Anche questa estate aggiungo una pagina al mio sito per raccontarvi in breve come ho trascorso le mie vacanze foris portas, che per me sono sempre « sacre », nel senso che le trascorro sempre in qualche santuario. Durante l'estate 2002, il santuario prescelto è stato quello di San Giovanni Rotondo, per via di un voto da me fatto all'inizio dell'anno scolastico 2001/02, che per me doveva essere l'anno di formazione e di prova. L'anno di prova l'ho superato con successo, nonostante i bastoni fra le ruote che alcuni hanno cercato di mettermi, per cui recarmi sul Gargano a portare un ex voto al frate con le stimmate mi sembrava il minimo. Il viaggio ha così avuto luogo dal 6 al 10 agosto 2002.
Quando siamo partiti da Milano in via Santa
Sofia, alle 6.30 di martedì 6, il tempo era tutt'altro che clemente, e per
tutto il mese precedente ad ondate di caldo si erano alternati terribili
acquazzoni accompagnati da grandine e trombe d'aria, per cui i presagi non erano
certo dei migliori. Infatti, appena entrati nell'autostrada A4, si sono aperte
le cateratte del cielo ed è venuto giù il diluvio. Anziché voltare subito
verso Bologna lungo la A1, il pullman granturismo con 18 passeggeri a bordo ha
raggiunto prima Brescia e poi Verona, per caricare altri tre passeggeri, per un
totale di 21, ed in seguito si è immesso nella A22 raggiungendo Modena via
Mantova. Modena era anche la città natale della nostra guida, il signor Sauro
Torricelli, che ci ha fornito alcune informazioni curiose sulla sua provincia, e
ci ha persino cantato una canzoncina in dialetto bolognese. Intanto, sotto un
vero e proprio nubifragio, l'autobus si immetteva sulla autostrada A14,
l'Adriatica, e sfiorava prima il monte Titano, su cui sta arroccato San Marino,
e poi la costiera romagnola; in lontananza abbiamo avvistato i grandi
grattacieli di Cesenatico e di Rimini. Abbiamo cominciato a lasciarci alle
spalle il maltempo solo dopo aver superato Ancona. A Loreto, la prima tappa del
viaggio, siamo giunti verso le 15, con notevole ritardo rispetto alla scaletta
prevista, a causa della lunga deviazione effettuata.
Durante il
tardivo pranzo pioveva ancora come Dio la mandava, ma quando siamo usciti per
recarci nella Basilica aveva già smesso, e mentre eravamo dentro è uscito
addirittura il sole. Dopo che il Padre Spirituale del nostro pellegrinaggio,
padre Attilio, ha detto messa in una cripta, ci siamo messi in coda per entrare
nella Santa Casa, che si dice trasportata miracolosamente dagli angeli da
Nazareth a Loreto via Fiume il lontano 10 dicembre del 1294. Forse ad operare la
traslazione è stata la famiglia loretana degli Angeli, dopo che i Crociati
avevano dovuto abbandonare definitivamente la Terrasanta; certo è che i tre
muri di mattoni oggi visibili sotto la spessa ricopertura in marmo bianco,
dovuta ad artisti del calibro di Andrea Sansovino e di Giovan Battista della
Porta, provengono sicuramente dalla Palestina, essendo interconnesse mediante la
tipica finitura usata dai Nabatei; inoltre i tre muri perimetrali, di 5 per 8
metri, si incastrano perfettamente con la "grotta", cioè con la parte
della Casa di Maria scavata nella roccia, rimasta a Nazareth ed inclusa nella
Basilica della Natività, da me visitata nel settembre 1995. All'interno della
Santa Casa si trova una statua lignea della Madonna con Bambino, ricoperte da
una dalmatica che ne lascia vedere le sole teste. La statua originaria andò
distrutta in un incendio del 1922, e fu sostituita da quella attuale, di colore
nero per maggior somiglianza con l'antico simulacro, annerito dal fumo delle
lampade ad olio. Di fronte alla statua c'è una finestrella che guarda sull'Altar
Maggiore della Basilica, dalla quale si ritiene che l'Angelo si sia affacciato
per portare a Maria lo sconvolgente annuncio della Maternità Divina; in una
nicchia c'è poi una ciotola che potrebbe essere appartenuta alla Santa Vergine.
Tutt'intorno alla Santa Casa si aprono sontuose cappelle meravigliosamente
decorate, di cui le più belle sono la Cappella Spagnola, adibita ai matrimoni
tra VIP, e la Cappella del Crocifisso. Visitata tutta la Basilica, siamo usciti
in piazza della Madonna, delimitata sui lati nord ed ovest dal Palazzo
Apostolico, sede di una rinomata pinacoteca, dove abitava Mons. Comastri, cui
abbiamo avuto la fortuna di baciare l'anello. Sua Eminenza infatti è sceso in
piazza per impartire la tradizionale benedizione eucaristica agli ammalati,
accorsi a frotte in quell'antica meta di pellegrinaggi, benedizione che si è
potuta tenere in piazza grazie al tempo clemente. Oggi invece mons. Angelo
Comastri è arciprete della Basilica di San Pietro in Vaticano (la sua è stata
una delle ultime nomine effettuate da Giovanni Paolo II il Grande prima della
sua santa morte), e in tale veste lo abbiamo incontrato in un'altra occasione,
nel novembre 2006. Tornando a Loreto, abbiamo poi visitato la parte
absidale della Basilica, raggiungendo il Belvedere da cui si gode un'eccezionale
vista di Porto Recanati e del mare Adriatico. La sera dopo cena abbiamo potuto
ammirare la Basilica illuminata ed alcuni momenti di preghiera del tradizionale
pellegrinaggio dell'UNITALSI di San Benedetto del Tronto. La notte ha piovuto
ancora, ma per fortuna la mattina dopo era di nuovo sereno.
Io e mia madre
ci siamo alzati alle 6.15, in anticipo sull'ora prevista dalla nostra guida, per
poter ascoltare la prima messa nella Santa Casa; quindi colazione e poi partenza
lungo la A14 per Lanciano (CH), 40.000 abitanti, sede del primo miracolo
eucaristico della storia della Chiesa. Qui, nell'ottavo secolo, un monaco
basiliano stava celebrando messa nella chiesetta di san Legonziano, quando fu
assalito dai dubbi circa l'effettiva presenza del Corpo e del Sangue di Cristo
nell'Eucaristia; tra le sue mani l'ostia divenne carne viva ed il vino si mutò
in sangue. Oggi il sangue si è raggrumato e diviso in cinque grumi, mentre
l'ostia, essendo stata fissata ad un supporto ligneo lungo il perimetro mediante
chiodini, si è ritirata asciugandosi e si è lacerata nel mezzo, così come
oggi noi la osserviamo nell'artistico reliquiario del XVII secolo. Dopo aver
detto messa nella chiesa di San Francesco, costruita sopra quella dove avvenne
il miracolo, abbiamo potuto ammirare le reliquie conservate dietro l'altare; un'équipe
di medici coordinati dal prof. Linoli ha potuto recentemente appurare che
l'ostia è formata inequivocabilmente da tessuto cardiaco, del quale misero in
luce le fibre muscolari ed il nervo vago, mentre il calice contiene vero sangue
umano. Entrambi appartengono al gruppo AB, lo stesso che il prof. Baima Bollone
ha ritrovato sulla Sindone; come le reliquie abbiano potuto conservarsi indenni
sino ad oggi nonostante la lunga esposizione all'atmosfera, per la scienza
rimane un mistero.
Dopo
quest'emozionante tappa abbiamo proseguito per Vasto, nota stazione balneare al
confine tra Abruzzi e Molise, dove abbiamo pranzato e ci siamo concessi una
tappa sulla finissima sabbia dell'Adriatico. Il mare era di un meraviglioso
colore fra l'indaco e lo smeraldo: aveva ragione Maria, la mia amica abruzzese
che me ne aveva parlato tanto bene. Nel pomeriggio ci siamo quindi portati nel
Gargano, dove sorgono i tre importantissimi santuari di San Marco in Lamis, San
Giovanni Rotondo e San Michele Arcangelo.
Ci siamo fermati
anzitutto nel primo, anche se non era compreso nel programma della giornata, un
complesso posto a 750 m di quota nella cui chiesa è conservata una statua
lignea dell'apostolo San Matteo, che secondo alcuni risalirebbe addirittura al
primo millennio dopo Cristo. Recenti restauri hanno messo in luce affreschi
antichissimi, forse del nono secolo. Qui, dentro un reliquiario del 1700, è
conservato anche un dente di San Matteo, che come è noto è sepolto a Salerno,
di cui è il patrono. I monaci del santuario benedicono i pellegrini tracciando
sulla loro fronte una croce usando l'olio santo, del quale abbiamo comprato una
boccetta. Qui esistono anche una biblioteca di 70.000 volumi ed un artistico
presepio napoletano permanente.
A soli 5 Km da San Marco in Lamis c'è San Giovanni Rotondo, ed infatti il padre spirituale di Padre Pio, fra Agostino da San Marco, era nato proprio in quella cittadina di montagna. Tanto però l'ambiente di Loreto e di San Marco mi è parso raccolto ed invitante alla preghiera, quanto invece San Giovanni Rotondo mi è parso caotico e tentacolare. Basti pensare che, per ragioni di ordine pubblico, gli alberghi sono tutti fuori città, ed il nostro, l'Hotel a tre stelle Villa Fontana, non faceva eccezione: dalla nostra camera si godeva un'eccellente vista sull'intero paese. Per raggiungere il santuario vero e proprio occorre prendere degli autobus navetta, e così abbiamo fatto sia la sera del 7 che la mattina dell'8 agosto. Mentre il primo giorno ci siamo soffermati sulla cella di Padre Pio, sulla mostra fotografica e sulla visita all'antica chiesetta (la sera ho invece scritto una ventina di cartoline), il secondo è stato il giorno della messa sulla tomba del Santo, una lastra di granito nero coperta dalle monete lanciate dai devoti a dispetto del divieto di farlo, e soprattutto della Via Crucis lungo i fianchi alberati della collina sulla destra del Santuario, tuttora ricoperto dal grande drappo della canonizzazione. Un'ora di libertà mi ha permesso di raggiungere la sagrestia e di lasciare il promesso ex voto al santo, mentre ho evitato di comprare alcunché della paccottiglia pseudoreligiosa della quale vive gran parte della popolazione della cittadina. Ecco una foto che ritrae mia mamma sullo sfondo del santuario di Santa Maria delle Grazie:
Dopo pranzo e
dopo una passeggiata nell'enorme parco retrostante l'hotel, sotto un sole
dardeggiante, ci siamo trasferiti a Monte Sant'Angelo, sede del quarto santuario
più importante del Medioevo dopo Roma, Gerusalemme e Santiago di Compostela.
Qui infatti, il 5 maggio dell'anno 490 d.C., a Elvio Gargano di Siponto (Sipontum,
il Golfo delle Seppie) sarebbe apparso l'arcangelo Michele per invitarlo a
costruire lì un santuario a lui dedicato. Quando però Gargano (da cui derivò
il nome del promontorio) e Felice, vescovo di Siponto, scesero nella grotta
indicata dall'arcangelo, già dedicata a Mitra, per consacrarla al culto
cristiano, secondo la leggenda vi trovarono già eretta una croce di cristallo
di rocca, mentre la voce angelica rimbombava tra le pareti annunciando: «
Questa chiesa è già stata da me dedicata e consacrata. Questa, per ora e per
sempre, sarà la mia casa. » Da quel giorno il Monte Drion (dal greco drion,
quercia) fu chiamato Monte Sant'Angelo, e da allora, a maggio e settembre lunghe
file di fedeli parati con le penne colorate che sono il simbolo del
pellegrinaggio, salgono in processione alla grotta dell'Arcangelo, scendendo gli
89 gradini della lunga scalinata di pietra, oltrepassando la porta di bronzo
fatta eseguire a Costantinopoli nel 1076, fino all'antro vasto e basso dove la
sacralità si fa palpabile, davanti alla statua di candido marmo di Andrea
Sansovino che anche noi abbiamo potuto ammirare. Oltre che come vincitore di
Satana, San Michele è venerato in quanto difensore della Chiesa, e qui è
possibile lucrare grazie a Lui l'indulgenza plenaria; infatti sull'arco che
conduce nell'antro è possibile leggere la scritta: « VBI SAXA BANDVNTVR IBI
PECCATA HOMINVM DIMITTVNTVR » ("Dove il sasso è rotto i peccati degli
uomini vengono rimessi"). Lì abbiamo visto anche i sacelli dei monaci del
Medioevo, scavati nella dura roccia ed esposti all'aria ed al vento. Belli anche
il castello angioino con la Torre detta dei Giganti, secondo la tradizione
costruito sopra un fortino eretto da Annibale nel 216 a.C., e la vista dal
belvedere, che spaziava sull'intero golfo di Manfredonia e sul Tavoliere delle
Puglie. Purtroppo la guida locale, più che agli aspetti religiosi del
santuario, era interessata a pubblicizzare i prodotti tipici del luogo, come
l'amaro di foglie d'ulivo o le ostie ripiene, e così non ci ha lasciato nemmeno
il tempo di acquistare una cartolina. No comment.
La mattina dopo,
lasciato il Gargano, ci siamo spostati a Pietrelcina, in provincia di Benevento,
dove San Padre Pio nacque; dopo la tradizionale visita alla sua casa natale ed
all'alta cameretta dove egli si scontrò ripetutamente col demonio, abbiamo
detto messa nella chiesetta consacrata a Maria Regina, dove egli fu battezzato;
lì io ho letto entrambe le letture. Cadeva qualche goccia di pioggia mentre ci
siamo trasferiti a pranzare in un agriturismo fuori città; lì vicino sorge una
chiesetta al cui interno è inglobato l'olmo sotto il quale il santo ricevette
le stigmate invisibili, in mezzo ad una pineta dove egli era solito passeggiare
ed aiutare il padre Grazio Forgione nei lavori agricoli.
A questo punto è ricominciato il viaggio verso il nord lungo la A1, l'Autostrada del Sole. A metà pomeriggio eravamo a Cassino, provincia di Frosinone, ed era tornato il sole. Per fortuna, perché siamo saliti ai 516 m di quota dell'abbazia di Montecassino, fondata nel 529 sui resti di un tempio pagano da San Benedetto da Norcia, l'iniziatore del monachesimo occidentale, dopo aver lasciato il Sacro Speco di Subiaco in seguito ad un tentativo di avvelenamento. L'abbazia divenne un faro irradiatore di religiosità e di cultura, ma fu distrutta ben quattro volte: nel 577 dai Longobardi del duca beneventano Zotone, nell'883 dai Saraceni che uccisero l'abate San Bertario, nel 1349 da uno spaventoso terremoto, ed infine nel 1944 dagli angloamericani, nel corso di un bombardamento strategicamente del tutto inutile, forse ordinato da una loggia massonica. Dopo la seconda guerra mondiale è stata ricostruita così com'era, utilizzando quanto è sopravvissuto. Attraverso il bel Chiostro d'ingresso, dove si trova una statua donata dal cancelliere tedesco Konrad Adenauer raffigurante la morte del santo, si accede al Chiostro del Bramante, dal nome di colui che lo progettò, di ben 30 metri per 40; dalla balconata si contempla uno stupendo panorama della sottostante valle del Liri e dei Monti Ausoni; è visibile anche il grande stabilimento della FIAT di Cassino. Ai piedi della scalinata ci sono le statue di San Benedetto, miracolosamente rimasta quasi indenne, e della sorella Santa Scolastica. Salita la scalinata, ecco l'antiportico del chiostro superiore, da cui la vista può spaziare sull'aerea Loggia del Paradiso. Il quadriportico nel quale si accede da qui è detto Chiostro dei Benefattori, ospitando le 24 statue ivi poste nel 1666, che raffigurano papi e sovrani munifici verso il monastero. Tre porte bronzee immettono nella Basilica; quella centrale risale all'XI secolo e fu realizzata a Costantinopoli. L'interno è tutto uno splendore di marmi pregiati, anche se la pregevolissima decorazione pittorica è andata tutta perduta, dopo la bravata degli amici anglosassoni. Nella facciata interna è posta la Gloria di San Benedetto, opera di P.Annigoni del 1979, che ritrae tra l'altro papa Paolo VI, venuto qui nel 1964 per riconsacrare la Basilica. Notevole è il monumento funebre di Piero de' Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico e fratello di Papa Leone X, annegato nel fiume Garigliano nel 1503 mentre sfuggiva all'esercito spagnolo che contendeva a quello francese il trono del Regno di Napoli. Grazie al permesso dei custodi del santuario siamo scesi nella Cripta del 1544, tutta decorata a mosaico, dove abbiamo potuto celebrare la liturgia dei Vespri di fronte all'altare con le statue dei santi Benedetto e Scolastica in estasi, fuse nel 1959. Tutto il coro è in granito di Svezia, e le due cappelle sono dedicate ai santi Mauro e Placido, discepoli prediletti di San Benedetto. Nel museo dell'abbazia è conservato il famoso Placito Cassinese, risalente al 960 e contenente il più antico testo conosciuto in lingua italiana: « Sao ke kelle terre per kelli fini ke ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti ». Chi di noi non lo ha studiato a scuola? Ed ecco una foto della mia famiglia davanti alla storica abbazia:
Lasciata
l'abbazia siamo tornati a Cassino sfiorando il cimitero dei soldati polacchi qui
morti durante la guerra, ed abbiamo preso alloggio in un albergo di periferia;
la notte è stata caldissima e mia madre non è riuscita a dormire bene a causa
di una vicina discoteca e del continuo latrare dei cani. La mattina presto di
sabato 10, partenza per l'ultima tappa del pellegrinaggio, l'abbazia di
cistercense di Casamari, nel comune di Veroli, sulla statale Frosinone–Sora.
Il tempo era divenuto molto nuvoloso, fortuna che ormai il viaggio era quasi
finito. Anch'essa, come Montecassino, è stata edificata sopra le rovine di un
complesso romano, il municipio di Ceretae, sacro alla dea Cerere e ricordato
come una delle residenze di Caio Mario. I Benedettini si sono stabiliti qui fin
dal 1035, poi ad essi sono succeduti i Cistercensi nel 1152; dopo alterne
vicende, fu saccheggiata dalla solita soldataglia napoleonica nel 1799, ma
rinacque nell'800. Lo stile è gotico, nonostante all'esterno sopravvivano i
lineamenti romanici. È presente un bel chiostro circondato dalle celle dei
monaci con 60 finestre di alabastro, ed una sala capitolare dalle tipiche arcate
ogivali e volte a vela. Durante la nostra visita il refettorio del duecento, di
ben 38 x 11 m, era occupato da una mostra naturalistica. Invece la chiesa è a
tre navate e misura 72 x 32 x 25 metri; il progetto è del monaco Guglielmo da
Milano, ha l'abside piatta tipica di queste basiliche, e notevole al suo interno
è il coro di noce pregiato del 1946 (già a quei tempi costò 18 milioni!)
Tutto questo ci è stato spiegato dall'abate in persona, che prima ci ha aperto
una cappellina per la messa di San Lorenzo (era il 10 agosto!), poi ci ha
guidato in un breve tour attraverso l'abbazia. Al termine, acquistate le ultime
cartoline grazie ad uno speciale distributore automatico che dava un tocco di
modernità al tutto, siamo risaliti in autobus e siamo ripartiti lungo la A1,
sfiorando prima la cosiddetta "Madonna dell'Autostrada", statua posta
ad Orte alla confluenza tra la Milano–Roma e la Roma–Ravenna, e poi Orvieto,
nel cui duomo è conservato il grande miracolo eucaristico di Bolsena. Mentre
cominciava a piovere insistentemente abbiamo raggiunto Chiusi, in provincia di
Siena, al limite meridionale della Valdichiana, dove abbiamo pranzato in un
albergo tipico poco fuori l'uscita dell'autostrada, prima di riprendere la
strada di casa. Sotto una pioggia torrenziale abbiamo attraversato le gallerie
dell'Appennino Tosco–Emiliano, incontrando peraltro una lunga coda all'altezza
della bella Certosa di Firenze. A causa del solito giro per Verona, per
riportare a casa tre membri della spedizione, siamo giunti a Milano in piazzale
Cadorna con grande ritardo, e per di più sotto l'acqua battente. Chiudiamo
questo resoconto con una delle barzellette raccontateci dalla nostra spiritosa
guida nel corso del viaggio: « Che differenza c'è tra un semplice sacerdote ed
un Monsignore? Nessuna, solo che il Monsignore non lo sa! »
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