(da "La Nona Campana", gennaio 2004)
« Nel nome del Signore, anno 1510. Poiché la vita e la morte sono nelle mani di Dio ed é meglio vivere nella paura della morte che essere colti da morte improvvisa, per questo io Goffredo de Badia, figlio del fu Bidant, nativo del luogo e della diocesi di Palmes, provincia di Guascogna, arciere della compagnia del signore de Legra capitano delta Serenissima Maestà il re di Francia, di stanza al presente nel borgo di Lonate Pozzolo, in pieve di Gallarate, ducato di Milano, sano di mente e di buona memoria sebbene malato nel corpo, non volendo morire senza testamento, mi sono preoccupato di fare e faccio il presente mio testamento e voglio che questo abbia pieno valore.
Raccomando la mia anima a Dio e dispongo che il mio cadavere venga sepolto dentro la chiesa di Sant'Ambrogio di Lonate Pozzolo e per questo lascio alla stessa 10 ducati d'oro. Dispongo che vi si celebrino riti per la mia anima nel giorno del mio funerale, nel settimo e trigesimo della morte, negli anniversari, entro la spesa complessiva di ulteriori 20 ducati d'oro.
Al curato Battista Bellotti si diano 2 ducati d'oro perché mi ha assistito assicurandomi i sacramenti delta Chiesa; altri 2 ducati si diano al sacerdote Michele de Girardis francese, altri 2 a te notaio per la stesura del presente mio testamento, altri 2 alla moglie di Bernardo Regalia di Lonate a compenso dell'attenzione e del servizio che mi ha prestato durante la malattia. Quanto ai denari che restano, dispongo che siano mandati a mia madre Gabriella de Palas. Delle due cavalle che posseggo, lascio quella di pelo fulvo al signor de Gestas mio parente, l'altra a Stefano de Poytas mio servo.
Dichiaro che il danaro di cui ho dettagliatamente disposto sopra e disporrò qui di seguito, é cosi collocato. 50 ducati stanno nelle mani del signor de Pochera, armigero della compagnia del signore de Legra; 56 ducati presso Pitigran de Segias, arciere della stessa compagnia; 9 ducati ed un testone presso il signor de Pas, arciere delta stessa compagnia; costoro li sborseranno per gli scopi da me indicati.
Dispongo che i miei esecutori testamentari distribuiscano i miei panni e vestiti a chi loro piacerà.
Designo miei esecutori testamentari i signori Segias, de Pochera e de la Croche, armigeri della compagnia del signor de Legra, ed i signori Gestas e Pitigran de Segias, arceeri della stessa compagnia. Li prego di dare esecuzione alle mie disposizioni e consento che essi possano validamente agire purché siano almeno in due.
Di tutti i beni che posseggo net luogo dove abita mia madre e dove io abitavo con lei, nomino erede la stessa mia madre.
A te Bernardino Gennari, notaio, chiedo di stendere l'istrumento con le disposizioni predette punto per punto.
Fatto a Lonate Pozzolo nella casa di Bernardo Piantanida Regalia dove abito, presenti Giovanni Ambrogio Gennari di Donato e Dionigi de Magistris fu Antonio, entrambi di Lonate, pronotai appositamente convocati. Testimoni il sacerdote Michele de Girardis di Gerardo del luogo di Nochy, diocesi di Poitiers; Stefano de Sedon di Montarguis di Giovanni del luogo di Montarguis; Nicola Bellin di Tommaso del luogo di Lolive, Normandia, diocesi di Daverans, tutti francesi delta compagnia del signor de Legra acquartierati in Lonate Pozzolo, noti al testatore; ed inoltre il sacerdote Francesco Tacchi figlio di Giovanni, Simone Cani fu Cristoforo, mastro Ambrogio Piantanida fu Pagano, questi ultimi tre di Lonate Pozzolo, tutti idonei per l'atto e appositamente convocati. »
Seguono le firme dei due sacerdoti e dei pronotai. L'atto, in latino, qui sintetizzato, venne steso a Lonate dal notaio Bernardino Gennari ed é reperibile tra le carte del notaio conservate all'Archivio di Stato di Milano.
Il testamento di Goffredo de Badia, arciere guascone di stanza a Lonate, conferma la presenza di truppe dell'esercito francese di Luigi XII non solo nella città di Milano, ma anche capillarmente nel contado. L'occupazione del ducato di Milano da parte dei francesi, iniziata nel 1500, sarebbe durata fino al 1512, ed ancora negli anni seguenti in modo discontinuo fino al 1525, sempre contrastata da truppe mobilitate da altri pretendenti, in un contesto di guerra pressoché continua. In questi anni difficili i nostri antenati osarono continuare a Lonate la ricostruzione, che avevano iniziato nel 1499, della chiesa di Sant'Ambrogio.
Il testamento sembra mostrare un buon rapporto fra il soldato straniero e l'ambiente lonatese, ma è un rapporto non disinteressato. Altre fonti del tempo tendono a presentare gli occupanti come avidi e prepotenti. Ufficiali e soldati prendevano in uso temporaneo gratuito, per sé, per i servi del seguito e per i cavalli, le case migliori di ogni località ove facessero sosta breve o prolungata. Non risulta da quanto tempo la compagnia del capitano Legra stanziasse a Lonate. Era certamente una compagnia di "lance", come si apprende da un libro testé pubblicato a Busto Arsizio. Nell'esercito francese di quell'epoca, ogni "lancia" era generalmente costituita da sei o sette uomini a cavallo, di cui tre o quattro veri combattenti, cioè un uomo d'armi e due o tre arcieri. Goffredo de Badia era uno di questi ultimi: nel suo testamento si dichiarava arciere e menzionava due cavalle e un servo.
Arcieri inglesi alla battaglia di Azincourt
L'esercito inglese, ben addestrato ma relativamente piccolo (contava 1000 cavalieri, 6000 arcieri e 7000 fanti), nell'ottobre del 1415 vi sgominò quello francese, composto da circa 50.000 armati, disposti su tre linee, una dietro l'altra: la cavalleria pesante nelle prime due, balestrieri genovesi e picchieri nella terza.
Nel corso della battaglia, che segnò una delle più clamorose disfatte della cavalleria francese, risultò decisivo l'impiego da parte degli inglesi dell'arco lungo, più efficace della balestra per frequenza di tiro e per gittata. Alto ben 180 cm, superava la statura degli arcieri e scagliava frecce lunghe circa 90 cm: oltre a perforare la maggior parte delle corazze a 100 m di distanza, esse penetravano facilmente nelle cotte in maglia di ferro e negli interstizi delle pesanti armature dei cavalieri e risultavano micidiali anche per le cavalcature.
L'utilizzo dell'arco lungo, arma identificativa della Guerra dei Cent'anni e, più tardi, l'impiego delle colubrine - prime artiglierie da campagna - e dell'archibugio (arma da fuoco, inizialmente a miccia, sparava pallottole del peso inferiore a 30 grammi a 200 metri di distanza), diedero avvio, nel sec. XV, al declino della cavalleria quale forza risolutrice delle battaglie.
Ne trasse vantaggio la fanteria che, ben armata e addestrata, presto divenne il nerbo degli eserciti nazionali. Gli arcieri combattevano protetti da siepi e le loro file venivano intervallate da fanti, armati di picche e di archibugi.
(da "La Nona Campana", agosto-settembre 2023)
Il grande storico lonatese Gian Domenico Oltrona Visconti dedicò a Facino Cane (1360-1412) due pagine della sua "Storia di Lonate", precedute da altre due sullo sgretolamento del Ducato di Milano sulla scia della prematura morte nel 1402 del Duca Gian Galeazzo Visconti quando questi era al massimo del suo potere, ed il suo stato si estendeva sino all'Italia Centrale. I suoi due figli, minorenni, Giovanni Maria e Filippo Maria, si trovarono alla mercé dei giochi di fazioni politiche e di compagnie di ventura, delle quali negli anni 1408-09 fu particolarmente minacciosa quella guidata da Facino Cane. Oltrona raccontò due fatti, sotto il titolo « Il Gallaratese in balia di Facino ». Nell'aprile del 1408 il capitano del Seprio, residente normalmente a Gallarate ma allora per necessità a Busto Arsizio, chiese aiuto al duca di Milano per fronteggiare Facino, il quale con 1.000 cavalieri assediava il ricco borgo di Busto che, a differenza dei luoghi vicini, non era disposto a fornirgli vettovaglie (victualia). Nel gennaio del 1409 un milanese che aveva possedimenti a Samarate e voleva venderli, non trovando nessun banditore che, presente Facino nella zona, osasse lanciare la grida a Samarate, chiedeva che bastasse pubblicarla nella città di Milano.
Insomma, in quegli anni regnava sovrana la paura perché nel Seprio e che nel Novarese agiva indisturbato con le sue truppe il capitano di ventura Facino Cane, conte di Biandrate. Chi era, e quali erano le sue ambizioni, lo spiega un saggio del 2014 di Roberto Maestri e Pierluigi Piano, ricchissimo di dati raccolti nel corso di una pluriennale ricerca in numerosi archivi italiani. Gli autori del libro, per qualificare il personaggio, lo denominarono fin dalla copertina "predone, condottiero e politico". Nato intorno al 1360 a Casale Monferrato, dove ricevette il primo addestramento, militò agli ordini di vari condottieri a Firenze, a Barletta, a Napoli. Fu ferito e fatto prigioniero più di una volta. Operò con un suo nucleo armato nel Veneto al soldo degli Scaligeri e dei Carraresi, indi in Piemonte al servizio dei marchesi di Monferrato contro i Savoia. Infine fu a Milano con Gian Galeazzo Visconti per conto del quale nel 1402 conquistò la città di Bologna. Il suo potere nel novarese e nel milanese crebbe dopo la morte di Gian Galeazzo, avvenuta il 3 settembre 1402. In conseguenza delle sue imprese riuscite fu riconosciuto signore di molti luoghi per un uno o più anni: Valenza Po 1403-05, Alessandria 1403-1409, Piacenza 1404-07, Galliate 1405-07, Angera 1405, Cassano d'Adda 1407-09, Como 1408, Novi Ligure 1409, Novara 1409, Vigevano 1409, Vercelli 1409, Castano Primo 1409, Lonate Pozzolo 1409, Castiglione Olona 1409, Varese 1409, Tortona 1410.
Gli autori del libro ipotizzano che Facino mirasse a costituire un suo stato nel territorio tra Ticino e Olona. Costruì la sua fama e la sua ricchezza alla testa di una sua compagnia di ventura sempre più numerosa che, al soldo ora dell'uno ora dell'altro dei litigiosi principi italiani, compiva abitualmente, ovunque operasse, scorrerie, saccheggi, assedi, conquiste, anche per alimentare la sua milizia. Era perciò temutissimo dai borghi e dai villaggi non fortificati (che erano la maggior parte), i quali per evitare il peggio si piegavano alle sue richieste. Per raggiungere i suoi scopi non esitò a compiere azioni che giudicava "esemplari", come prepotenze e ruberie sistematiche, massacri di massa, decapitazione di traditori e di avversari, incendi di paesi e di persone. All'inizio del 1409 aggredì addirittura la città di Milano. Temendolo, il duca Giovanni Maria, per evitare il peggio, fu costretto a scendere a patti con lui: proclamò la pace il 6 giugno 1409 nel broletto nuovo di Milano con suono di campane e tre giorni di festa. In quell'occasione il duca riconobbe in feudo a Facino i borghi di Castano, Lonate Pozzolo, Castiglione Olona, Varese con i loro castelli. In più, nominò Facino governatore di Milano e del ducato. All'età di cinquantadue anni, durante l'occupazione di Bergamo, fu colpito da un violento attacco di gotta e fu costretto a ritirarsi presso il castello di Pavia, dove morì il 16 maggio 1412 a 52 anni a Pavia, da lui conquistata nel 1410, dove il suo corpo è sepolto. Lo stemma del suo casato contiene un cane, simbolo che troviamo anche negli stemmi delle famiglie Cane di Gallarate e di Lonate.
(da "ComuniCare", marzo 2024)
I Visconti di Somma avevano interesse verso la terra di Lonate già prima dell'anno 1288 quando, per divisione di eredità, Matteo e Uberto ebbero le terre di Somma, Vergiate, Golasecca, Lonate e Ferno, mentre a un loro zio, Pietro, toccarono Crenna e le terre dei paesi sopra Gallarate.
Dal 1315 circa al 1448 furono signori della città e poi del ducato di Milano. Nel 1448, instauratasi la Repubblica Ambrosiana, tornarono ad abitare stabilmente nel castello di Somma, facendosi confermare dall'imperatore tedesco gli antichi privilegi. A Lonate continuavano a possedere beni, che in parte vendettero. Miravano ad avere il borgo di Lonate come loro feudo, essendo Lonate appetibile per le possibili entrate che erano valutate nel 1450 sulla base della presenza di 250 famiglie, e sul dazio riscuotibile sulla vendita di pane, vino e carne.
I Visconti di Somma ebbero finalmente il paese di Lonate in feudo nell'anno 1490 per concessione "graziosa" del duca Ludovico il Moro. Primo feudatario fu Antonio Visconti. Il feudo, trasmissibile ai discendenti soltanto per linea maschile, comportava il titolo di Conte, la nomina di un podestà che amministrasse la giustizia e la riscossione del dazio come detto sopra. Antonio mori nel 1524. Nella Storia di Lonate di Gian Domenico Oltrona Visconti (a pag. 102) abbiamo i nomi dei feudatari successori, confeudatari nel caso di fratelli: portarono il titolo di conti di Lonate Pozzolo fino alla soppressione dei feudi (1796).
Abbiamo i nomi di alcuni podestà, tutti forestieri, uomini di loro fiducia, che giudicavano e sentenziavano: Schianni eVisconti negli ultimi anni del Quattrocento, Daniele Crespi negli anni 1505-1512, Modoni nel 1579, Spezia nel 1599, Schianni nel 1605, della Croce nel 1688, Calvi nel 1738...
I feudatari avevano attenzione alla vita del paese, anche per i risvolti positivi che tornavano a loro vantaggio. Nel 1491, ad esempio, Antonio Visconti donò la prima annata del dazio al monastero di San Michele. Qualche anno dopo, i lonatesi malcontenti dei loro amministratori si rivolsero al feudatario Antonio, e questi mobilitò il podestà per frenare le prepotenze degli amministratori: non a caso nel 1496 si stilarono nuovi statuti comunali. Nel 1541 il feudatario Gian Battista Visconti ottenne per Lonate il mercato del giovedì e la fiera triduana di San Nazaro.
Per le loro uscite operative il feudatario e il podestà disponevano di una casa a Lonate, adiacente a quella del Comune, in piazza Santa Maria. In essa soggiornò nell'estate del 1544 il giovane Francesco Ciceri (latinizzato Cicereius) come precettore dei tre figli di Coriolano Visconti: il celebre umanista luganese scrisse da Lonate 30 lettere in latino prima di trasferirsi a Milano. In quella casa Coriolano ospitò l'arcivescovo Carlo Borromeo nel 1570 quando venne a Lonate per la visita pastorale. Lo stesso Coriolano nel 1596 era uno dei tre protettori del monastero di San Michele.
È ipotesi fantasiosa l'idea che la nicchia sul campanile, costruito nel 1635, fosse predisposta per ospitare la statua del feudatario, che allora era Antonio Coriolano. Nel 1640 la contessa Paola Doria, vedova del feudatario, tentò di rilanciare il mercato, interrotto dall'invasione francese del 1636 (anno della famosa Battaglia di Tornavento), invasione che privò il paese delle migliori energie. Secondo testimoni da lei interpellati, prima dell'invasione il mercato che si svolgeva sotto i portici di contrada Borgo e sotto le tende dei mercanti in piazza San Nazaro (oggi piazza Mazzini) offriva agli avventori tele, grano, legumi, ferramenta, mentre il mercato delle bestie si svolgeva in piazza Santa Maria.
Nella seconda metà del Seicento i feudatari già possedevano l'osteria in contrada Borgo. Nel 1678 i confeudatari Visconti acquistarono anche la confinante casa detta Torrazza, che poi ristrutturarono nell'anno 1700, come è ricordato nella lapide che è stata ricollocata dopo il necessario restauro nel settembre del 2021.
La mappa catastale del 1722 aggiornata nelle intestazioni nel 1751 conferma il possesso sotto il nome del marchese Alessandro Visconti della casa di piazza Santa Maria e del caseggiato di contrada Borgo comprendente l'osteria e prestino. Il regime feudale durò fino al 1796, quando venne spazzato via per sempre dall'arrivo delle truppe napoleoniche. Perso il titolo feudale, cessò l'interesse dei Visconti verso Lonate. Le loro proprietà passarono a privati, quelle di contrada Borgo al Comune che vi insediò nell'Ottocento le scuole elementari. Bisogna però ricordare che anche il famoso regista Luchino Visconti (1906-1976), uno dei padri del neorealismo, portò il titolo di Conte di Lonate Pozzolo.
Se volete maggiori informazioni, rivolgetevi alla Pro Loco di Lonate Pozzolo, indirizzo via Cavour 21, telefono 0331/301155.
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