(da "La Nona Campana", ottobre 2012)
I miei bisnonni vivevano al Moncucco, in una cascina isolata su questa splendida collinetta naturale. Quando faceva visita ai suoi nonni, dopo quello che sembrava un lungo viaggio, a mia madre pareva di andare in villeggiatura.
Cosa sarebbe il nostro paese senza i prati irrigui della valle del Ticino o senza le ginestre della brughiera? Un vecchio contadino lonatese avrebbe strabuzzato gli occhi dalla sorpresa a questa insolita domanda, ripensando alla sua vita con il lento scorrere dei ricordi. Come quando in estate, da ragazzino, approfittando delle pause di lavoro nei campi, si tuffava nelle limpide acque della roggia. Oppure, da attento contadino, raggiungeva nottetempo le chiuse per regolare il deflusso delle acque per l'irrigazione dei prati. O quando raccoglieva la legna caduca della brughiera nelle fresche giornate autunnali. I campi coltivati fuori le mura del borgo e sugli aridi terreni oltre il dosso del Monte Castano e le coltivazioni di foraggio che germogliavano nei prati umidi della valle fluviale, hanno accompagnato il secolare avvicendarsi delle generazioni.
Tutto ciò rivela un dettaglio significativo. Il comune di Lonate si estende su tre regioni morfologicamente diverse fra loro: la pianura fertile, la pianura arida (brughiera) e l'area fluviale, e quest'insieme determina una varietà di paesaggio e di elementi connaturati al territorio, animali e vegetali, facendone una ricchezza esclusiva della nostra provincia.
Un dedalo di stradicciole costituisce la trama dei rapporti secolari tra l'uomo e il territorio: trasporti, agricoltura, pastorizia, caccia. Anche la pratica militare ebbe degno sviluppo, quando una parte della brughiera fu adibita nell'Ottocento alle esercitazioni della cavalleria austro-ungarica, poi della Regia Aeronautica Militare, infine dei mezzi cingolati dell'esercito italiano. Fra queste strade spicca su tutte quella di Gaggio, la vitale arteria che collegava il borgo allo scomparso traghetto sul fiume.
L'elemento originale è proprio la brughiera, l'area posta a cuscinetto fra le due zone fertili. Da un lato, la dorsale Moncucco-Monte Castano rappresenta 1'elevazione sud della "terrazza di Cardano", come i geologi chiamano la linea di scissione fra la brughiera gallaratese (Brughiera Grande) ed i terreni fertili della pianura; dall'altro, la lussureggiante valle del fiume Ticino. L'elevazione è scarsa, infatti il dislivello massimo è di circa quindici metri, ma è il primo segno di discontinuità altimetrica sul monotono orizzonte della pianura.
Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento i fratelli Giuseppe e Ambrogio Simontacchi di Sant'Antonino, quest'ultimo mio bisnonno materno, costruiscono due cascine sulla dorsale del Moncucco. Le due costruzioni sono visibili sulle mappe catastali successive a questo periodo con il toponimo "Cascina Simontacchi", e rappresentano il nucleo primigenio del rione Moncucco di Lonate.
La cascina Moncucco agli inizi del secolo scorso
La cascina di Ambrogio è una grande casa a pianta rettangolare in cui trova accoglienza tutto l'universo contadino: le abitazioni, i depositi, le stalle, i carri e gli attrezzi da lavoro. Il poggio, da cui si domina la campagna circostante, evidenzia la semplicità architettonica del volume, impreziosito da ben sei colonne a sostegno di un ampio porticato.
Una stradella in leggera salita, contornata da un filare di ciliegi, portava alla rustica corte. Degna di memoria è la presenza di un pozzo per la raccolta dell'acqua piovana, che vi defluisce dai canali di gronda sull'ampia superficie del tetto. Tutto attorno trovavano spazio le ortaglie, gli alberi da frutta e una vigna per la produzione domestica di vino. A nord, in direzione del dosso, un fitto bosco di castagni, querce, betulle e farnie si estendeva a perdita d'occhio.
Quando mia madre faceva visita ai nonni, le sembrava di andare in villeggiatura. A lei che abitava in una corte del centro, il cammino che da vicolo Zocchi, adiacente alla minuscola piazza Battisti, portava alla cascina dei nonni lungo la via carrabile per Turbigo, pareva un lungo viaggio. All'altezza della grande pozza in cui si raccoglieva l'acqua piovana di Valletta, ben stretta al braccio materno per paura di caderci dentro, incominciava a scorgere il profilo di quella casa adagiata sul poggio.
Là si divideva tra l'affetto dei nonni e i giochi con Carla, l'adorata cuginetta, e Fuffi, il bastardino di corte. Un susseguirsi instancabile di piroette sul pendio erboso riempiva i loro pomeriggi finché, stanche e sudate, le attendeva una sana merenda di frutta di stagione. È così che mia madre, al secolo Antonia Regalia, per tutti Nina, divento la Nina di Muncüch.
II paesaggio da fiaba risplendeva nei magici istanti delle stagioni autunnali, dove la natura rifletteva tutte le sfumature dei colori dell'arcobaleno, in special modo la luce dorata del tramonto. Questa collinetta che cinge Lonate a ovest è rimasta nella memoria collettiva di tante generazioni, e tale era la rilevanza topografica che da essa derivava l'antico nome di contrada di Monte dell'attuale via Vittorio Veneto!
Oggi la cascina non esiste più, sostituita da una casa moderna la cui recinzione non svela alcunché, mentre la grande fabbrica adiacente annulla l'effetto digradante della collinetta. I tracciati viabilistici più recenti, la prosecuzione di via Vittorio Veneto verso il fiume Ticino e la circonvallazione per Busto, hanno lasciato solchi profondi nella dorsale, mentre l'ampliamento dell'aeroporto della Malpensa sta mettendo a rischio non solo la fruizione, ma perfino la vita stessa della brughiera e del suo delicato ecosistema. E ciò non rende giustizia all'incanto di questo angolo di mondo.
Ogni uomo ha un paesaggio dentro di sé: una straordinaria sintesi di immagini che affiorano dalla memoria a ricordo di un luogo, e che rappresentano un riferimento della propria vita. La nostra sensibilità di cittadini sta nell'esserne consapevoli e difenderlo dall'oblio o, peggio ancora, dalla rovina e dalle speculazioni.
Egidio Caroli
(da "Il Lonatese", aprile 2025)
.
La cascina Gelata fu demolita, parte nel 1974, parte nel 1980, per fare posto alla zona industriale e all'insediamento Chibro, rimasto abbandonato dalla costruzione. Anni prima della demolizione le famiglie che vi abitavano avevano lasciato la cascina venendo ad abitare in paese. Erano in gran parte di origine bergamasca e rispondevano ai cognomi Ceruti, Desperati, Dosso, Finardi già Milanesi, Geviti, Nisoli, Nossa, Paracchini, Resmini. In tutto 9 famiglie e ben 49 persone.
Nel 1864 alla cascina Gelata abitavano soltanto tre famiglie, di cognome Zaro, che, trasferendosi in paese, portarono con sè il soprannome Giràa, a ricordo della provenienza. La mappa catastale del 1856 mostra una cascina ancora costituita dal solo corpo rettilineo est-ovest, con un ampio cortile e con un piccolo edificio staccato a sud, chiusa a quadrilatero, con annesso orto, dunque l'ampliamento che consentì l'accoglienza di più famiglie fu successivo. Nel 1847, quando venne rettificata l'adiacente strada comunale per Busto, la cascina e i terreni di compendio erano di proprietà del nobile Carlo Oltrona Visconti.
Negli anni 1771-73, come risulta dall'archivio di stato di Milano, abitavano nella cascina Gelata due nuclei familiari doppi: quello dei fratelli Giovanni e Domenico Zaro e quello dei fratelli Michele e Giovanni Battista Attuada (o Lattuada), in tutto 20 persone. Il catasto del 1754, come si evince dall'archivio di stato di Varese, mostra nell'ampio terreno adiacente la ragion d'essere della cascina. Proprietaria della cascina e del terreno aratorio di 174 pertiche con 41 moroni era la contessa Marina Sommaruga Cermelli. Gli Oltrona acquistarono da lei la cascina.
Lo stato delle anime del 1574 conservato nell'archivio diocesano, e compilato dal curato Giovanni Maria Frotti, colloca "fuori del borgo di Lonà nella Cassina detta la Gelava in Ligunto di proprietà degli eredi di messer Antonio Genaro" due nuclei familiari di massari, di cognomeScampini.
"Gelava" e "Ligunto" permettono di allargare la ricerca. Nel Cinque e Seicento la chiesa e i monasteri di Lonate possedevano in Ligunto, all'Arno e ultra Arnum, campi, vigne, boschi e brughiera, con antecedenti documentati a partire dall'anno 1404. L'Arno, prima di essere incanalato nel 1820 dove scorre oggi, passava di lì almeno con un ramo, prima di arrivare a Vanzaghello, dove oggi una via porta il nome del torrente. Il curato Frotti, di origine varesina, diceva Gelava, che fa pensare al freddo; ma i lonatesi dicevano Giràa o Girada, che fa invece pensare alla ghiaia, presente nel letto e ai lati del torrente.
Non si sa da quant tempo esisteva la cascina. Probabilmente la costruirono i Gennari (de Januario) per meglio lavorare quell'area campestre, essendo grandi produttori e venditori di granaglie nel Quattrocento. Ma il cognome Gennari ci porta più indietro: il monastero lonatese Gennari, poi San Michele, risale alla fine del Duecento E' proprio vero: talvolta la ricerca storica offre una catena di nomi, situazioni e vicende inizialmente insospettata.
(da "La Nona Campana", febbraio 2016)
.
Nel decreto del 1496 istitutivo della parrocchia, rilasciato dalla curia di Milano, gli abitanti di Sant'Antonino erano autorizzati a dotarsi del cimitero e del campanile, elementi caratterizzanti e necessari in ogni chiesa parrocchiale. Una cosa, il campanile, effettivamente mancava, ma l'altra, il cimitero, già c'era. Dunque, il decreto, ripetendo un formulario consueto, non teneva conto della situazione reale di Sant'Antonino.
Infatti il cimitero era stato benedetto nel 1476, quando fu consacrata la chiesa, dal vescovo Giacomo Violi di Lodi, suffraganeo dell'arcivescovo Nardini di Milano. La chiesa di Sant'Antonino che già esisteva nel 1300 (attestata dal “Liber notitiae sanctorum Mediolani”), comportava fin da allora uno o più sepolcri interni (almeno quello della nobile famiglia Bodio) ed un cimitero esterno per la sepoltura nella nuda terra degli abitanti battezzati del villaggio, secondo una prassi diffusa dal cristianesimo. Il visitatore del 1566 (mons. Cermenati) rilevò la presenza del cimitero davanti alla chiesa e a destra di essa, chiuso da un muro sprovvisto di porte. Un disegno della chiesa del 1570 circa, conservato nell'archivio storico diocesano , raffigura il cimitero adiacente alla chiesa su tre lati e fornisce le misure di esso: una fascia di cubiti 34x32 a occidente della chiesa, una di cubiti 8x16 a settentrione di essa, una striscia lunga 52 cubiti ma larga soltanto da 2 a 4 cubiti a levante di essa. La fascia spaziosa era, dunque, soltanto quella a sud della chiesa. Chi voglia aggiornare le misure, sappia che un cubito ecclesiastico corrisponde a 43 centimetri.
La vecchia chiesa parrocchiale di Sant'Antonino
Il consacrante del 1476 aveva disposto che ogni anno si celebrasse il ricordo della consacrazione della chiesa nello stesso giorno – 19 agosto – con un ufficio per i defunti nel giorno seguente e che – secondo le facoltà a lui concesse – i partecipanti al rito fruissero, se confessati, di una indulgenza di 40 giorni. Da notare: l'atto del 1476 attestante la consacrazione fu steso a Lonate dal notaio Stefano Cane nella casa di abitazione del sacerdote Francesco Bodio, alla presenza di diversi ecclesiastici locali: i due rettori (parroci) di Lonate che erano Giovanni da Borsano e Antonio Ferrario, il predetto Francesco Bodio che era cappellano della cappella della Madonna nella chiesa di San Nazaro, il sacerdote Agostino Spezzi che era titolare della cappella di San Pietro Martire nella chiesa parrocchiale di Sant'Ambrogio, il sacerdote Giovanni Ferrario lonatese ma rettore della chiesa di Santa Maria al Circolo di Milano, il sacerdote Luigi Ferrario di Lonate e il chierico lonatese Gian Giacomo della Croce.
Il campanile venne costruito a seguito di un lascito testamentario del 1524 (anno della peste), lascito testimoniato dal notaio lonatese Bernardino Gennari. La chiesa era piccola. Nel 1566 non ne ricordavano più la consacrazione, ma vi si seppelliva. Aveva il battistero a lato dell'ingresso, un altare di legno con icona dorata e un altare minore intitolato a santa Caterina. Il campanile aveva una sola campana. Il cimitero aveva una recinzione murata senza porte: il visitatore le pretese. Il disegno del 1570 e la relazione allegata ci informano che la chiesa, con finestra tonda in facciata, era di 4 campate di 7 cubiti ciascuna, aveva la sagrestia e il battistero lungo la parete settentrionale, ed il campanile sul lato opposto. Nel 1586 le campane risultano due.
Questa situazione mutò intorno al 1590, quando, aumentando la popolazione, alla navata della chiesa venne aggiunto sul lato settentrionale una navatella, in testa alla quale si collocò un altarino intitolato alla Madonna dell'Albero. Il risultato non era soddisfacente. Perciò nel 1635 la chiesa verrà radicalmente ristrutturata.
.
Se volete maggiori informazioni, rivolgetevi alla Pro Loco di Lonate Pozzolo, indirizzo via Cavour 21, telefono 0331/301155.
.
Già che ci siete, se lo credete, potete dare un'occhiata alla storia recente di Lonate; altrimenti, cliccate qui e tornate indietro.