la statua dell'imperatore e riconoscere la sua dignità divina; chi si rifiuta sarà considerato colpevole di azione sovversiva. A venire particolarmente colpiti da questo "nuovo corso" della politica romana sono soprattutto i Giudei ed i Cristiani. Questi ultimi in particolare conducono una vita appartata, rifiutano di mescolarsi alla vita che ferve attorno ai templi pagani e si tengono a debita distanza da tutto ciò che concerne la religione tradizionale romana. La loro resistenza di fronte al culto dell'imperatore appare come una una prova evidente del fatto che essi complottano contro l'unità dello Stato Romano; ed è così che essi vengono sospettati dei peggiori misfatti, dall'adorazione di un asino crocifisso fino all'accusa di uccidere bambini e di divorare le loro carni durante le riunioni comunitarie. Inizia così il tempo delle persecuzioni: la prima è quella avvenuta verso la fine del regno di Nerone, in seguito al tremendo incendio di Roma scoppiato la notte del 18 lugglio del 64 d.C., la cui colpa è fatta ricadere sugli Adoratori di Cristo come capro espiatorio, ma più terribile e generalizzata è quella bandita sotto l'impero di Tito Flavio Domiziano (81-96), che pretende di essere riconosciuto "Dominus et Deus", come un signorotto ellenistico orientale.

A questo punto, è passato il tempo delle attestazioni di lealtà verso lo Stato Romano, testimoniate tra l'altro dai seguenti passi del Nuovo Testamento:

« Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna. I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male » (Romani 13, 1-3)

« State sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore: sia al re come sovrano, sia ai governatori come ai suoi inviati per punire i malfattori e premiare i buoni. Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re » (1 Pietro 2, 13-14.17)

« Ricorda loro di esser sottomessi ai magistrati e alle autorità, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona » (Tito 3, 1)

Ormai è chiaro, è necessario resistere fino al martirio, onde evitare che il Cristianesimo sia destinato a sparire perchè molti Cristiani abbandonano la lotta e i restanti sono sterminati nei modi più crudeli. Un uomo in particolare, sullo scorcio del I secolo dopo Cristo, vive questa angoscia. Quest'uomo, che opera nell'ambito delle cosiddette « chiese giovannee » dell'Asia Minore, come attestano le lettere indirizzate alle "Sette Chiese d'Asia" (Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia e Laodicea), dà libero sfogo alla protesta di fronte all'oppressione da parte di questa "nuova Babilonia" in cui si è trasformata Roma, persecutrice dei credenti, e lancia un messaggio di incoraggiamento, incorniciato in una scenografia grandiosa: piomba sulla terra una catastrofe senza pari, il mondo stesso scompare di fronte al giudizio di Dio, e comincia un mondo nuovo, il tempo della gioia e della salvezza divine.

L'Impero Romano nel 90 d.C., disegno dell'autore di questo sito

L'Impero Romano nel 90 d.C., disegno dell'autore di questo sito

 

Cosi intesa, l'opera del nostro Autore si configura come una profezia, una letteratura comprensibile a pochi perché si rivolge a una cerchia ristretta di iniziati usando un linguaggio misterioso, per sfuggire al controllo delle censure poliziesche di questo mondo: la protesta della coscienza di fronte a pressioni insopportabili, la rivendicazione di una visione diversa e più giusta della società e del mondo intero, l'appello a resistere durante la tormenta, nella convinzione che il sereno stia per ritornare ad invadere il cielo. Anziché essere un infausto oracolo sulla fine del mondo, come tanti hanno preteso di leggerla in modo letterale, questo libro si configura come un messaggio concreto di speranza, rivolto alle Chiese in crisi interna  (capitoli 1-3) e colpite dalla persecuzione della Grande Prostituta, cioè della Roma imperiale con la sua bestiale tracotanza e la sua aspirazione ad essere adorata come una deità (13, 12-18; 14, 9-13), affinché ritrovino la fermezza nella fede e il coraggio della testimonianza. Il fine ultimo verso cui la Storia sta muovendosi non è il trionfo del Drago dalle innumerevoli teste, ma quello dell'Agnello, cioè del Cristo, e alla Babilonia devastatrice subentrerà per sempre la Gerusalemme della pace, della luce e della vita eterna.

L'autore usa immagini per noi sconcertanti, in cui il simbolismo e la numerologia variano continuamente, come i colori dello spettro rifratti da un prisma di vetro: i segreti più reconditi si accatastano come in uno zoom cinematografico che ci lascia indubbiamente con il fiato mozzo. Persone, spiriti, animali, eventi naturali, sogni, visioni, numeri, enigmi, segni cosmici, città compongono un arazzo tra i più mutevoli ed incredibili che mai siano scaturiti da penna umana: il risultato è uno dei testi biblici più affascinanti, che più hanno colpito la fantasia degli scrittori, la potenza espressiva degli artisti, la capacità di astrazione dei mistici. Questa solenne interpretazione della storia alla luce della Fede e della Speranza cristiane è senz'altro tra i più difficili da comprendere dell'intera Bibbia, denso com'è di segni e simboli maestosi, tra i quali dominano i grandi Settenari posti al centro della composizione (capitoli 6-15): i Sette Sigilli Spezzati, le Sette Trombe Risonanti, i Sette Angeli con le Sette Coppe del Giudizio. Sette così come sette sono le Chiese destinatarie di questa Rivelazione. E proprio Rivelazione ("Apocalypsis" in greco, cioè svelamento) sarà per sempre il titolo di quest'enigmatica opera: "L'Apocalisse", dalla parola greca con cui comincia.

Il genere apocalittico
In realtà, benché ci si riferisca ad essa come all'"Apocalisse" per antonomasia, sarebbe più giusto parlare delle Apocalissi, o meglio di genere "apocalittico": si tratta di un genere letterario e teologico assai diffuso nel tardo giudaismo, che tende a nascere spontaneamente nei periodi agitati della storia del Popolo Eletto. Esso si manifesta nella Bibbia a cominciare dal II secolo a.C., cioè quando il profetismo si esaurisce, JHWH cessa di parlare "direttamente" al suo popolo, e quest'ultimo ha la sensazione che i Cieli siano irrimediabilmente chiusi. È infatti allora che l'uomo sente la necessità di rileggere l'intera sua storia alla luce dell'Azione di Dio in essa, in modo che anche i momenti più tragici (la distruzione del Tempio di Salomone, l'esilio a Babilonia, la persecuzione da parte dei Seleucidi) assumano un senso nel quadro di un più generale piano salvifico del Signore. Questo genere letterario lo incontriamo nella cosiddetta "Apocalisse di Isaia" (capitoli 24-27) e in quella di Zaccaria (capitoli 9-11):

« Ecco che il Signore spacca la terra, la squarcia e ne sconvolge la superficie e ne disperde gli abitanti (...) Certo, barcollerà la terra come un ubriaco, vacillerà come una tenda; peserà su di essa la sua iniquità, cadrà e non si rialzerà. In quel giorno il Signore punirà in alto l'esercito di lassù e qui in terra i re della terra. Saranno radunati e imprigionati in una fossa, saranno rinchiusi in un carcere e dopo lungo tempo saranno puniti. Arrossirà la luna, impallidirà il sole, perché il Signore degli eserciti regna sul monte Sion e in Gerusalemme, e davanti ai suoi anziani sarà glorificato » (Isaia 24, 1.20-23)

« Allora il Signore comparirà contro di loro, come fulmine guizzeranno le sue frecce; il Signore darà fiato alla tromba e marcerà fra i turbini del mezzogiorno. Il Signore degli eserciti li proteggerà: divoreranno e calpesteranno le pietre della fionda, berranno il loro sangue come vino, ne saranno pieni come bacini, come i corni dell'altare.  Il Signore loro Dio in quel giorno salverà come un gregge il suo popolo, come gemme di un diadema brilleranno sulla sua terra » (Zaccaria 9,14-16)

Ma anche nel libro di Gioele e in quello di Daniele, oltre alle straordinarie descrizioni di Ezechiele, che tanto influenzeranno il testo giovanneo:

« Suonate la tromba in Sion e date l'allarme sul mio santo monte! Tremino tutti gli abitanti della regione perché viene il giorno del Signore, perché è vicino, giorno di tenebra e di caligine, giorno di nube e di oscurità. Come l'aurora, si spande sui monti un popolo grande e forte; come questo non ce n'è stato mai e non ce ne sarà dopo, per gli anni futuri di età in età. Davanti a lui un fuoco divora e dietro a lui brucia una fiamma. Come il giardino dell'Eden è la terra davanti a lui e dietro a lui è un deserto desolato, non resta alcun avanzo » (Gioele 2,1-3)

« Mentre io, Daniele, consideravo la visione e cercavo di comprenderla, ecco davanti a me uno in piedi, dall'aspetto d'uomo; intesi la voce di un uomo, in mezzo all'Ulai, che gridava e diceva: "Gabriele, spiega a lui la visione". Egli venne dove io ero e, quando giunse, io ebbi paura e caddi con la faccia a terra. Egli mi disse: "Figlio dell'uomo, comprendi bene, questa visione riguarda il tempo della fine" » (Daniele 8, 15-17)

« Or in quel tempo sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Vi sarà un tempo di angoscia, come non c'era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre » (Daniele 12, 1-3)

Tale genere letterario era talmente diffuso da trovare espressione anche nel Cristianesimo nascente, come testimonia la cosiddetta "Apocalisse dei Sinottici" (Marco 13; Matteo 24, 1-36; Luca 17, 22-37; 21, 5-33):

« Gesù si mise a dire loro: "Guardate che nessuno v'inganni!  Molti verranno in mio nome, dicendo: "Sono io", e inganneranno molti. E quando sentirete parlare di guerre, non allarmatevi; bisogna infatti che ciò avvenga, ma non sarà ancora la fine. Si leverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno terremoti sulla terra e vi saranno carestie. Questo sarà il principio dei dolori. (...) Il fratello consegnerà a morte il fratello, il padre il figlio e i figli insorgeranno contro i genitori e li metteranno a morte. Voi sarete odiati da tutti a causa del mio nome, ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato. (...) In quei giorni vi sarà una tribolazione, quale non è mai stata dall'inizio della creazione, fatta da Dio, fino al presente, né mai vi sarà. Se il Signore non abbreviasse quei giorni, nessun uomo si salverebbe. Ma a motivo degli eletti che si è scelto ha abbreviato quei giorni. (...) In quei giorni, il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore, e gli astri si metteranno a cadere dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo » (Marco 13, 5-8.12-13.19-20.24-27)

E l'"Apocalisse Paolina", presente in più passi delle Lettere di San Paolo (1 Tessalonicesi 4, 15-17; 2 Tessalonicesi 2, 1-12):

« Il Signore stesso, alla voce dell'arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell'aria, e così saremo sempre con il Signore. Confortatevi dunque a vicenda con queste parole » (1Tessalonicesi 4, 16-18)

Gesù Cristo fra i Quattro Esseri Viventi, Monastero di Hosios David, Salonicco

Gesù Cristo fra i Quattro Esseri Viventi, Monastero di Hosios David, Salonicco

 

Apocalissi apocrife
Oltre a queste fonti bibliche, bisogna segnalare una vasta galassia di composizioni extrabibliche ed apocrife.
Ecco un elenco dei principali titoli in ordine cronologico di composizione, che come si vede coprono un arco di tempo lunghissimo:

Testamento dei Dodici Patriarchi (II secolo a.C. - I secolo a.C.)
Libro di Enoc etiopico (II secolo a.C. - II secolo d.C.)
Oracoli Sibillini (II secolo a.C. - VII secolo d.C.)
Trattato di Sem (I secolo a.C.)
Libro dei Giubilei (I secolo a.C.)
Apocrifo di Ezechiele (I secolo a. C. - I secolo d.C.)
Apocalisse di Sofonia (I secolo a.C. - I secolo d.C.)
Libro dei Segreti di Enoc ( I secolo d.C.)

Assunzione di Mosè (I secolo d.C.)
Quarto libro di Esdra (fine del I secolo d.C.)
Apocalisse di Abramo (I-II secolo d.C.)
Apocalisse di Adamo (I-IV sec d.C.)
Apocalisse di Elia (I-IV secolo d. C.)
Apocalisse greca di Baruc (I-III secolo d.C.)
Apocalisse siriaca di Baruc (Inizio del II secolo d.C.)
Apocalisse di Sidrac (II-V secolo d. C.)
Apocalisse greca di Esdra (II-IX secolo d. C.)
Rivelazione di Esdra (prima del IX secolo d.C.)
Visione di Esdra (IV-VII secolo d.C.)
Apocalisse di Daniele (IX secolo d.C.)
Domande di Esdra (datazione incerta)

Il Libro di Enoc etiopico e il Libro dei Giubilei sono ritenuti addirittura ispirati e quindi biblici dalla Chiesa Copta. Alcuni di questi testi sono da me già stati presi in considerazione in un altro ipertesto, quello dedicato ai Libri Storici dell'Antico Testamento, al quale vi rimando nella sezione "Apocrifi" per saperne di più e per conoscere maggiori particolari circa il genere apocalittico nel tardo Giudaismo.

In ogni caso, tale genere letterario è assai vicino a quello profetico, da cui però si distingue per il fatto che, mentre il profeta riceve le rivelazioni divine e le trasmette oralmente, l'autore apocalittico le riceve sotto forma di visioni e le mette per iscritto. Per di più, tali visioni non sono chiare di per sé, ma piene di immagini, figure, numeri, il tutto con un recondito significato allegorico, il che ne rende particolarmente difficile l'interpretazione.

Peculiarità dell'Apocalisse giovannea
In questo genere letterario, l'Apocalisse di Giovanni è un'opera davvero originale. Come le Apocalissi più antiche, è stata scritta in un'epoca difficile di persecuzione e di apparente silenzio da parte di Dio, come dicevamo all'inizio. Tuttavia essa presenta degli aspetti peculiari, che ne fanno un'opera unica. Tanto per cominciare, tutte le apocalissi parlano dei combattimenti escatologici degli ultimi tempi tra il Bene e il Male e dell'immancabile vittoria di Dio e dei Suoi fedeli. Di solito però l'autore di un'apocalisse si nasconde sotto il nome di un personaggio vissuto in un lontano passato (Enoc, Mosè, Esdra, addirittura Adamo). Invece in questo caso tramite della Rivelazione divina sono il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che è il rivelatore per eccellenza del Padre, l'angelo mediatore della rivelazione e l'apostolo Giovanni che riceve il messaggio rivelato e, dopo averlo messo in scritto, lo invia ai cristiani perché lo leggano e lo meditino.

Quasi tutte le Apocalissi apocrife passano in rassegna le epoche passate e prevedono quelle future, che appaiono ancora più drammatiche delle precedenti. L'Autore dell'Apocalisse neotestamentaria, invece, non computa le date come faceva Daniele (cfr. Dan 9,24) e non prevede epoche nuove, dominate da mostri e tiranni al cui confronto quelli presenti sono innocui agnellini: con Cristo è arrivato il tempo definitivo di Dio, e la promessa del Regno si è già compiuta in modo certo ed irreversibile. In questo senso la "profezia" giovannea non è predizione del futuro, ma interpretazione del presente con gli occhi di Dio, per scorgervi il Suo disegno. La nostra Apocalisse si appropria dunque del linguaggio delle Apocalissi giudaiche, ma si distacca completamente dalla loro tendenza a dissolversi dal presente per proiettarsi in un futuro messianico: le promesse del Cristo si sono già realizzate e, come ricorda anche Charlie Chaplin nel suo film "Il Grande Dittatore", « il Regno di Dio È in ogni uomo ».

Le apocalissi giudaiche inoltre riservavano al Messia soltanto un ruolo limitato. Qui invece il Messia Gesù è al centro di tutte le visioni, la sua vita è il punto di vista da cui si deve guardare tutta la storia (Ap 1,5; 3,21; 7,14; 12,5.11); Egli ha in mano realmente il destino del mondo e raduna gli eletti da ogni angolo della Terra. L'atteggiamento che si assume nei suoi riguardi è decisivo per il Giudizio Finale. Combatterlo e uccidere i suoi fedeli equivale a porsi tra gli adepti di Satana; il potere politico che si oppone al suo regno (cioè lo strapotere di Roma) è definito senza mezzi termini l'Anticristo. Al contrario, colui che resiste fino alla fine nonostante la Grande Tribolazione è sicuro della salvezza e vive alla presenza del Cristo, nel Suo Regno e nella Sua luce. Insomma, l'Apocalisse cristiana non è semplicemente un inno alla potenza di Dio, ma una splendida lode al Suo Cristo, che realizza il destino del mondo attraverso una netta rottura della storia umana.

Questo è anche il libro della Chiesa. In questo nuovo popolo di Dio, caratterizzato dalla fede in Cristo Gesù, dalla speranza del Suo ritorno, dalla fedeltà alla Sua parola, dalla resistenza contro ogni persecuzione, svolgono un ruolo centrale i martiri. Questo libro segna il cammino della Chiesa, che è quello della Prova: essa non deve cercare una dimora stabile sulla terra, ma attendere il compimento della Nuova Alleanza, la seconda venuta del Cristo, la gloria della Nuova Gerusalemme, la cui gloriosa visione conclude degnamente il libro. L'Autore si richiama alle parole di Gesù che promette il trionfo dopo la tempesta (Gv 16,33) e riprende i grandi temi tradizionali del Giorno del Giudizio, in cui Iddio stesso si farà vendicatore e premio dei suoi fedeli. Questo però non significa assolutamente che il libro vada letto come un messaggio di vendetta, quasi esso inciti a cercare una rivincita contro le miserie e le malvagità del secolo presente, ma piuttosto rappresenta un grandioso messaggio di speranza, di perseveranza, di resistenza. Esso impedisce di fissare l'assoluto in un'epoca particolare della storia, spinge al rifiuto dell'idolatria qualunque sia il potere che cerca di imporla, ricorda lo straordinario premio preparato a chi resta fedele a Gesù fino al martirio, ricorda che la vita umana rimane in ogni istante sotto il giudizio di Dio, insegna a cantare la grandezza del Signore Gesù, che è l'Alfa e l'Omega, e quindi la totalità e l'universalità di tutte le cose.

San Giovanni Evangelista a Patmos, esposto nella Sala dell'Orologio a Palazzo Marino, Milano, attribuito a Niccolò Tornioli (1598-1651) dalla mia amica Anna Elena Galli

San Giovanni Evangelista a Patmos, esposto nella Sala dell'Orologio a Palazzo Marino,
Milano, attribuito a
Niccolò Tornioli (1598-1651) dalla mia amica Anna Elena Galli

 

Giovanni
L'autore si riferisce a se stesso con il nome di Giovanni (1,1.4.9; 22,8) e si presenta ai suoi lettori come loro « fratello e compagno nella tribolazione » (1,9), deportato per la sua fede nell'isola greca di Patmos, nel Dodecaneso. Egli fa parte di quella categoria che il Nuovo Testamento chiama profeti (1,1-20; 22,9), ha una grande autorità tra le Chiese della provincia romana dell'Asia Proconsolare (l'attuale Anatolia occidentale); e tutto ciò basta per identificarlo con l'Apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo, come ha fatto tutta la tradizione fin dai Padri dei primi secoli. Questa identificazione è stata più volte messa in dubbio perchè l'Autore non rievoca episodi evangelici in qualità di testimone oculare, come fa invece l'autore del quarto Vangelo, e perchè, nonostante le molte affinità con gli altri scritti giovannei, le differenze sarebbero ancora maggiori, riguardanti soprattutto la lingua usata ed il diverso contesto teologico. Siccome però i lettori dell'epoca dovevano conoscere molto bene questo Autore, che con tutta probabilità è di origine giudaica, a giudicare dalla competenza con cui maneggia il genere apocalittico, e siccome anche tra il "Fermo e Lucia" e i "Promessi Sposi" ci sono enormi differenze stilistiche nonostante appartengano allo stesso autore, appare molto più economico seguire la Tradizione giunta a noi da tempi così lontani e far coincidere questo Giovanni con Giovanni l'Apostolo. Sempre secondo la tradizione, egli sarebbe divenuto primo vescovo di Efeso (guarda caso, una delle Sette Chiese) dove sarebbe vissuto con la Vergine Maria, affidatagli da Cristo sulla croce, e sarebbe anche l'unico Apostolo morto di vecchiaia, addirittura sotto il regno di Traiano (98-117), dopo che Domiziano aveva inutilmente tentato di martirizzarlo facendolo cuocere in una caldera d'olio bollente.

È Giustino (100-162) il primo che, verso il 150, identifica il Profeta Giovanni dell'Apocalisse con l'Apostolo Giovanni. Sant'Ireneo (130-202) a sua volta afferma che l'autore del Vangelo e quello dell'Apocalisse sono una sola e medesima persona; dopo di lui Ippolito (170-235), Tertulliano (160-230), Origene (185-254) e l'intera tradizione cristiana riprendono l'identificazione. Oggi molti critici tendono a spiegare le importanti differenze tra il Vangelo e l'Apocalisse, che coesistono accanto a somiglianze incontestabili, superando la nozione stessa di "autore" e sostituendola con una tradizione intellettuale e spirituale che gli esegeti designano con il nome di « scuola giovannea ». In altre parole, secondo questi esegeti l'Autore non sarebbe l'Apostolo, ma un cristiano della Chiesa primitiva a lui molto vicino, che avrebbe saputo raccogliere la tradizione apocalittica adattandola alla rivelazione di Gesù, ed integrandovi punti forti della tradizione giovannea. I temi comuni tra il Vangelo e l'Apocalisse proverrebbero dalla predicazione diffusa in questa cerchia di discepoli. In ogni caso, se l'Autore non fosse l'Apostolo in persona, si tratterebbe comunque di uno dei suoi più intimi discepoli, venuti con lui dalla Palestina, e ciò basta per sostenere che il Figlio di Zebedeo è quanto meno il capostipite della scuola di pensiero che ha portato all'Apocalisse; basandoci su questa identificazione, dunque, noi ci atterremo alla Tradizione e continueremo ad chiamare l'Autore con il nome di Giovanni l'Apostolo, non a caso da Ludovico Ariosto definito « lo scrittor de l'oscura Apocalisse » (Orlando Furioso, canto XXXIV, 86).

Il discorso della « scuola giovannea » è stato però estremizzato da alcuni commentatori, che nel corso del XIX secolo hanno messo in discussione la stessa unità dell'opera. Essi infatti  hanno voluto spiegare le ripetizioni, le contraddizioni, le apparenti mancanze di logica nell'Apocalisse supponendo una pluralità di fonti. Marie Émile Boismard (1916-2004) ad esempio ha individuato tre scritti all'origine del libro: un'apocalisse scritta sotto il regno di Nerone, un'altra datata ai tempi di Domiziano, e le Lettere alle Sette Chiese. Alla fine del I secolo un compilatore avrebbe riunito questi documenti. Senza escludere la possibilità di molteplici fonti, tuttavia, quasi tutti i commentatori odierni preferiscono sottolineare la fondamentale unità dell'opera dovuta alla penna di un autentico autore.

L'epoca della composizione
Secondo Clemente di Alessandria (150-215), Ireneo, Origene e Gerolamo (347-420), alcune allusioni permettono di datare l'Apocalisse, nella sua configurazione attuale, al tempo della persecuzione di Domiziano, ordinata verso la fine del suo impero (81-96). Questa è l'opinione della maggior parte degli esegeti contemporanei. Alcuni, seguendo il parere di Epifanio di Salamina (315-403), hanno retrodatato l'opera addirittura sotto il regno di Claudio (41-54), mentre altri hanno preferito l'epoca di Nerone (54-68), la cui persecuzione contro i cristiani fu particolarmente violenta, così da poter identificare il figlio di Agrippina Minore con la Bestia. Effettivamente alcuni passaggi del libro dell'Apocalisse lasciano intendere che il Tempio di Gerusalemme sia ancora in piedi, come ad esempio:

« Alzati e misura il santuario di Dio » (11,1)

L'esegeta Douglas Robinson si è basato su questo passaggio per proporre una datazione antica, ma è possibile che l'Autore utilizzi fonti contemporanee a Nerone già circolanti in ambito giovanneo; il complesso del libro depone comunque a favore di una datazione più tardiva, perché la situazione descritta nelle Lettere alle Sette Chiese corrisponde bene alle condizioni religiose della fine del I secolo in Asia Minore.

Tito Flavio Domiziano (81-96 d.C.), disegno a matita e a pastelli a cera della mia studentessa Serena Piotti

Tito Flavio Domiziano (81-96 d.C.), disegno a matita
e a pastelli a cera della mia studentessa Serena Piotti

 

L'uso frequente della parola « Babilonia » per designare Roma potrebbe offrire una chiave per la datazione: da un lato, la maggior parte delle citazioni di questo termine nelle fonti ebraiche si trovano nel Secondo Libro di Esdra, nell'Apocalisse di Baruch e negli Oracoli Sibillini, tutti testi apocrifi giudaici scritti verso la fine del I secolo; dall'altro lato, questo confronto tra Babilonia e Roma, al di la delle immagini comuni a queste due città di grande ricchezza, decadenza e potere politico, potrebbe concernere il fatto che l'una e l'altra si sono rese responsabili della distruzione di Gerusalemme, a 650 anni di distanza.

Suddivisione del testo
Come ci avverte chiaramente lo stesso Autore, l'Apocalisse è divisa in due parti. La prima tratta delle « cose presenti », cioè della situazione della Chiesa allo scadere del primo secolo; in particolare Giovanni indirizza il suo messaggio alle Sette Chiese dell'Asia Proconsolare Romana, che erano quelle da lui evangelizzate, ma nel simbolismo apocalittico il numero sette indica completezza e universalità, come vedremo parlando dei Settenari che ritornano con tanta insistenza; perciò il messaggio di Giovanni è valido per la Chiesa di ogni luogo e di ogni tempo.

La seconda parte, che costituisce il cuore del libro, tratta invece delle « cose che verranno dopo le presenti », cioè dell'avvenire della Chiesa. Si deve però stare attenti a non fraintendere questa seconda parte dell'opera: essa non ci vuole far conoscere in anticipo come si svolgerà, nel futuro, la storia della Chiesa, ma soltanto ammonire nella maniera più ferma che la Chiesa dovrà continuamente combattere contro il regno del Male, subire le più gravi persecuzioni, diffondere il Vangelo e vegliare nell'attesa del ritorno ultimo di Gesù, perché la vittoria definitiva sarà di Dio e della sua Santa Chiesa. In altre parole, non si tratta di una raccolta di enigmatiche Centurie analoghe all'opera di Nostradamus, né di una lista di Papi del futuro come quella di Malachia, bensì una descrizione di quello che per noi è il presente, cioè la vita della Chiesa nel secolo attuale, stretta tra persecuzioni, contraddizioni, tentazioni di buttare la spugna e continue lacerazioni tra chi vuole seguire rigorosamente il Messaggio di Cristo, senza scendere a compromessi con il mondo, e chi invece è disposto a venire a patti con il tiranno di turno.

Invece, da un punto di vista contenutistico, gli esegeti hanno suddiviso il libro come segue. Dopo un prologo (1,1-8), di presentazione e di saluto, esso si articola in tre parti principali (i riferimenti sono cliccabili):

1) Parte prima (1,9-3,22): Giovanni riceve l'incarico di scrivere il messaggio di Cristo, e lo comunica mediante sette lettere alle sette Chiese dell'Asia Minore.

2) Parte seconda (4,1-20,10): Preparazione per il Giorno del Giudizio. Contiene quattro serie di visioni simboliche):

2a) I Sette Sigilli (4,5-8,5): conquista, guerra, fame, morte, martiri, finimondo, (intermezzo del trionfo dei martiri), turibolo d'oro.

2b) I Sette Angeli con le Sette Trombe (8,6-11,19): grandine, fuoco, mare di sangue, l'astro "Assenzio", eclissi, locuste, cavalleria, (intermezzo del libriccino), inno celeste.

2c) I Sette Segni (12,1-14,20): il Dragone, la Bestia del Mare, la Bestia della Terra, Agnello e vergini, segno dei buoni, il Figlio dell'Uomo, cenni della fine e del giudizio.

2d) I Sette Calici (15,1-16,21): versati sulla terra, sul mare, nei fiumi, nel sole, sul trono della Bestia, nell'Eufrate, (intermezzo dei tre demoni), nell'aria.

3) Parte terza (17,1-22,15): il Giorno del Giudizio. Si sviluppa in tre sezioni:

3a) il giudizio contro Babilonia (17,1-19,10)

3b) l'ultimo combattimento (19,11-20,15)

3c) la visione della Gerusalemme Celeste (21,1-22,5)

Queste tre sezioni, con le quattro della seconda parte del libro, formano un ulteriore settenario che abbraccia l'intero libro delle visioni. Chiude il libro un epilogo (22,6-21), che esprime il desiderio ardente della venuta di Gesù nella gloria.

San Giovanni a Patmos, miniatura dalla Biblioteca Municipale di Clermont-Ferrand

San Giovanni a Patmos, miniatura dalla Biblioteca Municipale di Clermont-Ferrand

 

L'Apocalisse nella storia dell'arte
Com'è facile immaginare, gli artisti di ogni tempo hanno attinto a piene mani dall'Apocalisse per creare opere immortali, suggestionati dalle sue immagini grandiose e dal suo arcobaleno di colori e luci. Nell'impossibilità di una trattazione esaustiva, vediamo di soffermarci sui punti salienti delle interpretazioni artistiche dell'ultimo scritto apostolico, cominciando ovviamente dall'Oriente bizantino. Quest'ultimo trascurò l'Apocalisse almeno fino al V secolo, nella convinzione che l'opera di Giovanni avvalorasse il Millenarismo, allora considerato eretico. Soltanto a un'epoca piuttosto tarda risale un'Apocalisse greca illustrata.

Tra i motivi iconografici ispirati all'Apocalisse è particolarmente frequente nell'arte figurativa bizantina il cosiddetto Tetramorfo, che rappresenta i simboli dei Quattro Esseri Viventi in un'unica raffigurazione: vi appaiono le teste dell'Aquila, del Leone, del Toro e dell'Uomo, circondate da quattro, sei o otto ali, che circondano il Cristo in trono. Uno degli esempi più antichi, raffigurato qui sopra, si trova nel monastero di Hosios David a Salonicco, è datato fra il 475 e il 500 d.C.. Altro motivo apocalittico presente nell'arte bizantina e poi russa è l'immagine dell'arcangelo Michele che uccide il Drago.

Naturalmente l'Apocalisse di Giovanni conobbe grande fortuna anche nell'arte occidentale, soprattutto nel Medioevo e all'inizio dell'età moderna, venendo intesa come messaggio di speranza in un mondo segnato da guerre, carestie ed epidemie. Le immagini più tipiche di questa concezione sono quelle realizzate dai cristiani di Spagna sotto il dominio musulmano, dette pitture mozarabiche (dall'arabo musta'rab, parola che designava uno straniero arabizzato); questo ne è un esempio.

L'idea che la progressiva scomparsa del mondo creato sia solo il sereno preludio all' avvento della Città di Dio, e non una serie interminabile di cataclismi, domina soprattutto nella pittura monumentale romanica, come per esempio nell'abbazia di Saint-Lizier nel Couserans. L'epoca romanica interpreta volentieri in senso simbolico e dottrinale le visioni giovannee: la Donna Vestita di Sole è presentata di solito come la Vergine con il Bambino Gesù, mentre la Bestia dalle Sette Teste impersona il Male sconfitto. Questa concezione è destinata a lasciare il posto, nel corso del XIII secolo, ad una lettura più narrativa: i racconti e le visioni del libro della Rivelazione diventano successioni di avvenimenti e di spettacoli stupefacenti e meravigliosi di cui Giovanni è l'eroe, quasi in un Manga ante litteram, come si vede nei manoscritti anglonormanni intorno al 1300: da uno di essi è tolta questa illustrazione del mio ipertesto. Questa tipologia di rappresentazione conosce la sua fioritura nel XIV secolo nei celebri arazzi dell'Apocalisse di Angers, realizzati per un committente della famiglia reale francese.

L'arte della fine del Medioevo tenderà a rappresentare Giovanni a Patmos in un'atmosfera poetica, semifantastica, suggestiva e ispirata: il breviario realizzato in Alvernia nel XV secolo da cui ho tratto quest'immagine ne fornisce un ottimo esempio. Alla soglia dei tempi moderni, l'Apocalisse di Giovanni sarà invece percepita in modo completamente diverso: vi si vede solo una serie di cataclismi, di catastrofi, di rivelazioni oscure e pessimiste. Per avere un'idea di questa sorta di "angoscia moderna" basta pensare a tre opere. In primo luogo, al "Giudizio Universale" di Hieronymus Bosch (1450-1516), che nell'accavallarsi caotico e quasi ipnotico di corpi umani e di mostri diabolici sembra anticipare il moderno surrealismo (eccone un particolare). In secondo luogo, al "Giudizio Universale" di Michelangelo Buonarroti (1475-1564), che nel turbinio di corpi trascinati dalla Volontà Divina e nel gesto imperioso del Cristo imberbe tradisce il timore tutto controriformistico nei confronti del Giudizio supremo (ecco anche di questo un particolare). Infine, la celeberrima raccolta di xilografie di Albrecht Dürer (1471-1528), datata 1498 e dedicata proprio all'Apocalisse di Giovanni, la quale incarna sicuramente uno dei punti più alti raggiunti dall'arte grafica nel Rinascimento. Come ha detto Alessandro Rovetta, in questa straordinaria raccolta l'artista tedesco ha saputo fondere la tradizione medievale nordica, ravvisabile nella particolare interpretazione degli elementi fantastici, con la nuova lezione del Rinascimento italiano, conosciuto soprattutto a Venezia e ravvisabile nel particolare sentimento del paesaggio. Il vigore e il dinamismo del suo tratto sottolineano la violenza e la drammaticità dei cataclismi che innescano la fine del nostro mondo. In questo ipertesto ho inserito la xilografia intitolata "I quattro cavalieri dell'Apocalisse" e quella dedicata alla Grande Prostituta.

In epoca barocca tornano a prevalere immagini più bucoliche, come nel San Giovanni a Patmos di Tornioli illustrato qui sopra, ma mano a mano che ci si avvicina all'età contemporanea e alle sue inquietudini gli artisti tornano a voltare le spalle all'arte medioevale piena di speranza di fronte alla Rivelazione di Giovanni. Così le impressionanti incisioni di Gustave Doré (1832-1883), caratterizzate da uno straordinario virtuosismo tecnico, l'abside della Chiesa di Plateau d'Assy (Alta Savoia), decorata dai maggiori artisti contemporanei, in cui Jean Lurçat (1892-1966) ha visualizzato la grandiosa visione della Donna e del Dragone (vedi), e le magnifiche illustrazioni di Fernando Monzio Compagnoni ci presentano quadri decisamente "apocalittici" nel loro drammatico surrealismo. In quest'ipertesto troverete un'incisione di Doré, dedicata alla Gerusalemme Celeste, e due opere di Monzio Compagnoni, la Corte Celeste e la Bestia del Mare, che secondo me rappresentano adeguatamente la tormentata lettura fatta dagli autori moderni dell'ultimo libro della Bibbia, in un mondo dominato apparentemente dalla crisi di ogni valore tradizionale e da sataniche ideologie che fanno pensare davvero alle Bestie viste da Giovanni in visione.

Anche la musica ha tratto ispirazione volentieri dall'Apocalisse di Giovanni. Oltre alle numerosissime versioni del "Dies Irae", parte irrinunciabile di ogni Messa da Requiem, è da segnalare "Pietra di Diaspro", opera-video di Adriano Guarnieri presentata per la prima volta al Teatro Nazionale di Roma il 10 giugno 2007 con la regia di Cristina Muti. Scritta all'indomani del crollo delle Torri gemelle di New York nel 2001, quest'opera trae il suo titolo dalla visione della Gerusalemme Celeste nel capitolo 21 dell'Apocalisse, ed in particolare dalla descrizione delle pietre preziose incastonate nelle sue fondamenta; essa unisce al testo biblico la poesia di Paul Célan, autore che ha vissuto la sua personale Apocalisse nella Shoah. Basata sulla sinestesia tra vista e udito, essa fa uso di proiezioni, giochi di luci e di specchi, amplificazione e spazializzazione del suono: quanto di meglio per rendere l'incredibile contrappunto di luci e scoppi di cui è intessuta l'intera Apocalisse.

Infine, innumerevoli sono i riferimenti all'Apocalisse nella filmografia contemporanea, a partire dai lungometraggi di argomento catastrofico come "Deep Impact" ed "Armageddon", entrambi del 1998, guarda caso una data prossima alla fine di un millennio, e per di più, per una strana coincidenza, pari al triplo del tristemente noto numero 666. Il secondo riprende addirittura il titolo da una delle più celebri parole dell'Apocalisse. Il capolavoro di Francis Ford Coppola "Apocalypse Now" (1979), liberamente ispirato al romanzo di Joseph Conrad "Cuore di tenebra" (1899), allude all'opera di Giovanni identificando la tragedia del Vietnam, una delle peggiori catastrofi nazionali degli Stati Uniti d'America, con il compimento delle fatidiche trombe di cui si parla in questo libro. Infine, nell'ambito del "Progetto Bibbia" voluto dalla Lux Vide di Ettore Bernabei, nel 2002 il regista Raffaele Mertes girò per la TV una riuscita trasposizione cinematografica di alcuni episodi dell'Apocalisse, con un ispirato Richard Harris nei panni dell'Apostolo Giovanni prigioniero a Patmos; nel cast anche Vittoria Belvedere, Benjamin Sadler, Bruce Payne e Paolo Villaggio. Ecco la scheda di tale lungometraggio sull'Internet Move Database.

Richard Harris è San Giovanni nell'"Apocalisse" televisiva

Come leggere l'Apocalisse
Come ha scritto il teologo Giovanni Canfora, non c'è alcun dubbio che l'Apocalisse rappresenti il libro più difficile della Bibbia, che in certi passi risulta del tutto oscuro e misterioso perfino ai più esperti esegeti. Logico che m
olti fedeli incontrino grandi difficoltà nella lettura di questo ultimo libro biblico, rigurgitante di immagini fantasiose che non aiutano certo a sviscerare un messaggio per l'uomo d'oggi, lontano anni luce dalle metafore e dal simbolismo di cui questo scritto fa sfoggio con così grande dovizia. A questo proposito ha detto il gesuita Ugo Vanni:

« Si ha un accumulo di simboli tutti dotati di una grande capacità evocativa, ma che potremmo chiamare "allo stato grezzo". Ciascuno di essi deve essere decodificato ed elaborato. Tra l’uno e l’altro, data la discontinuità fantastica che presentano, ci sono degli spazi vuoti: si richiede l’interpretazione che media e li riempie. Si richiede anche che, non appena un elemento simbolico è stato interpretato, sia messo in disparte, lasciando nella mente uno spazio disponibile che accolga l’altro materiale che verrà. »

E il domenicano francese Henri Marie Féret ha aggiunto:

« Non cerchiamo nell'Apocalisse la coerenza sul piano delle immagini, ma su quello delle idee e degli insegnamenti che esse esprimono! »

Eppure tanti, specie nell'ambito dell'integralismo cristiano o dei Testimoni di Geova, si accaniscono sul testo apocalittico fino ai minimi particolari, nella speranza di decifrarne il "vero" significato profetico, e addirittura di stabilire un calendario del futuro. Inutile dire che si tratta di uno sforzo quanto mai inutile, non essendo questo lo scopo di Giovanni. Egli, come già spiegato, intendeva descrivere il nostro oggi, non il nostro avvenire; intendeva lanciare un forte e sereno messaggio di speranza e di consolazione ai cristiani perseguitati di ogni tempo, dalle vittime della persecuzione di Nerone fino ai cristiani massacrati in questi anni duemila dai fanatici indù; intendeva metterci in guardia dall'eterna tentazione di abbandonare l'amore di Dio e del prossimo, di perdere la fiducia e di cedere alle false ideologie, ai falsi cristi che dalla dinastia giulio-claudia fino agli odierni pifferai magici della società consumistica tentano di spacciarsi per gli unici veri salvatori dell'umanità. Basta questo a farci capire la viva attualità del libro. Ma se il messaggio dell'Apocalisse è attualissimo non lo è più il suo complicato artificio compositivo e simbolico; per questo è assolutamente necessario leggere l'Apocalisse in modo ragionato, attraverso un'adeguata esegesi che interpreti per noi la complicata struttura letteraria messa in piedi dall'Autore e il senso di termini come Armageddon, Abaddon e Numero della Bestia, che nel delicato passaggio dal Secondo al Terzo Millennio, con il riaffiorare di tante pretese profezie millenaristiche, sono tornati prepotentemente di moda. Questo è lo scopo del presente ipertesto: fornire alcune chiavi di lettura di tutto questo sfolgorio di immagini grandiose, affascinanti fin dalla prima volta in cui se ne affronta lo studio, così da mettere in pratica l'ammonimento eterno del Libro dei Proverbi:

« La saggezza ti entrerà nella mente, la scienza sarà la delizia del tuo cuore, la riflessione veglierà su di te, l'intelligenza ti proteggerà e ti scamperà dalla via malvagia » (Pv 2, 10-12)

 

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