I DUE CROCIFISSI NELLA PARROCCHIALE DI SANT'AMBROGIO  

(da "La Nona Campana", marzo 2010)


La storia della seconda cappella di destra della Chiesa Parrocchiale di Sant'Ambrogio, detta Cappella del Crocifisso, è molto lunga. La scoperta fatta nel 1997, su ogni lato della navata, di una delle cappelle a forma di nicchia risalenti all'impianto cinquecentesco della chiesa, poi modificato negli anni 1850-60 con la costruzione di cappelle più alte e più profonde, ha scombussolato l'ordine delle notizie storiche in nostro possesso. Oggi si pensa che non sia vero che ogni nicchia cinquecentesca e diventata una cappella ottocentesca; piuttosto, le quattro nicchie sono diventate tre cappelle; l'attuale Cappella del Crocifisso corrisponde alla terza nicchia di destra (partendo dall'altare), nicchia che nel Cinquecento non conteneva nessun altare perché di passaggio al cimitero adiacente alla chiesa.

Gli ultimi studi su Antonio da Lonate hanno determinato una riscrittura delle fasi costruttive della chiesa attraverso la conoscenza di alcune cerimonie connesse. Si è appurato che ogni nicchia conteneva un altare attrezzato per la celebrazione di messe, aveva una dedica e figurazioni ad affresco sulla parete di fondo. Il notaio Bernardino Gennari ci ha lasciato un atto in cui si legge che il 25 aprile 1518, giorno di domenica, con una cerimonia apposita fu dedicata allo Spirito Santo una cappella situata nella parete di destra della chiesa, appena oltre l'ingresso: dunque la quarta nicchia di destra, essendo la terza senza altare. La nicchia o Cappella dello Spirito Santo viene citata con la stessa posizione negli atti delle visite ecclesiastiche del 1596 e del 1646. Nel 1622, quando aveva dei cancelli di legno, la cappella recava dipinto sulla parete di fondo il "mistero" dello Spirito Santo tra i profeti Ezechiele e Gioele, che nella Bibbia pronunziarono oracoli poi riferiti allo Spirito Santo. In seguito la nicchia cambiò nome: nel 1682 compare con il titolo di Tutti i Santi, probabilmente perché vi si esponevano le reliquie dei santi; ma nel 1684 vigeva ancora la dedica alto Spirito Santo.

Cambiò di nuovo nome negli ultimi anni del Seicento o nei primi del Settecento, diventando la Cappella del Crocifisso. Questa dedica, esplicita negli atti della visita pastorale del 1750 per la prima cappella di destra dopo l'ingresso nella chiesa, compare già qualche anno prima nei legati di messe istituiti negli anni 1728-30 da Francesco Piantanida Zaro e da Giuseppe Poncione. Interessante la richiesta del 1739 al vicario foraneo (cioè al prevosto di Gallarate) di portare in solenne processione la sera del venerdì santo "il crocifisso che con venerazione è conservato in altare proprio nella parrocchiale di Sant'Ambrogio", altare presso il quale era canonicamente eretta la Compagnia della Santa Croce. Richieste di analogo contenuto si rinnovarono negli anni fino al 1778, e sono conservate nell'archivio parrocchiale. Separatamente, ai primi di maggio, si celebrava la festa di Santa Croce. Probabilmente la processione del venerdì santo con il crocifisso continuò a celebrarsi anche dopo il 1778, ma non sappiamo per quanti anni.

Nella ristrutturazione ottocentesca della chiesa l'altare del Crocifisso fu anticipato di un posto nicchia (spostamenti di dediche si ebbero anche sulla parete settentrionale della chiesa), per una ragione ben precisa: dietro disposizioni napoleoniche nel 1814 fu aperto il "cimitero vecchio" fuori dal borgo, non più quello adiacente alla chiesa, per cui il passaggio chiesa-cimitero attraverso la nicchia non era più necessario. Cosi rimaneva libera l'ultima cappella nuova: sarebbe diventata nel primo Novecento la cappella della Madonna di Lourdes, dal 1948 di Sant'Ambrogio.

Le nicchie laterali della parrocchiale avevano sicuramente tutte la stessa forma, le stesse misure, secondo le geometrie ripetitive care all'edilizia del cinquecento. Oggi sono tornate visibili le due nicchie scoperte net 1997: sono a fondo piatto, il fondale della nicchia misura 217 cm di larghezza e 490 di altezza; il crocifisso, o meglio la croce reggente il corpo, misura 210 cm di larghezza e 330 di altezza; quindi poteva stare sopra l'altare (alto presumibilmente non più di 135 cm) sul fondale della nicchia, senza bisogno di una cornice.

Il grande crocifisso nella cappella omonima

Il grande crocifisso nella cappella omonima

.

Sotto il profilo stilistico il crocifisso, di legno ritoccato con gesso e in discreto stato di conservazione, è appeso alla croce mediante un gancio all'altezza delle reni, ed equivale al corpo di una persona alta circa due metri; la testa, cadente sul petto, è piuttosto grande, perché doveva essere vista dal basso; la corona di spine è realizzata con filo di ferro ricoperto di gesso; capelli, barba e baffi non sono di provenienza umana, ma sono modellati in legno e gesso. Il corpo è cinto da un perizoma a righe allacciato sul fianco destro con un nodo vistoso; le gambe sono snelle, senza evidenza di muscoli e di vene; le ginocchia sono scorticate, i piedi quasi affusolati, mentre le braccia, che mostrano invece muscoli e tendini, risultano aggiunte al corpo, che sembra ottenuto da un unico blocco di legno, lavorato di profilo in modo che schiena e gambe presentino posture verisimili. Gocce di sangue, di un rosso lucente, sono distribuite lungo la figura, dalla testa ai piedi, oltre ad un fiotto particolarmente intenso dallo squarcio nel costato e dai fori nelle mani e nei piedi, in cui sono infissi grossi chiodi a testa piramidale. Il corpo è di un bianco cadaverico, ma dal gesso sbeccato su una spalla affiora un tenue colore giallognolo.

La croce presenta una cornice perimetrale dorata, sopra il crocifisso la scritta INRI su due righe dentro un cartiglio con bordo dorato, raggi di legno dorati all'incrocio dei bracci, che mostrano abbellimenti terminali dorati. Osservata da dietro, la croce risulta composta di due assi a incastro "mezzo legno", mentre gli abbellimenti terminali sono la risultante di tre pezzi. Da notare che la cornice dorata tagliata in cima dimostra come la croce fosse originariamente più alta; due incavi sul retro della croce fanno supporre che fosse appesa.

Sotto il profilo tecnico, secondo il parere della dottoressa Isabella Marelli, funzionario della Sovraintendenza ai beni artistici della Lombardia, e del restauratore Michele Barbaduomo, i quali lo hanno studiato personalmente, il crocifisso sarebbe un lavoro non del Settecento ma addirittura del Cinquecento, come dimostrerebbero alcuni dettagli anatomici e la configurazione del perizoma, in linea con l'antica tradizione milanese; probabilmente però fu ridipinto nei modi cari al primo Novecento.

Ma se davvero questo era il crocifisso che si portava in processione, "conservato in altare proprio nella parrocchiale di Sant'Ambrogio", e se davvero esso è opera del Cinquecento, dove stava prima che fosse collocato nella quarta nicchia di destra della chiesa parrocchiale? Questo purtroppo resta un mistero.

E veniamo alla cappella e all'ancona che oggi lo contiene, L'ancona, di marmo nero, è larga 250 cm, alta 360 e profonda 60, in modo da contenere di stretta misura la croce. La sagoma dell'ancona è cruciforme, con una cimasa arcuata a sesto acuto. Sulla sommità compaiono, intarsiati su una piccola lastra di marmo bianco, i simboli della passione: chiodi, corona di spine, dadi. La luce naturale arriva dall'alto dentro l'ancona attraverso un foro del diametro di 20 centimetri aperto nel volto superiore della nicchia. Il fondale interno dell'ancona è dipinto di azzurro cupo, con stelle gialle disposte in serie su archi concentrici, imperniati sull'incrocio dei bracci della croce: più grosse ed elaborate le stelle del cerchio interno, più semplici e sempre più piccole le altre, secondo la lontananza dal centro. Alla base del fondale sono dipinte montagne stilizzate, nei toni del grigio e dell'azzurro. Dentro l'ancona due staffe murate sostengono il crocifisso, che in basso appoggia sul pavimento dell'ancona, mentre la parte alta esige accorte manovre perché il crocifisso trovi giusta e stabile collocazione nella cimasa in presenza di un incavo apposito. Una cornice di legno supportata da un telaio metallico racchiude il vetro, che è costituito da una lastra unica e quindi non può essere un prodotto molto antico.

Date le sue dimensioni, l'ancona non è compatibile con la nicchia cinquecentesca. Tenuto conto della linearità della sua cornice cruciforme che corrisponde ai gusti dell'Ottocento piuttosto che a quelli del Settecento, la si pensa opera di metà Ottocento, appositamente introdotta nella cappella di nuova costruzione per accogliere il venerato crocifisso della tradizione lonatese. La decorazione a cerchi di stelle sul fondale dell'ancona riflette gusti del primo Novecento.

Del suo successivo coinvolgimento in manifestazioni di devozione popolare si sa poco. Si sa che questo crocifisso passò per le strade del paese il 2 agosto 1937 in occasione dei festeggiamenti per l'entrata in paese del parroco Tagliabue, ed il 5 aprile 1985 nella processione serale del venerdì santo. Durante la Quaresima del 2010 il crocifisso è stato esposto per una settimana alla venerazione dei fedeli, sulla destra dell'altare per chi proviene dal fondo della Parrocchiale.


Il Crocifisso dell'arco trionfale

(da "La Nona Campana", marzo 2011)

.

Nella settimana compresa tra il 19 e il 26 marzo 2011 è stato esposto davanti alla balaustra dell'altare il grande Crocifisso che negli anni precedenti era stato collocato al di sopra del pulpito di destra. Stava lassù dal 1986, tolto dal centro dell'arco trionfale della chiesa perché non ostacolasse la visione degli affreschi del catino absidale appena restaurati dal Laboratorio del prof. Bernardo Carli.

È certamente un crocifisso antico, ma quanto antico lo diranno gli esperti chiamati ad esaminarlo in vista dell'auspicato restauro, di cui il manufatto sembra avere assoluto bisogno. Un funzionario della Soprintendenza Regionale ai Beni Artistici deputato allo studio specifico dei crocifissi antichi della Lombardia occidentale aveva sospettato, vedendolo però da terra e quindi da lontano, che si tratti di un manufatto risalente addirittura al Quattrocento, quindi probabilmente già appartenuto alla chiesa lonatese tardo-medievale di Sant'Ambrogio, demolita nel 1499 per fare spazio alla nostra. Visto ora da vicino, il manufatto risulta composto di varie parti, tutte di legno: il corpo del crocifisso, la croce con braccio orizzontale e braccio verticale, un robusto asse a supporto della croce.

Il corpo è piuttosto tozzo, essenziale, grossolanamente strutturato, con poco o nessun rilievo di nervi e muscoli, con una corda attorcigliata intorno alla testa a suggerire la corona di spine, con chiazze arancione sulla fronte, sul costato, sulle gambe a suggerire il sangue. Lo stato di conservazione non è buono. Il corpo, scrostato in vari punti, appare ridipinto più di una volta e presenta alcune crepe, di cui le più vistose corrispondono alla giuntura delle braccia al corpo e, lungo il corpo, alla giuntura delle parti che lo formano. Possono avere contribuito a danneggiare il crocifisso in questi ultimi anni il sole, che in certe ore d'estate batte nella zona sopra il pulpito, ed il riscaldamento della chiesa.

La croce, assai meglio conservata, è invece piuttosto elaborata. I bracci sono liste piuttosto larghe con espansioni lobate ad ogni estremità, e sono trattate a vari colori: il fondo è marrone, la cornice dorata è in rilievo ed è affiancata da una fascia parallela interna in verde scuro. Arricchiscono la cornice dorata elementi decorativi in legno, anch'essi dorati, che alternano figurazioni simmetriche di animali e palle dorate, rispondenti ad un gusto presumibilmente tardorinascimentale. Pare potersi dedurre che la croce è meno antica del crocifisso. Sopra la testa del crocifisso una targa a cornice dorata, di sagoma trapezoidale, quindi alquanto discordante dalle linee della croce e presumibilmente sovrapposta in un secondo tempo, racchiude la consueta scritta INRI. Forse alcuni "pezzi" sono andati perduti: un buco al centro del cranio fa pensare a una corona, di legno o metallica, posta sopra la testa.

Il crocifisso dell'arco trionfale esposto davanti all'altare prima del restauro

Il crocifisso dell'arco trionfale esposto davanti all'altare prima del restauro

.

Sono presenti vari ganci, davanti e dietro, per il sostegno dell'oggetto, alcuni inseriti nel 1986 per trattenerlo obliquamente collocato sopra il pulpito, altri antichi per ancorarlo ai tiranti e alla trave al centro dell'arco trionfale. La parte inferiore della croce appare grossolanamente segata.

Le note più antiche sono tolte dall'archivio storico diocesano (atti e decreti di visite pastorali), le più recenti (dell'Otto e Novecento) dall'archivio parrocchiale. Nei 1567 san Carlo, dopo la sua prima visita pastorale a Lonate, ordinò, tra le altre cose, che si collocasse in alto sotto l'arcone della cappella maggiore il grande crocifisso (si noti il "grande") che era istallato sulla parete a tergo dell'altare (allora anche l'altare era di legno dorato). Nel 1570, nella seconda visita pastorale, san Carlo, notando che in obbedienza all'ordine precedente era preparato il supporto di legno per il crocifisso nella cappella maggiore, invitava a metterlo in opera.

Nel 1596 il visitatore delegato mons. Luigi Bossi, protonotario apostolico, attestava la presenza del crocifisso pensile: « Crucifixus sub arcu capellae est constitutus », cioè il crocifisso è collocato sotto l'arco della cappella.

Nei 1622 venne in visita pastorale il cardinal Federico Borromeo di manzoniana memoria. Negli atti della visita leggiamo: « Arcus capellae parva transversa trave lignea et altera ferrea coniungitur, in parte anteriori auro et pictura omata, in cuius medio locata est imago Domini Nostri e cruce pendentis », cioè: legano l'arco della cappella una piccola trave di legno trasversale e un'altra di ferro, trave dorata e dipinta nella parte anteriore, nel mezzo della quale è collocata la figura di Nostro Signore appeso alla croce. Nel 1707 monsignor Corradi, visitatore regionario, faceva annotare: « Supra cancellos vetus architravs picta Crucifixi absque velo », cioè: al di sopra della balaustra sta un architrave antica dipinta con il crocifisso senza il velo (presumibilmente rosso) di sfondo.

Da queste note si attingono tempi e modi di sistemazione del crocifisso sopra la trave che attraversava orizzontalmente l'arco trionfale, ma non l'età del crocifisso, che era dichiarato grande e già esistente nel 1567, mentre la trave orizzontale lignea di supporto era dichiarata piccola nel 1622 e antica nel 1707. Piccola, non corta: piccola, cioè di altezza contenuta. Anche la trave merita qualche osservazione descrittiva. È seicentesca? Quella che vediamo, alta non più di 30 cm, lunga 11 metri, è presumibilmente articolata in più pezzi, inseriti lungo la scanalatura posteriore su un tirante di ferro atto ad assicurare stabilità e buon allineamento; si presenta dipinta di scuro, con comici in rilievo ingentilite da una greca a motivi misti dorati, e su di essa si legge una frase di san Paolo in lettere capitali dorate: « Mihi absit gloriari nisi in cruce Domini Nostri Jesu Cristi », lungi da me gloriarmi se non nella croce di Nostro Signore Gesù Cristo (Galati 6, 14). Da notare nella scritta la V in luogo della U, l'assenza della H in Cristi, la J di Jesu, il disegno della B e della R con il corpo inferiore più largo della testa, lettere che trovano lo stesso disegno nella breve scritta INRI della croce; la V in luogo della U sottende una cultura preottocentesca. Anche la trave merita un giudizio di esperti. Si può ritenere che la croce venisse segata per collocarla sopra la trave. Negli anni 1852-57, al tempo del curato Regalia, la chiesa parrocchiale venne profondamente ristrutturata con l'introduzione delle cappelle laterali profonde e, si può dire, ogni centimetro quadrato della superficie interna venne ripulito. Nel 1857 anche il crocifisso e la trave guadagnarono attenzione. Francesco Stagni di Milano eseguì "agiustamento del crocifisso, indoratura dello istesso e architrave", oltre a mettere oro e argento nel capocielo, nella tazza absidale, sulle catene delle lampade, cartine di bronzo sul Padre Eterno dell'orifiamma. Riaccomodò l'architrave il falegname lonatese Giacomo Agnelli, cui si devono pulpiti e organo. Nel 1903, quando sotto la spinta del curato Pifferi e la regia del prof. Angelo Comolli la chiesa venne risistemata ed ebbe dipinta nella volta la sfilata di santi, il restauro del crocifisso dell'arcata maggiore fu effettuato da Carlo Corti di Lecco.

Non risulta che croce e crocifisso abbiano goduto di qualche trattamento durante i restauri del 1986 che interessarono gli affreschi del catino absidale.

Il crocifisso dell'arco trionfale esposto davanti all'altare dopo il restauro

Il crocifisso dell'arco trionfale esposto davanti all'altare dopo il restauro

.

L'antico Crocifisso restaurato e riposizionato

(da "La Nona Campana", maggio 2012)

Dopo il restauro, è tornato nella Parrocchiale di S. Ambrogio, in tempo per la Settimana Santa 2012, il più antico dei crocifissi da essa posseduti, del quale abbiamo parlato qui sopra. Tutto in legno, risale alla Quattrocento: appartenne alla chiesa antica, sull'area della quale e sorta l'attuale nei primi anni del Cinquecento.Il crocifisso è rimasto esposto da Pasqua al 2 maggio 2012 presso la balaustra del presbiterio nella parrocchiale, per essere venerato dai fedeli.

Il 2 maggio 2012 è finalmente tornato nella sua posizione tradizionale, in alto, al centro dell'arcone che separa la navata dalle chiesa dal presbiterio. Dal 1988, cioè dal restauro delle pitture del catino absidale, stava invece alloggiatosopra il pulpito di destra. Dopo essere stato ricollocato lassù, al centro dell'arcone, ci appare piccolo, ma in realtà le sue misure sono notevoli: il corpo inchiodato sulla croce è a grandezza d'uomo, la croce misura in verticale un metro più del corpo, quasi un metro nel braccio orizzontale.

 Il restauro, diretto dalla dottoressa Isabella Marelli della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Milano, è stato eseguito dal Laboratorio San Gregorio di Busto Arsizio. L'opera è giunta in laboratorio in uno stato di degrado piuttosto avanzato. In particolare, nella figura del Cristo apparivano numerose ed evidenti le gravi fessurazioni; notevoli ed estesi inoltre erano i sollevamenti di pellicola e preparazione pittorica che lasciavano a vista il supporto ligneo e stuccature risalenti a precedenti interventi di restauro. La figura del Cristo era completamente ridipinta sia negli incarnati che nella doratura del perizoma, e i fori dovuti all'attacco di parassiti xilofagi avevano causato rotture e perdite sia nel Cristo che nella Croce di supporto. Infine vari elementi decorativi perimetrali della Croce risultavano staccati, e in alcuni casi irrimediabilmente perduti.

Le analisi chimiche e stratigrafiche hanno evidenziato le tre stesure pittoriche eseguite nel tempo. L'opera originale risale al Quattrocento, quando il Cristo si presentava a calde cromie con tracce rosse di sangue per gli incarnati ed il perizoma dipinto a fasce verticali rosse e azzurre, tutto ciò però gravemente compromesso e quindi pressoché irrecuperabile. La Croce appariva di un colore uniforme molto scuro, riconducibile ad un blu notte, e nel trilobato superiore era rappresentata la figura del Pellicano, emblema del supremo sacrificio di Cristo, poiché secondo la leggenda Medioevale esso si fendeva il petto per dare il proprio sangue come cibo ai suoi piccoli (come dice Dante di San Giovanni: « Questi è colui che giacque sopra 'l petto / del nostro pellicano... » Paradiso XXV, 112-113). Questo particolare, visibile nella foto sottostante, è stato riportato alla luce grazie alle recenti operazioni di restauro.

Anche i trilobati dei bracci corti contenevano una decorazione pittorica (forse due angeli cherubini), che però non si e riusciti ad identificare a causa dell'irrimediabile stato di conservazione.

Le successive ridipinture dell'intera opera sono state rispettivamente eseguite nel Settecento e l'ultima nell'Ottocento. La versione Settecentesca è quella che, in accordo con l'Ispettrice della Soprintendenza dott. Isabella Marelli, si é deciso di mantenere e recuperare, grazie anche al discreto stato conservativo. Essa si presentava con una colorazione più rosea degli incarnati con gocce di sangue rosse-porpora e perizoma dorato con lamina metallica d'oro. La Croce era dipinta con una colorazione marrone legno a profili verdi, e tutte quelle modanature aggettanti che ne contornano il perimetro sono un'aggiunta di questo periodo.

La versione Ottocentesca, quella che ci e pervenuta prima dell'intervento di restauro, é stata completamente rimossa in quanto di modesta fattura. Oltretutto presentava l'anomalia della ferita del costato di Cristo posta a sinistra anziché a destra!

Particolare del volto di Cristo messo a confronto: prima e dopo l'intervento di restauro conservativo

Particolare del volto di Cristo messo a confronto: prima e dopo l'intervento di restauro conservativo

.

Se volete maggiori informazioni, rivolgetevi alla Pro Loco di Lonate Pozzolo, indirizzo via Cavour 21, telefono 0331/301155.

.

Già che ci siete, se lo credete, potete dare un'occhiata alla storia antica di Lonate; altrimenti, cliccate qui e tornate indietro.


Torna su - Vai alla mia Home Page