di William Riker


Tutto è partito da quest'idea di Massimiliano Paleari:

Ho voluto costruire una cartina politica dell'Europa medioevale in cui:

1) persiste un Impero Romano nuovamente unificato, con capitale Roma e che si estende dalla Cornovaglia alla penisola del Kuban
2) sono vivi e vegeti contemporaneamente i principali potentati che si sono succeduti in Europa a partire dalla tarda antichità e fino al XIII Secolo
3) è presente un grande Impero Arabo Islamico, come nella nostra Timeline.

La risposta nella cartina sottostante, in cui sono visibili anche le divisioni amministrative (prefetture) di questo Impero Romano ucronico. Come realizzare questo stato di cose?

Ed ecco quanto ha pensato in proposito il nostro Webmaster:

POD: Teodosio il Grande non si spegne prematuramente a soli 48 anni il 17 gennaio 395 per idropisia, e non si ha la spartizione definitiva dell'Impero tra i suoi due figli Onorio e Arcadio.

Teodosio I il Grande (379-392 Imperatore d'Oriente, 392-425 Imperatore Romano)
Teodosio deve affrontare il terribile urto delle popolazioni germaniche lungo il limes del Reno, sospinte dall'avanzata degli Unni: Visigoti, Franchi, Burgundi e Alamanni in particolare dilagano al di là del limes. Teodosio però non è suo figlio Onorio, e con il suo Magister Militum Stilicone nel 402 batte i Visigoti di Alarico a Pollenzo, presso Verona. Successivamente Teodosio decide di evacuare le legioni di stanza in Britannia per avere più forze a difesa del continente, e con queste milizie riesce nel 405 riesce a battere presso Divodurum (oggi Metz) anche i Franchi guidati dal loro re Faramondo. Siccome però Alarico con i suoi Visigoti minacciano di nuovo l'Italia, Teodosio offre ai Franchi si stanziarsi come Federati tra la Mosa e il Reno, ed ai Burgundi di Re Gundicaro (il Gunther della Saga dei Nibelunghi) fra la Saona e il Rodano. Hanno così origine i Regni dei Franchi e dei Burgundi, antesignani delle due nazioni moderne di Francia (la nostra Germania) e Borgogna. In qualità di Federati, Franchi e Burgundi sono costretti a portare aiuto a Teodosio contro i Visigoti di Re Alarico, che affronta in battaglia presso Mantova nel 410. Alarico e Stilicone cadono entrambi nello scontro; nessun Sacco di Roma. Ataulfo, fratello di Alarico e nuovo Re dei Visigoti, si sottomette a Teodosio, e questi gli concede di trasferire il suo popolo all'interno dei confini dell'Impero, tra la Garonna e la Loira, in qualità di Alleato del Popolo Romano.
Arcadio, secondogenito di Teodosio I, muore di malattia il 1 maggio 408, cosicché l'Augusto si associa al trono come Cesare il figlio Onorio, mandato a governare l'Oriente da Costantinopoli, ma sotto il severo controllo del Prefetto del Pretorio Antemio, un fedelissimo di Teodosio. Onorio non ha figli, e Teodosio alleva come suo successore il figlio di Arcadio, futuro Teodosio II. Ad Oriente l'Augusto respinge l'invasione della Mesia da parte di Uldino, re degli Unni, e prende misure per evitare future invasioni da parte loro, potenziando la flotta dislocata sul Danubio e fortificando Costantinopoli (con le cosiddette Mura Teodosiane). Quanto ai Persiani, nel 421 il sovrano sasanide Bahram V perseguita duramente i cristiani, ed allora Teodosio invia in Armenia il suo generale Ardaburio, il quale sconfigge l'esercito persiano, saccheggia l'Arzanene ed invade la Mesopotamia assediando la strategica fortezza di Nisibis. Bahram V allora guida personalmente l'esercito sasanide e, dopo aver liberato Nisibis, mette sotto assedio Teodosiopoli. Nel 423 però Ardaburio riesce a neutralizzare l'attacco e ad imporre la pace al sovrano sasanide, riportando il confine allo status quo.
Teodosio I si spegne il 17 gennaio 425 a 78 anni. Onorio è morto a Costantinopoli il 15 agosto 423, e così gli succede il nipote Teodosio II, 24 anni.

Teodosio II (423-425 Cesare, 425-450 Imperatore)
Il nipote di Teodosio il Grande deve affrontare la minaccia degli Unni e dei Vandali. Questi ultimi, stanziatisi nella Spagna meridionale, guidati dal loro re Genserico tentano di spostarsi in Africa, ma tentano di passare in Africa, ma vengono sconfitti dal generale romano Maggioriano; Genserico muore in combattimento, suo figlio Unerico accetta di restare nella Spagna meridionale ma senza il titolo di Federati per i Vandali; essi a poco a poco sono assimilati dalla popolazione locale (da qui il nome di Andalusia); gli Svevi invece restano in Galizia come Federati, ma con autonomia limitata, e la Spagna resta saldamente romana.
Quanto agli Unni, ora essi sono guidati dai due fratelli Attila e Bleda, i quali pretendono un tributo di 700 libbre d'oro all'anno per non invadere l'Impero Romano. Dopo la vittoria sui Vandali, Teodosio II si ringalluzzisce e rifiuta di pagare il tributo; Attila risponde con la guerra, devastando i Balcani e l'Illirico, e Teodosio II è costretto a una pace umiliante, che lo costringe a cedere ad Attila molti territori a sud del Danubio.
L'avvenimento più importante del regno di Teodosio II resta comunque la compilazione del Codice Teodosiano, una raccolta di leggi pubblicata nel 438 dopo otto anni di lavoro. Teodosio II muore il 28 luglio 450 in seguito ad una caduta da cavallo che gli provoca la frattura della spina dorsale. Il Senato di Roma indica come suo successore il generale Marciano, suo cognato (ha sposato sua sorella Pulcheria), ma le truppe acclamano invece imperatore il generale di origini barbare Flavio Ezio. Si giunge alla guerra civile, ma Marciano muore di cancrena in seguito a una banale ferita, e Flavio Ezio resta unico padrone dell'Impero.

Flavio Ezio (451-463)
Il primo Augusto di origini germaniche deve affrontare l'invasione degli Unni di Attila, a cui si è rivolta Pulcheria, sorella di Teodosio II e vedova di Marciano, affinché la riporti sul trono. Pulcheria gli ha inviato il suo anello come anticipo di un premio ingentissimo in oro, ma Attila interpreta il dono come una promessa di fidanzamento, ed invia a Milano, ancora capitale dell'Impero d'Occidente (dove Teodosio I l'ha mantenuta), ambasciatori per chiedere la mano di Pulcheria e quasi tutto l'Impero Romano d'Occidente come regalo di nozze. Ezio rifiuta, pur conscio della potenza bellica degli Unni, spedisce Pulcheria in esilio in Africa e chiama in aiuto i Federati Visigoti, Burgundi e Franchi. Attila sfonda i confini dell'Impero con oltre 500.000 uomini (Unni, Alani, Longobardi, Ostrogoti, Gepidi, Turingi ed Eruli) e tenta di spingere i propri confini fino all'Atlantico, ma il 20 giugno 451 subisce una storica disfatta nella Battaglia dei Campi Catalaunici (luogo non meglio identificato presso l'odierna Châlons-en-Champagne), dove il Flagello di Dio trova la morte. L'Impero di Attila si disgrega e suo figlio Ellac, sconfitto dal Re dei Gepidi Arderico, ordina la ritirata verso l'Asia; restano indietro solo gli Avari e i Bulgari, che si stanziano a nord del Danubio. Ezio, che ha ricevuto dal Senato il titolo di Unnico, ne approfitta per riconquistare i territori a sud del Danubio che Attila aveva progressivamente eroso all'Impero.
Forte della prestigiosa vittoria ottenuta, Flavio Ezio mette mano alla riorganizzazione dell'impero, e fa convocare il Concilio di Calcedonia per condannare l'eresia nestoriana. Egli inoltre invia in Britannia il generale Germano (il futuro San Germano di Auxerre) a mantenere alta la bandiera della romanità. Muore a 72 anni il 21 settembre 463, lasciando il trono al figlio Flavio Gaudenzio. Si ritiene che la figura di Flavio Ezio abbia ispirato quella di Aragorn nel "Signore degli Anelli" di J.R.R. Tolkien.

Flavio Gaudenzio (463-467)
Salito al trono a 23 anni, il figlio di Ezio Unnico deve coabitare nel palazzo imperiale di Milano con il potente Magister Militum in Praesentis Ricimero, un goto che ha grande influenza a corte grazie all'amicizia con il vincitore di Attila. Questi si illude di poter manovrare come vuole il giovane Gaudenzio, che invece si dimostra volitivo e pieno di iniziative, tanto da allearsi con il generale Maggioriano, anch'egli tra i più fidati uomini di Ezio; Ricimero viene così tolto di mezzo dall'alleanza tra il giovane imperatore e il prode generale.
Gaudenzio si dimostra un fervente cattolico, sostiene la costruzione di nuove chiese e mantiene freddi i rapporti sia con gli ariani che con i monofisiti; inoltre fa trasportare in pompa magna nella Basilica Virginum di Milano (oggi Basilica di San Simpliciano) un velo che la tradizione diceva appartenuto alla Vergine Maria. Gaudenzio inoltre non permette che siano rappresentati spettacoli teatrali durante le domeniche o altri giorni di festa, non attirandosi certo le simpatie della popolazione. Alla sua corte lavorano il poeta Claudio Rutilio Namaziano e lo storico Idazio. Il giovane sovrano però si spegne per una misteriosa malattia il 3 febbraio 467.

Giulio Valerio Maggioriano (467-489)
Riguardo alla morte prematura di Gaudenzio a soli 27 anni, gli scrittori romani Renato Profuturo Frigerido e Malco di Filadelfia puntano il dito contro il generale Maggioriano, che infatti gli succede al trono per lascito testamentario dello stesso Gaudenzio. Mancano le prove storiche di questo delitto di stato, tuttavia è certo che Maggioriano si dimostra un governante capace ed energico. Egli nomina Cesare d'Oriente il generale isaurico Tarasis, che è stato battezzato con il nome di Zenone, ma poco dopo questi si autoproclama Augusto, agitando un presunto testamento di Gaudenzio che nominerebbe lui suo successore. Maggioriano lascia Milano e si scontra con le truppe di Zenone a Salona, oggi Solin in Dalmazia, ottenendo una schiacciante vittoria; secondo la tradizione, tale vittoria gli è stata preannunciata da Santa Tecla di Iconio, apparsagli in visione. Questo giustificherebbe la devozione per Santa Tecla di Maggioriano (fin qui un rude soldato tutt'altro che bigotto), che fa ricostruire sontuosamente la Basilica di Santa Tecla a Milano (nella HL i suoi resti si trovano oggi sotto Piazza Duomo).
Se i gernani Federati se ne stanno tranquilli e i Sasanidi rispettano i trattati di pace, Maggioriano deve affrontare la minaccia degli Ostrogoti, guidati da Teodorico l'Amalo (che passerà alla storia come Teodorico il Grande), figlio di Teodemiro e capo degli Ostrogoti mesici, e da Teodorico Strabone, capo degli Ostrogoti traci. Maggioriano riesce abilmente a schierarli l'uno contro l'altro, ma nel 472, approfittando della rivolta di Zenone, Teodorico Strabone si rivolta contro Maggioriano e mette a sacco la città di Costantinopoli. Maggioriano allora si allea con il suo rivale Teodorico l'Amalo, convincendolo ad attaccare Strabone. I due Teodorico tuttavia finiscono per accordarsi e per chiedere congiuntamente all'Imperatore di estendere verso meridione il territorio concesso agli Ostrogoti in Mesia. Maggioriano allora lascia a Milano in qualità di Cesare il suo collaboratore Odoacre, un barbaro di origini erule, e muove verso i Balcani con le sue truppe ottenendo alcune vittorie, e conclude per la prima volta un accordo con i Bulgari, convincendoli ad attaccare Strabone. Nel 475 Strabone muore in un incidente di cavallo, Teodorico l'Amalo diventa sovrano di tutta la nazione ostrogota, e Maggioriano decide di stringere alleanza con lui, nominandolo Magister Militum e Console (carica ricoperta per la prima volta da un barbaro non cittadino romano). Teodorico si mostra fedele a Maggioriano, e lo aiuta a sconfiggere l'usurpatore Leonzio, ma nel 486 Teodorico gli si ribella, sconfigge e uccide in battaglia Odoacre, e arriva a porre sotto assedio la capitale Milano, tagliando i rifornimenti idrici alla città. Maggioriano, ormai anziano, decide di comprare la pace offrendo all'Amalo un vasto regno comprendente Norico, Pannonia, Illirico e Dalmazia, purché lo aiuti a difendere la pianura padana. Teodorico accetta e Maggioriano ottiene la pace, anche se a prezzo di nuove perdite territoriali a favore dei popoli germanici. Maggioriano fa pace anche con i bellicosi Alamanni, concedendo loro di stanziarsi come federati in Elvezia. Invece, come diremo sotto, con l'aiuto dei Visigoti la penetrazione germanica è contenuta lungo la Senna e la valle del Rodano resta romana: l'impero di Maggioriano, pur mutilato, in occidente conserva la continuità territoriale fino all'Armorica.
Maggioriano muore il 7 agosto 489 a Tortona, a 69 anni, per una malattia cardiaca.

Afranio Siagrio (489-504)
Afranio Siagrio è stato il Magister Militum per Gallias sotto Maggioriano, ed ha posto la sua residenza a Lutetia Parisiorum, oggi Parigi, già capitale di Giuliano (l'Apostata). Nel 486 egli è riuscito a respingere il tentativo del Re dei Franchi Clodoveo di occupare tutta la Gallia Romana, sconfiggendolo a Novidunum, in quello che passerà alla storia come la Battaglia di Soissons. Questo successo è stato ottenuto grazie all'aiuto determinante del Re dei Visigoti Alarico II, il quale sa che la prossima vittima sarà lui, nel caso in cui cada il diaframma romano tra il suo regno e quello franco. La grande vittoria ha permesso ai Romani di stabilizzare il confine sulla Senna, e ha costretto Clodoveo a cercare piuttosto un'espansione verso oriente. Maggioriano, ormai anziano e malato, ha deciso di adottare come figlio proprio Siagrio che, alla sua morte, gli succede al trono.
Vista la vicinanza del minaccioso regno di Teodorico il Grande di là delle Alpi, l'imperatore gallo-romano decide che Milano non è più sicura come capitale dell'Impero Romano d'Occidente, e la trasferisce a Cartagine, al sicuro di là dal mare perchè i Vandali non vi sono mai arrivati, bloccati e assimilati in Spagna, mentre la capitale d'Oriente resta a Costantinopoli, che però viene ulteriormente fortificata. A Costantinopoli Siagrio fa in modo che il Patriarca Acacio promulghi l'Henotikon, l'"Atto di Unione" tra i Calcedoniani e i Miafisiti (i primi riconoscono due Nature in Cristo, i secondi una sola), ma il Papa di Roma Felice III non lo accetta, e così Siagrio peggiora le cose, provocando uno scisma che rientrerà solo nel 519. Siagrio inoltre perseguita i Samaritani, cercando inutilmente di convertirli alla fede in Cristo (secondo una leggenda popolare si sarebbe fatto seppellire sul Monte Garizim, sacro ai Samaritani).
Siagrio muore di dissenteria a Cartagine il 9 aprile 504, a 73 anni. Egli era abituato ai climi rigidi della Gallia, e non si era mai adattato al clima torrido del Nordafrica.

Ambrosio Aureliano (504-518)
Afranio Siagrio non ha figli e, invece di lasciare il trono ad uno dei numerosi nipoti, decide di seguire le orme del suo predecessore e di riportare in auge il Principato Adottivo, che nel II secolo è coinciso con il massimo splendore dell'Impero Romano. Per questo, come Maggioriano ha adottato lui in quanto reduce dalla vittoria di Novidunum, anch'egli decide di scegliere un generale vittorioso su una popolazione barbara: il leader dei britanno-romani Ambrosio Aureliano. Sebbene la Britannia sia stata sgomberata dalle legioni da quasi un secolo, i discendenti dei Romani trasferitisi a vivere nell'isola hanno continuato a risiedervi, subendo un fenomeno di riceltizzazione ma conservando le proprie tradizioni patrie, e sporadicamente gli Augusti hanno continuato ad inviare loro aiuti, come ha fatto Ezio inviando San Germano. Ma un potente signore della guerra celtico, registrato dallo storico gallese San Gildas con il nome di Vortigernus (dal celtico *Wortigernos, "despota"), ha chiamato in suo aiuto dal continente gli Angli e gli Juti, e alla loro ruota sono giunti i Sassoni, occupando quasi tutta la Britannia e ricacciando i romano-britanni verso il Galles e la Cornovaglia. Alla fine del V secolo Ambrosio Aureliano chiama volontari celti dall'Armorica, si pone a capo dei britanni e nel 503 infligge ai Sassoni la pesantissima Sconfitta di Mount Badon, nella quale cadono il Re del Kent Hengist e suo figlio Octa, ponendo fine alla fama di invincibilità degli anglosassoni. In conseguenza di questa vittoria la Cornovaglia rientra nell'impero, le legioni di Roma fanno di nuovo capolino in Britannia e Ambrosio Aureliano viene ufficialmente adottato da Siagrio come Cesare, salendo al trono alla sua morte.
Il nuovo imperatore fa erigere un limes a difesa della penisola cornica e stringe una rete di alleanze con i signori celti di Galles ed Irlanda, che hanno bisogno di aiuto di fronte all'avanzata di Juti, Angli, Sassoni. Inoltre Ambrosio Aureliano fa erigere nuovi limes sul confine con i Franchi, i Burgundi, gli Alamanni e gli Ostrogoti, giudicando assolutamente prioritario difendere l'impero contro la principale minaccia, secondo lui rappresentata dai Germani. Per tutta la durata del suo regno, egli risiede nella capitale Cartagine in tutto per sei mesi, preferendo spostarsi tra le province per tenere sotto controllo i confini.
Con tutte le risorse dell'impero impegnate strenuamente ad ovest, gli Slavi e gli altri popoli provenienti da nord e da est hanno vita più facile nella parte orientale dell'impero: le province balcaniche vengono devastate dalle incursioni degli Slavi e dei Bulgari, e solo gli Ostrogoti di Teodorico il Grande rappresentano un valido argine contro il loro espansionismo in Pannonia e Dalmazia. Inoltre i primi nuclei di Bulgari riescono ad insediarsi a sud del Danubio, cominciando l'occupazione della Tracia. Anche i Persiani avanzano in Oriente, occupando le città di Teodosiopoli e di Amida, ma il generale Giustino riesce a recuperare Amida, conclude nel 506 una pace che prevede il ritorno allo status quo e fa costruire la potente fortezza di Dara per tenere in scacco la Mesopotamia persiana.
Pur essendo battezzato, inoltre, l'imperatore britanno si disinteressa totalmente delle dispute religiose che dilaniano la cristianità, lasciando che di esse si occupino i vescovi e i teologi.
Ambrosio Aureliano, che in Britannia aveva cominciato le sue fortune, termina la propria parabola di nuovo in Britannia: il 9 luglio 518 muore combattendo valorosamente nella Battaglia di Camlann (oggi Camelford, ai confini della Cornovaglia) contro Medrawd o Modredus, un signorotto gallese alleatosi con gli Anglosassoni, che secondo alcune voci è figlio illegittimo proprio di Ambrosio Aureliano.

Giustino I (518-527)
Ambrosio Aureliano ha avuto molti figli, ma tutti illegittimi (compreso probabilmente il suo assassino Modredus), e così anch'egli decide di proseguire la tradizione del Principato Adottivo, adottando un generale che si è particolarmente distinto per abilità tattica. In questo caso la scelta cade su Giustino, che ha salvato l'Impero Romano d'Oriente dalle incursioni persiane mentre Ambrosio si concentrava esclusivamente sull'Occidente e sulla Britannia, nonostante egli sia semianalfabeta e abbia già 69 anni all'epoca della sua ascesa al trono.
Giustino è di umili origini: è nato nella vecchia provincia romana dell'Illyricum, ora occupata dagli Ostrogoti di Teodorico; da ragazzo è sfuggito a malapena con la famiglia all'invasione di Attila, e ha trovato rifugio con altri esuli sulle isole della laguna veneta, dove si sta formando un insediamento sull'isola di Rivo Alto (oggi Rialto). In seguito Giustino è entrato nell'esercito, sale nei ranghi fino al grado di generale e infine diventa imperatore. Avendo poca esperienza della conduzione dello Stato, Giustino ha la saggezza di circondarsi di consiglieri fidati, tra i quali il filosofo Severino Boezio (che non morirà di morte violenta), lo storico Aurelio Cassiodoro (fondatore del Monastero di Squillace, in Calabria) e suo nipote Flavio Pietro Sabbazio. L'imperatore però è tutt'altro che una pappamolla: nel 521 destituisce alcuni funzionari della Zecca di Cartagine accusati di peculato, e nel 525 perseguita duramente ariani e monofisiti, cosa che provoca le ire dei sovrani germanici, ed in particolare del re franco Clotario I (non dimentichiamo che in questa Timeline Clodoveo non si è convertito al cattolicesimo) e del re ostrogoto Teodorico, che a loro volta iniziano a perseguitare i cattolici. E così, gli ultimi anni del suo regno sono segnati dalle lotte contro Franchi ed Ostrogoti.
Sotto il suo regno, San Benedetto da Norcia fonda l'Abbazia di Montecassino.
Nel 526 Giustino si sente prossimo alla fine e nomina prima Cesare e poi Augusto suo nipote Flavio Pietro Sabbazio, da lui adottato come figlio, che assume il nome di Giustiniano. Il 1 agosto 527 Giustino si spegne a Cartagine e gli succede il nipote, che in suo onore ribattezza la città di Anazarbus con il nome di Giustinopoli.

Giustiniano I il Grande (527-565)
Il più grande di tutti gli Augusti del VI secolo è famoso soprattutto per il suo tentativo di restaurare nella sua interezza l'impero di Teodosio I, attraverso una serie di spietate campagne militari, ma il suo più grande lascito ai posteri è il Corpus Iuris Civilis del 535, una grande compilazione di tutte le leggi romane che è ancora oggi alla base del diritto civile in tutto il mondo, e che basterebbe da solo ad assicurare al sovrano una fama imperitura. Egli però non ha vita facile, all'inizio del suo regno, dovendo affrontare la Rivolta di Vici.
Dopo che Teodosio I ha definitivamente abrogato i giochi gladiatori, sopravvissuti solo in clandestinità, lo sport più popolare a Cartagine è diventata la corsa delle quadrighe nell'Ippodromo. La popolazione della capitale è divisa in due fazioni, i Rossi ed i Bianchi (curiosamente, ancor oggi sono i due colori della bandiera della Tunisia!) I Rossi coincidono con il partito aristocratico, i Bianchi con quello popolare, ed essi si accapigliano in violenti tumulti per motivi extrasportivi, come dispute religiose ed economiche. Alla fazione dei Bianchi appartiene Teodora, danzatrice e forse anche prostituta di lusso che Giustiniano ha voluto a tutti i costi sposare, contro il parere dei familiari, ed ora ha grande influenza su di lui. Alle Idi di gennaio del 532, quando si moltiplicano gli omicidi negli scontri tra i due opposti partiti, Giustiniano dice basta e fa arrestare ed impiccare alcuni "ultras" di entrambi i colori. Allora le due fazioni, di solito rivali, si coalizzano e si rivoltano contro il fiscalismo e l'autocrazia di Giustiniano, iniziando una rivolta durata sei giorni che prende il nome da "Vici!" ("Vinci!"), il grido di incitamento degli "hooligans" ai loro beniamini. Preso alla sprovvista, l'Imperatore tenta di trattare con i rivoltosi, destituendo i ministri Triboniano e Giovanni di Cappadocia, invisi alla folla, ma ciò non basta a spegnere la rivolta e le due fazioni proclamano imperatore Pompeo, un ex Ministro di Giustino I. Giustiniano prende la decisione di fuggire da Cartagine, ma l'energica Teodora lo dissuade e affida al generale Narsete il compito di corrompere i Rossi a peso d'oro, mentre l'altro generale Belisario seda la rivolta con le armi. Alla fine la Rivolta di Vici si conclude con il massacro di oltre 30.000 rivoltosi nell'ippodromo; anche l'usurpatore Ipazio perde la testa.
Risolto il problema delle rivolte interne, Giustiniano riorganizza le province e le prefetture romane e porta avanti una politica di centralizzazione, che fa perdere a Costantinopoli il tradizionale ruolo di "seconda capitale dell'Impero", riducendola a capitale della Prefettura d'Oriente, e chiude la Scuola Filosofica di Atene e il Tempio di Iside sull'isola di File, nel fiume Nilo, ultimi baluardi del paganesimo. Egli favorisce il Cattolicesimo (è amico personale di Papa Agapito I), tollera il Monofisismo perchè sua moglie Teodora è monofisita, ma combatte duramente Arianesimo, Manicheismo, Priscillianismo ed altre dottrine ritenute eretiche. Sotto di lui Cartagine, grazie alla sua posizione geografica privilegiata, domina i traffici commerciali nel Mediterraneo. Giustiniano vuole intensificare i rapporti con India e Cina (i cinesi importano dai romani oreficeria, vasellame e stoffe, ed esportano la preziosa seta), e per aggirare il blocco costituito dall'Impero Sasanide allaccia relazioni amichevoli con i Turchi, che vivono a nord del Mar Caspio e della Persia: la Tauride (Crimea) diventa così il punto di partenza della Via della Seta. Nel 553 due monaci siriani recatisi in Cina riescono a portare di nascosto in Occidente uova di bachi da seta; nell'Impero Romano, e soprattutto nell'Italia del Nord, fiorisce così la sericoltura, che porta a un considerevole aumento delle entrate.
Ma Giustiniano ha ben altro in mente, che la sericoltura: egli infatti vuole riconquistare l'impero di Teodosio I, muovendo guerra ai Germani, e per questo si copre le spalle con un trattato di pace con i Persiani e con i Bulgari. Anzitutto l'Augusto volge la sua attenzione agli Svevi, che si sono ritagliati la completa indipendenza nel nordovest della Spagna, e trova un pretesto per dichiarare loro guerra: nel 530 il loro re Teodemondo, di fede cattolica, è stato rovesciato dal cugino Rechila II, di fede ariana. Giustiniano, che era in buoni rapporti con Teodemondo, intima a Rechila di restituire il trono al legittimo re; al suo rifiuto, invia contro di lui Belisario, colui che ha sedato la Rivolta di Vici. Questi infligge agli Svevi una decisiva sconfitta presso Asturica (oggi Astorga, nel León) ed entra a Bracara Augusta (oggi Braga), capitale del regno, catturando Rechila II; la Galizia torna così provincia romana.
Ringalluzzito dal successo, Giustiniano si volge contro gli Ostrogoti che minacciano direttamente l'Italia di là dalle Alpi. Teodorico il Grande è morto nel 526, lasciando il trono al nipote minorenne Atalarico sotto la reggenza di Amalasunta, figlia di Teodorico e madre di Atalarico. Dopo la morte del figlio il 2 ottobre 534, Amalasunta sposa Teodato, uno dei più potenti signorotti goti, ma questi la fa prima imprigionare e poi assassinare. Giustiniano, che era in buoni rapporti con Amalasunta, coglie questo pretesto per dichiarare guerra a Teodato: scoppia così la Guerra Romano-Gotica. Anche la riconquista del regno gotico è affidata a Belisario, console per l'anno 535: egli passa le Alpi presso il fiume Frigido (l'Isonzo), mentre il generale Mundo invade l'Illirico a partire dalla Dalmazia. Belisario e Mundo riconquistano in breve tempo l'Illirico e la Pannonia. Allarmato per gli iniziali successi romani, il re Teodato avvia trattative di pace con Giustiniano promettendo di consegnare il regno ostrogoto all'Impero in cambio di una pensione annuale, ma una vittoria in Rezia dei Goti sulle truppe imperiali fa recuperare le speranze a Teodato che cambia idea e prosegue le ostilità. Belisario allora attraversa la Pannonia senza quasi trovare alcuna resistenza e conquista Carnunto, capitale estiva degli Ostrogoti. Questi ultimi, insoddisfatti della passività di Teodato, lo assassinano ed eleggono re Vitige, il quale prepara la controffensiva gota ed assedia Carnunto per un anno, tra il 537 e il 538. L'assediato Belisario chiede rinforzi all'imperatore, ottenendoli, ma il loro comandante, l'eunuco Narsete, non si mostra disposto ad obbedire agli ordini di Belisario e intraprende per conto suo la conquista del Norico, senza sentire il parere di Belisario. La disunione dell'esercito imperiale, diviso in una fazione fedele a Belisario e l'altra al seguito di Narsete, comporta la riconquista gota di Carnunto, in seguito alla quale Giustiniano richiama Narsete a Cartagine. Senza più Narsete ad ostacolarlo, Belisario riprende la riconquista del Regno Goto e fa prigioniero il re Vitige.
Belisario è in disaccordo con Giustiniano sul destino dei territori riconquistati: l'imperatore vorrebbe lasciare che gli Ostrogoti governino la Rezia e il Norico a nome suo, come argine nei confronti dei popoli germanici a nord del Danubio, e soprattutto contro i Franchi, che nel frattempo hanno creato uno stato gigantesco, mentre Belisario preferirebbe reincorporare nell'Impero Romano l'intero regno di Teodeorico il Grande. Intanto però le campagne in Occidente hanno sguarnito le frontiere orientali, e ne approfittano subito i Persiani dello Shah Cosroe I Anushirvan, che nel 540 invadono l'Armenia e la Siria, espugnando la grande città di Antiochia. Deluso dalle campagne illiriche di Belisario, Giustiniano lo richiama e lo invia in Oriente,  ma il generale, pur ottenendo qualche successo, non riesce a conseguire una vittoria definitiva. Nel 545 Giustiniano riesce a ottenere una tregua a caro prezzo, ma la guerra durerà fino al 557. Inoltre anche le frontiere balcaniche sono messe a rischio daglii Slavi, che quasi ogni anno invadono i Balcani massacrando la popolazione e saccheggiando le province romane senza incontrare quasi alcuna resistenza, dato che le frontiere balcaniche sono state sguarnite; i Bulgari che nel 559 giungono a minacciare direttamente Costantinopoli, e sono respinti solo per merito di Belisario.
Dopo aver stabilito la tregua sul fronte orientale, Belisario nel 544 fa ritorno in Pannonia, dove gli Ostrogoti, guidati dal loro nuovo re Totila, hanno recuperato terreno. Nonostante lo scarso numero di truppe fornitegli dall'imperatore, il generale romano riesce però a riconquistare Carnunto. Dopo che, Giustiniano, su richiesta di Antonina, moglie di Belisario, ha richiamato definitivamente a Cartagine nel 548, conferendogli l'onore del Trionfo, Totila riconquista gran parte dell'antico Regno di Teodorico, ed allora Giustiniano invia il generale eunuco Narsete per cercare di concludere una volta per tutte la guerra gotica. Narsete riesce a sconfiggere definitivamente i Goti uccidendo in battaglia prima Totila e poi il suo successore Teia; nel 555 l'ultima fortezza gota in Rezia capitola, e la riconquista dei territori di qua dal Danubio può dirsi completa. Ma le conquiste non saranno durature, a causa dello spopolamento e delle frequenti razzie degli altri popoli germanici.
Nel frattempo, approfittando delle contese interno al Regno degli Alamanni in Elvezia, Giustiniano riannette anch'esso all'Impero come provincia, e riesce ad erodere ampi territori anche ai Visigoti di Gallia. Ma la grande peste del 542 indebolisce l'Impero Romano, svantaggiandolo rispetto ai suoi nemici germani, meno urbanizzati e dunque colpiti in modo meno grave dalla peste. Fonti principali per la storia del lungo e complesso regno di Giustiniano sono gli storici Procopio di Cesarea, Evagrio e Giovanni da Efeso, che lavorano alla sua corte. Teodora muore nel 548; Giustiniano le sopravvive per quasi vent'anni e muore il 13 novembre 565, alla bella età di 83 anni.

Giustino II (565-578)
Figlio di Dulcidio e di Vigilanzia, sorella dell'Imperatore Giustiniano, dal 552 fino al 565 Giustino II è stato curapalates, ricoprendo alcuni importanti incarichi per Giustiniano, e da questi è stato inviato a reprimere le violenze tra le fazioni dell'ippodromo. Adottato in extremis come figlio dallo zio, anche grazie al matrimonio con Sofia, nipote dell'imperatrice Teodora, nei primi giorni del suo regno paga i debiti dello zio, amministra la giustizia di persona e avvia una politica di tolleranza religiosa verso eretici, ebrei e samaritani, ma il resto del suo governo non sarà altrettanto oculato.
Nel settimo giorno del suo regno, Giustino II riceve gli ambasciatori degli Avari, popolazione alla quale i Romani pagavano un tributo annuale pur di tenerli buoni al di là del Danubio. L'ambasciatore avaro gli chiede di continuare a pagare il tributo, come faceva il suo predecessore, ed egli lo manda cortesemente a quel paese. Il Khan degli Avari sa che non ha forze sufficienti per attaccare Roma, e così, indispettito da Giustino II, decide di prendersela con uno dei suoi principali alleati, i Gepidi, che occupano la Dacia occidentale. Gli Avari si alleano con i Longobardi e distruggono il regno dei Gepidi (il loro re Cunimondo è ucciso in battaglia dal re longobardo Alboino), senza che Giustino II muova un dito per salvarli. Scelta improvvida: la distruzione del Regno dei Gepidi lascia l'Impero Romano esposto agli attacchi di quelle temibili popolazioni barbariche, le quali si convincono che i Romani si siano rammolliti. In particolare i Longobardi, fin qui stanziati di là dal Danubio, si sentono minacciati dall'espansionismo degli Avari, e nel 569 decidono di prendere armi e bagagli e di stabilirsi a sud del fiume (la notizia, fornita dallo storico longobardo Paolo Diacono, che sia stato lo stesso Narsete a invitare i Longobardi a superare i confini dell'Impero è da ritenersi leggendaria).
In breve Alboino, il bellicoso re dei Longobardi, travolge le difese romane sul Danubio ed occupa la Rezia e il Norico, quindi entra in Italia conquistando Forum Iulii (oggi Cividale del Friuli), Aquileia, Verona, Vicenza, Padova e Monselice, ma Mantova, ben guarnita di truppe, resiste agli assalti longobardi. Alboino, contro il parere dei suoi duchi, si intestardisce nell'assediare la città, desiderando farne la sua capitale, anziché muovere verso sudovest per conquistare l'Italia e puntare su Roma, ma durante l'assedio muore il 28 giugno 572.
Lo storico Paolo Diacono racconta che Alboino ha sposato Rosmunda, figlio di Cunimondo, re dei Gepidi (la principessa era parte del bottino di guerra); una sera, nel castello di Verona, il re longobardo ha alzato troppo il gomito e costringe la moglie Rosmunda a bere in una tazza fatta con il cranio di suo padre Cunimondo, com'è macabra usanza presso quei popoli nordici. La regina se la lega al dito e ordisce una congiura con lo scudiero Elmichi, versando della colla nella guaina della spada che Alboino tiene appiccicata al muro vicino al letto: quando Elmichi fa irruzione nella camera da letto, Alboino non può sguainare la spada ed è assassinato. Rosmunda tenta di far eleggere Re Elmichi, ma i duchi longobardi si riuniscono a Vindobona (Vienna), nuova capitale del regno, ed eleggono sovrano Clefi. Elmichi e Rosmunda fuggono allora a Roma e si sposano, ma il Prefetto del Pretorio Longino propone a Rosmunda di uccidere Elmichi e di mettersi con lui. Rosmunda accetta e tenta di avvelenare il consorte con una coppa di vino avvelenato, ma Elmichi se ne accorge e costringe anche lei a berne, cosicché muoiono entrambi. Lo storico Gregorio di Tours, contemporaneo degli eventi, afferma invece che Elmichi e Rosmunda furono raggiunti e uccisi durante la fuga da Verona. In ogni caso Clefi, che teme una controffensiva dell'Impero per riconquistare i territori perduti, si affretta a far la pace con Giustino II. Questi accetta, riconosce il regno longobardo e fissa il confine sula linea del Po e del Mincio, senza tentare alcuna impresa di riconquista, visto che l'impero è minacciato da altri bellicosi nemici. In Africa infatti Garmul, re dei Mauri, tra il 569 e il 571 attacca per ben tre volte l'Africa romana, battendo e uccidendo il Prefetto d'Africa Teodoro. Inoltre Giustino II ha incautamente violato la pace con la Persia che suo zio Giustiniano ha comprato con tanti sforzi: egli infatti smette di pagare il tributo annuo ai Persiani e favorisce una rivolta antipersiana in Armenia, provocando una nuova guerra con la Persia. Dopo due campagne militari disastrose, nelle quali i Persiani travolgono la Siria, Giustino II è costretto a chiedere la pace pagando un tributo annuo ancora più gravoso. Questa serie di sconfitte turba l'equilibrio nervoso del sovrano, che perde la ragione. Nei temporanei momenti di lucidità, sotto l'influsso di sua moglie Sofia egli adotta come figlio e sceglie come successore il generale Tiberio, che secondo alcuni è l'amante proprio di Sofia. Giustino si spegne il 5 ottobre 578 a neanche sessant'anni.

Tiberio II (578-582)
Tiberio II Costantino deve difendere l'impero, che è attaccato da ogni parte. Egli accetta di pagare 80.000 sesterzi d'oro all'anno agli Avari, che minacciavano i Balcani, pur di tenerli buoni ed affrontare quelli che egli ritiene i suoi peggiori nemici, i Persiani e i Longobardi. Egli invia contro questi ultimi il genero di Giustino, il generale Baduario, onde cercare di approfittare del vuoto di potere seguito all'assassinio di Clefi: i duchi longobardi si sono rifiutati di nominare un nuovo re, costituendosi in 36 ducati indipendenti, ma nonostante questo Baduario è sconfitto e ucciso. La popolazione romana di Aquileia e delle altre città venete costiere fugge in Dalmazia o sulle isole della laguna veneta, dove nasce la città di Venezia. Intanto in Oriente i Persiani, comandati dallo Shah Cosroe I, invadono l'Armenia saccheggiando Sebasteia e Melitene; Tiberio invia allora il generale Maurizio, suo futuro successore, che con un esercito di 150.000 uomini vince i Persiani presso Teodosiopoli e li costringe al ritiro, occupando l'Arzanene. Il nuovo Shah Ormisda IV, succeduto al padre Cosroe I, rifiuta la pace e prosegue le ostilità, ma Maurizio gli infligge una nuova, bruciante sconfitta presso Costantina.
L'impegno sul fronte orientale impedisce però all'Impero di schierare forze adeguate nei Balcani, minacciati da Slavi e Avari. Nel 580 questi ultimi cingono d'assedio Sirmio, rivendicando il possesso della città perché un tempo apparteneva ai Gepidi, popolazione da essa sottomessa; dopo un assedio di due anni, nel 582 Sirmio cade in mano avara, mentre gli Slavi iniziano una massiccia invasione dei Balcani, dove si stanziano permanentemente. Anche il re dei Visigoti Leovigildo guadagna terreno in Gallia. Più fortuna ha in Africa il Magister Militum Gennadio, che riesce a sconfiggere i Mauri.
Intanto a Cartagine Sofia organizza una congiura contro Tiberio per toglierlo di mezzo e restare unica imperatrice, ma viene scoperta e mandata in esilio in un convento sul Mar Nero. Poco dopo tuttavia Tiberio II si ammala gravemente e, prima di morire il 14 agosto 582, nomina suoi Cesari i generai Maurizio e Gennadio; il primo governerà l'Oriente da Costantinopoli, il secondo l'Occidente da Cartagine. L'Impero Romano torna così a dividersi in due.

Maurizio (582-592 Imperatore d'Oriente, 592-602 Imperatore Romano)
Maurizio, che è anche genero di Tiberio II avendone sposato la figlia Costantina, è nato nel 539 nella città di Arabissus, in Cappadocia, e discende da un'antica famiglia romana che si è insediata in Asia Minore alcuni secoli prima; fino al 592, governa come Imperatore del solo Oriente. Come il suo predecessore, anch'egli deve affrontare attacchi da ogni parte. La guerra contro la Persia continua con alterne fortune: il generale Giovanni Mistaco si fa sconfiggere più volte nel corso del 582 e del 583; Maurizio, insoddisfatto dell'andamento della guerra, lo richiama a Costantinopoli ed affida il comando dell'esercito orientale al cognato Filippico. Solo nel 586 questi riesce a ottenere un'importante vittoria presso Solacon e ad invadere l'Arzanene, ma poco dopo il suo esercito viene duramente sconfitto dai Sasanidi. Maurizio allora sostituisce anche Filippico con Prisco, e per risparmiare sulle spese di guerra decide di ridurre di un quarto i salari delle sue truppe. Ciò suscita il malcontento dell'esercito, che si ammutina a Monocartum. I Persiani, approfittando dell'ammutinamento, attraversano la frontiera e assaltano Costantina, ma gli ammutinati, condotti dal generale Germano, attaccano i Persiani e riescono a respingerli. L'ammutinamento ha fine nell'estate 589, quando Comenziolo, uno degli ammutinati, diventa nuovo Magister Militum per Orientem. Neanche questi si dimostra all'altezza della situazione, e nella battaglia di Sisarbene è tra i primi a tentare la fuga; solo grazie a Eraclio il Vecchio, padre del futuro imperatore Eraclio, i Romani vincono la battaglia, conquistando un immenso bottino di guerra. Allora lo Shah Cosroe II stringe alleanza con i Göktürk, il primo popolo turco a fondare uno stato in relazione con l'Occidente, ma Maurizio riesce a convincerli a passare dalla sua parte, cosicché essi invece attaccano i Persiani. Questi ultimi sono salvati dal generale Bahram Chobin che infligge una decisiva sconfitta ai Göktürk; poco dopo questi si ribella e spodesta Cosroe II, salendo al trono con il nome di Bahram VI. Cosroe II fugge e chiede aiuto proprio a Maurizio, che invia un esercito comandato da Narsete a rovesciare l'usurpatore Bahram e a restaurare il legittimo imperatore Cosroe sul trono di Persia. Narsete sconfigge Bahram, che viene deposto, e in cambio Cosroe II cede ai Romani la Mesopotamia nordorientale, l'Armenia e l'Iberia (Georgia orientale).
Intanto, l'Augusto d'Occidente Gennadio deve affrontare gli assalti di Longobardi, Mauri e Franchi, ma può avvalersi dell'alleanza con il grande Papa Gregorio I Magno. Questi spinge Gennadio a combattere la corruzione dei funzionari imperiali, ed invia missioni verso i Germani: ottenendo due grandi successi: la conversione dall'arianesimo al cattolicesimo con tutto il suo popolo di Recaredo, re dei Visigoti di Gallia, e la conversione dal paganesimo al cristianesimo di Edelberto, Re del Kent: in tal modo ha inizio la ricristianizzazone della Britannia. Franchi, Longobardi e Burgundi restano invece ostinatamente ariani.
Gennadio dal canto suo cerca l'appoggio di Visigoti, Burgundi e Alamanni contro i Longobardi, ma questi ultimi si rivelano uno dei popoli germanici più forti d'Europa, e per fortuna dei Romani iniziano una serie di lunghe guerre con i Franchi di Re Childeberto II per il predominio sull'Europa centrosettentrionale, rinunciando ad ulteriori espansioni verso l'Italia. Gennadio arriva a proporre ai Franchi un'alleanza per distruggere e spartirsi il Regno Longobardo, ma il re merovingio rifiuta sdegnato, dato che considera i Romani dei nemici che gli impediscono di occupare la Gallia. Da segnalare il fatto che il duca longobardo Droctulfo tradisce il suo re Autari, si converte al cattolicesimo e passa dalla parte dei Romani, aiutandoli a respingere un tentativo longobardo di invasione della Dalmazia. Lo stesso Droctulfo, nominato generale dell'Impero, viene mandato in Africa a combattere i Mauri, si copre di gloria e verrà premiato con un solenne trionfo per le vie di Cartagine.
Nel 592, ammalatosi gravemente, Gennadio indica Maurizio come suo successore, e così l'unità dell'Impero Romano è ristabilita.
Maurizio resterà l'ultimo imperatore romano a combattere per mantenere il possesso dei Balcani contro i barbari che premono alle frontiere, e che sono riusciti addirittura a penetrare nel Peloponneso. Nel 586 gli Avari rompono la tregua e saccheggiano le città sulla riva meridionale del Danubio, mentre gli Slavi cingono d'assedio Tessalonica. Maurizio decide di reagire e nel 587 affida un esercito di 10.000 uomini al generale Comenziolo, che però non riesce a sloggiare gli invasori dai Balcani: nel 588 gli Avari invadono di nuovo la Tracia, assediando Tzurulum a poche miglia da Costantinopoli. L'Imperatore, impegnato in Oriente anche contro i Sasanidi, deve sborsare 57.600 monete d'oro per ottenere una tregua momentanea.
Nel 593, finita la guerra persiana, inizia la controffensiva imperiale contro Avari e Slavi: Maurizio affida il comando dell'esercito a Prisco, che attraversa il Danubio e infligge due sconfitte agli Slavi. Quando però Maurizio ordina ai suoi soldati di svernare oltre il Danubio in territorio nemico, i soldati protestano, e Prisco, temendo un altro ammutinamento, disubbidisce facendo svernare il suo esercito a Odessa sul Mar Nero, ma paga la sua disubbidienza venendo destituito e sostituito da Pietro, fratello dell'Imperatore. In seguito però Prisco riottiene il comando per fronteggiare un ulteriore attacco degli Slavi, che nel frattempo hanno distrutto Singidunum e hanno devastato la Dalmazia; Prisco ottiene dei buoni successi riuscendo a pacificare l'Illirico e la Tracia. Il Khagan degli Avari, tuttavia, replica ai successi bizantini sferrando nell'autunno 597 un massiccio attacco che coglie impreparati i Romani, conquistando Druzipara, poco distante da Costantinopoli. Con la capitale d'Oriente in grave pericolo, Maurizio decide di radunare l'esercito di Comenziolo e di rinforzarlo con le sue guardie imperiali; per sua fortuna, un'epidemia di peste decima gli Avari, che decidono di ritirarsi dai Balcani a condizione che Maurizio aumenti il loro tributo.
Maurizio riesce a pagare la somma richiesta, ma la peste si diffonde anche tra i Romani. Nonostante ciò, l'imperatore decide di approfittare del fatto che gli Avari sono stati indeboliti dalla pestilenza inviando loro contro il suo esercito al comando di Prisco. La nuova spedizione, iniziata nell'estate del 599, è coronata dal successo: Prisco vince cinque battaglie di fila, massacrando circa 60.000 barbari (tra cui quattro figli del Khagan Bayan) e invade la Dacia, abbandonata dai Romani nel 271. Nel 602 Prisco riesce a riportare il confine sul Danubio, ma i successori di Maurizio non riusciranno a mantenerlo: queste campagne di Prisco sono state le ultime azioni romane contro i barbari sul limes renano-danubiano, che dall'epoca augustea fino al Volkerwanderung germanico ha segnato il confine del mondo romano.
Gli alti costi delle sue campagne militari costringono però Maurizio ad alzare notevolmente le tasse, cosa che lo rese inviso al popolo, e ad abbassare le paghe dei legionari, il che non aumenta certo la sua popolarità presso i soldati. Inoltre, durante le guerre contro gli Avari nel 602, l'imperatore si rifiuta di pagare il riscatto di numerosi soldati prigionieri, che così vengono uccisi. Come risultato, le truppe pretoriane di Cartagine si rivoltano e nomina imperatore un centurione nativo della Tracia, di nome Foca, di condizione così oscura che Maurizio non ha mai udito il suo nome. Quando chiede di lui, i suoi collaboratori gli dicono che è un codardo, ed allora egli commenta: « Se è un vile, sarà sicuramente un assassino ». Infatti, lo aspetta una brutta fine. Costretto alla fuga dalla sua capitale, Maurizio e la sua famiglia si imbarcano su una piccola nave, ma sono costretti da una tempesta a sbarcare a Utica, non molto lontano da Cartagine, e lì si rifugiano nella Chiesa di San Giovanni Battista. Qui Maurizio, non potendosi muovere a causa dell'artrite, incarica il suo primogenito Teodosio di raggiungere la Persia a chiedere aiuto allo Shah Cosroe II, che è stato aiutato anni prima proprio da Maurizio a recuperare il trono usurpatagli, ed ora potrebbe ricambiare il favore. Nel frattempo Foca entra a Costantinopoli da trionfatore, è incoronato imperatore e manda i suoi pretoriani ad arrestare Maurizio e i suoi figli maschi, che vengono tutti sterminati.

Foca (602-610)
L'impero dell'ex centurione Foca, fattosi letteralmente dal nulla, comincia dunque con la strage della famiglia del suo predecessore. A dir la verità, nell'Impero si diffonde la leggenda che Teodosio, primogenito maschio di Maurizio, sia scampato al massacro, e sia riuscito a raggiungere la Persia per chiedere a Cosroe II di vendicare la morte del padre e rovesciare l'usurpatore. Cosroe II sfrutta questa diceria, sostenendo di avere a corte il figlio di Maurizio e iniziando una nuova guerra contro l'Impero Romano con l'intenzione di rovesciare Foca e di mettere al suo posto il legittimo imperatore Teodosio, che in realtà è un impostore e una docile marionetta nelle sue mani.
Da principio, Foca riduce le tasse imposte da Maurizio e vara una riforma agraria che elimina gli appaltatori e riduce gli utili dei latifondisti, proteggendo dai soprusi i coloni ridotti in miseria. Questa politica agraria porta anche vantaggi alla Chiesa, proprietaria di enormi latifondi in Sicilia e in Egitto; di conseguenza Papa Gregorio Magno e il popolo lodano il parvenu che volle farsi imperatore. Ma nei primi anni del suo regno Foca subisce anche numerosi attentati alla sua vita, e risponde con durezza militaresca, mandando a morte chiunque sia anche solo sospettato di partecipare alle congiure. Tra gli altri, anche l'ex Augusta Costantina, moglie di Maurizio, tenta di rovesciare Foca appellandosi al popolo con l'appoggio di parte del clero, ma il tentativo fallisce; Costantina ha salva la vita solo grazie all'intercessione dell'Arcivescovo di Cartagine Fortunio, ma viene rinchiusa in un monastero. Tra le altre vittime illustri di Foca che pagano con la morte la loro infedeltà si ricordano Giorgio, governatore della Gallia Lugdunense, e Atanasio, il Ministro delle Finanze. La politica di dura repressione inaugurata da Foca suscita lo sdegno di Isidoro di Siviglia, primate di Spagna e futuro Dottore della Chiesa, che nelle sue opere descrive l'Augusto come un tiranno spietato, degno successore di Caligola, Nerone e Domiziano.
Oltre alle opposizioni interne, come detto Foca deve affrontare anche l'invasione da parte dei Sasanidi di Cosroe II, che sfrutta la diceria del falso Teodosio per cercare di aprirsi uno sbocco sul Mediterraneo, tradizionale obiettivo dell'Impero Persiano. Le truppe di Cosroe II sconfiggono e uccidono in battaglia il generale romano Germano. La risposta di Foca non si fa attendere: dopo aver firmato una tregua con gli Avari e con i Franchi, sguarnisce i Balcani di truppe inviandole contro i Persiani. Tuttavia neanche questa mossa funziona, i Romani subiscono un'altra sconfitta ad Arxamoun, e l'Armenia e la Mesopotamia sono perdute. Ma il fatto che i Balcani siano stati sguarniti fa sì che essi vengano rapidamente invasi dagli Avari, i quali arrivano fino ad Atene, mentre i Franchi assediano Parigi e compiono incursioni in Bretagna. Di fatto il regno di Foca vede l'inizio delle massicce invasioni che presto porteranno al definitivo collasso del dominio romano sui Balcani, rivelando la debolezza dell'Impero Romano e l'incapacità del parvenu, che diventa presto inviso ai suoi sudditi.
Ormai Foca si comporta come un despota assetato di sangue, punendo in modo efferato tutti coloro che si macchiavano ai suoi occhi del delitto di lesa maestà. Un esempio per tutti: nel 607 la figlia di Foca, Domenzia, sposa il generale Prisco, e per celebrare il lieto evento l'Augusto ordina che si organizzino delle corse dei cavalli. I Bianchi e i Rossi, già protagonisti della Rivolta di Vici, pensano di omaggiare il sovrano affiggendo le immagini di Prisco e Domenzia insieme al ritratto dell'imperatore, ma quest'ultimo va su tutte le furie, poiché non vuole che nessun altro, neppure sua figlia e suo genero, sia equiparato a lui, e fa torturare i capi delle fazioni, decidendo di risparmiare loro la vita solo perché la folla lo supplicava di perdonarli; a questo episodio si fa però risalire l'inimicizia tra Prisco e Foca,che tra poco sfocerà in conflitto aperto.
Dal punto di vista religioso, Foca si disinteressa delle dispute teologiche, ma dona a Papa Bonifacio IV il Pantheon di Roma, che viene trasformato nella Basilica di Santa Maria ad Martyres. Foca viene anche considerato dagli Ebrei moderni uno dei padri dell'antisemitismo, poiché tenta di costringere tutti gli Ebrei a convertirsi al cristianesimo; ciò causa una rivolta ebrea a Antiochia, repressa nel sangue dal generale Bonoso. Anche i Monofisiti egiziani si rivoltano, ma Bonoso soffoca pure questa ribellione, e le sue violenze non gettano certo acqua sul fuoco.
Nel 608 il prefetto di Cartagine Prisco ed il potente Governatore di Costantinopoli Eraclio il Vecchio, stufi della follia sanguinaria di Foca, decidono di capeggiare una rivolta contro di lui. Il nipote di Prisco, Niceta, attacca l'Egitto con l'appoggio della potente famiglia degli Apioni, e, dopo aver battuto le truppe fedeli a Foca, comandate dal Comes Orientis Bonoso, si impadronisce del paese, avanzando verso Cartagine lungo la costa africana; Eraclio il Giovane, figlio di Eraclio il Vecchio che è a capo della flotta del Mar Egeo, punta a sua volta verso Cartagine e la mette sotto assedio, confidando nell'appoggio del popolo. Il 3 ottobre del 610 Eraclio entra trionfalmente nella capitale dell'Impero romano, fa prigioniero Foca, se lo fa portare davanti e gli butta in faccia: « È così che tu hai governato l'impero?». Foca gli ribatte senza ombra di paura: « E tu credi che lo governerai meglio? » Subito dopo Eraclio lo decapita di persona con la sua spada; per questo Isidoro di Siviglia ci dice che, se Foca non è stato degno come imperatore, almeno è morto come tale.

Eraclio I (610-641)
Eraclio offre la corona a Prisco, sostenendo che è giunto nella capitale per deporre un tiranno e non per diventare un tiranno lui stesso, ma Prisco rifiuta, e così l'arcivescovo di Cartagine incorona imperatore lui. Quando nel 612 il nuovo Augusto rimane vedovo, decide di sposare in seconde nozze sua nipote Martina, ma la Chiesa disapprova questo matrimonio come incestuoso, e molti attribuiranno le sciagure che colpiranno l'impero di Eraclio (gli attacchi da parte dei Germani, degli Avari, dei Mauri, dei Persiani e soprattutto degli Arabi) ad una punizione da parte del Signore.
Quando Eraclio assume il comando dell'Impero Romano, la situazione è effettivamente disperata: i Franchi devastano le Gallie, i Sassoni saccheggiano la Cornovaglia e il Galles, i Longobardi compiono scorrerie nell'Italia del Nord e in Dalmazia, i Balcani sono invasi dagli Avari, le province della Giudea, della Siria e dell'Anatolia sono occupate dagli eterni rivali dei Romani, i Persiani, e i Mauri minacciano la stessa capitale, Cartagine. Eraclio prende allora la decisione di abbandonare l'Africa con la sua corte e di riportare la capitale a Roma, abbandonata dai Cesari più di 300 anni prima. Riportando il suo trono nel cuore dell'Impero, egli sottolinea la sua volontà di difenderlo con le unghie e con i denti.
Intanto, il Re dei Franchi Clotario II ha eliminato con metodi spicci la sua rivale Brunechilde ed è rimasto Re di tutti i Franchi; dopo aver risolto le questioni interne, egli decide di chiudere i conti con i Sassoni, che da sempre compiono scorrerie nelle regioni orientali del suo regno. Clotario II è il primo ad entrare nel territorio dei Sassoni con intenti di conquista, e la guerra lo terrà impegnato fino al 629, quando morirà in uno scontro con i Dani, sul confine con lo Jutland. Il Clotario II di questa Timeline è ben diverso da quello della nostra, che sarà ricordato come il primo dei "Re fannulloni": anzi, è un sovrano guerriero, che muore combattendo mentre allarga il suo regno. La Sassonia viene incorporata nel Regno dei Franchi, ma essa resterà in subbuglio e rifiuterà la conversione forzata dal paganesimo al cristianesimo ariano ordinata da Clotario II, continuerà a rivoltarsi contro il dominio franco fino all'VIII secolo. Intanto, le guerre sassoni distraggono i Franchi dall'attaccare ulteriormente i Romani oltre la Senna. Ma è l'unica buona notizia che giunge alla corte di Roma.
Infatti nel 610 il generale Sharbaraz espugna Edessa ed Apamea, e nel 611 ottiene la resa anche di Antiochia e Cesarea. Eraclio allora affida l'esercito dell'Impero Romano d'Oriente a Prisco, il suo generale più esperto, ma questi non riesce a riprendere Cesarea, e per questo Eraclio lo destituisce e lo rinchiude in un monastero, prendendo egli stesso il comando dell'esercito romano. Ma nel 613 Sharbaraz infligge una dura sconfitta anche a lui nei pressi di Antiochia, e l'imperatore è costretto a trincerarsi dentro le mura di Costantinopoli. Ringalluzzito dalla vittoria, lo Shah di Persia Cosroe II Parwiz ("il Conquistatore") pianifica la conquista dell'Impero Romano d'Oriente, sognando di ripercorrere le orme di Ciro e Dario: un esercito si dirigerà verso Costantinopoli, mentre un altro al comando di Sharbaraz occuperà le province di Siria, Palestina ed Egitto. Sharbaraz nel 613 conquista Tarso, la Cilicia e Damasco, e dopo tre settimane di assedio cade nelle sue mani anche Gerusalemme: la popolazione cristiana è massacrata, il Santo Sepolcro è distrutto e la Reliquia della Vera Croce cade in mani persiane. Chiese e monasteri sono rasi al suolo; secondo la leggenda, si salva solo la Basilica della Natività a Betlemme perché i Persiani vedono affrescati su di essa i tre Re Magi in abiti persiani. Ormai sembra che la rovina stia precipitando sull'impero romano, poiché anche i Balcani subiscono continue razzie da parte gli Avari, che giungono ad assediare Tessalonica dal 617 e al 619, gli Slavi occupano l'Illirico e buona parte della Dalmazia, il Re dei Visigoti Recaredo II occupa buona parte della Gallia romana, gli Alemanni si rendono nuovamente indipendenti da Roma, e l'Africa è fatta oggetto delle scorrerie dei Berberi. Il momento più difficile è rappresentato dal 620, quando cade in mano di Sharbaraz anche l'Egitto, il granaio dell'Impero, e in tutto il mondo romano si diffonde la carestia.
Proprio a questo punto, Eraclio dimostra tutto il suo valore come comandante, guidando la riscossa romana contro i suoi eterni nemici. Per questo decide di sguarnire persino la Spagna, nonostante la minaccia che i Visigoti la occupino, ed ottiene da Papa Bonifacio V il permesso di poter disporre dei beni della Chiesa per organizzare la riconquista dell'Oriente, promettendo terre come pagamento dei suoi legionari. Una volta radunate le forze, il 4 aprile 622, lunedì di Pasqua, Eraclio lascia il porto di Brindisi e, dopo aver fatto tappa in Grecia con la sua flotta e il suo esercito, sbarca in Asia Minore presso Smirne. La sua campagna sortisce una prima vittoria contro Sharbaraz in Armenia, ma nel frattempo i Bulgari rompono i trattati con i Romani, occupano quasi tutta la Tracia, ed Eraclio è costretto a fare marcia indietro.
Nel 624, accordatosi con i Bulgari in modo da ottenere la pace in cambio di un tributo, Eraclio lascia Costantinopoli per una seconda campagna, cui egli ha dato le tinte di una vera e propria Crociata: Iddio batterà i nemici pagani per mezzo del Suo rappresentante in terra, l'Imperatore di Roma. Con una mossa che i Persiani non si aspettavano, Eraclio attraversa le attuali Armenia e Azerbaigian, penetra in profondità in territorio persiano, e, dopo aver incendiato il tempio del Fuoco di Gandža, sacro agli Zoroastriani. distrugge tre armate di Cosroe II. Solo a questo punto lo Shah comprende di aver sottovalutato Eraclio e convince gli Avari a rompere i patti con l'Augusto, mentre Sharbaraz aggira da nord i Romani dirigendosi verso il Bosforo e cinge d'assedio Costantinopoli, la cui resistenza è guidata dal Patriarca Sergio I. Eraclio non si lascia però perdere d'animo: affida parte delle sue truppe al fratello Teodoro, il quale sconfigge un esercito persiano di appoggio guidato da Shahin, , mentre egli stesso si dirige verso la Capitale d'Oriente per liberarla dall'assedio. Il 10 agosto 626 egli riporta una strepitosa vittoria sui Persiani e sugli Avari, liberando Costantinopoli. Questa vittoria segna la fine del predominio degli Avari su tutti i popoli dei Balcani (e soprattutto sugli Slavi), anche se in questa Timeline la nazione Avara continuerà ad esistere sino al presente.
Eraclio riesce abilmente a fare alleanza con il Khan dei Cazari, popolazione turca di religione ebraica che abita a nord del Caucaso ed è nemica giurata dei Persiani, quindi riprende l'offensiva rinforzando le legioni di Roma con numerose truppe cazare, e penetra in Mesopotamia. Il 12 dicembre 627 l'Impero Romano ottiene una delle più eclatanti vittorie della sua storia nella Battaglia di Ninive: l'esercito di Cosroe II è annientato, e la strada verso la capitale Ctesifonte è aperta. Il 31 gennaio 628 Eraclio prende la capitale Sasanide e la mette a ferro e fuoco, per vendicare il massacro degli abitanti di Gerusalemme. Lo Shah Cosroe II fugge a Nahavand, sulle montagne della Media, ma viene imprigionato e fatto uccidere dal figlio maggiore Kavadh II. Sull'onda dell'entusiasmo, Eraclio giunge fin sul Golfo Persico, quindi ottiene la resa di Kavadh II, cui egli stesso impone le insegne di nuovo Shah, per sottolineare che l'Impero Sasanide continuerà ad esistere, ma solo come vassallo di Roma. Kavadh deve restituire tutti i territori occupati, deve cedere ad Eraclio l'Armenia, l'Iberia, l'Albania, la Mesopotamia e l'Adiabene, deve restituire tutti i prigionieri e soprattutto la Reliquia della Vera Croce, che in questi anni è stata custodita dall'orafo dello Shah, il cristiano Jazdan. L'Impero Persiano ormai è al collasso: dopo pochi mesi anche Kavadh II muore assassinato, ed il superbo impero che si estendeva dall'Eufrate all'Indo volge al suo tramonto.
Eraclio ha realizzato il sogno che era sfuggito anche a Traiano, e il 14 settembre 628, tornato a Roma, vi celebra un sontuoso trionfo. Ordina quindi di ricostruire il Santo Sepolcro, e non manca di vendicarsi crudelmente degli ebrei, ritenuti fiancheggiatori dei Persiani. In questa Timeline Eraclio non sostituisce il latino con il greco, essendo sovrano sia dell'Occidente che dell'Oriente, e non modifica la titolatura imperiale da Augustus a Basileus; certamente però con lui la figura del sovrano assume veri e propri contorni teocratici, presentandosi egli come il Difensore della Cristianità. Egli però commette un grave errore: trascura di risolvere il problema della discriminazione delle minore religiose, che non sono solo gli Ebrei o i Samaritani, ma soprattutto i Monofisiti, assolutamente maggioritari in Egitto e Siria, mentre il resto delle province romane segue (con sfumature diverse) il Credo Calcedoniano. Nel tentativo di trovare una formula teologica compromissoria che possa andar bene sia per i Calcedoniani che per i Monofisiti, Eraclio e Papa Onorio I (625-638) propugnano il cosiddetto Monotelismo, secondo cui in Cristo vi sono due Nature, ma una sola Volontà. Tale assunto è tuttavia respinto dai Monofisiti, e in seguito anche da Papa Severino (638-640), successore di Onorio I. Come conseguenza, i Monofisiti vengono ancora fortemente discriminati dalla legge, e i contrasti tra l'Imperatore cattolico i suoi sudditi monofisiti minano la fedeltà all'Impero delle loro province. Proprio le persecuzioni subite dai Monofisiti li spingeranno infatti a non opporre resistenza all'invasione degli Arabi. « Vedendo la malvagità dei Romani che nei territori in loro dominio crudelmente saccheggiavano le nostre chiese e monasteri e senza pietà ci condannavano, il Dio della vendetta portò dal sud i Figli di Ismaele per liberarci dalle mani dei Romani », scriverà infatti il teologo monofisita Michele Siro da lì a qualche anno.
Intanto l'eunuco Eleuterio viene inviato da Eraclio a riconquistare i possedimenti romani in Gallia, occupati in larga parte dai Visigoti che, raggiungendo il Mediterraneo, hanno di fatto separato la Spagna dal resto dell'Impero, ma egli ottiene solo successi parziali. Eleuterio, montatosi la testa, si fa acclamare Imperatore dalle truppe, ma viene sconfitto in Provenza ed ucciso da truppe fedeli ad Eraclio; la sua testa è spedita all'Augusto dentro un sacco. Il comando delle operazioni in Occidente passa allora ad Isacio, veterano delle guerre persiane, che stronca alcune ribellioni con il pugno di ferro e riprende la lotta contro i Visigoti e i Longobardi. Eraclio inoltre si associa al trono il figlio Costantino III, nato nel 612, e lo invia ad Antiochia di Siria ad amministrare i territori di recente conquista. I modi bruschi da lui usati contro i Monofisiti non contribuiscono però di certo a renderlo popolare in quelle province.
Proprio mentre Eraclio celebra i suoi trionfi contro lo storico nemico dei Romani, il Profeta Muhammad fonda l'Islam, e i suoi Successori (i Califfi) partono subito alla conquista di nuovi territori, vista la sovrappopolazione della penisola arabica. Già nel 629 un paio di incursioni di predoni arabi vengono bloccate dai Ghassanidi, alleati dei Romani che vivono nel nord dell'Arabia. Nessuno dà peso a tali incursioni, ma nell'autunno del 633 gli Arabi penetravano in Transgiordania ed in Palestina con tre colonne di 3.000 uomini ciascuna. Il governatore della Palestina Sergio, viene sconfitto e ucciso; solo allora Costantino III si rende conto del pericolo ed invia un esercito al comando di suo fratello Teodoro. Questi il 30 luglio 634 ad Ajnādayn, a sudovest di Gerusalemme, ingaggia battaglia contro il generale arabo Khālid ibn al-Walīd e riporta una cocente sconfitta, salvandosi solo grazie alla fuga. Khālid guida i musulmani a una vittoria dopo l'altra: il nuovo comandante romano, l'armeno Baanes, viene battuto a Pella e a Marj al-Ṣuffar, a sud di Damasco, e il 10 settembre la stessa Damasco apre le porte a Khālid. Allora Costantino prepara la riscossa schierando quasi tutte le truppe che controllavano la Mesopotamia romana; di fronte a tale spiegamento di forze Khālid preferì ripiega in cerca del luogo ideale allo scontro, che trova sulle rive del fiume Yarmūk, un affluente di sinistra del Giordano. Il 20 agosto 636 la battaglia si risolve in una netta vittoria degli Arabi, e Costantino III è costretto a sgomberare la Palestina e la Siria, approntando la difesa. Nel 638, dopo sette mesi d'assedio, si arrende ai musulmani anche Gerusalemme, da cui i Romani hanno prudentemente portato via la Reliquia della Vera Croce.
I Romani sono certi che, come è avvenuto pochi anni prima, il loro Imperatore li libererà dai musulmani, ma Eraclio non è più il guerriero trionfatore che ha abbattuto l'Impero Sasanide con l'aiuto di Dio e con la forza del suo braccio: ora egli è stanco, anziano, malato di idropisia, e suo figlio Costantino III è giovane e inesperto, e non sa come arginare l'ondata musulmana, che ora si abbatte sull'Armenia e sulla Mesopotamia romane e su quanto resta dell'Impero Sasanide. Anzi, all'inizio del 640 circa 4000 cavalieri arabi guidati da 'Amr ibn al-'Ās si affacciano alle porte dell'Egitto, occupano Pelusio e sconfiggono i difensori romano della fortezza di Babilonia, che viene occupata e diverrà il primo nucleo della città del Cairo. Reso irriconoscibile dall'idropisia, l'11 febbraio 641 l'imperatore si spegne a 66 anni, prima di assistere alla caduta di Alessandria, ceduta ad 'Amr dal Patriarca monofisita Ciro. Molti ritengono che i guai dell'Impero altro non siano che i frutti della punizione divina per i peccati dell'Augusto, ma Papa Giovanni IV dà il permesso affinché la sua salma sia tumulata nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, dove Eraclio ha fatto trasferire la Reliquia della Vera Croce.

Costantino III (11 febbraio – 24 maggio 641 Imperatore d'Occidente)
Poco prima di morire, Eraclio nomina Costantino, suo
primogenito avuto dalla prima moglie Eudocia, Augusto d'Oriente con sede a Costantinopoli, ed Eraclio II, figlio avuto dalla sua seconda moglie Martina, Augusto d'Occidente con sede a Roma. Sono pochi i dubbi che su questa scelta abbia pesato fortemente l'Augusta Martina, la quale ha il titolo di Imperatrice Madre sia d'Oriente che d'Occidente, anche se in realtà Costantino III non la riconosce certo come tale.
Il breve regno di Costantino III vede
gli Arabi conquistare definitivamente tutto l'Egitto. L'Augusto d'Oriente muore, ufficialmente di tubercolosi, dopo soli quattro mesi di regno, lasciando Eraclio II unico imperatore.

Eraclio II (11 febbraio – 24 maggio 641 Imperatore d'Oriente, 24 maggio – 20 settembre 641 Imperatore Romano)
Rimasto unico Imperatore dopo la morte del fratellastro Costantino III, egli non può fare nulla per evitare che gli Slavi e i Bulgari penetrino profondamente nei Balcani, lasciandogli solo le coste e le isole. Ben presto si diffonde la voce secondo cui Martina ed Eraclio II hanno fatto avvelenare Costantino III, in modo da restare unici padroni dell'Impero. Ben presto l'esercito si rivolta, ed Eraclio II si suicida per evitare di essere ammazzato dai suoi stessi Pretoriani. A Martina è risparmiata la vita, ma viene rinchiusa in un monastero nell'isola di Rodi (nella nostra Timeline le è stata tagliata la lingua, ma grazie al Cielo in questa linea temporale la barbara usanza persiana di mutilare i sovrani deposti non si è diffusa nell'Impero Romano). L'esercito acclama allora come Augusto Costante II, figlio di Costantino III.

Costante II (641-668)
Costante II viene proclamato unico Augusto a soli undici anni, e fino al 648 si trova sotto la tutela del Senato, essendo ancora minorenne. Subito egli tenta di recuperare l'Egitto, e dopo aver chiesto aiuti all'Imperatore cinese Taisum, anche lui minacciato dagli Arabi in Turkestan, invia il Magister Militum Valentino a riconquistarla. Inizialmente Valentino riesce a cacciare gli Arabi dal delta del Nilo, ma nel 646 ‘Amr ibn al-‘Ās, che aveva già strappato l'Egitto ai Romani, infligge una schiacciante sconfitta all'esercito romano presso Nikiu, e i monofisiti aprono le porte di Alessandria agli Arabi, preferendo pagare ai musulmani la tassa dovuta a coloro che non si convertono all'Islam, piuttosto che subire le persecuzioni degli Imperatori Romani. Incoraggiati dal successo, gli Arabi invadono la Libia e conquistano la Tripolitania. Mu'awiya ibn Abi Sufyan, governatore della Siria e futuro califfo omayyade, inizia a costruire una grande flotta che infligge numerose sconfitte navali ai Romani, facendo definitivamente tramontare il sogno di una riconquista romana della Siria e dell'Egitto. Inoltre nel 647 il generale Valentino si ribella e si fa proclamare Imperatore dalle truppe africane, ma la ribellione non viene stroncata dalle truppe fedeli all'imperatore legittimo, bensì dagli Arabi, che sconfiggono e uccidono Valentino nel 648, e così i musulmani cominciano a conquistare anche l'Africa romana
Quando Costante II raggiunge la maggiore età, tenta anzitutto di rimettere ordine nel suo Impero. Poiché la controversia sul Monotelismo continua a creare disordini e tensioni, nel 648 l'Augusto promulga l'Editto di Civita Castellana, con cui cerca di imporre ai suoi sudditi il monotelismo, ma così facendo urta la Chiesa di Roma, che ora contrasta la dottrina monotelitica come eresia. Morto Papa Teodoro, il 5 luglio 649 viene scelto come suo successore Martino I, ma l'elezione a Papa deve essere ratificata dall'Imperatore, il quale non concede il suo beneplacito perché il neoeletto contrasta il monotelismo, al punto da convocare in Laterano un concilio, a cui partecipano molti vescov,i come Massimo il Confessore, che sono stati costretti all'esilio per non aver accettato l'Editto di Civita Castellana. Il Concilio condanna sia il Monotelismo che l'Editto, ma l'Imperatore non ha intenzione di cedere, e il 15 giugno 652 ordina a Giovanni Calliopa di arrestare il Pontefice. Processato, Martino I rischia la condanna a morte, ma alla fine viene mandato in esilio sull'isola greca di Nasso.
Il successore di Martino, Papa Eugenio I, rischia di fare la stessa fine per la sua opposizione al Monotelismo, ma muore prematuramente. Viene allora eletto Papa Vitaliano, che tenta la riconciliazione con l'Imperatore, che come segno di buona volontà rinnova i privilegi concessi da Giustiniano e Foca alla Chiesa Romana, in modo da ingraziarsi il clero e recuperare consensi.
Costante II avvia inoltre una importante riforma amministrativa, che in parte ricorda la riforma dei Temi nella nostra Timeline. Per difendere meglio l'Impero Romano, egli istituisce eserciti permanenti, a ognuno dei quali viene assegnata una provincia da difendere dai nemici; il Tribuno, cioè il comandante supremo dell'esercito, oltre ad essere la massima autorità militare, rappresenta anche la massima autorità civile, unendo così i poteri civili e militari nelle mani di un'unica persona. I legionari non vengono più pagati in denaro, ma in terre da coltivare, tagliando così le spese militari dei due terzi. In tal modo Roma potrà mantenere ancora un grosso esercito nonostante la perdita delle province di Siria, Africa ed Egitto. I legionari saranno più motivati a difendere la loro provincia dai nemici esterni, in quanto la loro famiglia e i loro possedimenti si troveranno proprio in quella provincia. Per questi motivi la riforma amministrativa di Costante II sarà fondamentale per salvare l'Impero Romano e traghettarlo verso l'era moderna.
All'inizio del 648 l'Augusto firma una tregua di due anni con gli Arabi, e il Califfo Mu'āwiya ne approfitta per conquistare la Nubia; ma quando la tregua termina, riprende le ostilità contro Roma ed invia una spedizione in Sicilia, dove gli Arabi riescono ad occupare temporaneamente alcune città, e a Cipro, ma sgomberano i territori occupati alla notizia che Costante II sta approntando una grande flotta per riappropriarsi delle due isole. Risulta impossibile invece scacciare gli Arabi dalla Cilicia e dall'Isauria. Nel 651 gli Arabi saccheggia l'Asia minore catturando circa 5000 prigionieri; un tentativo di riconquistare Alessandria termina con una cocente sconfitta, e anche l'Armenia si rivolta contro i Romani: il capo della rivolta Pasagnate sconfigge il generale romano Mauriano. Gli Arabi, sotto il comando del generale Mu'āwiya bin Hudayj, aspirno a conquistare Costantinopoli, ma ben due tentativi falliscono; ringalluzzito, l'imperatore Costante in persona si mette a capo della flotta romana che si scontra con i musulmani presso il Monte Fenice in Licia, tentando la riconquista della costa meridionale dell'Asia Minore. Prima della battaglia Costante sogna se stesso a Tessalonica e chiede a un astrologo il significato di questo suo sogno. L'uomo gli risponde che la città di Tessalonica suggerisce la frase « θες αλλω νικην », il cui significato è: « Si dia a qualcun altro la vittoria ». Nonostante questo funesto presagio, Costante II ingaggia battaglia ma viene pesantemente sconfitto: 500 navi bizantine sono affondate e 20.000 Romani periscono; solo a stento Costante II riesce a salvarsi e a tornare a Roma. La strada per Costantinopoli sembra aperta per gli Arabi, ma scoppia una guerra di successione al Califfato tra ‘Alì, genero del Profeta, e il governatore di Damasco Mu'āwiya, che alla fine vedrà vincitore quest'ultimo, fondatore della nuova dinastia dei Califfi Omayyadi. Mu'āwiya, che ha bisogno di tutte le sue truppe per battere ‘Alì, accetta una tregua ventennale con l'Imperatore Romano.
Dopo aver sventato momentaneamente il pericolo musulmano, Costante II nel 659 si volge contro i Visigoti, che hanno guadagnato terreno in Gallia,li sconfigge pesantemente e riesce a riconquistare l'Aquitania meridionale e la Settimania, ripristinando così il collegamento diretto con la Spagna romana.
Nel 660 Costante condanna a morte il fratello Teodosio, con l'accusa di tradimento; i motivi di tale fratricidio restano però ignoti agli storici. Forse egli teme che un giorno il Senato lo avrebbe rovesciato e avrebbe nominato imperatore Teodosio, oppure Teodosio avrebbe il diritto alla coreggenza mentre Costante vuole regnare da. Quel che è certo è che, a causa dell'assassinio del fratello, la sua popolarità cala di parecchio, al punto che il popolò inizia a chiamarlo "Caino". Il fratricidio comunque tormenterà Costante per il resto dei suoi giorni, e secondo la leggenda egli sarà perseguitato dovunque vada dal fantasma furioso del fratello che lo perseguitava dovunque egli andasse. Forse è questo il motivo per cui nel 662 l'Augusto lascia Roma con l'intenzione di non farvi più ritorno. Egli sbarca ad Ippona, oggi in Algeria, e conduce l'ultima decisa azione dell'Impero Romano volta a riconquistare i territori africani. Egli espugna Utica ed assedia l'ex capitale Cartagine senza successo, ed è costretto a ritirarsi a causa dell'arrivo di rinforzi arabi dall'Egitto. Ritornato ad Ippona, Costante II fa un ultimo tentativo per riconquistare l'Africa affidando un esercito di 20.000 uomini al generale Saburro, ma quest'ultimo si fa sconfiggere dagli Arabi, ponendo fine alle speranze romane di riconquista dell'Africa. Allora si sposta in Sicilia, a Siracusa, con l'intenzione di organizzare una vasta azione militare antimusulmana volta a riconquistare il controllo del Mediterraneo.
In Sicilia Costante saccheggia le chiese e alza le tasse, suscitando il malcontento della popolazione. Intanto Mu'āwiya, diventato Califfo, ultima la conquista dell'Africa romana sconfiggendo il governatore Gennadio, sottomettendo la Mauritania e iniziando l'islamizzazione dei Berberi; ai Romani in Africa resta solo Tingis (oggi Tangeri). Costante II invia rinforzi dalla Sicilia per respingere l'invasione, ma l'esercito romano subisce una pesante sconfitta presso Tripoli nonostante la superiorità numerica.
Nel frattempo in Asia minore gli Arabi, approfittando di una rivolta delle truppe armene il cui comandante è proclamato Imperatore dalle sue truppe, sferrano un vittorioso attacco, riuscendo a espugnare la città di Amorium in Frigia, ma il generale romano Niceforo riesce a sconfiggerli e a riprendere possesso della città.
L'Imperatore si è ormai fatto troppi nemici: il popolo lo odia perché ha alzato le tasse per pagare le sue fallimentari campagne militari, alla Chiesa è inviso per le sue simpatie monotelistiche, e l'esercito è insoddisfatto per le paghe basse e le continue perdite territoriali. Per questo motivo nel 668 il generale Mecezio organizza una congiura, e l'Augusto è assassinato a Siracusa all'età di soli trentotto anni, ucciso da un servo con un portasapone mentre fa il bagno. Mecezio si proclama subito imperatore, ma suo figlio Costantino IV vendica la morte del padre eliminando l'usurpatore e gli succede sul trono.

Costantino IV il Barbuto (668-685)
Il regno di Costantino IV inizia con la guerra contro i suoi fratelli Eraclio e Tiberio, che per lascito testamentario di Costante II condividono con lui il titolo di Augusto, anche se non hanno alcun potere reale. Desiderosi di ritagliarselo, essi istigano le truppe di stanzia in Gallia e in Gallia Cisalpina a marciare verso Roma per imporre a Costantino di dividere il potere con loro, sostenendo che la Santissima Trinità deve essere rappresentata in Terra da una trinità umana (l'Imperatore e i suoi fratelli) che avrebbe governato l'Impero dei cristiani (l'Impero romano d'Oriente. Questa bizzarra argomentazione è una prova della supremazia totale dell'autorità civile su quella ecclesiastica e del fatto che l'Imperatore è ormai visto dai suoi sudditi come il capo della Chiesa: in questa Timeline dunque non ci sarà posto per alcuno Stato Pontificio (con indubbi vantaggi per la Chiesa stessa). Costantino IV concede loro di entrare in Senato per discutere della questione, ma poi li fa arrestare, li priva dei loro titoli e li rinchiude in monastero.
Il suo regno è segnato anche dalle lotte contro i musulmani, che per la prima volta mettono piede in Sicilia, saccheggiando Siracusa e le altre città dell'isola. Nel 676 Kussileh, un comandante berbero che guida le forze unite dei Berberi e dei Romani, riesce a conquistare la città di Qayrawan, che in seguito diverrà nota come la capitale dell'Imamato fatimide, ma si tratta solo di una riconquista temporanea.
In Oriente il califfo Mu'awiya ibn Abi Sufyan aspira alla conquista di Costantinopoli per poter dilagare da lì in Europa. e nel 673 organizza una spedizione per espugnarla. Egli si impadronisce di quasi tutta l'Anatolia, escluse la costa e le isole del Mar Egeo, ma per una volta ha fatto i conti senza l'oste. Ora infatti i Romani dispongono di una nuova, formidabile arma: il cosiddetto Fuoco Romano. Esso è stato inventato da Callinico, un ingegnere siriano fuggito a Costantinopoli al momento della conquista della sua terra da parte dei musulmani. La sua formula chimica era nota a pochissimi, ma si pensa che esso sia una miscela di pece, salnitro, zolfo, nafta e calce viva, contenuta in un grande otre di pelle o di terracotta detto "sifone", collegato ad una pompa che poteva essere azionata con la pressione di un piede. Alla miscela viene dato fuoco appena comincia ad uscire da un tubo di rame; ciò che rende temuto questo vero e proprio lanciafiamme è il fatto che il "Fuoco Romano", a causa della reazione della calce viva, non può essere spento con acqua, che anzi ne ravviva la forza. Quando, nella primavera del 674, gli Arabi gettano l'ancora nel Bosforo di fronte a Costantinopoli, trovano ad attenderli quelle fiamme impossibili da spegnere, che divorano le loro navi senza pietà. Per quattro anni gli Arabi tentano di conquistare Smirne, Bisanzio, Atene e le altre principali città della Grecia, ed infine devono gettare la spugna: nel 678 Yazīd, figlio di Mu'āwiya, ordina la ritirata, ma ciò che resta della sua flotta viene distrutto da una tempesta, mentre 30.000 soldati arabi rimasti isolati in Attica vengono massacrati da un'armata romana comandata dai generali Floro, Petrona e Cipriano. Le armate di Mu'āwiya sono costrette a sgomberare anche Creta.
Mentre è in corso l'assedio della capitale d'Oriente, gli Slavi attaccano per la prima volta Tessalonica per vendicare la morte di un loro capotribù, Perbundo, accusato di tramare ai danni dell'Impero. Terminato l'assedio, l'Imperatore può lanciare una controffensiva nei Balcani che ottiene qualche vittoria sugli Slavi, liberando Tessalonica dall'assedio. I successi ottenuti contro Slavi ed Arabi convincono gli Avari, i Bulgari e i Franchi di Re Dagoberto II a rinnovare i trattati di pace con l'Impero, che sotto il regno di Costantino IV vive un rinnovato momento di splendore.
Chi decisamente non vuole fare la pace sono i Longobardi che, guidati dal loro valoroso re Bertaredo, tentano di coronare il loro vecchio sogno di conquistare tutta la Gallia Cisalpina. Allarmato, lo stesso Costantino IV si pone alla guida dell'esercito e supera i Mincio occupando Verona, ma durante la campagna contro i Longobardi si ammala di gotta e, avendo bisogno di terapie, si ritira in Toscana per curarsi ai bagni termali ed ordinando ai suoi generali di continuare la campagna. L'assenza dell'Augusto ha però un effetto deleterio sull'esercito, perché tra i legionari si diffonde la voce che l'Imperatore sia fuggito; il panico si diffonde rapidamente tra i soldati, che si ammutinano e fuggono; i Longobardi ne approfittano subito, infliggendo pesanti perdite all'esercito romano. E così la campagna fallisce e il confine resta sul Mincio, mentre Costantino IV è costretto a pagare ai Longobardi un tributo annuale.
A differenza di suo padre Costante II, Costantino IV cerca la riconciliazione con il Papato, e a tale scopo decide di convocare il Primo Concilio Lateranense per condannare il Monotelismo, che ha incancrenito i rapporti tra Papa e Imperatore. Il Sesto Concilio Ecumenico è presieduto dallo stesso Costantino IV e da Papa Agatone (678-681), e ad esso partecipano i Patriarchi di Costantinopoli Teodoro I e di Antiochia Teofane, oltre ad altri 150 vescovi; l'Augusto pensa così di ripetere l'impresa del suo glorioso predecessore di cui porta il nome, che nel 325 ha presieduto il Concilio di Nicea. L'assise lateranense ristabilisce l'unità della Chiesa, ed accresce la forza ed il prestigio dell'Impero.
Ma che Costantino IV non sia un santo ce lo dice il fatto che nel 683 egli fa eliminare i suoi due fratelli per spianare la strada alla successione di suo figlio Giustiniano II, che sale al trono dopo la sua morte per dissenteria a soli 31 anni, il 1 settembre 685.

Giustiniano II (685-695, 704-711)
(usurpatori: Leonzio 695-698, Tiberio III 698-704)

Giustiniano sale al trono all'età di sedici anni. Grazie alle vittorie del padre, egli eredita un regno sicuro e stabile. Approfittando delle guerre civili che hanno indebolito il califfato islamico, Giustiniano II invia il suo Magister Militum per l'Oriente Leonzio a recuperare parte delle coste del Ponto, che erano state occupate dagli Arabi, e a rafforzare la presenza romana nelle residue piazzeforti in Tauride (la Crimea), importantissime per tenere aperta la Via della Seta verso la Cina.
La sostanziale tranquillità sui confini orientali permette a Giustiniano di rivolgersi ai Balcani, dove sconfigge gli Slavi, entrando trionfalmente a Tessalonica. Gli Slavi sconfitti vengono deportati in Spagna, dove vanno a costituire una forza militare di 30.000 uomini.
Tuttavia ben presto monta il risentimento per il rapace fiscalismo e per lo sperpero di risorse attuato da Giustiniano II per la realizzazione di costose opere edilizie e per il mantenimento del sontuoso stile di vita della sua corte. Il supervisore dei lavori edilizi Stefano l'Africano e l'abate Teodoto sono accusati dal cronista greco Niceforo e dallo storico anglosassone Beda il Venerabile di essersi impossessato dei proventi delle tasse, di aver confiscato le loro proprietà a diversi dignitari romani e di aver rovinato molta povera gente. Nel 695 a Roma scoppia una rivolta dopo che si sono diffuse voci che il rapace Giustiniano voglia vendere la Gallia Cisalpina ai Longobardi per fare cassa. Il generale Leonzio, che è stato imprigionato per tre anni dopo una sconfitta contro gli Arabi, ed è stato da poco liberato e nominato governatore della provincia di Sardegna, mentre sta lasciando la capitale per imbarcarsi, viene convinto da alcuni suoi amici a rivoltarsi: i ribelli mettono fuori combattimento il prefetto della città, liberano i prigionieri del carcere e li armano. L'esercito ribelle di Leonzio, al grido di "A tutti i cristiani! Tutti a San Giovanni!", si dirigono verso il Laterano, dove ottengono l'appoggio di Papa Sergio I e di una grande folla che, inveendo contro l'Augusto, entra nel palazzo imperiale e cattura Giustiniano II, deponendolo. Il sovrano lo scampa, e non perde nemmeno il naso come nella nostra Timeline, ma viene costretto a farsi monaco ed esiliato in Cornovaglia, mentre Leonzio viene acclamato nuovo imperatore. Il regno di quest'ultimo però dura poco: nel 698 l'ammiraglio della flotta d'Oriente Tiberio Apsimaro, si ribella a sua volta, assedia Leonzio nella fortezza di Miseno, lo depone, lo rinchiude a sua volta in monastero e si proclama imperatore con il nome di Tiberio III.
Nel frattempo, visto che sia Leonzio che Tiberio III hanno continuato ad esigere imposte con rapacità, Giustiniano II trama per ritornare sul trono e ottiene l'appoggio delle truppe di stanza in Cornovaglia. Il governatore di quella provincia pensa di arrestarlo e di spedirlo a Roma, ma Giustiniano ne è informato e nel 702 fugge riparando presso Ine, Re anglosassone del Wessex, che gli dà in sposa sua sorella Etelberta. Tiberio III tuttavia si mette d'accordo con Re Ine, convincendolo a consegnargli la testa di Giustiniano in cambio di un forte tributo in oro, e il sovrano sassone invia due sicari per eliminarlo. Tuttavia l'ex Augusto, avvisato dalla moglie, uccide i due di propria mano e raggiunge i suoi sostenitori sull'isola di Wight, da dove riparte per attraversare la Manica. Egli si mette d'accordo con i Franchi, suoi antichi nemici, venendo accolto da Pipino di Heristal, maggiordomo di palazzo dell'inetto re merovingio Childeberto III, che detiene il potere effettivo. Pipino gli offre assistenza per riguadagnare il trono di Roma in cambio della promessa del titolo e dell'appannaggio di Cesare, della mano della figlia di Giustiniano, Giustina, e di cessioni territoriali.
Nella primavera del 704, forte di 15000 cavalieri franchi, Giustiniano II sconfigge l'esercito di Tiberio III presso Mantova, quindi assedia il suo rivale che si è asserragliato a Ravenna. Egli penetra con pochi uomini attraverso un condotto idrico che passa sotto delle fortificazioni, apre le porte e cattura Tiberio III, che viene giustiziato assieme all'altro usurpatore Leonzio e a molti loro sostenitori. Papa Giovanni VI, reo di aver incoronato Leonzio e Tiberio III, è deposto, mandato in esilio nella lontana Tauride e sostituito da Giovanni VII, gradito a Giustiniano II.
Tornato imperatore, Giustiniano nomina Pipino d'Heristal Cesare, come promesso, quindi, come racconta Beda il Venerabile, invia una flotta al largo delle coste del Wessex per ottenere da Iui la restituzione di sua moglie Etelberta. Una tempesta disperde le navi di Giustiniano, però Ine non vuole inimicarsi l'Impero Romano perché può avere bisogno del suo appoggio contro gli altri stati anglosassoni, e dunque manda Etelberta a Roma; quando ella giunge in Italia nel 706 con il figlio di Giustiniano, Tiberio, l'imperatore la incorona con il titolo di Augusta e nomina il figlio Cesare, per assicurargli la successione.
Nel 708 Giustiniano rompe l'accordo con Pipino, muovendo guerra ai Franchi per riprendersi i territori ceduti al momento dell'incoronazione, ma viene sconfitto e costretto a ritirarsi, e così viene firmato un nuovo trattato con i Franchi. Intanto le scorrerie degli Arabi devastano le coste della Spagna e della Sicilia. Una spedizione punitiva contro una parte dell'esercito che si è ribellato in Grecia si risolve in un massacro, mentre Papa Costantino rischia di essere deposto perché non si piega alle decisioni dell'imperatore, che pretende di avere l'ultima parola anche in campo teologico. Giustiniano II appoggia i diritti dei contadini liberi e dei piccoli proprietari, che costituiscono il principale bacino di reclutamento per l'esercito, ma il suo governo tirannico provoca nuoverivolte contro di lui. In particolare il generale Agila, di natali visigoti, governatore militare della Betica (Spagna meridionale), si rivolta e si fa proclamare imperatore dalle truppe; sconfitto, ripara a Ceuta, ultimo possedimento romano in Africa, il cui governatore Giuliano è a sua volta in rotta con Giustiniano II, e gli consiglia di riparare presso Musa ibn Nusayr, governatore musulmano dell'Africa settentrionale per conto del Califfo.
Un'altra ribellione, questa volta letale, parte da Creta, dove è stato esiliato il generale Filippico, sostenitore dei Monoteliti. L'isola di Creta resiste alle truppe inviate a reprimere la rivolta, che anzi passano in massa dalla parte dei ribelli. Filippico muove quindi su Roma, e Giustiniano è costretto a fuggire e a chiedere aiuti a Pipino contro l'usurpatore. Forte dell'appoggio degli oppositori di Giustiniano, terrorizzati all'idea del suo ritorno, Filippico entra a Roma e si fa incoronare Augusto, e a questo punto Pipino d'Heristal preferisce accordarsi con il vincitore. Giustiniano viene arrestato e giustiziato fuori Roma il 10 dicembre 711, e la sua testa mozzata è consegnata come trofeo a Filippico, che la fa esporre alla vista del popolo.
Nella nostra Timeline il figlio sedicenne di Giustiniano, Tiberio, viene ammazzato dopo essere stato trascinato fuori dalla chiesa in cui si è rifugiato, ma in questa il padre lo ha fatto prudentemente mettere in salvo a Ravenna, e da qui l'Augusta Etelberta lo porta in territorio longobardo, affidandolo al sovrano Ariberto II, che si trova in guerra con Pipino d'Heristal ed è ben lieto di fare uno sgarbo ai Franchi e ai loro alleati.

Filippico (711-713)
Filippico, in quanto sostenitore del Monotelismo, si oppone alle decisioni prese nel Primo Concilio Ecumenico Lateranense, in cui tale dottrina è stata condannata come eretica, e per questo fa distruggere nel suo palazzo un dipinto raffigurante quel Concilio. Papa Costantino, furente, lascia Roma, si trasferisce a Spoleto e stabilisce che il nome dell'Augusto non sia più nominato nelle datazioni e nelle funzioni religiose.
Ma l'ostilità dei cattolici non è la sola grana per Filippico. Istigato da Agila, Musa ibn Nusayr decide una spedizione contro la Spagna romana con il pretesto di sostenere il generale visigoto ribelle, ed incarica il suo mawla (liberto) Tariq ibn Ziyad, governatore berbero di Tangeri, , di organizzare un esercito di 12000 uomini, di cui 7000 Berberi. Esso attraversa le Colonne d'Ercole ed il 30 aprile 711, mentre l'Impero è alle prese con la rivolta di Filippico, occupano la rocca di Calpe, che riceverà il nuovo nome Gibilterra (da Jabal al-Tāriq, in arabo "Montagna di Tāriq", e la città di Algeciras. Tariq si dirige verso Cordova, e il 19 luglio 711 si scontra con le truppe del generale romano Anastasio nella battaglia del Guadalete, presso Cadice, che si protrae fino al 26 dello stesso mese: alla fine, l'esercito romano è sbaragliato, Artemio è passato a fil di spada e gettato nel fiume. La vittoria musulmana è favorita anche dal supporto di molti sostenitori di Agila e dalla popolazione ebraica, che, negli anni precedenti è stata perseguitata. Ma se Agila si illude di essere incoronato imperatore, si sbaglia di grosso: la sconfitta sul Guadalete infatti dà il via, in modo incredibilmente facile e inatteso, all'occupazione araba della Penisola Iberica. I musulmani infatti avanzano e conquistano Toledo, senza quasi incontrare resistenza. Nel 712 Agila, deluso, torna in Africa presso Musa ibn Nusayr, il quale lo rassicura e decide di sbarcare di persona in Spagna, alla testa di un grosso contingente di 18.000 uomini, dilagando in tutta la penisola. A questo punto l'Augusto Filippico incarica il generale Artemio di recarsi in Spagna per contrastare gli Arabi, ma gli consegna cos' poche truppe da rendere la sua missione pressoché suicida. Allora Artemio, che è di religione cattolica ed ha in odio i monoteliti, si ribella e lo rovescia il 3 giugno 713, proclamandosi nuovo imperatore ed assumendo il nome di Costantino V. Filippico è accecato e chiuso in monastero, e di lui non si avranno più notizie.

Costantino V (713-715)
Artemio/Costantino V deve affrontare innumerevoli rivolte, come quella di un certo Giorgio a Forlì, ma tenta di riorganizzare l'esercito e di contrattaccare gli arabi che nel frattempo si erano molto espansi nelle province spagnole della Cartaginense e della Tarraconense, arrivando fino in Settimania (estremo sud della Gallia). La ferrea disciplina da lui imposta incontra però l'opposizione del popolo e del Senato, tutti scontenti del suo governo; per questo nel 715 viene detronizzato da Teodosio III. Costantino V non oppone resistenza, e per questo gli è risparmiata la vita, consentendogli di ritirarsi in un convento in Calabria.

Teodosio III (715-717)
Importante funzionario già sotto il regno di Giustiniano II, esattore delle imposte ed ufficiale finanziario, Teodosio viene indicato come nuovo imperatore dal Senato dopo la deposizione di Costantino V, per la sua grande esperienza di economia e di gestione dello stato (Beda il Venerabile racconta che egli accetta l'incarico solo per paura che, se non lo facesse, lo accopperebbero).
Come i suoi predecessori, però, non riesce a mantenere stabile l'Impero e a far decollare le finanze statali. Bulgari e Slavi penetrano sempre più in profondità nei Balcani, mentre anche Barcellona cade in mano agli arabi (gli ebrei, ostili ai romani, aprono ai musulmani le porte della città). I Romani sono costretti a ritirarsi in Galizia e in Cantabria (chiamata anche Asturia, dal nome di un popolo celtiberico locale), e i musulmani d'Africa e Spagna cominciano a venire chiamati Mori (deformazione di Mauri). La popolazione manifesta tutto il proprio malcontento, e il Senato comincia a pensare a un possibile sostituto di Teodosio III.
È a questo punto che il re Liutprando, uno dei più grandi sovrani longobardi, decide di giocare la carta di Tiberio, il giovane figlio di Giustiniano II che era stato messo in salvo presso quel popolo. Ora Tiberio ha 22 anni e si sente pronto a riconquistare il trono di suo padre; grazie a 10.000 soldati (longobardi, alamanni e mercenari slavi) messi a sua disposizione da Liutprando, egli supera il Po, sconfigge a Modena un esercito mandatogli contro da Teodosio III, e punta decisamente verso Roma, accolto dalle popolazioni italiche come un liberatore. Il Senato chiede all'Augusto di farsi da parte per evitare una guerra civile; l'ex funzionario imperiale capisce che la partita è persa e decide di gettare la spugna: abdica e si ritira in un convento insieme al figlio (che diverrà Vescovo). Può così iniziare il regno di Tiberio IV.

Tiberio IV il Grande (717-756)
Quando il discendente di Eraclio I assume il potere, i nuclei slavi (da cui poi si formeranno le nazioni croata e serba), gli Avari e i Bulgari si sono insediati in profondità nei territori balcanici che sono stati parte dell'impero. A est l'impero romano conserva solo la parte centrale e meridionale della Grecia continentale, le isole ed enclavi costiere più o meno estese. Alcune prefetture sono ridotte ai minimi termini: ad esempio quella di Macedonia di fatto controlla solo la Penisola Calcidica. i Romani mantengono le vecchie denominazioni sia per ragioni di prestigio, sia perché in nome dell'ideale imperiale e universale considerano sempre "temporanea" la cessata sovranità di fatto sui territori perduti. Grazie a Dio, però, la flotta romana non è stata completamente surclassata da quella araba, e mantiene il controllo di vaste aree del Mediterraneo, oltre a ciò che resta delle prefetture orientali dopo il ciclo delle grandi ondate di invasione. Ovviamente in questa Timeline non esistono Repubbliche Marinare indipendenti (ciò non sarebbe coerente con l'esistenza di un impero centralizzato), ma vi sono comunque grandi porti con arsenali attrezzatissimi ed un'attivissima borghesia commerciale. In particolare i porti più importanti dell'impero sono Venezia, Genova, Marsiglia e Plymouth, da alcuni denominate "Prefetture Marinare" per il loro alto grado di autonomia, com'è il caso per esempio di Venezia. Grazie a questi porti, l'Impero si qualifica come una potenza talassocratica, e sviluppa tecnologie marinare all'avanguardia. Non potendo più contare su un forte afflusso di schiavi per le galee (a remi), assistiamo un accelerato sviluppo di nuove vele e di nuovi scafi più efficienti. I territori residuali che sono restati all'impero in Tauride (Crimea) permettono poi di tenere aperta la Via della Seta verso la Cina. Nonostante la perdita dell'Africa, dell'Egitto e dell'Oriente, dunque, ci sono tutte le condizioni affinché il Regno di Tiberio IV sia felice e prospero.
Tuttavia, appena eletto Imperatore, deve affrontare la minaccia degli Arabi, che danno l'assalto al suo impero da sud, da ovest e da est. Entro il 717 le guarnigioni inviate da Roma in soccorso delle truppe spagnole sono sconfitte davanti alle porte di Cesarea Augusta (Saragozza), e le legioni sono costrette ad attraversare i Pirenei, nella cosiddetta Settimania, dove si riorganizzano per tentare la riconquista della penisola iberica. Ma nel 720 i Mori, attraversati i Pirenei, attaccano anche la Settimania. Il generale romano Bernardo si asserraglia a Narbona, che resiste finché perde la vita in una battaglia davanti alle porte della città. Infine, nel 725 la Settimania viene completamente sottomessa dai Mori, che raggiungono la loro massima espansione in Europa: nasce quella che i musulmani chiamano al-Andalus, cioè la Spagna islamica (dal nome dei Vandali che vi si erano stabiliti, non potendo migrare in Africa). Essa diventa sede di una cultura originale, risultato della sovrapposizione di quelle islamica, ebraica e romana. Ai Romani resta solo la striscia settentrionale della penisola, dietro il bastione dei monti Cantabrici, ma essi possono avvantaggiarsi dell'alleanza con i Visigoti di Re Pelagio, i quali temono di essere la prossima vittima dell'espansionismo islamico, e fanno della loro fede cattolica il baluardo contro gli infedeli provenienti dall'Africa.
Intanto, ringalluzziti dalla conquista di al-Andalus, gli Arabi decidono di puntare al cuore stesso del mondo cristiano: Roma, la capitale dell'Impero. Nell'agosto del 717 la flotta araba, composta da 120.000 uomini e 1.800 navi, condotti da Maslam, il fratello del califfo Sulayman ibn Abd al-Malik, sbarca nei pressi di Ostia e giunge in vista delle mura della Città Eterna. L'Imperatore decide allora di stringere alleanza con i Longobardi di re Liutprando, che lo hanno aiutato a conquistare il trono, e che si rendono conto della grossa minaccia costituita dagli Arabi anche per loro stato. Grazie al Fuoco Romano, la flotta araba subisce pesanti perdite, venendo costretta a ritirarsi da Ostia, mentre le resistenti Mura Aureliane resistono ai continui assalti arabi. Ad aiutare Tiberio IV ci pensa anche l'inverno del 717, straordinariamente rigido,e che miete molte vittime tra gli Arabi, non abituati a queste temperature. Gli Arabi sono decimati anche dagli attacchi dei Longobardi, venuti in soccorso dei Romani.
Il califfo Sulayman ibn Abd al-Malik prova a inviare rinforzi e viveri, ordinando alle navi del Nord Africa piene di vettovaglie di raggiungere Ostia. Tuttavia l'equipaggio cristiano della flotta tradisce gli Arabi, passando dalla parte dei Romani, mentre unesercito di rinforzo proveniente dalla Spagna viene sconfitto dai Visigoti. Il 15 agosto 718 gli Arabi sono costretti levare l'assedio: essi hanno subito una gravissima sconfitta, soprattutto sul piano del morale, e per di più durante il viaggio di ritorno quasi tutte le navi non distrutte dal Fuoco Romano sono affondate da una tempesta.
Nel frattempo, approfittando dell'assedio arabo di Roma, il governatore della Sicilia Sergio si fa proclamare imperatore dalle truppe, ma l'usurpazione non dura a lungo: finito l'assedio, Tiberio IV invia in Sicilia il generale Paolo, che ha facilmente ragione della sua rivolta, e Sergio è costretto a cercare rifugio presso gli Arabi. Inoltre un nuovo tentativo islamico di conquistare Costantinopoli va a vuoto, stavolta grazie ad un'alleanza con i Bulgari. Sfruttando il terrore dei barbari nei confronti degli Arabi musulmani, l'Augusto ha trasformato i propri storici nemici in alleati per mettere in scacco gli invasori provenienti dai deserti dell'Arabia. Esauritasi la fase di massima espansione degli Arabi, inizia la lenta Riconquista dei territori spagnoli, nonché la politica di difesa dei bastioni romani in Oriente. Tiberio IV si convince che il Dio dei cristiani ha combattuto dalla sua parte, e la sua popolarità schizza alle stelle: i sudditi lo vedono come il campione della Cristianità, inviato dal Signore per salvare l'Impero Romano dalla rovina.
Dopo la vittoria militare, Tiberio IV si dedica alle riforme interne dello stato: resosi conto che l'eccessiva estensione delle province rende facile ai governatori militari rivoltarsi e usurpare il trono, egli decide di frammentarli in province più piccole; inoltre ha l'intelligenza di rappacificarsi con i popoli slavi e riorganizza le forze armate. Introdusse numerose riforme fiscali, libera dalla schiavitù i servi della gleba e fa approvare dal Senato nuovi leggi marittime potenziando la vocazione marinara del suo Impero, e nel 726 promulga un nuovo codice di leggi, l'Ecloga, una selezione delle più importanti norme di diritto privato penale vigenti alla sua epoca. Pur rifacendosi al Codice di Giustiniano, Tiberio IV apporta ad esso alcune modifiche sostanziali, come l'ampliamento dei diritti delle donne e dei bambini, la disincentivazione del divorzio e la proibizione dell'aborto.
Tiberio IV sventa anche il tentativo di riprendere il trono da parte dell'ex imperatore Artemio/Costantino V, che tenta di farsi aprire le porte della Città Eterna dal Comandante delle Mura, ma le lettere scambiate fra i congiurati vengono intercettate e consegnate all'Imperatore, che punisce molto severamente tutti coloro che sono coinvolti nella congiura: l'usurpatore viene torturato e poi decapitato. L'Augusto dimostra anche notevole determinazione nell'affrontare una nuova sciagura, un'eruzione vulcanica nel Mar Egeo. Essendo riuscito a superare quasi tutte le calamità che affliggevano l'Impero al momento della sua ascesa al trono, egli non pensa certo di essere l'oggetto della collera divina, e non dà inizio alla lotta iconoclasta che afflisse l'Impero Bizantino nella nostra Timeline. Senza questa crisi, il suo Impero non è squassato da contese e ribellioni, la potenza militare romana resta in grado di resistere ai suoi nemici esterni, e soprattutto l'Imperatore mantiene un ferreo controllo sul Papato. Egli dà il via alla consuetudine imperiale di presentare, alla morte del Pontefice, una rosa di tre nomi al clero romano, chiedendo di scegliere tra quelli il nuovo Papa. Naturalmente uno di essi è quello gradito al sovrano, mentre gli altri due sono decisamente inaccettabili. Il primo Papa ad essere eletto secondo questa prassi è San Gregorio III il 18 marzo 731, cui il 10 dicembre 741 seguirà Zaccaria, entrambi fedelissimi di Tiberio IV. L'Augusto tenta inutilmente di convertire al cattolicesimo prima Liutprando e poi Rachis, sovrani dei Longobardi; più successo ottiene con gli Slavi che hanno occupato i Balcani, presso il quale invia come missionario San Bonifacio (nella nostra Timeline è chiamato Apostolo della Germania, ma in questa i Germani sono rimasti tutti Ariani, esclusi i Visigoti e gli Anglosassoni britannici). Questi converte al cristianesimo gli antenati di sloveni, Croati, Bosgnacchi, Serbi e Macedoni, e per questo sarà chiamato "Apostolo dei Balcani". Il Papa lo nominerà infine Arcivescovo di Singiduno, chiamata ormai dagli Slavi Belgrado (Beograd, "Città Bianca") ma, ripartito verso oriente con l'ambizioso progetto di convertire anche i Bulgari, sarà martirizzato il 5 giugno 755 insieme con cinquantadue compagni. Le reliquie di san Bonifacio riposano oggi nel Monastero di Ostrog, in Montenegro.
Ma la maggiore impresa di Tiberio IV resta l'aver arrestato in via definitiva, con l'aiuto di alcune popolazioni germaniche, l'espansione degli Arabi verso l'Europa. Essi hanno posto sotto assedio molte città della Gallia, come Tolosa, Carcassonne e addirittura Nimes, minacciando l'invasione del Regno dei Visigoti e di tutta la Gallia romana, utilizzando la Settimana come testa di ponte. Diventa perciò vitale per l'Augusto scacciarli di là. Nell'autunno del 731 il governatore di al-Andalus 'Abd al-Rahmān al-Ghāfiqī, approfittando del fatto che il Regno dei Visigoti è sconvolto da una guerra dinastica tra Favila, figlio di Re Pelagio, e suo cognato Alfonso, duca di Limoges, lo invade con un grande esercito: Favila tenta di sbarrare agli Arabi la strada per la sua capitale Poitiers, ma subisce una disastrosa sconfitta nella Battaglia della Garonna e muore combattendo. L'Emiro al-Ghāfiqī mette sotto assedio Poitiers, ed Alfonso, rimasto unico sovrano ed asserragliatosi in essa, invoca l'aiuto di Carlo Martello, Maestro di Palazzo e vero detentore del potere nel Regno dei Franchi, e dell'Augusto Tiberio IV. Il primo è tenuto impegnato dalle continue rivolte dei Sassoni e dai rivali che gli contendono il predominio sul regno franco, e comunque non vede di mal occhio la fine del potere visigoto e romano nelle Gallie; all'appello però fortunatamente risponde Tiberio IV, che converge su Poitiers con tutte le forze che ha a disposizione, oltre ad un contingente di 4000 Longobardi e di 500 Alamanni. La Battaglia di Poitiers del 17 ottobre 732 rappresenta una delle più dure sconfitte mai subite dai Mori nella loro storia: l'Emiro al-Ghāfiqī cade nello scontro, e due terzi degli invasori muoiono o sono presi prigionieri. Le perdite sono così ingenti, che un cronista musulmano definirà il teatro di quella battaglia « il lastricato dei martiri » (balāt al-shuhadā). Il Regno dei Visigoti è salvo, e re Alfonso si proclama "Amico del Popolo Romano".
Lo scacco subito a Poitiers non ferma però le scorrerie arabe: nel 734 Yusuf, figlio di 'Abd al-Rahmān al-Ghāfiqī, passa il Rodano, conquista Arles e tutta la sua provincia tenendola per quattro anni, e portandovi morte e distruzione. Tiberio IV reagisce e nel 735 strappa ai Mori Avignone, passa il Rodano e assedia Narbona, seminando il terrore tra i nemici. Mauronto, governatore militare della Provenza che si è alleato con gli Arabi, viene giustiziato senza troppi complimenti. Tutte queste vittorie contribuiscono a creare il mito di Tiberio IV, che riceve il titolo di Grande e di Difensore della Fede, ed è osannato dai suoi sudditi e dagli storici contemporanei Childebrando, Paolo Diacono e Teofane il Confessore.
Tiberio IV porta avanti anche un'intelligente politica matrimoniale, rafforzando l'alleanza con i Longobardi che lo hanno aiutato a prendere il potere, e che temono i Franchi e i Musulmani quanto lui. Egli fa sposare suo figlio Costantino con Rattruda, figlia del Re longobardo Rachis e della nobile romana Tassia. Intanto, il califfato islamico attraversa un periodo di guerre civili, al termine delle quali nel 750 la dinastia degli Omayyadi viene sostituita da quella degli Abbasidi; il nuovo califfo Abū l-'Abbās al-Saffāh abbandona la vecchia capitale Damasco, e suo fratello Abū Jafar 'Abd Allāh ibn Muhammad al-Mansur fonda la nuova a Baghdad (in persiano "Data da Dio"), sulle rive del Tigri, presso l'antica Ctesifonte. Il baricentro del Califfato si allontana dal Mediterraneo, e ciò consente di allentare la pressione araba su ciò che resta delle prefetture orientali romane. Tiberio riesce ad ottenere alcune importanti vittorie su di loro, e nel 747 infligge una dura sconfitta alla flotta araba proveniente dalla Tunisia.
Nel 752, Tiberio IV riesce nell'ultima grande impresa della sua vita: la riconquista della Settimania fino ai Pirenei, espellendo gli Arabi dal sud della Gallia. Nello stesso periodo, il generale arabo Sahil Al-Abbas attacca Rodi nel tentativo di espugnarla, ma il suo tentativo si conclude con un nulla di fatto. Sotto il regno di Tiberio poi la cultura e le arti conoscono un momento di grande rinascita; in particolare nei Balcani e in Oriente fiorisce l'arte delle icone, mentre alla sua corte riceve grande impulso la musica liturgica. 
Tiberio IV il Grande muore a Napoli il 18 giugno 756 di idropisia, a 61 anni, e gli succede sul trono il figlio Costantino VI. Una leggenda di origine ignota racconta che Papa Stefano II, da Tiberio stesso eletto al pontificato, dopo la morte del sovrano sogna che questi sia finito all'inferno, nonostante i molti meriti da lui acquisiti agli occhi dei suoi sudditi. Preoccupato, il Papa riferisce il fatto a Costantino VI, che fa riaprire la tomba del padre; in essa però si ritrova solo un grosso serpente. Temendo che Satana si sia portato via Tiberio, Costantino ordina che si recitino messe in continuazione in ogni chiesa dell'impero, onde evitare di condividerne la sorte. La fosca leggenda però non trova alcun riscontro presso i cronisti del tempo, e potrebbe essere di origine ariana.

Costantino VI (756-775)
Il giovane imperatore sale sul trono a 23 anni e subito deve affrontare una pestilenza che colpisce le prefetture orientali rimaste all’Impero; Costantinopoli, che registra un alto numero di morti, viene ripopolata con cristiani greci in fuga dall’Anatolia e dalla Siria conquistate dagli Arabi. Costantino VI dà il via ad un grande programma edilizio, in particolare facendo restaurare i grandi acquedotti che riforniscono d’acqua la capitale. San Pietro e San Paolo fuori le mura vengono restaurate, e molti valenti artisti vengono convocati a Roma per abbellire le chiese e i palazzi del potere. Con oltre seicentomila abitanti, la Città Eterna resta la città più popolosa e ricca d’Europa.
Sul piano politico, Costantino VI e il Califfo Abbaside Abū Jafar ‘Abd Allāh ibn Muhammad al-Mansūr firmano un trattato di pace trentennale, con il quale il primo si impegna a non foraggiare i Cazari in funzione antiaraba, e il secondo rinuncia ad ulteriori attacchi contro le prefetture orientali dell’Impero Romano e contro la Gallia. Nonostante questo trattato, il generale arabo Sahil Al-Abbas saccheggia di nuovo Arles, ma si ritira non appena ha notizia che Costantino V e il Re Visigoto Alfonso stanno mettendo insieme un grande esercito per stringerlo in una morsa e stritolarlo: dopo le strepitose vittorie di Tiberio IV, ora i Romani non sono più gli aggrediti, ma gli aggressori.
Costantino VI firma un trattato anche con il nuovo Re dei Franchi Pipino il Breve, figlio di Carlo Martello, che nel 752, d’accordo con Burcardo, vescovo ariano di Würzburg, ha deposto l’ultimo inetto re merovingio, Childerico III. Pipino, così come suo padre Carlo e suo nonno Pipino d’Heristal, deteneva già il potere effettivo, ed egli giustifica la propria usurpazione sostenendo di discendere da un ramo (molto) collaterale dei Merovingi , e che i Franchi hanno bisogno di un re forte e combattivo per contrastare i Sassoni, i Longobardi e i Danesi. Romani e Franchi stabiliscono definitivamente i reciproci confini, e firmano un trattato di non aggressione. Un analogo trattato regola i rapporti con Cinevulfo, re anglosassone del Wessex, che è troppo impegnato a combattere contro Offa, Re di Mercia, il più potente dei sovrani dell’Eptarchia sassone, per pensare a portare attacchi contro la Cornovaglia romana. Tra l’altro Costantino VI è il primo imperatore romano ad allacciare relazioni diplomatiche con un sovrano dei Danesi: una spedizione navale romana si reca infatti alla corte di Horwendill, Re dei Dani che sarà padre di Amblothe, l’Amleto di William Shakespeare. Buone anche le relazioni con Višeslav I, primo re dei Serbi.
Quelli che non hanno intenzione di far pace con Roma sono i Bulgari, i quali mal digeriscono la costruzione di una serie di nuove fortezze al confine con il loro Khanato. Il Khan Teletz, nemico giurato dei romani, intima loro di distruggere le fortezze e, al rifiuto di Costantino VI, gli muove guerra invadendo la Tracia. Lo storico Teofane narra che l'invasione bulgara devasta i territori imperiali e costringe l’Augusto ad inviare ben nove spedizioni militari contro gli invasori. Il 30 giugno 763 Teletz incassa una dura sconfitta, e la sua morte prematura in una congiura di palazzo fanno piombare la Bulgaria nell’anarchia. I Romani però non riescono ad approfittarne, perché una forte tempesta sul Mar Nero disperde la flotta romana mandata contro i Bulgari. La Bulgaria si risolleva dall'anarchia solo nel 770 quando, con l'ascesa al potere del Khan Telerig, ridiventa una temibile minaccia. Nell'ottobre 773 Telerig invade la penisola Calcidica ma viene duramente sconfitto dai Romani, e la vittoria viene festeggiata con grande fasto per le vie della Città Eterna. Nonostante questi successi, Costantino VI non riuscirà mai ad imporre ai Bulgari una pace definitiva.
Intanto, il 24 settembre 768 Pipino il Breve è morto dividendo il regno franco tra i suoi figli Carlomanno, cui tocca l’ovest, e Carlo, cui tocca l’est. Ben presto tra i due fratelli scoppia il dissidio, anche perché Carlomanno si converte al cattolicesimo e vorrebbe la conversione anche dei suoi sudditi, mentre Carlo resta il campione dell'arianesimo. Si sfiora la guerra civile, che è scongiurata solo dalla morte prematura di Carlomanno il 4 dicembre 771, da più d’uno attribuita ad avvelenamento. In questo modo Carlo rimane unico Re dei Franchi, e il più potente dei popoli germanici resta a stragrande maggioranza ariano. Sull'altro grande popolo ariano germanico, i Longobardi, ora regna Desiderio, che si è associato al trono il figlio Adelchi, e ha tentato una politica di conciliazione con i Franchi dando in sposa a Carlo sua figlia Desiderata ("Ermengarda" è invenzione di Alessandro Manzoni), ma Carlo la ripudia con la scusa che non gli può dare eredi maschi, ed accusa Desiderio di avergli inviato sua figlia solo per avvelenarlo. Il re longobardo, spinto dal focoso Adelchi, casca nella trappola e dichiara guerra ai Franchi, sperando di chiudere i conti con loro, la contesa con i quali dura ormai da due secoli. Carlo però nel 773 fa irruzione nel regno longobardo e cinge d'assedio la capitale Vindobona, ora rinominata Vienna (Wien in tedesco). Desiderio invia Adelchi a chiedere aiuto all'Augusto Costantino VI, offrendo la città di Verona in cambio dell'aiuto militare, ma questi è tenuto impegnato dagli Arabi in Gallia meridionale e dai Bulgari in Oriente, e può mandare solo un piccolo contingente, che viene facilmente spazzato via dallo zio di Carlo, Bernardo, che guida un'ala dell'esercito franco. Il 10 luglio 774 Vienna capitola e Desiderio è preso prigioniero. « Vorrei salvo l'onore », domanda a Carlo, davanti al quale è portato in catene. « Avrai salva anche la vita », gli assicura lui, che infatti lo fa rinchiudere in un monastero ariano in Sassonia. Carlo è incoronato Re dei Franchi e dei Longobardi; Adelchi è accolto alla corte di Roma dove si converte al cattolicesimo ed ottiene il rango di Patrizio Romano e un seggio al Senato; Roma continua a considerarlo legittimo re dei Longobardi (che Adelchi sia morto nella presa di Vienna è un'altra invenzione romantica di Manzoni).
Costantino VI ora ha i Franchi che premono anche sul confine del Mincio, e comincia a pensare a una spedizione contro di loro, ma all'improvviso è colpito da una malattia mai chiarita che lo porta alla morte il 14 settembre 775 a soli 42 anni. Sebbene egli non sia riuscito a uguagliare la gloria del padre: le sue vittorie contro i Bulgari non vengono dimenticate: quando, un secolo dopo, Costantinopoli si troverà nuovamente sotto la minaccia dei Bulgari, il popolo della città si raccoglierà davanti alla statua di Costantino VI nel Forum Bovis, implorandolo di scendere giù per salvare nuovamente Bisanzio.

Giustiniano III (775-780)
Fratello minore di Costantino VI, sale al trono a 40 anni perché l'unico figlio del defunto imperatore, Tiberio, soffre di gravi crisi di epilessia ed è ritenuto inadatto a salire al trono. Giustiniano ha sposato Liutberga, la figlia più giovane dell'ex Re dei Longobardi Desiderio, e non si è trattato certo di un matrimonio d'amore. Liutberga è stata battezzata nella religione cattolica con il nome di Irene, e nel 771 ha avuto da lui un figlio, Costantino. Il 24 aprile 776, Venerdì Santo, spinto dall'ambizione della moglie, egli nomina Cesare il figlio di soli cinque anni, obbligando il Senato a giurargli fedeltà. I fratelli minori dell'Augusto Costante e Tiberio restano delusi, poiché aspirano essi pure alla porpora, e Irene convince Giustiniano III che essi vogliono ordire una congiura per rovesciarlo. E così, i due sono arrestati e rinchiusi in monastero.
Nel 777 al-Mahdī, figlio e successore del Califfo al-Mansur, tenta di nuovo di sloggiare i Romani dalle coste egee dell'Anatolia, ma Giustiniano III reagisce con una potente controffensiva navale condotta dall'ammiraglio Michele Lecanodracone, che sconfigge gli Arabi facendo molti prigionieri. Giustiniano III, soddisfatto, concede all'ammiraglio il trionfo per le vie di Roma, salvo farlo uccidere poco dopo perché invidioso del suo prestigio e timoroso che egli voglia tentare un colpo di stato. Invece nel 779 Tassilone III, re dei Burgundi della dinastia degli Agilolfingi, spodestato da Carlo che sta espandendo il Regno dei Franchi a danno di tutti gli stati vicini, cerca rifugio a Roma presso Giustiniano III, che lo fa battezzare, lo nomina Patrizio Romano e gli dà in sposa una sua cugina. Intanto fa costruire fortezze lungo il confine con i Franchi, timoroso che Carlo voglia tentare l'impresa di conquistare Roma, mai più riuscita a nessuno dai tempi di Brenno.
Sembra che al regno di Giustiniano III risalga una delle primissime testimonianze del volgare italiano, l'Indovinello Mantovano (nella nostra Timeline Veronese): « Se pareba boves / alba pratalia araba / albo versorio teneba / negro semen seminaba » (« Spingeva i buoi davanti a sé / arava un bianco prato / teneva un bianco aratro / seminava un seme nero »). Pare certo che l'ignoto autore alluda alla scrittura: i buoi sono le dita, il bianco prato il foglio di carta, il bianco aratro la penna d'oca, il nero seme l'inchiostro.
Alla corte di Giustiniano III opera poi lo storico longobardo Paolo Diacono (vero nome Paul Warnefried), fuggito da Vienna dopo la sua conquista da parte di Carlo. E proprio Paolo Diacono, cui il sovrano ha commissionato l'Historia Romana, una storia dell'Impero dall'ascesa di Ottaviano Augusto ai suoi giorni, ci informa che l'imperatore muore per un malore improvviso l'8 settembre 780, a soli 45 anni, mentre prova una corona d'oro per una cerimonia pubblica. Paolo Diacono avanza il sospetto che egli sia stato avvelenato dalla moglie Irene, accecata dall'ambizione: gli succede infatti il figlio Costantino VII, di soli 9 anni, sotto la reggenza della madre. Temendo per la propria vita, poiché non ha mai nascosto la propria diffidenza nei confronti dell'Augusta di natali longobardi, Paolo Diacono lascia precipitosamente la corte di Roma e si rifugia nel monastero di Montecassino, dove continua la propria attività di scrittore e compone l'Historia Langobardorum, principale fonte della storia del suo popolo.

Costantino VII (780-815)
Il trono di Costantino VII, ancora giovanissimo, è subito minacciato dai due fratelli di suo padre, Costante e Tiberio, delusi per il fatto di essere stati scavalcati nella successione dal nipote Costantino dopo essere stati illusi dalla nomina a Cesari. E così, dopo due soli mesi dall'ascesa al trono di Costantino VII, si rivoltano appoggiando le pretese al trono di Costante. La rivolta, a quanto pare appoggiata dai Franchi, fallisce e i due sono eliminati con modi spicci.
Nel 781 scoppia una guerra di successione tra i figli dell’Emiro di Saragozza, uno dei quali chiede aiuto proprio a Irene. Questa allora decide di inviare in al-Andalus il generale Stauracio, che secondo la voce popolare è anche amante di Irene, nella speranza di poter strappare una parte della Spagna ai musulmani. Con lui va anche Adelchi, fratello maggiore dell'imperatrice madre, nominato per l’occasione ufficiale romano. Quando però Stauracio e Adelchi arrivano sotto le mura di Saragozza, la ribellione è già finita con la morte dell’usurpatore, e i Romani sono costretti a ritornare precipitosamente nella loro base in Aquitania. Adelchi, che comanda la retroguardia, cade però in un’imboscata dei Baschi, i quali detestano allo stesso modo gli Arabi e i Romani, presso il Passo di Roncisvalle. Secondo la leggenda, riportata dallo storico Paolo Diacono, Adelchi si batte con valore e solo quando capisce che tutto è perduto soffia nel suo leggendario corno, l’Olifante, che viene udito da Stauracio (e addirittura a Roma da Irene). Il generale romano però può solo costatare la morte in battaglia dello sfortunato figlio di re Desiderio. Il poeta Turoldo, del quale non ci restano altre notizie oltre al suo nome, creerà il mito di un Adelchi ucciso dai musulmani anziché dai Baschi, dopo aver compiuto imprese sovrumane in terra di Spagna, e la "Canzone di Adelchi" diverrà una delle opere più fortunate dei secoli a venire, tanto da ispirare persino i Pupi Siciliani.
In seguito Stauracio viene mandato contro gli Slavi che premono sulla Grecia rimasta parte dell'Impero, ma a causa di un tradimento il generale viene fatto prigioniero, e Irene è costretto a riscattarlo a peso d'oro; i Romani sono così costretti a pagare tributi agli Slavi. Più fortuna ha Stauracio contro i Bulgari, riuscendo a difendere validamente la penisola Calcidica.
Intanto Carlo conquista anche il Regno degli Alamanni, e il confine franco-romano va ininterrottamente dalla foce della Senna al delta del Po. Timorosa della potenza franca, nel 787 Irene stipula un'alleanza con Carlo, che prevede il matrimonio tra la figlia del re ariano, Rotruda, che ha 12 anni, e il giovane Augusto Costantino VII, che ne ha 16. Il matrimonio avviene per procura; pare che Carlo sia morbosamente geloso di Rotruda e delle altre sue figlie femmine, e che acconsenta al matrimonio solo dopo lunga insistenza dei suoi baroni, in modo che i Franchi un giorno possano avere voce in capitolo nella successione al trono imperiale. Per ora Carlo è impegnato a combattere le ribellioni sassone e longobarde e soprattutto gli Slavi e gli Avari sulla frontiera orientale, per cui si accontenta del risultato diplomatico raggiunto.
Nel 790 Costantino VII compie 18 anni e raggiunge la maggiore età; Rotruda lo raggiunge allora a Roma e viene battezzata nel cattolicesimo con il nome di Maria. Il problema è che l'imperatrice madre Irene continua ad amministrare gli affari di stato al posto del figlio, cosa che Costantino non accetta più. Egli dà la colpa di questo fatto al generale Stauracio, amante della madre, e così fa eliminare il generale senza troppi complimenti. Irene va su tutte le furie, fa arrestare il figlio dai suoi pretoriani (in gran parte anch'essi longobardi) e tenta di proclamarsi unica imperatrice, primo caso nella storia millenaria di Roma. Il popolo di Roma tuttavia si ribella, guidata da Papa Adriano I, che sarà ricordato per la lunghezza del suo pontificato, una delle maggiori della storia. Il Vescovo di Roma è fedele a Giustiniano III e a Costantino VII, e considera Irene niente più che una barbara rimasta segretamente ariana, che tenta di impossessarsi con la forza della Città dei Cesari. Anche Carlo minaccia di invadere l'Impero se a sua figlia Rotruda/Maria, nel frattempo rinchiusa in un monastero, sarà torto un solo capello. A questo punto i Pretoriani abbandonano Irene per evitare di fare una brutta fine, Costantino è liberato e rimesso sul trono, egli stesso va a riprendere Maria in convento, poi la madre gli è portata davanti in catene.
A questo punto, gli storici divergono sulla sorte di Irene. Secondo Teofane, Irene è accecata e muore dopo pochi giorni di agonia. Secondo Paolo Diacono, invece, ella viene esiliata in un convento su una sperduta isola del Mar Egeo. Invece secondo Eginardo, storico franco e biografo di Carlo, Costantino si mostra magnanimo con la madre e la lascia tornare a Vienna, la sua città natale ora occupata dai Franchi, dove ella addirittura si risposa. Su una cosa però tutti sono d'accordo: il regno di Costantino VII e di sua moglie Maria la Franca comincia il 17 luglio 792, al momento della liquidazione dell'ingombrante madre.
Costantino VII instaura buone relazioni con i Franchi di Re Carlo e richiama a corte Paolo Diacono, nominandolo storico ufficiale di corte. Egli fa inoltre la pace con gli Slavi, confermando loro il pagamento di un tributo, e scambia ambasciatori con Re Offa di Mercia, e poi con suo figlio Ecgfrido, succedutogli il 29 luglio 796. Paolo Diacono, inviato come ambasciatore da Costantino presso Offa, media la pace tra Offa e i re gallesi alleati con Roma, Caradog ap Meirion, sovrano del Gwynedd (Galles settentrionale), e Cadell, re del Powys (Galles centrale), che hanno lottato contro il regno di Mercia per vent’anni, tanto che Offa ha fatto edificare un limes difensivo, il cosiddetto Vallo di Offa, al confine con il Galles. Grazie a questa pace, Offa può consolidare il proprio predominio sull’Eptarchia Anglosassone, e ricevere gli aiuti romani per rafforzare la burocrazia del suo regno. Nella nostra Timeline l’ostilità di Carlo Magno indebolì Offa e favorì, dopo la sua morte, il declino della Mercia e l’ascesa del Regno del Wessex, ma in questa gli aiuti romani, giunti attraverso Cornovaglia e Galles, permettono di consolidare il regno; suo figlio Ecgfrido non è assassinato dopo soli cinque mesi di regno; Ecberto, che è fuggito alla corte di Carlo e non ha mai nascosto di voler conquistare la Cornovaglia Romana, non torna sul trono del Wessex, e poco dopo il Wessex è conquistato da Ecgfrido, che utilizza per primo il titolo di Rex Anglorum, facendosi incoronare con la corona d’oro inviatagli da Costantino VII. L’Inghilterra si avvia sulla strada che la porterà all’unificazione.
Non altrettanta fortuna Costantino ha in Oriente, incassando una dura sconfitta dal Khan dei Bulgari Kardam. L’Augusto allora decide di intavolare trattative con il nemico di sempre, il Califfato arabo. Califfo dal 786 è Hārūn al-Rashīd, uno dei più grandi sovrani musulmani di tutti i tempi, noto per essere il protagonista di molte novelle delle "Mille e Una Notte"; questi firma un trattato e scambia ambasciatori con l’imperatore cristiano di Roma, permette i pellegrinaggi a Gerusalemme e gli invia anche in dono un elefante, chiamato Abu Abbas; gli ambasciatori romani tornati da Baghdad parlano di un impero favoloso e ricchissimo, e di una città, Bagdad, nella quale si sentono parlare tutte le lingue della Terra. Diversa invece la condotta di Costantino contro gli Arabi di al-Andalus, che dal 756 è un emirato indipendente da Baghdad: nel 797, dopo la morte dell’Emiro Hisham ibn Abd al-Rahman, una serie di fortunate campagne militari permette a Costantino VII di estendere il dominio romano fino all’Ebro, riconquistando Barcellona e ricostituendo la Prefettura Tarraconense.
Intanto Carlo ha sconfitto Vitichindo, ultimo grande leader dei Sassoni ribelli al suo predominio, incorporando definitivamente la Sassonia nel suo vasto regno. Egli inoltre ha sottomesso gli Obodriti, i Sorabi, gli Evelli e gli antenati dei Cechi e dei Moravi, cioè gli Slavi che abitano più ad occidente. Ha costruito una nuova capitale, Aquisgrana, sulle rive della Mosa, e si è impegnato nella riorganizzazione del suo immenso stato. Alla fine, la notte di Natale dell’anno 800, egli si autoincorona Imperatore di Germania, definendosi "Rappresentante di Dio in terra e sovrano di tutti i credenti". Il titolo imperiale assunto dal re barbaro irrita suo genero Costantino VII, che però non può fare nulla per ostacolare il potente sovrano del Nord. Alla fine, tra i due imperatori si raggiunge un tacito compromesso: Costantino non protesta per quella che considera un’usurpazione da parte di Carlo, e Carlo rinuncia al suo sogno giovanile di impadronirsi anche di Roma, sperando che siano i suoi eredi ad ereditare l’Impero di Augusto, Costantino ed Eraclio. Carlo rinuncia anche a Venezia, avamposto romano davanti alle coste del Veneto occupato dai Franchi, dopo aver tentato più volte di ottenerne la cessione, sempre contrastata dal governatore militare romano Angelo Partecipazio. Infatti l’imperatore tedesco ha una nuova gatta da pelare: i Vichinghi, popolo proveniente dai fiordi della Scandinavia, che inizia una prepotenza espansione sui mari e di scorrerie piratesche. I primi a farne le spese sono i monaci dell'isola di Iona, in Inghilterra: nell’806 i Vichinghi prendono d’assalto il monastero e massacrano sessantotto monaci. Ben presto le scorrerie si estendono alle coste settentrionali dell’impero carolingio e dell’impero romano, e Costantino VII è costretto ad armare una flotta per contrastare i velocissimi drakkar vichinghi, ma essa rimedia per lo più sconfitte navali.
Il 6 giugno 810 l’imperatrice Rotruda/Maria muore a soli 35 anni, senza aver dato a Costantino VII alcun erede. Carlo vede così tramontare il suo sogno di mettere le mani sull’Impero dei Cesari. Costantino si risposa con la nobile Procopia, figlia di Niceforo, l’ambizioso Ministro delle Finanze dell’Impero, che poco dopo gli dà il figlio Giovanni.
Non si può non citare uno dei principali eventi del regno di Costantino. Secondo la tradizione, nell’813 un eremita spagnolo di nome Pelagio vede delle luci miracolose in cielo che lo guidano in un campo sul monte Libredonius, in Galizia, dove esistono antiche fortificazioni celtiche oggi in rovina. Qui egli scopre una tomba con la scritta « Qui giace Giacomo, figlio di Zebedeo e di Salomè ». Il vescovo Teodomiro, accorso sul posto, vi riconosce la tomba di Giacomo il Maggiore, uno dei Dodici Apostoli di Gesù, fatto decapitare a Gerusalemme da Erode Agrippa nel 42 dopo Cristo, le cui spoglie sarebbero state poi trasportate in Galizia. Subito Costantino VII, informato del fatto, ordina la costruzione sul posto di una grande basilica, dove i monaci benedettini fissano la loro residenza. Subito iniziano i primi pellegrinaggi alla tomba dell'Apostolo, provenienti da tutto l’Impero Romano: nasce così il celeberrimo Santuario di San Giacomo di Compostella (da Campus Stellae, "il Campo della Stella"), una delle principali mete di pellegrinaggio insieme a Roma e a Gerusalemme. L’Apostolo è elevato al rango di patrono dei cristiani iberici, e secondo la tradizione durante la Riconquista della Spagna Romana i legionari lo vedranno più volte alla loro testa, armato di spada e su un cavallo bianco, mentre li guida in battaglia contro i Mori.
Il 28 gennaio 814 Carlo, Imperatore di Germania, si spegne ad Aquisgrana; il suo biografo Eginardo lo chiamerà Karl der Große, Carlo il Grande. Sul trono gli succede il figlio Pipino II, già eletto dal padre Re di Longobardia, che a differenza della nostra Timeline non è morto prima di lui. A suo fratello Carlo II va il governo della Alamannia e della Longobardia, mentre a suo fratello Ludovico va il titolo di re dei Burgundi. Pipino II deve però affrontare la conflittualità costante con i fratelli, che finiranno per lacerare l’Impero, l’arroganza della nobiltà franca e soprattutto le scorrerie vichinghe.
Costantino VII muore improvvisamente il 19 agosto 815, a soli 44 anni. Il referto ufficiale parla di paralisi, ma c'è il sospetto che l'Augusto sia stato avvelenato per ordine di Niceforo. Infatti il titolo imperiale dovrebbe toccare a suo figlio Giovanni, di soli tre anni, sotto la reggenza dell'Imperatrice Procopia e del Senato di Roma, ma Niceforo scavalca tutti quanti e, pagando cospicue tangenti ai senatori più influenti grazie alle immense fortune accumulate in qualità di Ministro delle Finanze, riesce a farsi incoronare lui Augusto, con la scusa di difendere sua figlia Procopia, suo nipote Giovanni e tutto l'Impero in attesa che il giovanissimo Augusto legittimo sia pronto a governare. In ogni caso Procopia non deve fidarsi molto del padre: temendo infatti che questi faccia eliminare il nipote per instaurare una sua dinastia, si trasferisce con il figlio a Epidauro, nel Peloponneso (precisamente nell'Argolide, sede nell'antichità di un grande tempio dedicato ad Esculapio), con il pretesto di dargli un'istruzione basata sui valori della Grecia classica. Lo storico Teofane commenta in proposito: « Guai ai regni in cui le figlie e i nipoti hanno paura dei loro padri e nonni! »

Niceforo I (815-817)
Il regno di Niceforo I è breve, ma sufficiente per renderlo inviso agli occhi di buona parte dei suoi sudditi, soprattutto per i suoi impopolari provvedimenti fiscali (dopotutto è un esperto di economia). Egli tra l’altro annulla tutti gli sgravi fiscali concessi da Costantino VII, introduce tasse sull'eredità, costringe gli abitanti dei villaggi a pagare una tassa di 20 sesterzi che servirà allo stato per comprare l'equipaggiamento ai legionari poveri che non se lo possono permettere, tassa tutti coloro che si sono arricchiti rapidamente sotto il regno del suo predecessore, e costringe persino i monasteri a pagare una tassa apposita. Quest’ultimo provvedimento non contribuisce certo ad accrescere la sua popolarità tra i fedeli, e spiega il perché della cattiva fama di questo Augusto, giunta sino ai giorni nostri: gli storici come Teofane appartengono agli ordini monastici, e non possono certo essere soddisfatti di quest’oppressiva politica fiscale contro i loro conventi. Gli storici moderni però hanno analizzato il suo regno con maggiore obiettività, ed hanno concluso che, anche se l'aumento delle tasse è gravoso per il popolo, nei fatti l'Imperatore annulla tutti i privilegi fiscali introdotti da Costantino, che lo hanno reso popolare ma hanno praticamente prosciugato le casse romane.
Proprio ora, invece, lo stato romano ha bisogno di fondi, dato che il Khan dei Bulgari Krum ha portato avanti una politica espansionistica e ha raddoppiato la superficie del suo stato, che ora si estende dalla Macedonia al Dnepr, e da Adrianopoli ai Monti Tatra. Krum ormai minaccia Costantinopoli e quanto resta dei possedimenti romani nei Balcani, e sia il governatore militare di Bisanzio Michele Rangabè che il Patriarca di Costantinopoli Niceforo I invocano l'intervento diretto contro i Bulgari dell'Augusto. Benché sconsigliato da molti, l'Augusto Niceforo decide di intervenire in prima persona, anche per accrescere la propria popolarità, e dopo aver nominato Cesare suo figlio Stauracio, che resta a Roma a governare l'Impero d'Occidente, salpa a Brindisi e sbarca a Costantinopoli. La campagna militare inizialmente appare un grande successo, dato che Niceforo I avanza in territorio nemico e prende la capitale bulgara di Pliska, ma il 26 luglio 817 egli cade in un'imboscata tesa al suo esercito dal Khan Krum: le truppe romane sono massacrate, lo stesso Augusto cade in battaglia, e secondo la tradizione il suo teschio viene trasformato in una coppa per il Khan dei Bulgari.

Stauracio (817-822)
Il figlio di Niceforo I in questa Timeline ha avuto più fortuna del suo omologo del nostro universo, dato che è rimasto a Roma e non ha partecipato alla campagna di Bulgaria. Ovviamente il trono legalmente appartiene sempre al figlio di Costantino, Giovanni, che però ha cinque anni, ma Stauracio riesce a convincere il Senato che l’Impero in questo frangente ha bisogno di una guida ben più salda di quella di una donna (l’imperatrice madre Procopia, sua sorella) e di un bimbetto, e così viene investito lui della porpora. Egli cerca di convincere la sorella a rientrare a Roma da Epidauro, perché nessuno minaccerà la sorella dell’Imperatore, ma Procopia non si fida, ed è offesa per il fatto che suo fratello ha scavalcato il figlio nella successione al trono, e rimane dov’è; grazie a lei, Epidauro diventa un grande centro culturale e l’epicentro della produzione di icone.
La fortuna di Stauracio prosegue: Michele Rangabè, governatore militare di Bisanzio, si è proclamato imperatore all’indomani della sconfitta di Niceforo, essendo riuscito a tornare indenne sul Corno d’Oro, ma è stato sua volta sconfitto ed ucciso nella battaglia di Versinikia dal Khan bulgaro Krum, e la sua usurpazione ha avuto vita breve. Inoltre Krum, che si prepara ad assediare Costantinopoli per scacciare i Romani dai Balcani, muore improvvisamente il 13 aprile 818, e il suo successore, il figlio Omurtag, è più interessato a combattere gli Avari e gli Slavi che i Romani; per questo egli si ritira dalla Tracia in cambio di un forte tributo. Inoltre Carlo II, figlio di Carlo il Grande di Germania e re di Longobardia e Alamannia, aspira a sottrarre al fratello Pipino II il titolo di Imperatore Tedesco, e per acquistare prestigio agli occhi dei Franchi pensa ad una grande vittoria militare sui Romani, e precisamente alla conquista dell’intera Gallia Cisalpina. Per cominciare, egli decide con un pretesto di assediare e conquistare Venezia, ma essa resiste ai suoi ripetuti assalti navali sotto la guida del Dux militare Angelo Partecipazio, che si ritira nelle isole più interne della laguna, aspetta che le grandi navi franche si arenino nelle secche lagunari per poi attaccarle con piccole e leggere imbarcazioni, bruciando la flotta e massacrando l'esercito nemico. Carlo II si ammala a causa dell’insalubrità della laguna e muore l’8 luglio 819. Pipino II incamera il Regno di Longobardia nel proprio dominio diretto, sconfessa il defunto fratello e fa la pace con Stauracio. Poco dopo Pipino II liquida anche Ludovico, facendolo rinchiudere in monastero, e resta unico padrone dell’Impero Franco. Egli regna con energia, combattendo duramente contro i baroni franchi che sgomitano per ritagliarsi l’autonomia dei propri feudi, ben diversamente dal Ludovico il Pio della nostra linea temporale, e perciò sarà ricordato come Pipino II il Forte, ma pressoché vano sarà il suo tentativo di opporsi alle scorrerie dei Vichinghi, che si fanno di giorno in giorno più baldanzosi.
E proprio i Vichinghi sono l’unico nemico contro il quale Stauracio non è assistito dalla fortuna. Sia i Romani abitanti in Bretagna e nella Spagna settentrionale, sia il Re dei Visigoti Alfonso II il Casto invocano il suo aiuto affinché capeggi una spedizione navale contro i pirati provenienti dal Nord, e per questo chiamati anche Normanni. Benché sia privo di esperienza in battaglia, egli decide di comandare personalmente una grande flotta che comprende anche navi sassoni di Ecgfrido, Re di Mercia, e navi visigotiche, ma all'altezza di Capo Finisterre, in Galizia, egli subisce una delle più disastrose sconfitte navali della storia romana. La quasi totalità della flotta va perduta, a causa della scarsissima manovrabilità delle galee romane di fronte agli agili e velocissimi drakkar vichinghi, che hanno la prora indistinguibile dalla poppa, e possono fare dietrofront semplicemente facendo girare i rematori sui loro banchi. Stauracio si salva solo con la fuga, ma la vergogna di aver subito una tale disfatta lo induce a non ritornare a Roma: l'11 febbraio 822 egli abdica e si ritira in un convento sui monti Cantabrici, da dove non uscirà più e dove morirà in età avanzata l'11 gennaio 844.
Il Senato di Roma riunito in seduta d'emergenza si trova a dibattere una grave questione: richiamare il legittimo erede al trono Giovanni, che ha solo dieci anni e non può certo affrontare in battaglia i Normanni, o investire della porpora un generale che può lavare l'onta della sconfitta incassata da Stauracio? Alla fine viene presa una decisione salomonica: Procopia sarà richiamata a Roma con il figlioletto, ed ella sceglierà come marito un condottiero che guiderà i Romani alla riscossa, in attesa della maggiore età di Giovanni. Nonostante i rischi connessi a tale scelta, Procopia accetta, torna a Roma e sceglie come sposo il generale Tommaso, detto lo Slavo, perché discendente di Slavi trapiantati in Epiro e convertitisi al cristianesimo. La scelta è controversa, perchè non tutti i Senatori e non tutto l'esercito sembrano inclini ad accettare come Augusto un barbaro proveniente dalla Slavonia, ma l'Augusta vuole proprio lui perchè sa che difficilmente un erede dello straniero Tommaso verrebbe accettato come sovrano al posto di suo figlio. Procopia minaccia di lasciare l'Impero e di trasferirsi con Giovanni alla corte del Califfo al-Ma'mūn (figlio di Hārūn al-Rashīd), che a suo dire la avrebbe chiesta in moglie, se la sua scelta non sarà accettata, ed alla fine il Senato si piega e ratifica l'elezione al trono di Tommaso, anche lui come Stauracio decisamente più fortunato del suo omologo nella nostra Timeline.

Tommaso lo Slavo (822-832)
Già comandante delle truppe nella Spagna settentrionale romana sotto Niceforo e Stauracio, Tommaso è stato scelto come Imperatore solo per combattere la minaccia dei Vichinghi che infuriano sulle coste atlantiche dell'Impero, ed egli porta avanti questo compito con tenacia e determinazione, trascorrendo la maggior parte del suo regno lontano da Roma (e dall'Augusta Procopia, che non è certo dispiaciuta di non dover dividere il letto con quello che considera un soldato rozzo e ignorante). Messa insieme una nuova flotta, supertassando i patrimoni dei più ricchi di Roma, stringe alleanza con l'Imperatore di Germania Pipino II, a sua volta alle prese con le scorrerie normanne, e riesce a respingere con rapidità e decisione numerosi attacchi da parte dei biondi Uomini del Nord. La sua vittoria più rilevante è quella del marzo 825 presso le Isole Sorlinghe (le nostre Scilly) contro una flotta vichinga guidata da Thorgist, nome latinizzato dagli storici romani in Turgesius, il quale, dopo aver sconfitto gli Irlandesi e conquistato Dublino, attacca la Cornovaglia Romana. Con l'aiuto dei Gallesi, e in particolare di Hywel ap Rhodri Molwynog, sovrano del Gwynedd (Galles del Nord), Tommaso gli infligge una sconfitta decisiva, nella quale lo stesso capo vichingo rimane ucciso: è la prima seria debacle subita dai Vichinghi ad opera delle navi romane.
Ma questa vittoria ha svariate conseguenze. Tanto per cominciare, Hywel ap Rhodri Molwynog resta anch'egli ucciso nella Battaglia delle Scilly, e spunta un suo testamento che lascia il Regno del Gwynedd in eredità a Tommaso Augusto come possesso personale. I Romani, che già detengono il protettorato sui regni di Deheubarth e Brycheiniog, nel Galles meridionale, tornano così a rimettere piede nella regione. Allora Cyngen ap Cadell, re del Powys (Galles centrale), si allea con gli Irlandesi per evitare di restare schiacciato tra Romani e Anglosassoni. Tommaso considera questo una provocazione, poiché gli Irlandesi hanno più volte attaccato i possessi romani in Cornovaglia e in Armorica, e inizia una serie di campagne militari nella regione per ridurre all'obbedienza tutti i regni gallesi riottosi.
L'avanzata di Tommaso in Galles è coronata dal successo, ma così facendo egli trascura lo scenario Mediterraneo (del resto, egli era stato eletto imperatore per difendere gli interessi militari nell'Atlantico, e su quelli si concentra). I Bulgari e gli Slavi infatti avanzano nei Balcani, e gli Arabi in Anatolia. Approfittando del fatto che l'imperatore è tutto preso dalle sue campagne gallesi, nell'827 i Mori riescono ad installarsi nel sud della Sicilia. I siciliani sono per lo più stanchi dell'eccessivo fiscalismo romano, e sono ancora legati a una tradizione di lingua ellenica che ruota intorno alla greca Siracusa piuttosto che alla romana Palermo; per questo essi aprono praticamente le porte agli Arabi. Il generale romano Leone è inviato dal Senato in Sicilia per cercare di
sloggiare gli invasori, ma subisce diverse sconfitte ed è costretto a ritirarsi.
Il Senato si appella allora all'imperatore Tommaso, ma questi risponde di essere troppo occupato, e non ha torte: i
n tre successive campagne militari egli sottomette praticamente tutto il Galles, istituendo la Prefettura di Cambria. In tal modo egli "baratta" la Sicilia con quell'angolo di Britannia, una decisione che a molti a Roma non va giù. Quando Tommaso fa rientro nell'Urbe, alcuni senatori si oppongono alla celebrazione del suo trionfo, poiché ha trascurato la Sicilia a favore di quelle remote plaghe del nord, ma l'Augusto li fa ammazzare senza pietà dai suoi pretoriani, e sfila in trionfo per le vie di Roma portando con sé Cyngen ap Cadell, da lui preso prigioniero.
Tommaso dopotutto è un rude militare, e non si impiccia di questioni religiose, lasciando che sia l'Augusta Procopia a nominare i Papi Valentino e Gregorio IV. Sotto il suo regno tuttavia ha luogo un fatto molto rilevante. Il Trattato di Soissons, con cui è stipulata l'alleanza tra Tommaso e Pipino II di Germania, oltre che in latino viene redatto nelle rispettive lingue nazionali: dopo che entrambi hanno pronunciato il giuramento in latino, Tommaso pronuncia il medesimo testo in antico tedesco, la lingua dei Franchi, e Pipino II lo pronuncia in antico italiano, la principale lingua romanza nata dal latino, che in questa Timeline è parlata in tutti i territori dell'Impero d'Occidente dall'Armorica alla Calabria. Il Trattato di Soissons è perciò considerato la data ufficiale di nascita dell'italiano scritto, anche se ovviamente i grammatici dell'Impero continuano a sostenere il latino come unica lingua ufficiale. Da notare che nei territori dei Visigoti si sviluppa una lingua neolatina affine al nostro spagnolo, mentre una lingua simile al nostro francese emerge in Borgogna e nelle terre dei Franchi a ovest del Reno. Il volgare della penisola iberica assomiglia invece al nostro portoghese, a causa della sovrapposizione tra latino e lingua dei Vandali e degli Svevi, con influssi arabi; nelle terre intorno a Barcellona emerge invece il catalano, come nella HL.
Nell'830 Giovanni, figlio di Costantino VII, raggiunge la maggior età, e molti nel Senato e nell'esercito vorrebbero che egli assuma le prerogative imperiali al posto di Tommaso, ritenuto poco più di un usurpatore, ma ovviamente l'Augusto in carica non ne vuole sapere e mantiene ben salde le redini del regno, cominciando a progettare una spedizione per conquistare l'Irlanda. Procopia allora promuove una congiura per toglierlo di mezzo, ma essa viene scoperta per il tradimento di un pretoriano. Procopia viene strangolata, mentre suo figlio Giovanni è gettato in carcere. Tommaso, inferocito dalla congiura, dà inizio ad una vera e propria purga, eliminando tutti i funzionari a lui ostili che non hanno fatto in tempo ad allontanarsi da Roma; per questo lo storico Giovanni Scilitze lo ricorderà come uno dei peggiori tiranni della storia di Roma, alla pari di Nerone e di Domiziano. Giovanni non è eliminato subito solo perchè Tommaso pensa ad una sua esecuzione pubblica dopo il triofo che conta di celebrare grazie alle future vittorie sugli irlandesi.
Il 24 dicembre 832 viene scoperta una seconda congiura per eliminare l’imperatore prima che distragga forze dall’Oriente per realizzare il suo progetto di invadere l’Irlanda, permettendo così la conquista araba o bulgara delle prefetture orientali. Inferocito, Tommaso ordina che Giovanni sia buttato nella grande caldaia che fornisce l'acqua delle terme al palazzo imperiale. A questo punto però interviene il vescovo Sergio, Arciprete di San Silvestro, che con notevole coraggio apostrofa il tiranno: « Che cos'è questa giustizia che commina pene atroci nel giorno straordinario della splendida nascita di Cristo? » Tommaso, rabbonito, ordina di sospendere l’esecuzione fino a dopo il Natale e fa chiudere il suo rivale nelle segrete più profonde del palazzo, guardato a vista, mettendosi in tasca la chiave della cella e andando a letto. L’Augusto guerriero però non riesce a dormire, e decide di andare a vedere il suo prigioniero. Facendosi luce con una candela, egli scende da solo verso le prigioni imperiali, fino ad arrivare alla cella di Giovanni. Qui trova la guardia di turno che sta dormendo e Giovanni dentro la cella che dorme anch'egli. L’Augusto se ne va senza far rumore, ma dentro la cella c'è anche una terza persona, che Tommaso non aveva notato: era un servitore di Giovanni, che era riuscito ad entrare nella cella del padrone e, appena aveva sentito qualcuno avvicinarsi, si era nascosto sotto il pagliericcio del padrone. Il servo non ha visto in faccia Tommaso, ma lo ha riconosciuto dagli stivali rosso porpora, riservati al solo sovrano. Il servo sveglia Giovanni appena Tommaso se ne è andato, avvisandolo che l'Imperatore è stato appena lì. Giovanni allora ha un colpo di genio: sveglia il suo carceriere, dicendo che l'imperatore l'ha visto mentre dormiva, cosa che potrebbe costargli una dura punizione. In tal modo Giovanni riesce a convincere il suo carceriere a passare dalla sua parte, onde evitare il peggio. Grazie all'aiuto del carceriere, Giovanni manda in città il suo servo, con il pretesto che sta cercando un prete per l'estrema unzione del suo padrone: in realtà va a chiamare i sostenitori di Giovanni, affinché vengano a liberarlo.
I fedeli di Giovanni si travestono allora da monaci e si uniscono ai monaci veri nelle prime ore della mattina, davanti all’Arco Trionfale di Tiberio IV, dove essi intonano i canti di Natale, prima di entrare nella cappella del palazzo imperiale. I sicari di Giovanni entrano nel palazzo insieme ai monaci, con il volto coperto dai cappucci, e si dispongono nell’angolo più buio della cappella, per non dare nell'occhio. L'imperatore entra mentre i monaci cantano e va a sedersi. Quando le voci dei monaci intonano le note più acute, i sicari agiscono, si tolgono i sai e i cappucci e si lanciano contro l'imperatore, menando fendenti con i loro pugnali. Tommaso, che è disarmato, afferra un turibolo d’incenso e chiamò a sé i suoi pretoriani, che però sono già stati eliminati dai congiurati; dopo un lungo combattimento i sicari hanno la meglio, e Tommaso è letteralmente fatto a pezzi. I senatori vanno allora a liberare Giovanni, che viene rivestito degli abiti imperiali e incoronato solennemente da Papa Gregorio IV nella Basilica di San Giovanni in Laterano.
Alcune parti del corpo di Tommaso vengono addirittura buttate in una latrina, ma vengono ripescate per ordine di Giovanni, il quale afferma: « Ha fatto assassinare mia madre, ma era pur sempre imperatore di Roma ». I resti dell’Augusto ucciso sono portati al Circo Massimo, per far vedere alla popolazione che l'usurpatore è morto, e Giovanni indice sette giorni di festeggiamenti natalizi in onore del popolo di Roma, che lo ha acclamato nuovo sovrano. Alla fine Tommaso è sepolto nella Chiesa dei Santi Nereo e Achilleo.

Giovanni I l'Erudito (832-855)
Una volta salito al trono nell'820, Giovanni si preoccupa di cercare moglie, e per questo bandisce una specie di "concorso di bellezza": lo storico
Giovanni Scilitze ci dice che tutte le ragazze più carine dell'Impero accorrono nella capitale per partecipare. Giovanni inizia a passarle in rassegna, e rimane colpito da una delle candidate di nome Giovanna, nativa di Marsiglia, che gli viene presentata come la più colta tra le donne presenti. Volendo metterla alla prova, le dice ex abrupto: « Tutto il male viene all'uomo dalla donna ». Subito lei gli ribatte a caldo: « Ma è anche dalla donna che gli viene ogni piacere possibile! » Giovanni apprezza tanto questa risposta, che decide di scegliere lei come sua sposa. Giovanna gli darà due figli e quattro figlie.
Giovanni è uno dei sovrani meno guerrieri e più colti della storia di Roma: egli scrive lettere, saggi scientifici e versi in esametri, ed oltre al latino parla correttamente volgare italiano, tedesco, greco, ebraico e persino arabo. Per questo egli passerà alla storia come Giovanni I l'Erudito. Grandissimo ammiratore della cultura araba, nonostante l'ostilità della Chiesa egli chiama alla sua corte alcuni eminenti sapienti musulmani, tra cui il filosofo e scienziato Abū 'Uthmān 'Amr ibn Bahr al-Kinānī al-Fuqaymī al-Basrī (chiamato in latino Algiaitus) e l'alchimista Jābir ibn Hayyān al-Bariqi al-Azdi (latinizzato in Geberius). Quest'ultimo in particolare si rivela di fondamentale importanza per la storia della cultura europea, poichè è considerato il fondatore della scienza chiamata Alchimia, dall'arabo al-kimiyā, parola che indica la pietra filosofale, leggendaria materia in grado di trasformare ogni metallo in oro. E proprio la ricerca della pietra filosofale sarà uno dei chiodi fissi degli scienziati europei (e romani in particolare) per 800 anni; da tale ricerca deriverà la moderna Chimica.
Giovanni investe molti soldi nella cultura, fondando una serie di scuole per migliorare l'istruzione almeno dei più abbienti fra i suoi sudditi. Amante delle arti e della musica, a lui si deve la fondazione del primo nucleo della Scuola Medica di Salerno, da alcuni considerata la prima università. Anche l'Augusta Giovanna è molto colta, si circonda di letterati e poeti, e scrive lei stessa poesie. Secondo lo storico Giovanni Scilitze, ella tradisce ripetutamente il marito con gli intellettuali di cui si circonda, e l'imperatore ne è informato, ma decide di chiudere due occhi. Lo stesso sovrano, del resto, secondo gli storici colleziona amanti di entrambi i sessi. C'è chi afferma che nessun funzionario può fare carriera nell'amministrazione dello Stato, se non passa prima per il letto dell'imperatore. Nonostante questa libertà sessuale, Giovanni I fa professione in pubblico di grande pietà religiosa, partecipa regolarmente alla Messa e non si dimentica del Vescovo Sergio, che ha ritardato la sua esecuzione, salvandogli la vita e permettendogli di averla vinta su Tommaso: dopo la morte di Gregorio IV, il 25 gennaio 844 lo elegge nuovo Papa con il nome di Sergio II.
Dal punto di vista economico il regno di Giovanni rappresenta un periodo di prosperità, anche per la decisione del sovrano di investire in parecchie opere pubbliche importanti, come la costruzione di un ospedale che sopravvivrà fino all'età moderna e il rinforzamento delle mura di Roma.
Il più filoarabo degli imperatori romani è però costretto a combattere gli Arabi per quasi tutta la sua vita.
Nella notte tra il 24 e il 25 agosto dell'846 11.000 pirati saraceni attaccano di sorpresa Ostia, risalgono il Tevere e saccheggiano le chiese di San Pietro e San Paolo, poste fuori dalle mura di Roma, portando via l'altare d'argento. Gli Arabi prendono e saccheggiano anche Fondi e Gaeta; essi sono scacciati solo grazie al generale romano Guido, governatore militare di Spoleto, che sconfigge i saraceni a Civitavecchia, ributtandoli a mare. Il popolo romano tuttavia interpreta l'avvenuto saccheggio del Lazio una punizione divina per le scelleratezze e la corruzione che regnano in quel periodo alla corte di Roma.
Ancora peggio vanno le cose in Sicilia: Giovanni invia nell'isola Guido, divenuto suo cognato dopo aver sposato una sorella di Giovanna, perchè costringa alla fuga gli Arabi che hanno ormai occupato mezza isola, ma dopo alterne vicende Guido, promosso a Cesare e governatore militare della Sicilia, subisce a Centuripe un terribile rovescio che costa all'Impero la perdita dell'intera isola: il generale berbero Asbagh bin Wakīl, detto dai Romani Fargalus, sgomina l'esercito di Guido, che è composto per lo più da romani anatolici fuggiti dall'Asia Minore per evitare la dominazione musulmana e trapiantati in Sicilia. Guido fugge con i resti dell'esercito romano a Messina, trincerandosi in quella piazzaforte; nonostante l'eroica resistenza dei difensori, dopo 55 giorni di assedio e per tradimento Messina cade nelle mani di Asbagh bin Wakīl. 42 abitanti della città sono deportati in Africa settentrionale e trucidati dagli Arabi per il loro rifiuto di rinnegare il cristianesimo; sono i famosi Quarantadue Martiri di Messina, tuttora venerati dalla Chiesa Cattolica il 6 marzo. Guido ripara in Calabria, mentre cade anche Palermo, eletta capitale della Sicilia islamica (Siqilliyya). L'ultima piazzaforte romana in Sicilia, Drepano, cadrà dopo un lungo assedio il 21 maggio 868, cui seguirà il massacro di 2.000 abitanti e la schiavitù per i sopravvissuti, riscattati a peso d'oro solo molti anni più tardi. Guido si adopera per fortificare Reggio di Calabria ed impedire che gli Arabi mettano piede anche sulla Penisola, ma Giovanni I imputa a lui tutte le colpe della perdita della Sicilia, e così lo accusa falsamente di volergli usurpare il trono e lo fa decapitare.
Vanno meglio le cose in terra di Spagna: il generale Ignazio riporta brillanti vittorie sul Califfo Omayyade 'Abd al-Rahmān ibn al-Hakam II ed estende verso sud le frontiere romane, conquistando tra l'altro Helmantica (Salamanca) e Portus Cale (da cui deriva il nome del nostro Portogallo). Secondo la tradizione, il 23 maggio 844 Ignazio vince la Battaglia di Clavijo contro gli Arabi grazie all'apparizione dell'Apostolo San Giacomo, il quale, in groppa ad un cavallo bianco, avanza alla testa dell'esercito cristiano. Da qui viene l'appellativo di Ammazzamori conferito popolarmente all'Apostolo; sempre secondo la tradizione, in seguito a questa vittoria cessa il tributo annuo che i Romani dovevano versare al Califfato di Cordova e consistente in 100 vergini (il tributo si chiamava per questo motivo "delle cento donzelle"), ed è sostituito dal Voto di San Giacomo, un'offerta in denaro al santuario di San Giacomo di Compostella.
Sul fronte vichingo, continuano le incursioni dei Normanni sulle coste dell'Impero, ed i gallesi si integrano all'interno di esso proprio per godere della protezione romana contro di loro. Durante il regno di Giovanni I, il 23 giugno 839 muore l'imperatore Tedesco Pipino II, e il suo impero viene definitivamente spartito tra i suoi figli. Al primogenito Bernardo, poco amato dal padre, vanno la Burgundia e l'Alamannia; al secondogenito Carlo III il Calvo va l'ex Regno dei Merovingi con il titolo imperiale; al terzogenito Lotario tocca il Regno di Longobardia. Vanno così delineandosi tre nazioni germaniche ancor oggi esistenti: la Borgogna (da cui si separerà l'Alamannia, corrispondente alla nostra Svizzera), la Germania propriamente detta e la Lombardia, corrispondente alla nostra Austria. In Europa Orientale intanto il principe Mojmír I (790 - 846) fonda il Regno della Grande Moravia, primo potente stato abitato dagli Slavi Occidentali, che prende il nome dal fiume Morava, sulle cui sponde esso sorge, arrivando fin quasi alle coste del Mar Baltico. Esso crea grattacapi alla Longobardia e agli Avari; questi ultimi vedono sempre più eroso il loro territorio, e sono resi tributari dai Moravi. Per quanto riguarda invece gli Slavi Meridionali, Giovanni I firma un trattato di alleanza con il Re dei Serbi Vlastimir I (805-851), in chiara funzione antibulgara, onde contrastare l'ondata espansionistica di questo popolo.

Giovanni I è un imperatore assai controverso: alcuni storici lo considerano uno dei migliori e più capaci di questi secoli, altri lo descrivono un "tiranno illuminato" piuttosto aduso agli eccessi della gola e della carne. Giovanni Scilitze ci narra che egli si sforza di difendere i più deboli dai soprusi dei potenti, dando ascolto ai reclami che il popolo gli rivolge quando passa in lettiga per le strade di Roma e facendo loro giustizia; pare che egli abbia dato torto anche al fratello di sua moglie, in una controversia con un plebeo.
Psicologicamente provato dalla perdita della Sicilia e indebolito da una vita di stravizi, Giovanni I muore il 20 gennaio 855, a soli 43 anni, e gli succede il figlio Costantino VIII, che ha 14 anni, sotto la reggenza di sua madre Giovanna.

Costantino VIII (855-886)
A Giovanna riesce quanto non era riuscito ad Irene cinquant'anni prima. Infatti Costantino VIII è un sovrane debole e di scarso polso, al contrario della madre, dal carattere forte e decisionista; ella così non si limita a governare l'impero fino all'859, quando suo figlio raggiunge la maggiore età, ma continua a prendere le decisioni più importanti e a mettere il veto ai decreti del Senato di Roma anche dopo che suo figlio ha iniziato a governare formalmente da solo; ella ha sempre l'ultima parola su ogni questione, ed ascolta i consigli di una sola persona, il ministro Teoctisto, del quale è anche l'amante. Inoltre Giovanna mette becco anche nelle questioni religiose: è lei ad eleggere Papa Benedetto III, e i ben informati dicono che ella frequenta anche il letto di quest'ultimo. È Giovanna a reggere in effetti il timone della Chiesa, decretando la condanna e la deportazione degli eretici Pauliciani e di altre sette, tanto da far sorgere la leggenda della "Papessa Giovanna" (una donna che, travestita da uomo, sarebbe riuscita a farsi eleggere Papa).
Maggiormente indipendente dalle ingerenze dell'Augusta è il successore di Benedetto, Niccolò I, una personalità ascetica che dichiara deposto il Patriarca di Costantinopoli Fozio, gradito invece all'imperatrice. Per questo Niccolò è deposto nell'867 e sostituito con Adriano II, una marionetta nelle mani di Giovanna; successivamente riabilitato e canonizzato, sarà ricordato come San Niccolò I Magno.

Dato che la Grande Moravia sgomita per aprirsi la strada verso il Mediterraneo e attacca ripetutamente i Serbi e il Regno di Lombardia (la massima espansione di questo regno è raggiunta sotto il regno di Svatopluk I, dall'871 al 894), sulla base del principio per cui « i nemici dei nostri nemici possono essere nostri amici », nell'858 Giovanna invia tra i Moravi i fratelli Costantino (meglio noto con il nome monastico di Cirillo) e Metodio, nativi di Tessalonica, i quali riescono nell'impresa di convertire al cattolicesimo gli Slavi Occidentali, prima che i Tedeschi riescano a convertirli all'arianesimo; in particolare Cirillo traduce in lingua slava il Vangelo di Giovanni inventando un nuovo alfabeto, detto glagolitico (da glagol', "parola") o cirillico, tuttora in uso. Papa Niccolò I approva l'uso delle lingue slave nella liturgia, e Cirillo e Metodio gli portano in dono le reliquie di Papa Clemente I, da loro ritrovate in Tauride (Crimea), dove quel pontefice è stato deportato ed è morto nel 97 d.C.
Un altro grande successo è raggiunto nell'864 con la conversione al cristianesimo di Boris I, Khan dei Bulgari, che abbandona questo titolo pagano per assumere quello di Knjaz (imperatore). Con i Bulgari è così firmata una vantaggiosa alleanza: i due stati si impegnano a non attaccarsi a vicenda. Per precauzione, comunque, i Romani favoriscono l'ascesa del Regno di Serbia nei Balcani Occidentali, così da contenere l'espansionismo bulgaro, il cui stato si estende ormai dall'Epiro fino al Dnepr.
Occorre poi ricordare che nell'862, sotto il regno di Costanntino VIII, al capo variago (svedese)
Rjurik è offerto il titolo di Principe di Novgorod, purché sconfigga gli agguerriti nemici della città; Rjurik accetta, fondando il primo stato degli Slavi Orientali. In seguito i suoi successori sposteranno il baricentro del potere più a sud, a Kyev, dando vita alla Rus' (dal nome dei Roths, termine con cui i Variaghi indicavano se stessi); Oleg (879-912), successore di Rjurik, invia la prima missione diplomatica a Costantinopoli e prende contatti con i Romani per aprire una nuova stagione di scambi economici.
Dall'871 al 911 inoltre regna Etelredo II il Grande, Re di Mercia e primo sovrano di tutta l'Inghilterra (prende il posto di Alfredo il Grande della HL). Infatti, dopo aver sconfitto (grazie all'alleanza con i Romani) nella battaglia di Ethandun (878) i Danesi che hanno invaso buona parte della Gran Bretagna, si fa incoronare primo Re degli Anglosassoni. Uomo colto, Etelredo incoraggia l'istruzione e crea un codice di leggi, meritandosi il titolo di "Giustiniano inglese". Etelredo stesso, che da giovane è stato in pellegrinaggio a Roma con il padre Ceolvulfo II, contribuisce alla stesura della "Cronaca degli Anglosassoni", il primo saggio storiografico scritto in antico inglese. La Chiesa Cattolica lo venera come Santo.
Per quanto riguarda gli Arabi, sotto il regno di Costantino VIII il Califfato Abbaside comincia a frammentarsi in dinastie locali indipendenti dal potere centrale. Gli Omayyadi di Spagna si sono liberati già da un pezzo dalla sudditanza agli Abbasidi, e nel 929 'Abd al-Rahmān III si proclamerà a sua volta Califfo; gli Idrisidi governano in maniera autonoma il Marocco, gli Aghlabiti le nostra Algeria, Tunisia, Libia e Sicilia, i Tulunidi l'Egitto, la Siria e l'Higiaz, i Qaramiti il resto dell'Arabia, gli Hamdanidi l'Anatolia e il Kurdistan, i Tahiridi e i Saffaridi la Persia. Questo però lungi dall'indebolire la nazione araba, rafforza le mire espansionistiche di ciascuna delle dinastie resisi indipendenti. Infatti gli Hamdanidi dell'Anatolia infliggono alcune dure sconfitte ai Romani presso Efeso, al largo di Creta e in Sicilia, ma nell'863 la flotta romana riesce a rimettere le cose a posto con una brillante vittoria nelle acque dell'Egeo, sotto la guida di Teodoro, fratello di Giovanna. Quest'ultima ottiene che il fratello Teodoro sia nominato Cesare nel novembre 865, e mentre questi si occupa della difesa delle frontiere, lei pensa alla politica interna. Di particolare importanza è il fatto che ella riesce a rimettere in sesto l'economia dell'Impero, iniziando un periodo molto prospero per Roma. Durante il suo impero promuove la ricostruzione di numerosi edifici religiosi caduti in rovina, come la Basilica di San Clemente, costruita sopra un antico mitreo che l'archeologia moderna ha riportato alla luce. In tale chiesa si vede ancor oggi un affresco raffigurante un episodio della leggenda di San Clemente, nel quale, come in un moderno fumetto, si legge una delle più antiche testimonianza iconografiche del volgare italiano.
Giovanna muore improvvisamente nell'881; lo storico Giovanni Scilitze punta il dito contro suo fratello Teodoro, che la avrebbe avvelenata per prendere il suo posto al vertice dell'Impero. Infatti Teodoro, forte della sua carica di Cesare, si impossessa del sigillo imperiale e comincia a prendere decisioni senza nemmeno consultare il nipote Costantino, che è praticamente ridotto ad una marionetta nelle sue mani. Egli inoltre, dimostrando ben pochi scrupoli, commina pene di morte a tutti i suoi avversari, compreso il Ministro Teoctisto, già amante della sorella, reo di aver messo in guardia Giovanna contro di lui, e Papa Marino I, eliminato il 15 maggio 884 e sostituito con il più accondiscendente Adriano III.
Ben presto Teodoro si monta la testa e comincia a sobillare l'Augusto legittimo affinché abdichi in suo favore, portando a motivazione il fatto che Costantino VIII non si è mai sposato e non ha eredi, essendo vissuto all'ombra della madre,; inoltre il 22 ottobre 883 gli Arabi hanno saccheggiato e dato alle fiamme la storica Abbazia di Montecassino, e secondo Teodoro l'Impero ha bisogno di un sovrano forte, cioè lui. Costantino teme che, se gli dirà di no, verrà assassinato come sua madre, ed allora prende la prima ed unica coraggiosa decisione della sua vita: mena il can per l'aia con lo zio e contatta segretamente il generale Romano, che in Spagna ha conquistato Coimbra e costituito la Prefettura Portucalense (nel nord del nostro Portogallo), e che Teodoro ha richiamato a Roma perché geloso dei suoi successi. A Romano egli offre la carica di Cesare, purché lo aiuti a liberarsi di suo zio. Romano, avventuriero astuto ed ambizioso, coglie al volo l'occasione favorevole: con una scusa invita Teodoro a casa sua, quindi lo fa trucidare dai propri soldiati insieme alle sue guardie del corpo. Teodoro è processato post mortem con l'accusa di aver fatto uccidere Teodora, e il suo cadavere viene crocifisso fuori dalle Mura Aureliane. In cambio del suo tradimento, Romano ha il comando dell'esercito e il titolo di Cesare. Ma Costantino ha sbagliato i calcoli: lui è troppo debole per reggere da solo l'Impero, e Romano è troppo ambizioso per limitarsi a fare il numero due. E così, il 25 settembre 886 Costantino VIII viene ucciso da una sua guardia del corpo all'età di 45 anni. Subito spunta un suo testamento, nel quale egli nomina erede del proprio impero il generale Romano. Con lui finisce dopo quasi tre secoli la dinastia eracleana, e siccome Romano è originario delle Asturie, questi fonda la cosiddetta dinastia cantabrica.
Costantino VIII viene dipinto dagli storici romani come un pessimo imperatore, succube di quegli stessi personaggi che avrebbe dovuto dominare, ma il suo regno inaugura un periodo di prosperità per l'impero di Roma, che nel complesso si è notevolmente rafforzato attraverso un miglioramento generale dell'economia e un'efficace lotta alla corruzione dei funzionari statali.

Romano I il Cantabrico (886-897)
Romano sale al trono quando ha già 64 anni, ed essendo un generale di carriera la sua prima preoccupazione è quella di difendere l'impero dai nemici esterni, in particolare dagli Arabi. Approfittando del fatto che l'emiro di al-Andalus, 'Abd Allāh ibn Muhammad, è impegnato in contese intestine, Romano avanza lungo il Duero, e riesce a conquistare quelle che nella nostra Timeline sono le roccaforti di Zamora, Simancas, San Esteban de Gormaz ed Osma. Intanto vengono respinte scorrerie saracene contro le coste di Puglia e Calabria e contro le isole dell'Egeo.
Ma l'Impero Romano è minacciato da altri potenti nemici, vecchi e nuovi. In Bulgaria sale al trono Simeone I, che sarà detto il Grande (93-927), con il  quale il suo regno raggiunge la massima espansione territoriale. Egli è stato educato a Costantinopoli, e punta proprio a conquistare la Seconda Roma e tutti i residui possedimenti romani nei Balcani: alla fine del suo regno i confini bulgari raggiungeranno l'Attica. Tra l'894 e l'896 egli sconfigge i Romani e i loro alleati Serbi nella "Guerra del Commercio", cosiddetta perché il pretesto della guerra è lo spostamento del mercato bulgaro da Costantinopoli a Tessalonica. Nella decisiva battaglia di Bulgarophygon l'esercito romano è messo in fuga ed egli conquista Tessalonica, rendendola ai Romani solo dopo che la Bulgaria ha ricevuto tutte le zone con una popolazione slava in Macedonia e 20 fortezze in Epiro, tra cui l'importante città di Durazzo. Simeone I è il primo sovrano bulgaro a conferirsi il titolo di Zar (Imperatore, deformazione di Caesar), titolo che sia il Papa sia Romano I sono costretti a riconoscergli.
Ma un'altra terribile minaccia si affaccia all'orizzonte: gli Ungari, popolo di stirpe ugro-finnica che proviene dalle steppe dell'Asia, e precisamente dalla mitica terra di Yugra (da cui verrebbe il loro nome, da alcuni però collegato a quello degli Unni). Nell'896 il leggendario condottiero Árpád, figlio di Álmos, li guida nella pianura del medio Danubio e nella Pannonia, dove ormai il potere degli Avari è in decadenza, e dove il dominio dei Moravi non è ancora consolidato. ben presto le loro scorrerie colpiscono l'Impero Tedesco, la Lombardia, il Veneto, la Serbia, la Dalmazia romana e la stessa Bulgaria. Al loro seguito arrivano altri invasori asiatici, i Peceneghi o Patzinak, che sfruttano l'indebolirsi del Khanato Cazaro per insediarsi a nord del Mar Nero.
Intanto l'Impero di Germania conosce un breve revival grazie a Carlo IV il Grosso, terzogenito di Bernardo (figlio di Pipino II) e Re di Alamannia. Dopo la morte del fratello Pipino III nell'882 egli ereditò il titolo di Re di Germania. Dopo che nell'884 suo cugino Lotario II, re di Lombardia, muore in seguito a una caduta da cavallo durante una battuta di caccia, Carlo IV viene scelto dai maggiorenti del regno a succedergli come re dei Longobardi. E siccome il re dei Burgundi Carlomanno è ancora un bimbo, nell'886 Carlo IV è eletto anche re di quel popolo, e così si ritrova tutto l'impero di Carlo il Grande riunito nelle sue mani. Per Romano I si tratta di un vero e proprio incubo, giacché i Franchi non hanno mai nascosto il loro sogno di conquistare Roma. Ma l'Augusto stavolta è fortunato: Carlo il Grosso si rivela militarmente inetto, incapace sia di fermare le prime scorrerie degli Ungari, sia le razzie dei Vichinghi che risalgono addirittura il fiume Elba, ponendo sotto assedio Magdeburgo, una delle maggiori città dell'impero tedesco. La popolazione invoca l'aiuto di Carlo IV, ma l'imperatore, anziché organizzare una spedizione militare, tratta con Sigfrido, Re dei Vichinghi, convincendolo a togliere l'assedio a Magdeburgo dietro il pagamento di 700 libbre d'argento. Sigfrido accetta, ma solo a condizione di poter svernare sull'alto corso dell'Elba; in tal modo può mettere a sacco anche la città di Dresda. Come conseguenza, i baroni feudali tedeschi si riuniscono nella Dieta di Tribur, nei pressi di Darmstadt, nel novembre dell'887 e dichiarano deposto Carlo il Grosso, che morirà di lì a poco in un monastero. L'impero carolingio è definitivamente dissolto, con gran sollievo di Romano: Arnolfo di Carinzia, che ha difeso validamente Magdeburgo, viene proclamato Re dei Franchi Orientali, a est del Reno (la futura nazione tedesca); nella Dieta di Soissons Oddone è nominato Re dei Franchi Occidentali a ovest del Reno, dei Burgundi e degli Alamanni (la futura nazione borgognona); Berengario del Friuli e Guido di Vienna si contendono invece la corona di Re dei Longobardi, e sono troppo impegnati a guerreggiare tra di loro per creare problemi ai Romani.
Romano I muore a 75 anni il 9 agosto 897 a causa di una febbre provocata da un incidente di caccia, lasciando l'impero al figlio Giovanni II il Saggio. Lo scrittore Paul Adam farà di Romano I il protagonista di un romanzo storico dal titolo "Romain et Marie", pubblicato nel 1901, e nel quale il destino dell'Augusto è legato a una profezia.

Giovanni II l'Ubriacone (897-912)
Nell'893, quando aveva sedici anni, Giovanni è stato obbligato dal padre a sposare Placida, una ragazza tutt'altro che carina ed estremamente bigotta, figlia di un influente generale. Giovanni, che non la ama, non vuole rinunciare alla sua amante Teodora; Romano I allora va su tutte le furie e per punizione fa imprigionare Giovanni per tre mesi, bandendo Teodora da Costantinopoli ed imponendole di sposare Teofilatto, Senatore e Magister Militum dell'Impero Romano. Placida vuole a tutti i costi condividere la stessa pena del marito, insieme alla figlia appena nata Costanza.
Dopo la morte del padre, Giovanni II gli succede al trono, e subito mostra di quale pasta è fatto. Tra i suoi primi atti infatti va annoverato il cosiddetto "Processo al Cadavere": Formoso è stato eletto Papa il 6 ottobre 891 da Romano I, contro il parere di tutto il clero di Roma, poiché egli era filolongobardo (era stato Legato Pontificio in Lombardia) e sospettato di arianesimo. Sempre Formoso ha celebrato il matrimonio di Giovanni II con Placida, sua pupilla, e l'Augusto non glielo perdona. Infatti, alla morte di Papa Formoso il 4 aprile 896, gli succede prima Bonifacio VI, che regna solo quindici giorni, e poi Stefano VI, che è un partigiano di Giovanni. Dopo la morte di Romano I, dietro pressioni di Giovanni, Stefano VI convoca quello che sarà chiamato il "Sinodo del Cadavere". Il corpo di Formoso è riesumato, vestito dei paramenti pontifici e collocato su un trono per rispondere a tutte le accuse avanzategli dall'Augusto Giovanni II, tra cui: essere un criptoariano; aver ambito allo scranno papale con intrighi; aver rovinato i conventi di Roma; aver cospirato con i Longobardi contro l'Impero; e, naturalmente, aver celebrato il matrimonio di Giovanni II contro il volere di quest'ultimo. Il processo farsa stabilisce che Formoso è stato indegno del pontificato, tutti i suoi atti sono annullati, , le vesti papali gli sono strappate di dosso, le tre dita della mano destra, usate dal Papa per le benedizioni, gli sono tagliate, e il cadavere viene gettato nel Tevere. Il corpo di Formoso si arena su una sponda del fiume presso Ostia, dove viene raccolto da un monaco. secondo la leggenda indirizzato lì da una visione del defunto pontefice. Solo dopo la morte di Giovanni II, Formoso sarà riabilitato da Papa Teodoro II e nuovamente inumato nella basilica di San Pietro; Teodoro II vieterà anche ulteriori processi a carico di persone decedute. Di solito quest'episodio è citato per mostrare a quale livello di abiezione è giunto il Papato nel corso di quello che verrà chiamato il "Secolo Ferreo" della Chiesa di Roma. Lo storico Franco Cardini definirà il Sinodo del Cadavere « il processo più osceno, surreale e macabro della storia », mentre Claudio Rendina lo considererà « una delle azioni più infami nella storia della Chiesa ».
Nell'899 Giovanni I liquida anche la moglie Placida impostagli dal padre, accusandola di non avergli dato un erede maschio: il nuovo Papa Benedetto IV, anch'egli totalmente succube a Giovanni, annulla il matrimonio, e Placida è chiusa in convento, dove morirà poco dopo. In tal modo l'Augusto è libero di sposare la sua vecchia amante Teodora, da poco rimasta vedova di Teofilatto, dalla quale ha avuto due figli: Maria detta Marozia e Bonifacio. Teodora ha da Giovanni un'altra figlia, anch'essa femmina, Teodora II. Ma nel 902 anche Teodora muore di un'improvvisa malattia, lasciando Giovanni senza eredi diretti al trono. Deciso ad avere un erede maschio, ben sapendo che una successione controversa scatenerebbe il caos nell'impero, in un periodo delicato per via delle ripetute aggressioni arabe, Giovanni sposa una certa Eudocia Baiane, che finalmente mette al mondo un maschio, il 2 settembre 905, anche se la madre muore per complicazioni post partum; al bambino è posto nome Costantino. Giovanni si sceglie una nuova sposa nella persona di Gisla del Friuli, figlia del Re Longobardo Berengario del Friuli, che dovrebbe avere il compito di allevare Costantino come figlio suo; con tale scelta, Giovanni intende stringere con i Longobardi un'alleanza in funzione antimagiara. Ma Gisla rifiuta di convertirsi dall'arianesimo al cattolicesimo, ed allora Papa Sergio III (che il 29 gennaio 904 è stato scelto come nuovo Papa da Giovanni II perchè favorito e forse ex amante di Teodora) si rifiuta di celebrare le nozze. Gisla, così bella da venire chiamata dallo storico contemporaneo Eugenio Vulgario (887-928), pure a lei ostile, con l'appellativo di Carbonopsina (dagli occhi neri come il carbone), resta allora nel Palazzo Imperiale di Roma come amante dell'Augusto, onde non offendere Re Berengario rimandandogliela indietro; Sergio III, seppur non approvando, chiude entrambi gli occhi su questa situazione per evitare di venire deposto, ma buona parte del basso clero e dei fedeli di Roma comincia a contestare la presenza a palazzo della concubina straniera e ariana. Molte voci, tra cui quella di Eugenio Vulgario e dell'altro storico contemporaneo Ausilio di Napoli (870-930), si levano per denunciare la scandalosa depravazione della corte romana e del Papato, anche in considerazione del fatto che la figlia di Teodora e Teofilatto, Marozia, di appena 15 anni, è l'amante ufficiale di Papa Sergio III. Ausilio paga con l'esilio nelle isole Baleari la pubblicazione di un libello di denuncia contro la crisi morale del Papato e dell'Impero; è lui ad attribuire a Giovanni II l'epiteto di "Ubriacone", che gli resterà indosso per sempre. Il 6 gennaio 908 Crisogono, vescovo di Porto (l'odierna Fiumicino, impedisce all'imperatore di entrare in chiesa per la Messa dell'Epifania, accusandolo di vivere in peccato mortale, e come risposta è deposto e deportato nel Galles.
Intanto, s
ul piano militare, nel 904 Leone di Tripoli, un disertore di origine greca alla guida di un contingente di Arabi, assedia per tre giorni Tessalonica per poi saccheggiarla. Subito ne approfittano i Bulgari dello Zar Simeone, che avanzano e conquistano l'importante centro commerciale. Per evitare di perdere definitivamente la città, Giovanni II è obbligato a fare ulteriori concessioni territoriali a Simeone, portando il confine ad appena 20 km a nord di Tessalonica. Lo Zar bulgaro però non rispetta il trattato di pace, e nel 907 pone sotto assedio la stessa Costantinopoli; anche stavolta Giovanni è costretto a pagare un tributo annuo allo scopo di riscattare i numerosi prigionieri di guerra, e soprattutto a fare una pesantissima concessione ai Bulgari: il vescovado di Preslav è eletto a Patriarcato autonomo, sotto la guida del primo Patriarca Leontiy I. In tal modo la Pentarchia (le cinque storiche sedi patriarcali di Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme) si allarga ad Esarchia, e per la prima volta un popolo considerato "barbaro" da Greci e Romani ha il suo patriarcato autonomo (il Papa di Roma riconoscerà questo titolo nel 919). Inoltre Giovanni è anche obbligato a riconoscere Petar Gojniković, fedele alleato di Simeone, nuovo Re di Serbia: in tal modo lo Zar bulgaro può allargare la propria sfera di influenza sui territori slavi.
È degno di nota il fatto che Giovanni II non è considerato il solo sovrano militarmente inetto di quest'epoca. Il Re di Burgundia Carlo IV il Semplice, il cui dominio si estende tra la Senna, il Reno e il Mare del Nord, deve subire le continue incursioni dei Vichinghi, guidati da Hrôlfr, un nobile normanno che è stato bandito dalla Norvegia, soprannominato "Ganger", cioè "il Camminatore", in quanto a causa della sua straordinaria stazza (è alto più di due metri e pesa 140 kg) pare che non possa montare alcuna cavalcatura. Memore del fatto che Carlo il Grosso ha perso la corona imperiale perchè incapace di contrastare le incursioni dei biondi uomini del nord, egli decide di cambiare tattica: offre a Hrôlfr, da lui chiamato con il nome francesizzato di Rollone, tutto il settore del suo regno che si affaccia sul Mare del Nord, a patto che cessi le razzie, si converta al cristianesimo ariano e lo aiuti a difendere la regione da altri razziatori. Hrôlfr/Rollone è un barbaro ma non certo uno stupido, e accetta. Nasce così il Ducato di Normandia, posto più a nord di quello della HL, e precisamente tra la Haute-Normandie, la Piccardia e la Vallonia.
Nel
l'autunno del 911 l'isola di Creta è conquistata dagli Arabi; Giovanni II manda l'ammiraglio Imerio a riconquistarla, e l'assedio dura sei mesi, ma si risolve in un nulla di fatto. Ormai quasi tutti, a Roma, attribuiscono le sconfitte sul fronte orientale all'ira divina contro la depravata corte imperiale. Le voci sembrano avvalorate dalla notizia che Giovanni si è ammalato improvvisamente. Colui che passerà alla storia come "l'Ubriacone" si spegne nella sua residenza presso Napoli l'11 maggio del 912, a soli 35 anni. Siccome il figlio Costantino è ancora infante, gli succede il fratello Alessandro, 32 anni.

Alessandro (912-913)
Il regno di Alessandro è breve e tormentato. Appena salito al trono, egli rifiuta di pagare allo Zar Simeone I di Bulgaria i tributi pattuiti dal fratello, riaccendendo così la guerra. Anche in Spagna gli Arabi riescono a guadagnare qualche posizione, mentre i Vichinghi continuano a devastare le coste settentrionali dell'Impero. In quest'anno, Enrico l'Uccellatore diviene Duca di Sassonia; giocherà un ruolo importante nelle future vicende nordeuropee.
Secondo gli storici contemporanei, Alessandro si prende come concubina Gisla, che anzi secondo il cronista longobardo Flodoardo (893-966) gli è stata ceduta dal fratello Giovanni mentre era ancora in vita. I sinceri credenti, urtati da questa condotta scandalosa, affermano che il destino di Alessandro non potrà essere diverso da quello del fratello, poiché il Signore punirà duramente anche lui. Ed infatti, mentre Simeone si prepara alla guerra per conquistare Costantinopoli, suo eterno chiodo fisso, il 6 giugno 913 Alessandro muore improvvisamente, lasciando le sorti dell'impero in mano a un bambino di otto anni, ma in effetti nelle mani di un consiglio di reggenza capeggiato dal potente senatore romano Teofilatto, padre di Marozia, da Papa Anastasio III, docile strumento nelle mani di Teofilatto, e dall'ammiraglio Imerio.

Teofilatto (913-923)
Poco tempo dopo la morte di Alessandro, il Senatore Teofilatto si fa nominare Coimperatore con la solita scusa secondo cui Roma ha bisogno di una guida forte, e non di un Augusto bambino la cui madre non è mai neppure stata sposata con Giovanni II. Papa Anastasio III avalla quella che quasi tutti considerano un'usurpazione, e secondo i fedeli è per questo che il pontefice poco dopo muore. Come primo atto, Teofilatto promette sua figlia Marozia, che ha 21 anni ed ha una condotta assolutamente libertina, in sposa all'Augusto legittimo Costantino IX, che di anni ne ha solo otto. Tutto lascia perciò pensare che il nuovo sovrano continuerà sulla corrotta strada dei suoi predecessori, tanto che lo storico Giovanni Scilitze conierà per questi imperatori il termine "pornocrazia".
Per quanto riguarda i Bulgari, Teofilatto si reca personalmente a Costantinopoli, assediata da Simeone I, dove paga allo Zar bulgaro un tributo così ingente, da indurlo a ritirarsi. Visto poi che i Serbi sono entrati nell'orbita bulgara, e che i Cazari minacciano i possedimenti romani in Crimea, l'astuto Teofilatto fa alleanza con la nazione emergente dei Croati, i quali sgomitano per rendersi indipendenti da Ungari e Serbi, e con i Peceneghi, i quali infliggono ai Cazari una dura sconfitta. Teofilatto è così libero di riprendere le operazioni belliche in Italia, dove nel 916 gli Arabi sono duramente sconfitti nella Battaglia del Garigliano, e nella penisola iberica: anche lì egli si reca per guidare di persona l'esercito e, dopo che l'ammiraglio Imerio ha respinto un'incursione dei Vichinghi, conquista le città di Mérida, Évora Calahorra e Arnedo, attaccando anche Nájera e Tudela. Nel 920 l'emiro 'Abd al-Rahmān III ibn Muhammad penetra nel paese basco e sconfigge il generale Sanzio nella Battaglia di Valdejunquera, circa venticinque chilometri a sudest di Pamplona, e saccheggia quest'ultima città, ma in seguito Sanzio si allea con il Re dei Visigoti di Gallia Ordoño II e gli rende pan per focaccia.
Intanto, nel 919 Enrico I l'Uccellatore è eletto Re di Germania (cioè dei Franchi Orientali); secondo la leggenda, la corona gli è portata mentre è impegnato in una battuta di caccia in un bosco. Teofilatto stringe alleanza con lui contro gli Ungari e contro i Longobardi. Quanto a Papa Giovanni X, egli è deposto da Teofilatto per aver criticato la sua politica di alleanze con ariani (Enrico di Germania) e pagani (i Peceneghi).
Nel 921, quando il legittimo sovrano Costantino IX ha sedici anni, Teofilatto fa celebrare le nozze con sua figlia Marozia, che di anni ne ha 29, e un'impressionante schiera di amanti alle spalle. Ma ormai la parabola di Teofilatto volge al termine: il 15 giugno 923 egli muore, secondo i cronisti contemporanei a causa di un malore che lo coglie mentre egli è a letto con una delle sue numerose amanti. Costantino IX, che ora ha 18 anni, può finalmente dare inizio al proprio regno.

San Costantino IX il Saggio (923-959)
Come primo atto del suo governo, Costantino IX richiama sul Soglio di Pietro Papa Giovanni X, il quale subito annulla le sue nozze con la dissoluta Marozia. Marozia però non vuole rinunciare al titolo di imperatrice, nonostante non ami affatto Costantino (probabilmente in vita sua non ha mai amato davvero nessuno), e si appella al partito aristocratico che è stato guidato da suo padre. Quest'ultimo dichiara decaduto Costantino, ritenendolo un figlio illegittimo di Giovanni II, ed elegge imperatore Aurelio, governatore militare di Spoleto, cui è offerta anche la mano di Marozia. Saputo che Aurelio ha tradito il giuramento di fedeltà e sta marciando su Roma, Costantino IX e Papa Giovanni X fuggono via mare verso Genova. Pare che durante la fuga l'Augusto legittimo pensi seriamente di abdicare e ritirarsi in convento, ma il Papa con un discorso appassionato lo convince che Marozia e i suoi non gli permetteranno mai di restare vivo, e che lo Spirito Santo ha scelto lui, non la dissoluta Marozia, per guidare Roma e il mondo. Allora Costantino si rinfranca e raccoglie la fedeltà delle truppe della Gallia Cisalpina, oltre all'alleanza dei Visigoti e del Re di Borgogna Roberto I.
Lo scontro tra le truppe di Costantino e quelle di Aurelio avviene presso Pisa: il primo stravince, ed Aurelio cade in battaglia. Il popolo di Roma, che vede in Costantino l'imperatore giusto e morigerato in opposizione ai suoi dissoluti predecessori, ritiene che l'Augusto legittimo abbia dalla sua il favore divino, ed insorge per cacciare Marozia dalla città, ma suo fratello Teofilatto II, nuovo capo del partito aristocratico, fa caricare il popolo dai suoi pretoriani, per lo più mercenari ungari, che commettono un massacro, e questo non contribuisce certo alla popolarità di Marozia. All'arrivo di Costantino, che intende assediare la città, Marozia fugge di nascosto ad Ancona e da qui in territorio dei Longobardi. Intanto Costantino IX si insedia e fa impiccare Leone VI, eletto Papa dalla sua ex moglie, ed accusato di essere anche amante di Marozia, reinsediando Giovanni X al suo posto.
Nel
925 Tomislav I ottiene da Romano I la corona di Re di Croazia, nell'intento di formare una cintura di stati satelliti che proteggano l'Impero dalle invasioni degli Ungari, e di rafforzare l'alleanza tra i Romani e i loro vicini, dopo che i Serbi hanno tradito la fedeltà all'Impero per passare nell'orbita bulgara. Costantino IX ottiene anche alcuni successi contro gli Arabi di Spagna: i Romani avanzano verso il fiume Tago con l'intenzione di rioccupare Toledo, antica capitale della Spagna romana. Ma l'Emiro 'Abd al-Rahmān III ibn Muhammad, che nel 929 approfitta della crisi degli Abbasidi per assumere il titolo di Califfo, risponde spingendosi fino a Burgos, catturando molti prigionieri ed esigendo dieci piazzeforti romane. Il braccio di ferro tra il Califfo e Roma durerà due decenni.
Nel 927, una terribile carestia dovuta a cambiamenti climatici sfavorevoli porta molti contadini a cedere la loro terra ai grandi proprietari terrieri o ai conventi che possiedono grandi scorte di grano, e quindi possono superare la carestia. Le grandi famiglie nobiliari accumulano in questo modo grandi patrimoni. La cosa non va giù a Costantino IX, il quale teme che i grandi latifondisti si ritaglino uno stato nello stato, disintegrando l'impero; l'Augusto per questo vara leggi che obbligano i grandi proprietari terrieri a restituire le proprietà ai contadini senza ricevere in cambio denaro, se la terra è stata acquistata pagando una somma inferiore alla metà del suo vero valore. Per questo Costantino IX diventa l'idolo delle plebi.
Intanto Marozia alla corte longobarda non sta certo con le mani in mano: sposa Guido, Marchese di Verona, che nel 929 mette in atto un colpo di stato e si fa incoronare nuovo Re di Lombardia, con l'assenso del Re di Germania Enrico I l'Uccellatore. Marozia ora è regina, ma non ha rinunciato a prendersi la rivincita sul suo ex marito Costantino IX, che intanto ha sposato Eadgifu (o Edvige), figlia del Re d'Inghilterra Edoardo il Vecchio, la quale è colta, morigerata, religiosissima e lo rende padre di molti figli: Romano (deceduto infante), Giovanni, Anna, Maria, Lucia e Agata. Marozia inizia a far balenare al marito l'idea di rovesciare Costantino, farsi proclamare imperatore, unificare romani e longobardi e imporre l'arianesimo a tutto il bacino del Mediterraneo; secondo lei i grandi proprietari terrieri romani lo appoggeranno contro l'Augusto regnante, reo di aver varato politiche economiche che ledono i loro interessi. Guido si lascia convincere dalla moglie a dichiarare guerra ai romani con un pretesto, dopo essersi assicurato la neutralità del Re di Germania. Scelta improvvida, perchè dopo la morte di Simeone I di Bulgaria nel 927 il principale pericolo per l'Impero Romano è sventato, giacché i suoi successori non sono all'altezza del fondatore dell'Impero Bulgaro, e Costantino può concentrare tutte le sue forze ad occidente. Lo scontro avviene il 1 maggio 932 nei pressi di Pavia, e rappresenta un completo disastro per le forze longobarde; Guido muore, e suo fratello Ugo rientra precipitosamente in patria, succedendogli sul trono. Ma Marozia riesce a farsi sposare anche da quest'ultimo; in base al diritto ariano, Ugo non potrebbe sposare la cognata Marozia, ma egli giura il falso, affermando di essere figlio illegittimo del proprio padre, e così Marozia rimane regina.
Nel 936 Enrico I di Germania muore e gli succede il figlio Ottone I di Sassonia. Questi rinnova i trattati con i Longobardi, e così Marozia sobilla nuovamente Ugo affinché vendichi il fratello Guido. Ugo si lascia convincere e decide di lanciare una "guerra santa" ariana contro l'Impero cattolico romano, abbagliato dall'idea di diventare lui stesso Imperatore. Benché sconsigliato da Ottone I, nel 938 Ugo assedia Ravenna, ma ora Costantino IX può contare su un grande generale: Bardas Foca, nativo del Ponto Romano. Questi nel 931 è già riuscito a strappare Creta agli Arabi, scacciandoli definitivamente dall'isola, ed ora ottiene da Costantino IX il compito di contrastare i Longobardi. Bardas Foca libera Ravenna dall'assedio e costringe Ugo alla fuga nel suo regno; a questo punto però lo insegue, prende Padova e assedia il Re longobardo nella piazzaforte di Verona, sgominando una colonna di rinforzi proveniente da Vienna. Mentre l'esercito romano invade il Friuli e conquista Aquileia e Cividale, Marozia riesce a fuggire con un sotterfugio da Verona e a rifugiarsi a Vienna, dove invoca l'aiuto di Ottone I contro gli imperiali, lasciandogli intendere che non gli negherà certo le sue grazie, dopo averle concesse a un imperatore e a due sovrani. Segretamente però Ottone I si è accordato con Costantino IX: il Re di Germania, che ha appena conquistato l'Alamannia, muove con le sue forze verso Vienna, ma anziché portare aiuto ai Longobardi ne conquista la capitale e si fa incoronare Re di Lombardia. Sentendosi abbandonato da tutti, Ugo si toglie la vita e la piazzaforte di Verona si arrende a Bardas Foca. Il Veneto e il Friuli sono così riconquistati dai Romani dopo 350 anni, e il confine dell'Impero torna sulle Alpi, un baluardo certamente più sicuro del Po e del Mincio. Il Regno Longobardo dal canto suo cessa di esistere, spartito tra tedeschi e romani. Marozia tenta di fuggire presso gli Ungari, ma è catturata da Ottone I e riconsegnata a Costantino, che la mette a morte. Finisce così ingloriosamente l'epopea di uno dei personaggi più spregiudicati della storia di Roma.
Nel frattempo, nel 939 il generale romano Raniero riesce ad impartire una dura disfatta al Califfo Omayyade di al-Andalus 'Abd al-Rahmān III nella Battaglia di Simanca: d'ora in poi, per i gravi pericoli corsi, il Califfo non vorrà più partecipare in prima persona ad operazioni belliche. La vittoria sposta la frontiera romana dal Duero al Tormes, riconquistando Ledesma, Salamanca e Vitigudino. Bardas Foca riesce anche a recuperare terreno in Anatolia, sfruttando la gravissima crisi che il Califfato Abbaside sta attraversando.
Nel 941, poco dopo la costituzione della Prefettura di Venezia, Costantinopoli è assediata via mare da una flotta della Rus' di Kyev, comandata dal Principe Igor. Bardas Foca riesce a rompere l'assedio e a mettere in fuga gli invasori. Quando nel 945 Igor rimane ucciso in uno scontro con la tribù slava dei Derevljani, gli succede la moglie Olga, appartenente alla aristocrazia variaga della Rus' di Kyev. Questa decide di cambiare politica, e di stringere alleanza con l'Impero Romano. Raggiunge allora personalmente via mare prima Costantinopoli, poi Epidauro e quindi Roma, dove si presenta alla corte di Costantino IX, e decide di convertirsi al cristianesimo assieme al suo popolo; viene così battezzata da Papa Agapito II, e Costantino IX è suo padrino di battesimo e le impone il nome di Elena. Olga sarà poi canonizzata, ma fallirà nel tentativo di convertire tutto il suo popolo al cristianesimo, impresa che richiederà in tutto almeno un paio di secoli. È certo però che con questo atto la Rus' di Kyev entra di diritto nella storia europea.
Nel 947 Costantino IX fa approvare una legge che ordina l'immediata restituzione delle terre sottratte dai grandi latifondisti ai contadini liberi senza nessun indennizzo, e stabilisce l'ammontare del patrimonio inalienabile dei contadini-soldato. Quest'editto non sortisce gli effetti sperati a causa dell'aspra opposizione degli aristocratici, ma rendono Costantino il vero idolo delle classi più umili, le quali vedono in lui un vero inviato di Dio.
Il 10 agosto 955 un'alleanza tra il Re di Germania, Alamannia e Lombardia Ottone I, e i Romani guidati da Niceforo Foca, figlio di Bardas Foca, infligge una sconfitta decisiva ai razziatori Ungari nella Battaglia di Lechfeld; tale data è considerata il termine ultimo delle scorrerie Ungare verso occidente; il popolo magiaro comincia a diventare stanziale nella pianura pannonica, ed inizia la sua conversione al cristianesimo. In seguito a questo evento, Ottone I si fa incoronare Imperatore di Germania, e Costantino IX riconosce il suo titolo. I due sovrani firmano anche un vantaggioso trattato commerciale.
Non molti lo sanno, ma oltre a governare l'impero, Costantino IX si interessa alle arti e alle scienze; secondo Rodolfo il Glabro, uno dei maggiori cronisti di questi secoli, egli è pittore, scultore, scrittore e musicista. Gli sono attribuiti due importanti trattati sulla società e sulla storia romana, il "De cerimoniis aulae romanae" e il "De Administrando Imperio", e una fondamentale enciclopedia di agraria, la "Geoponica", nella quale viene introdotta la rotazione triennale delle colture.
Importanti le sue opere di codificazione delle leggi, ristrutturazione delle forze armate e amministrazione del potere periferico. Sotto il suo regno viene promossa un'intensa attività scientifica: egli è il primo a diffondere nell'Impero Romano le cosiddette cifre arabe, assai più pratiche per i calcoli della tradizionale numerazione romana, grazie anche ai contatti con alcuni importanti studiosi islamici, come Abū Sa'd al-'Alā' ibn Sahl, latinizzato in Avansalis, che insegna all'università romana di Salamanca. Occorre citare anche Abū l-Qāsim Muhammad bin 'Alī al-Nāsībī, latinizzato in Avancalius, uno dei maggiori viaggiatori e geografi arabi, che nel corso di un viaggio trentennale attraverso tutto il mondo conosciuto, dal Golfo di Guinea alla Cina, nel 952 visita Roma ed ha accesso alla Biblioteca di Palazzo di Costantino; nel suo monumentale trattato "Kitāb al-masālik wa l-mamālik" (Libro delle vie e dei reami) egli definirà l'Augusto « nobilissimo tra i signori e sapiente tra i sapienti più illustri ». Grazie anche alle conoscenze di Avancalius, sotto il regno di Costantino viene edita la "Geographia Universalis Libri XII", tra l'altro il primo testo in latino a riportare l'esistenza del Lago Vittoria (nel quale sono poste le sorgenti del Nilo) e del Giappone.
Nel settembre 959 Costantino IX cade malato, tra la costernazione del suo
popolo che ha buoni motivi per glorificarlo. Papa Giovanni XII (il secondo Papa della storia a cambiare nome al momento dell'elezione, al secolo si chiama Ottaviano), da lui stesso innalzato al Soglio, gli consiglia di sottoporsi all'effetto benefico dei famosi Bagni di Tivoli, a 9 Km da Roma, le cui acque termali sono state magnificate tra gli altri da Catullo, Virgilio, Galeno e Plinio il Giovane. Ma l'Augusto conosce bene la medicina, avendola studiata a lungo, e capisce che la sua malattia non gli lascerà scampo. Muore il 9 novembre 959, a soli 54 anni, tra il compianto generale; gli succede il figlio Giovanni III, di vent'anni. Dopo la morte, egli viene canonizzato solennemente a furor di popolo da Papa Giovanni XII. Tutti gli storici sono concordi nel ritenerlo un imperatore di prim'ordine, protagonista della rinascita dell'Impero e del Papato dopo la triste stagione della "pornocrazia", e dunque il suo appellativo de "il Saggio" appare quanto mai meritato, in un mondo in cui la saggezza è quanto mai rara.

Giovanni III (959-963)
All'età di vent'anni Giovanni III
riceve in eredità dal padre quello che è l'Impero Romano più prospero e più esteso dai tempi di Giustiniano I. Lo storico Rodolfo il Glabro lo descrive come completamente inetto e del tutto disinteressato alle questioni di governo: egli si occupa solo di caccia e di romanzi d'amore, che in questo periodo vanno assai di moda a Roma.
Il merito di reggere le sorti dell'Impero durante il suo regno va al Senatore Crescenzio, fratello di Papa Giovanni XIII (da lui stesso indicato), ed al generale Niceforo Foca, che riconquista Creta, Cipro, la Licia e parte della Caria e della Panfilia agli Arabi. Durante il breve regno di Giovanni, Ottone I di Sassonia allarga ancor di più il proprio dominio sconfiggendo Mieszko I, Principe dei Polacchi, e lo costringe a pagargli tributo. Come risposta, Mieszko I invia ambasciatori a Roma e si dichiara Amico del Popolo Romano, titolo concessogli da Crescenzio. Quest'ultimo invia anche missionari in Polonia, che iniziano la conversione di questa nazione al cattolicesimo; la nascente entità statale polacca accoglie questa fede in evidente funzione antiariana e quindi antigermanica. La Chiesa di Roma ha già ottenuto la conversione al cristianesimo del nuovo Regno di Boemia, dopo la disgregazione della Grande Moravia ad opera degli Ungari, mentre non ha successo l'invio di missionari romani in Scandinavia.
Giovanni III ha sposato Beatrice, figlia del Re di Borgogna Ugo il Grande (898-956), che gli dà tre figli: Romano, Costantino e Teodora. Quest'ultima il 14 aprile 972 sposerà Ottone II, figlio dell'Imperatore di Germania Ottone I; con questa mossa, il sovrano germanico sogna di riunificare la sua corona e quella di Re dei Romani, traguardo già sfuggito a Carlo il Grande. Teodora, che rifiuta di convertirsi all'arianesimo ma permetterà che suo figlio venga cresciuto in questa religione, avrà grande influenza sull'Impero di Germania, facendo sì che esso assimili alcune strutture di governo tipiche dell'Impero di Roma. Invece Matilde, figlia di Ottone I e sorella di Ottone II, sposerà Vladimir I il Grande di Kyev, nella vana speranza di trascinare il maggior stato slavo nell'orbita ariana.
Giovanni III muore il 15 marzo 963, ad appena 25 anni, due giorni dopo la nascita della figlia Teodora. Secondo lo storico Giovanni Scilitze, notoriamente avverso agli ariani, dietro la morte dell'Augusto c'è la mano della moglie, che lo avrebbe avvelenato per restare unica padrona dell'Impero (e infatti poco dopo sposerà Niceforo Foca), ma questa interpretazione è smentita da altri cronisti contemporanei agli eventi, che non vedono un motivo per cui Beatrice dovrebbe uccidere il marito, completamente assente dalla sua vita e dall'educazione dei figli. Si pensa piuttosto che la morte in giovane età dell'Imperatore sia dovuta piuttosto agli eccessi della gola e del vino cui egli si abbandona.

Niceforo II Foca (963-976)
I figli di Giovanni III, Romano e Costantino, hanno rispettivamente cinque e tre anni al momento della sua morte, e sono sottoposti alla tutela della madre; l'impero si trova perciò privo di una guida forte, proprio nel momento in cui i più pensano che Roma ne avrebbe più bisogno. Il Senatore Crescenzio propone perciò che, come Procopia un secolo e mezzo prima, anche Beatrice scelga un nuovo marito che dovrà guidare la transizione, fino a che il piccolo Romano non sarà adulto; ed ovviamente pensa a se stesso. Ma Beatrice ha altri progetti, e si mette d'accordo con Papa Giovanni XII per promuovere la candidatura di Niceforo Foca, presentato come il valoroso soldato che ha inflitto sconfitte decisive sconfitte agli Arabi. Quando Niceforo arriva a Roma, i suoi sostenitori nel Senato hanno ottenuto l'allontanamento di Crescenzio dal potere, e l'abile propaganda del Papa presso le masse fa sì che Niceforo II Foca sia incoronato Imperatore, subito dopo aver sposato l'Imperatrice vedova. Formalmente Niceforo è coimperatore insieme ai figli di Giovanni III, ma in effetti è lui a tenere in mano tutto il potere.
Niceforo Foca proviene da una nobile famiglia greca, e per questo, a differenza dei predecessori, favorisce la ricca aristocrazia fondiaria a scapito dei piccoli proprietari terrieri. Inoltre egli è anzitutto il più prestigiosi generale dell'Impero, e dunque continua la sua politica bellicosa, soprattutto contro gli Arabi e i Bulgari. Approfittando dell'inettitudine di Giovanni III, il califfo Omayyade al-Hakam II ibn 'Abd al-Rahmān ha riconquistato Atienza e Calahorra, cosicché Niceforo II si reca personalmente in Spagna e riesce a riconquistare Calahorra dopo sanguinosi combattimenti, approfittando del fatto che al-Andalus è minacciata dal Califfato Fatimide che si è creato in Egitto. Alla fine però l'Augusto e il Califfo Omayyade fanno la pace e firmano un trattato trentennale che prevede tra l'altro la traduzione di testi arabi in latino e di opere latine e greche in arabo: un'operazione assai più vantaggiosa di qualsiasi vittoria militare, che contribuisce a diffondere le cifre arabe nell'Impero Romano, oltre ad un gran numero di importanti opere letterarie. Nel frattempo suo fratello Leone Foca sconfigge ripetutamente i Bulgari e riconquista vaste aree dell'interno della Grecia, oltre al retroterra di Tessalonica. Nel 965 una spedizione congiunta dei Romani e della Rus' di Kyev capitanata da Leone Foca e da Sviatoslav I, che parte dalle basi romane in Crimea, porta alla presa di Itil, l'antica capitale dei Cazari, e alla definitiva caduta del loro Khanato. Meno fortuna avrà Sviatoslav I nella sua campagna contro Kurya, Khan dei Peceneghi, del 972: egli cadrà in battaglia, e con il suo cranio il Khan si farà fare una tazza.
Nel 966 i Vichinghi invadono le coste della Galizia e razziano San Giacomo di Compostella, costringendo Niceforo II Foca a intervenire: l'Augusto riesce a chiudere nei fiordi della Galizia le navi vichinghe, che vengono annientate: questa non è certo la minore delle sue imprese
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A causa delle alte spese dell'esercito, Niceforo II è costretto a risparmiare in altri settori. Diminuisce così gli sprechi della corte, introduce nuove tasse e svaluta il solido d'oro. TRutto ciò non contribuisce certo ad aumentare la sua popolarità, fornendo le motivazioni per lo scoppio di alcune rivolte.
Nel dicembre 969 sua moglie Beatrice ordisce un complotto contro di lui, mettendosi d'accordo con il cognato Leone per fargli le scarpe. A differenza della nostra Timeline però la congiura fallisce, perchè "questo" Niceforo II gode ancora dell'appoggio dell'esercito; il complotto è sventato, e i suoi due protagonisti si salvano solo perchè l'Augusto dichiara: « Non voglio macchiarmi del sangue di mio fratello e della madre del futuro Imperatore di Roma ». Entrambi sono però rinchiusi in monastero: Leone sul Monte Athos, dove morirà poco dopo, e Beatrice a Duino, vicino a Trieste, dove vivrà per altri vent'anni. La lunga permanenza di Beatrice a Duino è legata alla leggenda della "Dama Bianca": si dice che il suo fantasma diafano e inconsolabile vaghi ancor oggi per le stanze del castello, rimpiangendo di non essere riuscito a mettere in atto il suo complotto. La sua apparizione (oggigiorno divenuta un business per i turisti che vi si recano) è tradizionalmente legata ad eventi luttuosi per l'Impero di Roma, come la morte di un Augusto o una grave disfatta militare: pare che le prime segnalazioni dell'inquietante fantasma bianco siano collegate ai successi di Almanzor in Spagna contro le armate romane, di cui parleremo tra poco.
Dopo aver sventato la congiura di suo fratello, Niceforo II deve lottare ancora sue due fronti: è costretto ad intervenire personalmente in Calabria, le cui città costiere sono minacciate dagli Arabi di Sicilia, mentre suo cugino Bardas Foca viene spedito in oriente a combattere lo Zar di Bulgaria Boris II, che minaccia di nuovo Costantinopoli; Bardas lo sconfigge e lo prende prigioniero nella battaglia di Arcadiopoli. Effettivamente Niceforo II ha la tentazione di farsi fare una tazza con il cranio dello Zar, così come era capitato al suo omonimo Niceforo I per mano del Khan Krum, ma poi l'Augusto si ricorda di essere un sovrano cristiano, e Boris II è risparmiato, anche se morirà in prigionia. A Bardas è concesso di celebrare il trionfo per le vie di Roma, anche se in seguito Niceforo II diverrà geloso dei suoi successi militari, temendo che si monti la testa come suo fratello, e lo farà esiliare in Cornovaglia.
Il 7 maggio 973 è morto Ottone I, e alla guida dell'Impero di Germania gli è successo il figlio Ottone II, che ha grandi ambizioni e non ha rinunciato al sogno di unificare Roma e la Germania, ma rinnova i trattati di amicizia firmati da suo padre. Negli ultimi anni Niceforo II Foca deve combattere ancora contro i Vichinghi e contro gli Arabi, ma muore improvvisamente il 10 gennaio 976 di ritorno da una vittoriosa campagna contro i Mori, mentre già pensa alla riconquista della Sicilia, e viene sepolto nella Basilica di Santa Maria in Cosmedin, che lui stesso ha fatto ricostruire. Diverse fonti dell'epoca sposano la tesi che l'imperatore sia stato avvelenato dal ciambellano imperiale Giovanni Crescenzio per impedirgli di togliergli le terre e le ricchezze da lui illecitamente accumulati. Gli succede Romano II, figlio di Giovanni III, che ha appena compiuto diciotto anni, e che nominalmente era coimperatore dal 960.
Sotto il regno di Niceforo II ha luogo la cristianizzazione della Danimarca: il suo Re Harald I Blåtand ("Dente Azzurro", da cui il nome del moderno dispositivo Bluetooth!), dopo aver respinto i missionari cattolici, si converte invece all'arianesimo dopo aver stretto alleanza con Ottone I di Germania.
Niceforo II è autore del "De Velitatione Bellica", un trattato sulle tattiche militari romane, che contiene informazioni preziose riguardanti le strategie di guerra di questi secoli, sia dell'Impero che dei suoi nemici principali (Arabi, Bulgari, Peceneghi). La fama di questo Augusto è sopravvissuta al trascorrere del tempo, tanto che tuttora a Creta vi è un comune chiamato Niceforo Foca, e il 19 novembre 2004 la marina militare romana ha battezzato una sua fregata F-466 Niceforo Foca, proprio in onore di questo imperatore che con la spada e la diplomazia ha aiutato Roma ad uscire dal suo "Secolo Ferreo".

Romano II Ammazzamori (976-1025)
Il regno di Romano II durerà poco meno di 50 anni, a cavallo del fatidico anno Mille, e di esso ci resteranno innumerevoli resoconti da parte dei più famosi storici di ogni tempo. I più attendibili sono quelli dei contemporanei, in particolare
Guglielmo da Volpiano (962-1031) e Michele Psello (1018-1078). Secondo quest'ultimo Romano II porta una foltissima barba, ha occhi di un azzurro pallido, è di bassa statura ma dal portamento autorevole, è parco nel mangiare ma vanitoso nell'abbigliarsi (va pazzo per le vesti di porpora, colore riservato all'Imperatore), è religioso ma non bigotto, considera gli Arabi i suoi peggiori nemici ma apprezza molto la loro cultura, è un ottimo cavallerizzo e ha un unico vizio: le belle donne (pare che abbia lasciato non meno di venti figli illegittimi). Durante il suo regno, l'Impero Romano conosce un periodo di grandissimo splendore.
Nei primi anni del suo regno, il giovane imperatore deve affrontare numerose guerre civili, causate da alcuni suoi generali, che lo ritengono troppo giovane per governare Roma. A ciò si aggiunge la tendenza di Romano II a contrapporre alla grande aristocrazia militare delle province una nuova aristocrazia proveniente dai settori più attivi dell'economia e dell'apparato burocratico, sostenendo nel contempo la piccola proprietà terriera, come aveva fatto suo nonno Costantino IX il Saggio. Ciò non può non suscitare opposizioni: nell'arco di undici anni scoppiano ben due guerre civili.
La prima rivolta è quella del generale Bardas Sclero, nativo di Rodi e già fedelissimo di Niceforo II Foca, che lo ha nominato comandante supremo delle truppe orientali romane in Asia. Dopo che il governatore militare di Costantinopoli Basilio ha tentato di destituirlo del comando dell'armata, Bardas si fa acclamare Imperatore dalle sue truppe; secondo Michele Psello il generale ribelle ha intenzione di mantenere sul trono Romano II, ma di tenere in mano il potere effettivo fungendo da reggente, proprio come Niceforo II. Nell'autunno 977 egli consegue alcune vittorie importanti grazie all'appoggio della flotta romana dell'Egeo: sbarcato a Brindisi, conquista Taranto all'inizio del 978 e marcia in direzione della capitale, ma Romano II vince tutte le battaglie marittime, costringendo alla resa la flotta dell'Egeo che dovrebbe occupare Ostia. Il figlio di Giovanni III inoltre richiama dall'esilio Bardas Foca, silurato alcuni anni prima da suo cugino Niceforo II, e gli affida il comando delle forze di terra romane. Bardas Foca rimane sorpreso da questa nomina, ma non si tira indietro, e il 24 maggio 979 infligge a Montemaggiore, presso Foggia, una dura sconfitta. Secondo Michele Psello, Bardas Foca sfida a duello Bardas Sclero e lo ferisce in volto, ma quest'ultimo riesce a fuggire, e si rifugia al Cairo, alla corte del Califfo Fatimide Abu Mansur Nizar al-Aziz Billah. Bardas Foca diventa così comandante in capo delle forze romane.
Siccome la Dinastia Cantabrica ha bisogno di un erede, Papa Benedetto VII consiglia al giovane imperatore di smetterla di correre dietro a tutte le nobildonne romane senza impegnarsi con nessuna, e di scegliersi una moglie che gli dia degli eredi: la traumatica fine della Dinastia Carolingia di Germania per mancanza di eredi diretti capaci è un ricordo ancora ben vivo. Romano decide allora di mettere la testa a partito, e chiede al Re dei Visigoti di Gallia García Fernández el de las Manos Blancas ("dalle mani bianche") di inviargli in sposa una delle sue numerose figlie, onde cementare l'amicizia tra Romani e Visigoti. García Fernández gli invia allora Elvira Garces, di soli 17 anni, la più bella dei suoi sette figli, e le nozze che si celebrano a Roma sono così sontuose, che al popolo vengono offerti 10 giorni di festeggiamenti gratuiti. Per l'occasione vengono messe in scena per la prima volta rappresentazioni teatrali in volgare italiano, le cosiddette "Sacre Rappresentazioni", di argomento biblico o agiografico; la Chiesa le incoraggia in modo da istruire nella dottrina cristiana anche i fedeli che non sanno più parlare latino, e che ormai sono la stragrande maggioranza. Queste Sacre Rappresentazioni segnano l'alba della letteratura volgare italiana.
In effetti, pur essendosi sposato, Romano II non rinuncia a frequentare saltuariamente le sue amanti "storiche", ma Elvira Garces, tutta compresa nel suo ruolo di Augusta, non sembra fare le bizze per questo, ed anzi darà all'imperatore quattro figli: la primogenita Maria, che andrà sposa a Re István I d'Ungheria; l'erede al trono Giovanni; Benedetto, che sarà Papa con il nome di Benedetto VIII (1012-1024); e Giulia, che sarà badessa nel Convento delle Benedettine di Santa Cecilia a Roma.
Intanto il 14 luglio 982 l'imperatore Ottone I di Germania subisce una dura sconfitta contro i polacchi guidati dal Principe Mieszko I nella Battaglia di Cedynia, sul fiume Oder; con questa campagna, Ottone I sperava di conquistare la Polonia e di convertirla all'arianesimo. Invece, grazie ad un voto fatto poco prima della battaglia, Mieszko I si converte con il suo popolo al cattolicesimo, e la capitale polacca Gniezno diventa sede di arcivescovado. Deluso e malato, Ottone II si ritira nel suo palazzo di Magdeburgo e vi muore il 7 dicembre 983 ad appena trent'anni. Il figlio Ottone III viene incoronato imperatore di Germania a soli tre anni, sotto la reggenza della madre Teodora, che è sorella di Romano II, e per questo malvista in Germania. Il Duca di Baviera Enrico il pacifico, cugino e rivale di Ottone II, decide allora di estromettere Teodora dal governo, sequestra Ottone III e si fa nominare reggente, ma l'imperatore Romano II reagisce con durezza e minaccia la guerra. Enrico tenta di raccogliere truppe, ma i grandi baroni feudali tedeschi non hanno intenzione di combattere una guerra devastante contro l'Impero di Roma, proprio nel momento in cui questo è all'apogeo della propria forza militare, e destituiscono Enrico, restituendo la reggenza a Teodora. Per limitare l'influenza romana sul nuovo imperatore, a Teodora è affiancato Willigis, vescovo ariano di Magdeburgo. In ogni caso Ottone III cresce impregnato di cultura greca e romana (oltre al tedesco parla correttamente latino e greco), e non si cura di nascondere il suo disprezzo per i rozzi  costumi sassoni, cui preferisce di gran lunga le raffinatezze della vita romana.
Nel 985 Romano II conduce di persona la sua prima campagna militare, contro i Bulgari: infatti i figli del governatore di Macedonia Nicola hanno organizzato una rivolta in quella prefettura, con l'appoggio dello Zar di Bulgaria Samuele. Romano II sconfigge i congiurati, riconquista tutta la Macedonia e quindi si spinge in territorio bulgaro, conquistando Serdica (l'attuale Sofia). Mentre torna a Costantinopoli cade in un'imboscata dei Bulgari e si salva a stento, ma riesce a rientrare a Bisanzio e a riprendere la guerra.
Di questo conflitto pensa di approfittare il Califfo Fatimide, che ha accolto Bardas Sclero alla sua corte e pensa di usarlo per conquistare l'Italia meridionale; equipaggiato con uomini e mezzi dal califfo di Baghdad, Sclero si autoproclama Augusto ma, una volta sbarcato in Calabria, comprende che i generali non lo appoggeranno, in quanto fedeli a Bardas Foca. A questo punto quest'ultimo, che sa di essere diventato assai popolare per le sue vittorie, decide di proclamarsi a sua volta Augusto e propone a Sclero di unire le forze per dividersi l'Impero: la parte occidentale toccherà a lui, mentre a Bardas Sclero andranno i territori asiatici. Sclero accetta, ma poco dopo Bardas Foca lo fa eliminare.
Romano II, informato della rivolta, ritorna rapidamente in Italia attraversando l'Adriatico, ed ottiene l'alleanza di Bermudo II, Re dei Visigoti di Gallia, che gli invia ben seimila soldati in cambio di alcune rettifiche di confine a suo favore. Il 16 gennaio 989 l'esercito di Romano II così rinforzato attacca l'accampamento di Bardas Foca, non facendo prigionieri. Bardas Foca torna alla carica con le truppe che erano state di Sclero ed assedia Capua, ma la città resiste, e Romano II manda in soccorso un esercito comandato da suo fratello Costantino. All'alba del 13 aprile avviene lo scontro decisivo: l'esercito di Bardas Foca è trucidato, e secondo Michele Psello l'usurpatore è ucciso in duello dallo stesso Romano II, che oramai non ha più avversari, ed è il padrone incontrastato dell'Impero Romano.
Mentre però Romano II è impegnato nella guerra civile, in Spagna le cose si stanno mettendo male ad opera di Muhammad ibn Abī 'Āmir, reggente del Califfo Omayyade di al-Andalus, Hishām II ibn al-Hakam, e comandante in capo delle forze armate musulmane in Spagna. I suoi soldati lo hanno soprannominato al-Mansūr bi-llāh, "Colui che è reso vincitore da Dio", e per questo è noto ai cristiani come Almanzor. Dopo aver arruolato un gran numero di mercenari berberi e vichinghi, già nel 985 ha saccheggiato Zamora, e Basilio II ha ordinato di ammassare truppe nella valle del Douro, ma nel 988 Almanzor infligge al generale Graziano una terribile sconfitta nella battaglia di Rueda, 40 km a sudest di Simancas, riportando il confine al fiume Douro e rioccupando grandi città come Coimbra, Viseu, Salamanca e Sepulveda. Ai primi del 989, poi, Almanzor assedia Barcellona, anche se non riesce a conquistarla.
Finita la stagione delle guerre civili, Romano II decide di mettere fine a questo stillicidio intervenendo di persona in Spagna. Nella primavera del 990 parte alla volta di Barcellona con un grande esercito, e da quel momento fino al 995 non allenta mai la presa sulla Spagna, riconquistando, assediando e radendo al suolo molte città della penisola iberica. Nel 994, mentre Romano è impegnato nell'assedio di Medinaceli (nome dato dai Romani alla città araba di Madinat-Sālim, cioè "Città di Sālim"), Almanzor lo sorprende e mette a sacco il santuario di San Giacomo di Compostella (anche se non distrugge la tomba dell'Apostolo). Romano risponde catturando vivo l'emiro di Saragozza e scambiandolo con 500 prigionieri romani. L'Augusto non vince epocali battaglie, né la sua è una conquista lampo: la sua convinzione è che il successo dipenda dalla capacità organizzativa. Nessun suo soldato si deve immolare conn atti eroici, perché rischierebbe, oltre che la sua vita, quella dei suoi compagni, creando varchi nella formazione militare.
Quando la tattica di Romano sembra dare i suoi frutti, egli è richiamato in Oriente, dove lo Zar Samuele di Bulgaria minaccia di nuovo i possedimenti romani. Allora l'Augusto guerriero abbandona temporaneamente la conduzione personale delle campagne in Spagna, affidando il comando delle truppe al generale Arduino di Ivrea, suo fidato braccio destro. Ma è fortunato, perchè anche Almanzor è distratto da eventi bellici lontano dal fronte caldo con l'Impero Romano. Infatti il giovane Califfo Omayyade Hishām II ibn al-Hakam si rende conto di essere solo un fantoccio nelle mani del potentissimo generale, che detiene il potere effettivo nel suo Califfato, ed allora invoca l'aiuto del viceré del Marocco, Ziri ibn Atiya, per destituire Almanzor. Quest'ultimo però non si fa sorprendere: relega il califfo Hishām II nel palazzo reale di al-Madinat al-Zahira, nelle vicinanze di Cordova, sbarca a Ceuta nel 998, sconfigge Ziri e costringe il vicereame marocchino a pagare un pesante tributo ad al-Andalus.
Nel frattempo, approfittando della campagna dell'Imperatore contro Almanzor, lo zar Samuele ha invaso la Grecia e il Peloponneso; mentre stava tornando in Bulgaria, tuttavia, piomba su di lui l'esercito di Romano II, trasportato in Epiro da navi genovesi, che gli infligge una disastrosa sconfitta: Samuele, ferito, riesce a salvarsi a stento. Romano II, inarrestabile, conquista la Rascia, la Doclea (il Montenegro) e la città di Serdica, quindi stringe alleanza con gli eterni nemici Ungari, ora guidati dal Principe István (Stefano), cui promette il titolo di Re e la mano di sua figlia Maria se si convertirà al cristianesimo e lo aiuterà contro i Bulgari. István accetta, e i Bulgari sono stretti in una morsa. Samuele è duramente sconfitto nella Battaglia del Fiume Vardar dall'alleanza tra Romani, Croati e Ungari, nonostante l'appoggio di Serbi ed Avari. Questa sconfitta segna la fine della potenza bulgara, ridotta ad uno stato più piccolo della Bulgaria della HL a noi contemporanea: Samuele conserva il trono, ma deve regnare come vassallo di Romano II. L'Ungheria al contrario diventa uno stato vastissimo e potentissimo; István caccia i missionari ariani inviati dalla Germania, si converte al cattolicesimo e la Notte di Natale dell'anno 1000 è incoronato primo Re di Ungheria; oggi la Chiesa lo venera come Santo.
Il 1 gennaio 996 Romano II emana la "Novella", un editto che requisisce ai proprietari terrieri dell'Impero Romano tutte le proprietà acquistate negli ultimi novantanove anni, cioè dal tempo di Romano I, restituendole ai precedenti proprietari, a meno che non vengano riconfermate dallo stesso imperatore. Questo provvedimento drastico ha lo scopo di bloccare le ambizioni espansionistiche di molti dei grandi casati nobiliari, che nel corso dell'ultimo secolo ha assorbito nei suoi latifondi la piccola proprietà terriera. Acquisite grandi somme di denaro ed influenza all'interno delle prefetture i nobili, che spesso erano anche governatori delle province, potevano diventare tanto potenti da ribellarsi all'imperatore. L'editto causa la rovina di molte famiglie aristocratiche dell'Impero Romano, che perdono tutti i loro possedimenti, restituiti ai piccoli proprietari terrieri. L'imperatore non si accontenta di togliere le terre all'aristocrazia, ma la costringe a pagare una tassa in precedenza versata dai villaggi, i quali devono già numerose gabelle ai nobili stessi. Questa tassa da una parte indebolisce ancora di più i nobili, dall'altra assicura cospicui introiti allo Stato: infatti è decisamente più semplice riscuoterla dai nobili abbienti che dai poveri i quali, quando il raccolto va male, arrivano al punto di linciare gli esattori imperiali.
Intanto, Ottone III è divenuto maggiorenne ed è stato incoronato Imperatore di Germania, ma si trova a governare uno stato dilaniato dalle guerre dei grandi baroni feudali, e per di più completamente accerchiato. Infatti ad ovest Ugo Capeto si è fatto incoronare Re di Borgogna e, pur essendo ariano, è tutt'altro che favorevole alla dinastia ottonide; a sud ha l'Impero di Romano II, più forte che mai; ad est premono sui confini gli Ungheresi, i Boemi e i Polacchi, tutti convertiti al cattolicesimo. Ottone III allora promuove alleanze con i Danesi, ariani come lui, e con i vichinghi: invia missionari ariani presso il Re di Norvegia Olav I Trygvasson e il Re di Svezia Olof III Skötkonung, iniziando la conversione dell'intera Scandinavia all'arianesimo. Ottone III sogna di ripetere le imprese di Carlo il Grande, unificando tutti i popoli germanici ariani sotto il suo scettro, ma nel 1001 subisce una dura sconfitta presso Strasburgo da parte di Roberto il Pio, figlio di Ugo Capeto e Re di Borgogna. Deluso per il fallimento, Ottone III si spegne a soli 22 anni il 23 gennaio 1002, e non avendo egli eredi diretti gli succede il cugino Enrico II.
In questi anni, Romano II si può avvalere come collaboratore di uno dei più eminenti personaggi della sua epoca: Gerberto di Aurillac, già Abate del Monastero di Bobbio e poi Arcivescovo di Ravenna, che ha la fama di persona dottissima: conosce non meno di otto lingue, inclusi l'ebraico e l'arabo, e ha scritto importanti volumi di matematica, astronomia, filosofia naturale, teoria della musica, storiografia, esegesi biblica. La sua opera più famosa è il "Libellus de numerorum divisione", nel quale difende l'uso delle cifre arabe, ancora rifiutate da molti cristiani perchè ritenute "diaboliche" (essendo di provenienza araba). Tra le sue invenzioni, un orologio meccanico a bilanciere e un antenato del termometro. Gli si attribuisce anche la costruzione di ingegnosi congegni meccanici, antenati dei moderni automi. Il 1 aprile 996, alla morte di Papa Giovanni XV, Romano II sceglie come nuovo Vescovo di Roma proprio Gerberto, che sceglie il nome simbolico di Silvestro II (Silvestro I era stato il fedele collaboratore dell'imperatore Costantino I il Grande). Durante la sua assenza per via delle numerose campagne belliche, Romano affida il governo di Roma e dell'Impero a un triumvirato composto dal potente Console Gregorio, governatore militare di Tuscolo; dal generale Giovanni Orseolo, figlio del governatore militare di Venezia Pietro Orseolo, che ha liberato Bari dall'assedio dei Saraceni; e proprio da Silvestro II. Siccome in quest'epoca nella cultura popolare la scienza è indistinguibile dalla magia, Gerberto assume ben presto i connotati di uno stregone, si dice che abbia vinto ai dadi il pontificato con il demonio e che si sia costruito una testa meccanica in grado di rispondere "Sì" o "No" ad ogni sua domanda. Egli però in realtà è solo l'uomo più colto del suo tempo.
Durante il regno di Romano II scocca l'ora del fatidico anno 1000. Ma chi tra i moderni (in particolare i filosofi illuministi, il poeta Giosuè Carducci e il comunista Fredrich Engels) ha immaginato una cristianità tutta presa dal pianto per l'imminente fine del mondo annunciata dall'Apocalisse (in seguito a un'erronea interpretazione del "Regno dei Mille Anni") e dai predicatori di sventure, e tutta ripiegata su penitenze e preghiere, non può commettere un falso storico peggiore. È vero che il decimo secolo è stato un'epoca di decadenza morale per la Chiesa e per l'Impero di Roma, ma il passaggio da esso all'undicesimo è segnato dalla travolgente politica espansionistica di Romano II, dal pontificato progressista di Silvestro II e da un incredibile fervore di rinascita culturale, che a tutto fa pensare, tranne che ad un'umanità terrorizzata in attesa del ritorno di Cristo nelle vesti di giudice terribile. Inoltre, se è vero che alcuni zelanti predicatori hanno cercato di diffondere dai pulpiti l'idea che la Parusia sia vicina, la maggior parte dei cittadini romani ignora che siano passati esattamente mille anni dalla data tradizionale della nascita di Gesù: per i più, il 1000 è solo l'anno ventesimoquinto dell'Impero di Romano II, poiché in quest'epoca gli anni si contano a partire dall'inizio del regno dell'Augusto in carica. Solo pochi intellettuali come Gerberto di Aurillac e
Guglielmo da Volpiano sanno dell'inizio del secondo millennio cristiano, e costoro sono troppo dotti ed intelligenti per credere ai profeti di sventura. In ogni caso, se qualcuno di tali predicatori la mattina del 1 gennaio 1001 si è alzato dal letto e si è accorto che il mondo non è finito (come gli ufologi dopo il celebre 21/12/2012), ha avuto subito pronta una scusa per il proprio fallimento: "Mi ero sbagliato, i mille anni non vanno contati dalla nascita di Cristo, ma dall'Editto di Tessalonica del 390 con cui Teodosio I il Grande fondò l'Impero Cristiano". E così, l'attesa della fine di tutto da parte dei millenaristi, eterna tentazione nella storia della Chiesa, ricomincia fino al successivo annuncio che la data è stata di nuovo posticipata...
Romano II ovviamente se ne ride di queste profezie, e riprende imperterrito la sua campagna contro i musulmani di Spagna, verso i quali prova un odio implacabile. Dopo aver raccolto un esercito numerosissimo ed aver arruolato anche mercenari Visigoti e Burgundi, l'Augusto si sente pronto per affrontare il suo nemico di sempre in battaglia campale. Lo scontro decisivo avviene il 4 luglio 1002 a Calatañazor (dall'arabo Qal'at an-Nusur, "Castello delle Aquile"), in Castiglia, e si risolve in un disastro per le forze musulmane. Secondo il cronista
Guglielmo da Volpiano, che partecipa in prima persona alla campagna di Romano II, 14.000 arabi di Spagna sono fatti prigionieri, mentre Almanzor riesce fortunosamente a sganciarsi e a battere in ritirata con le poche truppe rimastegli, trincerandosi nel suo quartiere invernale di Sepulveda. Secondo Guglielmo da Volpiano, all'ingresso dell'esercito di al-Andalus in Sepulveda, appare dal nulla un pastore nel quale lo storico riconosce il diavolo, che canta: « En Calatañazor Almanzor perdió el tambor » ("A Calatañazor Almanzor perse il suo tamburo!"), poi divenuta una filastrocca popolare in terra di Spagna.
Sempre secondo Guglielmo, qualche tempo dopo Almanzor, che ha mandato ambasciatori a Romano II per chiedere la restituzione dei prigionieri in cambio di un riscatto, vede lunghe file di persone in marcia che si avvicinano alle mura di Sepulveda. Ben presto si rende conto che quelli sono i suoi soldati fatti prigionieri dall'esercito romano: l'Augusto li ha fatti accecare tutti, tranne uno ogni cento estratto a sorte cui è stato cavato un occhio solo, e li ha fatti legare tutti in fila l'uno dietro l'altro con il guercio in testa, in modo che possa guidare tutti gli altri. Vedendo la sua grande armata distrutta, Almanzor stramazza al suolo; morirà due giorni dopo, di dolore, l'11 agosto 1002. Sia come Gran Visir, sia come comandante dell'esercito gli succede il figlio Abd al-Malik al-Muzaffar, che implora la pace offrendosi di diventare vassallo dell'Impero Romano; Romano II tuttavia rifiuta e continua l'offensiva, conquistando altre città. Saragozza, Lérida e Segovia cadono l'una dopo l'altra in suo potere. La ua ferocia nel radere al suolo piazzeforti e perseguitare anche la popolazione civile è tale, che Guglielmo gli affibbia l'appellativo di Ammazzamori, fin qui riservato a San Giacomo.
Abd al-Malik al-Muzaffar cerca di opporsi come può al rullo compressore di Romano II, ma nel 1008 muore improvvisamente, secondo alcuni avvelenato dal fratellastro Abd al-Rahman, che gli succede nella carica. Quest'ultimo cerca di riorganizzare le truppe saracene, e riesce là dove il padre ed il fratello hanno fallito: farsi nominare erede del Califfo Hisham II. Questo fatto crea parecchio malcontento nel popolo di Cordova, che era molto affezionato agli Omayyadi. E così nel 1009, approfittando del fatto che Abd al-Rahman è impegnato nell'ennesima campagna militare contro Romano II, un colpo di stato spodesta Hisham II e pone sul trono un altro omayyade, Muhammad II ibn Hisham, che al rientro a Cordova di Abd al-Rahman lo fa imprigionare e mettere a morte il 4 marzo 1009. Questo fatto segna il definitivo tramonto della potenza del Califfato di Cordova, privo di grandi figure incapaci di impedire la disintegrazione dello stato. A ciò si aggiunge la guerra civile tra Muhammad II ibn Hisham e l'usurpatore Sulayman ibn al-Hakam al-Musta'in, che permette a Romano II di avere ragione della resistenza araba e di occupare prima Lisbona e poi Toledo, l'antica capitale della Spagna Romana, nel febbraio 1018. L'assassinio di Sulayman ibn al-Hakam al-Musta'in porta alla caduta del glorioso califfato omayyade: ciò che resta di al-Andalus si dissolve in una ventina di staterelli regionali, i cosiddetti Regni di Taifa, deboli e in perenne guerra tra di loro, costretti spesso a pagare pesanti tributi a Romano II. Con questa vittoria l'imperatore riporta più di metà della penisola iberica sotto il controllo dell'Impero, e nel 1019 può celebrare uno splendido trionfo per le vie di Roma. I territori riconquistati sono riorganizzati in prefetture, e l'imperatore si dimostra tollerante, permettendo ai musulmani di restare nelle loro proprietà e di praticare la loro religione, anche se l'emigrazione verso sud e verso l'Africa è massiccia. Inoltre i nuovi sudditi spagnoli dell'Impero possono pagare le tasse in natura e non in denaro.
Concluse le sue campagne di conquista in Occidente, Romano si concentra sull'Oriente, dove i Bulgari sono di nuovo sul piede di guerra e gli Arabi minacciano i possedimenti romani in Anatolia. Grazie alla ribellione contro la Rascia (Serbia) del sovrano di Doclea (Montenegro), che passò dalla parte dei Romani, l'Augusto ristabilisce il suo protettorato su questa regione, quindi invade la Bulgaria e costringe lo Zar Gabriele a una pace sfavorevole, che prevede l'instaurazione di un protettorato romano sul suo regno e la cessione di alcuni territori all'Impero. Intanto Giovanni, figlio di Romano, infligge agli Arabi una dura sconfitta presso Trebisonda e rafforza la presenza romana sulle coste orientali del Mar Nero. Nel 1022 scoppia una nuova rivolta in Grecia: il figlio di Bardas Foca, Niceforo, si proclama Imperatore e ottiene l'appoggio dei Serbi e dei Bulgari, ma Romano reprime la ribellione senza pietà, e ristabilisce il protettorato sulla Serbia.
A questo punto Romano II si prepara a partire alla riconquista della Sicilia, quando improvvisamente, il 15 dicembre 1025, lo sorprende la morte, ed è sepolto nel Pantheon di Roma; gli succede il figlio Giovanni IV, di 41 anni. Con lui l'Impero Romano ha raggiunto la sua massima espansione dopo Giustiniano I il Grande (527-565): oltre ad aver riconquistato gran parte della penisola iberica e dei Balcani, egli ha imposto il suo protettorato a molti staterelli islamici in Spagna, ai Bulgari e ai Serbi, e nella sfera dell'impero gravitano i regni di Ungheria, Boemia e Polonia; lo stesso Romano, poco prima di morire, ha riconosciuto a Boleslao I Chrobry ("il Coraggioso") il titolo di primo Re di Polonia. Lo storico Giovanni Villani (1276-1348) definirà Romano II il migliore imperatore mai avuto dall'Impero Romano dopo il suo stesso fondatore, Ottaviano Augusto. Ed oggi la portaerei ammiraglia della flotta imperiale romana porta il nome di Romano II, il sovrano che sgominò tutti i suoi nemici e portò l'Impero alla Rinascita dell'Anno Mille.

Giovanni IV (1025-1051)
Il figlio primogenito del grande Romano II è cresciuto all’ombra del padre, e per quanto possibile ne continua l’opera. Tanto per cominciare, egli prosegue la politica finanziaria dei suoi predecessori di difesa della piccola proprietà a svantaggio della grande aristocrazia terriera; una scelta che lo rende popolare tra i suoi sudditi, anche se certo non nel patriziato di Roma. L’arcivescovo di Milano Ariberto d’Intimiano guida la fronda della grande aristocrazia terriera, e nel 1028 incorona se stesso nuovo imperatore, autoriducendosi allo stato laicale, e ignora la scomunica lanciatagli contro da Papa Giovanni XIX, fedelissimo della Casa Imperiale Cantabrica. Giovanni IV tuttavia gli muove contro e lo sconfigge nella Battaglia di Campomalo, località nei pressi di Lodi oggi difficilmente identificabile. Ariberto muore nello scontro, viene sostituito nella Diocesi di Sant’Ambrogio da Guido da Velate, e può finalmente regnare senza opposizioni. Questa sconfitta impedisce inoltre la nascita di un Comune autonomo a Milano e nelle altre città dell’Italia del nord: il potere resta saldamente nelle mani del governatore della Gallia Cisalpina.
Giovanni rinnova il trattato di amicizia con l’imperatore ariano di Germania Corrado II il Salico, succeduto nell’824 a Enrico II, l’ultimo della dinastia ottoniana. Anche Corrado è in difficoltà con la sua nobiltà, ed infatti è costretto a concedere ai suoi feudatari minori il diritto di successione sul loro feudo (cosa fin qui concessa solo ai Grandi dell’Impero). La conversione dei paesi scandinavi al cristianesimo ariano riduce però progressivamente le scorrerie normanne sulle coste settentrionali dell’Impero di Germania. Ne beneficia anche l’Impero Romano: i Normanni si presentano ora come mercenari che offrono la loro spada al miglior offerente. Giovanni IV ha allora l’idea di usarli contro gli Arabi in Spagna, e soprattutto in Sicilia.
In Spagna Giovanni non riesce ad ottenere grandi risultati, anzi gli Arabi riconquistano qualche posizione rispetto alla frontiera stabilita da Romano II; ed anche in Sicilia una spedizione guidata dal generale Giorgio Maniace, dopo qualche successo iniziale, si risolve in un disastro. Ma nel 1035 si presenta alla corte di Roma il normanno Guglielmo d’Hauteville (980-1041), Altavilla in latino, originario della bassa Normandia (in questa Timeline è la regione poco a nord del fiume Senna), che ha dovuto lasciare per via di un fatto di sangue. Da sempre l’Impero arruola mercenari barbari, e così Giovanni IV non ha certo remore a pagare profumatamente Guglielmo affinché dia una lezione agli Arabi di Sicilia, promettendogli in cambio di nominarlo Governatore Militare dell’Isola. Tra il 1038 e il 1040 il duca normanno combatte valorosamente sull'isola, riconquistando Messina, Catania e Siracusa; secondo la tradizione, egli si guadagna l'appellativo Guglielmo Braccio di Ferro per aver ucciso con una sola mano l'emiro di Siracusa durante un assalto alla città assediata. Giovanni IV nel 1042 lo ripaga nominandolo Governatore Militare proprio di Siracusa. Giorgio Maniace allora si ribella e si fa proclamare imperatore dalle sue truppe, ma Guglielmo d'Altavilla lo sconfigge e il generale greco muore trafitto con una lancia da un traditore del suo esercito. Guglielmo Braccio di Ferro muore a sua volta nel 1046, ed allora dalla Normandia giunge in Italia meridionale il suo fratellastro Roberto, detto il Guiscardo ("l'Astuto"), che ne eredita la carica e ne continuerà l'opera di riconquista dell'isola.
Nel 1035 è diventato Re dei Visigoti Ferdinando Sanchez, che sarà detto il Grande. Questi sconfigge prima il fratello Garcia e poi il cognato Bermudo, e riunifica così lo stato dei Visigoti dopo che le lotte feudali lo hanno dilaniato per più di un secolo. Egli decide di mutare nome al suo regno, che assume la denominazione di Regno di Castiglia. Questo toponimo nella HL indica una regione della Spagna, ma in questa linea temporale i Visigoti sono rimasti in Gallia. L'etimologia popolare afferma che il nome Castiglia è dovuto alla gran quantità di castelli e fortezze presenti in quelle terre, ma è un'ipotesi non avvalorata da alcuna prova. Il primo documento storico che attesta tale termine risale al 15 settembre 800, in un documento notarile nel quale si legge « Visigothia quae nunc vocatur Castella ». Ferdinando è imparentato con l'imperatore Giovanni IV, perchè nel 1023 quest'ultimo ha sposato sua zia Urraca, sorella di suo padre Sancho Garcés. Ferdinando rinnova perciò i trattati di amicizia con l'Impero e fa anche alleanza con il Re di Borgogna Enrico I.
In Oriente i Fatimidi riescono a conquistare molte piazzeforti di confine, ma la pressione sulle enclavi romane in oriente è validamente contrastata grazie alla saggia politica di alleanze di Giovanni IV: prima egli firma un trattato con il Re d'Armenia Ashot IV il Valoroso contro il Califfo Fatimide Abū Tamīm Ma'add al-Mustansir bi-llāh (1036-1094), e poi, per contrastare i Peceneghi che premono sulle piazzeforti romane in Crimea (Tauride), si allea con i Cumani, un un ramo occidentale dei turchi Kipchaki che, attraversate le pianure dell'Asia centrale, si sono stanziati attorno al Mar Caspio e nelle pianure russe meridionali. I Cumani saranno così forti da arrivare a devastare l'Ungheria; a chi gli obietta che i Cumani sono pagani, Giovanni IV ribatte che non è un peccato sfruttare degli idolatri per combattere altri idolatri.
Durante il suo regno, l'Augusto Giovanni deve lottare contro una delle prime grandi eresie di massa di quest'epoca, quella dei Patarini, così detti presumibilmente per via del "Pater Noster" che amano ripetere ossessivamente. Il movimento nasce nelle campagne intorno a Milano, la città il cui Arcivescovo aveva cercato di farsi imperatore, ed in cui la gerarchia ecclesiastica è particolarmente corrotta. I Patarini sorgono come reazione contro la simonia, il concubinaggio dei preti, e in generale contro la ricchezza e la corruzione morale delle alte cariche ecclesiastiche; richiamandosi alla nuda parola evangelica, essi dichiarano che lo scranno vescovile di Milano e il Soglio di Pietro sono occupati dall'Anticristo, e vogliono il ritorno ad una Chiesa povera e senza vincoli con il trono imperiale. Il loro scisma si colora di tinte politiche criticando l'Imperatore Romano perché è in pratica lui a nominare i Papi e i principali Arcivescovi, e mostrando simpatie per l'arianesimo germanico. La lotta contro questo movimento terrà impegnate molte forze dell'Impero per alcuni decenni, e le residue frange di esso confluiranno infine nell'eresia Catara.
Giovanni IV è anche protettore delle arti e delle scienze. Egli accoglie a Roma Guido d’Arezzo, monaco benedettino che ha inventato la moderna notazione musicale, ed in particolare le sette note. Alla sua corte lavora poi Costantino l'Africano, arabo originario dell'Africa settentrionale che, dopo lunghi viaggi fino in India, è approdato nella celebre scuola medica di Salerno, e lì ha tradotto in latino dall'arabo una grande molti testi medici: il Kitāb-al-malikī di Alī ibn 'Abbās, il Viaticum di al-Jazzār, il Liber divisionum e il Liber experimentorum di Razī, il Liber dietorum di Isaac Israeli il Vecchio ne il Kitab Al-Shifa (Libro delle Guarigioni) di Abū 'Alī al-Ḥusayn ibn 'Abd Allāh ibn Sīnā, meglio noto in occidente come Avicenna. Queste opere permettono un grande balzo in avanti della medicina occidentale Inoltre Giovanni IV invita a Roma il grande scienziato arabo Abū ‘Alī al-Hasan ibn al-Hasan ibn al-Haytham, meglio noto in occidente come Alhazen, ma egli preferisce restare alla corte del Califfo Fatimide d’Egitto; i suoi studi rivoluzionari sull’ottica comunque arrivano anche nell’Impero Romano, ed è alla corte di Giovanni IV che viene attestato il primo uso della camera oscura per proiettare immagini.
Giovanni IV muore l'11 gennaio 1051 a 67 anni, e gli succede l'unico figlio Romano III, 26 anni.

Romano III (1051-1057)
Il nuovo sovrano purtroppo è malato di epilessia, è debole di carattere e così tutto il potere resta nelle mani del Magister Militum dell’Impero, il normanno Roberto il Guiscardo, che il 18 giugno 1053 infligge una durissima sconfitta ai pirati saraceni nella Battaglia di Civitate, vicino a Foggia, e del Papa Leone XI, che svolge anche le funzioni di Primo Ministro dell’Impero. In questa Timeline non vi è alcuno scisma con la Chiesa di Costantinopoli, che resta unita a Roma; separate restano solo le chiese monofisite d’oriente, di Siria, Egitto e Mesopotamia.
Romano III muore a soli 32 anni il 31 agosto 1057, a causa del male di cui soffre; con lui ha fine la dinastia cantabrica. Sua moglie, la principessa greca Zoe, è invitata a scegliere un nuovo marito e un nuovo imperatore, ed ella sceglie proprio Roberto il Guiscardo, che così fonda la dinastia normanna.

Roberto I il Guiscardo (1057-1085)
Una volta diventato imperatore, Roberto il Guiscardo decide di continuare a fare proprio ciò che sa fare meglio: la guerra contro i musulmani di Sicilia e di Spagna. Prima però, d’accordo con l’Augusto,nel 1059 il nuovo Papa Niccolò II indice il Sinodo Lateranense dove fissa l’obbligo del celibato per tutto il clero occidentale e per i monaci di tutto il mondo cristiano.
Nel 1061 riprende l’invasione della Sicilia con la presa di Catania, che era ricaduta in mani musulmane. Roberto pone lì il suo quartier generale lì e stringe un'inedita alleanza con l'emiro di Siracusa Ibn al-Thumna, rivale dell'emiro di Castrogiovanni, Ibn al-Hawwās. Le armate di Roberto e del nuovo alleato musulmano marciano verso il centro dell'isola: il Guiscardo oltrepassa Enna senza ritentare l'assalto e punta dritto verso Palermo, ma l'accampamento normanno è invaso dalle tarantole che costringono le truppe alla fuga. L'impresa viene ritentata solo nel 1072, quando dopo un lungo assedio Palermo è costretta a capitolare, segnando la fine del dominio arabo in Sicilia. Siracusa cadrà nel 1086, e l'ultima città musulmana a capitolare sarà Noto, nel 1091.
Il 14 ottobre 1066 ha luogo un fatto storico di particolare importanza: la Battaglia di Hastings. Il Duca di Normandia Guglielmo approfitta delle contese dinastiche tra Aroldo II, ultimo re sassone d’Inghilterra, e suo fratello Tostig, per impossessarsi dell’isola; per questo sarà ricordato come il Conquistatore. Tostig si è alleato con Harald III, Re di Norvegia, per togliere il trono al fratello, che lo ha affrontato nella Battaglia di Stamford Bridge, ottenendo una strepitosa vittoria: sia Harald che Tostig restano sul campo. Ma lo stesso vento che fa garrire le sue bandiere vittoriose, gonfia anche le vele di Guglielmo, che sbarca nell’Inghilterra meridionale. Nonostante un presagio infausto (l’apparizione in cielo della Cometa di Halley, registrata nel famoso Arazzo di Bayeux), Aroldo ingaggia battaglia ad Hastings contro i normanni, ma è colpito da una freccia in un occhio e muore. Guglielmo si converte al cattolicesimo, per essere accettato dalla popolazione sassone, ed allaccia amichevoli relazioni con l’imperatore Roberto I, che del resto è normanno come lui, dopo trent’anni di relazioni burrascose tra romani e sassoni (il predecessore di Aroldo II, Edoardo il Confessore, aveva più volte minacciato l’invasione del Galles romano, tanto che Tostig aveva l’appoggio del Guiscardo nella sua ribellione). Tutti i successivi Re d’Inghilterra, senza eccezione, saranno discendenti di Guglielmo il Conquistatore. 
Ma Roberto I prosegue la campagna in terra di Spagna: nel luglio 1075 prende Barbastro, valendosi dell’aiuto di un valido guerriero visigoto, che ha sposato una nobildonna romana ed è passato al servizio dell’impero: Rodrigo Diaz de Vivar, detto il Campi Doctor ("Campione in Combattimento") o anche il Cid, dall’arabo "Sidi", "Signore", poiché egli è rispettato anche dai musulmani che combatte. In seguito però è messo in cattiva luce agli occhi di Roberto il Guiscardo, che ne ordina l’arresto. Rodrigo allora va in esilio in terra musulmana e si mette al servizio al signore musulmano di Saragozza, al-Muqtadir, tributario dell’Impero Romano, e poi di suo figlio al-Mu’tamin.
Intanto, da oriente è arrivata una nuova minaccia: i Turchi Selgiuchidi, così detti dal loro fondatore Selgiuq, che sbaragliano i Fatimidi nella Battaglia di Manzicerta del 26 agosto 1071, e conquistano gran parte dell’Anatolia, incluse le prefetture romane. Il generale dell’impero Romano Diogene viene travolto e fatto prigioniero presso Sinope, e Roma perde quasi tutti i possedimenti in terra d’Anatolia: nella penisola anatolica viene fondato il Sultanato Selgiuchide di Iconio. Allora Roberto I il Guiscardo guida una spedizione in oriente nel maggio del 1081: salpa da Brindisi con un esercito di 16.000 uomini e in ottobre infligge va una dura sconfitta al sultano selgiuchide Malik Shah, riconquistando Efeso ed altri punti di appoggio strategici sulla costa asiatica dell’Egeo. Ma Roberto è costretto a sospendere la campagna perché suo fratello Guglielmo si proclama imperatore a Salerno e tenta di usurpargli il trono. Il 21 maggio 1084 Roberto entra a Salerno con 36.000 uomini al seguito e dà inizio a tre giorni di devastante saccheggio della città, costringendo il fratello al suicidio.
Ma Roberto I il Guiscardo non è solo un rude guerriero. Da buon normanno, egli importa nell'Impero Romano una grande innovazione, il censimento delle proprietà fondiarie, dei beni immobiliari, del bestiame, del numero dei contadini, sui risultati del quale viene calcolata la riscossione delle tasse da utilizzare poi nelle imprese militari. Tutti i risultati del censimento vengono elencati nel Liber Catastalis, primo documento di questo genere nella millenaria storia dell’Impero. In ambito religioso, Roberto I è indifferente alle dispute religiose, che lascia ai teologi, ma affida il governo della Chiesa e delle diocesi ad un personaggio eccezionale, una delle maggiori figure della Chiesa in ogni tempo: Ildebrando di Soana, che lui stesso ha elevato al Papato con il nome di Gregorio VII. Questi dà vita ad una straordinaria opera moralizzatrice, impedendo ai sacerdoti di avere delle concubine, ai vescovi di ricoprire politiche e costringendoli a risiedere nelle loro diocesi; favorisce la riforma cluniacense e regolò le proprietà ecclesiali in base al diritto canonico; incoraggia inoltre lo studio dei classici, non solo greci e latini ma anche arabi, e costruisce molte cattedrali. Ovviamente in questa Timeline non si ha alcuna lotta per le investiture; in Germania l’imperatore Enrico IV e suo figlio Enrico V possono nominare e deporre i vescovi ariani a loro piacimento, trattandoli come dei funzionari statali, anche se pure in Germania vi è chi protesta contro questi abusi politici, che minano l’immagine della chiesa ariana.
Roberto I muore il 17 luglio 1085. Dalla prima moglie Alberada di Buonalbergo ha avuto i figli Emma e Boemondo, ma a succedergli è il figlio Giovanni, il maggiore dei sette figli avuto da Zoe (gli altri sono Olimpia, Maria, Ruggero, Guido, Sibilla e Romano). La storica Anna Comnena, nativa di Costantinopoli, lo descrive così: « Roberto è di stirpe normanna, di condizione oscura, cupido di potere, d'ingegno astutissimo e coraggioso nell'azione: aspira soprattutto alla potenza dei grandi e, non tollerando alcun ostacolo alla realizzazione dei propri disegni, prende tutte le precauzioni per conseguire il suo scopo senza fallo. La sua statura è notevole, tale da superare anche i più alti fra gli individui; ha una carnagione accesa, i capelli di un biondo chiaro, le spalle larghe, gli occhi chiari sprizzanti fuoco… » Roberto I compare anche nella "Divina Commedia" di Dante Alighieri: il Sommo Poeta immagina di scorgere lo spirito dell’imperatore normanno nel Cielo di Marte, insieme ad altri famosi imperatori romani, tra cui Tiberio IV e Romano II.

Giovanni V il Vittorioso (1085-1118)
Giovanni V partecipa alla sua prima campagna militare nel 1062, all'età di soli quattordici anni, combattendo contro gli Arabi in Sicilia sotto il comando del padre; in seguito è nominato generale e si distingue nella guerra contro i Turchi, contribuendo a riprendere Nicea. Divenuto imperatore all’età di 29 anni, il suo regno ne durerà trentasette, e sarà caratterizzato da una lunga serie ininterrotta di conflitti, sia sul fronte occidentale che su quello orientale. È appena salito al trono quando gli Emiri di Siviglia, Badajoz, Granada e Cordova, che si sentono minacciati dalle vittorie in Spagna di Roberto il Guiscardo, decidono di chiedere l'aiuto dell'impero Almoravide, che domina il Marocco e la Mauretania. I berberi almoravidi, guidati dall'emiro Yūsuf Ibn Tāshfīn, sbarcano in Spagna e sconfiggono il generale romano Alfonso nella Battaglia di Sagrajas, ma non riescono a riconquistare Toledo. La disfatta militare fa sì che Giovanni richiami Rodrigo Diaz al suo servizio, e il Cid accetta, anche perché il suo protettore al-Mu'tamin è morto. Tra il 1087 e il 1089 Rodrigo rende tributari i regni musulmani di Albarracín e di Alpuente, e impedisce che la città di Valencia, governata dal re Yahyā al-Qādir, alleato dei Romani, cada nelle mani di Yūsuf Ibn Tāshfīn. Quest’ultimo attacca il castello di Aledo, che resiste, ma subisce tanti e tali danni che i Romani lo abbandonano, e i nemici del Cid addebitano la sconfitta a quest’ultimo, che viene nuovamente condannato all'esilio, e ritorna al servizio del re di Saragozza, al-Musta’īn II, succeduto ad al-Mu’tamin. Al-Musta’īn II concede al Cid il governo di Lerida, ma nel frattempo Yahyā al-Qādir, re di Valencia alleato al re di Saragozza, è aggredito dagli Almoravidi, per cui il Cid si reca immediatamente a Valencia, con truppe sia cristiane che musulmane, divenendo il protettore di Yahyā al-Qādir. Nel 1092 Rodrigo partecipa ad una spedizione romana contro gli Almoravidi di Andalusia, ed ottiene finalmente il perdono di Giovanni; il Cid guida allora una spedizione in grande stile contro i berberi, e Yūsuf Ibn Tāshfīn subisce alcune sconfitte e decide di tornare in Nordafrica, dove fonda Marrakech, lasciando che la guerra nella penisola iberica sia continuata dal figlio ‘Alī bin Yūsuf. Rodrigo celebra un fastoso trionfo, e sua figlia Maria è promessa sposa al figlio secondogenito di Giovanni V, Tancredi.
Nel frattempo, dopo la morte di Roberto I in oriente i Turchi rialzano la testa guidati da Sulaymān bin Qutulmush, nipote del sultano selgiuchida Alp Arslān. Tuttavia i dissidi fra gli eredi del sultano Malikshāh, figlio di Alp Arslān, portano alla frammentazione dell'immenso impero dei Turchi Selgiuchidi e a una serie di guerre civili, nelle quali Sulaymān è costretto al suicidio presso Antiochia nel 1088. Ciò permette a Giovanni di concentrarsi per alcuni anni sulla Spagna; tuttavia, nel caos che regna nei territori turchi, l'emiro selgiuchide Abū l-Qāsim si impadronisce di Nicea, e attacca Nicomedia, mentre nel 1090 l'emiro Çaka occupa Smirne e le isole di Lesbo e Chio con una potente flotta pirata.
Intanto i Peceneghi, di molto superiori numericamente all'esercito romano, giungono a minacciare da vicino Costantinopoli. Come narrano gli storici Giovanni Scilitze ed Anna Comnena, l'inverno 1090-1091 è il più duro per i bizantini da molti secoli, dato che si va concretizzando l'incubo di un attacco contemporaneo da est e da ovest su Costantinopoli. Giovanni V allora realizzò il primo dei suoi capolavori politici: seguendo l'esempio di Giovanni IV si allea con i Cumani, e la decisiva battaglia ai piedi del monte Levunium, presso il fiume Maritza, il 29 aprile 1091, si risolve nel quasi completo sterminio dei Peceneghi. Anna Comnena scrive:
« Fu straordinario a vedersi un intero popolo, che si contava non a decine o migliaia, ma in moltitudini innumerevoli, con le donne e i bambini, venire cancellato in un solo giorno. Era il 29 aprile, un martedì. Per questo motivo i Romani usano ancora oggi questo proverbio: "Per un solo giorno i Peceneghi non videro mai maggio! »
Rotto l'accerchiamento, Giovanni V compie un altro piccolo capolavoro politico. Nel 1092 a Sulaymān è succeduto come sultano suo figlio Kiliğ Arslan I, che ha trasferito la corte e da Iconio a Nicea, consolidando il potere dei Selgiuchidi in Asia Minore. Giovanni trasforma però quello che poteva essere un pericolo potenziale in suo vantaggio, rinnovando il vecchio trattato di pace con Kiliğ Arslan, e servendosi dell'amicizia del sultano per eliminare Çaka, che viene brutalmente assassinato, nonostante sia suocero del nuovo sultano. Questa doppia vittoria rappresenta il primo grande successo della politica spregiudicata di Giovanni V, e sarà un paradigma anche per i successivi anni di regno, in un alternarsi di alleanze che apparirà come codardia agli occhi degli storici rinascimentali e moderni, ma che rappresenta il genio dell'uomo e la massima raffinatezza della diplomazia romana tra XI e XII secolo
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Le vittorie sugli Arabi di Spagna, sui Peceneghi e sui Turchi galvanizzarono Giovanni V, che decise di realizzare quello che era stato un vecchio sogno di suo padre, ma anche di Romano II: la riconquista dei Luoghi Santi del Cristianesimo. Sotto la sovranità araba non si erano verificati incidenti di sorta fra musulmani e cristiani: gli Arabi si limitavano a lucrare sui pellegrinaggi cristiani, facendo pagare salatissimi pedaggi, e talvolta arrestando qualche pellegrino con l'accusa di essere una spia, ma solo perchè i suoi compagni lo riscattassero a peso d'oro. Ma i Turchi Selgiuchidi, come tutti i neoconvertiti, sono musulmani fanatici, e cominciano a frapporre tanti e tali ostacoli alle carovane romane, da rendere pressoché impossibili i pellegrinaggi. Si parla di rapine, sequestri, uccisioni, stupri di pellegrini. Giovanni V pretende allora che i Turchi autorizzino i pellegrini a viaggiare sotto la scorta di gruppi armati romani, ma naturalmente i Selgiuchidi rifiutano. Giovanni V prende ciò a pretesto per organizzare una grande spedizione che dovrà arrivare fino a Gerusalemme, e se possibile anche oltre, eliminando per sempre la minaccia rappresentata dalla montante potenza turca, che potrebbe aspirare addirittura a conquistare l'Europa.
Papa Urbano II benedice la spedizione, nella speranza di riunificare a Roma le chiese monofisite d'oriente, separate da secoli. Da tutto l'impero arrivano patrizi e militari che partecipano alla Conferenza di Aquileia, apertasi il 27 novembre 1095, nella quale viene pianificata l'impresa; ad essa partecipano anche nobili visigoti, ungheresi, sassoni e normanni, mentre gli ariani di Germania e Scandinavia non raccolgono l'invito. La spedizione ufficiale è preceduta dalla cosiddetta "Crociata dei Pezzenti", assolutamente improvvisata da parte di contadini che sono stati infiammati dalla predicazione di Pietro l'Eremita; al grido di "Dio lo vuole" essi raggiungono l'Anatolia, ma vengono sterminati dai Turchi, in così gran numero ch
e le ossa dei morti sono usate per consolidare le mura di Nicea. Anche questo fatto viene sfruttato dal cinico Giovanni V per organizzare la sua impresa (nessuno pronuncia la parola "crociata", che verrà introdotta dagli storici solo alcuni secoli dopo)
Naturalmente alla spedizione organizzata da Giovanni non prendono parte né Goffredo di Buglione né suo fratello Baldovino di Boulogne, che in questa Timeline sono ariani. A capo dell'impresa ci sarà lo stesso Giovanni V, coadiuvato da suo fratellastro Boemondo, mentre il fratello minore Ruggero, con il titolo di Cesare, resterà a Roma ad amministrare l'Impero. Tra gli altri generali partecipano Raimondo di Saint-Gilles, governatore militare della Provenza; Guglielmo Embriaco, governatore militare di Genova; Vitale Michiel, Dux (Doge) e governatore militare di Venezia; Tancredi d'Altavilla, nipote di Boemondo; Roberto II, Duca di Normandia e nipote di Guglielmo il Conquistatore; Gonzalo di Ribagorza, fratello minore del Re visigoto di Castiglia Sancho III il Grande; il Re di Scozia Duncan II (vero nome Donnchad mac Maíl Coluim); il Re d'Ungheria Ladislao I che sarà detto il Santo; il generale greco Manuele Boutoumites; e soprattutto Rodrigo Diaz di Vivar, detto il Cid, il più valoroso dei guerrieri cristiani, insieme al giovane figlio Diego. Molti dei partecipanti sono figli cadetti di grandi famiglie che non possono ereditare alcunché, e sperano di ritagliarsi un dominio feudale in Oriente.
Partito da Aquileia con un esercito forte di 100.000 uomini, Giovanni V
arriva a Costantinopoli il 4 dicembre 1096, vi sverna e si rifornisce di vettovaglie; nell'aprile 1097 traghetta le armate al di là del Bosforo e riconquista Nicea, che è stata lasciata inspiegabilmente sguarnita dal sultano Kiliğ Arslan, in quel momento impegnato in battaglia contro i Turchi Danishmendidi a Melitene, in Armenia. La marcia dell'esercito romano prosegue rapidissima lungo la vecchia strada romana che porta da Nicea a Dorileo e Iconio, e quindi, passando per Germanicia, termina ad Antiochia. I Turchi vengono duramente battuti a Dorileo il 1 luglio 1097, ed allota si muove il Sultano Kiliğ Arslan in persona, che però viene a sua volta sconfitto ad Augustopoli; nella battaglia muore il Re d'Ungheria Ladislao I. Intanto il generale greco Giovanni Ducas riconquista Smirne, Efeso, Filadelfia e Sardi. A questo punto i Turchi si ritirano nell'interno dell'Anatolia, e l'esercito romano punta direttamente su Antiochia, dove arriva il 21 ottobre 1097, iniziando un lunghissimo assedio che si protrarrà fino al 3 giugno 1098. Diego, il figlio del Cid, dice di aver sognato l'apostolo Sant'Andrea che gli ha rivelato il luogo dove è nascosta la lancia di Longino, la quale trafisse il costato di Gesù Cristo sulla croce; la reliquia è recuperata, l'esercito è galvanizzato e Antiochia cade.
A questo punto però Giovanni V deve
affrontare il potente esercito turco al comando di Kerbogha, emiro di Mossul, mandato dal sultano di Khorasan per rioccupare Antiochia. Contro ogni aspettativa, i Romani guidati da Boemondo sbaragliano l'esercito turco il 26 giugno 1098, e i cristiani gridano al miracolo. Boemondo è nominato governatore militare della ricostituita Provincia di Siria, e rimane in città a consolidare le conquiste, mentre Giovanni con il grosso dell'esercito prosegue e conquista la costa siriana. Le conquiste sono rapide anche perché Giovanni V sa sfruttare abilmente le rivalità e ostilità tra i vari potentati musulmani della zona: in Palestina corre il confine indeterminato tra il califfato ismailita del Cairo e quello sunnita di Baghdad, e gli emirati di Anatolia e di Siria sono in guerra tra loro. Dopo aver preso Biblo, Beirut, Sidone, Tiro, Haifa, il Monte Carmelo, Cesarea e Ramla (antico capoluogo del governatorato islamico fin dall'età califfale omayyade), il 13 gennaio 1099 Rodrigo Diaz giunge per primo a Gerusalemme, in quel momento sotto il controllo del fatimide Iftikhār al-Dawla. Tancredi d'Altavilla conquista Betlemme e arriva per secondo sotto le mura della Città Santa. Quando arriva il grosso dell'esercito comandato dall'Augusto, il 7 giugno inizia l'assedio di Gerusalemme. I Romani sono ormai induriti dal viaggio, inferociti dalle privazioni e in preda a un entusiasmo fanatico. Giovanni ordina di realizzare grandi orri d'assedio costruite con il legname ottenuto dallo smantellamento delle navi genovesi di Guglielmo Embriaco, ed il 15 luglio finalmente l'esercito romano entra nella Città Santa. Il primo ad entrare è proprio Diego, figlio del Cid, che purtroppo muore nella battaglia.
La guarnigione fatimide si rifugia nella cittadella, dalla quale potrà uscire sana e salva dopo aver pagato un fortissimo riscatto. Tancredi, Gonzalo di Ribagorza e Raimondo di Saint-Gilles cominciano a massacrare indiscriminatamente tutti i musulmani che incontrano, senza eccezione alcuna di sesso e di età, finendo per ammazzare anche molti cristiani orientali, che quei rudi guerrieri non sanno nemmeno riconoscere; e solo l'autorità di Giovanni V e del Cid riesce a frenarli e ad impedire lo sterminio di tutti i musulmani e di tutti gli ebrei della città. Alla fine l'imperatore Giovanni si reca al Santo Sepolcro e scioglie il voto che aveva fatto di pregare presso la tomba di Cristo.
Al Cid viene offerta la carica di governatore militare di Gerusalemme, ma l'eroe spagnolo rifiuta e prosegue la conquista militare della Palestina; morirà l'anno dopo, durante l'assedio di Ascalona. Governatore Militare della ricostituita Provincia di Palestina diventa così Tancredi d'Altavilla. Da
abile politico qual è, Giovanni V invia un'ambasceria al califfo fatimide al-Musta'lī bi-llāh, che gli riconosce tutte le conquiste, avendo in odio i Turchi Selgiuchidi, che sono di confessione sunnita; vengono anche stabiliti i nuovi confini con l'Impero Romano. Giovanni però deve rientrare a Roma via mare, essendo stato avvisato che il fratello Ruggero sta cercando di usurpargli il trono dopo aver messo in giro la voce che è morto, e i generali che hanno compiuto l'impresa di riconquistare il Santo Sepolcro cominciano a farsi guerra tra loro per spartirsi l'amministrazione delle nuove province. Raimondo di Saint-Gilles, sentendosi escluso dalla divisione della torta, prende armi e bagagli e conquista Edessa, governandola de facto come un possesso personale (anche se formalmente fa parte dell'Impero Romano). Dal canto suo l'ammiraglio greco Giovanni Cantacuzeno occupa Gaza e ne fa un suo feudo.
Intanto, sconfitto il tentativo di usurpazione del fratello Ruggero che gli si sottomette e viene perdonato, Giovanni V deve riprendere in mano la situazione in Spagna dove, approfittando dell'assenza del Cid, partito per l'impresa in Oriente, gli Almoravidi hanno riguadagnato posizioni. L'Augusto nomina governatore militare romano di Toledo il guerriero franco Enrico di Borgogna, marito di sua figlia Maria che si è convertito al cattolicesimo, e questi non delude le sue speranze: il 19 novembre 1105 trionfa nella Battaglia di Alcoraz che gli apre le porte di Huesca, e poi, alleatosi con alcuni regni musulmani minori, ferma l'avanzata almoravide nella Battaglia di Bairén. Subito dopo riesce valorosamente a riconquistare Lisbona. Il 30 maggio 1108 gli Almoravidi si prendono la rivincita nella Battaglia di Uclés, in cui le truppe romane sono fatte a pezzi e Tancredi, il giovane figlio di Giovanni V, trova la morte. Assetato di vendetta, Giovanni V si reca personalmente in Spagna e, sotto il comando dell'Augusto e di Enrico di Borgogna, il 24 gennaio 1110 l'esercito dell'emiro musulmano di Saragozza
al-Musta’īn II, che perde la vita, è schiacciato nella Battaglia di Valtierra: Saragozza è riconquistata all'impero, e Giovanni V riceve il titolo di Vittorioso.
Durante gli ultimi anni di regno, Giovanni V perseguita i seguaci delle varie eresie pauperistiche che attraversano l'Impero, e soprattutto i Bogomili, manichei che saranno i precursori dei Catari: uno dei suoi ultimi atti sarà mandare al rogo Basilio, un capo bogomilo con cui ha ingaggiato una disputa teologica. Giovanni V contrasta anche il diffondersi tra i teologi delle idee neoplatoniche. Non bisogna dimenticare che al figlio di Roberto I il Guiscardo si deve la fondazione nel 1088 dell'Università di Bologna, e l'approvazione nel 1098 della fondazione dell'Ordine Cistercense, dal nome dell'Abbazia di Citeaux, nella Gallia romana, sorto in seguito al desiderio di alcuni monaci di ritornare alla stretta osservanza della Regola di San Benedetto.
Kiliğ Arslān è morto in battaglia nel 1107 contro Ridwan ibn Tutush, emiro di Aleppo, ma nel 1110 suo figlio Malikshāh riesce a liberarsi dalla sottomissione a Ridwan e restaura la grandezza del Sultanato Selgiuchide di Iconio, tanto da minacciare Costantinopoli con le sue scorrerie fino a Nicea, che viene assediata senza successo nel 1113 ma con un nulla di fatto. Allora l'imperatore organizza una nuova, grande campagna contro i Turchi, riuscendo a sconfiggerli a Filomelio nel 1116. Giovanni V però non si fida a procedere oltre, verso Iconio. Questo è l'ultimo successo militare del Vittorioso: il
15 agosto 1118 Giovanni V muore di enfisema polmonare. Secondo Anna Comnena suo figlio Roberto, non appena sa che il padre sta morendo, si affretta ad occupare il palazzo imperiale, lasciando al capezzale la madre e le sorelle Stefania e Maria; la madre infatti brigava per convincere il marito morente a cambiare il suo testamento e nominare suo successore il marito della figlia Stefania, il generale greco Isacco Comneno, fratello della storica Anna Comnena, e secondo quest'ultima tali intrighi disturbano perfino le ultime ore di agonia di Giovanni V. In ogni caso, a quest'ultimo succede il figlio Roberto II, che sarà detto il Battagliero.

 


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