Braccobaldo da Bruscodorno – Giri di valzer precolombiani – Sta Bragobanzio Imperatore in Como – I due ciabattini – Lettera di Urbano II a Matilde di Canossa – Le Crociate viste da Alessio Comneno – Mi chiamano Boemondo – Il diario di Alessio Comneno – Apologia di Cromwell – Enrosadira – La saga del monte Kyffhäuser – I quattro santi di pietra
Ha cominciato Bhrihskwobhloukstroy il 14/8/2002 con queste sue ipotesi di « Fantamemorialistica », che rappresentano alcune tra le più "antiche" proposte mai avanzate dai collaboratori di Utopiaucronia:
Non pago delle passate esperienze di fantastoria (Berengario), fantageografia (Asburghia e Lestrigonia nonché le successive migliorie) e fantapreistoria (*Bho(:)lHtokeltos III di Bhriskobhre:(H)wr e la battaglia di *Bhrg'hrobherg'haH), adesso sogno un erudito settecentesco poliglotta apolide, Philadelphos Budururlup, nato nella Crimea turca da famiglia gotica (Budururlup turchizzazione di Brothruluba, tema in nasale brothru-luban- "philadelphos"), fluente in turco, arabo, persiano, armeno, russo, greco, latino, francese, tedesco e naturalmente gotico (biblico e moderno), viaggiatore presso le corti ottomana, indiana, cinese, russa, austriaca, inglese e francese, autore (in francese) di una "Descrizione delle coste del Mar Nero e dei costumi dei suoi abitanti" nonché dei "Dialoghi sulla Monarchia Universale, ovvero Relazione delle udienze e conversazioni avute con i più eccelsi sovrani di Europa e Asia o sieno l'Imperatore del Chitai o China ecc. ecc. sopra le diverse guise di ridurre a unità le nazioni civili onde conseguire salute e prosperità delle genti".
É superfluo aggiungere che, come adepto della tesi celtoscitica, era anche al corrente delle ipotesi di Sir William Jones. Questo erudito sarebbe l'autore anche della...
.
Braccobaldo da Bruscodorno
16/8/2002
Nel 1402 tutte le conquiste viscontee sono state ereditate da Braccobaldo da Bruscodorno, sedicente discendente di Adelchi e autoproclamatosi Re dei Longobardi, il quale, mossa guerra per terra e per mare (con le flotte genovese e pisana) a Venezia, conquista la Serenissima con tutti i possedimenti d'Oltremare, toglie agli Aragonesi dapprima la Sardegna, poi le Baleari e la Sicilia e infine conquista il Regno. (Dal Gottardo a Malta si diffonde l'uso del milanese come nuova lingua di prestigio, adottata anche dalle ex-Repubbliche Marinare come lingua franca di comunicazione internazionale.) In seguito, con le flotte delle medesime, sgombera il Mediterraneo dalla pirateria saracena e si assicura il Regno di Cipro nonché l'intero impero coloniale genovese-veneziano-pisano fino alla Crimea.
Il figlio Britomarzio coglie il vuoto di potere lasciato dalla morte di Tamerlano e conquista tutti gli stati turchi dell'Anatolia, conseguendo fra l'altro il pieno controllo degli Stretti e restaurando l'Impero Latino dei Franchi. Il Basileus di Costantinopoli lo nomina proprio erede in cambio del solenne impegno a porre Greci e Romani su un piano di parità a ogni livello.
I possedimenti di Britomarzio all'apogeo del suo regno occupano grosso modo: tutta l'area cisalpina e italiana (tranne l'enclave romana sul modello di Avignone) incluse le isole (anche le Baleari) e tutte le coste mediterranee settentrionali (inclusi il Mar Nero e il Mar d'Azov) da Gibilterra (v. sotto) al Libano con tutte le isole (Malta, Creta, Cipro) e penisole (Grecia, Tracia, Costantinopoli, Anatolia occidentale e centrale, Crimea). Verso l'interno: spartiacque Adriatico-danubiano in Dalmazia; prime alture in Montenegro e Albania; confine linguistico bulgaro-greco in Tracia; instabile in Ucraina e verso il Caspio; Caucaso in Abkhazia; a ridosso della costa in Georgia; (ex-)confine linguistico greco(/turco)-armeno in Anatolia; limite del bacino idrografico mediterraneo in Siria (e Libano).
Perché si pone il problema, discusso, dei goti, ma anche quello dei turchi da sistemare, magari con una alleanza con Absburgo e Jagelloni...
I Turchi premono verso l'interno dei Balcani; si sono dislocati come potenza Fra l'altro, con l'Europa centrale appena uscita dalla guerra dei cent'anni e l'Inghilterra sonvolta dalla guerra delle due rose qualcosa probabilmente si rastrella: Provenza, Catalogna, Valencia, Murcia e una striscia costiera a spese degli Arabi di Granada
E il grande scisma? A questo punto sia Roma che Avignone sono enclaves entro l'impero longobardo e Costantinopoli ne fa parte. Tentativi di riunione costerebbero troppo a una compagine politica in crisi di espansione. Le singole aree continuano a orientarsi sui propri centri religiosi d'elezione; Britomarzio si accorda con gli Ortodossi per la non interferenza, con ciascuno dei due Papi per un ossequioso rispetto in cambio della rinuncia, da parte loro, alla pretesa dell'esclusività di trattamento (in pratica, una codificazione dello Scisma d'Occidente come quello d'Oriente). Quale sarà l'adesione personale di Britomarzio?
Come si definisce allora l'equilibrio delle potenze europee nel XV secolo alla vigilia delle grandi scoperte geografiche? Dunque, i figli di Britomarzio, Bragovesto (detto poi «il Persiano») e Brudoslavo proseguono (concordemente) l'espansione l'uno nel Caucaso sino al Dagestan, con opzione sulla regione armena (i cui abitanti ne sostengono l'avanzata, al di là anche dei governanti) di Van (sino allo spartiacque fra il Karasa e il Tigri-Eufrate) e la valle di Tabriz; e l'altro nelle alture del Montenegro, Kossovo e dilagando poi in Serbia e ponendo le basi per un'avanzata in Banato e Pannonia (La Bosnia rimane al momento turca).
I turchi sono così divisi in due tronconi, e sono costretti a premere sui persiani: grandi battaglie hanno luogo nei monti Zagros. Inltre si espandono in Muntenia, Valacchia e Bessarabia, molestando le città stato mercantili del basso Nistru.
Naturalmente l'impero longobardo(-bizantino) deve trattare i Turchi con la massima circospezione. Costituiscono il terzo gruppo etnico dell'impero (dopo Greci e Latini), addensati soprattutto in Anatolia e in vari centri nei Balcani; forniscono il grosso delle armate (insieme a Slavi meridionali e Italiani); possono sempre essere sensibili al richiamo dei vari principi turchi indipendenti nei Balcani e, vedo, sul basso Danubio nonché in alta Mesopotamia. Quali sono le intenzioni di Brudoslavo? Militari o di annessioni politiche? Bragovesto ha puntato direttamente al Caspio, che costituiva il principale obiettivo geopolitico dell'impero; attenzione all'area del delta del Volga (é indispensabile averne pieno controllo). Comunque la via transcaucasica é una scelta felicissima.
Quanto ai Goti, dovranno crescere e moltiplicarsi per governare la situazione nord-pontica, non essendo utilizzabili in questo settore né Slavi né Turchi o Tatari (perché facilmente attraibili dagli avversari) né Greci o marinaro-repubblicani (perché troppo civili). I Goti devono anticipare i Russi nella conquista della maggior quantità possibile di territorio tartarico. Per tale motivo, l'impero si chiamerà goto-lombardo (Gozia a oriente, Lombardia a occidente)
Si vede inoltre un'alleanza con gli Absburgo e gli Jagelloni. Una compagine così estesa e così fragile deve avere alleati in tutti i vicini dei propri vicini, quindi anzitutto l'Inghilterra e la Borgogna (un altro revival di un regno romano-germanico) in Francia, la stessa Borgogna e gli Asburgo verso la Svizzera. Ungheria-Boemia, Polonia-Lituania e principi russi non devono avere nulla da temere dai Longobardi e bisogna tener conto che l'Ungheria é già stata privata dello sbocco al mare (Adriatico) dagli stessi, che adesso incombono su Banato e Pannonia. Forse il progetto di Brudoslavo é una spartizione della Boemia - Ungheria in accordo con Austriaci e Polacchi?
Naturalmente bisogna vedere se Aragona e Asturie non si sollevano. Ma l'Aragona é, dopo Venezia e i Turchi, la principale vittima dei Da Bruscodorno; insistono sullo stesso settore di espansione. I progetti di unificazione della sponda settentrionale del Mediterraneo occidentale sono esattamente quelli perseguiti dalla corona aragonese. Le alternative sono:
1) gli Aragonesi
riconquistano in parte o del tutto (fino a Napoli) i territori perduti;
2) Aragona e Castiglia si uniscono (come regno di Spagna) in funzione
antilongobarda;
3) l'Aragona si riduce a un ruolo paragonabile alla Navarra, stretta tra
Castiglia-Leon-Asturie da un lato e Provenza-Catalogna-Valencia-Murcia-Malaga
longobarde dall'altro;
4) la Castiglia si espande equilibratamente a Est (Aragona), Sud (Granada senza
costa) e Ovest (Portogallo), cosicché la Penisola risulta divisa in 4/5 alla
Castiglia e 1/5 alla Lombardia.
Ma i papi occidentali non ci stanno. Britomarzio, figlio di longobardo milanese, è di osservanza romana (non avignonese). Avignone tenta la carta dell'impero, e il papa di Roma quella dei francesi (bolla d'oro firmata da una ventina d'anni); sollevazioni guelfe in Toscana e nella Pentapoli. Scricchiola la situazione italiana, in parallelo con le conquiste persiane e balcaniche.
A questo punto il primogenito di Britomarzio, Bragobanzio, punta alla corona imperiale. Punti di debolezza: l'ostilità dei due Papi, degli Urani e in generale degli Svizzeri, dei Francesi (guelfi) e degli Aragonesi (ghibellini!), oltre alla guerra sul medio-basso Danubio; costante minaccia dell'altro grande impero mediterraneo (Egitto). Punti di forza: una base territoriale maggiore di quelle degli altri grandi monarchi europei (re d'Inghilterra, di Castiglia-Leon-Asturie, di Boemia-Ungheria, di Polonia-Lituania; granduchi di Moscovia); ricchezze derivanti dall'accesso diretto ai mercati asiatici (Milano, divenuta città di legno e di marmo insieme, é un'immensa rete di canali su tre livelli con traffici dappertutto). Bisogna fare il conto dei Grandi Elettori (i Lussemburgo saranno contro; gli Arcivescovi insondabili fino all'ultimo)
.
19/8/2002
Giri di valzer precolombiani
Premessa: attenzione alla cronologia assoluta. Britomarzio é nato nel 1410 e ha raggiunto l'apogeo intorno al 1450, dunque siamo alla vigilia dell'avventura dell'Ammiraglio dell'Oceano. Colombo avrà tutte le navi e i finanziamenti che desidera, così come chiunque abbia progetti in grado di aggirare lo strapotere culturale, commerciale ecc. dell'Egitto e in generale delle potenze islamiche (con cui non bisogna mai fare l'errore di assumere inutili atteggiamenti da crociata). La deflazione dovrebbe essere in parte scongiurata (?) da un'intelligente valorizzazione delle terre nordpontiche (del cui controllo mancano tuttora le premesse).
E la pirateria marocchina (se ben manovrata) cosa potrebbe fare di Da Gama e la sua circumnavigazione? Inoltre, la fine del secolo è caratterizzata da una severa deflazione. Bisognerà tener conto della minore disponibilità di denaro dell'impero. Ma la pirateria non é affidabile a lungo termine, e in ogni caso un'espansione portoghese, persino se destinata ad andare a vantaggio della Castiglia-Aragona antilombarda, ha un immediato riscontro positivo sul sistema di pressioni reciproche in Europa (diminuisce la pressione sui Gotolombardi).
Brudoslavo è abbastanza un problema: animato dalle migliori intenzioni, non ha tuttavia chiara la visione strategica della cosa. E questo gli nuoce. Credo che originariamente lui pensasse ad una conquista militare, ma i richiami di prudenza per non esacerbare al situazione turca e contemporaneamente non allarmare gli Asburgo lo hanno inizialmente frenato. Per tentare il fatto compiuto si è lasciato prendere la mano e ha giocato la carta della Blitzkrieg. Ma gli è andata male: i turchi riprendono terre e consensi nel Banato (rivolte pantur(ani)che in Anatolia?). Sempre più necessario l'intervento dell'impero germanico (i cui elettori orientali vogliono decise garanzie). Il suo controllo sarebbe indispensabile, ma i Lussemburgo preparano un'offensiva (solo diplomatica?) d'accordo con la Francia, seccata per le ingerenze gotiche in Borgogna e per il suo aiuto all'Inghilterra.
E la Moscovia? e il patriarcato, semiindipendente, di Kiev (utile per il controllo del delta del Volga)? Brudoslavo é nato e cresciuto fra i Goti, ha un nome chiaramente gotico (Brudaslaws o Brôdaslaws "Colui che tace (con) il pane", senza che sia chiaro il significato o la motivazione) e sarebbe destinato a reggere la Gozia o almeno, da principio, a guidare l'attacco ai Tatari prima dei Russi. Non é certo filoturanico e sembra avere strane idee circa rapporti tra Goti e Variaghi.
Sul medio e basso Danubio bisogna chiudere il fronte aperto. Una via potrebbe essere presentarsi come arbitri pacificatori (tra monarchi occidentali e nazionalisti magiari; tra Ungheresi e Turchi; tra Turchi e popolazioni locali).
Sul basso Volga andrebbero evitati scontri di religione. L'essenziale é il controllo politico (con le evidenti conseguenze economiche); tutta l'area che ha conosciuto l'aspetto violento dei Mongoli ha bisogno di essere ripopolata per il 60% e bisognerà ricorrere a tutti. Ci saranno ortodossi kiev(i)ani, sunniti, anche karaiti ed eventuali (probabili) superstiti Khazari israeliti che dovranno essere proposti come modello.
La chiave di tutta la situazione europea é effettivamente in Germania, dove non si possono avere nemici. Il colpo di scena potrebbe essere un patto coi Lussemburgo ai fini di una loro duplice monarchia (giuridicamente giustificabile cercando pretese di eredità angioina) in Boemia-Ungheria da un lato e in Francia dall'altro. Gli Asburgo avrebbero mano libera in Svevia, appoggio nei confronti degli Svizzeri e potrebbero aspirare al trono spagnolo o alla Svezia. A Roma un Papa francese.
Bragovesto ha puntato direttamente al Caspio, che costituiva il principale obiettivo geopolitico dell'impero. Ora è più o meno a Rasht, sulla costa meridionale, dove cerca alleanze per l'assalto a Baku e l'eventuale risalita verso nord (la sponda orientale è, al solito, infestata dai pirati, che non ne vogliono sapere di sottomettersi, né di collaborare).
Ora dovrebbe fare onore al suo nome ("Che dimora nella palude", datogli senza spiegazioni comprensibili da un vecchio ossolano dagli atteggiamenti sacerdotali, che mostrava di avere conoscenze remotissime e presentato a Braccobaldo da un feudatario di antica famiglia ghibellina milanese colà ritiratosi) e usare tutte le sue doti sulla sponda occidentale per costruire il Nuovo Mondo ponto-caspico. Siamo tutti d'accordo sulla necessità di moltiplicarsi dei goti? Si potrebbe pensare a forme di incentivi per venire in Anatolia (terre, libertà banali o simili)? Certo, compatibilmente con le deflazionate finanze di cui sopra. In Anatolia é importante cercare da un lato di non riproporre un'egemonia greca e ortodossa che porterebbe a una risurrezione bizantina antilatina, dall'altro di non cadere nell'estremo opposto, di un'Anatolia turca e sunnita che non avrebbe ragione di non orientarsi verso l'Egitto o il Vicino Oriente piuttosto che verso l'Occidente gotolombardo.
Quando dovesse scoppiare la questione del possesso di Tunisi risulterebbe opportuno poter disporre di una decisiva forza d'urto turca. Nel Mediterraneo orientale sarebbe bene garantire vantaggi interessanti ai Catalani e a tutti coloro che non debbono pensare a nostalgie filoaragonesi.
Sul piano interno, Britomarzio ha emendato la lex salica per consentire alla sua primogenita, Bermildiza (così chiamata per omaggio alle usanze turche, e intrisa di cultura bizantina, e detta, scherzosamente, Britapulxa...) di reggere il trono, lasciando liberi i fratelli di darsi alle conquiste militari. Per ora l'alleanza familiare regge bene. É notevole il preziosismo delio della -a- finale del primo elemento di composizione, degno appunto della cultura umanistica bizantina (lo stesso Britomarzio aveva speculato persino in sede dottrinale sul proprio nome, che Braccobaldo aveva coniato invece per un vero e proprio mito nazionalistico sulla scorta della plutarchea Vita di Marcello), ma per usarlo ufficialmente sarebbe preferibile almeno una /o/ (Britopulxa)...
Aragona e Castiglia si uniscono (come regno di Spagna) in funzione antilongobarda; a Cordoba tentano di approfittarne per un revival arabo, e premono a Ovest sull'odierno Bajo Alentejo. Si può sperare negli Asburgo (vedi sopra)? Questa in effetti è la cosa più importante. che cosa succede alle diete? Attenzione anche all'inedita situazione istituzionale: Bragobanzio imperatore (se gli riesce), con Bermildiza sua regina [ma anche gli Asburgo erano re solo per Santo Stefano].
Se i piani dell'ormai anziano Britomarzio si realizzassero, molti ricavebbero cospicui guadagni: l'Inghilterra in Francia; la Borgogna in Francia e Svizzera; gli Asburgo in Svevia, Svizzera, Spagna e Svezia; i Lussemburgo in Francia, Boemia e Ungheria; il Portogallo oltremare; i Turchi nei Balcani e in Tunisia; i porti del Mediterraneo romanzo nei mercati levantini; i Russi contro i Tartari; i Polacchi da un orientamento di Kiev verso - come dice il termine - Oriente; i Greci da un allargamento di orizzonti di scala giustinianea; gli Slavi meridionali dalla garanzia dell'indipendenza. Certo chi avrebbe una perdita secca sarebbe la corona francese, ma in un futuro forse non così lontano si potrebbe sperare in un sultano capetingio-Valois in Egitto (Cosa vuol dire Bermildiza? Sembrerebbe un toponimo tracio - in effetti dal XIII secolo abbondano gli antroponimi di origine toponimica - ma cos'é in realtà? Come si accenta?)
.
19/8/2002
Sta Bragobanzio imperatore in Como
1470. Dopo lunghissime trattative, Bragobanzio viene eletto imperatore.
Si realizza così l'inedita situazione istituzionale per cui a Milano - all'esterno della cerchia muraria - sorgono due grandiosi palazzi imperiali, uno gotolombardo di Britopulxa e uno sacro-romano-della nazione germanica di Bragobanzio. Britopulxa in Lombardia é feudataria di Bragobanzio, i cui beni allodiali d'altronde non sono suoi ma di Britopulxa. Brudoslavo é imperatore di Gozia a Caffa; Bragovesto espugna Baku.
Nel quindicennio successivo la crisi in Francia si fa inestricabile; in Egitto, una vera rivoluzione a base copta rovescia i Mamelucchi. Brudoslavo e Bragovesto attaccano congiuntamente in un'offensiva finale il khanato di Crimea, conquistandolo e fondandovi tredici colonie gotiche. Le coste settentrionali del Mediterraneo sono disseminate di palazzi imperiali di proporzioni spalatine. Gli Asburgo sono signori della Svevia, ma gli Svizzeri conservano intatta la propria indipendenza.
Nel 1485 avviene il rovesciamento delle sorti: un esercito di Confederati, prevalentemente Urani, sfonda in ogni punto il confine alpino e dilaga verso Sud. Nonostante innumerevoli episodi di eroismo, Milano é conquistata nel giro di due mesi, gli Urani si spingono fino al mare e conquistano Genova, mentre i Ginevrini annettono la Savoia scendendo fino a Lione e i Vallesani avanzano lungo i due versanti delle Alpi Occidentali, conquistano Torino, Vercelli, Saluzzo, Cuneo, Nizza e proclamano la Repubblica della Alpi Cozie, Graie e Pennine. I bernesi compartecipi della conquista di Milano catturano l'imperatrice Britopulxa e la portano a Losanna, all'epoca in loro possesso. Gli Urani catturano la flotta genovese e si impadroniscono di Tolone e Marsiglia; la Catalogna si allea alla Svizzera. I dodici altri Cantoni, per timore dello strapotere urano, istituiscono la Confederazione Insubrica su modello elvetico, estesa dai Leponzi ai Liguri. Intanto i Grigioni calano in Valtellina, assediano ed espugnano Como e Lecco, quindi Bergamo e Brescia; a Verona si uniscono all'altra loro armata passata dalla Val Monastero in Val Venosta, Bolzano, Trento; insieme dilagano per le Venezie fino al Friuli e all'Istria. Dopo nove mesi, Venezia é annessa alle Leghe.
Bragovesto prepara la resistenza lombarda. Sbarcato a Salerno, inizia la risalita della Penisola raccogliendo un'armata enorme di Lanzichenecchi longobardi e di ogni altra nazione tedesca. A Sarzana incontra i rappresentanti svizzeri e alleati e propone uno scambio della sua persona con la sorella. Gli Svizzeri, dopo un'iniziale sorpresa, su mozione appenzellese accettano lo scambio. Britopulxa é reinsediata imperatrice a Bruscodorno; conserva tutte le proprietà allodiali della famiglia, ma sotto giurisdizione svizzera. L'impero gotolombardo, pur privo della Cisalpina, della Provenza e della Catalogna, resta la più grande compagine politica del continente; Bragobanzio, come sacro romano imperatore della nazione germanica, é signore feudale diretto dei Confederati Elvetici e Insubrici e dei loro alleati perpetui ginevrini, cozio-graio-pennini e grigio-retici. L'intera Cisalpina é costellata di Feudi Imperiali sottrattisi all'onda reto-elvezia, che d'altronde possiede ora formidabili flotte militari e mercantili e rivaleggia coi Gotolombardi. L'engadinese si diffonde rapidamente in tutti i territori nei quali era anticamente in uso il veneziano come lingua veicolare e ha sempre maggiore circolazione persino nella Confederazione Insubrica, che pure mantiene il lombardo e il longobardo come volgari, alla pari dell'impero gotolombardo d'occidente.
Bragobanzio si reca a Como per trattare il riscatto di Bragovesto. I Copti d'Egitto si estendono fino all'Abissinia e puntano a strappare le coste siro-libanesi ai Gotolombardi.
Bragovesto viene rilasciato dagli Svizzeri a Portoferrajo, dove si reca a scortarlo Romolupo B(u)onaparte, un notabile sarzanese che lo aveva assistito durante le trattative per lo scambio con Britopulxa.
Alcuni Camoglini scoprono Sant'Elena e vi proclamano la sovranità dei Confederati.
Le tredici colonie gotiche nel Nuovo Mondo ponto-caspico mostrano segni crescenti di indipendenza. Aumenta la pressione del principe moscovita; nelle stesse zone gli insediamenti cosacchi sono fianco a fianco con quelli gotici.
I Copti attaccano Sidone e la costa siro-libanese. Bermildiza invia un esercito turco, creando l'inedita contrapposizione di milizie turche sunnite che combattono per gli Occidentali e arabe cristiane per gli Egiziani. I Maroniti si schierano con i Copti; altrettanto gli Sciiti in odio ai Sunniti e tutti per il richiamo arabo contro i Turchi, per conto loro inclini a una restaurazione mamelucca in Egitto. Subentrano Brudoslavo con i Goti ariani che provocano l'avvicinamento di alcune milizie maronite e Bragovesto "il Persiano" che muta la posizione degli Sciiti.
In Francia e Boemia-Ungheria, alla morte dell'ultimo sovrano dei Lussemburgo scoppia la guerra di successione tra Asburgo e Capetingi-Valois. A questi ultimi i Copti offrono la corona egiziana invocando un intervento in soccorso. La Polonia-Lituania nutre mire sulla Boemia-Ungheria.
Che ne dite?
.
I due ciabattini
Questa è invece del Marziano:
In una località della Provenza, nel XIV Secolo, vivevano due amici ciabattini. Uno era un fervente cristiano, l'altro un non meno fervente ebreo. Il Cristiano voleva tanto far partecipe il caro amico della cosa più bella che aveva: la sua Santa Fede. Pregava e faceva piccole penitenze per tale intenzione. Non si limitava a ciò. Cercava di renderlo edotto sui dogmi del Cattolicesimo, su come in Gesù, mite ed umile di cuore, si compivano la Profezie, etc.
Un bel giorno, il ciabattino ebreo ne ebbe proprio abbastanza e sbottò:
"Senti, ne ho proprio abbastanza! Vado a Roma per vedere cosa combinano i vostri capoccia [1] e poi ne riparliamo."
Il ciabattino cristiano pensò fra sé che tutto era perduto. Tutto affranto, pensava che non aveva servito abbastanza il Signore, per meritare un premio così grande, quale la conversione di un seguace di altra religione [2]. Si vede che doveva accettare tutto in mortificazione del proprio orgoglio. Forse, il pensare di aver convertito qualcuno, lo avrebbe fatto montare in superbia, dimenticando che la conversione è un miracolo analogo alla resurrezione di un morto. Chi dicesse di sé "Mi sono convertito", è come se dicesse "mi sono miracolato". Chi dicesse "Ho convertito", si darebbe arie da santo taumaturgo.
Al ritorno, il ciabattino ebreo, tutto trafelato corre dall'amico e gli dice:
"Mi vuoi fare da padrino al battesimo?"
L'amico tutto confuso, non sapeva cosa dire. Non stava nella pelle dalla gioia, ma non capiva nulla. Chiese all'altro:
"Allora, cosa è successo?"
"Semplice", rispose l'amico: "ho visto che, a Roma, dal Papa all'ultimo sacrestano, non pensavano ad altro che ha spassarsela a tutta birra. Quindi, ne ho dedotto che, per andare avanti per tanti secoli, guidati da simili uomini. DOVETE PER FORZA ESSERE NELLE MANI DI DIO, Altrimenti non si può spiegare!"
(Da una novella di Giovanni Boccaccio)
PAROLA DI CARDINALE! Non so quale cardinale, parlando con Napoleone Bonaparte, gli disse: "Maestà, non creda che riuscirà a distruggere la Chiesa. SE NON CI SIAMO RIUSCITI NOI PRETI, vuol dire che è proprio protetta da DIO!"
.
[1] vostri capoccia: La mia conterranea Susanna mi perdoni se uso il termine "Capoccia", sul quale lei detiene il copyright, senza avvisarla preventivamente. Anche volendo temo di non poterlo fare, visto che mi ha killato anni fa.
[2] seguace di altra religione: Ovvero, in termine tecnico, "infedele", che non usato, perchè "politicamente scorretto.
.
Anche questa idea allobrogica parte da una proposta del Marziano:
Gli Allobrogi erano un'antica tribù celtica che prese parte alle guerre di Giulio Cesare in Gallia; meno noto è il fatto che essi sopravvissero sulle Alpi Graie fino al XIV secolo, prima di estinguersi. Che accade se essi sopravvivono fino al presente, come ad esempio i Walser, e creano un loro stato che ostacola la penetrazione del dominio sabaudo in Piemonte?
Così gli risponde Bhrihskwobhloukstroy:
Forse comprensibilmente, mi sento chiamato in prima persona. La notizia mi interessa altrettanto che la proposta ucronica. In sé la cronologia non è incredibile (trovo convincente la tesi della sopravvivenza del gallico presso gli Osceli fino al XIII secolo, quindi 'poco' prima), ma non avevo mai trovato niente di simile per la Savoia. Alcuni avanzano ipotesi e addirittura un dizionario di una possibile sopravvivenza del gallico fino a epoca contemporanea ("nougalz").
A proposito invece dei Walser, il parallelo è quanto meno imbarazzante: i Walser forniscono la prova della sopravvivenza anche linguistica degli Osceli fino al loro arrivo, ma al contempo ne rappresentano la causa definitiva di estinzione (avendone occupato più stabilmente tutti i possibili rifugi in quota); in realtà non c'è stata un'estinzione genetica degli Osceli, che però in quell'occasione hanno finito per assimilarsi completamente ai discendenti romanizzati dei loro conterranei stabiliti a minore altitudine.
Riguardo alla possibilità di uno stato allobrogico antisabaudo in Piemonte, in un contesto europeo si tratterebbe di un caso parallelo ai Baschi e agli Albanesi, pur nelle diverse forme politiche e territoriali che questi hanno conosciuto. Confesso che avevo meditato un'eventualità del genere proprio per gli ultimi Osceli (ma non fino alla creazione di uno Stato, quanto piuttosto di un cantone grosso modo paragonabile a quelli svizzeri) e perciò penserei anche per gli Allobrogi di escludere sia la formazione di una forte signoria territoriale (il che però comporta praticamente l'inesistenza di casa Savoia) sia un'influenza troppo profonda da parte della loro ex-città principale (Ginevra) ormai romanizzata. Non so decidere come potrebbe esser il ruolo di Mégève (altro loro importante centro fin da epoca preromana). In generale preferirei una struttura confederale di cantoni agro-pastorali, verosimilmente attratta nell'orbita delle alleanze perpetue con il Vallese e indirettamente con la Svizzera, per sfuggire alla ben più forte e pericolosa conquista francese (rispetto a quella sabauda).
L'assenza della concentrazione sabauda in Piemonte garantisce la persistenza del nesso provenzal-monferrino ed elimina un ostacolo all'espansione padana dei Visconti. E' pensabile una politica aggressiva degli Allobrogi verso il bacino della Dora Baltea (analoga a quella della Lega Caddea verso i possedimenti milanesi in Valchiavenna e della Lega Grigia verso Bellinzona nella seconda metà del XV. secolo); non vedrei ostacoli a un ruolo degli Allobrogi simile a quello dei mercenarî svizzeri o dei Lanzichenecchi nel XVI. secolo.
Nel complesso, sulla lunga durata punterei sulla progressiva confluenza degli Allobrogi nella Confederazione Elvetica e, in conseguenza dell'assenza dei Savoia, su una più diretta contrapposizione tra Asburgo e Francia in area cisalpina (in ultima analisi, una francesizzazione di quest'ultima).
.
Diamo ora la parola ad alcuni studenti del nostro amico Paolo Maltagliati:
Lettera
di Urbano II a Matilde
di Canossa in punto di morte
di Tommaso (3 A)
Il Papa Urbano II scrisse la seguente lettera alla fedele amica e contessa Matilde di Canossa all’inizio del mese di luglio dell’anno 1099, pochi giorni prima di morire. Al Papa, non giungerà mai la notizia della conquista di Gerusalemme da parte dei crociati, avvenuta il 15 luglio dello stesso anno.
“O cara e illustre amica mia, sono ormai giunto al culmine della mia vecchiaia, le forze scarseggiano e spero che il mio animo, in preda a molti dubbi, possa trovare un po' di pace nel confidarsi con voi. Infatti, la spedizione a cui ho dato vita, un’impresa senza precedenti e talmente straordinaria che forse sarà irripetibile, sta per raggiungere il glorioso obbiettivo di conquistare Gerusalemme e la Terra Santa. Ovviamente i nostri valorosi crociati hanno, in nome di Dio, dovuto affrontare molti ostacoli e non giungeranno, ahimè, alla città in cui visse Cristo Nostro Signore, insieme. Il primo a abbandonare la Sacra Armata è stato Baldovino di Fiandra, in cerca di ricchezze e un proprio regno, il secondo Boemondo d’Altavilla, che si è fermato e stanziato ad Antiochia.
Mi addolora però particolarmente, o cara amica, che Boemondo non prosegua fino alla Terra Santa, non solo perché comporta la perdita di molti e valorosi uomini per l’armata dei crociati, ma anche perché tra tutti i capi è senz’altro quello che ho più a cuore per il particolare rapporto che mi lega alla sua famiglia. Infatti, suo padre Roberto il Guiscardo e, in particolare, suo zio Ruggero I furono i primi e gli unici a offrirmi il loro aiuto e sostegno quando, appena eletto Papa, avevo un controllo assai debole e precario. Devi sapere, cara Matilde, che grazie all’alleanza normanna l’Italia Meridionale diventò a lungo la mia residenza e punto di partenza, dal quale soprattutto attraverso i miei molti viaggi riuscii ad affermare progressivamente il mio potere in tutto l’Occidente. Dimostrai, già allora, la mia riconoscenza verso gli Altavilla donando al conte Ruggero I, fratello di Roberto il Guiscardo, l’onorificenza della Legazia apostolica. Anche il consigliare all’illustrissimo Corrado, figlio del celebre Enrico IV, di sposare la bellissima Costanza di Altavilla, quando nel 1093 lo incoronai io stesso Re d’Italia, fu simbolo della fedele alleanza che mi lega da anni con i valorosi normanni.
Nonostante l’amarezza lasciatami dalla notizia che Baldovino di Fiandra e Boemondo d’Altavilla non proseguano fino a Gerusalemme grande è ancora la speranza nel mio cuore che l’alleanza tra i capi crociati rimanga salda di fronte alle minacce di quegli innumerevoli popoli senza grazia e timore di Dio.
Sebbene la presa della città in cui visse Cristo Nostro Signore dalle mani dei persiani empi e indegni sembri ora imminente, sorgono in me alcune incertezze. La più grande preoccupazione è che l’impresa, certamente gradita da Dio, possa anche essere all’altezza del suo volere: saremo in grado di conquistare e poi difendere le terre del Santo Sepolcro in modo duraturo? O i limiti della natura umana impediranno questa impresa divina? Per questo, ho paura che, annebbiato dall’immensa gloria delle gesta della crociata, mi illusi di poter superare i limiti intrinsechi di riuscire a controllare lungamente territori sconosciuti, lontani e abitati da persone vili e pericolose. Giungono, infatti, dall’Oriente notizie di un condottiero musulmano che guida una coalizione di popoli profanatori a nord-est della Terra Santa. Infatti, mentre sono speranzoso che, nel volere di Dio, i valorosi crociati conquisteranno Gerusalemme, è , invece, la caducità dell’impresa ciò che mi preoccupa. Quindi per garantire la longevità della difesa del Santo Sepolcro, come è nella volontà di Dio, di fronte alle offensive degli ignobili popoli persiani senza fede, penso la soluzione sia, nonostante le vicissitudini e le discordie che ci sono state in passato, un’alleanza, nel nome dell’unico Dio, con l’Impero Bizantino. Per questa ragione fui entusiasta del patto stretto tra i capi crociati occidentali e l’illustre imperatore Alessio Commeno a Costantinopoli nel 1097, vedendolo anche come mezzo di riavvicinamento tra la chiesa occidentale e quella orientale. Infatti, o fedele amica, grande è il volere affinché le due chiese si riavvicinino da parte delle rispettive e più alte autorità, me compreso: infatti, questa prospettiva di riconciliazione mi spinse particolarmente a promuovere questa ardua e gloriosa impresa. Ma, ahimè, mi pare sempre più chiaro e scoraggiante che evidentemente la volontà di riunificazione si limita alle massime sfere, senza coinvolgere adeguatamente il popolo: infatti, troppa antipatia, discordia e non abbastanza tolleranza c’è tra gli occidentali e i bizantini, e ciò rende impossibile una sincera e duratura alleanza e riconciliazione, come ardentemente speravo.
Prego insieme a voi, gentile amica, affinché si possa realizzare la volontà di Cristo Nostro Signore attraverso questa gloriosa e divina impresa.
Vi porgo i miei più sinceri saluti, o mia illustre confidente e possa lo Spirito Santo di Cristo Nostro Unico Dio essere con voi.”
Urbano II, Papa, Servo dei Servi di Dio
Tommaso (3 A)
.
Le crociate viste da Alessio Comneno
di Chiara (3 A)
Era la fine di luglio del 1096, mi trovavo nel mio palazzo nella capitale. Anche nelle stanze ombrose e protette da spesse mura dei miei appartamenti il caldo era soffocante. L’afa opprimente di quei giorni sembrava trasmettere la stessa pesantezza che sentivo nell’animo. Quello a cui tanto tenevo era in pericolo. L’impero stesso era minacciato, conteso e indebolito. Dovevo fare tutto il possibile per preservare l’unità e la grandezza che il mondo ci riconosceva, anche chiedere aiuto al pontefice di Roma, quel supponente e infido personaggio che sedeva indegnamente sul trono che un tempo fu di Pietro. La mia richiesta era stata trasmessa, le cancellerie erano al lavoro ormai da tempo. Ero in ansia per quella notizia, l’attesa mi logorava, attendere l’aiuto del papa poteva essere umiliante ma era l’unico modo per preservare la nostra grandezza.
Ecco perché, quando i miei fidati informatori mi avevano avvisato che un esercito proveniente da Occidente era in marcia, aveva attraversato mezza Europa e ora si stava dirigendo a Costantinopoli, avevo pensato che la nostra salvezza era ormai imminente. All’idea che un esercito di mercenari stesse per arrivare in soccorso non stavo più nella pelle per la soddisfazione. Ero assorto nei miei pensieri quando mi annunciarono l’arrivo di un messaggero con importanti informazioni che doveva trasmettere direttamente all’imperatore. Eccolo al mio cospetto. Questi mi comunicò che una masnada di gente, che sembrava non avesse mai impugnato una spada prima di allora, era giunta nei pressi della città di Costantinopoli. Pensai che quella fosse un’altra di quelle folle di ribelli provenienti dai confini e venuti a lamentarsi per le incursioni, sempre più frequenti, di quel maledetto popolo turco. Quei rivoltosi credevano ogni volta che creando un po' di scompiglio io avrei potuto risolvere i loro problemi, ovviamente non era così e lo avrebbero capito se solo avessero immaginato l’enorme pressione che dovevo sopportare e la delicatezza della situazione che stavamo vivendo. Ahimè, anche se a malincuore, avevo imparato a non dar loro granché retta e con qualche falsa promessa e qualche minaccia li facevo andare via. Dunque quella visita non mi aveva allarmato, almeno fino a quando un ufficiale mi spiegò che quelli non erano comuni insorti, ma dicevano di essere giunti in seguito ad un appello del papa per liberare la Terrasanta dagli eretici musulmani. Capii che quelli che io credevo fossero dei mercenari erano in realtà dei fedeli che non vedevano l’ora di poter liberare una città che non avevano mai visto da un nemico che non conoscevano. Non potevo crederci. In un attimo le mie speranze si erano sgretolate, irrimediabilmente infrante. La mia eccitazione, in breve si era trasformata in delusione e infine in preoccupazione. Non sapevo più cosa fare. Negli anni di regno avevo imparato cosa significasse sentirsi soli anche quando si era circondati da molta gente e impotenti anche quando si aveva il potere di un regno nelle proprie mani.
Organizzai prontamente un incontro con i capi di questa spedizione e pregai loro di attendere anche perché non sapevo sinceramente che farmene di quattro contadini spaesati, ma questi non ne vollero sapere e iniziarono a compiere razzie anche all’interno di Costantinopoli stessa. Era troppo, dovevo liberarmene e farlo al più presto. Abbandonarli nelle mani dei nemici era la soluzione più rapida, d'altronde questo non era ciò per cui erano venuti? Per affrontare i turchi? Li avrebbero incontrati molto presto, per la soddisfazione di quell’intrigante e inaffidabile del pontefice. Nel frattempo mi giunse voce che l’appello del Papa aveva riscosso un grande successo e molta altra gente stava giungendo armata, da ogni parte d’Europa, per combattere i Turchi. Sul finire di quell’anno giunse infatti in città un altro esercito per combattere i miscredenti. Questo si presentava molto meglio, infatti era più organizzato e disciplinato; tuttavia ciò non bastò a rincuorarmi perché tra i capi vi era anche Boemondo d’Altavilla. Nientemeno che il figlio di Roberto il Guiscardo, che era stato colui che mi aveva dato tanto filo da torcere qualche anno prima sul fronte occidentale. Non ero per niente certo delle intenzioni di questa gente, dunque, per tutelarmi, proposi un accordo: io avrei fornito loro tutto ciò di cui avevano bisogno per combattere a patto che loro sottraessero ai Turchi e mi restituissero quelle terre che mi erano appartenute in origine. Cosa intendessero fare una volta giunti in Terrasanta non era affare mio. L’avanzata procedette inizialmente bene fino a quando si giunse ad Antiochia; assediata la città, arrivò la notizia che i Turchi stavano arrivando, pensai che quei soldati occidentali fossero ormai spacciati, dunque li abbandonai, senza sprecare i miei soldati per un’azione di salvataggio impossibile. Mi sbagliai perché, anche se non mi è chiaro come, alla fine quei soldati da quattro soldi riuscirono ad espugnare la città. Di tutto ciò la cosa che più mi infastidiva era che Boemondo avesse imposto sulla città il suo dominio e non quello bizantino, infrangendo il nostro patto, dimostrando la sua volubilità e sottolineando come il mio esercito non avesse merito per quella conquista. È una macchia che ancora mi accompagna, non sono mai riuscito a perdonare quei soldati esotici e da quel momento cerco di sfruttare tutte le occasioni che ho per cercare di far fallire la loro impresa.
Alessio Comneno fu protagonista e testimone di una fase storica molto complessa e delicata, sperimentò infatti le guerre normanno-bizantine, che avevano impoverito militarmente l’impero e lo avevano ridotto sensibilmente anche dal punto di vista territoriale, e innescò probabilmente il “casus belli” della prima crociata. Anche se ad una prima occhiata queste guerre potrebbero sembrare solamente la conseguenza di un fraintendimento tra un papa e un imperatore che avevano scopi diversi, ma lo stesso nemico; in realtà la storia è più complicata e ci sono altri interessi di tipo economico, politico e sociale che hanno influito. Ma per comprendere meglio l’intero periodo è meglio partire dal principio, ovvero da come l’impero bizantino si sia trovato in una situazione tale da costringerlo a chiedere aiuto al Papa dopo che si erano scomunicati a vicenda. All’inizio dell’XI secolo l’impero bizantino, senza pericoli all’orizzonte o problemi ingestibili, stava vivendo un periodo di stabilità; fu solamente nella seconda metà del secolo che cominciò a sgretolarsi. Comparvero pressoché simultaneamente due grandi minacce: i normanni a ovest e i Turchi, della stirpe dei Selgiuchidi, a est. Infatti i Turchi, dopo la battaglia di Manzikert, con la quale avevano inflitto un duro colpo al nemico, avevano continuato ad avanzare inesorabili restringendo sempre di più il territorio di dominazione bizantina, allo stesso modo avevano fatto anche i normanni. Questi ultimi all’inizio avevano conquistato gran parte dell’Italia meridionale, escludendo quasi totalmente i bizantini dal dominio della penisola. Essendo a conoscenza della complessa situazione a Costantinopoli è più semplice comprendere come mai i normanni non hanno incontrato ostacoli durante la loro espansione in Italia: i bizantini erano troppo occupati su un altro fronte per poter sostenere una guerra di riconquista. Poi approfittando della loro debolezza i normanni, guidati da Roberto il Guiscardo, si erano diretti in Asia Minore con l’obbiettivo di annientare definitivamente i bizantini. In questo periodo era salito al potere Alessio Comneno, che si era visto costretto a combattere su due fronti contemporaneamente. Difficile immaginare la pressione che deve aver provato dovendo prendere decisioni che se rivelatesi sbagliate avrebbero portato alla caduta dell’impero. Questo fu sicuramente l’apice della crisi dell’impero. Per grande sollievo dei bizantini la minaccia normanna non durò a lungo, poiché, a seguito di una serie di eventi fortuiti, tra i quali la morte di Roberto il Guiscardo, i normanni abbandonarono l’impresa. Lungi dall’essere una semplice parentesi, questo aveva provocato un ulteriore indebolimento dell’esercito bizantino, soprattutto in seguito alla battaglia di Durazzo, che aveva visto la vittoria normanna. Fu per questo motivo che l’imperatore aveva inviato degli ambasciatori al Papa con la richiesta di mercenari per combattere i Turchi. Probabilmente la conoscenza dell’Oriente presso gli uomini occidentali non era sufficiente e dunque termini come arabi, turchi musulmani o persiani indicavano, secondo la visione cristiana europea, un’entità indistinta: gli eretici. Papa Urbano II si fece promotore durante il Concilio di Clermont del 1095 di una missione religiosa: liberare la Terrasanta e gli altri luoghi della cristianità dai musulmani, poiché ritenuti di proprietà della Chiesa. Sicuramente la prospettiva di poter riaffermare il predomino della Chiesa di Roma su quella d’Oriente fu un ulteriore incentivo, dopo che lo scisma del 1054. Ma probabilmente più di questo fece la situazione economica e sociale dell’epoca. La crociata poteva costituire un'opportunità irripetibile per incanalare lontano dall’Europa le aspirazioni espansionistiche dei normanni e il desiderio di rivalsa e di affermazione dei figli non primogeniti dei vassalli. Questi ultimi infatti, non ricevendo alcuna eredità, erano costretti a cercare fortuna altrove, alimentando scorribande e violenze.
Gli episodi narrati più sopra offrono un esempio emblematico di come le vicende storiche siano spesso il risultato di una molteplicità di fattori, talvolta nascosti dietro a motivazioni più evidenti.
Chiara (3 A)
.
Mi chiamano Boemondo
di Costanza (3 A)
Sono Marco (in onore del santo patrono di San Marco Argentano ove ebbi i natali) d’Altavilla, figlio di Roberto il Guiscardo ed Alberada di Buonalbergo (ripudiata per consanguineità); mi chiamano Boemondo (da “Behemot”) come riferimento alla leggendaria figura biblica citata nel Libro di Giobbe (40,15-24) (insieme a Leviatano ed allo Ziz sono la creatura più straordinaria della terra) o come demone edonistico... Comunque la mettiate, “nomen omen”, per chi ci crede.
Ebbene sì, sono nato in tempo di lotte (che sia mai esistito od esisterà un tempo di pace?) e confusione, sono normanno fino al midollo e la sete di conquista mi accompagna; sono determinato, visionario, valoroso e corretto checché se ne dica.
Mi sono fatto le ossa attaccando Alessio I Comneno, tra il 1080 e il 1085, sui Balcani sotto l’egida di mio padre ed in sua assenza ho guidato io stesso l’esercito normanno in Tessaglia fino a Larissa, per scontrarmi con i subdoli greci ed essere respinto da questo bizantino che siede su un trono illegittimamente occupato (insomma, Romano IV non ha abbandonato la scena spontaneamente).
Alla morte di mio padre, nel 1085, Urbano II si è prodigato affinché mi fossero riconosciuti alcuni possedimenti intorno a Taranto… Diciamo un piccolo principato ricevuto dalla mia matrigna longobarda Sichelgaita qualora io avessi rinunciato ad ogni diritto sul ducato di Puglia ed altri territori in favore del mio fratellastro Ruggero (non che il Papa tenga a me, so bene che ogni impegno da parte sua è volto alla ricristianizzazione di queste regioni).
E sia. Mi concentrerò altrove. Del resto se l’arcivescovo Romualdo Guama (cronista più vicino ai normanni di chiunque altro) scriverà di me “egli sempre cercava l’impossibile”, sento di dovergli dare ragioni fondate, o quanto meno non vorrei smentirlo.
Durante l’assedio di Amalfi, nel 1096, sto giusto dando una mano a mio zio Ruggero contro la città in rivolta ed ecco che mi si prospetta la grande occasione: orde di Crociati scendono verso il Mediterraneo per dirigersi in Terra Santa. È il momento per dare forma alle mire espansionistiche ereditate da mio padre. Da sempre noi Normanni abbiamo dovuto vestire gli abiti mercenari per poi accogliere la fede della Croce senza davvero distinguere l’utilità dalla sincerità (diciamo da Hrolf in poi) … Ah già, di me si dirà anche anche che “presi la Croce con l’intenzione di razziare e conquistare terre greche” (cit. Goffredo Malaterra - "De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius").
Io non vi so dire. Se nasci cavaliere con il mio sangue, devi poter cavalcare e combattere e conquistare. Non so fare altro.
A dirla tutta è dal terzo Concilio di Melfi (10-17 settembre 1089) che Urbano insiste nel voler costituire una lega per poter liberare la Terra Santa dai Musulmani (Musulmani, Turchi, Infedeli… Lui non fa alcuna distinzione) … Predica, predica fino a al gran discorso al concilio di Clermont. Esercizio che riesce facile dovendo più o meno ripetere quanto già proposto per la “reconquista spagnola”.
Che la fama lo accompagni solo per l’organizzazione di questo evento mi pare sì ingiusto; ben altro ha fatto: si è prodigato come pochi per attuare il disegno di Gregorio VII (che già aveva esortato le “militiae christi” a correre in soccorso di Bisanzio) ed impresa considerevole è stata senza dubbio la ricristanizzazione della Sicilia e della Campania, sicuramente di maggior successo sul lungo periodo. Insomma, ricondurle nella sfera cattolica dopo secoli di appartenenza a Bizantini ed Arabi non è stato facile e forse si è lasciato prendere la mano.
Papa ed Imperatore sembrano essersi chiariti le idee su obblighi e doveri reciproci, tuttavia permane una linea d’ombra oltre la quale Urbano si sente libero di agire (tant’è che concede a Ruggero prerogative straordinarie quali l’investitura laica e raccogliere le rendite della chiesa onde ovviamente inoltrarle al papato, gli concede voce in capitolo nelle faccende ecclesiastiche ed è a tutti gli effetti un legato papale).
Io ho solo cinquecento uomini a fronte dei 35.000 crociati che si accingono all’impresa e, anche se pochi, i miei sono tra i più valorosi. Mi decido a partire solo ora, è vero, la prima ondata non ha sortito gli esiti sperati… Del resto, come avrebbe potuto? Urbano, a Clermont, col suo discorso ha infiammato gli animi toccando le corde della fede e lasciando intravedere una lauta ricompensa a chi è affamato; ma come raggiungere tale meta senza gli strumenti necessari? Lo sa bene, come sa bene che non avrebbero potuto che essere carne da macello. È accecato dalla sete di conquista, che, seppur non inferiore alla mia, dovrebbe contenere e non usare il vessillo di Cristo per consacrare la propria vanità, perché se davvero crede alla profezia dell’”ENDKAISER” solo egli ne è consapevole e lucidamente deve riconoscere che la gloria che cerca è tutta terrena. La sua visione dello scenario è annebbiata al pari della mia, eppure io conosco il mio interlocutore (Alessio), se non il mio nemico (i Selgiuchidi). Lui ha chiaro, o, per meglio dire, è accecato solo dall’obiettivo, e pare non voler considerare ragioni di tipo pratico, strumentalizzando la volontà del proprio Dio. So bene come le carte sul tavolo possano mostrarsi a mio favore e poco dopo rivoltarmisi contro, ma la mia è a tutti gli effetti solo una faccenda mondana. Consapevole dello sfacelo riservato alla prima ondata di crociati, dei massacri e dei saccheggi che hanno accompagnato il loro passaggio e la fine tragica che li ha attesi, parto da Trani dopo aver solcato il mare Adriatico ed essere attraccato a Durazzo, mi dirigo attraverso verso la Via Egnatia (che già avevo tentato nel 1084) e mi dirigo verso Costantinopoli, scortato da membri dello strano popolo dei Patzinak, che Alessio ha sottomesso [una sorta di polizia militare bizantina] inviatimi da Alessio per scortarci. Nonostante i nostri trascorsi, giunto a Costantinopoli nell‘aprile del 1097, gli porgo omaggio. In questa spedizione, che va considerata come la prima vera crociata, non certo quella dei “pezzenti” che ci ha preceduto, non sono ovviamente solo. In Occidente abbiamo sì realizzato che vi siano possibilità per saziare le mire espansionistiche di qualcuno o più semplicemente un fazzoletto di terra che sia proprio per altri (anche se la terra che ci attende non è più una ‘Persia’ indefinita di latte e miele). È l’occasione per quei molti cavalieri assetati di sangue, di combattere con il permesso-favore di Dio. Siamo tutti piuttosto confusi, tuttavia, meglio tentare un futuro incerto che arrendersi alla evidente mancanza di prospettive nelle terre del nostro presente. Mi accompagnano Goffredo di Buglione, Raimondo di Tolosa, Stefano II di Blois, Baldovino de Boulogne e Tancredi d’Altavilla; mentre gli ultimi due puntano a stabilirsi nella Contea di Edessa, Goffredo, Raimondo, io e la parte più sostanziosa dell’esercito crociato ci dirigiamo verso Gerusalemme.
La ritrosia che Goffredo mostra nel voler giurare fedeltà ad Alessio me lo rende vicino (anche se lui, per essere qui insieme ai suoi fratelli, ha voluto vendere i castelli di Stenay e Boullion; io non ho sacrificato tanto, o meglio, ho perso i Balcani, ma non vi ho rinunciato volontariamente). Goffredo cercherà, finché potrà, di mediare tra me e Raimondo (è crociato nello spirito) a prescindere da un suo presunto precedente pellegrinaggio in Terra Santa; è forse l’unico tra noi ad aver davvero intrapreso questa strada come percorso spirituale fine a sé stesso… Perché è questo che si chiede ad un cavaliere crociato: scortare un pellegrino in Terra Santa con la croce di Cristo, rossa come il sangue che ogni pellegrino è disposto a versare pur di visitare quei luoghi santi, guadagnandosi la remissione di tutti i peccati (questo a prescindere dall’Ordine di appartenenza che prende nome dal luogo occupato), sul petto durante il viaggio d’andata e sulle spalle al ritorno.
Ad Alessio nulla importa di Gerusalemme, il baluardo che vuole riconquistare è Antiochia. In Asia Minore la confusione è tale che ogni uomo che si mostri valoroso può assurgere cariche di rilievo [i.e. l’Atabeg di Mosul Kirbogha (governatore dell’emirato più potente di tutta la Siria)].
Oltre quattrocento torri rendevano la città impenetrabile e fu solo grazie alla corruzione di Firouz che riuscimmo ad accedere alla “torre delle sorelle” dopo un assedio protrattosi per tutto l'inverno, con grandi difficoltà tra i crociati. Si dirà che siamo stati costretti a mangiare i nostri cavalli, se non addirittura i corpi dei nostri compagni non sopravvissuti.
Entrato in città e ottengo il titolo di principe dagli altri capi crociati come concordato…
Con il morale a terra, solo la visione di un mistico quale Pietro Bartolomeo può riaccendere gli animi: “Sant’Andrea Apostolo gli appare in sogno rivelandogli che la lancia di Longino, proprio quella che aveva trafitto Cristo sulla croce, si trova sotto la cattedrale di San Pietro, qui ad Antiochia” … Scavando, Pietro la trova e forti di questo segno divino attacchiamo Kirbogha, sconfitto “miracolosamente” dal manifestarsi sul campo di un esercito di santi. Insomma, che il sole accechi è un dato di fatto e da lì a dare forma alla propria immaginazione è un attimo. L’esercito turco retrocede, è vero, ma per altre ragioni. La verità? Kirbogha ha temporeggiato troppo a lungo nello sferrare l’attacco delle truppe siriache provenienti da Mosul; del resto erano presenti anche truppe provenienti da Aleppo, Damasco e altre mesopotamiche ed anatoliche. Ha fallito come stratega militare, ma ciò che gli si è ritorto contro è stato il timore da parte degli altri eserciti che questa vittoria ne avrebbe consacrato la supremazia ed è per questo che i contingenti presenti sul campo lo hanno abbandonato. Lo scontro quasi non ci fu perché i crociati, temendo una trappola, evitarono di seguire i fuggiaschi che rientrarono incolumi.
Riesco a far valere i miei diritti in un contenzioso con Raimondo che sostiene debba consegnare la città ad Alessio. È vero che fui io stesso ad insistere affinché il patto con il Comneno prevedesse la restituzione a Costantinopoli di tutto ciò che le era stato sottratto dai Turchi, ma il suo esercito ci ha abbandonato prima che espugnassimo la città; non erano questi gli accordi. In quello stesso istante è come se Alessio avesse rinunciato a reclamare questo dominio.
Rimango nei paraggi in modo da garantire dei punti fermi-roccaforti mentre il resto dell’esercito prosegue verso Gerusalemme.
Nonostante io creda di poter fondare un forte Principato che includa anche Gerusalemme, fallisco nell’intento, perché se da un lato Bisanzio reclama i suoi territori (con la costante avversità nei miei confronti da parte di Raimondo), dall’altro i Musulmani incombono dal nordest della Siria.
Nel 1099, nessuno pensa alla creazione di un regno in Palestina: sarebbe una violazione dei patti con l'imperatore bizantino e una mancanza nei riguardi dell'imperatore tedesco. Eppure io sì. Goffredo, dopo aver conquistato Gerusalemme, ora la difende (da questo momento è insignito del titolo di “Advocatus Sancti Sepulchri”) contro i Fatimidi d’Egitto, che erano disposti a cedere il controllo della Siria, ma non della Palestina. Con la battaglia di Ascalona (un giorno di marcia da Gerusalemme) si conclude la prima crociata.
In termini di simboli, i crociati possono dirsi soddisfatti: quattro giorni dopo la nomina a patriarca di Gerusalemme, avvenuta l’1 agosto 1099, Arnolfo di Chocques trova una reliquia della vera croce.
Verrò catturato nel 1100 dai Danishmendidi di Sivas e durante quei tre anni di prigionia mio cugino Tancredi prenderà il mio posto e l'alter ego del mio eterno avversario, sì, Raimondo, si insedierà a Tripoli grazie all’aiuto di Alessio, giusto per contenere l’espansione verso sud di Antiochia. Una volta libero sposerò Costanza, figlia di Filippo I di Francia; data la fama della potenza dei francesi, anche i “saraceni” temeranno questa unione. L’errore fatale sarà impiegare il mio nuovo esercito riunito con un placet regio non per difendere Antiochia, ma per attaccare Bisanzio (QUESTA è la mia crociata), che aiutata dai veneziani mi renderà vassallo, imponendo un patriarca greco ad Antiochia. La mia fine.
Che dire... Tutto ciò che unisce i protagonisti della storia umana è la sete di conquista, le costanti che spesso determinano la vittoria o meglio la sconfitta di una piuttosto che dell’altra parte sono la presenza di un “traditore” e “l’eccesso.
Costanza
.
Così le risponde il grande Bhrihskwobhloukstroy:
Altissimo Principe,
al fedele Vostro servo che
devotamente conserva la memoria delle vite dei Vostri illustri Antenati è
riservato l’onore di castigare le calunnie dei chierici che, invidiosi della
Nobiltà della Vostra Stirpe, vogliono confondere il volgo favoleggiando di
demoniache Bestie nemiche del Signore e del suo Popolo.
Il Nome che il Serenissimo Conte Guiscardo Vostro Padre ha voluto scegliere per
Voi è la forma in cui i Sudditi del Vostro Augusto Suocero hanno mutato l’antico
nome francone Baudemundus, di precipua fortuna nelle Fiandre fino a tre secoli
prima della Vostra fausta Nascita. Come altri nomi quali Raimondo, Sigismondo,
Trasamondo e ulteriori centoquarantasei conservati nei Monumenti di Storia della
Germania, Baudemundus è un composto, in pristina lingua germanica *Baudamundaz,
che interpretato vale ‘che ha la Protezione del Signore’, veramente ominoso
delle Vostre superbe Gesta.
Per chi tiene il ricordo di queste quale massima fra le gioie della vita, è
dolce e onorevole portare un sia pur misero omaggio alla loro Gloria,
rivendicando all’antica lingua della schiatta Teutonica onde sono proceduti i
Franchi e gli stessi Normanni l’origine del Vostro fulgido Nome. Se il Vostro
servo ne può aver ben meritato, vogliategliene conservare benevola memoria.
In somma deferenza,
Guiduchindo Borghi-Cocchi, Cavaliere di San Salvatore
.
Questo invece è l’inquietante roleplaying con cui esordisce il saggio di Monica (3 A):
“Padre, le tue parole mi hanno toccata nel profondo, capisco la tua preoccupazione e quindi, tenterò l’impresa di persuaderlo, ma non assicuro nulla, ho solo quattordici anni!”. Così risposi e prendemmo la strada del ritorno. Quando arrivammo a casa, Boemondo di Altavilla era già arrivato. Era un uomo con un torace possente, di grande statura, occhi azzurri e capelli biondi. Ero rimasta incantata da quest’uomo così affascinante, poi mi tornarono in mente le parole di mio padre e tornai in me. Mi avvicinai e iniziai la conversazione, parlavo fluentemente e percepivo che mi stava prestando attenzione. Quando finii di parlare l’uomo annuì ed andò da mio padre, convinto ad accettare. L'anno dopo scoprì che Boemondo di Altavilla aveva conquistato la città di Antiochia, entrando nelle sue imponenti mura e decidendo di non proseguire fino a Gerusalemme, ma di restare lì. Mi ricordai i suoi indomabili capelli e il suo sguardo inquieto e mi accorsi che stavo sorridendo.
.
Il diario di Alessio Comneno
di Valentina (3 A)
-4 aprile del 1081-
Oggi, 4 aprile del 1081,
verrò nominato imperatore, ottenendo il titolo di Basileus a Costantinopoli; per
me è un grande onore. Dopo tutte le fatiche per raggiungere questo obiettivo,
sapere che tra qualche ora, all’età di trentatré anni, quella che sembrava
essere solo un’aspirazione diventerà reale, mi esalta. Ho specificato la mia
età, perché ricordo ancora le mie prime esperienze in ambito militare, nel
periodo di dominio di Costantino X Ducas, quando avevo solo quattordici anni.
Fin da piccolo mi interfacciai con la realtà turca, devo dire purtroppo,
prestando servizio militare contro i turchi Selgiuchidi. Di sicuro un'altra
tappa della mia carriera che considero fondamentale per la mia ascesa è quando
mi fu assegnata la carica di generale sotto Romano Quarto Diogene. Ma le mie
opportunità, devo ammettere con una certa amarezza, mi furono offerte a seguito
di una tragedia: la cattura dell’ormai ex imperatore. Da quel momento numerosi
signori cercarono di accaparrarsi il posto. Il prediletto, che riuscì a
mantenere la sua carica per tre anni, fu Niceforo III Botaniate. A quel punto,
io e la mia famiglia ci ribellammo, attraverso numerose guerre civili. Il fine
era quello di spodestare il regime senatoriale dell’aristocrazia, detenuta
appunto dal mio rivale. Alla fine, l’imperatore Niceforo cedette e si ritirò in
un monastero.
E arriviamo ad oggi, il giorno di Pasqua. Ritengo che questo non sia casuale,
desidero considerarlo un segno divino. In un momento di tale crisi posso
rappresentare la resurrezione di questo popolo, un nuovo inizio e ristabilire i
canoni passati, far riemergere il mio impero. Le condizioni di vita sono
gravissime, i finanziamenti scarseggiano e il clima è dettato dalle lotte
violente. Siamo vulnerabili. Credo che tutti questi problemi si siano creati
solo a causa di quegli inutili turchi. I primi danni che ci vennero arrecati
possono risalire alla sconfitta di Manzicerta, che portò con sé la perdita
dell'Asia Minore. Ci indebolì sul piano economico ed espose la capitale ad un
numero maggiori di attacchi nemici. I turchi ci invasero, poiché, dopo la
vittoria, non videro pagato il loro riscatto per liberare l’imperatore. A
posteriori sono rammaricato della scelta di affidarsi solamente ai soldati
mercenari.
Fino ad arrivare a questi ultimi tempi, dove i Turchi hanno osato avanzare nei
nostri territori, stanziandosi. Per non parlare di tutti i saccheggi, le
devastazioni, le violenze arrecateci. La ritengo un’offesa immensa. Hanno
azzardato scontrarsi con un impero che non ha ceduto di fronte a numerosissime
difficoltà, che rimane ormai in piedi da 686 anni e che rimarrà in piedi ancora
a lungo se riuscirò a compiere egregiamente il mio lavoro. Talvolta però mi
rendo conto che la gente non la pensa così e che dubita delle mie capacità.
Certo, questa sarà un’ardua sfida, ma d’altronde ho aspettato questo momento da
tutta la vita e mi sento pronto per affrontarlo.
Alessio Comneno
-18 ottobre del 1081-
Oggi il mio esercito è stato
sconfitto dai Normanni nella battaglia di Durazzo, a seguito del loro sbarco.
Riuscendo così ad annettere ai loro territori Durazzo, Valona e Corfù. Sono
molto amareggiato e deluso. Non so come affrontare questa sconfitta, che credo
sia solo la prima di molte. Dagli esordi della mia carica dovetti gestire
l’attacco dei maledetti uomini del nord, scontrandomi con l’astuto Roberto il
Guiscardo e un certo Boemondo, suo figlio. Sbarcarono in Epiro; questo grazie
all’appoggio del Papa. Il Papa d’Occidente, Papa Gregorio VII, infatti aveva
permesso l’invasione, per ricompensare l’aiuto da loro fornito nella lotta delle
investiture con l’imperatore Enrico IV.
Credo però, che più che un aiuto, fu obbligato dal fatto che non avendo
combattuto, quell’alleanza, non poteva essere convalidata da un bottino. Mi sono
informato riguardo a tutte queste vicende occidentali, per potere studiare una
strategia ed evitare una nuova sconfitta. Da quello che ho capito, queste nuove
genti discendono dai Variaghi, popolazione forte e agguerrita, e dopo essersi
trasferiti dai territori nordici, si sono stanziati in luoghi più temperati.
Anche i turchi non mi concedono tregua, ho deciso di rassegnarmi alla loro
conquista di tutta l’Asia Minore, stipulando un trattato con Sulayman e
concedendogli Nicea, ma inserendo come clausola il divieto di saccheggiare la
Bitinia. Sicuramente questa sfida che mi è stata posta si sta rivelando
insidiosa, ma ho solo bisogno di riflettere per poter controbattere.
Alessio Comneno
-17 luglio del 1085-
Oggi è un giorno da considerare sia triste che felice. Triste poiché si tratta pur sempre della morte di un uomo valoroso; Roberto il Guiscardo si è ammalato a Cefalonia ed è morto. Felice poiché si trattava di colui che mi ha tormentato per anni. Roberto all’inizio era stato costretto a ritirarsi nei territori occidentali, mentre suo figlio Boemondo rimase a proseguire la lotta. Pose assedio il 23 aprile 1083. Io riuscii a sviluppare una tattica, dopo che compresi dal primo assalto dei latini, che la cavalleria era irresistibile. Vinsi, costringendo Boemondo a ritirarsi. In preda al panico per l’abbandono dei suoi, ho ancora memoria di quando si recò a chiedere aiuto dal padre. Dopo essere stato sconfitto dai veneziani, si riparò a Corfù. È da quel posto che iniziò ad ammalarsi e a stare sempre più male. Mentre il fronte turco per ora mi concede una pausa e mi permette di concentrarmi a ovest, a seguito del suicidio ad Antiochia di Sulayman, nipote del sultano. Proprio quando mi era stata concessa una tregua, su uno dei due fronti è spuntata una nuova minaccia, quella dei Peceneghi che intuirono che il mare fosse il nostro punto debole, come poterlo contraddire! Mi duole dirlo ma sento che il punto di caduta è pressoché vicino.
Alessio Comneno
-29 aprile 1091-
Oggi mi sono scontrato in una battaglia decisiva ai piedi del monte Levunium, distruggendo i miei avversari, i Peceneghi. Infatti, qualche mese fa, dopo esserci addentrati nella stagione invernale mi sembrò di vivere una catastrofe. Subii un attacco sia da ovest che da est, senza una possibile via d’uscita per mare o per terra, a causa del clima rigido. Ciò che ci salvò fu la mia intuizione di allearci con i Cumani, una popolazione nomade turca dei Balcani. Questa battaglia per me è stata un vero e proprio riscatto. In un solo giorno vidi cancellarsi un’intera popolazione, che non arrivò mai maggio. Contemporaneamente fu abominio e soddisfazione. Da quel momento decisi di intraprendere una politica spregiudicata e scaltra. Sfruttando varie alleanze e rivolgendole a mio favore e contro i miei nemici. Per molti potrei sembrare un vigliacco, ma d’altronde per fami strada, devo eliminare gli ostacoli.
Alessio Comneno
-27 novembre del 1095-
In questa data si è tenuto il concilio di Clermont, dove Papa Urbano II ha esposto il mio problema alle sue genti. Ero arrivato alla conclusione che non potevo più sostenere il peso dei numerosi attacchi da solo. Quando lo realizzai, capii che necessitavo di un esercito ausiliare. Mi sono chiesto a chi potessi rivolgermi. La soluzione più sensata mi è sembrata il Papa d’Occidente. Egli, infatti è molto influente in quei luoghi. Al concilio di Piacenza inviai degli ambasciatori. D’altronde non potevo chiedere all’imperatore, visto che era debole a causa della lotta alle investiture. Semplicemente ho chiesto che mi fosse inviata un’armata, che obbedisse ai miei generali, per poter fronteggiare le numerose minacce, in particolare i Turchi. Spero che il messaggio sia stato colto, sia dal Papa che dai soldati e che arrivino al più presto per prestarci soccorso.
Alessio Comneno
-6 agosto del 1096-
Oggi ho inviato quella mal congegnata razza di esercito in Asia minore. Fin da quando erano giunti nella mia terra, ai primi di agosto, avevo capito che c’era stato un malinteso. Realizzai rapidamente che queste persone altro non erano che dei poveri e degli sprovveduti. Chiunque già all’apparenza, rapidamente, avrebbe sviluppato il mio stesso pensiero. A capo di questa armata, se così si può chiamare, c’era un certo Pietro l’Eremita. Durante questi pochi giorni di permanenza si era già creato scompiglio. Avevo previsto che ci potessero essere dei fraintendimenti, ma non tanto grandi da mandarmi una massa di gente entusiasta, stolta e ignorante di qualsiasi tecnica militare. Fra i Normanni e i Franchi, non scorreva buon sangue, per non parlare dei rari, quanto infidi, italiani. A un primo sguardo già si potevano notare le rivalità presenti. Per liberarmi di loro e lasciarmi riflettere gli ho inviati in Asia minore. Questa razza di barbari, di Italos Itamos, compiva violenze, derubava e saccheggiava. Sarebbe stata una buona rivincita verso i turchi, se solo queste azioni fossero state compiute verso di loro e non offendendo la mia popolazione. Dovevo assolutamente debellarli. Speravo nel profondo che se ne andassero e lasciassero per sempre le mie terre. Era un incubo. Oltre a dover gestire i nemici era come se ne fosse spuntato un altro. Difficile da controllare. Io avevo chiaramente descritto al Papa che desideravo un aiuto politico e militare. Codeste persone non curanti di ciò che li circondava dall’apparenza si poteva intuire che non avessero nemmeno la men che minima idea di arte militare, nemmeno le basi per poter affrontare l’incombere della potenza selgiuchide.
Alessio Comneno
-1° luglio del 1097-
Oggi, vicino al fiume Drakon, tutta la mia armata è stata sterminata. Sono il primo lodatore delle mie strategie, ma devo riconoscere che quella dei Turchi è degna di rispetto. Sono consapevole del fatto che si trattasse di un mio esercito, ma non di miei uomini. Fin da subito ero stato senza parole a seguito dell’imbarazzo che provai trovandomi di fronte una marmaglia confusa di gente urlante “deus vult”. Le premesse si rivelarono veritiere a causa di questa imboscata che si rivelò fatale. Fu uno spettacolo orrendo. Prima uccisero i Normanni. Con una strategia, dettata dall’invidia reciproca, attirarono i Franchi ed anch’essi vennero massacrati. Le immagini riaffiorano nella testa ogni volta che osservo le mura di Nicea. La quantità di scheletri era impressionante; tanto che per questo furono utilizzate per sostenere e rafforzare la struttura di quelle mura. Al solo udire la parola “denaro” queste genti si esaltavano, come se ne avessero sempre sentito parlare ma non ne avessero mai posseduto. Avevo capito che il motivo per cui erano stati mandati era per religione. Per conquistare la cosiddetta Terra Santa. L’armata non aveva mai obbedito ai miei generali ma solo al Papa. Era impossibile che riuscissero nella loro impresa, non erano neanche coscienti di quale fosse il nemico e la zona da conquistare. Con dovuto dispiacere ma un nascosto sentimento di sollievo dichiaro che non esiste più un’armata di latini.
Alessio Comneno
-3 dicembre 1096-
Oggi è giunta una nuova orda di latini, guidata da un tale Goffredo di Buglione. A prima vista questi cavalieri risultano essere più organizzati e interessati alla mia causa. Qualcosa nel profondo mi suggerisce che fosse questo l’aiuto richiesto. Anche se anche questi desideravano insidiarsi in Terra Santa. Per prevenire un disastro, come il precedente, decisi di stipulare un giuramento dove loro promettevano di restituire a me tutto ciò che avrebbero conquistato e che prima apparteneva ai Bizantini e io concedevo a loro la Terra Santa. Ma c’è stato un dettaglio che mi ha fatto sussultare: la vista di Boemondo di Altavilla, figlio di Roberto il Guiscardo. Per me è una minaccia, non posso fare affidamento su di lui. Gli concessi subito il titolo di “domestico dell’est” per paura che si vendicasse nelle sconfitte subite. Sto preparando il loro trasferimento in traghetto. Contemporaneamente però mi sto accordano con Raimondo di Tolosa, rivale di Goffredo. Non mi sento sicuro.
Alessio Comneno
-21 ottobre del 1097-
L’esercito dei latini, dopo aver sconfitto i turchi che si erano ritirati in Anatolia, decise di dirigersi verso Antiochia. I crociati, qualche mese prima avevano assediato la città di Nicea. Erano rimasti stupiti dal fatto che issate, c’erano le nostre bandiere. Dietro c’era stato un accordo con la guarnigione turca. In quella città risiedevano dei miei sudditi, non potevo permettere che ci fossero delle stragi e delle violenze, che sicuramente quelli avrebbero arrecato. Ora però i franchi stanno effettivamente dimostrando una grande forza. Ho deciso di bloccare la loro avanzata, penso che li farò fermare a Cipro. I motivi sono due: Boemondo vuole fondare un principato indipendente ad Antiochia e io non ho intenzione di spendere tempo e denaro per la conquista di un così lontano possedimento. È visibile la tensione che sta dilagando, la sensazione che qualcuno sta per infrangere il patto.
Alessio Comneno
-15 luglio del 1099-
Oggi, inaspettatamente, è stata presa Gerusalemme. Inaspettatamente come quando, dopo averli abbandonati, riuscirono a sbaragliare l’esercito saraceno, a giugno, al comando di Kirbogha. Boemondo era rimasto nel suo principato, dove sventolavano le bandiere degli odiati Altavilla, una vera e propria spina nel fianco. Quell’ingrato aveva infranto il patto. Per controllare Boemondo, dovetti allearmi con altri capi crociati. In questo caso non ero dispiaciuto visto la notevole potenza dimostrata. Mi schierai dalla parte di Raimondo IV di Tolosa, per candidarlo a re di Gerusalemme. Ma fu incoronato Goffredo di Buglione. Credo che non accetterà il titolo di re, ma si farà chiamare “advocatus santi sepulchri”. Mi è stato spiegato che dalle loro parti esiste una profezia secondo la quale l’ultimo re di Gerusalemme provocherebbe la fine del mondo. Credo che faccia bene a non paragonarsi a Cristo. Sono anche riuscito a neutralizzare parzialmente i turchi. Farò svelare i piani a Boemondo con la consegna di Laodicea ai Bizantini. Non so se chi mi è attorno si è accorto della mia strategia di usare i Crociati contro i Turchi e viceversa. So che può sembrare sfacciato e da vigliacchi, ma devo essere spietato per far si che l’impero non arrivi al collasso.
Alessio Comneno
-7 marzo del 1111-
Oggi è morto Boemondo, uno dei miei rivali più temuti. Ricordo ancora quando si ritrovò anche lui a dover sostenere gli attacchi turchi. Quando, resosi conto della sua debolezza fu costretto a ritornare nella sua terra di origine, a chiedere aiuti. Oppure quando tentò di sfidarmi, ignaro dei progressi che avevamo fatto in quegli anni, sul fronte militare e finanziario. Una delle sensazioni più belle fu quando, dopo essermi stabilito a Tessalonica, gli abitanti mi circondarono entusiasti del mio arrivo e apparve in cielo una cometa. Alcuni previdero un attacco da parte dei Normanni a ovest, ma con esito positivo per la nostra parte. Ero pronto, non mi sentivo più debole come anni prima. Infatti, quando Boemondo si presentò sotto le mura della città di Durazzo, sconfitto miseramente, lo costrinsi ad accettare un trattato per lui umiliante. Per vincere avevo anche cercato di tagliarli tutti i rapporti con l’esterno, non permettendo comunicazioni. A seguito del trattato di Devol, mi ero interfacciato con il regno di Ungheria. Per evitare che si creassero conflitti, feci sposare il mio amato figlio Giovanni con Piroska d’Ungheria, figlia del re. Spero che questa alleanza porterà del bene. Anche perché si tratta di mio figlio. Confido in lui, spero che un giorno potrà fare ciò che sto facendo io, magari in un clima più sereno.
Alessio Comneno
-15 agosto del 1118-
Sto soffrendo. Fisicamente. È difficile persino scrivere. Ma sono obbligato, percepisco un brutto presagio. Sarò conciso. Non riesco a mangiare e a respirare. Forse si tratta di gotta. Questi ultimi anni sono stati insoddisfacenti. Ho perseguitato i seguaci delle eresie pauliciane e dei bogomili. Combattuto nuovamente contro i Turchi, quanto mi hanno tormentato in tutti questi anni! Ho trattato con i Pisani e i Genovesi per non avere altri problemi. Sto iniziando a stare troppo male. Gli attacchi di asma sono molto frequenti. Mi sento in dovere di ringraziare tutti quelli che mi hanno circondato in questi anni, in particolare le mie donne: mia madre, mia moglie, mia figlia. Ricordatemi, ve ne prego.
Alessio Comneno
…
Non sapevo dell’esistenza di questo diario, quando lessi alcune di queste pagine rimasi sbalordita. In quel momento capii che volevo scrivere una raccolta dedicata a mio padre, magari chiamandola “Alessiade”. Dovevo portare avanti la tradizione di famiglia e la sua storia, non potevo lasciare che tutto questa con conoscenza venisse dimenticata. Inoltre, dovevo rendere omaggio a mio padre, che non poté assistere alla seconda crociata. Si perse la caduta di Edessa. I crociati iniziarono a risentire della distanza dalla loro patria. Chiesero aiuto al Papa, che inviò dei sussidi. Questi, come quando c’era mio padre, crearono un putiferio. I nuovi aiuti per i crociati non erano integrati alla nuova cultura come quelli stanziati qui da anni. Non riconoscendo gli amici dai nemici, la destra dalla sinistra. Tanto che, per incomprensioni, litigarono tra loro. È stato difficile tollerarli. Noi bizantini siamo riusciti a superare questa situazione, raggirando le alleanze più pericolose e sfruttandole a nostro piacimento, proprio come faceva lui.
Anna Comnena
Valentina
.
Apologia di Cromwell
di Francesca (4 B)
Dicono di me che ero un personaggio controverso, o mi si amava o mi si odiava: una mezza misura, almeno per me, non è mai esistita. Ero un uomo irreprensibile, la mia fede calvinista mi aveva temprato come un uomo intransigente, che credeva fermamente in valori imprescindibili quali: fratellanza, uguaglianza e libertà, quelli che i francesi sbandiereranno come principi fondamentali della loro repubblica, ottenuta con enorme spargimento di sangue, che, per quanto mi concerne, al mio popolo sotto il mio regime non è mai accaduto, i miei contemporanei criticavano il mio stile di vita frugale e il mio modo di vestire ma tutti ammiravano il mio fervore. Nonostante la maggioranza in parlamento la mia gente [puritani] nel 1620, dopo le persecuzioni di Giacomo I furono costretti ad emigrare, tutt’ora mi stupisce come siano riusciti a fondare una super potenza del presente partendo da una nave con a bordo cento persone e qualche bestia, si ostinano a dire che la mia chiesa abbia fatto più male che bene: vi sono ancora tracce nella politica moderna (degli USA) e che il mio intento fosse radicare forzatamente la mia moralità a tutti i cittadini. Forse era anche vero, il pensiero filosofico di Hobbes per quanto discutibile mi intrigava: per eliminare un conflitto bisognava estirparlo alla radice, nessuna difficoltà se avessimo avuto tutti la stessa mentalità…inoltre egli affermava che il tirannicidio era giustificato solo nel caso in cui il sovrano avesse infranto il patto con il suo popolo e buon Dio se il caro Carlo l’aveva fatto! Dopo l’isolamento pensavo che avrebbe ceduto e firmato quel maledetto accordo… neanche le mie parole l’avevano smosso “Il parlamento non è un bordello in cui soddisfare i vostri bisogni”… in piena rivoluzione perdemmo le tracce di Holles, ricevetti una grande pugnalata alla schiena, ma allora non ne ero inconsapevole: era stato il mio braccio destro, il mio fedelissimo, mio fratello… Fairfax avvertì quel bastardo, cercò addirittura di convincermi ad evitare l’esecuzione del re, non firmò neanche l’ordinanza, avrebbe dovuto essere il sessantesimo sigillo ma preferì salvare il figlio, costrinse la moglie ad andare via dal processo inchinandosi di fronte al re, codardia pura. Penso che una delle mie più grandi soddisfazioni sia stata la creazione del nuovo sistema dell’esercito: New Model Army lo chiamano, basato sull’organizzazione degli Ironsides che avevo progettato. Un esercito funzionale e a me fedele grazie al quale nel 1649 arrivai alla schiacciante vittoria contro i ribelli dell’Ulster, la religione li compattava inverosimilmente, neanche uno squilibrato avrebbe avuto il coraggio di mettersi contro di me e il mio esercito, eppure… San Patrizio li aveva evangelizzati fin troppo, quando Giacomo I Stuart li aveva proclamati sudditi del regno d’Inghilterra provocò l’insurrezione ma quella che loro definirono strage (di protestanti, 1641) non era nulla in confronto ai danni che arrecammo noi: Wexford fu distrutta! Fu solo la conferma della grandezza del NMA, l’anno precedente si era già dimostrato un sistema validissimo durante la così detta purga di Pride, forse uno dei momenti più belli della mia vita: nacque sì il Rump Parliament ma finalmente potei condannare Charles… che grande gioia vedere la separazione della testa dal corpo del sovrano, ne uscì sangue rosso, non blu. Non avevo idea di quanto l’ordinanza giudiziaria fosse importante, pensare che se l’era portata a casa un funzionario qualunque, invece per coloro che sono nati negli ultimi anni è un incredibile esempio di modernità, il mio patriottismo mi spinge però a ricordare che un grande esempio di democrazia era già fornito nella Magna Carta che imponeva che nessun uomo potesse essere condannato senza processo. Per quanto mi duole ammetterlo, ad un certo punto, il potere mi diede alla testa, resistetti alla tentazione della corona ma non potei rifiutare il titolo di Lord Protettore della Repubblica, sconfissi anche scozzesi e olandesi, ma i miei successi passarono in secondo piano quando iniziò il declino, sventarono quattro attentati contro di me e iniziai a far assaggiare il cibo che consumavo. Nel 1658 sopraggiunse la morte anche per me, morii nel mio letto ancora pieno di orgoglio, pensavo che mio figlio potesse essere un degno erede ma era chiaro che non avesse le mie abilità, d’altra parte il Regno Unito non avrebbe potuto non ritornare una monarchia: il potere è nelle mani del popolo e la necessità patologica di mantenere la sovranità è dovuta alla netta divisione territoriale, sociale ed economica che caratterizza la mia patria e il crollo di un’istituzione così importante porterebbe il paese alla deriva, senza contare la grave disputa ancora in atto tra Eire e Irlanda del nord, guerra inaudita per il periodo storico che stanno vivendo, impressionante come tutt’ora la religione venga presa come pretesto per farsi la guerra proprio come ai miei tempi, forse la responsabilità è anche mia… segregare un popolo attraverso le plantation così da costringerli ad armarsi col senno di poi è stata una scelta malsana, non che me ne penta... La mia morte, mi piace pensarla così, causò gravi danni a Londra che fu colpita da due significative piaghe: la peste per prima, poi, fu devastata, nel 1666, da un incendio che per contro, debellò la prima; il regno si evolvette ulteriormente poiché nacquero il corpo dei pompieri e principi di assicurazioni. Espiai tutte le mie colpe quando Carlo II ordinò la mia decapitazione postuma, un atto vile e oltraggioso nei confronti di un “grande” uomo indiscutibile come il sottoscritto. Sono stato l’unico a rendere il Regno Unito una Repubblica e mi rammarico al pensiero che i miei successori siano stati anche cattolici ma poi, soprattutto, tedeschi, è stato un fallimento il mio intento? Non credo, possono odiarmi, ma tutti mi ammireranno per sempre.
Fortunatamente non nacqui in Francia, la mania di protagonismo-assolutismo dei suoi sovrani non li avrei retti, vero anche che loro, un secolo dopo di me, la rivoluzione riuscirono a farla sul serio… Almeno inizialmente io ero stato guidato dalla mia fede non come Enrico IV, una vera e propria banderuola, “Paris vaut bien une messe” e si dichiara cattolico rinnegando le sue origini ugonotte, salvo poi pentirsi ed emanare l’Editto di Nantes, effettivamente la tolleranza religiosa gli permise di concentrarsi sul riempimento delle casse dello Stato, prosciugate dalle guerre precedenti, mossa intelligente le Paulette, forse, visto che dopo aver complottato con i calvinisti del Brandeburgo morì ammazzato da un frate cattolico. Gli succedette una donna, non forte come quelle inglesi, che per paura di ritrovarsi in una situazione ingestibile decise di ricorrere alla rigida dottrina cattolica, ma i suoi problemi con la limitazione della vendita delle cariche e il Terzo Stato che reclamava un ritorno al mercantilismo, oserei dire che non le fu granché utile…Quando salì al trono suo figlio, era palese che il potere, in realtà, fosse nelle mani del Cardinal Richelieu, ancora una volta Stato e Chiesa si fondevano, esaurendosi l’una dentro l’altra, fondamentalmente era questo che non potevo soffrire dell’anglicanesimo, gli ugonotti erano tornati ad armarsi mentre i contadini, stremati dalle imposte, stavano per insorgere: la situazione era pronta a degenerare, nel frattempo in tutta Europa scoppiò la famosa guerra dei trent’anni, nata come stati cattolici contro stati protestanti, ma come ben sappiamo in palio c’era ancora l’egemonia sul vecchio continente. Pensai che Richelieu, dopo la distruzione de “La Rochelle” e la caduta delle restanti roccaforti ugonotte, avrebbe fatto di loro un massacro ma a differenza mia, riguardo agli irlandesi, decise di graziarli in favore di una maggiore solidità nazionale. In Francia iniziò a delinearsi l’assolutismo come forma di governo, a renderla ufficiale servì Luigi XIV, il re Sole, con lui le guerre religiose passarono in secondo piano: il vero problema era la sua visione dell’economia. “L’etat c’est moi”, diceva, ed effettivamente se il suo obiettivo era restare da solo contro il modo, ci stava riuscendo. Del periodo in cui governava non possiamo non ricordare le Fronde: Mazzarino non aveva lo stesso appeal di Richelieu, senza soldi, poi, cosa credevano di poter fare? Almeno io avevo il popolo dalla mia parte… alla fine vinse, ovviamente, il parlamento com’è giusto che sia, peccato non riuscirono a detronizzarlo. A differenza del mio popolo, i francesi non hanno il dono della resilienza, servì ancora un secolo ma alla fine insorsero e sulla base dei miei principi fondarono la loro Repubblica, incredibile pensare come alla fine si siano rivelate bizzarre le conseguenze: nel Regno Unito a prendere le decisioni è il parlamento, in Francia invece è il presidente! Magari è proprio perché i francesi sono facilmente ingannabili: pensano che il popolo sia sovrano quando a prendere le decisioni è un uomo solo.”
Francesca (4 B)
.
La palla passa ad Enrico Pizzo:
Re Laurino era un nano che
viveva sul Catinaccio, lì lui e il suo popolo coltivavano un giardino di rose
meravigliose.
Questi fiori erano talmente belli che le figlie dei Re della Terra si offrivano
in sposa a Laurino, nonostante il suo aspetto fosse ripugnante, pur di poter
cogliere una pianta.
Ma Laurino le rifiutava tutte, perché le piante erano magiche e l'esistenza del
popolo dei nani era legata ad esse.
Però un bel giorno Re Laurino vide una fanciulla più bella di tutte le altre,
Enrosadira, e, nonostante lui fosse un nano ripugnante la chiese in sposa, con
la sola condizione che non toccasse mai le rose del giardino.
La sventurata accettò.
Enrosadira però non era solo bella, ma anche ambiziosa, un giorno il Conte del
Tirolo diede un ballo ed invitò tutti i suoi vicini, compresi Laurino ed
Enrosadira.
Il vecchio nano schivava gli impegni mondani ma, folle d'amore, concesse alla
sua sposa di recarvisi.
Come ho detto sopra Enrosadira non era solo bella, ma anche ambiziosa e voleva
umiliare tutte le altre donne al ballo, quindi costrinse le sue cameriere umane
a scendere nel giardino, coglierne le rose e con quelle confezionare un abito.
La sera del ballo Enrosadira uscì dal Castello, una volta fuori indossò il
meraviglioso abito di rose e si avviò verso la reggia del Conte del Tirolo.
Ma mentre camminava iniziò a sentire delle punture, come di spine, ma non vi
diede peso pensando a degli spilli dimenticati nell'abito.
Ad ogni passo il dolore aumentava, ma l'ambizione di Enrosadira era talmente
grande che riuscì ad arrivare fino alla Reggia.
Ma una volta entrata invece di esclamazioni di meraviglia da parte degli uomini
ed odio da parte delle donne, fu accolta da grida di orrore, il suo vestito di
rose si era trasformato in un arbusto nella quale la sventurata era prigioniera,
trafitta da migliaia di spine.
In quel momento apparve dal nulla Re Laurino, questi si rivolse ad Enrosadira
gridando che, a causa della sua profanazione, lui ed il Popolo dei Nani erano
destinati a scomparire per sempre e che lei, Enrosadira, sarebbe rimasta
prigioniera del cespuglio di rose fino al giorno in cui sul Catinaccio sarebbe
riapparso il giardino.
Da allora Enrosadira ogni giorno, all'alba ed al tramonto, sale sul Catinaccio a
vedere se quello è l'ultimo della sua prigionia.
E la montagna si incendia del colore del suo vestito.
.
aNoNimo però obietta:
Io conosco un'altra versione
della stessa leggenda. Re Laurino regnava in Alto Adige su un popolo di nani,
che scavava nelle viscere della montagna alla ricerca di cristalli, argento ed
oro. Il re possedeva due armi magiche: una cintura che gli forniva la forza di
dodici uomini, ed una cappa che lo rendeva invisibile.
Un giorno, il Re dell'Adige decise di sposare la bella fanciulla Similde. Per
questo motivo invitò tutti i nobili del regno ad una gita di maggio, tutti
tranne Re Laurino. Ma questo decise di partecipare comunque: come ospite
invisibile.
Quando Laurino sul campo del torneo cavalleresco vide Similde e, colpito dalla
sua stupenda apparenza, se ne innamorò perdutamente, la rapì e la portò con sé.
Hartwig, il promesso sposo della principessa, chiese aiuto al Re dei Goti, ed
assieme ai suoi guerrieri salì sul Catinaccio. Re Laurino allora indossò la
cintura, che gli dava la forza di 12 uomini, e si gettò nella lotta. Quando si
rese conto che nonostante tutto stava per soccombere, indossò la cappa e si mise
a saltellare qua e là nel giardino di rose, convinto di non essere visto. Ma i
cavalieri riuscirono ad individuarlo osservando il movimento delle rose, sotto
le quali Laurino cercò di nascondersi. Lo afferrarono, tagliarono la cintura
magica e lo imprigionarono.
Laurino, irritato per il destino avverso, si girò verso il Rosengarten
(letteralmente: giardino di rose, oggi detto Catinaccio), che lo aveva tradito e
gli lanciò una maledizione: ne di giorno, ne di notte alcun occhio umano avrebbe
potuto più ammirarlo. Re Laurino però dimenticò il tramonto, e così da allora
accade che le rocce del Catinaccio, sia al tramonto sia all'alba, si colorino
tingendosi di un magnifico rosa. Questo fenomeno è noto al giorno d'oggi come
Enrosadira (dalla parola ladina "enrosadöra").
.
E ora, la proposta del Marziano:
La saga del monte Kyffhäuser
Nel mentre faccio a Bhrg'hros i miei più sentiti complimenti per le sue ucronie, propongo alla fantasia di tutti questo canto di Friedrich Rückert (1817) adattato da Pino Tosca sull'aria della ballata tradizionale francese "Les Tristes Noches" nella versione del G. Beart del 1966. Vediamo po' cosa ne esce... Ad Majora!
.
Ecco come gli risponde William Riker:
OK, vediamo se quello che è uscito dalla mia zucca piace all'amico Marziano...
1187: la notte tra il 9 e il 10 giugno Federico Barbarossa, che ha 65 anni, si trova sugli spalti del suo castello di Weiblingen, quando nel cielo gli appare uno "scudo di fuoco" (come si chiamava all'epoca) che compie un atterraggio di fortuna sulle montagne vicine. Federico accorre con i suoi uomini e soccorre i marinai alieni, i quali riparano la nave spaziale con i metalli messi loro a disposizione dall'imperatore. Prima di ripartire, il capitano dello "scudo di fuoco" offre a Federico di esaudire un suo desiderio come ringraziamento; lui ci pensa su e dice: "Vorrei morire solo quando lo deciderò io, in modo da poter vegliare sul destino della Germania e dell'Europa." L'alieno annuisce: "Sta bene. Invece di morire ti addormenterai e dormirai finché non ci sarà bisogno nuovamente di te. Finché i corvi ti voleranno attorno, potrai riposare in pace; quando voleranno via, è segno che devi riprendere le armi. Ah, e fai attenzione a guadare i fiumi, uno di essi ti può essere fatale."
1190: grazie all'ammonimento dell'alieno, Federico Barbarossa non muore il 10 giugno attraversando il Salef durante la Terza Crociata, espugna Antiochia, sconfigge il Saladino in Galilea e riconquista Gerusalemme, della quale si fa proclamare Re. L'Egitto è costretto a chiedere la pace.
1192: Barbarossa rientra in Italia via mare e a Roma riceve dal Papa Celestino III il titolo di Difensor Fidei.
1193: a 71 anni Federico Barbarossa muore ed è sepolto ad Aquisgrana accanto a Carlo Magno. O almeno così credono tutti; in realtà egli, stanco dopo tante imprese, ha deciso di addormentarsi in una caverna nelle montagne di Kyffhäuser in Turingia, in attesa che ci sia ancora bisogno di lui. Suo figlio Enrico VI è incoronato Sacro Romano Imperatore, Re d'Italia e Re di Sicilia.
1195: il nobile inglese Roberto di Locksley (che passerà alla storia come Robin Hood), saputo che in patria lo si vuole eliminare, si rifugia alla corte di Enrico VI, che ne fa il proprio consigliere militare.
1199: Roberto di Locksley conquista Tunisi per conto di Enrico VI.
1204: Enrico VI guida una spedizione in Oriente, conquista Costantinopoli senza però metterla a sacco e si fa incoronare Imperatore dei Romani. Robeto di Locksley è nominato Vicerè di Bisanzio.
1210: spedizione di Enrico VI contro i Turchi, che sono sconfitti ad Iconio. L'Anatolia è riconquistata.
1214: Enrico VI muore a 49 anni, gli succede il figlio Federico II, 18 anni, che sarà detto lo Stupor Mundi. Roberto di Locksley è ancora suo consigliere militare.
1219: campagna di Federico II contro la Polonia, Re Leszek I il Bianco è sconfitto ed è costretto a riconoscersi vassallo dell'Impero. Roberto di Locksley muore in un'imboscata, su di lui si cominciano a comporre canzoni e ballate.
1220: l'italiano è lingua co-ufficiale del Sacro Romano Impero insieme a tedesco, latino e greco. Jacopo da Lentini a Palermo fonda la Scuola Siciliana e avvia la letteratura italiana.
1221: storico incontro tra Federico II e San Francesco d'Assisi. Ai francescani è affidata la Custodia di Terrasanta.
1227: Federico II guida una crociata contro il sultano ayyubide Malik al-Kamil e conquista Cipro, Antiochia e tutta la costa della Siria, ricacciando gli Arabi che tentavano la riconquista di Gerusalemme. Alla fine Federico II e Malik al-Kamil si incontrano e fanno la pace: libertà per i musulmani di recarsi in pellegrinaggio alla Moschea Al-Aqsa di Gerusalemme, terzo luogo santo dell'Islam, e libertà per i cristiani d'Egitto di professare la loro fede.
1231: Federico II promulga le "Costituzioni Melfitane", prima vera carta costituzionale dell'era moderna. Fine della Monarchia Assoluta, si diffonde il mito dell'"Optimus Princeps".
1232: Cielo d'Alcamo scrive il "Contrasto" ("Rosa Fresca Aulentissima...") dedicandolo a Federico II.
1232: gli Almohadi tentano la riconquista di Tunisi e della Sicilia. Enzo, figlio di Federico II, muore in battaglia.
1237: il 28 novembre Federico II sconfigge definitivamente la Lega Lombarda a Cortenuova, cattura il Carroccio e assoggetta tutta l'Italia settentrionale. Il terribile Ezzelino da Romano è nominato legato imperiale per l'Italia del nord.
1239: Federico II incorpora d'autorità il Patrimonium Sancti Petri nell'Impero, Papa Gregorio IX non è d'accordo e scomunica l'imperatore. Federico II allora lo depone (morirà in prigionia il 22 agosto 1241) e fa eleggere al suo posto Sinibaldo Fieschi, a lui favorevole, che prende il nome di Innocenzo IV.
1241: Federico II di Svevia invia il monaco francescano Fra Giovanni da Pian del Carpine in Mongolia, per sondare il terreno in vista di una possibile intesa con i Mongoli per il commercio delle preziose spezie. Trattato di amicizia e scambio di doni tra Federico II e il Gran Khan Güyük.
1245: Federico II di Svevia e suo figlio Manfredi conquistano la Danimarca.
1249: l'arcicancelliere del Sacro Romano Impero Pier delle Vigne è fatto arrestare da Federico II con l'accusa di corruzione, ma in seguito è prosciolto da ogni accusa e liberato.
1250: Federico II muore nel castello di Fiorentino nelle Puglie (una strega gli aveva predetto che sarebbe morto "all'ombra di un fiore"). Gli succede il figlio Corrado IV. Il suo impero però è attaccato da ogni parte: dal fratello Manfredi, che vorrebbe il trono di Sicilia; dal Papa Alessandro IV, che rivorrebbe il Patrimonium Sancti Petri e chiede aiuto al Re di Francia Luigi IX e a suo fratello Carlo d'Angiò; dai Greci, dai Polacchi e dai Danesi, che rivorrebbero l'indipendenza; dagli Arabi, che vorrebbero scacciare i crociati; dai baroni tedeschi, che giudicano Corrado un italiano e non un tedesco. A questo punto nella caverna sotto le montagne di Kyffhäuser il vecchio Federico Barbarossa apre un occhio, manda fuori un bambino a vedere se i corvi volano come sempre, ma questi gli riferisce che sono spariti, e al loro posto c'è un'aquila. Barbarossa alza la testa dal tavolo, sbadiglia, si stiracchia e bofonchia: "Ho capito, c'è già bisogno di me. Il mio cavallo, la mia spada, la mia armatura..."
Fine.
.
Diamo ora la parola all'amico Never75:
Non so se voi conoscete Gaggiano, un piccolo paese adagiato sul Naviglio quasi alle porte di Milano. C'è stato un periodo della mia vita nel quale ho amato questo paese anche più del mio (ci vuole davvero poco, a dire il vero!). Questo racconto ucronico è relativo a quel periodo.
Pascales o Pascal de Gordes
(Gordes? 1310 ca. – Roma 1373?)
Musico e trovatore di lingua provenzale. Ebbe contatti con il Petrarca ad Avignone e forse in questo periodo è da ascrivere la sua conoscenza della lingua italiana (volgare fiorentino) con la quale scriverà poi diverse opere. Rimase in contatto con il Petrarca quando costui giunse a Milano nel 1353. Le terre del milanese fornirono spunto al De Gordes per molte sue liriche. Nel 1361 De Gordes abbracciò la vita religiosa ricevendo la tonsura e gli ordini minori e abbandonando quasi completamente la stesura dei componimenti. Nel 1363 si trasferì a Roma e poi nel 1364 a Palestrina, dove venne nominato arciprete della Cattedrale, titolo che conserverà fino alla fine. In base al suo epistolario, che termina bruscamente nel 1373, si è comunemente accettato questo come anno della sua morte.
Antica stampa del ponte di Gaggiano, anno 1835
I quattro santi di pietra
La ricorrenza del
Calendimaggio era una delle più sentite nel piccolo comune di Gaggiano.
Giocolieri e musici si avvicendavano uno dopo l’altro con i loro roteare di
mazze e di cerchi, sul sagrato della Chiesa di Sant'Invenzio. Nella piazzetta
tutti, dai canonici al podestà, dai frati alle popolane, attendevano però
l'esibizione che avrebbe concluso felicemente quella giornata. Stava per
arrivare, dopo aver attraversato mezza Europa, il trovatore provenzale Pascal de
Gordes. Il suo arrivo fu annunciato dalle trombe dei suoi assistenti. Due
giovani dalle divise sgargianti verdeblù e dai mantelli svolazzanti. Poi
giunsero due acrobati che stupirono il pubblico con i loro salti che quasi
ghermivano il campanile della chiesa. Tutto questo daffare era solo per
introdurre il famoso de Gordes.
Quasi tutti se lo immaginavano più alto e giovane, specialmente le dame in età
da marito, e invece Pascal de Gordes era alto poco più di un bambino di cinque
anni. Nonostante ostentasse un'agilità non comune nel districarsi tra la folla e
avesse una voce perfettamente modulata, i radi capelli biondicci che gli
cadevano sulle spalle e i pochi denti del suo sorriso, denunciavano un'età già
pienamente matura.
Pascal non perse tempo in preamboli e ghirigori vari, si diresse subito al
centro della Piazza dove i carpentieri avevano sistemato un piccolo palco per la
sua esibizione. Preso posto sull’improvvisato pulpito teatrale, da buon
capocomico, il trovatore assegnò compiti e posizioni ai suoi aiutanti: i
giocolieri ai lati e i trombettieri dietro. Poi cominciò la sua canzone. Narrava
di un'epoca passata, ma non così remota che nessuno potesse rammentarla.
“Narrerò la storia di questa terra
nella quale pure qui giunse la guerra”
recitò il trovatore pizzicando le corde del suo liuto
“Federico Barbarossa, degl'Italian flagello
volea assediare un borgo così bello:
pria di partire poi per Milano
dovea distruggere Gazano.”
Il pubblico intanto era cresciuto e ad ascoltare il trovatore adesso c'era già
quasi tutto il paese.
“I consoli di Gazano rifiutaron la resa
e con i Tedeschi non vollero intesa.”
Ed era andata davvero così: Gaggiano non si sarebbe arresa all'imperatore di
Germania, così come non lo avrebbe fatto con la stessa Milano. Gaggiano era un
paese piccolo, ma fiero della propria indipendenza.
Pascal de Gordes fece una pausa scrutando il suo uditorio. Scostò con la manica
vermiglia della camicia un velo di sudore sulla sua fronte. Adesso veniva la
parte più emozionante della vicenda, e l'uomo voleva narrarla al meglio:
“Il borgo per settimane fu assediato
ma mai arrendersi avrebbe accettato.
Le catapulte lanciaron i proietti
che subito ebbero malefici effetti
Le strade presto furono invase
e gl'Imperiali penetraron nelle case.
Non si contarono episodi di valore,
ma né gli eroi né le mura né l'onore
avrebbero salvato dalla distruzione
e da morte la popolazione.”
Alcuni gaggianesi piansero. Si ricordavano bene quel periodo, anche se erano
ancora bambini.
“Tutto il volgo in piazza radunato
attendeva silente il triste fato
e in questa piazza, vicino al Tempio
già gl'Imperiali facean scempio.
Umile e casta da tutti una preghiera
nacque nei cuori e salì al Cielo,
Come il sole che in primavera
sfonda luminoso l'azzurro velo.”
Si udì il rumore come di un tuono, anche se il cielo era sereno. Nessuno,
nemmeno gli armigeri, vi fecero caso e il cantastorie proseguì.
“Ma quando ormai tutto parea perduto
un miracolo venne quivi compiuto.”
Pascal si girò e, dando le spalle alla maggioranza di persone, indicò le quattro
statue di santi esposte nella facciata della chiesa. Erano quattro vescovi, li
si riconosceva dalle mitrie e dai loro pastorali.
“I santi vita presero,
dalla facciata scesero”
cantò Pascal battendo ritmicamente le cosce. Adesso il liuto lo suonava un
assistente. Lui voleva solo cantare:
“e brandirono i pastorali.
Presi da sacro terrore
fuggirono gl'Imperiali
senza gloria e senza onore.
La popolazione rincuorata
ritrovò il coraggio perduto.
Si ricostituì presto un'armata:
ogni tavola divenne scudo
e ogni legno una spata.
Così la tedesca rabbia
Fu scacciata come scabbia.
Fu finita anche per il Barbarossa
che a Gazano si scavò la fossa
e mai più la razza germanica
da allora calpestò la terra italica.
Tutta la Penisola dovette a Gazano
il guiderdone dello sconfitto Tiranno.
Da quel tempo i santi protettori
rimasero come monito a futuri invasori:
Gazano non sarebbe più stata violata
finché i santi l'avrebbero preservata.
Ormai da secoli inviolata è la città,
festeggia ora la sua antica libertà”
La strofa non si era ancora conclusa del tutto che il pubblico già applaudiva
entusiasta.
“I nemici! I nemici alle porte!” Gridò un uomo a cavallo che fece irruzione
nella piazza. Era paonazzo e a stento riusciva a trattenere il suo destriero,
sudato e con la bava alla bocca. “Ci stanno assediando con le loro catapulte!
Presto saranno qui!”
Tutti si avvicinarono spaventati all'uomo che faceva parte del piccolo
distaccamento di guardia. Sicuramente non stava mentendo e il pericolo era
gravissimo. I consoli, i priori e il podestà si scambiarono degli sguardi
preoccupati. Tutta la gente abile alle armi era sì in piazza, ma disarmata.
Sarebbe stato impossibile prepararsi a sostenere un assedio. La sconfitta era
certa, a meno che...
Quasi contemporaneamente i volti di tutti, dai bottegai alle prostitute, dai
presuli ai maniscalchi, si rivolsero verso le statue dei santi. Stava accadendo
tutto come il racconto del trovatore. Solo un miracolo avrebbe potuto a salvare
nuovamente il loro borgo. Ma i santi, in quel momento non si mossero.
Preferirono assistere impotenti alle grida, agli stupri e agli assassinii che si
perpetravano nella piccola piazza. Del resto era difficile pretendere qualcosa
in più, da statue scolpite nella pietra.
.
Ma non è la fine di questa pagina! Infatti, ispirato dall'"outsider" Braccobaldo da Bruscodorno, ecco cosa è venuto in mente a Massimo Berto:
L'azienda per cui lavoro è stata venduta nel 2011 ed adesso è di nuovo in vendita.
Chi compra comanda e mette i suoi uomini sul ponte di comando, anche se questi non sono all' altezza.
Questa riflessione nasce dal contributo di Bhrihskwobhloukstroy
sul fatto che uno sconosciuto Braccobaldo può ereditare un impero immenso.
Parliamo spesso di meritocrazia e integrazione. Ma nella realtà dei fatti, sia che si tratti di un azienda che di una nazione o di un territorio, difficilmente una persona fuori
dall'elite arriva al vertice.
Partiamo dal pensare ognuno a uno o a più outsider che sarebbe stato un eccellente leader.
Ditemi i nomi del vs. Prescelti e l'anno in cui lui salgono sul ponte di
comando, lasciando sino a quel momento intatta la storia.
Parto io: Fiorello la Guardia, 1940;
Federico Caffé, Ministro o Governatore
della Banca d'Italia, 1987.
.
Ed ecco le risposte degli altri ucronisti:
Tommaso Mazzoni: Theophan S. Noli, 1900. Padre della patria Albanese, mi piacerebbe proporlo come primo Gran Vizir Cristiano dell'Impero Ottomano.
Federico Sangalli: Thomas Alva Edison, USA, 1908; Eugene Victor Debs, USA, 1912; Immanuel Kant, Prussia, 1782; William Penn, Inghilterra, 1700; Henry de Saint-Simon, Francia, 1790
Bhrihskwobhloukstroy: nel 679 al posto di Pipino di Her(i)stal diventa Maestro di Palazzo d’Austrasia Eticone, perseguitato da Ebroino.
Iacopo Maffi: Girolamo Savonarola Papa; Giovanna la Pazza; Buenaventura Durruti; Eleanor Roosevelt Presidente USA.
Enrico Pellerito: Bernie Sanders, 2016.
William Riker: Giacomo il Minore, "fratello" di Gesù (figlio di un fratello di San Giuseppe), I secolo dopo Cristo: il giudeo-cristianesimo vince sui pagano-cristiani, l'aramaico è ancor oggi la lingua liturgica della Chiesa Cattolica, e il Vescovo di Gerusalemme ha il titolo di Papa.
.
Se volete partecipare alle discussioni in corso, scriveteci a questo indirizzo.