Anno 973 - stele a Diana - cultura di Golasecca - S.Giovanni Battista - il monastero di S.Michele - Antonio da Lonate - S.Ambrogio - il campanile - il chiostrino - S.Nazaro e Celso - S.Maria degli Angeli - Lonate nel 1833 - l'organo Prestinari
Come potete leggere nella cronologia da me preparata, le prime testimonianze storiche relative al comune di Lonate risalgono al tardo X secolo. L'abate F.Bombognini, sulla base di documenti da lui visionati alla fine del XVII secolo, scrive di Lonate già borgo nel 962, ma il primo riferimento esplicito al mio comune si trova nella seguente pergamena del 973, testimonianza di una banale transazione commerciale tra Aupaldo, vescovo di Novara, ed un privato, tale Celsone, che vuole acquistare un terreno « in loco et fundo Lonnate »:
In realtà, però, quello di Lonate è un abitato estremamente più antico; in esso si trovano addirittura delle testimonianze della tarda romanità, come queste due steli dedicata a Diana, dea della caccia, e a Silvano, dio dei boschi, che oggi si trova murata dentro il recinto della Via Crucis. Poiché Diana era la dea della caccia, dalle nebbie del tempo emerge un panorama rurale non dissimile da quello cantato da Virgilio nelle sue « Georgiche »:
Altri reperti della stessa epoca sono le "olle" ritrovate in via Baracca, nella frazione di Sant'Antonino, che hanno dato a quella zona il nome di Contrada delle Olle, e potrebbero essere urne cinerarie di epoca anteriore all'avvento del Cristianesimo; ed alcune tombe del fondo Seramattina a Tornavento.
Ancora prima dei Longobardi e dei Romani, però, il territorio di Lonate è stato sicuramente abitato dai popoli della « cultura di Golasecca », cosiddetta dal luogo dei primi ritrovamenti, della quale qui a lato si può vedere un'urna biconica oggi conservata presso il Civico Museo Archeologico di Arsago Seprio. Tale civiltà fu caratterizzata nell'età del bronzo da tombe a cremazione e corredi bronzei e di ceramica, e nell'età del ferro da capanne circolari con focolare centrale, sepolcreti a campi di urne, pratica delle colture cerealicole e contatti con la civiltà etrusca. Un mondo eminentemente agricolo-pastorale, insomma, che dura fino all'arrivo dei Celti, gli stessi che nel 390 a.C. misero a sacco Roma con il famoso episodio delle oche del Campidoglio e del « Vae Victis ». Le presenze celtiche a Lonate sono segnalate tuttora nella toponomastica: la contrada di Mara sembra dovere il suo nome ad una parola celtica che significa "acquitrino", ed anche il nome stesso di Lonate Pozzolo, più che dall'espressione latina "Lunae putheus", cioè "pozzo della luna", viene fatta derivare dalla radice celtica lona-, con il significato di "conca" o "pozza d'acqua". Alcuni invece hanno proposto che il nome di Lonate Pozzolo potrebbe derivare dal gallico *Luno-nâti- (in celtico *(P)luno-nâti-), cioè « dosso del lardo », da una radice indoeuropea *pluno-noheti-. Un'opinione decisamente controcorrente, essendo tutte le altre etimologie legate in qualche modo all'acqua (pozzo o fiume che sia).
Voglio qui riportare anche la proposta del collega Guido Borghi, ricercatore di Glottologia e Linguistica presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell'Università degli Studi di Genova. Secondo il suo parere, nel quale io ho grandissima fiducia, molti toponimi suggeriscono che i fiumi cambiassero nome in corrispondenza di ogni Comune storico (se ne è accorto con la toponomastica valtellinese, dove ci sono casi sicuri) e i nomi in -ate su fiumi hanno di norma al primo elemento il nome stesso del fiume (Arnate, Lambrate, Brembate, Seriate, lo stesso Lonate Ceppino...). L'idea sostenuta dal dottor Borghi è che il torrente Arno a Lonate si chiamasse *Lonnos, che in celtico antico significa « furioso », e posso dire di aver sperimentato anch'io da vicino la furia dell'Arno d'autunno quando è in piena! In effetti l'attestazione del 973 (e quella di poco posteriore del 1005) hanno entrambe doppia /n/ (Lonnate), che non si spiega con le altre etimologie (“guado o dosso dei merli / delle alci / del muflone / del lardo”). La comparazione col celtico antico *londos giustifica le due /n/ (infatti in gallico è diventato *lonnos). C'è un altro punto ancora più importante: siccome il risultato è *Lonnātus (e non *Lonno-i̯ātus, che avrebbe prodotto †Lonoggiate anziché Lonate), per aver subìto la trasformazione della parte interna della parola il composto deve essere stato coniato (già come nome proprio) in epoca indoeuropea non tarda, praticamente non più tardi del IV. millennio a.C., nella forma *Londʱo-hₐi̯ahₐtus “Guado sull'Impetuoso” (altrimenti non avrebbe avuto luogo la mutazione /-ohₐi̯ahₐ-/ > /-ōi̯ā-/ > /-āi̯ā-/ > /-āā-/ > /-ā-/). Quindi il nome di Lonate è stato coniato più di 5000 anni fa, ma a questo punto potrebbe essere anche di 45.000 anni fa: del resto, che il sito del nostro comune sia abitato da così tanto tempo è dimostrato dalla paleoetnologia: le ultime zone antropizzate in Lombardia - l'Alta Valtellina - sono state popolate 9000 anni fa dagli antenati degli attuali abitanti; tutto ciò che non era coperto dai ghiacci era stato colonizzato già dal Paleolitico Superiore, ed è chiaro che i guadi rivestivano una fondamentale importanza sia quando la copertura vegetale era più estesa sia quando, col disgelo, i fiumi hanno raggiunto la massima portata Un'ipotesi, questa, che certamente non è priva di fascino.
Sono invece di origine germanica, e dunque longobarda, i termini Gaggio (l'antica via tra i boschi che congiunge Lonate a Tornavento, oggi tagliata dalla superstrada della Malpensa), forse da Gahadium, bosco riservato agli Arimanni (gli "uomini liberi" nel diritto longobardo); Vertemasso, cioè l'antico quartiere corrispondente all'attuale via Cavour, da Vertemaxius, magazzino delle merci; ed anche Pozalto, da cui Pozzolo (?), cioè « magazzino delle merci »; niente a che vedere, dunque, con le lune ed il pozzo che ancor oggi campeggiano sul nostro stemma, e che potete vedere nel disegno qui a lato, tratto dall'archivio storico della Curia Milanese, e risalente al XV secolo (secondo una leggenda, a concedere tale stemma a Lonate sarebbe stato nientemeno che l'imperatore Federico Barbarossa nel 1161)!
Già allora dominavano il mio paese i signori De Lonate, quei Lonati che si dispersero per la Lombardia lasciando sul posto quale eredità lo stemma con le tre lune a dorso in giù, visibili qui a destra. Una signoria, la loro, che non impedì il sorgere della "comunanza", cioè del Comune medievale. La Lonate di allora era un centro tutt'altro che secondario, con una vivace presenza artigiana, casate nobili con interessi terrieri in un paesaggio di foreste, prati irrigui, rogge punteggiate di mulini, fra il corso del Ticino e quello del torrente Arno (la popolare Arnetta), che allora non si spagliava nelle campagne come fa oggi ma, come attesta un documento del 1100, confluiva nel Ticino presso Castelletto di Cuggiono. A testimonianza di quel periodo resta tra l'altro un'antica lapide del 1353, erosa dal tempo ma ancora visibile a Sant'Antonino, che nomina i Crivelli, famiglia lombarda di spicco.
Ad un passato tutt'altro che oscuro e poco glorioso fanno pensare anche gli edifici di culto di Lonate. L'antica parrocchiale dedicata ai santi Nazaro e Celso fa pensare a costruzione prelongobarda, risalente alla primissima cristianizzazione delle campagne con Sant'Ambrogio, ancor oggi patrono della parrocchia, mentre il complesso dedicato a San Giovanni il Battista lungo la via che porta a Ticino, oggi distrutto ma ancora visibile nel 1955 (risale infatti a quell'anno la fotografia riprodotta qui sotto), sembra l'unica traccia della presenza longobarda nel territorio lonatese, visto che il figlio di Zaccaria, con la sua voce che grida nel deserto, era molto gradito ai rudi Longobardi provenienti dalle brume dell'Europa settentrionale. Comunque questa chiesa, nota anche come "San Giovanni in campagna", è testimoniata ufficialmente solo a partire dal 1300. Servì anche da lazzaretto nel corso delle pestilenze del 1576 e del 1630; nel corso della sua visita pastorale del 1570, san Carlo Borromeo la trovò in pessime condizioni. Fu ricostruita nel 1630 per ordine del manzoniano cardinal Federigo Borromeo, ed in seguito conobbe altri due abbattimenti e ricostruzioni. La colonna visibile nella foto qui sotto proviene dalla chiesa dei santi Nazaro e Celso, e fu ivi innalzata al momento del suo abbattimento. La tradizionale devozione del popolo lonatese si mantenne viva almeno fino al 1935: alcuni anziani ricordano ancora la freschezza dell'acqua attinta dal pozzo nella sagrestia. Successivamente trascurato e ridotto a rifugio di sbandati, l'oratorio fu infine abbattuto nel 1966 perchè pericolante e la colonna riprese la strada del paese, finendo nel chiostro attiguo alla parrocchiale. Al momento della demolizione erano assenti sia l'antico altare ligneo sia la tela sopra l'altare, che si dice sia stata incendiata da ignoti vandali. Cliccate qui per leggere una cronologia più dettagliata.
Secondo un'antica tradizione popolare, in epoca longobarda nel territorio di Lonate, e precisamente nella striscia lungo il Ticino estesa da Nosate a Somma Lombardo, esisteva un centro abitato chiamato Binda, termine longobardo che indica appunto una striscia di terra. Nessun documento a tutt'oggi la cita più, però ne è rimasta una traccia nel nome dell'oratorio di Santa Maria in Binda, situato in territorio di Nosate (a sud di Tornavento, in provincia di Milano). Per saperne di più, cliccate qui.
Lonate nel Medioevo era famosa anche per i suoi numerosi conventi, dei quali è possibile vedere qui sotto una cartina dettagliata disegnata da A.Spada; in essa si vedono sia le chiese che le domus monastiche, e vi è anche indicazione delle contrade dell'antico borgo di Lonate:
Di questi conventi il più importante era quello dedicato a San Michele, visibile nella foto qui sotto, risalente alla fine degli anni '80. Non è ancora stato chiarito se risalga al '400, come l'analisi architettonica farebbe pensare, o se sia il rifacimento di un convento più antico, magari denominato altrimenti nei documenti in nostro possesso. Inizialmente era noto come "convento di San Pietro martire", e nel 1491 vi risiedevano quattro monache, con la ministra Donata Lupi, divenute nove nel 1511 ed undici nel 1516. Nel 1625 vi erano 25 professe, più la priora Arcangela della Croce (siamo nell'epoca della manzoniana "monaca di Monza"!), mentre nel 1725 erano qui presenti addirittura 65 suore, 13 converse, una novizia e due educande, con la priora Giovanna Antonia Merli. Il convento venne soppresso nel 1784 per ordine dell'imperatore austriaco Giuseppe II, di orientamento massonico, ed in quel momento possedeva ben 3.867 pertiche di terra a Lonate e dintorni. L'edificio conventuale passò allora ai nobili Bosisio, all'estinzione dei quali, nella seconda metà del '900, fu trasformato dal Comune in un importante centro culturale, sede di congressi ed esposizioni. Cliccate qui per saperne qualcosa di più.
Alla fine del '400 ed all'inizio del '500 fu attivo in Lombardia l'architetto Antonio da Lonate, a cui sono attribuite molte importanti opere d'arte come la chiesa di Santa Maria di Piazza a Busto Arsizio, S.Magno a Legnano e la parrocchiale di Castelleone (CR). Non se ne conserva alcun ritratto, ed alcuni dicono che fosse originario di Lonato (BS), non di Lonate, ma io continuo a credere di essere concittadino di un artista rinascimentale che, fra l'altro, realizzò questo modello ligneo per il Duomo di Vigevano, tuttora là conservato:
Questa è anche l'epoca in cui un soldato guascone fece testamento a Lonate: cliccate qui se volete saperne di più.
Dal 1422 al 1492 i lonatesi, come si legge in una lapide murata a sinistra dell'ingresso, furono impegnati nella costruzione dell'attuale chiesa parrocchiale, dedicata al vescovo di Milano Sant'Ambrogio, patrono della nostra parrocchia; chiesa che così si presenta oggi in uno schizzo comparso sul bollettino della mia parrocchia, la "Nona Campana" (il nostro campanile di campane ne ha otto, questo bollettino voleva aggiungersi al coro):
Leggi la vita di Sant'Ambrogio sul sito dei Santi Patroni d'Italia
Un tempo la chiesa era a pianta ottagonale, incorporata in un castello nobiliare, ma nel 1560 le fu aggiunta la grande navata con volta a botte, e nel 1635 venne costruito il sagrato. Nell'abside, ultimo resto dell'originale tempio quattrocentesco, ci sono oggi pregevoli affreschi eseguiti nell'ottocento, raffiguranti tra l'altro i quattro Evangelisti, i santi Protasio e Gervasio, copatroni di Milano, ed il patrono Sant'Ambrogio. Alla sommità è visibile Dio Padre nell'oriflamma:
Pochi lo sanno, ma fu Papa Giulio II (Giuliano della Rovere, 1503-1513), nell'ottobre 1505, a reclutare 150 mercenari svizzeri per costituire la propria guardia del corpo personale, poi passati alla storia come le guardie svizzere. Le loro uniformi rosse e gialle derivano appunto dai colori dello stemma dei della Rovere; esse giunsero a Roma il 22 gennaio 1506, dopo aver attraversato in barca il lago Maggiore, e dopo essere transitati anche per il territorio di Tornavento, oggi frazione di Lonate. Per ricordare i 500 anni della loro costituzione, una settantina di guardie svizzere ha dato vita ad una marcia celebrativa che è partita da Bellinzona; l'8 aprile 2006, accolte dalle autorità e da numerosi cittadini, sono arrivate al ponte di Oleggio, dove è stata lasciata una targa ricordo. Nella foto qui sotto, cortesemente fornitami dall'amico Marco Fontana, si vede appunto l'arrivo del primo avamposto che attraversa il ponte sul canale, mentre ad attenderli ci sono gli Alpini di Lonate; nel riquadro, il monumento celebrativo.
In origine la parrocchiale di Sant'Ambrogio non aveva alcun campanile isolato. Tuttavia, dentro il grande pilastro di destra, adiacente all'arco che divide la zona del popolo da quella del clero, esiste ancora una scala a chiocciola, tuttora percorribile, oggi usata per salire al pulpito. In origine tuttavia essa portava alla torricella delle campane, che a quei tempi, come spesso succedeva, era costruita direttamente sopra il tetto della chiesa. Nel 1596, durante la visita pastorale dell'allora arcivescovo di Milano, fu scritto negli atti: "Piccolo è il campanile in rapporto alla chiesa. È costruito sopra l'arcone della cappella maggiore. Regge tre campane, le cui corde pendono giù dentro la chiesa presso l'inferriata dell'altare di San Pietro Martire." Il manzoniano cardinale Federigo Borromeo (1564-1631), venuto in visita pastorale nel 1622, lasciò scritto inoltre: "Non c'è una vera torre campanaria, ma soltanto un locale angusto e basso, un bugigattolo, costruito sull'angolo meridionale della cappella maggiore. Vi sono collocate tre campane a titolo provvisorio fino a che non si costruisca la torre."
Come si vede, si sentiva l'esigenza di costruire un campanile separato dalla chiesa. Si pensa che esso sia stato progettato già ai tempi di san Carlo Borromeo, ma venne realizzato solo nel 1635 grazie ai fondi del Comune, come lasciano intendere le tre lune scolpite nello scudo sopra la porta. È alto ben 52 metri, uno dei più elevati del circondario; è diviso in cinque scomparti, l'ultimo dei quali ospita la cella campanaria, dalla quale si gode di una magnifica vista di tutto il comune e del vicino aeroporto di Malpensa 2000. Per saperne di più, cliccate qui. Adiacenti alla chiesa c'erano inoltre due cimiteri, dei quali uno oggi ospita una riproduzione della Grotta di Lourdes, mentre l'altro era popolarmente chiamato « il Fossone ». Si trattava infatti di una grande fossa comune, deputata ala sepoltura dei poveri, mentre i ricchi e i nobili avevano il privilegio di essere sepolti dentro la Chiesa Parrocchiale (usanza oggi abbandonata da tempo). Gli "ultimi" erano seppelliti senza neppure un segno distintivo e, siccome lo spazio a disposizione era poco, tutto il cimitero veniva periodicamente rastrellato e le ossa accumulate in un ossario, posto presso il muro di cinta della chiesa, all'estrema destra nella foto sottostante, non lontano dall'attuale ingresso. All'inizio dell'ottocento questo ossario fu eliminato e le ossa che restavano portate al nuovo cimitero fuori paese, oggi campo delle rimembranze. Da notare che, per ironia della storia, durante il XIX secolo le sepolture dei ricchi vennero quasi tutte levate dalla chiesa, mentre l'ex camposanto dei poveri è diventato un chiostrino decorato con un pregevole ciclo di affreschi raffiguranti le XIV stazioni della via Crucis, da cui l'usanza di chiamare popolarmente "via Crucis" il detto chiostrino (« Così gli ultimi saranno primi e i primi ultimi », Mt 20, 16). Probabilmente gli autori degli affreschi sono i pittori varesini Giovan Battista Ronchelli e Gerolamo Baroffio. Nonostante il recente restauro, le scritte sono ormai illeggibili, ma il curato don Antonio Pifferi (morto nel 1907) vi poteva ancora leggere le date MDCCLXXVI e MDCCLXXVIII, che dovrebbero riferirsi l'una alla costruzione del chiostrino (1776), l'altra all'ultimazione degli affreschi (1778). L'ultima cappella, posta a conclusione della via Crucis ed affrescata con l'effigie della Madonna del Carmine, fu aggiunta solo nel 1857.
Qui sopra: l'ex cimitero sulla destra della Parrocchiale, ora Via Crucis. Qui sotto: uno degli affreschi meglio conservati della detta Via Crucis, quello che si riferisce alla IX stazione: Gesù cade per la terza volta.
Nello spazio che separava la chiesa parrocchiale dal campanile sorgeva il cosiddetto « Mortorio ». Immaginiamo di vedere un muricciolo a forma di semicerchio; davanti a questo muro, dei pilastri distanti circa un metro l'uno dall'altro; nel centro, una nicchia con la statua della Madonna Addolorata, con Gesù morto fra le braccia (la statua, in gesso, era rivestita di seta colorata). Lo spazio racchiuso tra un pilastro e l'altro costituiva dei vani, con davanti una rete metallica e coperti da un tetto. Tali vani erano riempiti da un ammasso di ossa e di crani, dei quali non si sa a quale epoca appartenessero e da dove fossero stati estratti. Nel 1903 il parroco don Giuseppe Primo fece trasportare quelle ossa nel cimitero e fece demolire il Mortorio, intenzionato a costruirvi un locale dove disporre le sedie acquistate per le funzioni ad uso del popolo, ma poi a causa di controversie con l'amministrazione comunale non se ne fece niente (il progetto di don Giuseppe Primo fu realizzato soltanto nel 1954 da don Antonio Tagliabue, in occasione del rifacimento della facciata della chiesa). Le ossa vennero sistemate in grosse casse, trasportate su carri trainati da cavalli e tumulate in una fossa comune, scavata per l'occasione.
Di fronte alla parrocchiale un tempo c'era un pozzo, poi ricoperto ma tornato alla luce durante i lavori per la risistemazione della piazza eseguiti nell'estate 2005; per leggere maggiori informazioni su quel pozzo, cliccate qui.
All'epoca di Carlo Borromeo risiedette a Lonate il curato fiorentino Giovanni Setticelli; cliccate qui se volete leggere un articolo dedicato alla sua famiglia della mia amica dottoressa Giulia Grazi.
Uno degli eventi decisivi per la storia di Lonate avvenne fra il 21 e il 22 giugno 1636, quando si combatté presso la frazione omonima la Battaglia di Tornavento, episodio dell'interminabile Guerra dei Trent'Anni che insanguinò l'Europa decimando un'intera generazione. La battaglia in questione fu combattuta fra gli Spagnoli, capitanati dal marchese di Leganes, ed i Francesi, comandati dal maresciallo di Créqui; essa si risolse in una carneficina che costò 2000 morti, sepolti nelle brughiere lonatesi. Il parroco Francesco Comerio, testimone oculare dei fatti, ci ha lasciato una relazione dettagliata di questa battaglia, conservata presso l'Archivio Arcivescovile; per saperne di più, cliccate qui. Oggi essa viene rievocata da compagnie di reenactors come parte del folclore locale, ma allora rappresentò per il paese una vera e propria tragedia (come del resto tutte le avventure belliche): campagne e raccolti vennero devastati, quello che era un attivo centro artigiano si ridusse a un'economia puramente contadina, e l'espansione del paese a scapito della brughiera fu arrestata fino all'ondata industriale, alla fondazione degli aeroporti militari e al miracolo economico del secolo scorso.
Grazie all'aiuto della storica dell'arte prof.ssa Anna Elena Galli, che in tante occasioni ha contribuito al mio sito, è stato possibile rintracciare nell'Archivio Arcivescovile di Milano un Breve di Papa Innocenzo X (1644-1655) che concede "ad septennium alla chiesa del Monastero delle Monache di S.Agata in Lonate Pozzuolo l'Indulgenza plenaria per la festa di S. Agata"; il breve è datato 12 dicembre 1654, e la prof.ssa Galli cita come fonte bibliografica A. Palestra, "Regesto delle pergamene dell'Archivio arcivescovile di Milano", Milano 1961, n. 1310, p. 270. La notizia è interessante perchè nell'ex convento di Santa Agata ha sede l'attuale Municipio di Lonate Pozzolo; cliccate qui per saperne di più.
Uno schizzo eseguito nel 1724, ecco cosa resta invece dell'area presbiteriale dell'antica parrocchiale dei Santi Nazaro e Celso, abbattuta nel 1784. Le foto degli anni '30 mostrano ancora brevi tratti del muro sud della chiesa, definitivamente demoliti nel secondo dopoguerra.
Ecco invece un'immagine dell'esterno ed una dell'interno della bella chiesetta di Santa Maria degli Angeli, iniziata nel 1399 e dedicata al culto nel 1626, che meriterebbe di essere valorizzata assai più di quanto non accade ora, per esempio utilizzandola per i matrimoni:
Qui sotto potete vedere un pregevole Cristo morto in legno permanentemente esposto nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli:
Un'altra chiesa in territorio lonatese è quella della Cascina Maggia; cliccate qui per saperne di più.
Cliccate qui per scaricare il resoconto della visita pastorale del cardinale Giuseppe Pozzobonelli in visita alla pieve di Gallarate nel 1750 (mille grazie alla nostra storiografa Anna Elena!) In quell'epoca fu anche stabilita la base geodetica nella brughiera tra Lonate e Somma, servita poi per triangolare e mappare mezza Lombardia; per saperne di più, cliccate qui.
Così Lonate venne raffigurato insieme alle sue attuali frazioni (allora comuni autonomi) in una mappa militare realizzata dall'esercito austriaco nel 1833:
Purtroppo anche questo momento non fu molto felice per il mio paese, a causa del progressivo ma inarrestabile declino delle vie d'acqua e dell'energia idraulica a favore di nuovi tracciati e soprattutto delle ferrovie, che privilegiarono l'asse del Sempione. Pare che il progetto originale fosse quello di congiungere Gallarate a Novara attraverso una ferrovia che passasse sul territorio lonatese e su un ponte ferroviario sul Ticino da costruire, ma i possidenti terrieri lonatesi si rifiutarono di cedere le terre necessarie alla costruzione della via ferrata, e così vennero prescelti altri tracciati, che in larga misura esclusero Lonate Pozzolo dall'espansione conosciuta da molti comuni finitimi. Il mio Comune restò fondamentalmente un centro agricolo e tessile fin oltre le soglie del Novecento. Eppure anche in quel periodo relativamente buio si accese almeno una luce: sempre nel 1833 la nostra chiesa parrocchiale fu abbellita con un magnifico organo costruito dai celebri fratelli Giovanni e Giuseppe Prestinari, che ancor oggi suona nelle grandi occasioni, dopo essere stato perfettamente restaurato e ripulito negli anni '80:
Sapete, ognuno si vanta delle bellezze che ha in casa propria; e questa è una bellezza che molti ci invidiano. Inoltre, grazie al parroco Giovanni Ambrogio Regalia, che fu a Lonate dal 1813 al 1868, e quindi per la bellezza di 55 anni, la chiesa parrocchiale nel 1852-57 subì una profondissima trasformazione; cliccate qui per saperne di più. Erano gli anni del Risorgimento, nei quali Lonate fu colpita per l'ultima volta da gravi epidemie (in particolare il tifo ed il colera), mentre veniva chiusa la grande vasca nell'area antistante la Chiesa di Sant'Ambrogio, proprio dove nel 2004 è stata realizzata una fontana. Realizzata l'Unità d'Italia, nel 1860 si insediavano a Lonate i carabinieri, mentre il Regio Decreto del 3 marzo 1869 aggregava Lonate i due abitati di Sant'Antonino e Tornavento, fino ad allora comuni autonomi. Ma ormai siamo alle soglie del Novecento; e così, se credete, cliccate qui per vedere alcuni scorci della storia più recente del mio comune natale; altrimenti, cliccate qui per tornare indietro.
Si ringrazia il notiziario parrocchiale "Nona Campana" per la gentile concessione delle immagini