SINO AI CONFINI DELL'INDIA

(1066 - 1088 aUc = 313 - 335 d.C.)


La cessione di Cosroe II

Nel 313, lo stesso anno in cui Giunio Balbo III ascende al trono, all'improvviso giunge la notizia che Cosroe II, l'ultimo re partico, ha lasciato il suo ormai piccolo regno in eredità ai Romani. E così, per la prima volta nella sua storia, Roma domina la sponda orientale del Mare Ircano (Mar Caspio). Dopo la fatica della guerra vichinga e delle spedizioni punitive contro gli Ungari, mentre l'Europa si sta faticosamente risollevando dalle tragedie che la hanno travagliata nel corso dell'undicesimo secolo dalla fondazione di Roma, si ricomincia a pensare a conquiste redditizie per ridare fiato all'economia romana. Giunio Balbo III rispolvera così i piani di Traiano e di Caio Vero Svetonio, che sognavano un'espansione indefinita verso l'oriente e, animato dallo stesso sacro fuoco dello zio Giunio Balbo I, spera di conquistarsi la fama imperitura con una guerra rapida che lo copra di gloria.

Le premesse per ripetere le imprese dei predecessori ci sono, a partire dalla grande Via Caesarum che da Smirne, sul Mar Egeo, giunge fino ad Harmotia e a Bactra, nell'attuale Afghanistan, e consentirebbe rapidi spostamenti di truppe. Inoltre gli Ungari e i Vichinghi hanno accettato di deporre le armi, cinquanta legioni vegliano sui confini, il ventennio nero ha conosciuto se non altro una discreta pace sociale, e le guerre civili sembrano solo un vago ricordo. Mentre però Giunio Balbo Maggiore ebbe la ventura di affrontare un regno barbarico diviso al proprio interno, di là dal confine orientale si trova il vasto impero Kushano, esteso su India e Turkestan con capitale Taxila sull'Indo. Questo impero è stato fondato ai tempi di Antonino Pio da genti di stirpe afghana, ha come religione di stato il buddhismo, è fortemente influenzato dalla cultura ellenistica di cui si considera erede, e proprio ora si trova nel pieno del proprio rigoglio. All'arrivo delle legioni romane sui propri confini occidentali, esso ha creato un'alleanza di popoli che giunge fino alla riva sinistra del Volga ed ai confini della Mongolia, ed è ben deciso a resistere ad ogni guerra di invasione ed anzi, se possibile, a conquistare l'altopiano iranico, che i Kushani considerano come il loro "lebensraum" (spazio vitale, tanto per usare un'espressione hitleriana).

Alcuni esploratori inviati in ambasceria presso l'impero rivale avvisano Giunio Balbo III del pericolo rappresentato dai Kushani in caso di guerra che miri a turbare lo status quo, ma il trentenne imperatore è ormai accecato dall'idea di ricevere il titolo di Magno, come il grande Svetonio, e preferisce prestare orecchio ai cortigiani adulatori che gli promettono piuttosto una facile vittoria contro un impero ormai in decadenza. "Giunio Balbo Indico, il conquistatore dei tesori dell'India", è il titolo con cui lo fregiano ancor prima che la spedizione sia iniziata. E così lo sventato sovrano decide per la guerra, puntando anzitutto a fare del Mare Ircano (mar Caspio) un lago romano come Mediterraneo e Ponto Eusino (il Mar Nero), saldando la nuova provincia di Parthene alle terre al di là del Volga (vedi cartina). Il principale ostacolo che si para di fronte a questo disegno è la città di Astrakhan, abitata da stirpi turco-mongole e posta sulla foce del Rha. Ed è contro di essa che muove l'irruente Giunio Balbo III.

 

Roma rischia il tracollo contro i Kushani

Dichiarando che il Khan della città ha dato protezione ad alcuni transfughi bulgari che si sono macchiati di atti di guerriglia contro la dominazione romana, egli invoca la "guerra preventiva" e la cinge d'assedio. Egli non ha però considerato il fatto che il khanato di Astrakhan è solo l'estremità occidentale della vasta federazione mongolica che i Kushani hanno creato nel Turkestan per proteggersi le spalle da eventuali attacchi romani in quella direzione. Subito l'impero Kushano onora il trattato di amicizia con questi popoli ed invia ampi rinforzi cosicché l'Augusto, da assediante, si ritrova assediato. Lo scontro si risolve in un disastro, ed egli perisce insieme all'intera legione impegnata nella battaglia. Sono le idi di luglio del 315 d.C. (1068 aUc). Poichè egli non ha eredi diretti, con lui si chiude la dinastia Balbea.

A questo punto però le cose si mettono male, perchè i Kushani non si accontentano dell'epica vittoria ed oltrepassano il Volga, invadendo la Sarmazia orientale. Allora il Senato, da troppo tempo emarginato dalla vita politica e ridotto ad organo di ratifica delle decisioni degli Augusti della famiglia Balbea, riprende in mano la situazione, sconfessa Giunio Balbo III dichiarandolo nemico della patria perché ha trascinato Roma in un'impresa disastrosa, ed offre la corona imperiale al valoroso generale Setino Gallo, già distintosi nella guerra contro i Vichinghi, con l'esplicito compito di rimediare ai disastri del suo predecessore. Setino Gallo è di origini belgiche, non ha dimestichezza con la città di Roma e non ha doti di governo, per cui lascia tutto il potere al Senato, ben lieto di riprendere il controllo dell'Impero Romano, tanto che in questi anni si pensa di fondare una Seconda Repubblica, nella quale l'Augusto torni ad essere solo il comandante delle legioni. Setino Gallo non se ne cura e pensa ad un unico scopo: vendicare l'ucciso imperatore, del quale era un fedelissimo, e mostrare all'impero Kushano quello che possono fare le legioni di Roma, se vengono provocate.

 

La conquista del Turkestan e dell'India

Fulmineamente egli attraversa il mar Caspio via nave, sbarca truppe al di là di esso, si ricongiunge con altre due legioni provenienti L'elefante di pietra di Orissa, fatto scolpire dal leggendario imperatore Asoka dall'ex regno partico, sgomina facilmente un presidio Kushano ed attacca Astrakhan, espugnandola (maggio 316). Così facendo taglia la ritirata alle truppe kushane penetrate nell'impero, impegnate inutilmente nell'assedio della città di Tanais, sul lago Meotide (Mar d'Azov). Queste tentano di riguadagnare il loro territorio ma vengono battute ed annientate da Setino Gallo (autunno 316). Incurante dell'inverno che arriva ed indebolisce le sue truppe, egli si sposta sul Lago d'Aral e sconfigge di nuovo, per ben due volte, la lega Mongola. Prosegue poi verso est, sgominando tribù dopo tribù grazie alla superiorità militare e tattica delle sue truppe, e sottomette le steppe dell'attuale Kazakhstan, espugnando la fortezza di Karaganda ed impossessandosi delle leggendarie miniere di turchesi che danno il nome a quelle terre. Torna quindi verso sud, perchè i Mongoli si stanno riorganizzando con l'aiuto dei Kushani, ed attacca i Kirghisi, i più valorosi abitanti di quella regione, mentre uno dei suoi generali assedia Khazan, sede di un Khanato che si estende fin quasi ai confini della Finnia, ed un altro tiene impegnati i Kushani che minacciano il confine iranico.

I senatori intanto gongolano per la conquista delle ricchissime miniere asiatiche, ne utilizzano i proventi per rimpinguare le casse dello Stato ma anche le proprie tasche, e de facto governano proprio come ai tempi dell'antica Repubblica. Purtroppo mettono anche fine al regime di tolleranza instaurato dagli augusti Balbei e scatenano nuove persecuzioni contro Ebrei, Cristiani ed ora anche contro gli Zoroastriani che non accettano la dominazione romana sulla Persia. Ma questo stato di cose non dura a lungo.

Infatti nell'estate del 319 Setino Gallo conquista anche Balkash, sull'omonimo lago, e giunge ai limiti della Zungaria, minacciando da vicino il cuore dell'impero Kushano. Quando sembra possibile un attacco decisivo, tuttavia, egli cade vittima di un'imboscata mentre punta su Bactra per ricongiungere le conquiste del Nord con le province persiane. Scavalcando il Senato che non ne sa ancora nulla, il luogotenente di Setino, il generale visigoto Arrigo Olibrio, si proclama reggente e marcia su Balkash, che è stata riconquistata dalle truppe Kushane e dai loro alleati, la espugna per la seconda volta, la rade al suolo e la rifonda con il nome di Setina Augusta. Non appena la notizia giunge a Roma, il Senato si affretta a nominarlo Augusto nella speranza che esso si comporti come Setino e prosegua le conquiste. Invece Arrigo, dopo aver attraversato il territorio kushano passando dal Turkestan alla Battriana senza colpo ferire, come voleva il suo predecessore, organizza le nuove province di Uralia (tra Khazan e il fiume Ural), Aralia (intorno al Lago d'Aral) e Kirghizia, lascia quattro legioni a presidiare il nuovo confine e a sedare le ribellioni, quindi decide di marciare su Roma, ritenendo che un imperatore che conquista ma non governa non possa ritenersi un vero imperatore. E' il 321 d.C. (1074 aUc). A Smirne scampa ad un attentato organizzato dall'oligarchia senatoria, che teme la restaurazione di un potere imperiale forte. Ma è tutto inutile: egli sconfigge ad Aquileia le truppe mandategli contro dai Senatori ed organizza liste di proscrizione. Quando arriva a Roma, quasi tutti i Pater Conscripti sono già fuggiti o sono già caduti vittime delle proscrizioni.

 

Il Principato Militare

A questo punto però le legioni che presidiano l'Europa, il Mediterraneo e l'Africa settentrionale si ribellano e, rifiutandosi di accettare come Augusto il leader delle legioni d'oriente, si sollevano e marciano a loro volta sulla capitale. Nella storia di Roma, è questo il primo episodio che prefigura la futura scissione tra Impero d'Oriente ed Impero d'Occidente. Si prospetta il terribile spettro della guerra civile e dell'anarchia militare, sconosciute all'impero dopo il 68 d.C., e quindi da almeno duecentocinquant'anni. Con la guerra in oriente in corso e la minaccia dei popoli normanni appena sottomessi che potrebbero sollevarsi, una tale guerra significherebbe la fine dell'Impero. Per fortuna Arrigo Olibrio, informato dei rischi che comporterebbe una guerra civile, antepone il benessere dell'Urbe al proprio ed abdica clamorosamente, offrendo la corona proprio al comandante in capo delle truppe d'occidente, l'aquitano Sergio Verbellio. Ciò basta a placare la furia delle legioni, che arrestano la loro marcia a poche miglia dalla capitale. Sergio, impressionato dal gesto di Arrigo, prima vorrebbe rifiutare, poi accetta su pressione dei suoi luogotenenti, ma assegna al rivale il titolo di Cesare e lo invia nuovamente in oriente con il compito di concludere vittoriosamente la guerra contro i Kushani. Sergio Verbellio prende invece dimora a Roma dove, preso atto della scomparsa della classe senatoria, abolisce il Senato e lo sostituisce con il Consesso, un'assemblea di 100 alti gerarchi e consiglieri militari. Dal sogno della Seconda Repubblica si è così passati ad una dittatura dell'esercito senza alcun parlamento che ne temperi le decisioni: è questo il periodo che va sotto il nome di Principato Militare, durato dal 322 al 388 d.C. (1075 - 1141 aUc).

Nel frattempo, Arrigo riorganizza le nuove provincie e vi raduna un esercito imponente, formato da ben sei legioni, con l'intento di chiudere definitivamente i conti con i nemici e addirittura di conquistare l'impero Kushano, succeduto ai Parti come ipostasi del nemico per eccellenza nell'immaginario suo e dei suoi colleghi. Intanto traccia una strada che da Setina Augusta raggiunge Astrakhan, Tanais, Buda, Mediolanum e Roma. Mentre però è impegnato in questi preparativi il grande re kushano Kanishka, compreso il gioco del rivale, decide di giocare d'anticipo ed invade senza preavviso l'Iran romano, travolgendo ogni difesa e spingendosi in profondità fino ad Ecbatana. Tuttavia egli non riesce ad ottenere una sollevazione degli iranici contro Roma, anche a causa della brutalità di molti tra i suoi generali che requisiscono donne per le loro truppe dopo averne ucciso i mariti. Inoltre, un attacco in quella direzione, e non in quella del Turkestan, era proprio ciò che Arrigo Olibrio si aspettava, ed aveva già dato disposizioni al riguardo. Subito una flotta che, per la prima volta, annovera anche ufficiali Variaghi, salpa dai porti di Saba e dell'Oman e sbarca a Girnar, oltre la foce dell'Indo; le truppe da essa sbarcate pongono l'assedio ad Ujjan, ai limiti del Deccan, seconda città dell'impero Kushano. Con un'azione di forza, intanto, il Caesar rompe la linea difensiva nemica, invade la Sogdiana e si impossessa di Alessandria Escate, la più remota delle città fondata da Alessandro Magno nel suo itinerario vittorioso. Subito dopo passa il Pamir, chiamato Parapanisus dai geografi greci e romani, e punta su Taxila, la capitale Kushana, dopo aver travolto le difese dei rivali. Troppo tardi Kanishka si accorge di quello che è successo e tenta di porvi rimedio precipitandosi di nuovo oltre l'Indo, perchè i romani provenienti da nord e dal mare si sono già ricongiunti alle sue spalle. Ad Indraprastha, presso Delhi, il 21 dicembre del 325 d.C. avviene lo scontro decisivo. Kanishka e suo figlio muoiono in battaglia, e Taxila cade nelle mani del Cesare di Roma. In quella data anche l'impero Kushano cessa di esistere.

Altri dieci anni sono però necessari al conquistatore dell'India per portare a termine la conquista del Deccan, perchè solo pochi popoli di questo subcontinente accettano senza combattere di passare dal dominio kushano a quello della lontanissima Roma. Arrigo conquista provincie dai nomi esotici (Kashmiria, Ariavarta, Maesotia, Dakshinapatha...), ma non riesce ad ottenere la sottomissione dei quattro piccoli regni di Chola, Pandya, Tamil e Kerala, nel sudest della penisola indiana, né della maggior parte della valle del Gange con la grande città di Palibothra, che era stata la capitale del grande re buddhista Asoka, contemporaneo di Annibale e di Scipione. Alla fine, consolidata almeno la conquista del Deccan che era appartenuto ai Kushani, nel 335 d.C. fa ritorno a Roma dove l'Augusto lo accoglie a braccia aperte e gli concede il dovuto trionfo. La guerra è stata lunga e difficile ed è costata quasi un milione di morti, si prospetta lunga l'integrazione dell'India nell'impero a causa della sua lontananza dal Mediterraneo e dei fanatismi politici e religiosi che la agitano; tuttavia i tesori depredati coprono abbondantemente le spese, i mercanti si ritrovano nuovi ricchi porti aperti ai loro traffici, e soprattutto l'Europa gode di un periodo di pace e di floridezza dopo i fantasmi del Ventennio Nero, è in piena ascesa economica e tecnologica e può permettersi di dominare un impero che si estende ormai dalla Lapponia al Gange, dall'Atlante all'Indukush, dall'Islanda al Sudan. La politica di espansione ha dunque salvato Roma dal Medioevo.


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